Compagne e compagni, come militante della Federazione di Pisa, esprimo una profonda soddisfazione per la qualità complessiva delle tesi congressuali, con le quali viene riposizionata al centro del dibattito la questione comunista, con il fine della costruzione del Partito comunista. Ora come mai l'affermazione “comunismo o barbarie” è dimostrata a livello mondiale dalle politiche inique adottate dal capitalismo per “uscire dalla crisi”. Politiche che immiseriscono le vite di tutte le classi subalterne e gettano il seme di nuove guerre imperialiste. Moltissimi compagni in Italia che hanno smesso di andare a votare, rifiutando questa democrazia vuota nata con il maggioritario, guardano ora al nostro Congresso fondativo con grandi aspettative, così come tutta quell'area di giovani, disoccupati o precari, donne e tutti quei soggetti che non hanno trovato negli ultimi trent'anni un Partito nel quale sentirsi compiutamente rappresentati e che vivono una vita di difficoltà dovuta alle dinamiche del sistema capitalistico. Sentiamo il peso della responsabilità di aver deciso di dar vita al Partito comunista, anche per avere alle nostre spalle una storia complessa fatta di vittorie, di errori e sconfitte. E per tornare a vincere dobbiamo mettere sotto la lente d'ingrandimento la storia del Partito comunista italiano, di cui dobbiamo capire fino in fondo la portata con un'analisi che ci è necessaria per poter conquistare, oggi, una capacità egemonica che ci consenta un'avanzata sociale elevata quanto quella raggiunta in Italia, dal dopoguerra fino al rapimento Moro, grazie al lavoro di quanti si riconoscevano nel Pci. Che ha avuto una fine oscura, troppo rapida e non sufficientemente analizzata. In questo senso è importante che il documento congressuale abbia intrapreso una lettura critica di quel periodo e un'interpretazione politica sui perché di quella fine. Ma proprio perché la fine del PCI è stata oscura e troppo rapida ci serve quella precisione nell'analisi e nella critica che dev'essere accurata nello scavare come la mano di un chirurgo che si appresta ad un intervento di estrema delicatezza. Ci serve, quindi, una ricostruzione precisa fin nei minimi dettagli, degli eventi che compongono il contesto storico, rispettando la datazione e contenuti dei testi. Occorre anche un corretto collocamento delle diverse responsabilità riguardo ai ruoli dei vari dirigenti che hanno operato nei due sensi possibili: chi per la costruzione e chi per la distruzione del Partito comunista.

Sono centrate le critiche che il documento congressuale muove a Togliatti riguardo al suo discorso fatto a Napoli nel 1944, in cui afferma di star bene in compagnia di rappresentanti del Risorgimento italiano, come: il massone e federalista Carlo Cattaneo (padre politico del leghismo), il massone filo britannico e ideologo del terrorismo carbonaro, (espulso con Bakunin dall'Internazionale da Marx e Engels) e il massone massacratore, assieme a Bixio, dei contadini e cittadini di Bronte e del Sud del nostro Paese. A Togliatti, per stare alla larga da questi personaggi, sarebbe bastato ricordare come aveva analizzato la massoneria Gramsci nel discorso alla Camera contro il disegno di legge Mussolini-Rocco. il 16 maggio 1925: «La massoneria, dato il modo con cui si è costituita l'Italia in unità, data la debolezza iniziale della borghesia capitalistica italiana, la massoneria è stata l'unico partito reale ed efficiente che la classe borghese ha avuto per lungo tempo. [...] Poiché la massoneria passerà in massa al Partito fascista e ne costituirà una tendenza». L'impostazione di Togliatti è un errore strategico: è stata un'apertura a quelle componenti massoniche di cui il principale interprete sarà il Partito d'Azione che, con uomini come Calamandrei, all'interno della Costituente si batteranno contro la nascita della Costituzione sociale, basata sul lavoro e non sulla proprietà privata; si batteranno contro le componenti cattoliche dossettiane e comuniste per non introdurre l'articolo 18 che vieta l'associazionismo segreto e quindi le attività politiche occulte. Tutte battaglie che il Partito d'Azione perde, assieme a quelle sull'adozione del sistema elettorale maggioritario e il conseguente “bicameralismo imperfetto” di stampo anglosassone, con una Camera alta e una bassa, che bloccano le istanze dei proletari e delle classi subalterne. Dopo le sconfitte nella Costituente, il Partito d'Azione si scioglie e i suoi componenti si infiltrano nel Pci e in quasi tutti i partiti, da quello repubblicano a quello socialista, fino alla Dc: entrano nel Pci Alatri e Trentin, (il sindacalista che tradisce, nel 1980, gli operai e il Berlinguer della lotta davanti ai cancelli della Fiat); nel Psi entrano Lombardi, De Martino, Tristano Codignola e Bobbio; nel Psiup Vittorio Foa; nei radicali Bruno Zevi; nel Movimento federalista europeo Altiero Spinelli; nel Psdi Garosci, Fenoaltea (che ritroviamo nella vicenda di via Gradoli durante il rapimento Moro), Facchiano; nel Partito repubblicano La Malfa, Reale, Visentini, Cifarelli e Valiani; nella Dc D'Angelo. Questa apertura di Togliatti è una “crepa” all'interno del Pci destinata ad allargarsi e a portare i suoi condizionamenti nel Partito fino a strutturarsi in una vera e propria corrente. Lascia spazio a una serie di personaggi di estrazione borghese, che si agganciano particolarmente alla componente amendoliana, e nel tempo lavoreranno per isolare i quadri provenenti dalla lotta partigiana e dalle fabbriche e per dare un indirizzo sempre più democratico-liberale al Pci. Si può dire che Togliatti compia lo stesso errore che fa Lenin nei confronti di Trotsky, che doveva essere allontanato dal Partito dopo la vicenda dell'attentato subito, orchestrato dall'agente britannico, George Sidney Reilly, e il diplomatico inglese Sir Robert Hamilton Bruce Lockhart, che hanno armato la mano della socialrivoluzionaria Fanny Yefimovna Kaplan. Reilly faceva parte della cerchia di persone frequentate da Trotsky nei suoi soggiorni negli Stati Uniti e in Canada. Se Lenin fosse morto in quell'attentato, Stalin non avrebbe potuto sostituirlo perché all'epoca nel Partito non aveva un ruolo di spicco come quello di Trotsky. Trotsky era funzionale al grande capitale che voleva dirigere i processi rivoluzionari russi in senso democratico-liberale, come il Partito d'Azione voleva guidare la transizione del dopo fascismo. Un attentato come quello subito da Lenin, e più tardi da Togliatti e poi da Berlinguer, per la loro realizzazione hanno bisogno di appoggi dall'interno del Partito e un'operatività esterna, con un vasto accordo tra Paesi che combattono in generale il movimento comunista e il Partito comunista in particolare. Altro errore commesso da Togliatti è stato quello di non aver posto come pregiudiziale per l'adesione al governo Parri la trasformazione delle formazioni partigiane, nel nuovo esercito popolare italiano. Perché, come diceva Mao: «il potere politico nasce dalla canna del fucile».

