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Massimo Miglio Committenti di

Credette Cimabue nella pintura re all’incapacità di riannodare i fili di un percorso com- tener lo campo, e ora ha Giotto il grido plesso come quello di Giotto, nella trama di un’enor- sì, che la fama di colui è scura. me fortuna, contemporanea e successiva3. Tante sono le committenze che Vasari ricorda; molte Tra il 1314 e il 1315 Dante Alighieri dichiara che la fa- quelle che la critica ha cancellato o che ha dovuto ac- ma di Giotto ha superato quella di Cimabue1. È lui che cantonare per perdite o mancanza di conferme testi- tiene il campo, è lui il pittore di grido, è lui che ha oscu- moniali. Committenze pubbliche e committenze pri- rato la fama di Cimabue. In altri termini: Giotto è in vate, di ordini religiosi, di pontefici, di re, di principi quegli anni l’assoluto protagonista del mercato, a lui della Chiesa e di signori laici, di ricchi mercanti e di si rivolgono i committenti, è voce diffusa che è il mi- qualche meno conosciuto personaggio; frequenti ci- gliore. Tener lo campo, fama e grido individuano la co- tazioni di autoritratti. Il tutto incastonato quasi dalle scienza di Dante e dei contemporanei dell’eccellenza sole date di nascita e di morte, e inserito in una serie di Giotto. A questi anni ha già lavorato ad Assisi, Pa- di spostamenti tra le città italiane segnati da pochissi- dova e Roma; ha già ideato le Storie francescane della mi riferimenti cronologici. Che seguo per quanto pos- basilica di Assisi, i mosaici della Navicella a Roma, gli sibile. affreschi della Cappella degli Scrovegni a Padova. Ritratti di Dante, di Brunetto Latini, di Corso Dona- Potrebbe essere un’ottima introduzione a una nota sui ti “nella cappella del palagio del podestà di Firenze”; committenti di Giotto, se il discorso non fosse incre- il polittico “dell’altar maggiore della Badia di Firen- dibilmente complicato proprio dalla fama di Giotto e ze”; le cappelle Bardi, Peruzzi, Giugni (perduta) e To- dalla mancanza in molti casi di testimonianze certe e singhi-Spinelli (in gran parte perduta) in Santa Cro- di documentazione sicura, dalla perdita di opere, dal- ce4. l’assenza della documentazione archivistica. Assenze Una tavola a tempera nella Cappella Baroncelli in San- che hanno portato a moltiplicare l’attribuzione di ope- ta Croce; e ancora in “Santa Croce un Crucifisso, una re, a smentire e riaffermare la loro autografia, o quel- Nostra Donna, un San Giovanni e la Madalena a piè la della sua bottega e dei suoi allievi; che hanno per- della croce”, e ancora una “Nunziata” e nel refettorio messo di mettere in dubbio anche l’attribuzione di ci- e nella sagrestia opere che la critica ha riconosciuto co- cli pittorici notissimi; che costringono a una cautela me non sue5. estrema. Nel palazzo di parte guelfa “una storia della fede cri- Testimonianza della fama di Giotto sono anche i Com- stiana in fresco”6. mentatori di Dante, con il loro accumulo di termini Lasciata Firenze per Assisi, con una sosta ad Arezzo esaltanti, di aneddoti giotteschi e, a volte, di attribu- (e in questo caso sono attribuite a Giotto opere d’altro zioni, ma in qualche caso anche con la testimonianza pittore), dove viene chiamato “da fra’ Giovanni di Mu- precisa dell’attività dell’artista2. ro della Marca allora Generale de’ frati di S. France- Lessico, facezie e attribuzioni che si accrescono con gli sco”, per dipingere gli affreschi della vita del santo, anni e trovano una loro definitiva sistemazione nella “che ne acquistò grandissima fama”7. Quindi la rea- Vita di Giotto di , la prima biografia com- lizzazione degli affreschi nella Basilica inferiore tutti pleta, dove tutto si moltiplica, lasciando il dubbio se attribuiti a Giotto. la nostra perdita di memoria sia solo legata alla distanza Ritornato a Firenze, realizza “in una tavola un S. Fran- dei secoli e alla scomparsa delle testimonianze oppu- cesco nell’orribile sasso della Vernia” (1366) destina-

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to a Pisa, e il ricordo della città permette al Vasari di Segue quindi il ricordo della Navicella, “la nave di mu- immaginare un viaggio di Giotto a Pisa per realizzare saico ch’è sopra le tre porte nel cortile di San Piero”, affreschi nel Camposanto (1366-1368), che avrebbe- e, dopo un giudizio entusiasta per il mosaico, il ricor- ro procurato a Giotto “in quella città e fuori tanta fa- do alla Minerva “in una tavola un Crucefisso grande ma” da spingere il pontefice Benedetto XI (nel testo […] che fu allora molto lodato”, e del ritorno a Firenze: in realtà è indicato erroneamente Benedetto IX) a man- “se ne tornò, essendone stato fuori sei anni, alla pa- dare in Toscana per avere notizie di Giotto e delle sue tria”12. opere8. Sarebbe stato questo pontefice a chiamare a Ro- Di seguito una serie frenetica di spostamenti: ad Avi- ma Giotto: gnone, dove sarebbe stato chiamato da Clemente V13: “fu forzato Giotto andarsene con quel papa là dove “Fecelo dunque il predetto Papa andare a Roma, condusse la corte, in Avignone [….] fece, non solo in dove onorando molto e riconoscendo la virtù di lui, Avignone, ma in molti altri luoghi di Francia, molte ta- gli fece nella tribuna di S. Pietro dipignere cinque vole e pitture a fresco bellissime, le quali piacquero in- storie della vita di Cristo, e nella sagrestia la tavo- finitamente al Pontefice e a tutta la corte. Laonde spe- la principale, che furono da lui con tanta diligen- dito che fu, lo licenziò amorevolmente e con molti do- za condotte, che non uscì mai a tempera dalle sue ni: onde se ne tornò a casa non meno che ricco che mani il più pulito; onde meritò che il Papa, tenen- onorato e famoso”14. Di nuovo a Firenze nel 1316. Poi dosi ben servito, facesse dargli per premio secen- a Padova chiamato dai “Signori della Scala”, a Vero- to ducati d’oro, oltre avergli fatto tanti favori, che na da messer Cane, a Ferrara a “dipignere in servigio ne fu detto per tutta Italia”9. di que’ Signori Estensi”15, a Ravenna per i “Signori da Polenta”, ad Arezzo, chiamato da Piero Saccone; nel Sappiamo che, in questo caso, la committenza non era 1322 a “a richiesta di Castruccio”, per tornare del pontefice [ed eventualmente il pontefice era il do- poi di nuovo a Firenze16. menicano Benedetto XI (22 ottobre 1303 - 7 luglio Ed è a Firenze che Carlo d’Angiò richiede, a nome del 1304)10, non Benedetto IX], ma del cardinale Stefa- padre Roberto, la sua presenza a Napoli: “Dopo, es- neschi. Le coordinate cronologiche sono però in Va- sendo Giotto ritornato in Firenze, Ruberto re di Na- sari molto labili, e in ogni caso prevale in lui la ten- poli scrisse a Carlo duca di Calabria suo primogenito, sione amplificativa che si esprime