21/06/2019 Pagina 2

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La gaffe sui fondi per il Sud fa ripartire la secessione

Marco Palombi Toppe e buchi. Distratti - Stralciata la norma che esautorava la ministra Lezzi dalla gestione dei Fondi di coesione votata per errore dai grillini. La Lega incassa la "road map" per l' autonomia In Parlamento bisogna stare attenti. È un' ovvietà che in questi giorni hanno appreso - dopo le epiche defaillance del Pd (fondi alle periferie, minibot, etc.) anche deputati e membri del governo grillini: l' allegro via libera, lunedì notte, a un emendamento della leghista Comaroli che intendeva esautorare il governo nazionale - e in particolare la ministra M5S Barbara Lezzi - dalla gestione del Fondo di sviluppo e coesione (decine di miliardi) a favore delle Regioni non solo ha costretto maggioranza e governo a un precipitoso dietrofront parlamentare, ma ha pure condannato i 5 Stelle a resuscitare le famigerate "autonomie regionali" che erano finite su un binario morto. Festeggia il veneto Luca Zaia, ieri ricevuto al Viminale da : "Si sta scrivendo una pagina di storia che ridarà efficienza a tutta Italia e cambierà pelle alla Repubblica". Sotto la retorica, c' è comunque il diktat: "Un' autonomia che comprende tutte le 23 materie consentite dalla Costituzione" (e richieste in modo assai estensivo dalla sua Regione). "Indietro non si torna", sintetizza con apposita foto con Zaia e piccola ruspa postata sui social il ministro dell' Interno. Le intese con Veneto, Lombardia e Emilia Romagna, però, difficilmente saranno in discussione "al prossimo Consiglio dei ministri", come sostiene la Lega: i nodi politici, infatti, sono ancora tutti lì. Breve riassunto dei fatti. Pietra dello scandalo è stato il Fondo di sviluppo e coesione (Fsc), che ha programmazione pluriennale (si sta concludendo il ciclo 2014-2020 da 60 miliardi) ed è coordinato dall' apposita Agenzia che fa riferimento al ministero per il Sud - quello guidato da Lezzi appunto - visto che l' 80% dei fondi sono destinati proprio al Mezzogiorno. Una proposta di modifica al decreto Crescita, frutto di una mediazione Lega-M5S, intendeva concedere la gestione diretta dei fondi del prossimo ciclo pluriennale alle Regioni che avessero

Riproduzione autorizzata Licenza Promopress ad uso esclusivo del destinatario Vietato qualsiasi altro uso speso bene i vecchi fondi: in sostanza, e com' è facilmente intuibile, quelle del Nord. Non è questo, però, il testo approvato: nella notte di lunedì in commissione Bilancio è passata invece la nuova formulazione della leghista Comaroli - col parere favorevole del relatore grillino Raduzzi e dell' altrettanto grillina sottosegretaria Castelli a nome del governo - che invece esautora del tutto il ministero e assegna a tutte le Regioni "la titolarità e la gestione di tutte le risorse Fsc destinate al territorio regionale". La ministra interessata, pur con 36 ore di ritardo, non l' ha comprensibilmente presa bene. Non è solo una questione di potere personale, ma anche di gruppo e progetto politico: i 5 Stelle hanno il ministero, ma nessun governatore. Va detto che "l' emendamento Comaroli" ha fatto rizzare i capelli anche alla Ragioneria generale dello Stato, che ha fatto notare per iscritto come il ciclo di programmazione 2021-27 "non è avviato né tantomeno finanziato con risorse statali" e quindi le modalità della sua gestione andrebbero "più utilmente e organicamente definite" più in là: tanto più che non essendoci ancora il Fondo "non si comprende cosa si intenda" con "titolarità e gestione delle risorse". Il "parere contrario" della Ragioneria non è servito a bloccare l' emendamento, l' incazzatura di Lezzi sì: ieri il decreto Crescita è tornato in commissione per alcune modifiche, compreso lo stralcio della norma incriminata. La versione finale sarà approvata oggi con la fiducia. Problema: la "generosità", per così dire, della Lega coincide - casualmente, sostengono gli interessati - col ritorno in auge del regionalismo differenziato. Subito dopo il Consiglio dei ministri di mercoledì sera, infatti, la Lega faceva sapere che le intese con Veneto, Lombardia ed Emilia Romagna "saranno al prossimo Cdm", quello di mercoledì prossimo che dovrebbe votare l' assestamento del bilancio dello Stato nell' ambito della trattativa con l' Ue. Difficile che sia così, ma il treno è ripartito. Ieri la ministra degli Affari regionali, la leghista , ha visto brevemente per poi mettere a verbale: "L' autonomia è ufficialmente incardinata. Con Conte abbiamo stabilito la road map sulle fasi finali della trattativa". Tradotto: non c' è stato alcun passo avanti dall' inizio dell' anno sui tre testi, ma ora il premier inviterà i ministeri "non pervenuti" a fare un passo avanti e trattare con la Lega (ma per questo servirà un accordo politico tra i due capi). Com' è noto, manca del tutto l' accordo - in particolare sulle proposte di Lombardia e Veneto - con Salute, Ambiente, Infrastrutture, Cultura, Lavoro e Sviluppo economico. Col ministero dell' Economia c' è una sorta di pre-intesa generica, ma all' ultima occasione in cui gli è stata chiesta un' opinione il ministro ha definito alcune proposte delle Regioni interessate "fuori dalla Costituzione". E la potestà esclusiva su soldi e patrimonio sono un bel pezzo del regionalismo differenziato come lo concepiscono Zaia e soci (Salvini, pur non del tutto convinto, deve lasciar fare). Che il treno delle autonomie, pur ripartito, sia lontano dalla stazione lo dicono le parole di : "Il punto qui è politico e lo evidenzio senza mezzi termini: a questo Paese serve un grande piano per il Sud. E l' unico modo coerente e corretto per affrontare l' Autonomia è elaborare soluzioni per il Sud". Vaste programme, diceva un tizio. Del resto la road map strappata dalla Stefani non è un orario ferroviario e d' altronde, nonostante Salvini, i treni insistono a non arrivare in orario.

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