Qualche parola in più sul ruolo del Partito d'Azione, che ha costituito un vero e proprio partito trasversale, nel 1942 dalla fusione di tre realtà preesistenti: il Movimento Giustizia e Libertà dei fratelli Rosselli (che erano dei veri antifascisti), Alleanza Nazionale di Mario Vinciguerra e il Gruppo Liberalsocialista di Guido Calogero e Aldo Capitini. Una realtà trasversale in grado di condizionare dall'interno le scelte della politica italiana dal fascismo fino ai nostri giorni. Un partito legato ai grandi capitali anglosassoni e quindi in Italia alla Banca Commerciale Italiana diretta dal massone Raffaele Mattioli, e al suo pupillo Enrico Cuccia, azionista di lunga data che, con Mediobanca, rappresentava il tramite tra gli interessi delle grandi famiglie del capitalismo italiano (Agnelli, Pirelli, ecc.) con il capitale internazionale (Banca Lazard, Deutsche Bank, ecc.) che operava lungo l'asse Parigi-Londra-New York. L'azionista Cuccia aveva come nemico principale, nel dopoguerra, Mattei, uomo appoggiato da Moro e dall'area sociale della Dc, ma che aveva un largo consenso anche tra i comunisti, che gli consentirono di firmare importanti contratti con l'Urss. Enrico Cuccia aveva nella sua Sicilia un cugino assai importante: l'avvocato Vito Guarrasi del Pri uno dei padri del separatismo siciliano, che fu presente alla firma dell'Armistizio di Cassibile. Il suo nome appare in un rapporto del 27 novembre 1944 indirizzato al Segretario di Stato USA, in cui il console generale americano a Palermo, Alfred Nester, afferma che Vito Guarrasi, assieme ad altre personalità dell'isola, fu presente a una riunione con alti ufficiali americani in cui si discusse se la Sicilia dovesse separarsi dall'Italia e dichiarare l'indipendenza. Il rapporto del console è significativamente intitolato: Formation of group favoring autonomy of Sicily under direction of Mafia che tradotto significa “Formazione di un gruppo che favorisca l'autonomia della Sicilia sotto la direzione della Mafia”. Guarrasi è l'uomo che aggancia uomini della destra del Pci, come , che ha rapporti con boss mafiosi del calibro di Calogero Vizzini e Giuseppe Di Cristina. Mattioli è stato capace di stringere relazioni con i vertici del Vaticano, con Paolo VI in particolare, ma ha anche lavorato per egemonizzare la cultura politica di sinistra, come con il finanziamento alla Casa della cultura di Milano. Fondata nel 1946 da Antonio Banfi, filosofo cattolico-liberale, che nel 1948 entrerà nel Pci grazie alle aperture di Togliatti, Banfi è il maestro di Rossana Rossanda, che ne sposerà il figlio Rodolfo, responsabile dell'Ufficio studi della Banca Commerciale che finanzierà la Casa delle cultura, diretta da sua moglie. La Casa della cultura è stata la fucina del milanese e ha prodotto figure di revisionisti come Sergio Scalpelli, i gemelli Gianfranco e Giampiero Borghini, Luigi Corbani, Massimo Ferlini, Gianni Cervetti. Il programma del Partito d'Azione è esplicitato bene dal suo teorico, Augusto Monti, che nel suo libro Realtà del Partito d’Azione, scritto tra il settembre 1944 e il gennaio del 1945 e stampato il 30 luglio dello stesso anno da Einaudi, afferma: «Partito d’Azione o Partito Fascista? E il Partito Fascista non fu appunto, purtroppo, nient’altro che un partito d’azione? E il Partito d’Azione non sarà poi un partito fascista di nuova edizione? E per tornare a quegli uomini – agli uomini del P.d’A. di avanti lettera – che cosa c’era, in nome di Dio, che li distinguesse dai fascisti? Mettiamoci noi chiara la domanda prima che altri ce la formuli in pubblico come già da un pezzo la va rimuginando in privato. E rispondiamo: fino a un certo punto, e precisamente fino alla fine del 1918, niente». Poi nel capitolo dal titolo di trotskista memoria Rivoluzione permanente, Augusto Monti afferma: «… Spieghiamoci dunque meglio: il P.d’A. non è un partito comunista, perché è un partito liberale. Anzi è il partito liberale. E l’idea liberale, come precedette – e storicamente preparò – il comunismo, così seguirà il comunismo e lo concluderà; la dottrina liberale comprende l’episodio comunista e gli assegna nella storia il posto che gli spetta». I poteri che si muovono dietro al Partito d'Azione sono gli stessi che hanno uniformato, ai bisogni del capitale, le religioni monoteiste, la politica, i media (sempre sotto mentite spoglie utopico-progressiste) e nel contempo a livello finanziario ed economico operano per selezionare verso l'alto il gruppo dirigente del sistema capitalistico. Sono il vertice della massoneria.