nell’ipotizzare il me- il quale si trovava in Firenze, che per ogni modo gli cenatismo di un pontefice forse più vicino a canoni ri- mandasse Giotto a Napoli, perciò che avendo finito di nascimentali che trecenteschi. fabbricare S. Chiara monasterio di donne e chiesa rea- Lo stesso pontefice, non nominato ma che nella sin- le, voleva che da lui fusse di nobile pittura adornata. tassi di Vasari dovrebbe essere ancora Benedetto XI, Giotto dunque sentendosi da un re tanto lodato e fa- apprezzò quanto realizzato tanto da commissionargli moso chiamare, andò più che volentieri a servirlo altro: […]”17. Ogni viaggio di Giotto, nella prosa di Vasari è occa- “Il papa avendo vedute queste opere, e piacendo- sione di soste lungo il percorso e di nuovi impegni e gli la maniera di Giotto infinitamente, ordinò (“il committenze. Così accade a Gaeta, di ritorno da Na- termine ha ascendenze antiche”) che facesse intorno poli, “dove gli fu forza nella Nunziata far di pittura al- intorno a San Piero istorie del Testamento Vecchio cune storie del Testamento Nuovo”, prima di rag- e Nuovo; onde cominciando fece Giotto a fresco giungere Rimini “non potendo ciò negare al signor Ma- l’Angelo, di sette braccia, che è sopra l’organo e latesta”18, che “non mancò di premiarlo magnificamente molte altre pitture, delle quali parte sono da altri e lodarlo”, dove realizza anche qualcosa pregato “da state restaurate a’ dì nostri, e parte nel rifondare le un priore fiorentino che allora era in San Cataldo mura nuove (“per la costruzione del nuovo San Pie- d’Arimini”, per poi andare di nuovo a Ravenna e tor- tro”) o state disfatte o trasportate dall’edifizio vec- nare infine a Firenze19, dove, tra altro, esegue in San- chio di San Piero fin sotto l’organo […]”11. ta Maria Novella un “San Lodovico a Paulo di Lotto Ardinghelli, et a’ piedi il ritratto di lui e della moglie,

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di naturale”20. vese a dipingere da un uomo di picciolo affare. Egli Nel 1327 Giotto avrebbe poi ideato, su indicazione dei facendosene scherne, lo dipinge. Per forma che colui fratelli Pietro e Delfo da Pietramala, il sepolcro del ve- rimane confuso”27. Vasari avrebbe potuto aggiungere, scovo di Arezzo Guido Tarlati: “degno della grandez- per testimoniare l’arguzia di Giotto e il suo amore per za di tanto uomo, stato signore spirituale e tempora- l’ironia, anche la novella LXXV28 e tante altre testi- le, e capo di Parte Ghibellina in Toscana. Per che, scrit- monianze, ma rimane che la novella delle insegne da to a Giotto che facesse il disegno d’una sepoltura ric- dipingere testimonia certo la grande fama raggiunta nel- chissima, e quanto più si potesse onorata, e mandato- la coscienza collettiva dal pittore, ma invita a riflette- gli le misure, lo pregarono appresso, che mettesse lo- re sulla possibilità che la richiesta di committenza po- ro per le mani uno scultore il più eccellente, secondo tesse provenire, almeno per un certo numero di anni il parer suo, di quanti ne erano in Italia, perché si ri- della sua attività, anche da persone di picciolo affare. mettevano di tutto al giudizio di lui. Giotto, che cor- Se abbastanza presto Giotto divenne l’artista richiesto tese era, fece il disegno e lo mandò loro; e secondo quel- da grandi e grandissimi mercanti e uomini d’affari, da lo, come suo luogo si dirà, fu fatta la detta sepoltura. grandi e grandissimi signori laici, da pontefici e da ric- E perché il detto Piero Saccone amava infinitamente chi e potenti cardinali, rimane qualche sparuta testi- la virtù di questo uomo […]”21. monianza ad avvertire che dovette anche esservi una Racconta ancora Vasari di altre opere di Giotto “ai fra- committenza di minor profilo. ti umiliati di Ognissanti di Firenze”, prima di registrare La testimonianza è già tarda nella biografia di Giotto “l’anno 1334 a dì 9 di luglio” l’inizio della costruzio- (successiva ad Assisi, Roma e Padova), e non precisa- ne del campanile di Santa Maria del Fiore e di anno- bile per l’anno della committenza, ed è un unicum. Ma tare in conclusione del brano: “Per le quali tutte cose non è senza significato che nel 1312 un quasi scono- fu Giotto non pure fatto cittadino fiorentino, ma pro- sciuto Ricuccio di Puccio del Mugnaio, un personag- visionato di cento fiorini d’oro l’anno dal Comune di gio segnalato solo dal patronimico, che mi piacereb- Firenze, ch’era in quei tempi gran cosa, e fatto prov- be immaginare sia stato anche tra i primi lettori della veditore sopra questa opera […]”22. Commedia di Dante, ricordi nel suo testamento una ta- Altri lavori a Firenze il Vasari colloca durante la co- vola di Giotto che era nella chiesa del convento dei fra- struzione del campanile: “alle monache di San Gior- ti predicatori di Prato e che egli stesso aveva com- gio”, nella “Badia”, nella “sala grande del Podestà”; missionato29. Un’avvertenza per dire che perdite di ope- registra poi un altro viaggio a Padova (1384) e infine re e di testimonianze potrebbero aver selezionato an- a Milano per i Visconti, dove, come precisa Giovanni che la qualità della committenza e dei suoi livelli so- Villani “[…] ’l nostro Comune ve l’aveva mandato al ciali di appartenenza. servigio del segnore di Milano”23. Rimane che principi laici ed ecclesiastici e grandi or- Vasari costruisce un ritratto di Giotto amplificato “dal- dini religiosi sono i committenti più importanti di Giot- le sue virtù”24, guidato da quanti prima avevano scrit- to. Le loro fortune coincidono con quelle dell’artista; to di Giotto, con la stessa coscienza espressa da uno la loro cultura e ideologia serve a precisare meglio scel- dei Commentatori di Dante, che cita: “Fu et è Giotto te e impegno di Giotto, definiscono la complessità del tra i pittori il più sommo della medesima città di Fi- contesto storico e culturale tra la fine Duecento e i pri- renze, e le sue opere il testimoniano a Roma, a Napo- mi decenni del Trecento. Tra questi sarà opportuno e li, a Vignone, a Fiorenza, Padoa, e in molte altre par- necessario fare un’ulteriore selezione: scegliere, ad ti del mondo”25. L’amplificazione moltiplica opere e esempio, i francescani, Jacopo Stefaneschi, Enrico Scro- committenze; amplifica anche il personaggio, come è vegni, Roberto d’Angiò e il Comune di Firenze. comune nella scrittura dei suoi contemporanei e in quella dei secoli successivi, con il racconto di un uo- I francescani mo “ingegnoso e piacevole molto e ne’ motti argutis- Impressiona il silenzio delle fonti contemporanee, con simo”26, e lo porta a trascrivere integralmente a con- qualche rarissima eccezione. Giotto dipinge Francesco clusione della sua biografia la novella di Franco Sac- in un momento delicato dell’Ordine, quello della sua chetti in cui “A Giotto gran dipintore è dato uno pal- progressiva sacerdolizzazione e della sua rifondazione,

