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Il grande torna nella sua città

Giovanni Antonio de’ Sacchis, che Vittorio Sgarbi definisce “il del Nord”, è più noto al pubblico come , appellativo che gli viene dalla città in cui è nato.

È lui in questi giorni il protagonista della mostra, a Villa Galbani di Pordenone, Il Rinascimento di Pordenone, in cui l’artista è posto in dialogo con i grandi maestri della prima metà del Cinquecento di ambito veneziano, bresciano ed emiliano. Anzitutto , Sebastiano del Piombo, Lorenzo Lotto e Tiziano e – tra quelli fuori dal Veneto e lontani dal suo Friuli – il Correggio, il Parmigianino, Giulio Campi, Girolamo Savoldo, il , il Moretto.

Pordenone, Deposizione di Cristo, Cortemaggiore, chiesa dell’Annunziata Correggio, Compianto sul Cristo morto, Parma, Galleria Nazionale La vita di Antonio de’ Sacchis, nato nel 1483, si concluse, secondo un sacerdote suo conterraneo e studioso di storia, don Giuseppe Marchetti, con una morte fulminea, il 14 gennaio 1539, in una stanza dell’osteria dell’Angelo a , con grande stupore e costernazione di tutti. Per quale causa clinica, o altro? Secondo un dizionario biografico friulano, per un “gravissimo affanno di petto”; ma originato da che? Già ai suoi tempi si disse che da null’altro poteva essere dipesa se non dalla gelosia del suo

| 1 Il grande Pordenone torna nella sua città maggior rivale, Tiziano, appagata avvelenandolo: spinto dal fatto che nel 1535 il Pordenone aveva messo radici a Venezia, incontrando il favore di importanti patrizi, tra cui Jacopo Soranzo, che fu plausibilmente il tramite per la commissione di ultimare il soffitto della libreria di Palazzo Ducale. Successivamente anche per decorare la Sala del Maggior Consiglio, mentre il cadorino ne era stato escluso perché giudicato inaffidabile nei tempi di realizzazione. Tanto che forse da ciò era dipesa pure la perdita del vitalizio di cui godeva. Quei lavori, dunque, il Pordenone non li poté nemmeno iniziare. Da giovane aveva collaborato con Pellegrino da San Daniele e Martino da ; poi s’interessò di Sebastiano dal Piombo, nato due anni dopo di lui, e con la dovuta calma, di Tiziano, di sei anni più giovane. A Roma (1515-16), s’incantò di fronte ai Michelangelo e ai Raffaello del Vaticano, mutuando dall’uno la possanza dei corpi e dall’altro le eleganti torsioni che preannunciavano il manierismo. Di suo vi aggiunse una straordinaria capacità di rendere teatrali le scene con un impeto coinvolgente. Nelle Vite de’ più eccellenti pittori, scultori e architettori (1550) lo descrive il più raro e celebre nell’invenzione delle storie, nel disegno, nella bravura, nella pratica de’ colori, nel lavoro a fresco, nella velocità, nel rilievo grande et in ogni altra cosa delle nostre arti.

Giorgio Vasari, Allegoria della Giustizia, Venezia, Gallerie dell’Accademia Come l’hanno considerato gli storici e critici dell’arte dei nostri anni? Un “trasformista” Nello Forti Grazzini, “impetuoso e concitato” Antonio Pinelli, il “fenomeno tra due scuole” Paolo Rizzi, sospeso “fra lingua e dialetto” Giovanni Testori… e altri pareri altrettanto forti per definire il suo talento innovativo. Curata da Vittorio Sgarbi e Caterina Furlan, docente all’Università di Udine, la rassegna pone a

| 2 Il grande Pordenone torna nella sua città confronto le sue opere su supporto mobile con quelle dei maestri coevi veneti, lombardi ed emiliani, e con gli eredi del suo fare. Non è stato un pittore da cavalletto, il suo lavoro consiste in massima parte di affreschi, tecnica che richiede velocità e abilità di mano. Nel trattare delle sue imprese decorative, quindi, si è obbligati a fare riferimento ai cicli superstiti, che vanno visitati in loco. Ebbe commissioni importanti, dal 1520 in poi, dal Friuli, il Veneto, l’Umbria, la Lombardia, l’Emilia, la Liguria. In grande lavorò nel Duomo di , proseguendo con la Cappella della Concezione nella chiesa dell’Annunciata a Cortemaggiore (1529) e la basilica nota come Santa Maria di Campagna a (1530), convertita sette anni dopo nel convento dei Francescani. Lì decorò, con travolgente passione non disgiunta da armonia, le cappelle dei Re Magi e di Santa Caterina, nonché la cupola, con il Padre Eterno circondato da angeli e adorato da sibille e profeti. Cremona ha l’enorme Crocifissione (m. 9,20 x 12): in essa la tragedia si offre all’osservatore con una sontuosa commistione di dolore, religiosità e violenza. Diversi affreschi sono stati riscoperti o attribuitigli di recente. Per conoscerlo a fondo sarebbe indispensabile seguire le sue peregrinazioni tra chiese e, ahimè, chiesette di campagna, soprattutto friulane. Perciò la mostra che la natia Pordenone gli dedica, per i quattrocento e ottant’anni trascorsi dalla morte, a villa Galvani – sede della Galleria d’arte moderna intitolata ad Armando Pizzinato – non può essere considerata esauriente.