Togliatti inoltre non coglie pienamente l'aspetto regressivo della cosiddetta destalinizzazione di Krusciov, che dava delle libertà formali individuali ai cittadini russi ma restringeva quelli dei Paesi fratelli. Togliatti non ne fa una battaglia di principio utilizzando la sua autorevolezza e non si allea con altri partiti comunisti, come quello cinese o albanese. Anche se in un'intervista a Nuovi Argomenti nel 1956 difende l'operato di Stalin con parole molto taglienti: «Oggi tutti sono d'accordo, fatta eccezione dei reazionari più chiusi, nel riconoscere che la creazione dell'Unione Sovietica è il più grande fatto della storia contemporanea; ma furono solo i comunisti, o quasi, che passo a passo seguirono questa creazione, la fecero comprendere, la difesero e ne difesero gli autori. Era naturale e giusto, in queste condizioni, che si creasse un rapporto di fiducia e solidarietà profonda, completa delle avanguardie operaie di tutto il mondo con quel partito comunista che davvero stava all'avanguardia di tutto il movimento politico e sociale. Bisognava tener conto anche del fatto, poi, che quasi in tutti i casi coloro che avevano incominciato con la critica di questo o quell'aspetto della politica comunista nell'Unione Sovietica finirono a breve scadenza per imbrancarsi con i calunniatori ufficiali di tutto il movimento comunista per diventare agenti, aperti o mascherati, delle forze politiche più reazionarie». Bisogna dare atto a Togliatti che, nel Memoriale di Yalta, manifesta di aver preso coscienza dell'errore di valutazione e critica fortemente la dirigenza sovietica e come essa si approccia allo scontro ideologico con il Partito comunista cinese. Tanto che alcuni storici sostengono che il Memoriale puntasse alla destituzione di Krusciov. Ricordiamo anche che Togliatti muore a Yalta, in Russia - un viaggio che non voleva intraprendere e che lo preoccupava molto - mentre stava terminando il Memoriale.

Nel giudizio sulla segreteria Berlinguer vorrei introdurre degli altri elementi di valutazione rispetto a quelli del documento congressuale: Berlinguer eredita un Partito in crescita dal punto di vista del consenso popolare/elettorale e che cresce molto durante la sua segreteria: nel 1974 gli iscritti erano 1.657.895 e nel 1978 sono diventati 1.790.629, con l'adesione soprattutto di operai e donne. Ma eredita anche le aperture togliattiane a liberali e cattolici, che stanno modificando i rapporti di forza e di classe tra i gruppi dirigenti del Partito, che in seguito lavoreranno sistematicamente contro di lui e le sue elaborazioni politiche. Inoltre eredita le scelte politiche del segretario . La segreteria di Longo si è caratterizzata con il primo “strappo” nei confronti dei dirigenti russi, dell'ottobre 1964, quando fece uscire su l'Unità un articolo che criticava il metodo usato per la sostituzione di Krusciov. Nel 1966 Longo oppose resistenza alle pressioni sovietiche che volevano convocare un summit per scomunicare i cinesi. Nel marzo dello stesso anno Longo dovette resistere anche alle pressioni del leader polacco Gomulka che criticò la forte opposizione del Pci ai governi di centrosinistra: secondo Gomulka il Pci avrebbe dovuto avere una posizione diversa, meno rigida, appoggiando il centrosinistra composto da Dc, Psi, Psdi e Pri. Per Gomulka il Pci era troppo estremista. Successivamente Longo a maggio getta le basi dell'eurocomunismo, riavvicinando con l'incontro di Sanremo il Pci con il Partito comunista francese. Longo è anche il compagno che sostiene la Primavera di Praga e condanna l'invasione della Cecoslovacchia nel 1968, facendo scrivere a Ingrao un articolo molto critico su l'Unità. Chi si oppone a questa linea è , con l'autorevole sostegno di , detto il “Krusciov italiano” come lui stesso ricorda nel libro Il rinnovamento del Pci (Editori Riuniti, 1978). Per la successione di Longo - anche lui colpito da ictus come Stalin, Togliatti e Berlinguer, quasi un'epidemia tra i segretari dei Partiti comunisti - Amendola propone Napolitano. Ma Longo, il partigiano, lo blocca utilizzando il suo indiscutibile prestigio e facendo passare la candidatura di Berlinguer, eletto il 16 marzo 1972. Nel primo confronto televisivo dopo l'elezione, nella Tribuna elettorale del 21 aprile 1972, Berlinguer espone il suo programma politico e ha un forte contrasto con il giornalista dell'organo del Psdi, l'Umanità, dal quale emerge la chiara volontà che per sconfiggere tutti i tentativi reazionari di far saltare la Costituzione e la democrazia del Paese, che si stavano tentando con episodi stragisti e golpisti, il Partito avrebbe risposto “a tutti i livelli”. È evidente che la risposta a “tutti i livelli” comprendeva anche quello militare: non si può certo accusare Berlinguer di “irresolutezza, inettitudine e attendismo” i tre aggettivi che usano i dirigenti sovietici Andrej Zhdanov e Georgi Malenkov per definire Togliatti nei telegrammi del 23 e 24 settembre 1947, a seguito dell'espulsione del Pci dal governo De Gasperi.