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delle tante crepe ideologiche che percorsero i france- Dal 1291 al 1341 era stato canonico di San Pietro in scani in quel periodo; in un momento in cui è altret- Roma34. tanto forte l’esigenza di difenderne l’identità. Una lunga attività aveva svolto ad Avignone dal 1308 Rimane la testimonianza, appena antecedente al 1312, all’anno della sua morte nel 1341. A lui si rivolgeva di una comunità francescana che ricorda Niccolò IV esplicitamente nel 1314 Dante (con un violento Tu quo- come committente di Assisi: “[…] quas picturas do- que d’ascendenza antica, che deve aver fatto tremare minus Nicolaus IV fieri precepit propter reverentiam le vene dello Stefaneschi) nella sua lettera ai “Cardi- Sancti, cuius reliquie iacent ibidem”. nali italiani”, quando si indirizzava soprattutto a co- Rimane il ricordo di Giorgio Vasari della volontà di loro che “avevano conosciuto bambini il sacro Teve- “fra’ Giovanni di Muro della Marca” nell’avere Giot- re” e interpellava il “Trasteverino” per chiedergli co- to ad Assisi, che ha permesso di avanzare l’ipotesi che me avesse potuto “anteporre quell’angolo di terra di Giovanni da Minio di Morrovalle, ministro generale Avignone alla patria dei nobili Scipioni, senza che la dei francescani tra il 1296 e il 1302, sia stato il re- sua ragione s’opponesse”35. sponsabile del complesso programma iconografico del- Nel 1314 molto era cambiato ad Avignone e Roma. Ad le storie francescane30. In precedenza era stato già in- Avignone si stava ormai spegnendo l’eco del Processo dicato con molta puntualità come Giotto avesse in- voluto da Filippo il Bello contro Bonifacio VIII, ma terpretato ed elaborato “con tanta intelligenza” la Le- rimaneva vivo un dibattito che lo Stefaneschi aveva in- genda maior di san Bonaventura, che dal 1263 per trodotto in anni romani in una delle sue opere, il De l’Ordine Francescano era la biografia ufficiale di Fran- centesimo, e che tradiva il suo forte spessore cultura- cesco e che aveva portato all’annullamento di tutte le le e curiale. altre tradizioni biografiche31. Siamo abituati da una lunga consuetudine storiogra- Ma rimane anche l’impressione, dalla presenza o dal fica, e fors’anche dall’abuso del quotidiano, a consi- ricordo di opere di Giotto in tanti conventi francescani, derare antico e moderno concetti che si contrappon- oltre che dai temi delle sue opere, che potrebbero però gono, si annullano e si elidono. Moderno è supera- essere condizionate dal forte sviluppo dell’Ordine in mento dell’antico. Il moderno annulla l’antico, l’antico quegli anni, di un significato forte della committenza connota negativamente il moderno. Diversa la testi- francescana nella biografia di Giotto. E rimane anche monianza e la convinzione espressa da Jacopo Stefa- il significato altrettanto forte della scelta di un pitto- neschi, che come altri curiali romani residenti in Fran- re, che dobbiamo ritenere ancora non affermato, nel- cia riflettono su antico e moderno ed esprimono le lo- la guida e nella realizzazione di uno dei cantieri di As- ro preferenze che vanno al moderno e alla modernità, sisi, tanto che è stato possibile proporre che fino ai pri- in una accezione che va però precisata. Primo fra tut- missimi anni del Trecento la biografia artistica di Giot- ti Landolfo Colonna, che ad Avignone collabora con to si sia sviluppata in stretta collaborazione con l’ordine un giovanissimo Francesco Petrarca nel restauro del francescano diffuso capillarmente nell’Italia centro-set- testo degli ultimi capitoli della III Decade degli Ab ur- tentrionale32. be condita di Livio. E di moderno e di modernità par- la Landolfo Colonna nel suo Breviarium historiarum, Jacopo Stefaneschi che presenta al pontefice, e in cui ricorda il suo per- Jacopo Stefaneschi era nato a Roma verso il 1270 da sonale sconforto di fronte all’abbondanza e alla di- una famiglia aristocratica, imparentata con gli Orsini versità stilistica delle scritture storiche e al numero in- e con i Colonna, ma anche con altre famiglie della no- finito di volumi disponibili. La sua curiosità per la sto- biltà laziale; aveva studiato arti a Parigi tra il 1285 e il ria si scontra con l’abbondanza e con le diversità dei 1288; era stato allievo di Egidio Romano e aveva stu- racconti proposti: non sarebbe bastata una vita per leg- diato diritto a Bologna o presso lo Studium Curiae. Gio- gerli tutti e per sanare aporie e divergenze. Anche a vanissimo, aveva intrapreso la carriera curiale che si era leggere soltanto Livio, aggiunge, quanta difficoltà per addensata di provviste beneficiarie, soprattutto in Fran- capirlo e per comprendere le sue parole e i suoi giu- cia, e che altrettanto giovane lo aveva portato alla no- dizi. La soluzione da lui scelta era quella più gradita mina a cardinale, da parte di Bonifacio VIII, nel 129533. ai lettori del tempo36.

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Un altro Colonna, Giovanni, ancora in quegli anni e La conoscenza della tradizione culturale della cancel- ancora ad Avignone, parlava di deliciosa modernitas. leria pontificia che costruiva il diritto del presente sul- Lo Stefaneschi, uno degli uomini di cultura di mag- la citazione della precedente legislazione pontificia; la giore rilievo del pontificato di Bonifacio VIII e uno dei cognizione profonda della storia della Chiesa e del pa- massimi mecenati del tempo, utilizza una prosa tanto pato, che agglutinavano l’antico nel moderno, che co- elaborata da essere oggi di non facile lettura, caratte- struivano il proprio potere sulla tradizione e sulla con- rizzata come è dalla presenza costante del cursus, in- tinuità, ma senza timore di innovare; la stessa complessa tessuta di lessico e di frequenti imprestiti classici. Nel- esperienza dell’indizione del Giubileo costruiscono la la sua scrittura usa termini molto rari che sono altret- coscienza nello Stefaneschi che antico e moderno con- tanti fossili volutamente gettati come diamanti nel tes- vivono, anche se alcuni argomenti e la didattica della suto linguistico, o come in un affresco le citazioni dal- verità richiedono il linguaggio antico. E l’indizione del l’antico; usa termini in senso traslato; ricorre al cursus, Giubileo, la definizione del potere del pontefice, le scel- che era caratteristica della cancelleria pontificia, ormai te di Bonifacio VIII vicario di Pietro, il sorprendente al tramonto proprio in quei primi decenni del Trecento; afflusso di pellegrini, le enormi rendite delle offerte, accumula citazioni bibliche che superano il valore di debbono essere trattate con lo stile