1893. L'inchiesta
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1893.L'INCHIESTA Film documentario 63' regia Nella Condorelli www.1893linchiesta.it facebook 1893. L'inchiesta LINK TRAILER https://www.youtube.com/watch?v=eKqS8GiA1H4&feature=youtu.be SINOSSI Ottobre 1893. Mentre i giornali pubblicano dispacci di polizia sull'agitazione promossa nelle campagne siciliane da un movimento che si è dato un nome inedito “Fasci dei Lavoratori ”, Adolfo Rossi, un giornalista veneto noto negli ambienti dell'informazione nazionale per le sue cronache schiette, decide di saperne di più. Parte per un'inchiesta nell'Isola. E' il solo cronista a farlo: il Governo considera i Fasci Siciliani “un affare di ordine pubblico”, e la stampa avalla questa tesi. In Sicilia, viaggiando per lo più a dorso di mulo, Rossi incontra i Fasci. Contano trecentomila iscritti. Nè banditi nè briganti nè cospiratori, sono contadini e zolfatari, uomini e donne laceri e affamati in lotta contro la schiavitù e la mafia dei feudi. Da tre mesi sono in sciopero, non zappano le terre dei signori, mangiano solo erba e fichi d'india. In Sicilia, nella regione più arretrata d'Italia, è esploso il primo grande sciopero contro lo sfruttamento del lavoro dell'Italia unita. In testa ai cortei stanno le donne. “... Non immaginavo di trovare rozze contadine esprimersi con tale proprietà”, annoterà il giornalista in un articolo del 16 ottobre da Piana dei Greci. Nel film l'inchiesta di Rossi si fa voce narrante, e mentre ci conduce sulle tracce di questa Sicilia sconosciuta, con un viaggio ancora a dorso di mulo negli straordinari paesaggi dell'isola, tra la gente di oggi, ne genera un'altra: l'inchiesta dell'Autrice che indaga sulle ragioni della rimozione dei Fasci Siciliani dei Lavoratori dalla Storia nazionale, sulle conseguenze che la repressione del movimento ha avuto sulle sorti della Sicilia e del Novecento italiano. Il tempo e la memoria diventano protagonisti. Tracce, segni per l'attualità. LA STORIA Giusto poco più di un secolo fa, siamo nel 1893, Adolfo Rossi, giornalista di punta nel panorama nazionale, “redattore viaggiante” del quotidiano La Tribuna di Roma, decide di andare in Sicilia per realizzare un'inchiesta su un'ondata di scioperi in atto nelle campagne dell'Isola, di cui giungono nella capitale notizie frammentarie e contraddittorie. Nei salotti del Regno, si parla con preoccupazione di un movimento, i Fasci dei Lavoratori, composto per la maggior parte da contadini e operai delle miniere, che si è diffuso a macchia d'olio in tutta l'isola. Trecentomila sarebbero i soci,uomini e donne, e più di 165 le sezioni. Rossi, unico tra tutti i suoi colleghi, parte per la Sicilia. E' il 5 ottobre del 1893. Quando arriva a Palermo, incontra i capi del movimento “ sono tutti giovanotti sui trentanni o giù di lì”, scopre che le vaste campagne siciliane, coltivate a grano e frutta, cotone e seta, non ricevono un solo colpo di zappa da più di tre mesi. E che lo stesso succede nelle miniere di zolfo, l'oro giallo, la fonte energetica primaria dell'epoca, con redditi da capogiro per le società commerciali a partecipazione mista italo-estera, che arricchiscono in prima battuta i feudatari siciliani, padroni anche del sottosuolo. Il giornalista decide di partire subito verso le province del centro dell'isola, da dove arrivano notizie di arresti di massa; per un mese intero girerà a dorso di mulo “ sino ai più remoti paeselli di terra e di montagna ” intervistando contadini e contadine, bambini e bambine, ufficiali, preti, baroni, delegati municipali, capi e semplici soci dei Fasci. A Campobello di Licata, nel cuore del distretto minerario tra Caltanissetta e Girgenti, scenderà anche nel pozzo di una zolfara per documentare la condizione dei bambini di otto anni che vi lavorano “nella mia vita giornalistica ho visto violenze di ogni genere, ma niente mi ha colpito come i i carusi della miniera. Le leggi che vietano il lavoro prima dei dieci anni non sono fatte rispettare. C'è da vergognarsi a vivere in un paese dove una simile barbarie esiste ancora.” Articolo dopo articolo, separando i fatti dalle opinioni, Rossi riporta con onestà le ragioni della protesta. A stupirlo e affascinarlo, sono soprattutto le donne, in prima fila nelle dimostrazioni - “passeggiate con fanfara” si chiamano in questa fine Ottocento - e nei cortei “ parlano in pubblico come vere oratrici, libere di uscire di casa sole anche di sera , vogliono terra, pane e lavoro per sé e per i figli… Ce n'è di bellissime, che camminano diritte e maestose come tante regine... Non immaginavo di trovare delle rozze montanare esprimersi con tale proprietà ”. L' inchiesta di Adolfo Rossi svecchia di colpo il sonnolento ambiente dell'informazione nazionale. Per la prima volta sulla stampa nazionale compaiono articoli che denunciano le condizioni di indicibile miseria in cui vivono le famiglie contadine siciliane, più di un terzo della popolazione totale, costrette a lavorare in stato di schiavitù negli sterminati feudi nobiliari, strettamente controllate dalla mafia delle campagne al servizio dei principi feudatari. Un