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Programma del CORSO 1) PARTE GENERALE - “Slide del Corso” - Gian Piero Brunetta, Guida alla storia del cinema italiano 1905-2003, Einaudi, pp. 127-303 (si trova su Feltrinelli a 8,99 e in ebook) 2) APPROFONDIMENTO (A SCELTA) DI DUE TRAI SEGUENTI LIBRI: - Mariapia Comand, Commedia all'italiana, Il Castoro - Ilaria A. De Pascalis, Commedia nell’Italia contemporanea, Il Castoro - Simone Isola, Cinegomorra. Luci e ombre sul nuovo cinema italiano, Sovera - Franco Montini/Vito Zagarrio, Istantanee sul cinema italiano, Rubbettino - Alberto Pezzotta, Il western italiano, Il Castoro - Alfredo Rossi, e il cinema politico italiano, Mimesis Edizioni - Giovanni Spagnoletti/Antonio V. Spera, Risate all'italiana. Il cinema di commedia dal secondo dopoguerra ad oggi, UniversItalia 3) CONOSCENZA DI 15 FILM RIGUARDANTI L’ARGOMENTO DEL CORSO

Sugli autori o gli argomenti portati, possono (non devono) essere fatte delle tesine di circa 10.000 caratteri (spazi esclusi) che vanno consegnate SU CARTA (e non via email) IMPROROGABILMENTE ALMENO UNA SETTIMANA PRIMA DELL’ ESAME Previo accordo con il docente, si possono portare dei testi alternativi rispetto a quelli indicati INDIRIZZO SUL SITO: http://www.lettere.uniroma2.it/it/insegnamento/storia-del- cinema-italiano-2017-2018-laurea-triennale

ELENCO DEI FILM PER L’ESAME (1)

1) Indagine su un cittadino al di sopra di ogni sospetto (1970) o (1976) di Elio Petri 2) Il conformista (1970) o L’ultimo imperatore (1987) di 3) Cadaveri eccellenti (1976) di 4) Amici miei (1975) di 5) C’eravamo tanto amati (1974) o Una giornata particolare (1977) di 6) Borotalco (1982) o Compagni di scuola (1984) di 7) Nuovo (1988) o Una pura formalità (1994) di . 8) Palombella Rossa (1989) o Caro Diario (1992) di ELENCO DEI FILM PER L’ESAME (2)

9) Il piccolo diavolo (1988) o La vita è bella (1997) 10) Diavolo in corpo (1986) o Buongiorno, notte (2002) di 11) La meglio gioventù (2003) di o (2005) di . 12) Respiro (2002) o Nuovomondo (2006) di Emanuele Crialese 13) L’imbalsamatore (2002) o Gomorra (2008) di 14) Ovosodo (1997) o Tutta la vita davanti (2008) di Paolo Virzì 15) L’uomo in più (2001) o La grande Bellezza (2013) di ALCUNE INFO STORICHE SUL CINEMA POLITICO IN ITALIA (1)

- Il cinema del neorealismo (dal 1945 al 1953, da Roma città aperta di all’opera collettiva L’amore in città ) con il suo impegno sul reale apre

idealmente la stagione del cinema politico italiano dopo gli anni del ventennio fascista. - All’inizio degli anni Sessanta nasce il filone del “cinema antifascista” e di rievocazione degli anni della Resistenza che si può considerare chiuso dopo pochi anni con Italiani brava gente (1964), la penultima opera di . - Alcune di queste opere sono state ispirate dalla letteratura, ad esempio: La lunga notte del ‘43 (1960), film d’esordio di (da un racconto di Giorgio Bassani), La ciociara (1960) di (dall’omonimo racconto di Alberto Moravia ) con Sofia Loren e La ragazza di Bube di (da Carlo Cassola). ALCUNE INFO STORICHE SUL CINEMA POLITICO IN ITALIA (2)

- Ad esso segue il cosiddetto “cinema della crisi” dei giovani inaugurato dal secondo film di Bernardo Bertolucci Prima della rivoluzione (1964) e poi I pugni in tasca (1965) di Marco Bellocchio, Uccellacci e Uccellini (1966) di P.P.P. Pasolini con Totò e Ninetto Davoli e I sovversivi (1967) dei Fratelli Taviani con Lucio Dalla.

- Un capolavoro a parte è La battaglia di Algeri (1966) di (1919- 2006) sulla lotta di liberazione dell’Algeria. - Gillo Pontrecorvo , Elio Petri o Francesco Rosi, ognuno con il proprio stile, non sono però stati i soli regista degli anni Sessanta e Settanta a tentare la difficile mediazione tra impegno ideologico e momento di spettacolarizzazione dei fatti politici. Altri nomi sono ad esempio: , Florestano Vancini, , , , parecchi dei quali poi passati a lavorare in tv ,o infine Citto Maselli. Ma è comunque a pochi è riuscito il risultato di ottenere un grande successo di pubblico in maniera non “autotelica” come il cosidetto cinema alternativo e/0 militante.

ELIO PETRI (1929-1982) Bio-filmografia (1) Di famiglia proletaria , il romano Elio Petri si forma in campo critico e compie un lungo tirocinio come sceneggiatore per Giuseppe De Santis (Roma ore 11 , 1952), Carlo Lizzani (Il gobbo, 1960) o Dino Risi (I mostri, 1963). - Realizzati due corti Nasce un campione (1954) e I sette contadini (sui Fratelli Cervi, 1957) debutta con L’assassino (1961) ma si fa notare con il successivo I giorni contati (1962). - Al Maestro di Vigevano (1963) segue il più riuscito La decima vittima (1965), poi Petri cambia di nuovo genere accostandosi nel 1967 al cinema di impegno civile in A ciascuno il suo (1967). Dopo l’apolitico film Un tranquillo posto di campagna (1968), con Indagine su un cittadino al di sopra di ogni sospetto del 1970 (oscar per il miglior film straniero, 1971) scoppia il caso “Petri”.

ELIO PETRI Bio-filmografia (2)

Ad esso seguiranno La classe operaia va in paradiso (1971, Palma d’oro a Cannes) e La proprietà non è più un furto (1973 con Tognazzi) con cui si chiude la cosiddetta “trilogia sul potere”. Poi è la volta del film più ambizioso e sfortunato della sua carriera Todo modo (1976, dal romanzo dello scrittore siciliano ) - Deluso dalla cattiva accoglienza di Todo modo e già minato dalla malattia realizza nel 1979 il suo ultimo film Le buone notizie con . Muore nel 1982 prima di girare con Chi illumina la grande notte che sarebbe divenuto il suo dodicesimo lungometraggio.

GLI ANNI SESSANTA DI PETRI (1) - Con il film di debutto L’assassino (1961), un “giallo” psicologico di ascendenza franco-americana, Petri individua un tema poi successivamente approfondito: quello del rapporto suddito- autorità nel raccontare di un ambiguo antiquario (Marcello Mastroianni) che è il principale indiziato per l’assassinio di una donna, sua ex-amante. Prodotto da Franco Cristaldi, il film subì non pochi tagli per la rappresentazione critica della polizia.

- Salvo Randone che era stato il commissario carogna de L’assassino, è il formidabile protagonista del successivo I giorni contati (1962) film basato su uno spunto autobiografico: il protagonista è uno stagnaro come il padre di Petri che dopo aver assistito alla morte di un coetaneo prende coscienza del suo lavoro alienate e cerca inutilmente di cambiare vita. A cavallo tra realismo e simbolismo, scritto dal regista insieme a Tonino (Antonio) Guerra (1920-2012) è un’opera che deve molto al cinema di o ma non manca di originalità.

GLI ANNI SESSANTA Di PETRI (2)

- L’insuccesso di quest’opera spinge Petri a lavori più popolari: tratto dall’omonimo romanzo (1962) di Lucio Mastronardi e adattato dallo stesso Petri con Age & Scarpelli, Il maestro di Vigevano ha come protagonista uno spaesato nella parte di un settentrionale, un “insegnante logorato e messo di fronte al boom economico”. - Segue La decima vittima (1965), prodotto da Carlo Ponti e con un grande cast (Marcello Mastroianni, Ursula Andress, Elsa Martinelli e Salvo Randone) e la sceneggiatura di Ennio Flaiano e dal romanzo The Seventh Victim dello scrittore newyorkese di SF, Robert Sheckley (1928–2005). - Al crocevia dei generi (commedia, western, spy-story e soprattutto fantascienza) e interessantissimo per la sua scenografia pop Petri realizza uno dei più interessanti film della sua carriera.

GLI ANNI SESSANTA Di PETRI (3)

- La prima sortita di Petri nel cinema di “impegno civile è A ciascuno il suo (1967), il ritratto a tutto tondo di un intellettuale di sinistra che non capisce l’ambiente mafioso che lo circonda, tanto da perdere la vita. Tratto dall’omonimo romanzo di Leonardo Sciascia (1921 – 1989), Il film venne definito un “western di mafia”, così come lo era stato a suo tempo In nome della legge (1948) di (il primo film italiano sulla mafia).

- Il film segna una decisa svolta nella filmografia dell’autore dato che qui con l’aiuto dello sceneggiatore (nome d'arte di Ugo Mattone, 1920- 2008) e dell’attore Gian Maria Volonté (1933-1994), protagonista del film insieme alla bella Irene Papas, esibisce quello stile barocco e “espressionista”, quel sottolineare in modo marcato le situazioni, che sarà alla base della successiva “trilogia sul potere” degli anni Settanta. Petri così diventerà noto fuori dall’Italia dato che vince il premio per la sceneggiatura al Festival di Cannes.

- Gli anni sessanta si chiudono, però, con un altro titolo dal contenuto non politico, Un tranquillo posto di campagna (1968) con e Vanessa Redgrave, allegoria sul ruolo dell'artista nella società contemporanea e film sulla pop art, che al di là del risultato conclusivo, secondo il critico Alfredo Rossi “... è prima di ogni altra cosa un giro di boa tecnico: di tecnica narrativa, di montaggio, di ritmi, di effetti speciali, di fotografia. Senza l’esperienza maturata sarebbero forse impensabili i successivi film...”. Indagine su un cittadino al di sopra di ogni sospetto (1970) (1)

Con Indagine su un cittadino al di sopra di ogni sospetto (premio oscar per il miglior film straniero nel 1971), inizia il caso “Petri” con l’aiuto dei suoi collaboratori fissi o quasi: lo sceneggiatore Ugo Pirro, l’attore G.M. Volonté - e poi Luigi Kuveiler (1927-2013) alla fotografia, (1928) alla musica e Ruggero Mastroianni (1929-1996) al montaggio. È il primo film di quella che diventerà la “trilogia sul potere”. Trama: un esaltato commissario di polizia(Gian Maria Volonté) passa da capo della squadra omicidi a quello della squadra politica dopo aver ucciso l’amante (). Nonostante la sua confessione, non viene punito dai colleghi preoccupati di difendere la reputazione dell'apparato. .

Indagine su un cittadino al di sopra di ogni sospetto (2)

Caratteristiche sostanziali: 1) alla ricetta del giallo-film inchiesta dal montaggio serrato di Francesco Rosi, si applica uno stile visivo e ad una recitazione fortemente espressionista. 2) L’uso del dialetto con l’invenzione di una lingua borbonica delle questure d’Italia, una specie di siciliano mezzo inventato. 3) La forte componente psicanalitica del personaggio del protagonista . 4) La “patologia come chiave di scoperta della realtà” (Tullio Kezich ) diventa lo stile di Elio Petri.

Gian Maria Volontè (1933-1994) (1) E’ il volto più noto del cinema politico italiano. Nasce a Milano nel 1933 ma passa l’infanzia a Torino, abbandona gli studi all'età di 14 anni, a 16 anni si unisce alla compagnia teatrale itinerante “I carri di Tespi” ricoprendo i ruoli di aiuto-guardarobiere e segretario. Nel 1954 frequenta l‘ Accademia Nazionale d’Arte Drammatica dove si fa notare come un "giovane di grande talento”. Nel 1957 ha la sua prima esperienza come attore recitando nello sceneggiato tv La Foresta pietrificata (dal dramma di Robert E. Sherwood) per la regia di Franco Enriquez. Segue una intensa attività teatrale mentre nel 1960 avviene il suo esordio al cinema in Sotto dieci bandiere di Duilio Coletti. Nel 1962 ottiene il suo primo ruolo da protagonista in Un uomo da bruciare di Valentino Orsini e dei Fratelli Taviani. Nonostante una notevole interpretazione Volonté continua a rimane in ombra sinché lo chiama come co-protagonista in Per un pugno di dollari (1964). Ottenuto il grande successo nello spaghetti-western, decide di dedicarsi ad un tipo di cinema più impegnato: Uomini contro di Francesco Rosi (1970), Sacco e Vanzetti di Giuliano Montaldo (1971), Il caso Mattei di Francesco Rosi (1972) e Sbatti il mostro in prima pagina di Marco Bellocchio (1972). E’ soprattutto con Petri e con Rosi che Volonté esprime al meglio il suo talento. Gian Maria Volontè (2)

Negli anni Ottanta continua la propria attività attoriale con La morte di Mario Ricci di Claude Goretta (1983), Il caso Moro di Giuseppe Ferrara (1986) e Cronaca di una morte annunciata di Rosi (1987). Negli anni Novanta "abbandona" il cinema italiano dopo aver recitato in Porte aperte di (1990) ed in Una storia semplice di Emidio Greco (1991) per il quale, al Festival di Venezia, viene premiato con il Leone d'Oro alla carriera. In quel periodo Volonté entra in una profonda crisi depressiva a causa degli scarsi impegni lavorativi. Nel 1994, giunge di nuovo una parte di prestigio in Lo sguardo di Ulisse di Theo Angelopoulos. Muore durante le riprese del film per un arresto cardiaco.

La “Trilogia sul potere” di Petri Segue La classe operaia va in paradiso (1972, Palma d’oro a Cannes ex-equo, con Il caso Mattei di Francesco Rosi) con Volonté, e Salvo Randone. Trama: Lulù Massa (Volonté), operaio milanese con l’ulcera, è un campione del cottimo con cui mantiene due famiglie, odiato dai compagni e amato dal padrone, finché un incidente gli fa perdere un dito. Passa allora a ultracontestatore, perde il posto e l’amante, si ritrova solo. Grazie a una vittoria del sindacato, è riassunto e torna alla catena di montaggio”. Sempre caratterizzato dal dialetto (il milanese), è meno “astratto” di Cittadino nel raccontare il mondo del lavoro e la contestazione operaia sempre nei toni gridati del precedente ma con una attenzione maggiore all’ambientazione. Gian Maria Volonté ci offre una delle prove più alte della sua capacità di recitazione.

Interpretato da in coppia con , ultimo dei film scritti da Ugo Pirro, La proprietà non è più un furto (1973) chiude la “trilogia sul potere” in un discorso allegorico e grottesco sull’importanza del denaro come in un apologo di Brecht. Un film molto polemico quasi nello stile di . Trama: il giovane bancario Total (Bucci), marxista-mandrakista, decide di colpire un ricco macellaio (Tognazzi), prototipo del ladro organizzato, in quel che ha di più caro: la proprietà che, oltre a essere un furto, è una malattia. Dopo avergli spiegato che i ladri veri e i ladri del commercio sono i due pilastri su cui poggia l’umanità, il macellaio lo strangola.

TODO MODO (1976) Sceneggiato dal solo Petri (dall’omonimo romanzo di Leonardo Sciascia), Todo modo è il film più ambizioso del regista anche a partire dal cast: Gian Maria Volonté, Marcello Mastroianni, Mariangela Melato, , Tino Scotti, , Renato Salvatori, . Trama: durante una epidemia, un centinaio di notabili di un partito cattolico al potere da trenta anni si riuniscono in un convento-albergo ufficialmente per un corso di esercizi spirituali guidati da un prete astuto e calcolatore,Don Gaetano (Mastroianni), ma in realtà per spartirsi il potere. Il film finisce con il Presidente (Volontè) che si farà uccidere dal Segretario del partito. Caratteristiche: Una virulenta, sarcastica caricatura del sistema di potere della Democrazia Cristiana e del suo leader che le scenografie di e l’interpretazione di Volonté ingigantiscono.

CARATTERI DEL CINEMA DI FRANCESCO ROSI (1922- 2015) (1)

- Le parole chiave del cinema di Rosi sono: POTERE, STORIA (e ovvio SPETTACOLO).

- In una filmografia composta da 17 lungometraggi + un reportage tv su Napoli, Diario napoletano (1992), il regista partenopeo ha quasi sempre affrontato il rapporto con il Potere anzi con i Poteri occulti o meno dello Stato. - Poche sono le eccezioni a tale tema: Il momento della verità (1965) sul mondo della corrida; la fiaba barocca C’era una volta (1967) o la cine-opera Carmen (1984) e infine Cronaca di una morte annunziata (1987, dall’omonimo romanzo di Gabriel Garcia Marquez).

CARATTERI DEL CINEMA DI FRANCESCO ROSI (1922- 2015) (2) - Rosi ha trattato i grandi momenti storici e i grandi problemi del nostro paese: La Grande guerra in Uomini contro (1970); il fascismo in Cristo si è fermato ad Eboli (1979); e poi tutti i mali dell’Italia post- bellica: la mafia (Salvatore Giuliano, 1961, Dimenticare 1991) con le sue ramificazioni internazionali (Lucky Luciano, 1973); la camorra (La sfida, 1958) e la speculazione edilizia (Le mani sulla città, 1963); l’emigrazione (I magliari, 1959); la strategia della tensione (Cadaveri eccellenti, 1976); i grandi delitti politici impuniti del nostro paese (Il caso Mattei, 1972) o il terrorismo e la fine della civiltà contadina (Tre fratelli, 1981). - In questo campionario dei mali dell’Italia ha fatto a volte ricorso alla letteratura “impegnata”: Emilio Lussu (Armungia , 1890–1975), Leonardo Sciascia (Racalmuto 1921 – Palermo 1989), Carlo Levi (Torino 1902 – Roma 1975) o Primo Levi ( Torino 1919 – 1987).