antico. auctoritates per acquisire un valore ideologico e di- Contenuti, prosa e versi, stile e linguaggio, costruiscono stintivo: sono tutte caratterizzazioni volute della sua il rapporto tra antico e moderno nella scrittura e nel- prosa. l’opera di Jacopo Stefaneschi. Il significato di ogni com- Nel De centesimo leggiamo come la sua sia una scelta mittenza si definisce in rapporto alla cultura del com- cosciente, ricercata per mettere in evidenza il signifi- mittente. Per lo Stefaneschi andrà definito se il modello cato epocale del Giubileo, voluto da Bonifacio VIII per dell’antico (come nella scrittura personale) – un mo- riaffermare la plenitudo potestatis pontificia. Ai due car- dello che nella storia del papato si proietta anche so- mi che concludono l’opera lo Stefaneschi premette una lo a distanza di pochi decenni o pochi secoli dal con- breve riflessione sulle proprie scelte stilistiche, in cui temporaneo – abbia sempre guidato le sue scelte di sog- esprime la consapevolezza della coesistenza di uno sti- getti e di oggetti (compresi i paramenti: nell’obituario le antico e di uno stile moderno, ma ribadisce di San Pietro si parla di cofinos paramentorum), di sto- l’altrettanto forte certezza che argomenti legati in mo- rie da realizzare, di scelte iconografiche e dei loro con- do così profondo alla storia della Chiesa non possono tenuti, di opzioni tra mosaici, affreschi o tavole; di ma- essere trattati che con lo stile antico: teriali da utilizzare e di colori da scegliere, di copisti, miniaturisti, pittori e architetti, di dove collocare mo- “Dopo aver sin qui illustrato, se non sufficiente- numenti funebri, cappelle e tavole. Sempre nella vo- mente, almeno già oltre le nostre capacità, le vicende lontà di rappresentare gravitas e veritas. La verità non del giubileo, i motivi dell’indulgenza, il suo inten- era un’opzione, non permetteva scelte sostanziali. I to, la piena potestà di chi la concesse, poniamo ter- margini di distinzione potevano venire dalla sua valu- mine a quest’opera in prosa, per accingerci di qui tazione dell’importanza, della solennità, della dignità, innanzi a trattarne brevemente in metro eroico, aste- del valore (tutti termini con i quali sono costretto a tra- nendoci da ulteriore differimento, poiché ritenia- durre gravitas) dell’avvenimento, dell’occasione, del mo questo già sufficiente. E ci piace essere venuti soggetto da far rappresentare. componendo ciò non secondo lo stile moderno, Il ricordo di alcune delle sue committenze è tracciato bensì nell’antico, a noi non meno familiare, ma tut- nel Liber anniversariorum della basilica vaticana, di cui tavia più adatto alla verità e alla maestà dell’avve- Stefaneschi era stato canonico: nimento, implorando il soccorso delle devote pre- ghiere che i lettori vorranno rivolgere al principe “Obiit sancte memorie Iacobus Gaytani de Stepha- degli apostoli e al dottore delle genti […]”37. nescis, S. Georgi diaconus, cardinalis et concano- nicus noster, qui nostre basilice multa bona contulit. Prosa e versi eroici del De centesimo sono stati scritti Nam tregunam eius depingi fecit, in quo opere .Vm. nello stile antico. auri florenos expendit. Tabulam depictam de ma-

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nu Iocti super eiusdem basilice sacrosanctum alta- anche l’affermazione politica; ampliò i suoi orizzonti re donavit, que .VIIIc. auri florenos constitit. In pa- da Padova a Venezia, da cui ricevette il privilegio del- radyso eiusdem basilice de opere mosayco ystoriam la cittadinanza per sé e per i figli; acquistò nel febbraio quando Christus beatum Petrum apostolum in fluc- del 1300 da Manfredo Dalesmanini, famiglia poten- tibus ambulantem dextera, ne mergeretur, erexit, tissima ma decaduta nel giro di pochissimi anni, l’intera per manus eiusdem singularissimi pictoris fieri fe- area dell’Arena a Padova. In quell’area era il suo pa- cit, pro quo opere .IIm. et ducentos florenos per- lazzo; chiese il permesso di edificare accanto una chie- solvit, et multa alia que enumerare esset longissi- sa che doveva essere privata, ma ben presto fu pub- mum [...] ac cofinos paramentorum [...]”38. blica. La chiesa dovette essere inaugurata il 25 marzo del 1303, consacrata il 25 marzo del 130541; il 1 mar- Il necrologio è scritto dopo la morte del cardinale nel zo del 1304 Enrico aveva ottenuto dal pontefice Be- 1341; sembra, nel 1361. Testimonia che lo Stefaneschi nedetto XI l’indulgenza di un anno e quaranta giorni ha lasciato a San Pietro casse di paramenti sacri; che per chi, confessato e pentito, avesse visitato “ecclesiam aveva fatto affrescare la tribuna (e l’artista non è indi- beatae Mariae Virginis de Caritate de Arena”42. cato) con una spesa di cinquemila fiorini d’oro; che ave- Costruzione e decorazione della chiesa di Santa Ma- va affidato a Giotto la realizzazione del polittico do- ria della Carità sono scelte di autocelebrazione. nato alla chiesa per l’altare maggiore, per un costo di “Ostentano il successo personale del committente che ottocento fiorini d’oro, e che, ancora a Giotto, pitto- si specchia nel consenso cittadino, nella gratitudine che re unico ed eccezionale, aveva commissionato per 2200 il Comune di Padova deve avere verso un tal mecenate. fiorini il mosaico della Navicella per l’atrio. Sono som- Egli non si mostra come un peccatore pentito, al con- me più che notevoli, certo ricordate a distanza di tem- trario”. Sono volute con l’intento di creare “il consenso po, dalla morte del cardinale, forse amplificate, ma che, all’operato del committente con una grande attenzio- anche nella possibile amplificazione, testimoniano ne da parte dell’impaginatore a lodare il buon uso del- l’impegno dello Stefaneschi e la scelta previlegiata di la ricchezza e addirittura a modificare episodi dove do- un pittore. vrebbero essere presenti prestatori e usurai”43. All’ingresso della basilica, e in asse con l’ingresso, sul- L’irresistibile ascesa economica e sociale a Padova di l’altare maggiore, fedeli e pellegrini, chierici e laici, la Enrico cominciò a entrare in crisi dal 1311 con la per- folla dei pellegrini in visita a San Pietro, avrebbero vi- dita del controllo padovano su Vicenza e con la per- sto il segno di Giotto39. La sua scelta nasceva anche dal dita della rendita di tutti i suoi possedimenti in quel dibattito su antico e moderno che aveva appassiona- territorio. E a seguito delle sempre più forti rivalità mu- to la corte di Roma e che aveva avuto come protago- nicipali e degli scontri nella classe egemone, nonché nista lo Stefaneschi40. della progressiva affermazione di Cangrande. Nel 1320 Enrico decide di fuggire a Venezia per evitare il ritor- Enrico Scrovegni no dello Scaligero; nel 1328 tutti i suoi beni