Nell'anno successivo alla sua elezione, pochi giorni dopo il golpe in Cile dell'11 settembre, durante il viaggio in (3 ottobre 1973) Berlinguer sopravvive miracolosamente a un incidente/attentato in cui perde la vita l'interprete e rimangono gravemente feriti altri due passeggeri. Nel controllo bipolare della guerra fredda il dirigente cileno e quello italiano disturbavano gli interessi dei due principali contendenti: Allende perché affermava l'autonomia dello Stato cileno e contrastava il prestigio e la forza degli Stati Uniti, proprio nel loro “cortile di casa”. Berlinguer, perché con la sua politica metteva in discussione il ruolo guida del Pcus e allo stesso tempo costruiva un'ipotesi alternativa di aggregazione europea che ridisegnava la prospettiva socialista comprendendo tutti i Paesi dell'Est, che avrebbero dovuto insieme ai comunisti dell'Ovest, superare la politica dei blocchi. È evidente che se i due dirigenti avessero potuto portare a termine il loro progetto, per il Sudamerica e per l'Europa sarebbe stato un balzo in avanti verso il socialismo. Ma i ruoli politici degli Stati Uniti e della Russia revisionista si sono dimostrati convergenti nel farli fallire. Al suo ritorno in Italia, Berlinguer avrebbe dovuto rapidamente allontanare l'ala migliorista di Napolitano e quella cossuttiana, le due componenti più pericolose che aveva al suo interno, perché convergenti tra di loro e con gli interessi atlantici e russi: non a caso Napolitano è da lungo tempo molto stimato dal golpista Henry Kissinger e Cossutta, ora legato al Pd, alla morte di Berlinguer propose Napolitano come segretario del Pci. Nonostante l'attentato subito e le inquietanti presenze di Napolitano e Cossutta, Berlinguer non si fa intimorire e ribadisce nelle Riflessioni sull’Italia dopo i fatti del Cile (Rinascita 12 ottobre 1973) che il PCI “saprebbe combattere e vincere su qualunque terreno” contro le forze reazionarie e imperialiste: «L’obiettivo di una forza rivoluzionaria, che è quello di trasformare concretamente i dati di una determinata realtà storica e sociale, non è raggiungibile fondandosi sul puro volontarismo e sulle spinte spontanee di classe dei settori più combattivi delle masse lavoratrici, ma muovendo sempre dalla visione del possibile, unendo la combattività e la risolutezza alla prudenza e alla capacità di manovra. Il punto di partenza della strategia e della tattica del movimento rivoluzionario è la esatta individuazione dello stato dei rapporti di forza esistenti in ogni momento e, più in generale, la comprensione del quadro complessivo della situazione internazionale e interna in tutti i suoi aspetti, non isolando mai unilateralmente questo o quello elemento. La via democratica al socialismo è una trasformazione progressiva – che in Italia si può realizzare nell’ambito della Costituzione antifascista - dell’intera struttura economica e sociale, dei valori e delle idee guida della nazione, del sistema di potere e del blocco di forze sociali in cui esso si esprime. Quello che è certo è che la generale trasformazione per via democratica che noi vogliamo compiere in Italia, ha bisogno, in tutte le sue fasi, e della forza e del consenso. La forza si deve esprimere nella incessante vigilanza, nella combattività delle masse lavoratrici, nella determinazione a rintuzzare tempestivamente – ci si trovi al governo o all’opposizione – le manovre, i tentativi e gli attacchi alle libertà, ai diritti democratici e alla legalità costituzionale. Consapevoli di questa necessità imprescindibile, noi abbiamo messo sempre in guardia le masse lavoratrici e popolari, e continueremo a farlo, contro ogni forma di illusione o di ingenuità, contro ogni sottovalutazione di propositi aggressivi delle forze di destra. In pari tempo, noi mettiamo in guardia da ogni illusione gli avversari della democrazia. Come ha ribadito il compagno Longo al XIII Congresso, chiunque coltivasse propositi di avventura sappia che il nostro partito saprebbe combattere e vincere su qualunque terreno, chiamando all’unità e alla lotta tutte le forze popolari e democratiche, come abbiamo saputo fare nei momenti più ardui e difficili». Ma per vincere l'avversario di classe su qualunque terreno serve un partito fortemente coeso, che ha una forte egemonia nei settori dello Stato preposti alla repressione (una presenza che il Pci stava faticosamente ricostruendo in quegli anni) e un quadro internazionale diverso, con una Russia non diretta da revisionisti. Berlinguer non usando tutto il suo prestigio per condurre la battaglia contro i revisionisti Napolitano e Cossutta pagherà le conseguenze di quella scelta con il progressivo isolamento all'interno dei vertici del Pci e con il sabotaggio delle sue direttive nelle strutture del Partito e della Cgil, un binomio che creerà le condizioni per la sua eliminazione fisica, non essendo possibile distruggere la sua immagine tra le masse popolari. Ancora oggi la figura di Berlinguer è amata e stimata per i valori di integrità e coerenza che ha rappresentato. Penso che la morte di non sia un fatto accidentale, ma si inquadri nella strategia della tensione fatta di omicidi selettivi, una pratica che la borghesia ha sempre utilizzato, sia in modo evidente con gli attentati, che in modo più strisciante con l'utilizzo dei suoi apparati dediti al killeraggio. Che Berlinguer fosse nel mirino del capitalismo, si evince anche dalla sua dichiarazione fatta il 9 ottobre 1980 alla Commissione parlamentare d'inchiesta sul rapimento e l'assassinio di , riportata nel libro Chi ha ucciso Pio La Torre? (pagg. 183, 184): «Il 24 marzo [otto giorni dopo il rapimento di Moro, nda] fui invitato dalla signora Moro a un colloquio: il 24 marzo alle ore 19. Lo ricordo non perché attribuisca particolare rilevanza a questo colloquio, ma perché si svolse il 24 marzo, prima ancora che apparisse il primo comunicato delle Brigate rosse, prima ancora che venissero rese note le prime lettere di Aldo Moro. Fui pregato dalla signora Moro di recarmi a casa sua, la trovai assieme ad alcuni dei suoi figli e mi disse praticamente solo due cose: la prima era che mi aveva chiamato perché riteneva che corresse pericolo la mia persona e quindi voleva invitarmi a stare attento, a stare vigile; la seconda era che riteneva che l'operazione contro il suo consorte fosse stata ordita “in alto”». Altra documentazione sulla morte sospetta di Berlinguer è contenuta nel mio saggio Riflessioni sulla morte dei tre segretari del Pci e la situazione attuale, pubblicato su iskra.myblob.it il 15/09/2010.