ALCUNE NOTIZIE BIOGRAFICHE su FRANCESCO ROSI

- Nasce a Napoli 15 novembre 1922 da una famiglia benestante della borghesia napoletana. -Studia giurisprudenza e frequenta i teatri dei Guf; fa amicizia con alcuni scrittori e intellettuali napoletani come Raffaele La Capria, Aldo Giuffrè e , con i quali poi collaborerà. - Subito dopo la guerra si accosta al mondo dello spettacolo come assistente di Ettore Giannini per l'allestimento teatrale di 'O voto di Salvatore Di Giacomo. - A 26 anni compie la sua prima esperienza cinematografica in Sicilia con la Terra trema (1948) di . Segue un lungo tirocinio sempre accanto a Visconti, Antonioni, Monicelli, Luciano Emmer ma anche Raffaello Matarazzo. Dopo aver collaborato a delle sceneggiature (Bellissima, 1951, di Visconti; Processo alla città, 1952, di ) gira alcune scene di Camicie rosse (1952) di Goffredo Alessandrini e nel 1956 co-dirige con il film Kean, genio e sregolatezza. - Fatta come molti altri della sua generazione questa lunga gavetta, passa finalmente alla regia da solo con La sfida (1958), il suo primo film politico che parla della camorra a Napoli .

Salvatore Giuliano(1962) - Rosi porta al cinema il modello del giornalismo inventandosi il genere del film-inchiesta che coinvolge in modo diretto il pubblico e la coscienza pubblica di un paese. Scritto dal regista con con Suso Cecchi D’Amico, Enzo Provenzale e Franco Solinas. La Trama: 1950 A Castelvetrano (Sicilia) viene trovato il corpo del bandito Salvatore Giuliano. Inizia una serie di flash-back in cui si ripercorrono i primi anni del dopoguerra in Sicilia, la nascita del movimento indipendentista e le prime “imprese” di Giuliano, del cugino Gaspare Pisciotta e della loro banda. Intanto Montelepre, il paese natale di Giuliano, è sorvegliato da reparti di carabinieri che cercano di arrestarlo. I banditi nel 1947 compiono una strage di contadini a Portella della Ginestra il 1 maggio; poi il film ritorna al ritrovamento del corpo di Giuliano. Pisciotta è arrestato, processato a Viterbo e condannato all’ergastolo per l'assassinio del cugino che lui stesso ha ucciso. Viene avvelenato in carcere in modo misterioso. - All’epoca il problema della mafia non era all’ordine del giorno ma viene affrontato da Rosi con molto coraggio sulla base delle inchieste del settimanale “Europeo”. - Grazie anche allo straordinario montaggio di Mario Serandrei, la struttura narrativa oltre a ricorre a moduli neorealisti (attori e luoghi presi dal vero) va su e giù nel tempo rompendo la linearità temporale del cinema tradizionale. - Tale sistema “che fonde cronaca fotografica, parti recitate e reportage televisivo” ricorda un po’ uno dei massimi capolavori della storia del cinema Citizen Kane (Quarto potere, 1941) di Orson Welles.

Salvatore Giuliano (1962) II - L’ altalenare continuo nel tempo è funzionale ad una Contro-storia della Sicilia che è il vero soggetto del film, non una biografia di Giuliano (1922-50) la cui figura non è approfondita più di tanto né da un punto di vista psicologico né narrativo. - La figura del protagonista serve per parlare dei complessi rapporti tra mafia, banditismo, potere politico e potere economico. Il titolo originale della sceneggiatura di Rosi, “Sicilia 1943-’60” è quello che meglio fotografa la trama del film - A differenza di Michael Cimino in The Sicilian (Il siciliano, 1987), tratto dal romanzo di Mario Puzo che è una biografia romanzata del personaggio interpretato da Christopher Lambert. - Altro elemento importante è l’uso della fotografia di Gianni Di Venanzo che ha elaborato diversi toni di bianco-nero: “lirico-tragico a forti contrasti chiaroscurali per le fasi rievocative; un tono sovresposto da servizio fotografico per la morte di Giuliano e una grana spoglia e grigio di tipo televisivo per il processo di Viterbo”. - Se a guidare il film è l’ordine logico dei fatti che prevale sul mero ordine cronologico, i continui tasselli della storia (costituiti dai flash back) servono a costruire una sorta di caleidoscopio di avvenimenti, dove i vuoti non vengono arbitrariamente riempiti con ipotesi di fantapolitica. Si gioca su tre piani diversi (ancora una volta): quello del processo con la sua versione ufficiale e lacunosa della storia, gli avvenimenti storici, e la voce del narratore che valuta i vuoti e i pieni della Storia come una sorta di coscienza collettiva delle vicende. Cadaveri eccellenti (1976) (1)

- E’ insieme a Todo modo (1976) uno dei film “maledetti” del cinema italiano e senza dubbio il più acuto nell’ analizzare il rapporto tra Potere e “strategia della tensione” negli anni Settanta.

- Tratto da Il contesto (1971), il polemico romanzo dello scrittore siciliano Leonardo Sciascia e sceneggiatato da Rosi, Lino Jannuzzi e Tonino Guerra, si avvale di un grande cast internazionale: Lino Ventura, Fernando Rey, Max von Sydow, , Paolo Bonacelli, Alain Cuny.

La Trama: prima in Sicilia e poi a Roma vengono uccisi degli alti magistrati; l’ispettore Rogas (Lino Ventura) fa l’ipotesi che i delitti siano il frutto di un piano eversivo. Il magistrato alla fine verrà ucciso insieme al segretario del PCI a cui voleva raccontare tutto ma la verità verrà messa a tacere dall’una e dall’altra parte, dal Potere e dall’Opposizione.

Cadaveri eccellenti (1976) (2)

La caratteristica di Cadaveri eccellenti è quella di partire da fatti e situazioni vere degli anni Settanta (attentati, strategia della tensione, depistaggi, collusioni politiche internazionali, ecc., tipiche della democrazia “bloccata” dell’occidente di allora) per diventare uno straordinario apologo politico sulla mostruosità del Potere, un giallo sospeso tra sogno e realtà, ricco di riferimenti pirandelliani (il gioco delle parti, il potere anonimo) e/o kafkiani (gli ambienti abnormi, gli spazi immensi che schiacciano i personaggi, trasferiti sullo schermo tramite il Barocco siciliano). La TREGUA (1997)

In concorso a Festival di Cannes, vincitore di 4 .

Con John Turturro, Massimo Ghini, Rade Sherbedgia, Claudio Bisio, , Stefano Dionisi, Lorenza Indovina, Ernesto Lama, Andy Luotto, Federico Pacifici, Franco Trevisi, Agnieszka Wagner. - Tratto dal romanzo omonimo del 1963 (vincitore del premio Campiello) di Primo Levi (Torino 1919 – 1987) e basato sulle esperienze autobiografiche dello scrittore e chimico torinese, è stato il canto del cigno artistico di Francesco Rosi. E’ stato sceneggiato dallo stesso regista insieme a Rulli e Petraglia - Dualità di ispirazione (picaresca e epica) che talvolta non si fondono. - Eccellente interpretazione soprattutto di John Turturro. - Piacque poco all’epoca e venne criticata soprattutto la musica considerata invadente di Luis Bacalov - Fu un film “sfortunato”, e è dedicato «a Pasqualino e Ruggero», ovvero a Pasqualino De Santis, morto in Ucraina durante le riprese, e a Ruggero Mastroianni, morto poco prima di ultimare il montaggio.

La commedia degli anni Cinquanta (1)

E’ innegabile la differenza di accenti tra le commedie degli anni del boom e quelle di dieci anni prima, cui spesso compaiono tematiche socio-politiche. Si tratta di un gruppo di film come Totò cerca casa (1948, Steno/Monicelli) oppure Due soldi di speranza (, 1951), il primo film-prototipo del cosiddetto neorealismo “rosa” che inizia il filone delle commedie paesane tipo Pane, amore e Fantasia, 1953, di Luigi Comencini scritta anch’essa come il film di Castellani da Ettore Maria Margadonna. Oppure ancora di alcune opere del regista romano Luigi Zampa (1905 – 1991) come Anni difficili (1948), Anni facili (1953) e L’arte di arrangiarsi (1954) scritte in sodalizio con lo scrittore siciliano Vitaliano Brancati (1907 – 1954) in cui si mette alla berlina il fascismo e il centrismo della Democrazia Cristiana degli anni Cinquanta. Nella commedia dei Cinquanta dominano il bozzettismo e la macchietta fine a se stessa, il mondo è ordinato, la morale e l’ordine sociale rimangono ben saldi mentre le donne non pensano ad altro che a sposarsi con l’uomo della loro vita. La commedia degli anni Cinquanta (2)

E’ dunque in gran parte un cinema “bonario” (la serie di Luigi Comencini di Pane amore e fantasia) e populista (le opere “politiche” con i personaggi di Giovanni Guareschi, cioè Don Camillo e Peppone alias Gino Cervi e Fernadel), oppure butta sul popolaresco-romano con i “bulli” Murizio Arena e Renato Salvatori e la pin-up Marisa Allasio nella serie di Poveri ma belli di Dino Risi. Viceversa la “commedia all’italiana” esibisce personaggi di piccolo- borghesi, manca di figure positive, mette in scena in maniera caustica il rampantismo del boom economico e gli eterni vizi degli italiani (Sordi come la cifra dell’italiano-romano “medio”), irride con un certo anarchismo il moralismo sessuale, familiare, religioso e sociale della tradizione cattolica e le realtà istituzionali del nostro paese. Un’altra caratteristica non solo della commedia ma di tutto il cinema italiano dell’inizio degli anni Sessanta è stata la formula del film ad episodi spesso di vari registi inaugurata da Boccaccio 70 (1961) di De Sica, Fellini, Monicelli e Visconti.

Gli esordi di Mario Monicelli

Toscanaccio di Roma anche se per molto tempo si è detto di Viareggio, Mario Monicelli nasce il 15 o 16 maggio 1915 da una famiglia colta: il padre Tommaso Monicelli era un noto giornalista e autore teatrale antifascista. Da giovane vive tra Viareggio e Milano, frequenta gli Studi della Tirrenia , si laurea a Pisa ma soprattutto collabora a Milano ad una rivista di fronda antifascista «Camminare… » (1932-1935), fondata e diretta dal cugino Alberto Mondadori chiusa in seguito a un intervento della censura. Qui scrive di cinema.

Il passo alla pratica è breve: con il cugino Alberto realizza nel 1934 un cortometrsggio in 16 mm (dal testo di Edgar Allan Poe), Il cuore rivelatore e l’anno successivo sempre in coppia con il cugino Il ragazzi della via Paal (dal notissimo testo di Molnar). Segue l’esperienza di Pioggia d’estate (1937).

Mario Monicelli Finita la II° guerra mondiale, conosce Stefano Vanzina detto Steno (1917-1988, il papà dei fratelli Vanzina Carlo ed Enrico); con lui Monicelli farà coppia fissa sino al 1953 realizzando insieme otto film di cui la metà con Totò - tra cui alcuni influenzati fortemente dall’atmosfera e dalle ansie economico-esistenziali del dopoguerra. In questo stesso periodo collabora anche con diversi registi tra cui Raffaello Matarazzo, Goffredo Alessandrini, Giuseppe De Santis e soprattutto Pietro Germi da cui apprenderà l’arte di calare la fiction dentro i drammi sociali. Con Steno che proveniva dalla rivista satirica “Marc’Aurelio”, passano alla regia in un debole film comico Al diavolo la celebrità (1949), a cui seguono il ben più interessante Totò cerca casa (1949) e soprattutto Guardie e ladri (1951). E’ con Dino Risi l’iniziatore alla fine degli anni Cinquanta della “commedia all’italiana”, realizzando capolavori come I soliti ignoti (1958) o film storici come La grande guerra (1959) e L’armata brancaleone (1966). E poi tanti altri film importanti sino ad Amici miei.

GLI ELEMENTI SALIENTI de I SOLITI IGNOTI - Inizia la “commedia all’italiana” - Scelte attoriali (Vittorio Gassman comico, gli esordi di e Tiberio Murgia); - Il film sancisce il passaggio di consegne tra Totò e i nuovi interpreti della commedia all’italiana; - La sceneggiatura perfetta (Age, Scarpelli, Suso Cecchi D'Amico) dove già compare il tema della morte, tipico di Monicelli; - il film nasce come parodia dei coevi film noir francesi per esempio a Rififi (Du Rififi ches les hommes, 1955) di Jules Dassin o americani; - la fotografia in bianco & nero di Gianni Di Venanzo che cattura la Roma sottoproletaria dell’epoca; - le musiche jazzistiche di Piero Umiliani; - Avrà due sequel: Audace colpo dei soliti ignoti (1960) di Nanni Loy e I soliti ignoti vent’anni dopo (1985) di Amanzio Todini - Ha avuto due remake negli Stati Uniti: Crackers (Soliti ignoti made in Usa, 1984, con nel finale il salmone al posto della pasta e ceci) di Louis Malle e Welcome to Collinwood (Id., 2002) di Anthony e Joe Russo con George Clooney. Amici miei (1975)

Il Righi ()

La trama: le avventure di 5 amici, dei cinquantenni immaturi (Ugo Tognazzi, , Gastone Moschin, Adolfo Celi, Duilio Del Prete) che coltivano l’antico gusto toscano delle burle ora estrose, ora crudeli, le “zingarate”. Il gruppo è tenuto insieme la voglia di giocare e di non prendere nulla sul serio, nemmeno sé stessi. Nell’ultima delle loro imprese coinvolgeranno il Righi, un gretto pensionato convinto ad entrare in una fantomatica banda di gangster. • Venata di misantropia (e un po’ di misoginia), il film venne iniziato da Pietro Germi e poi dopo la sua morte passato a Monicelli, E‘ pieno di grinta, scatto e ricchezza di trovate comiche. • Sembra guidato da una “filosofia della vita” che ci dice come la cattiveria sia rimasta l’unica forma di libertà rimasta, pur in una premeditata vaghezza dell’ambientazione. • E’ uno dei grandi film con cui si congeda la “commedia all’italiana” • Con 7 milioni di spettatori nel 1975-76 superò gli incassi dello Squalo di Steven Spielberg. • Se si confronta con il sequel Amici miei – Atto II (1982), sempre diretto da Monicelli, si vede come la stagione di questo tipo di commedia fosse ormai chiusa. Nanni Loy (1925-1995) ha girato una terza parte molto manierista Amici miei – Atto III nel 1985. IL MARIO MONICELLI TARDO

Già in Un borghese piccolo piccolo (1977, dal primo libro di Vincenzo Cerami, con Alberto Sordi ) non si ride proprio più e sembra che sia finita la commedia all’italiana. E se si confrontano le prime due parti di Amici miei si vede come l'amarezza e la malinconia che avevano già segnato il primo episodio diventano nel secondo una vera e propria vena pessimistica. In effetti poi a partire dagli anni Ottanta l’estro di Monicelli (e dei suoi sceneggiatori) si è andato progressivamente esaurendo, a parte il caso di Speriamo che sia femmina (1986), il suo film migliore e più originale dell’ultimo periodo. Il regista toscano ha cercato di proseguire, senza mai eguagliarlo, il cinema picaresco precedente (Il marchese del Grillo, 1982; Bertoldo, Bertoldino e cacasenno, 1984; I picari, 1990, ecc.) oppure si è lanciato in alcune rievocazioni storiche-letterarie “serie” come Il fu Mattia Pascal (1986) o Rossini, Rossini (1992). Ha realizzato diversi titoli ma in definitiva si tratta di prove decisamente minori : ad esempio il suo ultimo film, Le rose del deserto (2006), è interessante più che altro per l’aspetto ideologico: la rievocazione della campagna di Libia durante la II° guerra mondiale che si trasforma in un ulteriore atto di accusa contro la stupidità e l’inutilità della guerra. . GLI ESORDI DI ETTORE SCOLA (1931-2016)

Ettore Scola nasce a Trevico in Irpinia, (Avellino), il 10 maggio 1931 e dal nome del suo paesino nel 1972 trarrà un film “militante” Trevico/Torino (sottotitolo: “Viaggio del Fiat-Nam”). A 4 anni è a Roma con la famiglia e da subito ha una precoce passione per il disegno e la caricatura - ciò lo porterà dopo la guerra a accostarsi al “Marc’Aurelio”. La rivista romana di Vito De Bellis è stata una tappa obbligata per i futuri autori della commedia nel dopoguerra , e li vi passarono moltissimi sceneggiatori e registi del cinema italiano come Fellini e poi Monicelli, Comencini, Risi, Age-Scarpelli, Steno, Sonego, Maccari, ecc. Dal 1947 - a sedici anni quindi - la collaborazione di Scola comincia a diventare sempre più stretta con vignette e sketch. Finita la scuola è indotto dalla famiglia a entrare all’università prima a medicina (tre anni) e poi a giurisprudenza. Senza successo. Invece si intensificherà sempre di più la collaborazione Scola presto diventerà una colonna con una propria rubrica, “Radio Marc’Aurelio”. GLI ESORDI DA SCENEGGIATORE . Nel 1950 inizia il lavoro nel cinema da negro (Gostwriter come dicono gli americani) - da Metz e Marchesi passa a collaborare con il caporedattore del “Marc’Aurelio” Ruggero Maccari - già sceneggiatore affermato con cui avrà un lunghissimo sodalizio. Il primo film in cui si vede una sua decisa mano, è Canzoni di mezzo secolo (1952) di Domenico Paolella sul cui set conosciuto un regista che sarà particolarmente importante per lui insieme a Dino Risi (1916-2008), (1919-1968). . Nel 1953 firma ufficialmente una sceneggiatura: Fermi tutti arrivo io! di Sergio Grieco. . Trai film più importanti da lui sceneggiati o cosceneggiati ricordiamo: Una vita difficile (1962, di Dino Risi) e Io la conoscevo bene (1965 di Antonio Pietrangeli) I PRIMI FILM DA REGISTA DI SCOLA (1) . Scola debutta dietro la mdp nel periodo in cui il boom economico è finito e la commedia all’italiana sta raggiungendo il suo zenit. Il suo primo film è Se permette parliamo di donne (1964) nove ritratti femminili sulla scia del cinema al femminile di Antonio Pietrangeli ma piuttosto sapidi e costruiti sulla misura del gigionismo di Vittorio Gassman – un’opera poco apprezzata dalla critica. Gassman resterà l’attore più usato da Scola anche nei film successivi come La congiuntura (1964) e L’arcidiavolo (1966). Nel successivo Riusciranno i nostri eroi a ritrovare l'amico misteriosamente scomparso in Africa? (1968) abbiamo come interpreti , Alberto Sordi e Bernard Blier. . Il primo film importante di Scola regista arriva nel 1969 interpretato da Ugo Tognazzi: Il commissario Pepe. Qui si riprende il tema della corruzione della provincia italiana ma senza quella cattiveria grottesca esemplare narrata da Pietro Germi in Signore e signori (1965).