nel pa- Rainaldo e il figlio Enrico hanno avuto una pessima dovano e nel vicentino sono posti sotto sequestro. A stampa. Il primo, già ricco di suo, era stato collocato Venezia rimase fino alla morte nell’agosto del 1336 e da Dante all’Inferno (Inferno XVII, vv. 64-75); il se- continuò ad accumulare ricchezze, ma non dimenticò condo, ancora più ricco, “nobilis set potens miles do- mai Padova; il suo pensiero tornava sempre, in maniera minus Henricus Scrovignus magnificus civis Padue”, quasi ossessiva, alla chiesa di Santa Maria della Carità passò la vita a costruire una sua personale strategia di costruita de bonis propriis all’Arena: “In honorem et promozione sociale, anche attraverso matrimoni im- bonum statum civitatis et communis Paduae et animae portanti per sé e per i figli; di affermazione economi- suae suorumque praedecessorum remedium et salu- ca con il commercio di denaro, con mutui e prestiti, tem”44. con l’acquisto di terreni tra Padova e Venezia; ad al- Nell’ultimo dei suoi tanti testamenti, redatto a pochi lontanare da sé, e fors’anche dal padre, l’accusa di usu- mesi dalla morte, puntuale e dettagliato come rarissi- ra, facile a colpire chi maneggiava e sfruttava grandi mamente accade, sono fortissime le attenzioni per la quantità di denaro come banchiere e mercante. Tentò chiesa, dove prevede e chiede di essere sepolto per evi-

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tare che “la chiesa dell’Arena rimanga solo un ceno- immagini di Giotto. Usò scritture e immagini per co- tafio grandioso e inutile. La sua fama si sarebbe sbia- struire la propria immagine, che nei secoli è rimasta dita se le sue tre immagini, di vivente, defunto e bea- quella di un sovrano colto e saggio. Sembrò fortuna- to non si fossero congiunte alle concrete spoglie mor- ta la politica di creare un forte blocco politico guelfo tali: anche il culto dei santi ha bisogno delle reliquie in Italia, che aveva come poli Firenze e Napoli, ma for- ed Enrico pensava che i concittadini, per ricordarlo nel se fu troppo autonomo rispetto ai pontefici d’Avignone. modo che egli desiderava, avessero bisogno della sua I banchieri e i mercanti fiorentini colonizzarono Na- salma”45. poli, letterati e artisti fiorentini furono di casa nella città. La Cappella dell’Arena doveva essere, anche post mor- Gli Angiò per qualche tempo governarono Firenze. tem, il luogo dove i padovani avrebbero preso atto del- La scelta di Giotto fu una scelta culturale, che maturò la sua ascesa sociale, della nobiltà acquisita, del suo po- nella prospettiva che Roberto trasformasse Napoli50; lie- tere economico non macchiato da traccia di usura. Era vitò nell’intenso rapporto sociale e politico, dialettico, la testimonianza della munificenza di un nobile e del tra Napoli e Firenze. Roberto scelse Giotto e Giotto buon uso della ricchezza che faceva guadagnare il Pa- scelse Roberto. radiso: tra gli eletti nel Giudizio universale si ricono- Il figlio Carlo era signore di Firenze, come lo era sta- sce la figura di Enrico. to Roberto per anni, e può di certo essere stato il tra- Anche la rappresentazione dei vizi e delle virtù, rea- mite. Una delle tante famiglie di banchieri fiorentini lizzata da Giotto, ha elementi originali rispetto alla trat- attive alla corte angioina può aver favorito il trasferi- tatistica contemporanea, definita come è dall’uso del- mento di Giotto a Napoli. Ma le volontà di Roberto la ricchezza. La virtù più importante è Iusticia, rap- e di Giotto debbono essere state concordi. presentata come una regina. Iniustitia è rappresenta- “Magister Jocto de Florentia pictor” arrivò a Napoli ta da Ezzelino da Romano, tiranno di Padova alla metà alla fine del 1328. Presto fu nominato familiaris et fi- del Duecento. Caritas ricorda che un buon uso delle delis. La cancelleria ne precisa le ragioni e i modi: la ricchezze dà benefici a chi le distribuisce con larghezza. correttezza dei suoi comportamenti (morum probitas) Spes, contrariamente alla tradizione, ammonisce che la e la sua virtus discretiva (la sua capacità di scegliere e giustizia dispensa a ognuno il dovuto. L’ Avaritia, trop- selezionare); la certezza è di avere suoi servizi che da- po pericolosa da ricordare nel caso degli Scrovegni, è ranno vantaggi, servitii fructuosi. Per queste ragioni è sostituita dall’Invidia46. accolto tra i familiari del re, riceve un alloggio nel pa- La ricchezza può essere potere politico ed è allora op- lazzo di corte, “de nostro hospicio retinemus”, deve portuno ripetere che Giotto venne chiamato a Pado- godere di onori e privilegi. Un rapporto privilegiato va: “Allorché […] la città era ormai entrata da prota- tra Roberto e Giotto, ma alla pari: il re concede la sua gonista in un largo sistema di relazioni e di alleanze che familiarità, Giotto la sua virtù; Roberto lo ospita a pa- passava anche attraverso la curia pontificia e si esten- lazzo, l’artista metterà a frutto la sua arte per il re51. deva a tutto l’ambito tosco-padano, annoverando gan- Il linguaggio di corte, che già aveva definito l’artista gli di particolare rilevanza come Bologna e Firenze”47. prothomagister e poi prothopictor, non può che quali- ficare come servitium l’impegno artistico e così defi- Roberto d’Angiò nisce come tale il lavoro di Giotto a corte, ma a qual- “Se sai ammansire con carezze gli spiriti selvaggi dei che distanza di tempo, nell’aprile del 1331, riconosce cavalli / e puoi, a poco a poco, ridurli a comportamenti che il suo impegno è stato gradito, piacevole e accet- mansueti, / e se riesci a piegare i volubili uccelli che tato: “nos attendentes grata delectabilia et accepta ser- sono le menti degli uomini, / è forse cosa da meno che vitia que magister Jottus quondam Bondoni de Flo- tutte le genti si sottomettano a te solo?”. Così Fran- rentia pictor familiaris et fidelis noster maiestati nostre cesco Petrarca per Roberto d’Angiò48. prestitit hactenus et speramus in antea prestiturum”52. Sfortunati tutti i tentativi di Roberto d’Angiò di sot- Il futuro durerà ancora fino all’aprile del 1334; dopo, tomettere genti, ma ammansiva certo letterati e arti- Giotto torna a Firenze. In quegli anni aveva affresca- sti. Creò la corte culturale più all’avanguardia d’Italia to per re Roberto la chiesa di Santa Chiara, la Cappella e d’Europa49, tanto da meritarsi i versi di Petrarca e le e la sala Maggiore di Castel Nuovo, tutti luoghi sim-

