Le Trattative

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Le Trattative LE TRATTATIVE Brusca ha riferito di varie ipotesi di trattative che Salvatore Riina aveva intrapreso con degli interlocutori istituzionali, che si erano “fatti sotto” dopo la strage di Capaci. In particolare il dichiarante aveva appreso di questo contatto dallo stesso Riina una settimana, quindici giorni prima della strage di Via D’Amelio. Riina aveva predisposto un “papello” con cui aveva richiesto la revisione del maxiprocesso al fine di far annullare gli ergastoli e demolire il “teorema Buscetta”, estendere i benefici della legge Gozzini ai condannati per mafia, abrogare l’ergastolo, ottenere gli arresti ospedalieri per i condannati, riaprire il processo nei confronti dei fratelli Marchese per l’omicidio di Vincenzo Puccio. Nel corso del processo di Firenze relativo alle stragi sul continente, il cap. De Donno aveva confermato che il contatto avuto tramite Vito Ciancimino risaliva a prima della strage di Via D’Amelio. Pur non conoscendo chi fossero stati gli interlocutori del Riina, aveva dedotto che si trattava di Antonino Cinà, persona di fiducia di Riina, Vito Ciancimino ed altro soggetti. A distanza di tre, quattro mesi aveva appreso da Salvatore Biondino che era necessario “un altro colpetto” in quanto si erano interrotte le trattative. Pertanto si era attivato per perpetrare un attentato in danno del dr Pietro Grasso (pag. 91-92, ud. del 1° luglio 1999) . Brusca ha precisato che il gen. Mori aveva già individuato il luogo ove abitava Riina seguendo Domenico Ganci, e, grazie al Di Maggio, aveva avuto conferma della giustezza dell’intuizione investigativa, per cui, secondo la sua opinione, aveva interrotto le trattative intraprese per il tramite di Ciancimino. Pertanto, Riina aveva richiesto che si desse un altro “colpetto” per indurli a riprendere il dialogo interrotto. Brusca ha anche narrato delle trattative instaurata, a partire dal febbraio, marzo 1992, con tale Bellini che non era stato in grado di soddisfare le richieste del Riina a favore di Bernardo Brusca, Giuseppe Giacomo Gambino, Giovan Battista Pullarà, Luciano Liggio e Pippo Calò. Difatti, le uniche richieste accettabili da parte degli interlocutori del Bellini riguardavano gli arresti ospedalieri per Brusca e Gambino. Pertanto, le trattative che prevedevano il recupero di opere d’arte venivano interrotte, anche perché era in corso la trattativa del c.d. “papello” (pagg. 105, 107 e segg., ud. del 2 luglio 1999) Ha altresì precisato il dichiarante che entrambe le trattative erano gestite dal gen. Mori, per come era emerso nel corso del processo celebratosi a Firenze. Bellini inoltre aveva suggerito loro una serie di azioni criminali volte a piegare lo Stato: furti di opere d’arte, avvelenare degli alimenti di grande distribuzione, far crollare la Torre di Pisa etc… * L’ATTENTATO AL GIUDICE GRASSO Nel corso delle predette trattative si era inserito il progetto di attentato al dr Pietro Grasso da effettuarsi mediante l’impiego di esplosivo a Monreale, nei pressi dell’abitazione dei suoceri del magistrato. Tuttavia, difficoltà logistiche, dovute alla presenza nei pressi del luogo prescelto per l’azione di una banca il cui sistema di allarme avrebbe potuto subire delle interferenze sul radiocomando, lo aveva indotto a sospendere l’esecuzione del progetto, che non veniva però abbandonato (pagg. 91-93, ud. del 1° luglio 1999). Per tale azione si era procurato il telecomando tramite Eugenio Galea e Enzo Aiello, mentre l’esplosivo, che era stato fornito da Biondino poteva essere integrato con quello di cui disponeva, poi rinvenuto nel deposito clandestino di contrada Giambascio di San Giuseppe Jato. Brusca ha specificato che l’esplosivo procurato da Biondino era del tipo farina, molto fine, ed appariva polveroso come se fosse stato macinato, asciutto, di colore giallino; che una parte dello stesso era stata rinvenuta nel deposito clandestino di contrada Giambascio; che l’esplosivo, prelevato da Gioacchino La Barbera e da Antonino Gioé presso il Biondino, era contenuto all’interno di sacchetti di iuta; che aveva appreso da Rampulla, Biondino e Riina, il Brusca che l’esplosivo proveniva dai pescatori, che erano soliti utilizzarlo per la pesca di frodo (pagg. 102- 104, ud. del 1° luglio 1999). Lo stesso tipo di esplosivo era stato impiegato nella prova su scala ridotta che era stata effettuata, a detta del Brusca, in contrada Rebottone, in vista dell’attentato di Capaci. Quanto all’altro tipo di esplosivo che all’occorrenza aveva pensato di utilizzare come quota integrativa, Brusca ha dichiarato che proveniva dalla cava INCO, di Modesto; che era granuloso, di colore bianco, costituito da palline non perfettamente rotonde, simile al concime chimico che si utilizza per il vigneto, “l’urea”; che pizzicava il naso come l’aceto quando vi si respirava vicino (pag. 107, ud. del 1° luglio 1999). L’esplosivo era dello stesso tipo di quello travasato in contrada Rebottone, poi impiegato nell’attentato di Capaci, e presentava un minimo di untuosità, cioè era lievemente oleoso, come aveva modo di apprezzare durante il suddetto travaso. Anche