Quando La Domenica Andavamo Al Campo La Foto Della Copertina È Di David Pinza Alfredo Liberi
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Alfredo Liberi Quando la domenica andavamo al campo www.peve.it1 La foto della copertina è di David Pinza Alfredo Liberi Quando la domenica andavamo al campo INTRODUZIONE Tutti i tifosi dello Spezia sanno perfettamente che la loro squadra del cuore ha avuto un nobile passato. Mai stata in serie A, questo è vero, ma tutti sanno che c’era un tempo in cui lo Spezia riusciva a mantenersi abbastanza agevolmente in serie B, disputandovi anche alcuni eccellenti campionati. Il principale scopo che mi ripromettevo inizialmente di raggiungere con questo mio lavoro, era di ripercorrere uno ad uno quegli anni per farne in qualche modo rivivere la memoria e per tentare di chiarire (in primo luogo a me stesso) quali fossero stati i presupposti che consentirono agli aquilotti la lunga permanenza tra i cadetti dal 1929 sino all’infausto 1951, l’anno, diciamo così, del “declassamento”. In seguito, vuoi perchè essendo ormai un pensionato avevo molto, troppo tempo libero a disposizione, vuoi perchè strada facendo ci avevo preso gusto a scrivere, mi sono “allargato” sino al 1979. Vi chiederete sicuramente perchè mi sono fermato al 1979. Non è un anno particolarmente significativo nella storia della società: è caratterizzato da uno spiacevole ruzzolone in C2 e dalla fine della lunga gestione societaria dei fratelli Mordenti, ma a parte questo non rappresenta certamente una data epocale nell’arco della storia della società. I motivi sono essenzialmente due. Innanzi tutto è proprio dal 1979 che mi sono trasferito a Livorno, dove risiedo tuttora. Certo, Livorno non è lontanissima ed infatti ciò non mi ha mai impedito di frequentare assiduamente il Picco in tutti questi anni. Però, in un’epoca in cui internet non esisteva ancora, il vivere in un’altra città mi impediva di rimanere quasi quotidianamente aggiornato sulle situazioni societarie e quindi, in definitiva, di “vivere” giorno per giorno l’atmosfera che circondava la squadra. Dovevo per lo più basarmi sulle scarne e saltuarie notizie che apparivano sui giornali sportivi nazionali che però non potevano sopperire alla carenza di informazioni dirette e a poco serviva arrivare allo stadio venti minuti prima del calcio d’inizio della partita. In secondo luogo, quel che mi premeva maggiormente era “raccontare” (proprio come avrei fatto ad un mio nipotino) la storia più antica della società, oggi meno nota e dimenticata. Gli ultimi 30 anni, quelli che ho tralasciato, essendo molto più vicini nel tempo, sono quelli generalmente più conosciuti dai tifosi attuali, anche nei più nascosti dettagli, ed era quindi perfettamente inutile dal mio punto di vista riepilogarli.Non essendo un giornalista e non avendo a mia disposizione gli archivi di un giornale da cui pescare notizie e informazioni, mi son dovuto rifare, specialmente per i campionati più antichi, a quanto già messo per iscritto in passato, con particolare riferimento ai seguenti testi, integrandoli per quanto mi è stato possibile con ricordi personali miei e di amici o parenti più anziani di me: 5 - “La lunga linea bianca” di A. Bellucco e P. Locori. Ed. Fabbiani 1962 - “Uno, cento, mille cuori, una passione” di F. Andreoni. Ed. Fabbiani 1981 Per i dati statistici (risultati, formazioni, classifiche) mi sono rifatto totalmente all’almanacco: - “Le Aquile volano in B” di C. Fontanelli, B. Galante e F. Andreoni. Ed Geo 2006 Desidero inoltre ringraziare l’amico Paolo Peveri che ha curato la parte grafica ed editoriale. Tengo infine a precisare che le opinioni ed i giudizi espressi nel mio racconto sono interamente miei, e pertanto del tutto opinabili e criticabili, com’è giusto che sia trattandosi di calcio, che è materia opinabile, oserei dire, per definizione. Specialmente a partire dal dopoguerra, in coda ad ogni capitolo, mi sono spesso dilungato anche sulle vicende del calcio nazionale di quegli anni, sia della serie A che della nazionale. Spero di non aver esagerato in questo senso e di non aver annoiato il lettore, che può tuttavia tranquillamente saltare queste parti senza che venga modificato il senso generale del racconto. Per questi argomenti mi sono ispirato essenzialmente alle seguenti due opere: - “Storia del calcio in Italia” di A. Ghirelli. Ed Einaudi 1990 - “Storia sociale del calcio in Italia” di A. Papa e G. Panico. Ed. il Mulino 2002 Sono perfettamente conscio del fatto che il mio racconto è probabilmente zeppo di errori, inesattezze ed omissioni non volute delle quali mi scuso in anticipo. Via via che me ne accorgevo ho sempre provveduto, nei limiti del possibile, a correggere il testo, ma chissà quanti errori mi sono sfuggiti. Di tutte le inesattezze ed omissioni che emergeranno chiedo fin d’ora perdono. Mi dispiace, ad esempio, di non aver ricordato nel testo la figura di Padre Dionisio, sempre presente negli anni ’50 e ’60 (ma anche nei primi anni ’70) all’ingresso della tribuna a riscuotere un piccolo obolo per il suo “Sorriso francescano”, accompagnato da due dei suoi