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bolo della signoria angioina, e aveva potuto e voluto to di seguito riferisce del viaggio di Giotto a Milano, organizzare e trasportare a Napoli la sua bottega per “che ’l nostro Comune ve l’avea mandato al servigio la realizzazione di dipinti su tavola, nella prospettiva del segnore di Milano”56, e quindi della sua morte: “e di una lunga permanenza. fu seppellito per lo Comune a Santa Reparata con gran- de onore”57. Il Comune di Firenze Servitium e servigio, virtù e virtus, morum probitas e Giotto ha ormai più di sessantacinque anni, è vicino bontà rimbalzano tra la prosa della cancelleria napo- ai settanta. Le acque dell’Arno nel novembre del 1333 letana e quella del cronista fiorentino. È un lessico co- hanno coperto tutta Firenze, distrutto i ponti, travol- mune che è utilizzato per individuare aspetti diversi to la statua di Marte, “lasciando la città e tutte le vie della personalità di Giotto, come uomo e come arti- e case e botteghe terrene e volte sotterra […] piene sta, ma anche per fondere l’uno aspetto nell’altro. Sa- d’acqua di puzzolente mota. Che non si sgombrò in remmo tentati di proporre la coscienza di questo nel- sei mesi […] che dapoi che lla città di Firenze fu di- l’individuare il senso della committenza estrema, ma strutta per Totile Flagellum Dei, non ebbe sì grande ancora una volta le fonti sembrano essere molto reti- aversità e damagio come fu questo”53. Il 2 dicembre re centi. Roberto scrive a Firenze “una lettera e sermone”, den- Si potrà riflettere che Giotto si sposta per l’Italia sul- sa di citazioni scritturali, ispirata dai sermoni di Ago- l’onda lunga dell’espansione della società fiorentina; stino, per “debito de caritade” e per esprimere le sue che Roma, Padova, Napoli sono tutte realtà che vivo- “compassioni”54. Nei mesi successivi Giotto abbandonò no in questi anni in modo forte il rapporto con Firenze. Napoli per tornare a Firenze. La politica fiorentina, mercanti e banchieri fiorentini La cancelleria comunale spiega la scelta. Soltanto un lo trasportano ad Assisi, a Roma, a Padova, a Napoli uomo “expertus et famosus” può essere scelto per tut- e in altre realtà signorili d’Italia. ti i lavori che debbono essere fatti in città “honorifi- Ma Firenze è interlocutore privilegiato anche di altri ce et decore”; non c’è al mondo chi sia più adatto; la poteri, della Chiesa di Roma, dell’affermazione dei fran- sua nomina permetterà che l’esperienza di molti cre- cescani. I papi da Roma prima e da Avignone poi, Nic- sca “ex sua scientia et doctrina”, con grande onore di colò IV, il primo papa francescano, Celestino V, Bo- Firenze. Per queste ragioni i priori delle Arti, il gon- nifacio VIII, Benedetto XI, Clemente V, Giovanni faloniere di giustizia e i probiviri hanno scelto Giotto XXII, dialogarono o altercarono con Firenze. Il gio- per le opere da fare a Santa Reparata, per la costru- co complesso dell’Europa di fine Duecento e dei pri- zione e il restauro delle mura e delle fortificazioni del- mi decenni del Trecento rimbalza sull’opera di Giot- la città e per tutte le altre opere che saranno necessa- to. rie in città: “[…] in magistrum et gubernatorem la- A questo livello cronologico è raro che artisti e opere borerii et operis ecclesie Sancte Reparate, et con- artistiche siano ricordate dai cronisti. Il ricordo di Gio- structionis et perfectionis murorum civitatis Florentie, vanni Villani ha evidenti motivazioni municipali. et fortificationis ipsius civitatis, et aliorum operum dic- Quello di Riccobaldo da Ferrara, che scrive forse an- ti communis que ad laborerium vel fabricam cuiu- cor prima di Villani, potrebbe essere significativo. Ma scumque magisterii pertinere”55. anche la nota di Riccobaldo non sposta le coordinate ricorda la fondazione del campanile della committenza giottesca: “Zottus pictor eximius di Santa Maria del Fiore e la partecipazione alla ceri- Florentinus agnoscitur; qualis in arte fuerit testantur monia del vescovo. Ricorda anche che “[…] sopra- opera facta per eum in ecclesiis Minorum Assisii, Ari- stante e provveditore della detta opera di Santa Lipe- mini, Padue ac per ea que pinxit palatio Comunis Pa- rata fue fatto per lo Comune maestro Giotto nostro cit- due et in ecclesia Arene Padue”. Chiese minoritiche, tadino”; aggiunge un suo commento: “il più sovrano palazzi comunali e committenze signorili. E inoltre an- maestro stato in dipintura che.ssi trovasse al suo tem- che questa fonte è databile con qualche difficoltà e si po, e quelli che più trasse ogni figura e atti al natura- è pur pensato possa essere una glossa più tarda con- le”, e annota quindi che “fulli dato salario dal Comu- fluita nell’opera58. ne per remunerazione della sua vertù e bontà”. Subi- Appena diverso il panorama dei Commentatori di Dan-

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te. Impegnati a commentare la Commedia, spesso fio- l’arte. rentini o d’area toscana, in ogni caso profondamente Lo Stefaneschi aveva impegnato per Giotto in San Pie- partecipi della cultura toscana, non sorprende che dia- tro 3000 fiorini. Cifra esorbitante, che, a Firenze, la città no una quantità maggiore di notizie, anche se la qua- più ricca d’Europa e con i prezzi più alti, avrebbe per- lità è fortemente condizionata dalla tipologia del loro messo di stipendiare, per cinque anni interi, uno dei intervento. Così se le notizie dell’Ottimo si limitano a manager del celebre banco Bardi. Oppure di comprare individuare le città dove Giotto fu attivo: “Fu, ed è quattro palazzi, con botteghe, ammezzati e fondaci, nel- Giotto in tra li pintori, che li uomini conoscono, il più la zona “di qua d’Arno”; o, ancora, di soddisfare il so- sommo, ed è della medesima città di Firenze, e le sue stentamento, per un anno, di cento ragazze della mi- opere il testimoniano a Roma, a Napoli, a Vinegia, a gliore società. Dati significativi dell’impegno della com- Padova, e in più parti del mondo”, qualche maggiore mittenza e dei possibili guadagni dell’artista, ma che interesse può avere l’indicazione dell’Anonimo fio- divengono senza proporzione se solo si pensa che, con rentino: “Divenne gran maestro, et corse in ogni par- quel denaro, sarebbe stato possibile assorbire circa un te il nome suo; et molte dell’opere sue si truovono, non quinto del debito pubblico assunto dall’intero regno solamente in Firenze, ma a Napoli et a Roma et a Bo- di Napoli nei confronti delle società Bardi, Peruzzi e logna”, che aggiunge alla lista Bologna e, con eviden- Acciaiuoli nell’estate 1324. E che, come sembra, de- te cognizione di causa, propone un ironico dialogo tra vono aver fatto tendenza nella Firenze trecentesca se, Giotto e Bertrando del Poggetto a cui “giovava ragionar nel 1392, Francesco di Marco Datini si lamenta con i col lui”. Lo stesso Anonimo è l’unico ad annotare che, suoi fattori in città per le esose richieste di due pitto- nella fondazione e costruzione del campanile di San- ri, tra cui Agnolo Gaddi: “Voi vedrete per quello che ta Maria del Fiore “Commisevi due errori, l’uno che