la parte residua di questo esplosivo era stata rinvenuta nel deposito di contrada Giambascio. La fornitura del telecomando era avvenuta dopo la strage di Capaci. Biondino, consapevole che per tale ultimo delitto era stato impiegato un semplice telecomando per aeromodellismo, gli aveva consegnato un depliant di vari tipi di radiocomandi, tra i quali diversi apricancelli con l’indicazione della marca e qualità. Dal particolare che il Biondino gli aveva suggerito l’acquisto di un radiocomando specifico, tra quelli riportati nel depliant, aveva dedotto che lo stesso doveva essere già in possesso di quel tipo di telecomandi (pag. 96, ud. del 1° luglio 1999). Brusca aveva chiesto ai catanesi di procurargli più esemplari di quel particolare congegno, ma gliene avevano consegnato un solo esemplare, che Gioacchino La Barbera si era recato a ritirare, forse in compagnia di Gioé. Durante il tragitto La Barbera era stato controllato ad un posto di blocco, senza che gli appartenenti alle forze dell’ordine si rendessero conto della presenza del pacco ove era custodito il radiocomando. Una volta giunto a Palermo, il La Barbera lo aveva dato al Biondino che aveva provveduto a farlo modificare, per cui fuoriuscivano dei fili che potevano essere collegati ad una batteria (ad esempio di auto) per alimentare il congegno. Anche questo telecomando era stato rinvenuto in contrada Giambascio. * GLI ALTRI ATTENTATI Brusca ha collocato all’interno della strategia criminale di aggressione allo Stato anche gli attentati nei confronti di sedi locali della Democrazia Cristiana e di rappresentanti locali di quel partito. In particolare, Brusca (pagg. 71 e segg., ud. 1° luglio 1999) ha dichiarato che, intorno ai mesi di marzo-aprile 1992, venivano posti in essere una serie di attentati in pregiudizio della Democrazia Cristiana e, in particolare, a quella di Monreale, di Misilmeri, di Isola delle Femmine (ai danni della casa rurale di proprietà di Salvatore Giambona) e di Messina, con l’obiettivo di “creare confusione” e di “attirare l’attenzione sulla Democrazia Cristiana, sui politici”. Ha aggiunto che di tali episodi criminosi non se n’era fatta menzione durante la riunione di metà febbraio del 1992. Tuttavia, ne era stato informato da Salvatore Biondino, il quale gli chiedeva se vi era la possibilità di fare quel tipo di attentati, facendogli presente che Salvatore Riina ne era a conoscenza. Tra detta richiesta del Biondino e l’esecuzione degli attentati erano trascorsi pochi giorni. Più precisamente dichiarava che per l’attentato consumato in Monreale, Brusca aveva incaricato Giuseppe Balsamo, reggente dell’omonima famiglia; che lui stesso ed il Gioé avevano consegnato al Balsano l’ordigno già confezionato e pronto per l’uso: “con il detonatore, con la miccia pronto per smicciarlo e dargli fuoco”; che per l’attentato di Messina, aveva incaricato Pietro Rampulla che direttamente o per il tramite di altri aveva collocato una sorta di molotov Il riesame di Brusca 2 innanzi ad un portone di una sezione della D. C. (pag. 74, ud. del 1° luglio 1999). * L’ARRESTO DI RIINA Il giorno in cui venne tratto in arresto Salvatore Riina, era stata programmata una riunione di Commissione, alla quale dovevano partecipare diversi capimandamento, tra cui Raffaele Ganci, Cancemi, Giuseppe Graviano, Salvatore Biondino e, forse degli altri, nel corso della quale si doveva fare il punto sulla strategia stragista e mettere tutti a conoscenza dei contatti avviati nel frattempo e della loro evoluzione. Brusca aveva avuto modo di apprendere l’oggetto della riunione da Leoluca Bagarella, mentre si trovava nell’abitazione di Michele Traina, ove si erano trattenuti per la parte della giornata successiva all’arresto del Riina e per il dì seguente. Nella medesima circostanza veniva affrontata anche la questione inerente al rientro della moglie di Salvatore Riina. Al proposito, si adoperava contattando i costruttori Sansone, tramite Giovanni Sansone, genero di Cancemi, affinché verificassero se vi fosse movimento di appartenenti alle Forze dell’Ordine. Poiché la perquisizione della casa del Riina non era stata eseguita, si erano chiesti se i Carabinieri non erano a conoscenza di dove si trovasse l’abitazione del Riina. Decidevano, quindi, di fare uscire la di lui moglie ed i figli per consentire loro di andare a Corleone (pagg. 86-91, ud. 1° luglio 1999). Angelo La Barbera gli aveva riferito che avevano svuotato la casa togliendo ogni cosa. Ha aggiunto che Riina era solito conservare documenti e contabilità, che avrebbero potuto essere rinvenuti se la perquisizione fosse stata effettuata immediatamente. Dopo l’arresto del Riina, il coordinamento che il medesimo assicurava contattando per gruppetti i vari capimandamento, si era sfaldato. Bagarella, Giuseppe Graviano e lo stesso Brusca erano orientati a continuare la strategia stragista nei confronti di altri magistrati o politici. Si era poi svolto un incontro nella casa di Girolamo Guddo, “quello uomo d’onore”, al quale avevano partecipato Raffaele Ganci, Michelangelo La Barbera, Salvatore Cancemi e Giuseppe Graviano.
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