I FILM MIGLIORI DI ETTORE SCOLA: Dramma della gelosia

Con Dramma della gelosia - Tutti i particolari in cronaca (1970) scritto del regista con Age & Scarpelli, autori anche della sceneggiatura dell'affine Straziami, ma di baci saziami (1968) di Dino Risi, si racconta una storia a tre: il muratore Oreste (Marcello Mastroianni) si innamora della bella fioraia Adelaide (). Per lei lascia la famiglia, ma l'amore si interrompe per l’arrivo del più giovane e aitante Nello (Giancarlo Giannini), che, dopo essere diventato amico della coppia, finisce per sedurre Adelaide. Segue la tragedia Si tratta di una commedia divertente e dal ritmo sostenuto fino all'amaro finale. Uno dei motivi di fascino sta nella struttura interpellante, con gli attori che parlano allo schermo per riferirsi al giudice - e allo spettatore - di un invisibile processo. Come nel citato film di Risi, si ricorre al linguaggio della sottocultura, al fotoromanzo, ai rotocalchi, alla cronaca rosa oppure nera, per raccontare - attraverso la lente deformante del pittoresco - la vita di personaggi umili e impossibilitati a vivere il proprio destino. Mastroianni vincerà a Cannes la palma per la migliore interpretazione maschile.

C’ERAVAMO TANTO AMATI (1974) Credevamo di cambiare il mondo, invece il mondo ha cambiato noi.

- Nella storia di tre amici e di una ragazza, trent'anni di storia italiana. Si conoscono in montagna facendo i partigiani e affrontano il dopoguerra pieni di energia e di idee, ma l'infermiere rimane infermiere e il professore meridionale passa da una delusione all'altra. Solo il più smagato dei tre, l'avvocato Gianni, diventa ricco e potente. Quando si incontrano dopo molto tempo, non avrà il coraggio di confessare agli amici il proprio successo, ottenuto grazie a imbrogli, ad affari avventurosi, a un ricco matrimonio. - Parabola sociale e morale dell'Italia, proiettata nel microcosmo di quattro amici che affrontano il passaggio dall'idealismo al disincanto in modi diversi. - Si traccia un bilancio del dopoguerra, tingendo inevitabilmente l'esito di amarezza e il ritratto storico dell'Italia del dopoguerra assume le sembianze di affresco intimo e personale - Narrazione costruita con un continuo intreccio di flashback, con l'uso di immagini di repertorio, con inserti onirici, con attenzione al costume del nostro paese (vedi l'episodio di Lascia o raddoppia?), con espliciti omaggi a Fellini, Antonioni, De Sica, Ejzenstejn, O'Neill, e con un richiamo continuo all'ideologia ed alla politica. Una giornata particolare (1977)

Trama: 6 maggio del 1938, giorno della visita di Hitler a Roma. In un casermone popolare, Antonietta, moglie di un usciere e madre di sei figli, prepara la colazione, sveglia la famiglia, aiuta nei preparativi per la parata. Una volta sola, inavvertitamente, apre la gabbietta del merlo che va a posarsi sul davanzale di una appartamento di fronte al suo. Bussa alla porta, ad aprirle è Gabriele, ex annunciatore dell'EIAR che sta preparando la valigia in attesa di andare al confino perché omosessuale. Mentre la radio continua a trasmettere la radiocronaca dell'incontro tra Hitler e Mussolini, Antonietta e Gabriele si confronteranno l'uno nell'altro. Si tratta di una delle vette del cinema di Scola, autore anche della sceneggiatura scritta con Ruggero Maccari e di Maurizio Costanzo. Aperto da 6’ di cinegiornali a contestualizzare il momento storico, questo Kammerspiel si contraddistingue per una inedita Sofia Loren e per i movimenti di una macchina da presa mobilissima, con la fotografia color seppia di Pasqualino De Santis, con un'atmosfera ovattata che, meglio di qualunque altra, comunica una dolorosa sensazione d'attesa e che dinamizza gli ambienti chiusi del film.

LA FINE DELLA COMMEDIA ALL’ITALIANA . C’eravamo tanto amati (Ettore Scola, 1974) . Amici miei (Mario Monicelli, 1975) . Un borghese piccolo piccolo (Mario Monicelli, 1977) . Una giornata particolare (Ettore Scola, 1977) . I nuovi mostri (Monicelli, Risi e Scola, 1977) . La terrazza (Ettore Scola, 1980)

Alla metà degli anni Settanta nascono nuove forme di commedia ad esempio: Fantozzi (, 1975) interpretato da , Febbre da cavallo (Steno, 1976) oppure il debutto di Nanni Moretti con Io sono autarchico (1976) Gli esordi di Nanni Moretti - Figlio di un prof. universitario e di un’insegnante di liceo, Giovanni (Nanni) Moretti nasce a Brunico/Brunich il 19 Agosto 1953. Romano di Prati, fin da bambino, si appassiona al cinema e alla pallanuoto e si forma dentro i movimenti extraparlamentari di sinistra. - Gira dei cortometraggi con un gruppo di amici : La sconfitta, e Paté de bourgeois (entrambi del 1973); poi realizza una versione comica de I promessi sposi, Come parli, frate? (1974), un mm in cui interpreta il ruolo di Don Rodrigo. - Realizzato in Super8, Moretti debutta con Io sono un autarchico (1976) con protagonista Michele Apicella, alter- ego del regista in tutti film successivi sino a Bianca (1984). - Segue Ecce bombo (1978), suo primo film semiprofessionale in 16 mm, in cui si ripropone l’idea di fotografare a caldo la generazione dei reduci del ’68, attraverso la figura autobiografica di Michele e dei suoi amici.

L’importanza di Moretti (1)

Il “caso” Moretti è stato importante per far nascere un nuovo modello di sviluppo nel cinema italiano. Egli ha dimostrato: 1) si può entrare nel cinema da una via che non sia quella tradizionale dell’industria e della professione. Moretti inizia con dei Super8 autoprodotti e poi lavora in 16 mm, non ha fatto il CSC, non ha cercato di imparare il mestiere né di imporsi nel cinema professionale. Il suo lavoro scaturisce dalla cinefilia “Nouvelle Vague” e dall’istruzione universitaria (il Dams di Bologna). Realizza il suo primo lm nel primo anno di grande crisi del cinema italiano, il 1976 quello però di Cadaveri eccellenti di Rosi o Todo modo di Petri. 2) Moretti diventa subito il cineasta di riferimento di una intera generazione.

L’importanza di Moretti (2) 3) Nei film di Moretti si ride per le battute e le situazioni ma non siamo dentro la commedia all’italiana. Inoltre il fondo tragico (o tragi-comico) e moralista dei suoi film lo ha portato lontano dall’esperienza artistica dei “nuovi comici”. Allo stesso Moretti si deve la formula per definire i propri lavori, quella del film “divertente che fa soffrire”. 4) Al centro di un cinema dalla trama “debole” c’è sempre una forte tensione etico- politico. 5) A differenza della generazione dei grandi registi “politici” del passato alle prese con grandi temi (la Mafia, il terzo mondo, la speculazione edilizia, l’autoritarismo nella polizia o nella fabbrica), Moretti parte dal privato e dal quotidiano, secondo un celebre slogan: “il personale è politico”.

MORETTI NEGLI ANNI OTTANTA . In Sogni d’Oro (1981), per la prima volta Moretti usa attori professionisti ( e ) Gran Premio Speciale della Giuria al Festival di Venezia. Poco riuscito film sul cinema, si racconta di un regista, Michela Apicella, al lavoro su La mamma di Freud, dove avvengono una serie di eventi che lo faranno apparire più antipatico e asociale che mai. . Sempre con Laura Morante, nel 1984, gira Bianca, poi l’anno successivo segue La messa è finita (1985) entrambi sceneggiati insieme a Sandro Petraglia, in cui si narra la storia di un sacerdote alla prese con il dolore e i problemi dei suoi parrocchiani. Il film ottiene l’ Orso d’argento al Festival di Berlino. I due film segnalano una grande crescita professionale di Moretti. Nel 1986 fonda, con Angelo Barbagallo, la Sacher Film che, oltre a produrre i suoi lavori, farà debuttare registi come (Notte italiana), Daniele Luchetti (Domani accadrà e Il portaborse) e poi Mimmo Calopresti (La seconda volta). Apre anche una sala a Roma, il Nuovo Sacher, e nel 1997, una società di distribuzione (prima Tandem poi Sacher Distribuzione).

LO STILE DEL PRIMO MORETTI . Come dimostrano già Bianca (1984) e La messa è finita (1985) l’opera di Moretti ha ben poco a che spartire con quello che sarà l’unico fenomeno originale di rinnovamento del nostro cinema in quel periodo, quello appunto di alcuni attori del comparto comico che passano dietro la macchina da presa. Ormai morta la “commedia all’italiana”, il suo posto viene preso da una nuova generazione che impone delle modalità di commedia estremamente diverse, quello dei cosiddetti “nuovi comici” come Carlo Verdone, , Roberto Benigni, , ecc. . Le principali caratteristiche stilistiche del primo Moretti: estrema semplicità, per non dire primitivismo della messa in scena dove dominano incontrastate, quasi fosse teatro filmato, la macchina fissa e il montaggio interno all’inquadratura. La narrazione è segmentata, le scene si susseguono alle scene in modo meccanico quasi fosse una “striscia”, un comic- stripes di un fumetto. . Il filmmaker romano si occupa di privato e di quotidiano: Michele Apicella, la sorella Valentina, la madre (anche se ad interpretarli sono poi attori diversi), il padre. Il luogo privilegiato degli incontri/scontri di Moretti sono la stanza da pranzo o la scuola. I suoi tic ed ossessioni ricorrenti le conversazioni al telefono, la polemica sul linguaggio in particolare sul “sinistrese” o il politichese, le continue battute sul cinema e gli autori che detesta, la passione per i dolci, oppure - come in Bunuel o Bertolucci - l’esibizione delle scarpe.

Palombella rossa (1989) Con: Nanni Moretti, Mariella Valentini, , Eugenio Masciari,

Trama: Torna la figura di Michele Apicella, questa volta funzionario del PCI: in seguito ad un incidente si ritrova senza memoria e durante una partita di pallanuoto, colto da amnesia, rimette insieme i pezzi della propria vita e discute sul disagio, la confusione, le contraddizioni della Sinistra. Omaggio alla pallanuoto (lo sport praticato con successo dal giovane Moretti) e prima apparizione di Moretti nella parte di un personaggio politico, Palombella Rossa parla dell’ennesima crisi d’identità del suo alter-ego. Se sino ad allora, la politica era stato un ingrediente fondamentale del cinema morettiano, qui però si prende di petto, in modo quasi profetico, l’imminente crisi della sinistra comunista. Palombella Rossa esce nel settembre 1989 al Festival di Venezia diventando un caso politico-giornalistico. Due mesi dopo cadrà il muro di Berlino, aprendo il mondo ad un nuovo scenario, non più basato sull’antagonismo tra le due superpotenze. Interpretato da Silvio Orlando (alla prima apparizione in una opera morettina), da una giovanissima Asia Argento (nella parte della figlia di Moretti) e da molti amici e colleghi del regista, è diventato il suo primo successo di pubblico internazionale, aprendo una grande discussione su cosa significava essere di sinistra, sulla perdita della memoria e dell’identità storica. Caro Diario(1993)

Con: Nanni Moretti, Nanni Moretti, Silvia Nono, , Antonio Neiwiller.

Trama: in tre episodi (In vespa, Isole e Medici), nel primo siamo a Roma in agosto e Moretti girovaga in moto. Dopo aver osservato delle coppie ballare, incontra per caso Jennifer Beals, poi va a vedere Henry-Pioggia di sangue (John McNaughton, 1999 ) che trova brutto e violento. Decide di fare un terzo grado a un critico che lo ha lodato, infine arriva sulla tomba di Pasolini a Ostia. In Isole, la parte più disimpegnata e divertente, incontra un amico che non ama la televisione. Girano le Eolie fino a quando la tranquillità e la solitudine non fanno esplodere l'amico, che si converte a Beautiful e a Chi l'ha visto? e fugge verso il continente. Medici è la cronistoria, con una ripresa iniziale autentica, della malattia contratta da Moretti. Diagnosi e medicine sbagliate, medici poco disposti ad ascoltare. Poi il paradosso finale: la presunta malattia della pelle era un tumore benigno i cui sintomi erano riportati in una semplice enciclopedia. Da molti considerato il suo capolavoro, in Caro diario (Premio per la regia al Festival di Cannes) si passa da un sentito omaggio a Pasolini e alla città di Roma, alla ironica critica del cinema e della tv, fino alla scoperta di un tumore benigno. La forma diaristica (cfr. il Wim Wenders di Der Himmel über Berlin , 1987), già esplicita e dichiarata nel titolo, qui si mescola ad una sorta di autobiografia personale e politica. Moretti non straparla di sé come spesso accade, trovando una felice e originale forma di equilibrio filmico. Aprile(1998) Con: Nanni Moretti, Silvio Orlando e Silvia Nono

Trama: Il discorso di Emilio Fede al Tg4 annuncia la vittoria di Silvio Berlusconi alle politiche del 1994. Sconcertato dalla vittoria della destra Moretti intende girare un documentario su Berlusconi e il conflitto d'interessi. L’idea viene accantonata per fare posto ad un musical. Ma nel 1996 ci saranno le elezioni anticipate e Moretti (che nel frattempo aveva sospeso il musical per mancanza d'idee) ripensa al suo progetto del doc. Contemporaneamente la moglie gli rivela di essere incinta e da quel momento la vita di Moretti si divide tra il lavoro sul documentario e la nascita del figlio. Incontra notevoli difficoltà professionali e soprattutto personali nel ruolo di padre. Il documentario non verrà realizzato in tempo, quindi Moretti abbandona il progetto (anche per via della vittoria della sinistra) e si dedica nuovamente al musical.

Aprile fonde insieme la forma del film di famiglia (un retaggio del suo passato di Super8) con la forma fratta del diario intimo. Il film parte dal 28 marzo 1994 (data della vittoria elettorale del centro-destra di Silvio Berlusconi) e termina nell’agosto 1997 quando l’autore decide di tornare al cinema di finzione su un progetto sempre vagheggiato e mai sinora girato se non sotto forma della sequenza finale. Nel film che porta all’estremo il mix di Caro Diario, si mescolano la crisi della generazione post-68, la mediocrità della classe dirigente, il tentennare della sinistra, la volgarità della tv e l’indifferenza cinica della gente. Moretti nel terzo millenio Sino a oggi, Moretti ha realizzato 4 opere abbastanza diverse dai precedenti nello stile ma forse non altrettanto valide. Palma d’Oro al Festival di Cannes del 2001, La stanza del figlio (2001) segna il ritorno di Laura Morante nel cinema di Moretti. Anche se il finale sembrerebbe rasserenante, nel narrare l’elaborazione del lutto del figlio da parte del protagonista (sempre interpretato dal regista), è un’opera cupa, dove non si ride mai, anche se ricompaiono puntuali tutti i tic e le ossessioni dell’autore. Nel 2002, facendosi portavoce di una diffusa posizione critica sia nei confronti del governo di centrodestra sia degli esponenti del centrosinistra, è tra i promotori del movimento dei girotondi. Questo periodo di politica attiva sfocia in un film profondamente schierato Il caimano (2006), esplicito atto di denuncia contro il premier Silvio Berlusconi. Seguono infine, nel 2011, Habemus Papam e infine il dodicesimo lm, Mia madre (2015), forse insieme a La stanza del figlio, il suo film più doloroso e soffert0.

Il fenomeno dei “nuovi comici”

Roberto Remigio Benigni (Castiglion Fiorentino, 1952). (Milano 1948) debutta nel 1979 con Ratataplan. Termina la sua carriera cinematografica nel 2001 con Honolulu Baby dove ritorna ad interpretare l'ingegnere Colombo, protagonista della sua pellicola d'esordio. Francesco Nuti (Prato 1955) inizia con il gruppo dei “Giancattivi” ( e Athina Cenci) in Ad ovest di Paperino (1981). Poi tre film diretti da : Madonna che silenzio c’è stasera (1982), Io, Chiara e lo Scuro (1983) e Son contento (1983). Il primo film da regista è Casablanca, Casablanca (1985) mentre l’ultimo è del 2001 Caruso, zero in condotta. Alla vigilia del ritorno sul set, il 3 settembre 2006 entra in coma a causa di un ematoma cranico dovuto ad un mai chiarito incidente domestico. Da allora non si è mai più ripreso. Massimo Troisi (, 1953 – Roma, 1994) gira nel 1981 . E’ autore di pochi film ma molto significativi: Morto Troisi, viva Troisi! (1982, tv movie), (1983), Non ci resta che piangere (co-regia con Benigni,1984), Le vie del Signore sono finite (1987), Pensavo fosse amore... invece era un calesse (1991), Il postino (regia di , 1994). Muore a soli 41 anni, per un fatale attacco cardiaco.

