Numero 15 Settembre-Ottobre 2013
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ISSN 2280-8817 GALLERISTI IN FUGA CHELSEA È MORTA? CON PIO MONTI A TU PER TU CON CHI È EMIGRATO C’È CHI DICE NO DE DOMINICIS E ALTRE STORIE MENSILE - POSTE ITALIANE S.P.A. SPED. IN A.P. 70% - ROMA - COPIA EURO 0,001 - COPIA 70% - ROMA A.P. SPED. IN S.P.A. MENSILE - POSTE ITALIANE IN RICORDO DI PAOLO ROSA FOCUS VERONA: PARLANO BIENNALI TOUR ISRAELE E MESSICO TESTIMONIANZE D’AUTORE FASOL - BARBERO - BRUCIATI QUATTRO CITTÀ E QUATTRO INTERVISTE REPORTAGE IN PAROLE E IMMAGINI anno iii numero 15 settembre-ottobre 2013 n anni di risorse carenti e calanti sarebbe innanzitutto buona norma, ancor prima di lamentarsi per i pochi quattrini e le scarse opportunità, mettere a frutto nella maniera più efficace e soprattutto più efficiente il poco che si ha. Strategico, in questo senso, poiché ottimizza per definizione, è saper utilizzare le reti, saper tirar fuori il potenziale dai network. Sia creandone di nuovi, sia attivando al meglio quelli esistenti. Tra i network esistenti e già a disposizione della nostra produzione culturale e artistica viene naturale pensare agli Istituti Italiani di Cultura. Piccole escrescenze di apparato, pseudo-parcheggi per politici in disarmo con l’imprimatur della chiara fama, stanno in realtà, in maniera disomogenea e senza neanche rendersene conto, svecchiando il proprio ruolo e, tra le altre cose, aprendosi all’arte TONELLI contemporanea. Ovviamente non accade in tutte le decine di sedi di questa “istituzione a rete” del Ministero degli Affari Esteri, tuttavia accade. Accade ad esempio a Parigi, accade a Madrid e a Istanbul con ormai abitudine e continuità. In questo numero del giornale parliamo di New York e accadrà prossimamente a Seoul. Tutto - questa è una specialità italiana - demandato alla capacità, MASSIMILIANO alla volontà, allo spirito di servizio e ai gusti dei singoli. Insomma: se c’è un bravo direttore si fanno le cose e si fanno bene, si promuove la cultura italiana in territori e capitali importanti, si produce cultura ex novo, si intessono rapporti con altre rappresentanze internazionali, si danno opportunità a chi le merita. Se invece il direttore non ha voglia o è appassionato di numismatica, ci si occupa solo di numismatica, con tutto il rispetto per la numismatica, ma con scarso ritorno degli investimenti e dei costi vivi che lo Stato profonde. Ed è un peccato tanto più evidente quanto più emergono Istituti che invece fanno il loro lavoro con costrutto. Peraltro i vantaggi di avere questo formidabile network al servizio del Paese sono più che evidenti. Organizzare mostre di artisti italiani all’estero “serven- dosi” del supporto degli Istituti significa abbattere i costi di location, significa abbattere i costi di ospitalità e dunque, se l’artista può vivere sul luogo dove esporrà per qualche tempo, probabilmente abbattere anche i costi di trasporto, perché le opere possono essere realizzate direttamente in loco. Significa poi poter beneficiare di spazi che non di rado sono autentici gioielli nelle rispettive città. Il palazzo su calle Mayor a Madrid, lo spazio nel quartiere di Pera a Istanbul col sorprendente teatro interno, per non dire di Parigi, di New York e di molti altri, posizionati sistematicamente in zone allettantissime. Resta il fatto che il primo obiettivo degli artisti italiani deve essere quello di farsi invitare, da soli e con le proprie forze, in mostre all’estero così da potersi confrontare su un piano internazionale. Tuttavia un network di spazi espositivi qualificati, con contenuti sempre e costantemente all’altezza, con una squadra di curatori a garanzia e con costi estremamente contenuti e facilmente (e auspi- cabilmente) affrontabili da privati (anche galleristi, perché no?) o da associazioni, potrebbe davvero aiutare. Ma un network funziona in maniera evoluta e intelligente quando - dovendo produrre cultura e conte- nuti - ha un coordinamento a cappello. Magari leggero, magari lieve, magari poco vincolante e scevro di lacci, paletti e burocrazie, ma comunque un coordinamento. Dunque, in concreto, cosa si propone? Si propone di creare in seno al Ministero degli Esteri (ma con una partecipazione, pesante, del Ministero della Cultura) un organismo snello che selezioni e vagli le stagioni di mostre (non più di due o tre all’anno per ogni sede) che gli Istituti Italiani di Cultura proporranno nelle loro sedi. Il tutto dedicato a una parte degli Istituti, non a tutti. A una prima selezione sperimentale di sedi che inizi a testare la possibilità di avere un direzione artistica, una grafica coordinata, una comunica- zione integrata (ufficio stampa, sito, social network, app), un obiettivo condiviso: promuovere per davvero l’arte italiana all’estero con la forza di un network che non è da tutti avere, che molti Paesi anche più avanzati del nostro ci invidiano e che, anche stavolta, non sfruttiamo come potremmo. 