domandano, ch’a costoro tocherebbe fiorini uno il dì non ebbe ceppo da piè, l’altro che fu stretto” e a im- per uno, contando cholori e spese, che quando Giot- maginarne la morte per il dolore. to era vivo credo facea migliore merchato. Voi sapete Gli aneddoti inseriti dai Commentatori, insieme con i nobili lavori che m’ànno fatto. Cierchate per Firen- le testimonianze della novellistica, confermano come ze a quelli che ànno fatto dipignere, e vedrete chom’e- Giotto sia presto diventato nella coscienza comune un glino si ponghono al dischonvenevole. Perchè trova- personaggio, ma forniscono anche precisazioni di qual- rono il terreno molle vorrebonmi fichare la vangha in- che interesse. È così per Benvenuto da Imola che pro- fino al manicho. Che iddio mi guardi dalle mani dei pone l’incontro di Dante con Giotto a Padova, “dum loro pari”60. Giottus pingeret Paduae, adhuc satis iuvenis, unam Lo storico senza aggettivi, lo storico generico, che non cappellam in loco ubi fuit olim theatrum, sive harena”, sia storico dell’arte o dell’architettura, anche se ne co- e costruisce un dialogo tra i due, in cui Giotto spiega nosce le ragioni e ne comprende le motivazioni, può la ragione della bellezza della sua pittura e del perché essere sconcertato dai continui cambiamenti di attri- invece i suoi figli fossero tanto brutti: “Quia pingo de buzioni, dalle modifiche di datazioni, dalle attribuzioni die, sed fingo de nocte”59. in successione a questo o quell’allievo, ad artisti diversi, Ma è proprio la trasformazione di Giotto da artista in e si aggrappa come un naufrago alle testimonianze esi- personaggio, espressione di una società e della sua gran- stenti e alle date superstiti. Testimonianze superstiti e dezza, della sua intelligenza e della sua arguzia, della date che a volte non sono sufficienti allo storico e non sua ricchezza e dei suoi buoni costumi, che rende an- bastano allo storico dell’arte. È quanto accade in mo- cora più complesso valutare le articolazioni della com- do esponenziale per Giotto, tanto da compromettere mittenza. Giotto e Dante sono le glorie di Firenze, e la possibilità di scrivere una storia della sua commit- non a caso Giorgio Vasari in più occasioni propone tenza. Ma è forse possibile intuirne le ombre*. Dante come l’ordinator delle immagini di Giotto. Lo studio della committenza ha bisogno di paletti stret- ti. È l’analisi dei rapporti tra l’artista e i comprimari della storia; il momento più forte di storicizzazione del-

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1 Purgatorio, XI, vv. 94-96; E. Pa- and the Probleme of Narrative Al- Rehberg, Kirche und Macht im done..., cit., p. 407, rinvia per la squini, Riflessioni sulla genesi del- tarpiece, in “Zeitschrift für Kun- römischen Trecento. Die Colonna Cappella di San Nicola nella Ba- la Commedia, in Dante e la fab- stgeschicthe”, 45, 1982, pp. 217- und ihre Klientel auf dem curia- silica inferiore di Assisi alla com- brica della Commedia, a cura di 247; vorremmo anche conoscere le Pfründenmarkt (1278-1378), mittenza del cardinale Napoleo- A. Cottignoli, D. Domini, G. i nomi dei committenti raffigurati Tubinga 1999, passim. ne Orsini; in altro contesto (p. Gruppioni, Ravenna 2008, pp. ai piedi della croce della Croci- 35 [Lettera ai cardinali italiani], in 408), suggerisce che il maestro ri- 15-36 (24-25). fissione, attribuita a Giotto, con- Epistole, Egloge, Questio de aqua sponda “alle richieste di raffina- 2 Si possono consultare in Ar- servata alla Alte Pinacothek di et terra, a cura di A. Frugoni, G. tezza e preziosità rivoltegli da chivio italiano, I commenti dan- Monaco, si veda Giotto. Bilancio Brugnoli, E. Cecchini, F. Maz- esponenti altolocati della corte teschi dei secoli XIV, XV e XVI, critico di sessant’anni di studi e ri- zoni, in Dante Alighieri, Opere pontificia”. Ricorda anche (p. a cura di Paolo Procaccioli, Lexis cerche, Milano 2000, p. 175. minori, III/2, Milano-Napoli 411) come la Cappella della progetti editoriali. Un esempio si- 30 M. Boskovits, Giotto di Bon- 1996, ep. XI, pp. 581-593, p. 590. Maddalena nella stessa chiesa in- gnificativo della loro utilizzazio- done,in Dizionario Biografico de- 36 G. Billanovich, Gli umanisti e feriore, sarebbe stata realizzata, ne in F. Bologna, I pittori alla cor- gli Italiani, 55, Roma 2000, p. le cronache medioevali. Il «Liber a tener conto degli stemmi pre- te angioina di Napoli. 1266-1414, 406. D. Cooper-J. Robson, Pope pontificalis», le «Decadi» di Tito senti, per volontà del vescovo di Roma 1969, pp. 179-180. Nicholas IV and the Upper Chur- Livio e il primo umanesimo a Ro- Assisi Teobaldo Pontano. Per la 3 G. Vasari, Le vite dei più eccel- ch at Assisi, in “Apollo”, 157, ma, in “Italia medioevale e uma- possibile committenza da parte lenti pittori, scultori e architetti, 2003, pp. 31-35; S. Romano, La nistica”, 1, 1958, pp. 103-133, p. del legato pontificio, il cardina- a cura di Licia e Carlo L. Rag- O di Giotto, Milano 2008, pp. 60- 123. le Bertrando del Poggetto, degli ghianti, edizione del testo di G. 127. 37 Iacopo Stefaneschi, De cente- affreschi nel castello di Galliera Innamorati, I, Milano 1971, pp. 31 C. Frugoni, Francesco e simo seu iubileo anno, cit., pp. 32- vedi M. Medica, Giotto e Gio- 355-395. l’invenzione delle stimmate. Una 33 (modifico in parte la tradu- vanni di Balduccio: due artisti to- 4 Ibidem, pp. 359-361. storia per parole e immagini fino zione); il testo dice: “Hactenus scani per la sede papale di Bolo- 5 Ibidem, pp. 361-362. a Bonaventura e Giotto, Torino iubilei gestis, indulgentie motivis, gna, in Giotto e le arti a Bologna, 6 Ibidem, p. 362. 1993, p. 164. eius volito, concedentis plenitu- a cura di Massimo Medica, Mi- 7 Ibidem, p. 363. 32 F. Flores d’Arcais, Giotto, Mi- dine etsi non suffitienter, nobis lano 2005, pp. 37-53 dove si ri- 8 Ibidem, pp. 366-369. lano 1995; AA.VV., Francesco tamen supra vires reseratis, corda la tradizione che il Politti- 9 Ibidem, pp. 369-370. d’Assisi e il primo secolo di storia dehinc in hiis heroicum parum- co di Bologna sia committenza di 10 I. Walter, Benedetto XI, beato, francescana, Torino 1997. per metrum agressuri prosayce fi- Gerra Pepoli (ibidem, pp. 166- in Enciclopedia dei papi, II, Ro- 33 A. Frugoni, Riprendendo il De nem ceptis stabilimus, ceteris has 171). ma 2000, pp. 493-500. centesimo seu Jubileo anno liber sufficere rati hesitationibus ab- 41 Romano, La O di Giotto, cit., 11 G. Vasari, Le vite…, cit., p. del Cardinale Stefaneschi, in “Bul- stenti. Quos vetustiori nec mo- pp. 144-193; C. Frugoni, L’affare 371. lettino dell’Istituto storico italia- derno, nec non minus nobis fa- migliore di Enrico. Giotto e la 12 Ibidem, pp. 372-373. no per il Medio Evo”, 61, 1949, miliari, veritati tamen reique ge- Cappella Scrovegni, Torino 2008, 13 A. Paravicini Bagliani, Cle- pp. 163-172; A. Frugoni, La fi- ste magis gravitati congruenti sti- p. 34: “[…] Giotto terminò di af- mente V, in Enciclopedia dei pa- gura e l’opera del Cardinale Iaco- lo, scriptitasse iuvat, legentium frescare nel marzo del 1304, o al pi, II, Roma 2000, pp. 501-512. po Stefaneschi, in “Atti dell’Ac- ad apostolorum principem, gen- massimo nel marzo del 1305”. 