Come notato per l'attentato a Lenin, devono intercorrere grandi accordi tra potenze mondiali e i loro apparati militari e di intelligence, per poter organizzare omicidi selettivi di questa portata. Nel 1973 la Russia del dopo Krusciov continua l'applicazione della dottrina brezneviana della “sovranità limitata”, che confinava la libertà dei singoli Paesi del blocco dell'Est agli interessi di un generico socialismo, che di fatto erano gli interessi dell'Urss, ormai revisionista. La politica di sovranità limitata consente ai revisionisti di invadere i Paesi fratelli, come già nel 1968 la Cecoslovacchia, e di imporvi la loro politica, una prassi mai applicata dal Partito comunista russo fintanto che il compagno Stalin ne è stato alla guida. È famosa l'accesa diatriba con Tito e i compagni jugoslavi, mai sfociata, però, nell'invasione di quel Paese. La sovranità limitata concettualmente è speculare alle teorie di Trotsky dell'esportazione della rivoluzione in altri paesi tramite l'Armata rossa. Questo stabilisce un collegamento tra il revisionismo russo e le teorie politiche di Trotsky. Dottrine che trovano la loro rispondenza dall'altra parte dell'Oceano nel concetto di “esportazione della democrazia”, connaturato con la nazione statunitense fin dai suoi esordi, ma che trova la sua massima applicazione nelle politiche estere neocon di George W. Bush. Sono neoconservatori e di provenienza trotschista la maggior parte dei consiglieri di Bush, come: Paul Wolfowitz, Daniel Pipes, Christopher Hitchens, Stephen Schwartz, Kanan Makiya (consulente di Dick Cheney per l'Iraq) Irving Kristol. Questa comunanza di intenti tra trotschisti e neocon è dovuta al fatto che hanno un obiettivo comune: costruire nei vari Paesi forme di democrazia liberale con un sistema elettorale di tipo maggioritario, cosa che è stata introdotta sia nell'ex blocco sovietico, che in Nord Africa e in tutto il resto del mondo dove i capitalisti stanno espandendo il loro modello politico e sociale. Basta vedere cosa dicono oggi i partiti di matrice trotschista a proposito del legittimo governo della Siria e del suo presidente. Alla luce di quanto detto possiamo affermare che Berlinguer si trovasse negli anni della sua segreteria in un contesto molto difficile: stretto a tenaglia tra gli attacchi dei capitalisti occidentali, ma anche dei revisionisti dell'Est. Le stesse pressioni erano presenti all'interno del Pci, che aveva uomini collegati a queste superpotenze: i miglioristi erano in contatto con i laburisti inglesi, con i democratici americani e con i più liberali dei revisionisti russi; mentre i cossuttiani avevano contatti con la componente russa più conservatrice del gruppo dei revisionisti, con gli inglesi, grazie ai rapporti con la Banca Commerciale Italiana, dove Dario Cossutta (dottorato in Economia a Cambridge) è stato dal 1980 al 1999 capo economista industriale, responsabile del settore Merger & Acquisition e mercato primario, responsabile divisione banca d'affari. Oltre alla tecnica dell'infiltrazione, sono ampiamente utilizzati dai governi e dalle intelligence occidentali piani per allontanare i giovani migliori dal Pci attraendoli con le “false bandiere” dei movimenti estremistici, ma anche con le droghe (Operazione Chaos). Il confinamento all'esterno del Pci della generazione del '68/'69 ha impedito che entrassero nelle strutture giovanili del Partito comunista uomini e donne mossi da una forte motivazione ideale e di cambiamento e al contempo ha permesso un ulteriore avanzamento di piccoli-medi borghesi e arrivisti, che vanno a formare assieme a Veltroni, Occhetto, D'Alema, Fassino, Ferrara, Livia Turco, Antonio Bassolino, quella genia di corrotti anticomunisti senza dignità che hanno svenduto il Pci.

I documenti degli archivi britannici desecretati nel 2008 contengono la dichiarazione su Berlinguer fatta dal segretario di Stato Usa, Henry Kissinger al nuovo ministro degli Esteri di Sua Maestà, Anthony Crosland, nell'aprile del 1976: «La questione dell'obbedienza del Pci a Mosca è secondaria. Per la coesione dell'occidente i comunisti come Berlinguer sono più pericolosi del portoghese Cunhal». Subito dopo il Foreign Office elabora un dossier, con cinque opzioni, che ha il compito di stabilire la strategia operativa anticomunista, graduandone le mosse a seconda dei vari scenari. La prima parte è dedicata a come impedire che il Pci vada al governo, la quarta prevede l'intervento sovversivo e militare contro il Pci. La quinta ipotizza l'espulsione dell'Italia dalla Nato. È in questo scenario che Berlinguer rilascia a Giampaolo Pansa l'intervista pubblicata sul il 15 giugno 1976, in cui fa una dichiarazione sulla Nato che, per essere compresa fino in fondo, va letta integralmente con le specifiche che il segretario ribadisce più volte, anche nell'intervista a Mixer di Giovanni Minoli (11 giugno 1983): «(Minoli) Senta, nel '76, a Giampaolo Pansa, il giornalista che la intervistava, lei disse di sentirsi più sicuro sotto l'ombrello della Nato. Lo pensa ancora? (Berlinguer) Sì, ma nel senso che precisai allora. Che, se l'Italia facesse parte del Patto di Varsavia, e non della Nato, evidentemente non potremmo realizzare il socialismo così come lo pensiamo noi. Ciò non vuol dire che qui, sotto l'ombrello della Nato, nell'ambito del Patto Atlantico, ci si voglia far realizzare il socialismo». Dopo l'attentato subito in Bulgaria, Berlinguer aveva o no il diritto di riflettere su che cosa erano diventati i russi? Nei documenti inglesi che individuavano in Berlinguer e nelle persone a lui più vicine i loro nemici più pericolosi, oltre alle misure drastiche, si trova l'indicazione di quale elemento può fare da grimaldello per scardinare la politica del Pci: la corruzione, che è anche uno degli strumenti operativi del Piano di rinascita della P2 per impedire a politici e partiti di lavorare verso un'alleanza sociale e di governo con il Pci. La corruzione sarà una delle caratteristiche della corrente dei miglioristi, dalla sua nascita in poi, e di tutti coloro che hanno lavorato per spaccare il Pci.