4 EDITORIALE a una dozzina d’anni lavoro per una casa editrice di Roma: prima come redattrice, poi anche come editor e ora come direttore editoriale. Sebbene non conosca né frequenti il mondo dell’arte in senso stretto, la mia professione si svolge all’interno della cosiddetta “industria culturale”: un complesso di attività che comprende non solo la produzione di materiali culturali ma anche la loro diffusione, comunicazione, valutazione; un ambito in cui la letteratura e l’editoria convivono con TESTA la musica e le arti visive, ma anche con l’organizzazione di eventi e il giornalismo. Riflettendo sulle dinamiche di questo vasto settore, un fenomeno che negli ultimi anni mi sembra evidente è quello del sostituirsi della forza della personalità alla forza MARTINA della competenza. Un ventennio di berlusconismo, televisivo e non, ha eroso alla base l’idea che lo studio, l’acquisizione di sapere, il possesso di un bagaglio di tecniche specifiche e di strumenti critici siano necessari per farsi strada professionalmente. Il biglietto da visita è diventato quello del carattere: simpatia, spigliatezza, voglia di fare; sensibilità, originalità, passione; capacità di farsi notare. Questo tipo di mentalità anti-intellettuale, la mentalità per cui chi “sa” è un pedante da sbeffeggiare, o un elitario da guardare con sospetto, ha trovato terreno fertile nella democrazia telematica da blog e da social network. Il preoccupante risultato è che, oggi, chiunque scriva si sente scrittore, chiunque faccia musica si sente musicista, chiunque abbia un’opinione su un libro si sente critico letterario, chiunque scatti una foto si sente fotografo. E spesso si ritiene che la passione per la lettura basti di per sé a dare accesso a una vita professionale nell’editoria. Non molti sembrano consapevoli del fatto che per lavorare nella redazione di una casa editrice è utile saper scrivere senza errori in un paio di lingue straniere, o saper usare uno scanner, o saper creare un file .epub, o conoscere il linguaggio HTML o anche solo la regola per la formazione del plurale dei sostantivi in –cia e –gia. (E il fatto che gran parte delle case editrici esternalizzino sempre più il lavoro, rinunciando a formare il proprio personale interno, non contribuisce certo a innalzare il livello di competenza generale nel settore.) Non fatico a immaginare che esista un corrispettivo di questa situazione nel mondo artistico: sempre più l’idea che arriva ai profani come me è che l’arte, specie quella contemporanea, vada sottratta a obsoleti para- metri tecnici o critici e fruita in maniera immediata, soggettiva; e che farla, capirla, parlarne, sia questione di sensibilità e di passione più che di competenza. Ritenere la letteratura e l’arte – nonché il fare libri, e il curare mostre – questione di sentire più che di sapere fa gioco a chi vuole ridurle a passatempo o a puro mercato, e privarle di valore conoscitivo, critico e, in definitiva, politico. Se in nome di un generico rifiuto della “casta” (la casta dei critici, la casta dell’“editoria tradizionale” ecc.) la cultura si pensa fatta solo di gusto, estro creativo, intraprendenza personale, e non più di abilità tecnica, di patrimonio cognitivo condiviso da accrescere e trasmettere, la si condanna all’irrilevanza. Proprio come, nella vita politica, la progressiva sostituzione della personalità alla competenza e l’idea che voler fare equivalga tout court a saper fare hanno portato agli esiti desolanti degli ultimi mesi. Quan- do cominceremo a invertire questa tendenza? Direttore editoriale di Minimum Fax L’ALTRO EDITORIALE 5 UN DECRETO LACUNOSO LA CULTURA NON BASTA QUALE CAPITALE? C’è il Decreto Bray. Il titolo attri- ’eravamo convinti che bastasse a competizione per la Capi- buitosi è Valore Cultura, quindi Cun nucleo sparuto di visionari, Ltale Europea della Cultura innesca aspettative. Il che è sempre artisti, creativi, musicisti… insom- 2019 sta entrando nel vivo, e non rischioso, soprattutto nella nostra ma, quelli che la Comunità Euro- soltanto perché si è concluso il Italia lamentosa per formazione e pea definisce “classe creativa”, per lavoro di preparazione dei dossier necessità. Già il fatto che ci sia è cambiare le sorti di una città, di un da parte dei candidati, che stando LUIGI SACCO un bel segnale, ma vorrei concen- quartiere. Le pratiche e le teorie di alle prime stime potrebbe segnare trarmi sul metodo. Il decreto toc- Richard Florida e della sua creative il record assoluto di partecipanti, PIER SEVERINO ca tanti settori della cultura, ma class ci avevano sedotto. Sembra- ma anche perché i me- FABIO manifesta il solito limite dei deci- va bastasse un museo, un teatro o dia nazionali e locali sion maker: si preoccupa solo dell’offerta una via di gallerie per riprendere danno al tema un risal- e mai della domanda. Si pensa quartieri difficili, aree da riattivare, to sempre maggiore. solo all’offerta istituzionale, SEGANFREDDO E come sempre CRISTIANO paesini in disuso o province dimen- a migliorarne l’efficienza, ticate. E così tutti a ricordare e con- accade in questi a renderla trasparente, vincere assessori e affini che “un festival casi, l’attenzione me- a liberarne (con le rilancia una città, che la ricaduta e blabla- diatica produce un feno- donazioni) le ri- bla, che se fai uno spettacolo, meno che ben noto: invece sorse.