Il fenomeno dei “nuovi comici” (2)

Carlo Verdone (Roma 1950) debutta con Un sacco bello (1980, qui nel personaggio dell’hippie Ruggero Brega). Tratti comuni a questa generazione di comici-registi: • formazione e frequentazione del cabaret, del teatro o in tv; • un umorismo legato alla vita quotidiana e/o ad una situazione esistenziale; • una forte connotazione regionale (Roma, Toscana, , Milano). • A questa leva almeno all’inizio venne assimilato anche Nanni Moretti (Brunico,1953 ma romanissimo) che aveva già debuttato nel 1976 con Io sono un autarchico ma che già negli anni Ottanta trova una propria strada molto personale.

Roberto Benigni (1952): i film e le interpretazioni(1) Berlinguer ti voglio bene, (1977) regia di Giuseppe Bertolucci (1947 – 2012) La luna, regia di Bernardo Bertolucci (1979) Chiaro di donna (Clair de femme), regia di Costa-Gavras (1979) Chiedo asilo, regia di Marco Ferreri (1979) Il Pap'occhio, regia di Renzo Arbore (1980) Il minestrone, regia di (1981) Tu mi turbi, regia di Roberto Benigni (1983) "FF.SS." - Cioè: "...che mi hai portato a fare sopra a Posillipo se non mi vuoi più bene?", regia di Renzo Arbore (1983) Non ci resta che piangere, regia di R. Benigni e Massimo Troisi (1984) Tuttobenigni, regia di Giuseppe Bertolucci (1983) Coffee and Cigarettes, regia di Jim Jarmusch (1986/2003) Daunbailò (Down by Law), regia di Jim Jarmusch (1986) Il piccolo diavolo, regia di Roberto Benigni (1988)

Roberto Benigni: i film e le interpretazioni(2) La voce della Luna, regia di (1990) Taxisti di notte (Night on Earth), regia di Jim Jarmusch (1991) , regia di Roberto Benigni (1991) Il figlio della pantera rosa (Son of the Pink Panther), regia di Blake Edwards (1993) Il mostro, regia di Roberto Benigni (1994) La vita è bella, regia di Roberto Benigni (1997) Asterix e Obelix contro Cesare (Asterix et Obelix contre Cesar), regia di Claude Zidi (1999) Pinocchio, regia di Roberto Benigni (2002) La tigre e la neve, regia di Roberto Benigni (2005) To with Love, regia di Woody Allen (2012)

Gli anni ottanta Tu mi turbi (1983) è composto da 4 episodi: “Durante Cristo” (Benigni è un pastore che ha smarrito il gregge, ma fa da baby-sitter a Gesù che fa il miracolo), “Angelo” (Benigni sogna che il suo bell’angelo custode lo voglia lasciare per un altro), “In banca” (Benigni cerca invano un prestito), “I due militi” (di guardia al Milite ignoto si fa beffe del suo compagno). . Non ci resta che piangere (1984), regia di R. B. e Massimo Troisi è la storia di due uomini che tornano indietro nel tempo e finiscono nell’Italia rinascimentale, fra le prediche di Savonarola e le invenzioni di . Il film diviene un campione di incassi assoluto. Alla sceneggiatura partecipa anche Giuseppe Bertolucci (1947-2012) ma questo resterà l’ultimo film della loro collaborazione. . Il piccolo diavolo (1988) Un prete americano scaccia il demonio da una donna assatanata . Ma il diavoletto uscito fuori ha la tendenza al disastro e complicare la vita al povero esorcista. Una diavolessa mandata in missione sulla terrà riuscirà a riportare giù all’inferno il reprobo Benigni innamorato. Con questo film inizia una fruttuosa collaborazione con lo scrittore e sceneggiatore Vincenzo Cerami (Roma 1940- 2013).

Gli anni Novanta . In Johnny Stecchino (1991) si racconta la storia di un boss latitante e del suo sosia, conducente di autobus per bambini down. Per questa virtuosa interpretazione in un duplice ruolo, vincerà un secondo Nastro d’Argento come miglior attore. Il film sempre sceneggiato insieme a Cerami contiene molti omaggi a Totò, a Chaplin e ai fratelli Marx. Il personaggio di Johnny Stecchino è ispirato a Charlie Stecchino, un mafioso che viene ucciso da un clan rivale all'inizio del film A qualcuno piace caldo (Some Like It Hot, 1959) di Billy Wilder. . Lontanamente ispirato al caso di Cronaca del cosiddetto Mostro di Firenze, in Il mostro (1994) B. interpreta Boris un buon diavolo che s'arrangia come può per campare. È quindi logico che venga accusato di essere un maniaco assassino. Deve vedersela con un amministratore per nulla simpatico, con uno psichiatra criminologo e con una poliziotta. Il film supera il record al box office del precedente Johnny Stecchino e quindi per lungo tempo è stato al primo e secondo posto della classifica d'incassi in Italia di tutti i tempi. Un film onesto ma niente di più. La vita è bella (1997) Con La vita è bella Benigni giunge all’apice del suo successo e della carriera. Si tratta della storia del cameriere ebreo Guido Orefice che durante la guerra finisce in un campo di concentramento con moglie e figlio e che cerca di mascherare la realtà dei fatti al proprio bimbo. Un progetto ambizioso e senza fiato, ma allo stesso tempo difficile e rischioso. È il classico film che o si ama o si odia. Scritto da Vincenzo Cerami, suo fidato sceneggiatore, riceve sette nomination agli Oscar, vincendo per la colonna sonora (di Nicola Piovani), per il miglior film straniero e, soprattutto, quello di miglior attore protagonista. Benigni diventa così il primo attore italiano a vincere l’Oscar; vince anche 5 Nastri d’Argento, 9 David di Donatelo e il Gran Premio della Giuria al Festival di Cannes. Gli ultimi due film . Pinocchio (2002) è stato forse il film più deludente di Benigni rispetto a quanto ci si sarebbe immaginato da un soggetto che sembrerebbe stato fatto per lui.

. A oggi La tigre e la neve (2005) - grazie al quale vincerà un altro Nastro d’Argento ma per il miglior soggetto – resta il suo ultimo film. Trama: Attilio è un poeta che ogni notte sogna di sposare la donna della sua vita, Vittoria, che nella realtà lo sfugge di continuo. Quando lei, partita per un'intervista al più importante poeta iracheno rientrato in patria in prossimità della guerra, verrà gravemente ferita Attilio la raggiungerà e farà di tutto per salvarla. Non ci saranno ostacoli che potranno fermarlo nel tentativo di farla sopravvivere: dalla mancanza di medicinali al posto di blocco in cui verrà ritenuto un terrorista. È una storia di amore tout court quella che Benigni ci propone questa volta. Quell'amore che, partendo dai singoli, può portare la vita al suo massimo splendore. Secondo me il peggio di Benigni che declina il suo film in maniera drammatica senza alcun elemento di comicità che c’era stato sempre nella sua filmografia. Per il resto basterà ricordare una fortunatissima trasmissione tv La più bella del mondo (2012) e l’apparizione nel film di Woody Allen To Rome with Love, sempre del 2012.

Gli esordi di Bernardo Bertolucci Nato a Parma (1941) e primo figlio del grande poeta Attilio Bertolucci (1911- 2000), Bernardo trascorre la sua infanzia a Baccanelli (nei dintorni di Parma) per poi trasferirsi a Roma con la famiglia nel 1952. Anche il fratello minore Giuseppe (1947- 2012) è stato un valido regista e organizzatore culturale. . Se Marco Bellocchio è stato influenzato dal Free Cinema inglese, Bertolucci ha rivolto tutte le sue attenzioni cinefile al cinema francese della Nouvelle vague. . Del 1956 (La morte del maiale) e del 1957 (La teleferica) risalgono le sue prime esperienze amatoriali in 8 mm, oggi andate perdute. . Malgrado una grande cinefilia, il giovane Bertolucci inizialmente vuole diventare un poeta e frequenta, , che viveva nella stesso edificio della famiglia Bertolucci. Nel 1962 vince il premio Viareggio con la raccolta In cerca del mistero. . Con Pasolini inizia il suo avvicinamento al cinema: prima come assistente di Accattone (1961), poi dopo aver scritto la sceneggiatura de La commare secca (insieme a Sergio Citti ), passa alla regia di questo progetto che Pasolini avrebbe dovuto dirigere ma aveva lasciato al suo discepolo. Il film viene presentato al Festival di Venezia del 1962 con discreto successo.

Prima della rivoluzione (1964) - E’ un film chiave nell’evoluzione artistica di Bertolucci perché vi ritroviamo,in nuce, tutte le ossessioni cinematografica del nostro autore. Con: Adriana Asti, Allen Midget, Francesco Barilli, Morando Morandini, Gianni Amico. Trama: la storia di un amore impossibile. Il ventenne Fabrizio (Barilli), figlio di un'agiata famiglia di Parma, ama, riamato, Gina (Adriana Asti), giovane e nevrotica sorella di sua madre, ma non ha il coraggio (e la maturità) di andare fino in fondo e si adatta a un matrimonio di convenienza, rinunciando anche all'impegno politico di iscritto al PCI: "Per gente come me è sempre prima della rivoluzione". - La ”educazione sentimentale” di un giovane borghese in preda all’ambiguità - sia in ambito politico e soprattutto personale (il rapporto con Gina e cioè dell’incesto). - Per la prima volta vengono usati dei professionisti. Ma anche amici del regista. - E’ una sorta di ritorno a casa: Parma e l’Opera italiana e contiene una scena di ballo . - Il film ha scarso successo e segue un momento difficile e molto vario di proposte.

Il 68’di Bertolucci:Agonia, Partner, La strategia del ragno - La sua produzione successiva è molto varia: gira un doc. su commissione per la RAI, La via del petrolio (1965/66) in due parti, scrive la sceneggiatura (con Dario Argento) di C’era una volta il West (1968) di Sergio Leone e dopo diversi progetti mancati realizza 2 film molto legati al momento storico della rivolta studentesca: Agonia (con il “Living Theater” di Julian Beck) per Amore e rabbia (1969), composto da altri 4 episodi diretti da Lizzani, Pasolini , Godard, Bellocchio (Discutiamo, discutiamo). - Fatto quasi in diretta con gli eventi del maggio francese, Partner (1968) apparentemente, è un adattamento letterario, l’ attualizzazione de Il sosia di Dostoevskij (1846) ma, in realtà, è una parabola neanche troppo cifrata del contemporaneo maggio ’68 nello stile tipico de tempi con interminabili piano-sequenza contro l’uso del montaggio. - La narrazione finalizza tutti gli elementi visivi e sonori a una scomposizione schizofrenica di una realtà (la vita) che deve di continuo confrontarsi con la finzione (il cinema e il teatro). Un film anche secondo l’autore “malato”. Il 68’di Bertolucci:i Doc militanti e La strategia del ragno - - A seguito dell’insuccesso di Partner Bertolucci realizza in un “passo doppio” Strategia del ragno (girato nell’estate 1969) e Il conformista. - Il tv movie Strategia del ragno (per la Rai) rappresenta una rivisitazione regionale della tradizione americano in chiave di cinema politico “deluso” dagli ideali resistenziali che hanno fatto il loro tempo - ancora una volta si riprende la classica figura dell’indeciso non ancora però diventato un “conformista”. Lo spunto viene dal racconto Il tema del traditore e dell’eroe di Jorge Luis Borges (1899-1986) - Come ha dichiarato l’autore, la sua attività professionale è stata profondamente influenza da una terapia psicanalitica in un mix tra cinema e vita molto stretto. Come avverrà anche in seguito. - A concludere l’esperienza del 68’ segue un’opera “militante” al pari di quasi tutti i cineasti di sinistra all’epoca: nel 1971 realizza in 16 mm il doc.: La salute è malata (I poveri muoiono prima) fatto per la campagna elettore del PCI. - Seguirà diversi anni dopo L'addio a Enrico Berlinguer (1984) , un doc– omaggio collettivo al grande leader comunista. Il conformista (1971) 1 Con : Jean-Louis Trintignant, , Dominique Sanda, Gastone Moschin. Trama: Marcello Clerici (Trintignant) si reca a Parigi in luna di miele. Il viaggio è una copertura: all'insaputa della moglie Giulia (Sandrelli), deve eliminare il suo ex professore antifascista. Il “conformista” sente vacillare la fede fascista e in più s'innamora della moglie del Prof. (Sanda). I caratteri principali del film: 1) Per la prima volta Bertolucci compie un vero adattamento dell’omonimo romanzo (1951) di Alberto Moravia (1907 – 1990) e non usa la letteratura solo come spunto (Borges o Dostrojevski). E’ mutato l’atteggiamento nei confronti della sceneggiatura mentre la struttura temporale è a flash-back incastrati l’uno nell’altro a differenza del romanzo. Il conformista (1971) 2

2) Sotto le spoglie di un film “di impegno civile”, pur nel mutamento di ottica (grande pubblico, grande budget, cast internazionale) Bertolucci non rinunzia ad uno stile molto personale e alle sue ossessioni filmiche. ll tema dell’estraneità sarà poi sviluppato in toto in Last Tango in Paris. . 3) Grazie al lavoro di Kim Arcalli Roma (1929 – 1978), si “scopre” l’importanza delmontaggio contro l’”ideologia” del piano sequenza. . 4) Per la prima volta la musica extradiegetica è composta da un musicista Georges Delerue (1925 – 1992). . 5) Con Il conformista Bertolucci trova il fulcro centrale della sua poetica e cioè l’idea che il cinema sia voyerismo. Last Tango in Paris/ Ultimo tango a Parigi(1972) Con Marlon Brando, Maria Schneider:,Jean Pierre Léaud:,:, Maria Michi

Trama: In un appartamento da affittare, Paul incontra Jeanne e le impone il primo . d'una lunga serie di violenti rapporti sessuali. Nonostante il patto,di non dirsi . nemmeno il nome, nei successivi incontri, i due tracciano di loro stessi minuziosi . ritratti di esseri alla deriva . Lui, 43 anni, americano, figlio di alcoolizzati, era stato 5 anni con Rosa appena uccisasi. Lei giovanissima, è combattuta fra l'attrazione e il disgusto per il maturo amante e il fascino del coetaneo Tom, un regista velleitario, ma sincero e affezionato e si prepara al matrimonio con quest'ultimo. Ma non si ribella alle pretese più estreme di Paul. . È assai difficile parlare di Last Tango in Paris (1972) al di fuori di quanto dal punto di vista extra- cinematografico ha significato (la censura, il film bruciato, la moda, tutto il discorso femminista inizio anni Settanta, le polemiche riprese dopo la morte della Schneider nel 2011 sulle conseguenze psicologiche della celebre scena di sodomia). La cassazione italiana con un sentenza del gennaio 1976, considerando osceno il film, ha ordinato che ne fossero bruciati i negativi. Nel 1987 una nuova sentenza ha stabilito la "non oscenita'" del film consentendone la riedizione. . Ultimo tango è veramente un film “alla metà dell’Atlantico” per il discorso America-Europa (Marlon Brando ne è la perfetta incarnazione) e per il conseguente stile sviluppato nato dopo Il conformista. Si contraddistingue per un continuo gioco di rimandi cinefili a partire da Brando che cita se stesso. Bertolucci si permette quasi dell’ironia e del sarcasmo nei confronti della “Nouvelle Vague” che aveva adorato.

Novecento I e II (1976)

Con Robert De Niro, Gérard Depardieu, , Donald Sutherland, Dominique Sanda, Alida Valli, Stefania Sandrelli,

Trama: I due protagonisti nascono entrambi il 27 gennaio 1901 e nello stesso luogo (una grande azienda agricola emiliana): Alfredo (De Niro ) è il figlio dei ricchi proprietari, i Berlinghieri; Olmo (Depardieu ) è figlio di una contadina Rosina e di uomo noto solo a lei. Le lotte contadine e la Grande Guerra prima, e il fascismo con la lotta partigiana per la Liberazione poi, sono al centro del racconto. Altre due figure indimenticabili sono il nonno di Alfredo (Lancaster) e Attila (Sutherland ) un fattore violento e spietato che rappresenta l’arrivo del fascismo in un luogo dove la ricca borghesia iniziava a temere il socialismo. Nel giorno della Liberazione, Attila viene giustiziato e Alfredo è preso in ostaggio. Olmo, creduto morto, ricompare ed inscena un processo sommario ad Alfredo. Il legame di amicizia però prevale mentre sopraggiungono i membri del CLN a disarmare i contadini. Alfredo ed Olmo iniziano così a scherzare di nuovo e ad accapigliarsi come da bambini. Novecento