14 G. Vasari, Le vite…, cit., p. cademia Nazionale dei Lincei. tium doctorem, devotarum pre- 42 Ibidem, p. 36. 373. Rendiconti. Classi di Scienze cum iuvamenta flagitantes […]”. 43 Ibidem, p. 82. 15 Ibidem, p. 373. Morali Storiche e Filologiche”, 38 Necrologi e libri affini della Pro- 44 Ibidem, p. 81. 16 Ibidem, p. 374. ser. VIII, 1, 1950, pp. 397 e sgg.; vincia romana, a cura di Pietro 45 Ibidem, p. 70. 17 Ibidem, p. 375. M. Dykmans, Le cérémonial pa- Egidi, I, Necrologi della città di 46 Ibidem, pp. 273-375. 18 Ibidem, p. 377. pal de la fin du moyen âge à la re- Roma, Roma 1908, pp. 222-223. 47 S. Bortolami, Giotto e Padova: 19 Ibidem, p. 379. naissance, 2, De Rome en Avi- 39 Si vedano i contributi di M. le occasioni per un incontro, in 20 Ibidem, pp. 379-380. gnon ou le cérémonial de Jacques Andaloro, Giotto tradotto;A. Giotto e il suo tempo, catalogo 21 Ibidem, pp. 380-381. Stefaneschi, Bruxelles-Roma De Vincentiis, Scrivere la storia. della mostra a cura di Vittorio 22 Ibidem, p. 384. 1981, pp. 25-131; M. Dykmans, Il cardinale Iacopo Stefaneschi Sgarbi, Milano 2000, pp. 22-35 , 23 Ibidem, pp. 385-386; G. Villa- Jacques Stefaneschi, élève de Gil- (1260 ca.1341) e i suoi opuscoli p. 25. ni, Nuova cronica, a cura di Giu- les de Rome et cardinal de Saint- metrici; S. Maddalo, Alla luce del- 48 Francesco Petrarca, Gabbiani, seppe Porta, III, Milano 1991, Georges (vers 1261-1341), in “Ri- l’indagine diagnostica: qualche a cura di Francisco Rico, Milano pp. 52-53. vista di storia della Chiesa in Ita- riflessione sul frammento della 2008, pp. 27-30, p. 27; “Si fera 24 G. Vasari, Le vite…, cit., p. lia”, 29, 1975, pp. 536-554; M. Loggia Lateranense; M. Miglio, quadrupedum tractando pectora 386. Dykmans, Les pouvoirs des car- Stefaneschi antico e moderno; P. mulces / et potes in mores sen- 25 Ibidem, p. 387. dinaux pendant la vacance du Pogliani, L’Angelo di Giotto: dal sim convertere dulces, / sique – 26 Ibidem, p. 391. Saint Siège d’après un nouveau quadriportico dell’antica basilica vagas volucres! – humanas flec- 27 Ibidem, pp. 392-393; F. Sac- manuscrit de Jacques Stefaneschi, di San Pietro alle Grotte Vatica- tere mentes, / est minus et cunc- chetti, Il trecentonovelle, a cura in Archivio della Società romana ne. Notizie sullo stacco e i restauri; tas uni tibi subdere gentes?”. La di Emilio Faccioli, Torino 1970, di storia patria, 104, 1981, pp. S. Sansone, S. Maddalo, Ideolo- traduzione italiana è di Marian- pp. 158-160. 119-145. gia e tradizione di un soggetto ico- gela Regoliosi. 28 Ibidem, pp. 193-194. 34 T. Boespflug, La Curie au tem- nografico prima e oltre Giotto; P. 49 F. Sabatini, La cultura a Napo- 29 A. Tomei, Giotto, in Enciclo- ps de Boniface VIII. Étude proso- Zander, L’angelo di Giotto nella li nell’età angioina, in Storia di pedia dell’arte medievale, VI, Ro- pographique, Roma 2005 (Boni- sistemazione seicentesca delle Napoli, IV/2, Napoli 1974, pp. 1- ma 1995, p. 654; una commit- faciana, 1), pp. 215-216 n. 464; Grotte Vaticane, raccolti in Fram- 314, pp. 67-116; per la situazio- tenza della famiglia pisana degli si veda anche A. Rehberg, Die menti di memoria. Giotto, Roma ne storica C. De Frede, Da Car- Ughi, per il San Francesco che ri- Kanoniker von S. Giovanni in La- e Bonifacio VIII, a cura di Maria lo I d’Angiò a Giovanna I (1263- ceve le stimmate conservato al terano und S. Maria Maggiore im Andaloro, Silvia Maddalo e Mas- 1382),in Storia di Napoli, III, Na- Louvre, è proposta da J. Gard- 14. Jahrhundert. Eine Prosopo- simo Miglio, Roma 2009. poli 1969, pp. 157-224. ner, The Louvre Stigmatitation graphie, Tubinga 1999, passim; A. 40 M. Boskovits, Giotto di Bon- 50 C. Bruzelius, Le pietre di Na-

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poli. L’architettura religiosa nell’I- classico G. Yver, Le commerce et talia angioina, 1266-1343, Roma les marchands dans l’Italie méri- 2005, pp. 151-175. dionale au XIIIème et au XIVème 51 F. Bologna, I pittori..., cit., pp. siècle, Parigi 1903, pp. 408-409. 183-185; P. Leone De Castris, Ar- te di corte nella Napoli angioina, Fi- * Ringrazio Ovidio Capitani, Ame- renze 1986, pp. 313-327; F. Ace- deo Feniello, Franco Franceschi, to, Pittori e documenti della Napo- Chiara Frugoni, Giorgio Inglese e li angioina: aggiunte ed espunzioni, Paolo Procaccioli, che hanno reso in “Prospettiva”, 67, 1992, pp. 53- meno povero questo contributo, 65. dedicato a Silvia. 52 “In considerazione dei servizi graditi, piacevoli e accetti che il maestro Giotto di Bondone da Fi- renze pittore, familiare e nostro fe- dele ha finora prestato alla nostra maestà e speriamo presterà in fu- turo”, citato in F. Bologna, I pit- tori..., cit., p. 185. 53 G. Villani, Nuova cronica..., cit., pp. 3-12, pp. 8, 12. 54 Ibidem, pp. 26-40. 55 G. Gaye, Carteggio inedito d’artisti, Firenze 1839, pp. 481- 482; F. Bologna, I pittori..., cit., p. 185. 56 C. Gilbert, The Fresco by Giot- to in Milan, in “Arte Lombarda”, 47, 1977, pp. 31-37; M. Boskovits, Giotto di Bondone..., cit., p. 418. 57 G. Villani, Nuova cronica..., cit., pp. 52-53, p. 53. 58 Ricobaldi Ferrariensis Compilatio Chronologica, a cura di A.T. Hankey, Roma 2000, pp. 218-219; S. Bortolami, Giotto e Padova..., cit., p. 23; Ricobaldus Ferrariensis, in “Repertorium fontium historiae medii aevi”, X/1-2, Compendia. Fontes Rh-Ry, Romae MMIV, pp. 128-129. 59 La Divina Commedia nella figu- razione artistica e nel secolare com- mento, II, Purgatorio, a cura di G. Biagi, G.L. Passerini, E. Rostagno, Roma 1931, pp. 202-206; Archivio italiano, I commenti danteschi..., cit. 60 Per lo stipendio dei fattori-se- gretari dei Bardi, Fetto Ubertini e Cino del Migliore, per somme ag- girantisi sui 400 fiorini annui, si ve- da A. Sapori, Il personale delle com- pagnie mercantili del medioevo, in “Studi di storia economica”, II, Fi- renze 1982, pp. 695-763. Per l’acquisto di palazzi nella zona fio- rentina “di qua d’Arno”, idem, Ca- se e botteghe a Firenze nel Trecen- to, in “Studi di storia economica”, I, Firenze 1982, pp. 305-352. Per il sostentamento di giovani donne, per somme comprese tra i 20 e i 25 fiorini annui, escluso “il vestire e il calzare”, vedi idem, Il persona- le..., cit., p. 711. Sul debito pub- blico napoletano, si rimanda al

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