Compagne E Compagni, Come Militante Della Federazione Di Pisa

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Compagne E Compagni, Come Militante Della Federazione Di Pisa Compagne e compagni, come militante della Federazione di Pisa, esprimo una profonda soddisfazione per la qualità complessiva delle tesi congressuali, con le quali viene riposizionata al centro del dibattito la questione comunista, con il fine della costruzione del Partito comunista. Ora come mai l'affermazione “comunismo o barbarie” è dimostrata a livello mondiale dalle politiche inique adottate dal capitalismo per “uscire dalla crisi”. Politiche che immiseriscono le vite di tutte le classi subalterne e gettano il seme di nuove guerre imperialiste. Moltissimi compagni in Italia che hanno smesso di andare a votare, rifiutando questa democrazia vuota nata con il maggioritario, guardano ora al nostro Congresso fondativo con grandi aspettative, così come tutta quell'area di giovani, disoccupati o precari, donne e tutti quei soggetti che non hanno trovato negli ultimi trent'anni un Partito nel quale sentirsi compiutamente rappresentati e che vivono una vita di difficoltà dovuta alle dinamiche del sistema capitalistico. Sentiamo il peso della responsabilità di aver deciso di dar vita al Partito comunista, anche per avere alle nostre spalle una storia complessa fatta di vittorie, di errori e sconfitte. E per tornare a vincere dobbiamo mettere sotto la lente d'ingrandimento la storia del Partito comunista italiano, di cui dobbiamo capire fino in fondo la portata con un'analisi che ci è necessaria per poter conquistare, oggi, una capacità egemonica che ci consenta un'avanzata sociale elevata quanto quella raggiunta in Italia, dal dopoguerra fino al rapimento Moro, grazie al lavoro di quanti si riconoscevano nel Pci. Che ha avuto una fine oscura, troppo rapida e non sufficientemente analizzata. In questo senso è importante che il documento congressuale abbia intrapreso una lettura critica di quel periodo e un'interpretazione politica sui perché di quella fine. Ma proprio perché la fine del PCI è stata oscura e troppo rapida ci serve quella precisione nell'analisi e nella critica che dev'essere accurata nello scavare come la mano di un chirurgo che si appresta ad un intervento di estrema delicatezza. Ci serve, quindi, una ricostruzione precisa fin nei minimi dettagli, degli eventi che compongono il contesto storico, rispettando la datazione e contenuti dei testi. Occorre anche un corretto collocamento delle diverse responsabilità riguardo ai ruoli dei vari dirigenti che hanno operato nei due sensi possibili: chi per la costruzione e chi per la distruzione del Partito comunista. Sono centrate le critiche che il documento congressuale muove a Togliatti riguardo al suo discorso fatto a Napoli nel 1944, in cui afferma di star bene in compagnia di rappresentanti del Risorgimento italiano, come: il massone e federalista Carlo Cattaneo (padre politico del leghismo), il massone filo britannico e ideologo del terrorismo carbonaro, Giuseppe Mazzini (espulso con Bakunin dall'Internazionale da Marx e Engels) e il massone Giuseppe Garibaldi massacratore, assieme a Bixio, dei contadini e cittadini di Bronte e del Sud del nostro Paese. A Togliatti, per stare alla larga da questi personaggi, sarebbe bastato ricordare come aveva analizzato la massoneria Gramsci nel discorso alla Camera contro il disegno di legge Mussolini-Rocco. il 16 maggio 1925: «La massoneria, dato il modo con cui si è costituita l'Italia in unità, data la debolezza iniziale della borghesia capitalistica italiana, la massoneria è stata l'unico partito reale ed efficiente che la classe borghese ha avuto per lungo tempo. [...] Poiché la massoneria passerà in massa al Partito fascista e ne costituirà una tendenza». L'impostazione di Togliatti è un errore strategico: è stata un'apertura a quelle componenti massoniche di cui il principale interprete sarà il Partito d'Azione che, con uomini come Calamandrei, all'interno della Costituente si batteranno contro la nascita della Costituzione sociale, basata sul lavoro e non sulla proprietà privata; si batteranno contro le componenti cattoliche dossettiane e comuniste per non introdurre l'articolo 18 che vieta l'associazionismo segreto e quindi le attività politiche occulte. Tutte battaglie che il Partito d'Azione perde, assieme a quelle sull'adozione del sistema elettorale maggioritario e il conseguente “bicameralismo imperfetto” di stampo anglosassone, con una Camera alta e una bassa, che bloccano le istanze dei proletari e delle classi subalterne. Dopo le sconfitte nella Costituente, il Partito d'Azione si scioglie e i suoi componenti si infiltrano nel Pci e in quasi tutti i partiti, da quello repubblicano a quello socialista, fino alla Dc: entrano nel Pci Alatri e Trentin, (il sindacalista che tradisce, nel 1980, gli operai e il Berlinguer della lotta davanti ai