sistema, un'organizzazione sociale rimasti immutati nonostante l'unità d'Italia. Gli articoli verranno letti in parlamento, irrompe sulla scena culturale il primo dibattito sulla libertà di espressione ed il diritto all'informazione. A reagire per primo è Il Corriere della Sera, già autorevole quotidiano nazionale, che appoggia la versione “cospiratoria” del governo Crispi e del milieu aristocratico e capitalista del sud e del nord del paese, ignorando le rivendicazioni dei contadini siciliani. Ma l'inchiesta di Rossi va avanti. Il suo giornale La Tribuna di Roma moltiplica numero dopo numero le copie venute. Arriverà a settantamila! A trent'anni dall'Unità d'Italia, la Sicilia “la più lontana e sconosciuta delle nostre più lontane province” mostra un volto inedito. Nè banditi, né briganti, né cospiratori, i Fasci siciliani sono il primo movimento organizzato italiano contro lo sfruttamento del lavoro. Intervistato al proposito dal giornale francese Le Petit Parisién, Rossi commenterà seccamente: “Per me, i miei articoli non avevano altro pregio che quello dell'onestà. Ho scritto ciò che ho visto, senza pregiudizi, senza censure.”. APPUNTI 4 gennaio 1894. Sollecitato dai grandi latifondisti siciliani e dai nuovi capitalisti del nord, il presidente del Consiglio Francesco Crispi, succeduto a Giovanni Giolitti nella bufera dello scandalo della Banca Romana che coinvolge 22 parlamentari e arriva a lambire la Corona, dichiara lo stato d'assedio in Sicilia, lo estende alla Lunigiana (dove ci sono state manifestazioni spontanee di solidarietà con i contadini siciliani), nomina il generale Morra di Lavriano Commissario Speciale con pieni poteri militari e civili, e spedisce nell'isola 40.000 soldati. L' obiettivo è cancellare i Fasci e la protesta sociale nei feudi dell'isola. Sui cortei contadini si abbatte il piombo delle baionette regie e dei campieri mafiosi; alla fine si conteranno 107 vittime, uomini, donne, bambini in braccio, e un numero rimasto incalcolato di feriti. 5 gennaio 1894. Morra di Lavriano ordina lo scioglimento dei Fasci, la chiusura delle sedi e l'arresto indiscriminato di soci e simpatizzanti. Segue l'editto che sopprime nell'Isola la libertà di stampa e di associazione, e l'istituzione dei tribunali speciali a Palermo, a Messina, a Caltanissetta. Tremila siciliani saranno inviati al confino senza alcun processo, e più di trecentomila privati del diritto di voto su semplice segnalazione dei municipi di appartenenza o simpatia verso il movimento. Il processo ai capi dei Fasci si apre a Palermo il 7 aprile 1894. l'accusa formale è di cospirazione contro il Regno. Giorno dopo giorno, le udienze si trasformeranno in altrettante occasioni di denuncia, “ persuadevo dolcemente i lavoratori morenti di fame che la colpa non è dell'uomo ma del sistema, per questo non ho predicato la guerra all'uomo ma la lotta al sistema”, dirà Nicola Barbato, capo del Fascio di Piana dei Greci, ai giudici. A Palermo, a Catania, a Messina, i negozianti espongono in vetrina le foto degli imputati; nei licei e nelle università studenti e professori si dichiarano dalla parte dei Fasci. Il “processo mostruoso” (come lo definisce un testimone d'eccezione del tempo, Napoleone Colajanni, nel suo libro-reportage “Gli avvenimenti di Sicilia e le loro cause”, Sandron 1894), si concluderà il 30 maggio con pene detentive pesantissime. Tutti, capi e semplici soci, uomini e donne, sono condannati al carcere duro nella fortezza di Gaeta e nelle fosse di Favignana, il famigerato carcere sotterraneo dei Borboni. “I giornali di Palermo riportarono che al passaggio delle carrozze che conducevano i condannati al porto una folla immensa di popolo minuto si riversò per le strade, da piazza Pretoria, dai vicoli della Kalsa e dell'Oreto, e intonando l'inno dei Fasci, li segui sino al porto con gli studenti dell'università, e rimase lì tra decine di barchette che salutavano, finchè la nave non fu che un puntino all'orizzonte, e poi più niente..” EPILOGO Giugno 1894. Adolfo Rossi, “il cuore colmo di ricordi”, decide di editare i suoi articoli dalla Sicilia in un libriccino, una sorta di instant book, che Max Kantorowics, editore a Milano, accetta di stampare. E' L'agitazione in Sicilia. Inchiesta sui Fasci dei Lavoratori, 120 pagine, suddivise in capitoli, che riportano le corrispondenze pubblicate su la Tribuna tra il 5ottobre e i primi di novembre del 1893, più un commento finale dell'autore, “ E' l'unica testimonianza diretta esistente di quei fatti. Mi auguro venga letta negli anni. ”. Messa all'indice dal fascismo, L'agitazione in Sicilia sarà poi seppellita dall'oblio insieme alla straordinaria esperienza di lotta per i diritti del lavoro che testimonia. Tradotta in tedesco, a Stoccarda, nello stesso 1894, con il titolo “Die Bewegung in Sizilien“ l'inchiesta di Rossi, considerata oltralpe un prezioso documento per lo studio dei movimenti sociali di fine Ottocento, oltrechè un documento giornalistico di eccezionale valore sul piano del linguaggio descrittivo, sarà ristampata solo nel 1995, in numero limitato di copie, dall'editore La Zisa di Palermo, con prefazione di Marcello Cimino.