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Il Pordenone, Crocifissione, Duomo di Cremona Sul livello qualitativo della sua pittura non mancano dimostrazioni dell’influenza ch’egli esercitò, ancor giovane, sui pittori delle sue terre, come Sebastiano da , Giovanni Maria Zaffoni, detto “il Calderali” dal mestiere del padre, e , cui aveva dato in moglie la figlia Graziosa; influenza che si diffuse anche in territorio lombardo ed emiliano.

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Pomponio Amalteo, Madonna con Bambino e San Sebastiano, San Rocco e Sant’Antonio Abate, Travesio (Udine), chiesa parrocchiale di San Pietro LA MOSTRA Questa rassegna va posta in relazione a due iniziative analoghe organizzate nel 1939 (Castello di Udine, a cura di B. Molajoli), in occasione dei quattrocento anni dalla morte, e nel 1984 (Villa Manin, Passariano, a cura di C. Furlan) dei cinquecento anni dalla nascita. Infatti negli anni tra le due mostre c’è stato uno sviluppo esponenziale delle conoscenze della sua opera; con la successiva pubblicazione di monografie fondamentali per una lettura complessiva. La differenza tra questa e le precedenti occasioni sta nel fatto che le opere di sua mano qui esposte dialogano alla pari con quelle di altri grandi protagonisti della pittura coeva. Annunciandola, Vittorio Sgarbi, che l’aveva sollecitata già in occasione della quindicesima edizione di pordenonelegge, nel 2014, afferma che il pittore è stato il primo dell’area veneta capace di coniugare il classicismo tosco-romano al naturalismo veneto, inventando un linguaggio del tutto nuovo fatto di eccessi plastici e di complessità scenografica, con scorci arditi e invenzioni architettoniche, così inaugurando una stagione che anticipava risvolti manieristici e, anche se di poco, addirittura gli effetti spettacolari di Giulio Romano in Palazzo Te a Mantova. Per questa capacità di sintesi delle diverse tendenze tra Firenze-Roma e Venezia, Sgarbi lo dice “pittore dei due mondi”. Un cammino coerente il suo, “senza cessare di essere friulano nell’intimo” precisa Caterina Furlan. Lungo il percorso espositivo si dipanano all’incirca ottanta opere ordinate per lo più cronologicamente, con l’intento di approfondire attraverso il confronto con altri artisti la varietà di esperienze maturate dal Pordenone operando a Genova e in Friuli (Pordenone), Veneto (Venezia, Padova), Lombardia (Cremona, Cortemaggiore), Emilia (Piacenza), Umbria (Alviano). Due, e importantissimi, sono gli affreschi, entrambi in prestito: da Udine, la sua Madonna della Loggia dei Civici Musei e, da Venezia, la Nuda di Giorgione delle Gallerie dell’Accademia. Dal paragone si può dire se la sua tecnica dipenda o si possa assimilare all’altra.

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Il Pordenone, Madonna della Loggia, Udine, Civici Musei di Storia e Arte Giorgione, La Nuda, Venezia, Gallerie dell’Accademia. Il top della spettacolarità spetta alle favolose portelle del 1527-28 per la chiesa di San Rocco a Venezia, mai approdate in Friuli, poste accanto alla grande pala di Lorenzo Lotto del 1531-34, arrivata dalla Basilica di Loreto, con i santi Cristoforo al centro e ai lati Rocco e Sebastiano, il cui gigantismo del san Cristoforo lascia supporre un possibile incontro dei due protagonisti proprio a Venezia.