Il contesto in cui nasce la proposta dell'eurocomunismo (1976) parte dall'analisi che i Paesi europei e occidentali in genere sono liberali, ma non democratici (Caro Berlinguer, pag. 240), perché hanno sancito nelle loro Costituzioni il primato della proprietà privata. Mentre l'Italia è su un crinale perché non è un Paese socialista, ma neanche del tutto capitalista. grazie alla lotta partigiana che ha introdotto nella sua Costituzione il primato del lavoro e del sociale rispetto alla proprietà privata. Per i comunisti come Berlinguer l'Italia poteva essere lo strumento per trasportare quei valori in Europa, come passaggio intermedio al socialismo, attraverso «...la lotta di classe, democratica e rinnovatrice, a livello europeo e a coscienza europea...» come riportato nel nostro documento congressuale. E per questo chiede l'appoggio dei russi, come si vedrà più avanti nel testo di Tatò sull'eurocomunismo. Il paragrafo di commento che viene subito dopo questa frase nel documento congressuale, è fuori contesto storico e, quindi, non è condivisibile: «Una rapida considerazione del pauroso peggioramento, sotto tutti gli aspetti,della condizione dei lavoratori e dello stesso ceto medio in conseguenza della dittatura dell’Unione Europea può certo darci la disastrosa portata degli errori teorici e delle deviazioni pratiche di questo segretario del PCI». Non possiamo sapere come sarebbe stata la storia dell'Europa e dell'Italia se Berlinguer fosse rimasto vivo, ma sappiamo come è andata dopo la sua morte.

Enrico Berlinguer e Antonio Tatò sono stati i principali estensori delle tesi del XV e XVI Congresso: leggendo i loro testi emerge che l'eurocomunismo era anche il portato dell'analisi che facevano del precipitare della crisi del sistema imperialistico e capitalistico mondiale, che si manifestava con la caduta delle attività produttive, con il disordine nel campo monetario, con la recessione del Pil in tutti i sette principali Paesi capitalistici, con la recessione in atto negli Stati Uniti, che erano intenzionati a risolvere i loro problemi anche attraverso una guerra termonucleare limitata in Europa. Di fronte a questa minaccia il Pci affronta con decisione la questione degli euromissili, con la lotta condotta in prima persona da Pio La Torre contro la loro installazione a Comiso. Questa battaglia, che evidenziava gli stretti legami tra le basi Usa e la mafia, assieme alla questione morale all'interno del Pci siciliano, controllato dai miglioristi, saranno tra le cause dell'assassinio del dirigente comunista siciliano. Allo stesso tempo cominciavano a manifestarsi con tutta evidenza i guasti che il revisionismo in Russia e nei Paesi dell'Est Europa stava provocando. La visione di Berlinguer su quei Paesi è idealistica, e lo porta a prenderne le difese non solo nella relazione che tiene al XIV Congresso, ma in moltissimi altri interventi, pensando che in loro resti la capacità di tenuta sulle conquiste sociali e politiche, quando in concreto il revisionismo aveva già fatto danni irreparabili. Danni che le componenti amendoliana e cossuttiana filo-russe all'interno del Pci occultavano. Un segnale che Berlinguer sta rivedendo il suo giudizio sui Paesi dell'Est, l'abbiamo durante il rapimento Moro ed è riportato nel libro di Paolo Mondani e Armando Sorrentino Chi ha ucciso Pio La Torre? (Castelvecchi Rx, 2012). Nella prefazione/intervista Andrea Camilleri ricorda così la visita di due importanti intellettuali al segretario del Pci: «È come quando Leonardo Sciascia e Guttuso vanno a trovare Berlinguer e lo vedono stravolto perché teme che il sequestro Moro sia il risultato di un felice connubio tra Cia e Kgb». L'eurocomunismo è un tentativo di risposta politica per contrastare i fenomeni degenerativi delle società dell'Est e dell'Ovest, ma è una risposta idealistica impossibile da realizzare a causa della gestione revisionista dell'Unione Sovietica, dei soggetti con i quali interloquisce (Partito comunista francese e Partito comunista spagnolo, uno più a destra dell'altro) e dell'avanzata revisionista all'interno del Pci, rappresentata dalle correnti di Napolitano e di Cossutta: la realizzazione dell'eurocomunismo avrebbe avuto bisogno che alla direzione dell'URSS ci fossero stati ancora comunisti come Lenin o come Stalin. L'ultima grande rivoluzione realizzata, infatti, è quella cinese, compiutasi nel 1949 quando Stalin era ancora saldamente al comando.