- E’ uno dei film più caratteristici degli anni Settanta con tutte le sue contraddizioni: il progetto “ideologico” di fare del cinema politico-intellettuale con mezzi popolari, di parlare della storia del Socialismo nella Padana con i soldi (e attori) americani. - Pur essendo un kolossal sembra un film “regionale” emiliano un po’ semplificato. - Le sequenze finali del “processo al padrone” sono state quelle più contestate, quasi da ex cinema militante o forse un inserto teatrale quasi di origine brechtiana. - In Novecento emerge uno dei fili rossi della poetica di Bertolucci mai mostrata sino a quel momento in modo così chiaro: l’importanza dell’infanzia. La produzione di Bernardo Bertolucci sino alla sua svolta internazionale: La luna e La tragedia di un uomo ridicolo . Bertolucci ha definito La Luna (1979) il suo “musical” e alla presentazione al Festival di Venezia diversi critici lo hanno “strapazzato”. In effetti si tratta di una vera e propria Opera verdiana (e non solo per il banale motivo che la protagonista è una cantante lirica americana che rientra in Italia ) . Il film è di un assoluto non-naturalismo (per esempio nel trattare la questione giovanile o quella della droga), è cinema di “simulazione” (non analizza bensì mostra dei personaggi). . Nel evidenziare un discorso tra l’armonia del melodramma e la disarmonia della cronaca, B. riprende il motivo dell’incesto (di Prima della rivoluzione di cui questo film in qualche modo è una continuazione: la zia è diventata una madre) e si trasforma in melos+dramma). . Dopo il precedente film profondamente “ottimistico” , il seguente è invece del tutto sfiduciato, probabilmente il più cupo di tutta la carriera di Bertolucci. D’altronde eravamo nel pieno delle conseguenze degli “anni di piombo” del terrorismo e della crisi del cinema italiano. . La Tragedia di un uomo ridicolo (1981) - definito come un Novecento atto terzo - è forse un’opera “minore” ma è anche profondamente inquietante per la mancanza di un punto di vista “positivo”: non ci sono più confini tra bene e male, giusto ed ingiusto. Anche la nuova generazione non pare che esprima l’ideale politico mentre il punto di vista dell’autore resta quello di un comunismo contadino. . Il film ha avuto due versioni molto diverse la seconda introduce la voce narrante fuori campo) e ha come protagonista Ugo di Tognazzi, grande simbolo (ma non solo) di un genere detestato da B. come la “commedia all’italiana”. . Qui si chiude per molti anni il dialogo di Bertolucci con la realtà italiana. Last Emperor/L’ultimo

imperatore (1987) . Il tema del viaggio si affaccia prepotentemente a partire da quella che è stata soprannominata, la trilogia “esotica”. Si tratta di un variegato corpus di opere che parte col maestoso L’ultimo imperatore (il trionfo dell’anima più spettacolare e “hollywoodiana” di un regista che ha sempre cercato di intervallare opere piccole ed intime con altre di più ampio respiro popolare e di più marcata vocazione corale), passando per il cupo pessimismo de Il tè nel deserto (1990, opera che coniuga il tema del Viaggio nella logica dell’annullamento di se stessi all’interno dell’Alterità di paesaggi esotici e sconosciuti); per approdare, infine, alla favola limpida e distesa di Piccolo Buddha (1993) che risolve le contraddizioni dei due film precedenti nella logica di uno scioglimento del sé più serena e positiva. . Con lo “scandaloso” Ultimo tango a Parigi (1972), L’ultimo Imperatore è la più conosciuta opera, in ogni caso la più fortunata, internazionalmente parlando, di Bernardo Bertolucci. . Ha vinto all’epoca ben nove premi Oscar: al film, al regista, alla sceneggiatura adattata (B.B. con Mark Peploe e Enzo Ungari), alla fotografia (Vittorio Storaro), al montaggio (Gabriella Cristiani), alla musica (Ryuichi Sakamoto, David Byrne e Cong Su), oltre che alle scenografie di Ferdinando Scarfiotti, ai costumi e al sonoro. Last Emperor/L’ultimo imperatore (2) . In questo un film elegante e maestoso, melò intimista e kolossal storico, si racconta la storia, vera, di un uomo che nacque (nel 1906) ultimo imperatore della Cine e morì (nel 1967) cittadino qualsiasi della Repubblica Popolare Cinese, una storia basata sulle memorie del protagonista Pu Yi e su quelle di Reginald Johnston, il suo precettore scozzese. . E’ stato scritto che è il “tragitto di un uomo dall’onnipotenza alla normalità, dal buio della nevrosi alla luce della quotidianità”, ma si tratta anche della curiosa parabola di una specie di attore coatto, di qualcuno costretto – da bambino dai compatrioti, da adulto dai giapponesi invasori che lo incoronano una seconda volta imperatore di uno stato fantoccio al loro servizio: il Manchukuo – a recitare una parte che, in fondo, gli piace e non gli piace – sino, infine, diventare giardiniere nell’orto botanico di Pechino. . Il personaggio di Pu Yi è dunque l’ennesimo eroe maschile, fragile, indeciso e sconfitto, della filmografia di Bernardo Bertolucci. Come Paul di Ultimo tango a Parigi o l’Alfredo di Novecento, anche Pu Yi vive sulla sua pelle la tragedia di un destino più grande di lui e sconta le pene di un rapporto famigliare controverso e difficile macchiato dall’impossibilità di definizione di un rapporto col padre (tema questo che rappresenta un’ossessione continua nel cinema del nostro regista). . Se il personaggio si sposta poco nell’economia di un film che più che raccontare la storia di un individuo eccezionale sembra essere nato dall’idea di raccontare la storia di un’intera nazione che in lui si è riflessa, ad essere in viaggio in L’ultimo imperatore è il regista stesso che lascia Italia ed Occidente per mettersi alla ricerca di qualcosa di più vero. . Il dato personale (la conversione al buddismo del regista) e la scoperta della filosofia orientale si sposano in maniera invidiabile con un melodramma ampiamente spettacolare, denso di movimenti di macchina e di scene corali che rivelano sempre il bisogno di una scoperta. Bertolucci filma la Cina come fosse Marte ma che ricorda però anche la sua natia Parma e il suo amato comunismo contadino emiliano. La produzione di Bertolucci sino a oggi Gli altri due film della “trilogia esotica”: Il tè nel deserto (The Sheltering Sky) (1990) Piccolo Buddha (Little Buddha) (1993) Poi il ritorno in Europa e in Italia: Io ballo da sola (Stealing Beauty) (1996) L'assedio (Besieged) (1998) The Dreamers (2003) Io e te (2012) Marco Bellocchio (1939) “Il mio lavoro è sempre stato contraddistinto da uno zizzagare continuo tra generi cinematografici, teatro, cinema militante, tutte esperienze da cui ho sempre cercato di farmi coinvolgere totalmente. Tutto questo (...) mi ha anche fatto restare, come dire, un po’ un eterno dilettante, perché in questo passare da un’esperienza all’altra, e per il modo con cui l’affrontavo, c’era un non volersi convincere dei propri limiti, un non voler rinunciare al sogno onnipotente” Autore ad oggi di 23 lm di finzione e poi di corti e mediometraggi, episodi di film, documentari e documentazioni tv, la sua poetica ha molte similitudini e somiglianze con quella di Bernardo Bertolucci soprattutto all’inizio della carriera. Inoltre il suo luogo di nascita Piacenza non è molto distante da Parma, entrambi appartengono alla medesima generazione che ha iniziato negli anni Sessanta e ha dato vita al Nuovo cinema italiano e quello del 68’. Al pari di Bertolucci, Bellocchio ha scritto da giovane poesie, come lui si è interessato e ha utilizzato l’Opera lirica, per non parlare dell’importanza della psicanalisi, del sesso e della militanza politica che hanno fortemente influenzato entrambi. Gli elementi salienti della formazione di Bellocchio - Nasce a Piacenza il 9 novembre 1939 da una ricca famiglia borghese di provincia. - Riceve un’educazione strettamente confessionale in vari istituti cattolici. - Alla morte del padre nel 1956 vive una profonda crisi religiosa. - Nel 1959 entra al CSC di Roma per studiare recitazione e poi passa alla classe di regia. - I suoi primi film: La colpa e la pena (1961, cm), il doc. Abbasso il zio (1961) e il mm Un Ginepro fatto uomo, il saggio di diploma al CSC. - Nell’autunno del 1962 parte per l’Inghilterra dove frequenta con una borsa di studio la Slade School of Fine Arts e respira lo spirito contestativo del movimento degli Angry Young Men (I“Giovani arrabbiati”) e del Free Cinema. - Scrive poesie dopo aver coltivato la pittura. E’ stato influenzato dal forte rigorismo politico-ideologico dei «Quaderni Piacentini», la rivista co-diretta dal fratello Piergiorgio. I pugni in tasca (1965)

La trama: la feroce dissoluzione di una famiglia borghese composta da una madre cieca e da quattro fratelli: Augusto è l’unico “sano” del gruppo. ha una fidanzata e una vita di relazioni normali; il fratello minore Leone, affetto da ritardo mentale ed epilessia, è un ragazzo tenero, indifeso ed immensamente dolce ma inutile, un impaccio agli occhi degli altri; Giulia (Paola Pitagora), l’unica sorella, vive un rapporto morboso con la famiglia e ha delle tendenze chiaramente incestuose; ed infine Alessandro (Lou Castel), il protagonista, è quello che con maggiore lucidità ma in modo distorto avverte il disagio familiare e cercherà di risolverlo a suo modo in maniera criminale (uccide prima la madre e poi il fratello minorato, alla fine sarà lui stesso vittima del meccanismo). - Il soggetto venne scritto in Inghilterra - Il finanziamento maggiore del film venne - una cosa un po’ strana per un’opera profondamente contro la famiglia – proprio dal fratello Tonino magistrato mentre la madre mise a disposizione due ville di campagna a Bobbio dove sono stati girati gli interni. - A parte Paola Pitagora, il cast era in gran parte costituito da non-professionisti a partire dal protagonista Lou Castel (1943) conosciuto al Centro Sperimentale di Cinematografia. - Il ruolo della musica - Il grande dibattito scatenato dal film (ad esempio Pasolini)

La produzione “impegnata” sino a Marcia trionfale (1976) I Dopo la satira politica di La Cina è vicina (1967), Bellocchio si dedica ad una serie di esperienze militanti o di lavoro in gruppo. Il movimento del 68’ e dalla contestazione studentesca è vissuto da Bellocchio, molto più di Bertolucci, in maniera piena e militante e la successiva carriera del giovane “arrabbiato” - considerato da P.P.Pasolini il massimo esempio di un nuovo “cinema di prosa” - è di sicuro frastagliata ma segue sempre l’obbiettivo della messa sotto accusa dei sistemi chiusi e autoritari: dopo la famiglia i suoi target saranno: la scuola, l’esercito, la chiesa, il manicomio. Pasolini in una lettera gli aveva scritto profeticamente: “Caro B., per finire questo nostro dialogo di isolati le auguro, come devono suonare le conclusioni, di turbare sempre più le coscienze dell’Esercito, della Magistratura, del Clero reazionario, e insomma della Piccola Borghesia italiana, a cui abbiamo il disonore di appartenere. Saluti affettuosi dal suo P.P. Pasolini.” Interpretato dallo stesso regista nella parte del professore conservatore, Discutiamo, discutiamo (1968) è una sorta di pièce teatrale, tra agit-prop e Brecht dove si mette in scena senza fronzoli un esemplare caso di contestazione studentesca alla pedante lezione di un cattedratico. Poi Bellocchio gira due documentari militanti di propaganda: Paola e Viva il 1 maggio rosso. La produzione “impegnata” sino a Marcia trionfale II A questi primi esperimenti seguono film più tradizionali , “d’impegno” che rientrano nel filone del cinema politico degli anni Settanta: Nel nome del padre (1972), l’opera più significativa di questa fase e poi Sbatti il mostro in prima pagina (1972, con protagonista Gian Maria Volontà) o Marcia trionfale (1976, con Franco Nero e Michele Placido) sull’autoritarismo nell’esercito italiano. Trama di Sbatti…: Alla vigilia delle elezioni del 1972 , la quindicenne Maria Grazia viene trovata morta alla periferia di Milano. Il redattore-capo Bizanti (Volonté), sentito il parere dell’ingegner Montelli, finanziatore de “Il Giornale”, incarica di seguire il caso un giornalista principiante, Roveda, affiancandolo allo smaliziato e senza scrupoli Lauri. Dal canto suo Bizanti avvia indagini private: avvicina la professoressa Rita Zigai, amante di Mario Boni (della sinistra extraparlamentare) e in possesso del diario della defunta. Manipolando le notizie ottenute, Bizanti e Lauri presentano un colpevole alla polizia, alla magistratura e all’opinione pubblica. Solo Roveda, che nutre dubbi, avvicina il bidello della scuola di Maria Grazia scoprendo con orrore la mistificazione e l’autentico assassino. Il redattore-capo anziché denunciare l’assassino, licenzia Roveda, tenendo pronta la notizia da sfruttarle secondo l’esito delle elezioni. Sbatti il mostro in prima pagina è un film su commissione poco amato dal regista che si inserisce nel filone del cinema commerciale d’impegno anche per la presenta di Gian Maria Volonté. La produzione “impegnata” sino a Marcia trionfale (III)

. il cinema realizzato in collettivo (Rulli/Petraglia e Silvano Agosti): Nessuno o tutti/Matti da slegare (1974) o La macchina cinema (1978) dedicato al mondo del cinema. . Matti da slegare inverte il tradizionale punto di vista sull’argomento: non si parla del lavoro svolto da medici, assistenti sociali, tecnici o politici ma racconta, attraverso le proprie voci, la vita di ragazzi che avevano vissuto in case di cura e manicomi. Il film si basa sulle tesi del medico veneziano Franco Basaglia (1924-1980), il maggior rappresentante italiano della cosiddetta “antipsichiatria”, quel movimento di pensiero internazionale sorto in Inghilterra intorno al 1968 ad opera del sudafricano (ma poi londinese) David Cooper che comprende, tra gli altri lo scozzese Ronald Laing o i francesi Michel Foucault e Felix Guattari – tra l’altro nel 1971 il giovane Ken Loach aveva girato Family Life, un dramma ispirato dalle teorie antipsichiatriche di Laing.

Il periodo “Massimo Fagioli” (1980-1995) - Il gabbiano (1977) è il primo film di fiction dove sono evidenti i segni della curvatura psicanalitica che contraddistinguerà il successivo cinema di Bellocchio. Per la prima volta si utilizza un testo letterario e non una propria sceneggiatura originale – seguiranno: Enrico IV (1984, dal testo di ), L’uomo dal fiore in bocca (1992, tv, ancora da Pirandello), Il principe di Homburg (1997, da Heinrich von Kleist), La balia (1999, per la terza volta ancora Pirandello, un autore particolarmente amato dal regista piacentino. - Già Salto nel vuoto (1980) è influenzato dal controverso psicanalista romano Massimo Fagioli (1931-2017), fautore dell’analisi collettiva dei sogni. . Film laico sulla stregoneria, fondato sulla bellezza e la visione, La visione del sabba (1988) è molto più astratto del precedente Il diavolo in corpo (1986), è una opera quasi sperimentale e un po’ sconclusionata, tra le meno felici di Bellocchio. - La condanna (1991, orso d’argento al Festival di Berlino) con e Claire Nebout racconta di una donna che “ rimasta chiusa di notte in un museo, fa l’amore con un architetto che poi denuncia per stupro. Il regista si chiede qual è la linea di separazione tra assalto (inconsciamente) desiderato e violenza?” Un film molto controverso e scabroso come Il diavolo in corpo. - In questo periodo che si conclude con Il sogno della farfalla (1995, sceneggiato dal solo Fagioli), la ricerca di Bellocchio prosegue nell’ambito del privato, nell’esplorazione dell’Inconscio e nella ricerca della bellezza dell’Immagine. IL DIAVOLO IN CORPO (1986) Con: Maruschka Detmers, Federico Pitzalis Trama: nell’assistere al tentato suicidio di una ragazza, il liceale Andrea nota Giulia, nevrotica fidanzata di un terrorista pentito, e se ne innamora. In attesa della sua liberazione, Giulia si concede ad Andrea. - E’ forse l’opera più significative del periodo “fagioliano”, e non non ha nulla a che fare né con il romanzo di Raymond Radiguet (1921) né con l’omonimo film di Claude Autant-Lara (1947). - Connotato da una forte carica erotica (come diversi altri suoi film del periodo), si attraversa l’Italia del post-terrorismo e il fare i conti personali con sogni ed ossessioni in un mix affascinante, complesso, splendidamente fotografato da Beppe Lanci.

L’opera di Bellocchio dal 1995 sino ad oggi 1) Sogni infranti. Ragionamenti e deliri (1995), doc. , coregia Daniela Ceselli. 2) Il principe di Homburg (1997) inaugura l’ultima fase del cinema del regista piacentino. 3) Addio del passato (2002) doc. sulla Opera lirica e Verdi (paragono con Bertolucci) 4) L’ora di religione (2002) 5) Buongiorno, notte (2003) 6) Il regista di matrimoni (2006) 7) Vincere (2009) 8) Sorelle Mai (2010) 9) Bella addormentata (2012) 10) Sangue del mio sangue (2015) 11) Fai bei sogni (2016) Sogni Infranti (1995) Buongiorno,notte(2003) Il tema del terrorismo era stato trattato nel doc. Sogni infranti. Ragionamenti e deliri (1995) dove in 4 interviste – filmate quasi sempre in primo piano – “si esplora la fine dell'illusione rivoluzionaria post-'68. Parlano quattro ex: il dirigente sindacale e politico Vittorio Foa, il segretario dell'Unione dei comunisti italiani (marxisti-leninisti) Aldo Brandirali e due brigatisti E. Fenzi e M. Gidoni”. Liberamente tratto dalla biografia romanzata Il prigioniero (2003) dell’ex brigatista Anna Laura Braghetti e della giornalista Paola Tavella, Buongiorno, Notte procede in una lettura intimistica e personale del sequestro di Aldo Moro. Con: Maya Sansa , , Paolo Briguglia, Pier Giorgio Bellocchio. Trama: Chiara, una giovane militante attiva nella lotta armata, è coinvolta nel sequestro Moro. Attraverso il suo sguardo prende corpo il complesso mondo degli "anni di piombo", disperatamente fiducioso nell’avvento della rivoluzione e intrappolato nei rituali della clandestinità. Di contro è chiamata a vivere la normalità del quotidiano con i suoi ritmi di sempre... La storia: Presidente della DC dal 1976, Aldo Moro fu rapito dalle Brigate Rosse il 16 marzo 1978. Il cadavere fu fatto trovare in una R4 in via Caetani, vicino le sedi del PCI e della DC il 9 maggio 1978.