orfanelli. Anche lui era un personaggio tipico del Picco di quegli anni. Faccio ammenda, ricordandolo ora. Infine una precisazione: ho intitolato il libro “Quando la domenica andavamo al campo” perchè, come del resto spiego nel testo, quando ero ragazzo (anni ’50) nessuno diceva mai (o per lo meno, non mi ricordo di averlo mai sentito dire) “Vado allo stadio” oppure: “Vado alla partita”. Si diceva semplicemente: “Vado al campo”, forse un retaggio linguistico di quando il Picco era semplicemente un “campo”, ossia uno spiazzo libero, laggiù in fondo a viale Garibaldi, lungo la strada sterrata che portava a Portovenere. Alfredo Liberi 6 Parte1 Le origini e gli anni della 1^ Divisione Storia dello Spezia Calcio tra il 1911 e il 1929 Cap. 1 Gli inizi Il calcio moderno nacque nel 1863 a Londra nella Taverna dei Framassoni, dove si erano dati convegno i rappresentanti di undici società per affrontare il problema dell’unificazione delle norme secondo cui si giocava a quel tempo a pallone (“dribbling game”). Alcuni sostenevano la necessità di consentire solo l’uso dei piedi nel trattamento della palla e di introdurre regole atte a ridurre la violenza del gioco. Altri invece ritenevano che la sostanza del gioco, praticato in Inghilterra ormai da secoli, dovesse rimanere invariata. Alla fine ci fu la “secessione”: le società fautrici della prima tesi si consociarono nella Football Association, mentre i “tradizionalisti”, capeggiati dall’Università di Rugby, diedero vita alla Rugby Union. Ciascuna delle due associazioni proseguì per la propria strada, dandosi regole di gioco differenti. Per quanto riguarda il calcio, fu nel 1886 che le quattro confederazioni britanniche (Inghilterra, Scozia, Galles e Irlanda) costituirono l’International Board, l’organismo cui ancora oggi è affidato il compito di conservare ed eventualmente modificare le regole di gioco. Il gioco del calcio iniziò poi a diffondersi abbastanza rapidamente sul continente, prima nei Paesi maggiormente a contatto con la Gran Bretagna e successivamente in Italia. Alla diffusione del gioco contribuirono sopratutto nuclei di sudditi di S.M. che, venendosi a trovare all’estero per motivi di lavoro, allo scopo di poter continuare a praticare il loro sport preferito, allestivano piccoli club nei quali venivano fatalmente coinvolti anche elementi locali che subito si appassionavano al nuovo gioco. Un potente impulso all’inizio di una qualche attività calcistica in Italia fu dato anche dalle frequenti visite nei porti italiani di navi militari inglesi i cui equipaggi, come da loro tradizione, appena messo piede a terra si mettevano alla ricerca di uno spiazzo sufficientemente ampio per praticarvi il loro sport preferito, passando i pomeriggi a disputare accaniti incontri tra nave e nave oppure, nel caso di navi più grandi, addiritura tra reparti della stessa nave (un classico: cannonieri contro macchinisti....). Gli indigeni assistevano dapprima attoniti, poi incuriositi e infine interessati ed entusiasti di questa novità. Comunque siano andate le cose, difficilmente il gioco del calcio avrebbe attecchito con tanta rapidità nell’Italia settentrionale se non vi fosse già esistita una capillare e territorialmente ben radicata rete di società sportive già attive fin dal 1830: le Società di Ginnastica e la loro Federazione. Nel loro ambito, oltre alla ginnastica, si praticavano anche molte altre discipline come la corsa, la scherma, il tiro a segno etc etc. Anzi, sopratutto il fatto che vi si praticassero scherma e tiro a segno, considerati dallo Stato propedeutiche al servizio militare, aveva fatto sì che le Società di Ginnastica fossero sostenute e 8 spesso sovvenzionate dal governo. E fu proprio nel loro ambito che, a partire probabilmente dalla fine degli anni ’80 dell’Ottocento il “seme” lanciato sia da residenti stranieri, sia dagli equipaggi delle navi militari (e mercantili) inglesi, alla fine riuscì ad attecchire, facendo sorgere le prime strutture calcistiche organizzate. Cito dalla “ Storia del calcio in Italia” di Antonio Ghirelli (ex direttore del Corriere dello Sport e di Tuttosport): “...Comunque per il discorso che ci interessa da vicino, fu proprio la Federazione Ginnastica ad organizzare per prima gare di football in Italia. Essa rappresentò in certo modo la corrente indigena e, se vogliamo, anche xenofoba del nostro calcio, ma ebbe l’indiscutibile merito di diffondere il gioco non solo in centri come Udine, Ferrara, Alessandria, Livorno, Spezia, Cuneo e Savona, ma anche a Genova (Andrea Doria) e Milano (Società Ginnastica Mediolanum)” A Spezia fin dal 1890 fioriva la Società di Ginnastica e Scherma Pro Italia, con sede in un fondo di via del Torretto. Sebbene non sia documentata una sua attività in campo calcistico prima del 1907, resta però il fatto che nel 1896 si svolse a Treviso, dal 6 all’8 settembre, come testimonia ancora la locandina ingiallita di quell’evento, un concorso interprovinciale di società di ginnastica, nel cui ambito era previsto anche un toneo di calcio (che aveva addiritura in palio l’assegnazione del “Titolo Nazionale di Football”).