Possiamo criticare Berlinguer per il suo idealismo, che traspare in questi appunti preparati per lui tra il 16 e il 19 dicembre 1981 da Antonio Tatò, il suo più fidato collaboratore, per la Direzione del Pci sui fatti della Polonia, quando il generale Jaruzelski introduce la legge marziale per contrastare l'opposizione guidata dal sindacato Solidarnosc (la legge marziale è stata in vigore tra il 13 dicembre 1981 e il 22 luglio 1983). È in questa situazione che viene affermata la conclusione della spinta propulsiva della Rivoluzione d'Ottobre, non certo dal punto di vista ideale ma nei Paesi a direzione revisionista che quella spinta hanno tradito: «...l'eurocomunismo deve consistere in una strategia e in un movimento politico e sociale il più ampio possibile e il più unitario possibile: un movimento che, avendo compreso il significato liberante della Rivoluzione d'Ottobre e avendo compreso anche la verità e la decisività del problema che affrontò la socialdemocrazia, col quale essa si misurò ma che non risolse e soccombette al capitalismo [sic], riesce a divenire oggi la forza che, unica al mondo, osa realizzare il legame costante tra il mondo che è frutto della Rivoluzione d'Ottobre, il movimento operaio rimasto fuori dall'esperienza comunista (socialisti, socialdemocratici, cristiani) e tutte le forze rivoluzionarie, di liberazione, di progresso d'ogni parte del mondo. Di tutte le forze politiche sociali, cioè, che avendo compreso o venendo a comprendere la possibilità di uscire dal capitalismo per via democratica (il che vuol dire la inscindibilità del rapporto democrazia-socialismo), possono dar vita a un grande blocco storico, nei singoli paesi e su scala mondiale, che ha l'intelligenza e la possanza di poter liquidare le posizioni conservatrici di ogni tipo. Che un simile blocco storico debba esser promosso dal movimento operaio dell'Europa occidentale, come sostiene Berlinguer, è innegabile ed è indubbio perché: 1) il capitalismo europeo costituisce uno dei punti più alti del sistema e, al tempo stesso, oggi è in una crisi radicale di strumenti, di idee, di prospettive (di valori); 2) a differenza di quello americano e giapponese, il capitalismo europeo è stato “lavorato” al suo interno dalle lotte e dalle conquiste sindacali e da un movimento operaio che ha il suo nerbo rivoluzionario nei partiti comunisti – ossia nei partiti che sono nati con la Rivoluzione d'Ottobre, che ne sono i figli ormai adulti e che ne comprendono la portata storica e attuale criticamente; 3) l'Europa occidentale (come dimostra il recente atteggiamento degli USA secondo cui c'è la possibilità di una guerra termo-nucleare limitata al teatro europeo) rimane il piatto della bilancia che può spostare l'ago dell'equilibrio strategico a favore di un blocco o dell'altro; prospettiva per noi in entrambi i casi inaccettabile e da combattere perché la scelta sarebbe tra la pianificazione e il modello sovietico, se l'equilibrio si spostasse a favore del Patto di Varsavia, e l'involuzione reazionaria e un nuovo fascismo, se l'equilibrio si spostasse a favore del Patto Atlantico; 4) l'Europa occidentale è il luogo dove i blocchi devono venire gradualmente superati, è la realtà che avrebbe più carte per promuovere la distensione e il disarmo perché è la più immediatamente e direttamente minacciata e colpita da un'eventuale deflagrazione bellica: e distensione, disarmo parallelo e superamento dei blocchi sono la garanzia pregiudiziale e sine qua non, in campo internazionale, per poter evitare che il legame tra democrazia e socialismo si riduca a bella utopia. Un movimento operaio occidentale che si muove nella strategia e nella prospettiva dell'eurocomunismo per affermarsi e avanzare, dovrebbe a mio parere osservare oggi due condizioni fondamentali. La prima condizione è quella di adoperarsi con tutti i modi [sic] e i mezzi possibili perché i paesi del socialismo finora realizzato non si sfascino ma reggano fino a che nei paesi capitalistici il movimento operaio europeo occidentale realizzi trasformazioni che superino i meccanismi e le logiche del capitalismo nel mantenimento della democrazia. Se è essenziale all'affermazione dell'eurocomunismo e della terza via, cioè al procedere in avanti della terza fase, che non vengano spazzate via le conquiste e le posizioni raggiunte dal movimento operaio nella seconda fase; se è essenziale all'avanzata della nostra stessa prospettiva di un nuovo socialismo che i paesi del “socialismo reale” non crollino (e non si alteri quindi l'equilibrio strategico tra i due blocchi), ne consegue che una precisazione va fatta a proposito della condanna che noi abbiamo pronunciato contro alcuni di quei paesi. E cioè: a) l'aver noi condannato il modo coattivo e repressivo con cui si intendono bloccare i momenti di crisi (economica, sociale, politica) delle società dove un socialismo si è finora realizzato, sta a significare che noi abbiamo inteso ribadire agli occhi dei popoli e di tutto il mondo la nostra convinzione che la via a una adeguata e piena realizzazione del socialismo passa obbligatoriamente per il rispetto e il mantenimento delle regole e dei valori della democrazia; b) le nostre condanne non mirano – anche se è stato ed è difficile evitare questo errore – a esercitare una interferenza, a operare un intervento (sia pure a parole) per appoggiare questa o quella parte o gruppo o istituzione di quei paesi, che la crisi è venuta divaricando e contrapponendo; c) le nostre condanne non significano che riteniamo impossibili ulteriori passi avanti del socialismo fuori dalla sua affermazione nei punti più alti del capitalismo e quindi fuori del quadro democratico. L'Unione Sovietica e gli altri paesi socialisti, abbandonando i sospetti, le volontà di condanna e i tentativi di creare difficoltà al partito comunista italiano, comprendano invece e appoggino l'eurocomunismo come lo sbocco storico normale verso cui oggi va il processo della costruzione del socialismo, il cammino del movimento operaio rivoluzionario; d) le nostre condanne non stanno a significare che noi abbiamo la pretesa che la inscindibilità del rapporto tra democrazia e socialismo cominci ad affermarsi da oggi nell'Unione Sovietica e negli altri paesi dell'Est europeo e asiatico. Sappiamo fin troppo bene che tali paesi – fino a quando “i punti più alti” rimangono fortilizi, sia pure assediati, del capitalismo – possono garantire la propria esistenza e le loro conquiste unicamente attraverso una protezione autoritaria. La seconda condizione è quella di puntare tutte le energie e compiere tutti gli sforzi perché l'eurocomunismo, da un lato, sappia mobilitare, fuori di ogni spirito settario, non solo la classe operaia e le masse lavoratrici ma tutte le forze democratiche conseguenti (come si diceva una volta), conseguenti nel senso che sono decise, disponibili e pronte a combattere ogni involuzione di tipo fascista; e dall'altro lato sappia liquidando e battendo in anticipo ogni opportunismo – individuare e denunciare, isolare e sconfiggere sia quelle forze che, insinuandosi nell'ampio blocco storico di progresso che perseguiamo, vi manovrano dall'interno per rendere contraddittorio e difficoltoso il suo processo di formazione e di affermazione, sia quelle forze che soprattutto nella congiuntura attuale, tendono, per accecamento anticomunista, a dare un'interpretazione disastrosa del rapporto democrazia-socialismo, quella che comporterebbe un ritorno all'indietro di oltre sessant'anni, ossia una ripresa da parte nostra delle pratiche della socialdemocrazia degli inizi del secolo e dei venti anni tra le due guerre, riportando così il movimento operaio a conoscere la medesima sconfitta del suo tentativo di superare il capitalismo che conobbe negli anni '10 in Europa.[...]». (da Caro Berlinguer. Note e appunti riservati di Antonio Tatò a Enrico Berlinguer 1969-1984, Einaudi 2003).