I film più significativi nel 3° millennio L’ora di religione (Il sorriso di mia madre, 2002 ), con , Jacqueline Lustig, Si lega strettamente a distanza di trent’anni a Nel nome del padre (1972) per la sua polemica anticlericale. L’ateo Ernesto Picciafuoco apprende che vogliono fare santa la madre ed è colpito perché la vicenda contrasta con il suo mondo di artista e di uomo libero. Le iniziative affinché partecipi al processo di beatificazione si fanno sempre più pressanti, mentre il ricordo della madre lo spinge a rielaborare il passato e a vivere diversamente il presente. Il l film la cui storia si svolge in un arco narrativo di una giornata, di 24 ore “tiene in equilibrio privato e pubblico; descrizione critica di un ambiente e itinerario interiore; realismo di fondo, sonnambulismo onirico e fantasia metaforica, sarcasmo e tenerezza, il grottesco che avvicina comico e tragico. È un’ammirevole opera pedagogica, ma non didattica, sull’Italia del 2002 e la sua cultura dominante che trasforma anche il sacro in merce” . Vincere (2009) con e Massimo Timi. Dedicato alla vita di Ida Dalser, moglie segreta del Duce, e del loro figlio Benito Albino Mussolini, il film affronta di petto i temi della violenza nei confronti di una donna e di suo figlio e dello iato tra la verità ufficiale e quella reale nell’Italia fascista. Sorelle Mai (2010) con Piergiorgio Bellocchio, Donatella Finocchiaro, Alba Rohrbacher. Composto da sei segmenti girati a Bobbio tra 1999 e il 2008 nell’ambito del corso “Fare Cinema”, il film racconta cronologicamente di una bambina, Elena, nella sua crescita dai 5 ai 13 anni, di sua madre Sara sorella di Giorgio e dei loro difficili rapporti. Una epopea familiare autobiografica.

Paolo Virzì (1964) Biografia Paolo Virzì (Livorno, 1964) è stato e resta il principale erede della commedia all’italiana. Sino ad oggi ha girato 13 lungometraggi compreso Ella & John del 2017, il suo primo film in lingua inglese, con Donald Sutherland e Dopo l’infanzia a Torino, cresce nel quartiere popolare livornese delle Sorgenti, coltivando sin da piccolo la passione per la letteratura. Tra gli scrittori più amati Mark Twain e Charles Dickens, padri di quel romanzo di formazione che gli servirà da modello per le sue sceneggiature. Durante l’adolescenza recita, dirige e scrive dei testi teatrali in un paio di compagnie filodrammatiche livornesi. In seguito stringe un sodalizio artistico con l’ex compagno di liceo Francesco Bruni (1961), che poi diventerà il suo co-sceneggiatore di fiducia. Quindi lascia Livorno per Roma: “va in città”, come vent’anni dopo farà la bambina protagonista del film Caterina va in città. Frequentato il corso di sceneggiatura del Centro sperimentale di cinematografia, dove diplomatosi nel 1987 incontra (1919-2010) che tra l’altro parteciperà poi a due sceneggiature del suo “allievo” prediletto: Ovosodo e N. . Scarpelli lo porta a lavorare alla Mass Film, la società sua e di Ruggero Maccari, Age e Ettore Scola. Qui PaoloVirzì ha la possibilità di leggere le sceneggiature originali di quelli che erano diventati dei classici del cinema. Collaborare a numerose sceneggiature prima del suo debutto alla regia nel 1994

LA BELLA VITA (1994)

Con: , Claudio Bigagli, Massimo Ghini Trama. Storia di un triangolo sentimentale di ambientazione popolare: lui è un cassintegrato delle Acciaierie Di Piombino (Bigagli) con velleità d’imprenditore, lei una commessa di supermercato con pruriti alla Madame Bovary (Ferilli) che sogna una vita diversa e il terzo un divo di una piccola tv privata locale, che non a caso si chiama Gerry Fumo (Ghini). - Il film si rifà a Romanzo popolare di Mario Monicelli ed è scritto dal regista insieme all’amico Francesco Bruni ma esibisce un cast molto meno prestigioso - Si racconta l’analisi del malessere – antropologico e culturale oltre che sociale – del ceto operaio della metà degli anni Novanta che ha smarrito la propria identità, un trio di attori che funzionano , comprimari con le facce giuste, ma con un finale agrodolce forse non del tutto consono.

OVOSODO(1997) Con: Edoardo Gabbriellini, Claudia Pandolfi, , Regina Orioli. Trama. Cresciuto in un quartiere popolare di Livorno, chiamato Ovosodo, Piero arriva faticosamente al liceo classico, diventa amico del ricco e irrequieto Tommaso, prende una sbandata per una cugina (Regina Orioli) dell’amico, è bocciato alla maturità e, dopo il servizio militare, trova lavoro nella fabbrica del padre di Tommaso finché incontra la coetanea e coinquilina Susy (Claudia Pandolfi). E si trova sistemato: marito, padre e operaio. - Dopo un altro film corale, Ferie d’agosto (1995), interpretato da un cast importante (Silvio Orlando, Laura Morante, , Sabrina Ferilli, Piero Natoli), ambientato nell’isola di Ventotene e primo successo di pubblico di Virzì, segue Ovosodo sceneggiato da Bruni&Virzì con l’aiuto di Furio Scarpelli dove invece si narra la crescita di un adolescente. Costruito come un classico romanzo di formazione, in oscillazione tra nostalgia e rassegnazione, è un film all’insegna ideologica delle conciliazione al posto della contestazione. Interpretato come spesso avviene in Virzi da molti non professionisti, Ovosodo, nonostante la forte connotazione dialettale, ha uno straordinario successo e riesce a conquistare critica e pubblico: Gran premio della giuria al Festival di Venezia e anche ottimo successo al box office.

Dieci anni Up and Down (1999-2006) (1)

- Nel 1999 dirige Baci e abbracci, una miscela di favola, commedia sociale e racconto di Natale alla Dickens. “È la storia corale (ancora una volta) di un gruppo di ex operai intenzionati ad aprire un allevamento di struzzi nella Val di Cecina, attraverso cui Virzì ritrae ancora una volta l’Italia di provincia sedotta dalla modernità. Film trai più divertenti di Virzì, secondo Morando Morandini “è la 4ª e la migliore commedia del livornese Virzì, ormai affermato continuatore della commedia di costume degli anni ‘60 dai retrogusti amari. Con l’abituale collaborazione in sceneggiatura di Francesco Bruni, conferma la capacità di raccontare il disagio antropologico-culturale della presente società italiana, il colorito e preciso lavoro sui personaggi (con attori toscani in gran parte non professionisti) seguiti da vicino da una mobile cinepresa, l’abilità nel descrivere un ambiente provinciale senza scadere nel bozzettismo folcloristico, il sapiente equilibrio tra l’acre e il tenero, l’affetto e la lucidità con qualche caduta di stile (la sequenza onirica) e contrappunti sfocati (i rapper)”. Nella parte del leader del gruppo Snaporaz compare il fratello Carlo Virzì, musicista di alcuni suoi film e regista de L’estate del mio primo bacio, scritto e sceneggiato da Paolo. -I dissesti finanziari del produttore Vittorio Cecchi Gori influenzano l e riprese di My name is Tanino (2002), uno dei film meno fortunati del regista toscano. Girato tra Sicilia, Canada e Stati Uniti, il film ha una lavorazione difficile e più volte interrotta: la sceneggiatura, firmata dal regista, il solito Francesco Bruni e lo scrittore Francesco Piccolo, viene più volte riscritta. Il protagonista è per la seconda volta un esordiente, il siciliano Corrado Fortuna, che interpreta un ragazzo in fuga dalla sua Sicilia per inseguire il sogno americano. - Dieci anni Up and Down (1999-2006) (2)

- Il successivo Caterina va in città (2003) è dedicato alla Roma amata e odiata, con le sue scoperte entusiasmanti e le sue delusioni cocenti. La piccola e goffa Caterina è interpretata dall’esordiente Alice Teghil, nel ruolo della sprovveduta provinciale che osserva il mondo con candore e spaesamento: la bambina viene catapultata dalla tranquilla Montalto di Castro alla labirintica Roma per volontà del padre, Sergio Castellitto nella parte di un frustrato intellettuale di provincia. La bambina come in Ferie d’Agosto si trova confrontata con un’Italia spaccata in due, restando ancora una volta in bilico. Per alcuni critici “il legittimo pessimismo sull’Italia (o la Roma borghese?) di oggi trascina Virzì e il suo abituale sceneggiatore Francesco Bruni verso la caricatura cui è sotteso l’elogio della gente semplice”. Il film ha però evidenti qualità: l’esperto controllo di una folla di figure minori; l’agilità del ritmo che diventa agitazione soltanto nella veloce parlantina a mitraglia di molti dialoghi, il sagace ricorso al montaggio parallelo (Cecilia Zanuso); l’uso funzionale della musica (Carlo Virzì), leggera e non. La fotografia di Arnaldo Catinari”. (Morandini) - Per 3 anni prepara un film piuttosto impegnativo dal punto di vista economico ma non riuscito nei risultati: N (Io e Napoleone) (2006), l’ adattamento del romanzo di Ernesto Ferrero N, sintesi non particolarmente ben riuscita tra commedia all’italiana, film storico e cinema in costume. Virzì riflette sul rapporto tra l’intellettuale e il potere, e arricchisce la trama ottocentesca con riferimenti all’attualità: il parallelismo tra la figura di Napoleone e quella di Berlusconi è a volte esplicito. Anche se il cast è internazionale (oltre al protagonista , Monica Bellucci e nella parte del tiranno), il film affonda nel suo uso del dialetto toscano oltre che nella sua miscela di generi non particolarmente riuscita.

Tutta la vita davanti(2008)

Con: Isabella Ragonese, Sabrina Ferilli, Trama. Una ragazza laureata Marta finisce, come tanti della sua generazione, in un call center, alle prese con precariato lavorativo e sentimentale, colleghi alienati non meno dei loro dirigenti.

“Prendendo spunto dal libro della blogger sarda Michela Murgia, "Il mondo deve sapere", Virzì esplora con gli occhi di Marta, attraverso il viso curioso di Isabella Ragonese, l'inferno di questo precariato con tutta la vita davanti; e lo fa con lo spirito comico e amaro che da sempre lo contraddistingue. Accentuando stavolta i toni tragicomici e grotteschi da commedia nera, il regista toscano dà vita a un'opera corale, matura e agghiacciante, che rivisita (attualizzandola) la miglior tradizione della commedia amara alla Monicelli, costruendo - grazie anche all'apporto del fido sceneggiatore Francesco Bruni - personaggi complessi e sfaccettati, teneri e feroci, comici e tragici a un tempo, ma tutti disperatamente umani e autentici.

Gli ultimi film (1) - Dopo il doc L’uomo che aveva picchiato la testa (2008), sul cantautore Bobo Rondelli, torna ancora una volta a Livorno e nella Toscana per La prima cosa bella (2010), con Micaela Ramazzotti, , Claudia Pandolfi, Stefania Sandrelli e . Il film racconta le vicende della famiglia Michelucci dagli anni Settanta ai giorni nostri secondo un modello ben conosciuto: protagonista è la bella Anna (Ramazzotti), ideale prosecutrice del personaggio di Adriana in Io la conoscevo bene (1964) di Antonio Pietrangeli (e non a caso nel film di Virzì è interpretata in punto di morte da Stefania Sandrelli). Sedotta come Adriana dalle persone e dagli avvenimenti, qui la figura di Anna è una madre esuberante che finisce per rovinare la vita ai propri figli, Bruno e Valeria. Bruno, dopo aver abbandonato Livorno per fuggire dalla madre, torna nella città natale per starle vicino negli ultimi giorni della sua vita. Nel film tra l’altro c’è – seguendo le classiche regole della commedia all’italiana – una sequenza di metacinema che ricostruisce il set di un film di Dino Risi. E c0n ciò sembrerebbe che il cinema successivo di Virzì abbia cambiato direzione virando dall’alveo tradizionale della commedia all’italiana aggiornata: - Il poco riuscito Tutti i santi giorni (2012) è un’opera intimista interpretata da due giovani attori italiani: e la cantautrice Thony (Federica Victoria Caiozzo). In essa Virzì disegna la storia d’amore tra due personaggi: il film si snoda intorno al loro desiderio di avere figli, che porterà la coppia a provare varie strade e confrontarsi con ambienti e persone radicalmente diversi, in una Roma di cui vengono esasperate le differenze. Gli ultimi film (2)

. - In Il capitale umano (2014) , Virzì ambienta in Brianza con l'aiuto di Francesco Piccolo e Francesco Bruni il romanzo omonimo di Stephen Amidon (dove la storia si svolgeva nel Conneticut), per l’interpretazione di , , e . Si tratta quasi di un thriller a sfondo sociale quando una notte, su una strada provinciale della Brianza, alla vigilia di Natale, un ciclista viene investito da un Suv. L’unica cosa certa è che questo incidente cambierà il destino di due famiglie, quella di Giovanni Bernaschi, top rider della finanza, e quella di Dino Ossola, ambizioso immobiliarista sull'orlo del fallimento. E forse potrebbe cambiare per sempre anche la vita di qualcuno che con quelle smanie di arricchimento non c'entrava niente. Il film ha una struttura più complessa delle precedenti opere di Virzì: in una narrazione che si compone di 4 capitoli si narra, attraverso tre diversi punti di vista e quello della polizia, ciò che è successo nei sei mesi prima dell’incidente. Ognuno illumina un po’ di più le circostanze attorno alla tragedia. Ogni punto di vista è un capitolo e si concentra su un personaggio particolare. La goliardia toscana, il cinismo burlone romano sono lontani, senza quasi più alcun eco in questo film nordico. - Infine La pazza gioia (2016), con Micaela Ramazzotti e Valeria Bruni Tedeschi è un road movie dove le due protagoniste Beatrice Morandini Valdirana una mitomane dalla loquela inarrestabile e Donatella Morelli , giovane madre tatuata e psicologicamente fragile , fuggono da Villa Biondi, un istituto terapeutico per donne che debbono sottostare a una terapia di recupero. Per darsi appunto alla pazza gioia. Con la collaborazione di alla sceneggiatura, il regista livornese torna nell'amata Toscana in una terra “che gli consente di fondere, come solo lui sa fare, ironia, buonumore e dramma muovendosi tra le diverse temperature emotive con una sensibilità che si fa sempre più acuta e partecipe delle sorti dei personaggi che porta sullo schermo”. Un buon film al femminile per un regista attento al cambiamento. . Giuseppe Tornatore (1956) Biografia Regista della memoria e della nostalgia, Giuseppe Tornatore nasce a Bagheria (Palermo) nel 1956, figlio un sindacalista della CGIL. Fin da giovane manifesta una forte attrazione per la recitazione e la regia e a soli 16 anni riesce a mettere in scena a teatro opere di Luigi Pirandello e . Dopo questi inizi a teatro, si accosta al cinema attraverso alcune esperienze documentaristiche e televisive: in particolare il doc. (in super8) Il carretto. Immagini di un'antica cultura (1979); poi collabora alla RAI con diversi documentari: Ritratto di un rapinatore (1981), Incontro con Francesco Rosi (1981), Le minoranze etniche in Sicilia (1982), Diario di Guttuso (1982) e Scrittori siciliani e cinema: Verga, Pirandello, Brancati e Sciascia (1983). - Nel 1984 debutta nel lungometraggio con Il camorrista, liberamente tratto dall'omonimo romanzo di Giuseppe Marrazzo e incentrato sulla storia del noto boss della camorra Raffaele Cutolo (nel film chiamato 'O Professore 'e Vesuviano), interpretato dall’attore americano di origine siciliana Ben Gazzara (1930 – 2012). Prodotto da Goffredo Lombardo della Titanus con Reteitalia (Fininvest ) il film venne confezionato in una versione cinema e una tv di cinque ore all’epoca bloccata e trasmessa quasi 8 anni dopo. La versione per il grande schermo a seguito della querela del boss è stata ritirato dopo 2 mesi dalla Prima. A seguito del dissequestro, è poi stato ridistribuito, ottenendo un discreto successo sia di pubblico che di critica (Nastro d'argento come miglior regista esordiente).

La filmografia essenziale di Giuseppe Tornatore . Il camorrista (1986) . Nuovo Cinema Paradiso (1988) . Stanno tutti bene (1990) . La domenica specialmente (1991), episodio Il cane blu . Una pura formalità (1994) . L'uomo delle stelle (1996) . La leggenda del pianista sull'oceano (1999) . Malèna (2000) . La sconosciuta (2006) . Baarìa (2009) . L’ultimo gattopardo: Ritratto di Goffredo Lombardo (2010) (doc.) . La migliore offerta (2013) . La corrispondenza (2016)

Nuovo Cinema Paradiso (1988)

Con: Philippe Noiret, , Salvatore Cascio,Marco Leonardi, , Pupella Maggio, EnzoCannavale, , . Trama: Salvatore (Perrin), un regista di successo torna nella sua Sicilia in un paesino immaginario Giancaldo per il funerale del suo vecchio amico Alfredo (Noiret). La memoria lo riporta ai tempi quando era il bambino Totò con una grande passione per la 7 arte. La sala era la sua seconda casa grazie anche all'amicizia con il proiezionista Alfredo. Dopo un incendio che acceca Alfredo e a cinema rinnovato, Totò prenderà il suo posto. Ma il suo futuro è nel fare cinema, non nel proiettarlo.

Nuovo Cinema Paradiso (2) Caratteristiche: - Film pieno di riferimenti autobiografici , esce in un momento del cinema italiano di ripiegamento produttivo e intimista - Film molto amato o detestato all’epoca. - La nostalgia e ricordo sono gli elementi che generano il film per la sala buia destinata a scomparire, costretta a lasciare il posto a qualcosa di decisamente meno romantico. E quella sala, nei primi tempi, era un cinema parrocchiale gestito con mano di ferro da un simpatico prete censuratore di baci. - Nella sequenza finale passano film come Ombre rosse e La terra trema, I vitelloni e di Viggiù, Catene e In nome della legge. - Del film esistono tre versioni: la prima, integrale, di 2 ore e 50’ che venne presentata in anteprima al festival Europa Cinema a Bari nel settembre 1988. La seconda venne approntata per l'uscita nelle sale, in autunno tagliata di un quarto d'ora: la risposta del pubblico fu molto tiepida. Invitato al Festival di Cannes venne presentato in una terza versione (2 ore e 3 minuti) dove veniva del tutto eliminata la parte di Elena (Brigitte Fossey). -Gran premio speciale della giuria a Cannes e l'Oscar per il miglior film straniero

Una pura formalità (1994) Con: Gérard Depardieu, Roman Polanski,

Trama: Un uomo viene arrestato di notte, sotto il diluvio, e portato in un fatiscente commissariato. È sempre più nervoso, ma quando arriva il commissario la tensione si smorza. Interrogatorio. È stato trovato un cadavere e l'uomo (che si qualifica come un celebre scrittore) non riesce a ricostruire le sue ultime ore. All'alba, finita la schermaglia dialettica, tutto sarà divenuto finalmente "chiaro". -Dopo Stanno tutti bene, che racconta il viaggio di un padre siciliano alla ricerca dei figli sparsi in tutta Italia, interpretato da Marcello Mastroianni in una delle sue ultime interpretazioni, Tornatore cambia completamente stile. -Si tratta di un film teatrale, quasi pirandelliano. Un film che più che raccontare una storia, suggerisce un'idea, una riflessione sulla vita, la morte e la memoria. Un film spaesante in cui l'idea è che siamo tutti un po' fuori posto, un po' a disagio nei nostri panni. O meglio il senso che più dolorosamente ci può colpire in questo film.