cancelli della Fiat); nel Psi entrano Lombardi, De Martino, Tristano Codignola e Bobbio; nel Psiup Vittorio Foa; nei radicali Bruno Zevi; nel Movimento federalista europeo Altiero Spinelli; nel Psdi Garosci, Fenoaltea (che ritroviamo nella vicenda di via Gradoli durante il rapimento Moro), Facchiano; nel Partito repubblicano La Malfa, Reale, Visentini, Cifarelli e Valiani; nella Dc D'Angelo. Questa apertura di Togliatti è una “crepa” all'interno del Pci destinata ad allargarsi e a portare i suoi condizionamenti nel Partito fino a strutturarsi in una vera e propria corrente. Lascia spazio a una serie di personaggi di estrazione borghese, che si agganciano particolarmente alla componente amendoliana, e nel tempo lavoreranno per isolare i quadri provenenti dalla lotta partigiana e dalle fabbriche e per dare un indirizzo sempre più democratico-liberale al Pci. Si può dire che Togliatti compia lo stesso errore che fa Lenin nei confronti di Trotsky, che doveva essere allontanato dal Partito dopo la vicenda dell'attentato subito, orchestrato dall'agente britannico, George Sidney Reilly, e il diplomatico inglese Sir Robert Hamilton Bruce Lockhart, che hanno armato la mano della socialrivoluzionaria Fanny Yefimovna Kaplan. Reilly faceva parte della cerchia di persone frequentate da Trotsky nei suoi soggiorni negli Stati Uniti e in Canada. Se Lenin fosse morto in quell'attentato, Stalin non avrebbe potuto sostituirlo perché all'epoca nel Partito non aveva un ruolo di spicco come quello di Trotsky. Trotsky era funzionale al grande capitale che voleva dirigere i processi rivoluzionari russi in senso democratico-liberale, come il Partito d'Azione voleva guidare la transizione del dopo fascismo. Un attentato come quello subito da Lenin, e più tardi da Togliatti e poi da Berlinguer, per la loro realizzazione hanno bisogno di appoggi dall'interno del Partito e un'operatività esterna, con un vasto accordo tra Paesi che combattono in generale il movimento comunista e il Partito comunista in particolare. Altro errore commesso da Togliatti è stato quello di non aver posto come pregiudiziale per l'adesione al governo Parri la trasformazione delle formazioni partigiane, nel nuovo esercito popolare italiano. Perché, come diceva Mao: «il potere politico nasce dalla canna del fucile». Qualche parola in più sul ruolo del Partito d'Azione, che ha costituito un vero e proprio partito trasversale, nato nel 1942 dalla fusione di tre realtà preesistenti: il Movimento Giustizia e Libertà dei fratelli Rosselli (che erano dei veri antifascisti), Alleanza Nazionale di Mario Vinciguerra e il Gruppo Liberalsocialista di Guido Calogero e Aldo Capitini. Una realtà trasversale in grado di condizionare dall'interno le scelte della politica italiana dal fascismo fino ai nostri giorni. Un partito legato ai grandi capitali anglosassoni e quindi in Italia alla Banca Commerciale Italiana diretta dal massone Raffaele Mattioli, e al suo pupillo Enrico Cuccia, azionista di lunga data che, con Mediobanca, rappresentava il tramite tra gli interessi delle grandi famiglie del capitalismo italiano (Agnelli, Pirelli, ecc.) con il capitale internazionale (Banca Lazard, Deutsche Bank, ecc.) che operava lungo l'asse Parigi-Londra-New York. L'azionista Cuccia aveva come nemico principale, nel dopoguerra, Mattei, uomo appoggiato da Moro e dall'area sociale della Dc, ma che aveva un largo consenso anche tra i comunisti, che gli consentirono di firmare importanti contratti con l'Urss. Enrico Cuccia aveva nella sua Sicilia un cugino assai importante: l'avvocato Vito Guarrasi del Pri uno dei padri del separatismo siciliano, che fu presente alla firma dell'Armistizio di Cassibile. Il suo nome appare in un rapporto del 27 novembre 1944 indirizzato al Segretario di Stato USA, in cui il console generale americano a Palermo, Alfred Nester, afferma che Vito Guarrasi, assieme ad altre personalità dell'isola, fu presente a una riunione con alti ufficiali americani in cui si discusse se la Sicilia dovesse separarsi dall'Italia e dichiarare l'indipendenza. Il rapporto del console è significativamente intitolato: Formation of group favoring autonomy of Sicily under direction of Mafia che tradotto significa “Formazione di un gruppo che favorisca l'autonomia della Sicilia sotto la direzione della Mafia”. Guarrasi è l'uomo che aggancia uomini della destra del Pci, come Emanuele Macaluso, che ha rapporti con boss mafiosi del calibro di Calogero Vizzini e Giuseppe Di Cristina. Mattioli è stato capace di stringere relazioni con i vertici del Vaticano, con Paolo VI in particolare, ma ha anche lavorato per egemonizzare la cultura politica di sinistra, come con il finanziamento alla Casa della cultura di Milano. Fondata nel 1946 da Antonio Banfi, filosofo cattolico-liberale, che nel 1948 entrerà nel Pci grazie alle aperture di Togliatti, Banfi è il maestro
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