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Il Pordenone, portelle dell’organo, chiesa di San Rocco, Venezia, e Lorenzo Lotto, pala d’altare della Basilica di Loreto, con i santi Cristoforo al centro e ai lati Rocco e Sebastiano Tutt’altro che monotona, la visita offre anche sorprese come il contrasto tra simili capolavori e un piccolo gioiello, La famiglia del satiro, la cui attribuzione è scivolata dal Pordenone – autore di un’altra tavola affine nel contenuto, della quale rimane, ora, solo una riproduzione – al Correggio, per arrestarsi su Sebastiano del Piombo.

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Sebastiano del Piombo, La famiglia del satiro, collezione privata Una parte della mostra cui dedicare attenzione è costituita dai disegni, nei quali il Pordenone mostra un’eccezionale maestria. Quanto la mostra può illustrare, però, non include le opere in situ nelle località qui appresso specificate. A Travesio si trova “la cappella Sistina della pedemontana”, così chiamata per gli affreschi realizzati tra il 1516 e il 1524-27, con storie dalla vita di San Pietro e Paolo. A Vacile (comune di Spilimbergo), il coro della chiesa Parrocchiale, affrescato sulla volta tra gli spessi costoloni, un Cristo risorto con Evangelisti, Dottori della Chiesa e Profeti. Nel sottarco figure di Santi con il simbolo del martirio. Nelle pareti, scene relative al Martirio di San Sebastiano e San Lorenzo, San Lorenzo che presenta i poveri, la Resurrezione di Cristo, le figure di Apostoli e della Madonna con Bambino e offerente. Sulla parete dell’arco trionfale la sinopia dell’Angelo annunciante e della Vergine annunciata. Nella parrocchiale di Valeriano (Pinzano al Tagliamento), il primo affresco certo del Pordenone, un trittico firmato e datato 1506, e nella chiesa dei Battuti una Natività tra le colline del paesaggio pedemontano, dove attraverso grazia, umanità e dolcezza traspare l’attenzione per i dettagli della vita quotidiana e domestica. Nel Duomo di Spilimbergo, i riquadri della cantoria, i fianchi con motivi a grottesca e le figure dei profeti David e Daniele e le grandi scene delle portelle per l’organo cinquecentesco, dipinte nel 1524: aperte illustrano la Caduta di Simon Mago e la Conversione di san Paolo, e chiuse l’Assunzione della Vergine. È decisa la contrapposizione tra caduta e ascesa, che allude a una metafora tra salvezza e perdizione, tematiche simboleggianti l’approccio dei potentati di Spilimbergo al luteranesimo, che fu motivo di numerose proteste e rivolte da parte della popolazione. Nel Duomo di , il magniloquente plasticismo, fatto con un gioco di chiaroscuri, degli affreschi nella Cappella Malchiostro. Su esso influisce anche l’espressività tipica degli incisori tedeschi, emergente in gran parte dell’area veneta, e paradossalmente convivono la cupola del Pordenone e la pala d’altare dell’Annunciazione di Tiziano, dissimili nelle poetiche, ma soprattutto incompatibili per la rivalità di quest’ultimo verso l’altro.

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Il Pordenone e Tiziano della Cappella Malchiostro, Duomo di Treviso È doveroso aggiungere, per concludere, che iniziando le sue peregrinazioni dal Nord Italia a Roma, il Pordenone si lascia alle spalle i tanti affreschi nelle chiese disseminate nel territorio pordenonese: il primo dei quali, datato e firmato, risale al 1506 e si trova nella Chiesa di Santo Stefano a Valeriano, frazione del comune di Pinzano al Tagliamento. E durante i suoi spostamenti incontra, scrive Sgarbi, tutti i grandi artisti del Nord con i quali si misura alla pari e mostra di essere il più vicino a Michelangelo, un vero e proprio Michelangelo del Nord; e del Manierismo, che è un potenziamento intellettuale del Rinascimento, è l’interprete più rappresentativo, insieme a Lorenzo Lotto e in parallelo con Tiziano.

La mostra è organizzata da Villaggio Globale, per conto del Servizio Cultura dell’Ente Regionale

| 13 Il grande Pordenone torna nella sua città per il Patrimonio Culturale della Regione Autonoma Friuli Venezia Giulia, ed è aperta fino al 2 febbraio 2020. Sono previste visite guidate in pullman per tutte le località regionali dove esistono opere in situ dell’Autore. Per informazioni e prenotazioni: [email protected], e da PromoTurismo FVG Pordenone via Mazzini 2 tel 0434 520381.

Il grande Pordenone torna nella sua città was last modified: Novembre 5th, 2019 by ENNIO POUCHARD

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