L’uomo delle stelle(1995) La leggenda del pianista sull'oceano(1998) -Un poco limpido personaggio Joe Morelli , una sorta di "ladro di sogni" batte i paesi della Sicilia dei primi anni Cinquanta col suo furgone. Fa provini (a pagamento) alla gente promettendo che così potrà forse fare il Cinema. Davanti all'obiettivo la gente si esprime in modo strano, allarmante, forse è davvero se stessa. Ne esce un grande quadro generale di popolo. Naturalmente è una truffa. Ma… I consueti ingredienti (cinefilia e memoria) di Tornatore in un film che sembra un buon proseguimento di Nuovo Cinema Paradiso. Un road movie nel tempo molto ben interpretato da Sergio Castellitto. - Folgorato dal monologo teatrale di Alessandro Baricco Novecento, Tornatore lentamente comincia a pensare ad una trasposizione cinematografica. Dopo una lunga "gestazione" vede la luce La leggenda del pianista sull'oceano, con l'attore inglese Tim Roth e la colonna sonora di Ennio Morricone. “Novecento” è il nome dato ad un trovatello abbandonato su una nave il 1 mese del 1 anno del secolo. Il bambino cresce sulla nave, non conosce altro. Finché scopre di avere un inverosimile talento per il piano. Un Film-metafora sulI'esistenza quotidiana, concepito a livelli concentrici, come un gioco-labirinto che, più ci si va dentro, più rivela incognite, timori, paure: i rapporti con gli altri, l'amicizia, la scoperta dell'amore, il rifiuto di crescere per evitare il momento delle scelte. La musica come ultimo rifugio per non cambiare e scendere dalla nave.

I film degli anni 2000 – Tra memoria e Mystery (1)

. Del 2000 è Malèna, con Monica Bellucci una coproduzione italo-statunitense che si avvale, ancora una volta, delle musiche di Morricone. Ambientato in Sicilia negli anni della II Guerra Mondiale, è la storia della folle passione di un ragazzino, Renato Amoroso, che nutre per la donna più bella e desiderata del paese: Malèna. Mentre Renato scopre la sessualità immaginando Malèna, di volta in volta, come la donna dei film che ha visto, Malèna vive la sua parabola da giovane moglie, poi vedova, a prostituta. . Dopo una pausa durata un quinquennio, Tornatore realizza nel 2006 una sorta di thriller La sconosciuta . E’ la storia di una misteriosa donna Irena (Ksenia Rappaport), ucraina arrivata in Italia o forse tornata per chiudere un conto. Con l'aiuto di un portinaio trova lavoro presso una coppia di orafi con una figlia affetta da una cronica incapacità di difendersi. Irena si occupa della piccola, la conquista e le insegna a reagire. Sembra cominciare a trovar pace, ma ecco che si ripresenta il male che ha deciso del suo passato e che ha le sembianze dell'aguzzino Muffa (Michele Placido).

I film degli anni 2000 – Tra memoria e Mystery (2) . Con Baarìa (2009) - nome siciliano di Bagheria - Tornatore racconta una parte di vita vissuta nella sua città d'origine. Con , Margareth Madè e Angela Molina. Ha aperto la 66ª Mostra internazionale d'arte cinematografica di Venezia ed è stato un dei film più costosi di tutta la storia del cinema italiano ma con scarso riscontro al box office. . Nel 2013 esce il film successivo La migliore offerta, con Jim Sturgess, Donald Sutherland e Geoffrey Rush, girato tra Bolzano, Vienna, Trieste, Parma, Milano, Praga e la campagna nei pressi di Roma. Uomo colto e solitario, non più giovane, la cui ritrosia nei confronti del mondo, è pari solo alla maniacalità con cui esercita la professione di esperto d'arte e battitore d'aste. Chiamato ad occuparsi della dismissione del patrimonio artistico di un antico edificio, l'antiquario si ritroverà al centro di una passione che cambierà la sua grigia esistenza. . Infine del 2016 è La corrispondenza che narra la storia d'amore "a distanza" tra una studentessa interpretata da Olga Kurylenko e un professore più grande, impersonato da Jeremy Irons.

Gli inizi di Matteo Garrone

- Nasce a Roma il 15 ottobre 1968 da una famiglia intellettuale: il padre, Mirco, è un critico teatrale, la madre una fotografa. A scuola, il giovane Matteo pratica con successo Il tennis. Si diploma al Liceo Artistico nel 1986, prima lavora come aiuto operatore e poi si dedica alla pittura, a tempo pieno. - Debutta con il cortometraggio Silhouette (1996), che vince il Festival Sacher. Nel 1997 realizza il primo lm,Terra di mezzo, un collage di tre storie di immigrazione (prostitute nigeriane, giovani albanesi in caccia di un lavoro qualsiasi, un egiziano che di notte fa il benzinaio abusivo) ambientate nei dintorni e dentro Roma. - Sempre nel 1997 gira, a New York, il doc. Bienvenido Espirito Santo; dopo l’incontro con gli sceneggiatori Massimo Gaudioso e Fabio Nunziata, firma in co- regia, Un caso di forza maggiore e, poi il doc. Oreste Pipolo, fotografo di matrimoni e il suo secondo lm, Ospiti (1998) che sembra essere la continuazione meno riuscita del secondo episodio di Terra di mezzo. - Garrone affina però il suo modo di di concepire il cinema: troupe ridottissima di fedeli adepti, sempre più una sorta di ‘famiglia‘’quasi fissa (la fotografia di Marco Onorato, il montaggio di Marco Spoletini, le musiche della Banda Osiris); presa diretta sulla realtà, sia visiva che auditiva; utilizzo personale delle logistiche di produzione, con possibilità, per esempio, di ritornare sui set e sulle riprese. A questa maniera resterà negli anni fedele.

Estate romana (2000) Dopo aver affrontato il tema dell’emigrazione senza retorica, si occupa del mondo dello spettacolo e delle cantine romane nel suo terzo e meglio riuscito film rispetto al precedente, Estate romana (2000) presentato al Festival di Venezia. Trama: nella Roma accaldata del 1999, invasa dai cantieri per il Giubileo del 2000, si sovrappongono gli itinerari tragicomici di uno scenografo pigro senza ambizioni (Salvatore Sansone) e del suo grande mappamondo, della sua assistente (Monica Nappo) in lotta continua con la suocera megera e di una ex attrice (Rossella Or) di teatro off, che, rimpatriata dopo molti anni, si trova alquanto spaesata e depressa. Con piazza Vittorio come punto di partenza, è un viaggio attraverso una Roma inedita e teatrale all'insegna di una precarietà subita, ma anche accettata con una tranquillità non priva di irrequietezza.

L’imbalsamatore (2002) . Con L’imbalsamatore (2002), il regista romano fa un salto di qualità estetica ma resta fedele al tema della marginalità che affrontato affinando il discorso in una direzione più introspettiva (e di genere). Sono cambiate un po’ le logiche di produzione (prima l’autoproduzione indipendente adesso la Fandango di Domenico Procacci), ma non varia il suo approccio personale. La realtà della storia viene letta con il sentimento del documentarista o del fotografo: alla ricerca della verità, Garrone è interessato a rivelare l’essenziale, indagato con occhio clinico. . Scritto con Ugo Chiti e Massimo Gaudioso, ispirato a un fatto di cronaca romana, reinventato da Vincenzo Cerami in L'omicidio del nano (in Fattacci, 1997), L’imbalsamatore rappresenta un raro esempio di noir all'italiana che sa coniugare cinema d'atmosfera con lo scavo psicologico e il racconto d'azione.

Primo amore (2003) . Presentato con una certa risonanza mediatica, segue Primo amore (2003), dal romanzo Il cacciatore di anoressiche di Marco Mariolini, sceneggiato dal regista con Massimo Gaudioso e lo scrittore vicentino Vitaliano Trevisan (quest'ultimo anche protagonista improvvisato insieme all’attrice teatrale Michela Cescon alla prima esperienza dietro la mdp). Con Primo amore Garrone continua il discorso iniziato ne L’imbalsamatore sullo squallore della provincia italiana profonda e quello su degli amori perversi. E lo fa sempre con il suo stile “rubato” alla vita. Primo amore è un film molto disturbante soprattutto per l’insistita ripresa sulla nuda e spaventosa magrezza della protagonista che è stata costretta a dimagrire più di 15 kl per rendere la parte della ragazza anoressica.

Gomorra (2008) . Dopo diversi anni di attesa e sempre prodotto dalla Fandango, Garrone torna dietro la mdp nel 2008 per cimentarsi con la trasposizione cinematografica del bestseller sulla camorra e la criminalità napoletana dello scrittore Roberto Saviano (1979), Gomorra (2006, 2.000.000 di copie vendute in Italia, 33 traduzioni nel mondo). Un film senza: Senza linearità, senza protagonista, senza attori noti (tranne , ma per pochi), senza molte scene-madri, senza variazioni di tono, senza prediche, senza catarsi. . Si parla di potere, sangue, soldi attraverso l'incrocio di 5 vicende che si annodano fluidamente senza danneggiare l'omogeneità narrativa. Racconta la camorra tra Napoli e Caserta, un sistema che - secondo i titoli di coda - ha ucciso in 30 anni più di 10.000 persone. Con le altre mafie (Sicilia, Calabria, Puglia) – dicono sempre le statistiche - fa parte di un impero criminale con un giro d'affari di 150 miliardi di euro l'anno ( la Fiat arriva a 58). Non li guadagna soltanto con droga, armi, estorsioni. Fa affari in tutto. Omicidi a parte, è la storia di una normalità, di una catastrofe pulita, di una Chernobil alla diossina.

Gli ultimi due film Dopo il grande successo di Gomorra ,nel 2012 gira Reality, con cui vince di nuovo il Grand Prix a Cannes. Ispirato – sembra - alla vera storia dell'allora cognato di Garrone, che nella realtà svolgeva la professione di pescivendolo e aveva cercato di sfondare nel mondo dello spettacolo tramite il “Grande Fratello”, il film è una commedia grottesca sull'influenza negativa che hanno i reality show sulle persone. Il protagonista, interpretato da un aootore che si era formato in carcere, è tanto ossessionato dall’idea del successo che finisce con il perdere il senso della realtà, distorcendo la percezione di ciò che lo circonda. “Penso a Luciano, il protagonista, come a un Pinocchio dei giorni nostri, un uomo innocente e naïf. L'ho seguito con la mia macchina da presa come se lui stesse vivendo un'avventura fantastica. Durante le riprese ero costantemente alla ricerca di quel delicato equilibrio tra il sogno e la realtà. Ero sempre alla ricerca, anche da un punto di vista figurativo, di una certa qualità fiabesca, una sorta di realismo magico.“ (Garrone) Sempre seguendo questa chiave stilistica ma con un cast internazionale comprendente tra gli altri Salma Hayek, Vincent Cassel, John C. Reilly e Toby Jones , nel 2015 Garrone dirige Il racconto dei racconti - Tale of Tales, adattamento di tre racconti della raccolta di fiabe “Lo cunto de li cunti “di Giambattista Basile, pubblicata postuma tra il 1634 ed il 1636. Si tratta di un film coraggioso e atipico nel panorama del cinema italiano moderno, un opera di fantasy dalle tinte horror che purtroppo ha avuto scarso successo di pubblico malgrado la ottima accoglienza della critica.

Paolo Sorrentino - Nato il 31 Marzo 1970, napoletano purosangue, Paolo Sorrentino, regista e/o sceneggiatore di tutti i suoi film si è distinto per uno tipologia di cinema molto personale ma anche internazionale (già la sua opera seconda approda al grande traguardo del Festival Di Cannes). E anche autore letterario. - Sorrentino esibisce uno stile rigoroso, quasi geometrico e molto costruito nella scelta delle inquadrature e dei movimenti di macchina quanto innovativo ed eccentrico a livello di scrittura della sceneggiatura. Tutto il contrario di Matteo Garrone. - La sua è una fucina di storie e di personaggi tanto forti quanto originali, in cui mostra uno spirito creativo e sofisticato anche sul piano visivo e musicale, passando in modo disinvolto da Ornella Vanoni all’elettronica o meglio l’”indietronica“ (indie electronic) dei Lali Puna. Paolo Sorrentino (2) . Pur avendo compiuto alcune esperienze pratiche, Sorrentino proviene soprattutto dal mondo della scrittura cinematografica (vincitore del Premio Solinas nel 1997 con Dragoncelli di fuoco, e altre esperienze come la sceneggiatura di Polvere di Napoli di Antonio Capuano o la serie tv La squadra). . Esordisce alla grande con il pluripremiato L’uomo in più (2001), dopo due cortometraggi tra cui L’amore non ha confini (1998), che segna l’inizio della sua collaborazione con la società napoletana “Indigo Film” (produttrice di tutti i suoi lavori). Con i L’uomo in più inizia anche un fortunato sodalizio artistico-produttivo, con l’attore Toni Servillo (Afragola/Napoli, 1959), protagonista di gran parte delle sue opere.

L’uomo in più (2001) Con: Toni Servillo, Andrea Renzi, Nello Mascia, Angela Goodwin. Trama: si raccontano le vite parallele negli anni ottanta a Napoli di due persone dallo stesso nome, Antonio Pisapia. Il più vecchio Tony (Servillo) è un cantante di successo cocainamane; l’altro ( Renzi) è un onesto calciatore che vorrebbe diventare allenatore. Entrambi, inizialmente ricchi e famosi, cadono in disgrazia, cercano di rialzarsi ma precipitano nell’abisso. - Ispirato a personaggi reali - il cantautore Franco Califano (1938-2013) e il calciatore De Bartolomei - il film si svolge in una Napoli diversa, spietata e cinica senza mai essere folkloristica. L’occhio di Sorrentino è caratterizzato da uno sguardo critico sugli ambienti della canzone e del calcio, ma senza un taglio predicatorio: l’amarezza sui destini e i casi della vita prevale sull’ indignazione morale. Il suo sembrerebbe quasi un cinema di pedinamento post-zavattianiano ma rivisto con luce tutta moderna che racconta con intensità, pudore e precisione di dettagli e che evita le scorciatoie e i clichè della sintassi narrativa tipici della produzione mainstream americana. Paolo Sorrentino (3) . Segue un film meno riuscito dove inizia a collaborare con il grande direttore della fotografia : Le conseguenze dell’amore (2004) presentato al Festival di Cannes, sempre con Toni Servillo nell’abito di un drogato, di un personaggio scomodo e antipatico. Il protagonista vive nell’albergo di un luogo imprecisato del Canton Ticino e nasconde un segreto che emergerà a poco a poco anche grazie al progressivo innamoramento per la ragazza del bar dell’hotel. La grande raffinatezza stilistica del film sul piano visivo si accompagna però con un testo molto scritto che appesantisce il film, malgrado la bravura del protagonista il film. . Come il precedente (e il successivo) il film è montato da Giogiò Franchini poi sostituito a partire da Il divo da Cristiano Travaglioli. Paolo Sorrentino lavora (attore, tecnici) quasi sempre con le stesse persone. . Ritorna di nuovo a Cannes con L’amico di famiglia (2006), storia del vecchio usuraio Geremia de’ Geremei (Giacomo Rizzo – è il primo film senza Toni Servillo), ulteriore sgraziato antieroe nella galleria di creature disperate create dalla penna e dalla macchina da presa del regista napoletano.

Il Divo (2008)

Nel 2008 sempre in Concorso al Festival di Cannes realizza Il Divo, scomodo ritratto della figura di Giulio Andreotti (1919 – 2013) - di nuovo interpretato dal suo attore feticcio Toni Servillo - nel periodo della sua discesa politica , raccontata nel periodo tra 1991 e 1993, a cavallo tra la presentazione del VII Governo Andreotti e l'inizio del processo di Palermo per collusioni con la mafia. Il film riceve il premio della Giuria (Garrone invece il Gran Prix della Giuria con Gomorra). I due film sono antitetici: “barocco” e scritto l’uno, “lineare” e improvvisato l’altro. Paolo Sorrentino (3) A Il Divo (2008) segue il meno fortunato This Must Be the Place (2011), scritto con Umberto Contarello e interpretato da , Frances McDormand e Judd Hirsch, il suo primo lavoro in inglese e ad alto budget.

- Il titolo del film è un tributo alla canzone “This Must Be the Place” dei Talking Heads, del 1983. Infatti il protagonista è una ex rock star degli anni ottanta ritiratosi dalle scene anche se continua a vestirsi come se ciò non fosse avvenuto e non a caso le musiche del film sono state scritte da David Byrne ex leader dei Talking Heads con la collaborazione del cantautore indie Will Oldham. -Ancora una volta nella storia troviamo un personaggio che parecchi punti di contato con i precedenti film di sorrentino: Cheyenne, rocker ormai in disarmo ma che un tempo fu celebre e di quella celebrità gode ancora i frutti economici, è un uomo che quotidianamente si trasforma in maschera ma ha un enorme problema irrisolto con il padre. Che dovrà cercare di affrontare quando muore.