Il compromesso storico è sicuramente la proposta politica del Pci che ha fatto più discutere la società italiana: è stata attaccata ferocemente da Andreotti, lunga mano del Vaticano gestito da Paolo VI, dagli Stati Uniti di Nixon-Ford-Carter e Kissinger, terrorizzati che un comunista potesse venire a conoscenza dei segreti della Nato. Ma è stata fortemente criticata anche da quelle aree politiche estreme della destra e della sinistra che hanno aderito (chi in buona fede, chi a libro paga) alle posizioni delle agenzie dell'Anello e della Gladio. Tanto che si sono create le condizioni ottimali per isolare Moro, rapirlo e assassinarlo. Si comincia a parlare di quella che Berlinguer definì la “strategia del compromesso storico” nei tre articoli usciti su Rinascita nel 1973 come riflessioni a seguito del golpe degli Stati Uniti in Cile: il contesto, quindi, è quello dell'abbattimento violento di un governo legittimo, democraticamente eletto. Berlinguer contestualizza la sua analisi sull'Italia e sul suo ruolo nel quadro europeo, circondata dai regimi fascisti di Spagna, Portogallo e Grecia e occupata militarmente dalle basi Usa e Nato. In questo contesto non si può stare al governo nemmeno con il 51%, occorre oggettivamente molto di più sia sul piano politico che su quello militare. Sul piano politico bisogna frantumare il fronte avversario e in particolare la Democrazia cristiana; sul piano militare serve avere un'egemonia vera tra le forze armate. L'alleanza con Moro avrebbe avuto come conseguenza logica un'accelerazione della crisi della Dc e dei suoi alleati; Moro aveva una forte influenza negli apparati militari - tanto che la corrente morotea ha contribuito a sventare i tentativi di golpe in Italia - e molti suoi uomini erano all'interno delle Partecipazioni statali che potevano essere determinanti in caso di isolamento economico dell'Italia. L'obiettivo di Berlinguer era quello di legittimare il Pci come partito di governo, optando per una soluzione come quella della Grosse Koalition realizzata in Germania tra la Cdu-Csu e la Spd, tra il 1966 e il 1969. Con la Dc sarebbe stata un'alleanza temporanea, con l'obiettivo di riportare i comunisti al governo dopo l'estromissione del 1947.

Questo progetto verrà stravolto, perché il giorno stesso in cui il governo monocolore Dc (Andreotti IV) doveva ricevere la fiducia con l'appoggio esterno del Pci, viene rapito dalle Brigate rosse l'onorevole Moro. Il Pci resta fuori, come negli intenti degli Usa e del Vaticano, e rompe nel gennaio del 1979 sulle questioni economiche e del lavoro (Andreotti voleva imporre il taglio della scala mobile). Berlinguer su questo fu esplicito: «Forse qualcuno ha scambiato il nostro senso di responsabilità per arrendevolezza». Ciò nonostante in quei 22 mesi il Pci riesce a far passare l'istituzione del servizio sanitario nazionale. Con il rapimento e la morte di Moro il Pci non doveva solo mobilitarsi contro il fenomeno del terrorismo e dell'eversione, ma doveva chiamare in causa i mandanti, parlando chiaramente che era stato realizzato un colpo di Stato, perché era finita la fase nata con la Costituente. Occorreva una lotta durissima contro la borghesia piduista e i suoi uomini nello Stato e contro l'imperialismo a casa nostra. E anche una lotta all'interno del Partito contro le solite due anime borghesi. Questo mio contributo vorrei servisse per far capire che gli errori dei tre segretari del Pci sono contraddizioni in seno al popolo e non contraddizioni antagoniste come lo sono invece le posizioni di Napolitano e di Cossutta.

I comunisti hanno il dovere di continuare il lavoro di quei compagni, che lottavano sicuramente per il Comunismo, facendo tesoro degli errori da loro commessi. Errori determinati da una relativa chiarezza su come funziona e si dispiega nella società, nei partiti, nelle istituzioni dello Stato, la dittatura della borghesia e quale sia il suo braccio operativo: la massoneria. E qui occorre in tempi brevissimi dilatare il lavoro fatto da Marx, Lenin e Gramsci su questo tema. Chiudo qui anche se ci sarebbe molto altro da dire, aggiungendo soltanto che ragionando sul documento congressuale mi ha assillato costantemente una domanda: “A chi vogliamo parlare?”. Siamo più vicini idealmente a quel 34% che votava comunista o a quelle frange inconcludenti se non eterodirette che vanno dal Il Manifesto, Lotta Continua, Potere Operaio, il Pdup, la Quarta internazionale, Avanguardia Operaia, Democrazia Proletaria, Rifondazione comunista, Pcl o Pdci? Nonostante i limiti comunque ce la faremo! Per il Comunismo Andrea Montella