- Nel 2010 Sorrentino esordisce anche in letteratura con Hanno tutti ragione (risultato terzo classificato al Premio Strega) a cui è seguito il libro di racconti Tony Pagoda e i suoi amici (2012) ispirato al personaggio del cantante de Un uomo in più.

La grande bellezza (2013)

Con: Toni Servillo, Carlo Verdone, Sabrina Ferilli, Roberto Herlitzka, Isabella Ferrari, Giorgio Pasotti, Vernon Dobtcheff, Serena Grandi, Luca Marinelli, Massimo Popolizio, Pamela Villoresi, , Ivan Franek.

Trama: Scrittore di un solo libro giovanile, "L'apparato umano", Jep Gambardella, giornalista di costume, critico teatrale, opinionista tuttologo, compie sessantacinque anni chiamando a sé, in una festa barocca e cafona, il campionario freaks di amici e conoscenti con cui ama trascorrere infinite serate sul bordo del suo terrazzo con vista sul Colosseo. Trasferitosi a Roma in giovane età, come un novello vitellone in cerca di fortuna, Jep rifluisce presto nel girone dantesco dell'alto borgo, diventandone il cantore supremo, il divo disincantato. Re di un bestiario umano senza speranza, a un passo dall'abisso, prossimo all'estinzione, eppure ancora sguaiatamente vitale fatto di poeti muti, attrici cocainomani fallite in procinto di scrivere un romanzo, cardinali-cuochi in odore di soglio pontificio, imprenditori erotomani che producono giocattoli, scrittrici di partito con carriera televisiva, drammaturghi di provincia che mai hanno esordito, misteriose spogliarelliste cinquantenni, sante oracolari pauperiste ospiti di una suite dell'Hassler. Jep Gambardella tutti seduce e tutti fustiga con la sua lingua affilata, la sua intelligenza acuta, la sua disincantata ironia. (My Movie)

La grande bellezza Come al solito in Concorso a Cannes, è il tentativo per me riuscito di riscrivere attualizzata La dolce vita (1960) di Federico Fellini, riportando in Italia dopo 15 anni la statuetta dell’oscar come miglior film straniero. Si tratta di un film piuttosto antinarrativo che è piaciuto quasi più all’estero che non in Italia dove ha avuto numerosi detrattori. Ne esistono due versioni diverse. “Forse l’opera più ambiziosa di Sorrentino fino ad oggi, La grande bellezza è un film che vive delle stesse contraddizioni che racconta, di eccessi barocchi e intimità commoventi, momenti di un surrealismo concretissimo come di puro e cristallino godimento estetico essenziale, di una crepuscolarità costante e ininterrotta perfino dalla luce del giorno e momenti di straordinaria lucidità su sé stessi e sul mondo. Un film opulento per ragionata necessità, ma nel quale il regista trova perfino, niente affatto paradossalmente, lo spazio per calmierare la scalmatezza della sua vorticosa macchina da presa” (Federico Gironi).

Dopo La grande bellezza: le ultime opere di Paolo Sorrentino . Con Youth - La giovinezza , al solito in concorso al Festival di Cannes 2015, Sorrentino realizza la sua seconda opera in lingua inglese per l’interpretazione di Michael Caine, , Rachel Weisz, Paul Dano e . Dedicato a Francesco Rosi, il film è ambientato prevalentemente in Svizzera è caratterizzato da uno stile particolarmente estatico e rarefatto. A molti è sembrato lezioso ma è sempre girato con grandissima maestria. . Infine nel 2016 scrive e dirige la sua prima serie tv prodotta da Sky, Canal + e HBO, The Young Pope, con Jude Law, Diane Keaton e Silvio Orlando protagonisti, che ha riscontrato molte critiche positive. È prevista una seconda stagione, dal titolo The New Pope, in produzione per il tardo 2018. . Nel frattempo sta girando un film su Silvio Berlusconi, per ora intitolato: Loro con protagonista Tony Servillo. Di certo sarà diverso dal Caimano (2006) di Nanni Moretti.

Emanuele Crialese

Autore sino ad oggi di soli 4 lm, Emanuele Crialese nasce a Roma (1965) da una famiglia di origine siciliana. Studia alla New York University, dove si laurea nel 1995. Dopo due cortometraggi , esordisce con Once We Were Strangers (1997, in Italia uscita solo in home video) che già espone i temi centrali della poetica del nostro regista: lo sradicamento socio-culturale, l’alienazione e il tema dell’emigrazione. Interpretato da Vincenzo Amato (che poi parteciperà anche ad altri film di Crialese) prende spunto dall’esperienza autobiografica di quanti, stranieri come lui e Amato, hanno fatto trasferendosi a New York. Il film partecipa al prestigioso Sundance Film Festival, la vetrina del cinema “Indie” americano. Prima di realizzare Respiro (2002), il film che lo rivela al pubblico e alla critica italiana, lavora a teatro negli Stati Uniti. Girato a Lampedusa con protagonista una straordinaria Valeria Golino (e Vincenzo Amato, Francesco Casisa, Elio Germano) – un ritratto quasi antonioniano di una donna isolana inquieta e fuori dagli schemi che non riesce a convivere con il suo ambiente – il film vince tra gli altri il Grand Prix Semaine de la Critique al Festival di Cannes.

Emanuele Crialese (2)

Seguendo l’ispirazione poeticadi Respiro ma questa volta in equilibrio tra la Sicilia e la New York questa volta dell’emigrazione passata, quella all’inizio del Novecento, segue Nuovomondo (2006), film che riscuotono notevole successo di critica e di pubblico in Italia e all’estero, in particolare in Francia. È stato presentato in concorso alla Mostra di Venezia dove ha vinto un Leone d’Argento e poi tre David di Donatello

Nel suo quarto lungometraggio, infine, Terraferma (2011), sceneggiato per la prima volta non da solo ma insieme a Vittorio Moroni, e interpretato da Filippo Puccillo, Donatella Finocchiaro, Mimmo Cuticchio, Beppe Fiorello, si ritorna ancora una volta alla Sicilia (a Linosa per la precisione) per affrontare, senza veli storici, il drammatico tema dell’immigrazione clandestina dall’Africa in Italia. Il film che ripropone per l’ennesima volta il problema dell’identità collettiva, delle ferite dello sradicamento e delle politiche migratorie, è stato presentato al Festival di Venezia 2011 dove ha vinto il Premio speciale della Giuria.

NUOVOMONDO (2006)

Con Charlotte Gainsbourg (che aveva sostituito la Golino impegnata in un altro progetto), Vincenzo Amato, Aurora Quattrocchi, Filippo Pucillo, Isabella Ragonese. Trama: Sicilia agli inizi del Novecento, Salvatore vuole condurre in America i figli e l'anziana madre. Venduta ogni cosa, si imbarca e durante la traversata oceanica incontra la bella Lucy. La ragazza parla la lingua inglese e cerca un compagno da sposare per ritornarci da Signora. Salvatore, da vero galantuomo, accoglie la sua avance. Il lungo viaggio approderà ad Ellis Island, l'isola della quarantena dove si decideranno gli ingressi e i rimpatri. Con molti problemi insoluti. Nuovomondo è tuttora la sintesi e il frutto più riuscito della poetica, complessa ma estremamente circoscritta, di Emanuele Crialese. Molto del fascino del film diviso in tre parti (quella siciliana, la traversata e l’arrivo nello spazio chiuso di Ellis Island) dipende dalla struttura narrativa di una grande limpidezza . Il racconto, a tratti sognante, segue infatti una precisa linea che và dai luoghi atavici di un’Europa in procinto di avviarsi verso la Guerra Mondiale e un’America invisibile, tutta protesa a confermare una propria egemonia economica sul piano globale. Come in Respiro il contatto diretto con il luogo d’origine, è l’elemento necessario per comprendere il senso che i personaggi danno al loro “appartenere” ad un ambiente e ad una storia. Essi vivono nella terra e alla terra sono pronti a fare ritorno. Nel film fondamentale è però anche la figura di Lucy che rappresenta l’inizio di un rovesciamento di un rapporto secolare con l’uomo. A Lei spetta la palma della Modernità in un mondo legato ad una mentalità ancestrale. Uno straordinario contributo filmico che ci racconta le tragedie dell’emigrazione oggi senza molta ideologia, rimandando ad un passato molto recente della nostra identità nazionale.

Marco Tullio Giordana Bio- filmografia (1) Nato a Milano nel 1950, Giordana è autore di film a metà tra fiction e documentario, strettamente legati alla realtà storica dei fatti. Con la collaborazione di Stefano Rulli e Sandro Petraglia, creatori della maggior parte delle sue sceneggiature, ha rinnovato la tradizione del cinema impegnato degli anni Settanta, indagando i casi controversi della nostra storia, dalle vicende di Peppino Impastato al delitto Pasolini, fino alla grande saga familiare La meglio gioventù. Dopo intense esperienze politiche, si avvicina al cinema collaborando con Roberto Faenza alla realizzazione diel doc. Forza Italia! alla fine degli anni Settanta. L'esordio alla regia avviene con Maledetti vi amerò! (1980), divertita ma amara riflessione (una delle prima se non la primissima) sulla generazione del '68. A quest'ultimo tema è dedicato anche La caduta degli angeli ribelli (1981), senza però riuscire a raggiungere i risultati del film precedente. In Notti e nebbie (1984, dall’omonimo romanzo di Carlo Castellaneta) si narra il periodo della Repubblica di Salò, la Resistenza e la guerra civile dal punto di vista del fascismo, diventando così uno dei rari esempi di cinema d'inchiesta. Anche se meno incisivo e con qualche ingenuità di sceneggiatura, Appuntamento a Liverpool (1987) racconta, invece, la strage dell'Heysel, la tragedia avvenuta nel 1985, poco prima dell'inizio della finale di Coppa dei Campioni di calcio tra Juventus e Liverpool allo stadio di Bruxelles, in cui morirono 39 persone, di cui 32 italiane, e ne rimasero ferite oltre 600. Marco Tullio Giordana Bio- filmografia (2) Nel 1995 realizza il docu-drama Pasolini un delitto italiano dove si cerca di far luce sugli errori e sulla sospettosa fretta delle indagini sull'omicidio efferato avvenuto a Ostia. È il primo film popolare che racconta la morte del grande poeta e cineasta italiano. Nel 2000 arriva il grande successo de I cento passi interpretato da Luigi Lo Cascio, ispirato alla breve vita di Peppino Impastato, giovane militante siciliano che, per aver osato combattere i mafiosi del suo paese, viene ucciso dai complici del boss Tino Badalamenti, lo stesso giorno in cui a Roma si scopriva il cadavere dell'onorevole Aldo Moro ammazzato dalle Brigate Rosse. Dopo questo film e La meglio gioventù , l'amore per le lotte storico-sociali diventa sempre più la chiave stilistica di Giordana, con Quando sei nato non puoi più nasconderti (2005) si affronta le contraddizioni di una famiglia borghese nei confronti della solidarietà per gli immigrati clandestini. Nel 2008 lo vediamo alle prese con Luisa Ferida e Osvaldo Valenti, interpretati da Monica Bellucci e Luca Zingaretti, in Sanguepazzo, in cui si percorre gli ultimi anni di vita dei due attori, dalla fedeltà alla Repubblica di Salò all'uccisione per mano dei partigiani. Nel 2012 infine esce Romanzo di strage, dedicato al sanguinoso attentato di Piazza Fontana del 12 dicembre 1969 e ai fatti che ne seguirono, fino all'assassinio del commissario Luigi Calabresi il 17 maggio 1972., nel quale dirige , Valerio Mastandrea e Laura Chiatti.

La meglio gioventù (2003) Con: Luigi Lo Cascio, Adriana Asti, Sonia Bergamasco, Maya Sansa, Fabrizio Gifuni, , , Valentina Carnelutti, , Claudio Gioé.

Trama: Trentasette anni di storia italiana, dall'estate del 1966 fino alla primavera del 2003, attraverso le vicende di una famiglia della piccola borghesia romana e la storia di due fratelli, Nicola e Matteo. Nicola (interpretato da Luigi Lo cascio eda cui parte il racconto), durante l'alluvione a Firenze del '66, incontra e si innamora di una donna e la segue per vivere nella città di lei, Torino. E' la Torino degli anni '70, sullo sfondo del terrorismo, dei problemi operai e dell'immigrazione dal Sud. Su questo incipit si prosegue fino al 2003 per chiedersi e chiederci che cosa sia cambiato da allora e cosa sia rimasto uguale. - Il film nasce come miniserie televisiva in quattro episodi, un lavoro che la Sacher di Moretti e Barbagallo produce per la RAI e che quest'ultima, per motivi niente affatto chiariti, non manda in onda nonostante per ben due volte ne avesse annunciato la trasmissione. Giordana riesce a portare la sua opera a Cannes, vince con clamore la sezione “Un certain regard” - Un'opera storica di 6 ore magnificamente interpretata da un grande cast, ma soprattutto: “un affresco che descrive l'evoluzione dei costumi, dei rapporti familiari e le trasformazioni sociali e qualche riflessione pungente sulla politica del nostro Paese”.

Michele Placido - Nato ad Ascoli Satriano nel 1946, comune pugliese al confine con la , Michele è il terzo di una numerosa famiglia di otto fratelli. A 18 anni si trasferisce a Roma ed entra in Polizia, partecipando come poliziotto alla Battaglia di Valle Giulia. Intrapresi gli studi teatrali presso l'Accademia Nazionale d'Arte Drammatica, lasciò la divisa e debutta a teatro nel 1970 col regista Luca Ronconi, nella trasposizione teatrale dell'Orlando Furioso di Ludovico Ariosto. Nel 1974 entra nel mondo del cinema, interpretando accanto a Ugo Tognazzi e Romanzo popolare di Mario Monicelli e accanto a Laura Antonelli Mio Dio, come sono caduta in basso! di Luigi Comencini. Seguono Marcia trionfale (1976) di Marco Bellocchio e Tre fratelli (1981) di Francesco Rosi - Il ruolo che però gli ha dato grande e decisivo impulso alla sua popolarità fu quello del commissario di Polizia Corrado Cattani nelle prime quattro miniserie de (1983, 1986, 1987, 1989), nonché quello - sempre nel 1989 - dell'eroico insegnante protagonista di Mery per sempre, di . E’ diventato così uno degli attori più importanti e richiesti del cinema italiano, alternando film d’autore e impegnati a opere di commedia. Michele Placido regista - Nel 1990 presenta al Festival di Cannes la sua prima opera come regista, Pummarò, sul problema dello sfruttamento lavorativo degli extracomunitari. Sono poi seguiti, tra alti e bassi e passando per vari argomenti, film spesso molto diversi come: Le amiche del cuore (1992), Un eroe borghese (1995), Del perduto amore (1998), Un viaggio chiamato amore (2002), Ovunque sei (2004), Il grande sogno (2009), film sul Sessantotto parzialmente autobiografico, presentato in concorso alla Mostra del Cinema di Venezia, Vallanzasca - Gli angeli del male (2010), sulla storia dell’omonimo bandito, Il cecchino (2012), La scelta (2015) e 7 minuti (2016). - Nel 2017 dirige i primi due episodi di Suburra - La serie, prima produzione italiana di Netflix. - Regista e attore appassionato ha fatto del carattere viscerale e diretto il suo segno distintivo. Non sempre con grandi risultati, la sua carriera ha preso direzioni diverse, spesso portate avanti con trasporto ed entusiasmo, a volte scivolando in un eccesso di presunzione artistica, altre creando opere di grande respiro, come il suo film più compiuto, Romanzo criminale.

Romanzo criminale (2005) Con: , , , , Pierfrancesco Favino, Riccardo Scamarcio, Jasmine Trinca, Gianmarco Tognazzi, Elio Germano, Toni Bertorelli, Chiara Francini. Trama: ll Libanese ha un sogno: conquistare Roma. Per realizzare quest'impresa senza precedenti mette su una banda spietata ed organizzata. Le vicende della banda e dell'alternarsi dei suoi capi (il Libanese, il Freddo, il Dandi) si sviluppano nell'arco di venticinque anni, intrecciandosi in modo indissolubile con la storia oscura dell'Italia delle stragi, del terrorismo e della strategia della tensione prima, dei ruggenti anni '80 e di Mani Pulite poi. Per tutto questo tempo, il commissario Scialoia dà la caccia alla banda, cercando di conquistare anche il cuore di Patrizia, la donna del Dandi. - Tratto dall'omonimo romanzo di Giancarlo De Cataldo (2002), la vicenda è ispirata alla storia della cosiddetta Banda della Magliana, nome attribuito dal giornalismo italiano a quella che è considerata la più potente organizzazione criminale che abbia mai operato a Roma, alla quale sono stati attribuiti legami con Cosa nostra, Camorra e 'Ndrangheta, ma anche con esponenti del mondo della politica, della massoneria, come la loggia P2 di Licio Gelli, dell'estrema destra eversiva, dei servizi segreti e del Vaticano. - Il film si è aggiudicato 8 David di Donatello e 5 Nastri d'argento. Romanzo criminale (2)

- Qui Michele Placido al suo risultato migliore è “riuscito a realizzare una fusione agile (pur in due ore e mezza di proiezione) tra il suo cinema di impegno civile, il livello della ricostruzione anche cronachistica e il versante letterario. Narrazione pura, storia patria e caratteri ben delineati, mai degli stereotipi danno luogo a un film "all'americana" nel senso migliore del termine. Questi piccoli delinquenti feroci che hanno terrorizzato Roma per anni finendo poi invischiati in trame più grandi di loro, sono seguiti con finezza psicologica e con grande attenzione anche sul piano lessicale. Sono 'veri', in qualche momento possiamo anche quasi 'capire' il perché del loro agire ma Placido non li 'giustifica' mai. In questo aiutato da un grande gruppo di attori tutti assolutamente adatti alla parte. Con, in più, una dark lady interpretata da Anna Mouglalis vero perno dei rapporti tra il mondo dei 'buoni' e quello di coloro che buoni non saranno mai perché costantemente spinti dal quello che viene da loro chiamato il 'sentimento nobile‘ della vendetta”.