IN GIRO PER VICENZA (Con Me, Andrea E Forse Un Gatto)
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Marina Forza IN GIRO PER VICENZA (con me, Andrea e forse un gatto) piccola guida per un turista senza pretese Dedicato a tutti i gatti vicentini, che nel corso degli anni hanno sopportato con felina tolleranza frizzi e lazzi di tanti italiani ignari dell’amore incondizionato di cui questi nobili animali sono oggetto nella città dei “magnagati”. Muso duro e bareta fraccà , affrontano il lotto di sorte che la vita ha riservato loro, degnando della loro presenza gli umani con cui condividono la città. Chissà, forse uno di essi vi accompagnerà nella vostra visita alla loro Vicenza… Oltre alla coerenza stilistica e all’impronta originale che il genio palladiano le ha donato, Vicenza esibisce il fascino tranquillo e nobile delle sue molteplici bellezze. Marina nella sua passeggiata le sa cogliere ed additare, coinvol - gendo chi con lei se ne lascia emozionare. Pietre e luoghi parlano di storia, raccontano leggende e tradizioni, lasciano trasparire segreti. Con incedere leggero siamo condotti ad addentrarci nello scenario urbano, alla ricerca curiosa e divertita del “Genius loci”. Raffaella Valente Copyright 2019 © Marina Forza [email protected] copertina e illustrazioni di Miriam Piovan gatti alle pagine 2, 4, 8, 49, 81, 84 di Hu Jianjing cura editoriale, grafica e impaginazione di Ivo Forza PREFAZIONE DELL’AUTRICE La prima volta che vidi Vicenza avevo 12 anni. Un bel giorno la mia famiglia lasciò il brumoso Monferrato or- mai già immerso nelle nebbie autunnali e arrivò nella città dell’oro. Erano le sei di sera quando il treno mi sca - ricò insieme a mia madre e mio fratello nella stazione vi - centina per ripartire verso Venezia. Pioveva. Viale Roma si allungava dal piazzale della stazione quasi all’infinito davanti ai miei occhi e le luci bianche dei lampioni si ri - flettevano sull’asfalto bagnato insieme a quelle colorate dei negozi. Mi sembrava di essere a New York. Vicenza non è New York, ma quella prima forte emozione mi con - dizionò per sempre: me ne innamorai. Oggi Vicenza non è più la stessa di quei tempi lontani (eh sì, non ho più dodici anni, e nemmeno venti…) e nel corso della mia vita ho imboccato tanti altri viali bagnati da piogge autunnali, ma per me è sempre la mia Vicenza. Al nostro arrivo a Vicenza andammo ad abitare nella zona di San Marco. Era una zona tranquilla. A quel tempo tutto era più tranquillo, e io e mio fratello andavamo a scuola a piedi, alla scuola media nel quartiere di San Rocco. I nomi delle vie mi facevano ridere: Canove Vec - chie, Soccorso Soccorsetto, Cul De Ola, e poi tutti quei santi: Santa Lucia, Santa Caterina, Santa Chiara, per non parlare di Corso Santi Felice e Fortunato. –5– Una cosa che mi lasciava perplessa era invece l’abbon - IN GIRO PER VICENZA danza di nobildonne, nobiluomini e nobili famiglie di cui (con me, Andrea e forse un gatto ) sentivo costantemente parlare. Fino ad allora li avevo in - contrati solo nelle mie letture; fiabe e racconti erano po - polati da re, regine, conti e marchese, ma dato che co- piccola guida per un turista senza pretese munque erano sempre accompagnati da streghe e fate li avevo relegati tutti in blocco nel mondo immaginario a cui secondo me dovevano appartenere. Un giorno però, andando dal casolin (negozio di alimentari) per la mia mamma, sentii una voce dietro di me che diceva in tono deferente: “Buongiorno Marchesa!” Mi girai per vedere a chi fosse rivolto il saluto e vidi una vecchietta con un cappellino di feltro e una pelliccia consunta che scam - biava convenevoli con un signore col cappello in mano. Una Marchesa! Una vera Marchesa! Non proprio come me la immaginavo, ciò nondimeno vera!!! Qualche anno dopo imparai un proverbio locale: “Non son tanti nell’orto pomi e peri quanti a Vicenza conti e ca - valieri ”. Vicenza era un po’ così, una nobile città di anti - che origini, piena di conti e cavalieri che stava vivendo una sua agiata sonnolenza. E com’è ora questa cittadina veneta? Lascio a voi il pia - cere di scoprirlo. Io vi porto un po’ in giro a conoscerla e poi mi direte voi… –6– Comincerò col dire che io sono uno di quegli scrittori fortu - nati, secondo la celebre frase di Balzac, che hanno una pro - vincia da raccontare. Fortunati perché possiedono delle radici, ed hanno alle spalle una cultura, una storia, una tradizione, un popolo, nei quali si riconoscono, dentro i quali riescono a rintracciare i lineamenti della propria identità. Fortunati per - ché sanno chi sono, possiedono un habitat, una collocazione precisa nella infinita varietà del mondo reale. Carlo Sgorlon CAPITOLO 1 “Proseguendo verso Vicenza, una teoria di colline di na - tura vulcanica, che chiudono la pianura, si estende da nord a sud, e Vicenza giace ai loro piedi. O se si vuole in un’in - senatura formata dalle stesse.” Così scriveva Goethe nel racconto del suo viaggio da Verona verso Vicenza, e tutto è ancora così. I Colli Berici, questo è il loro nome, ci sono ancora, no - nostante la costruzione massiccia di strade e autostrade sulle quali le polemiche sembrano non avere mai fine, e rimangono una meravigliosa parte dell’Italia, ricchi di tradizioni, di vino buono e cucina eccellente. Cominciamo il nostro tour proprio da Monte Berico, che si erge dietro la stazione di Vicenza. Come ci arrivia- mo? … Beh, comodi comodi in macchina, perché no, ma io suggerisco i classici quattro passi. È una passeggiata age - vole perché nonostante il nome faccia pensare ad una vetta quasi alpina in realtà si tratta a malapena di un colle. Tuttavia ha una posizione privilegiata che domina tutta Vicenza e salendo a piedi saremo ricompensati dallo spet - tacolo architettonico del porticato ideato da Francesco Muttoni che da più di due secoli accompagna i pellegrini nel corso della loro ardua ascesa alla chiesa che sta sopra il monte. – 11 – – Ma non hai appena detto che è una passeggiata age - questa volta fu creduta. In men che non si dica fu eretta vole ? – direte voi. E lo è. Ma per alcuni di questi pellegrini una chiesetta e anche un monastero per i frati che avreb - la salita è ardua perché devono espiare alcuni peccatucci, bero dovuto averne cura; poi piano piano, nel corso dei o magari hanno fatto un voto chiedendo una grazia par - secoli, furono fatte aggiunte e ampliamenti, un po’ buttan- ticolare, per cui la fanno in ginocchio, mentre noi invece do giù pezzi precedenti, un po’ costruendoci sopra, fino ad ce la prendiamo comoda e, mentre saliamo, vi racconto arrivare alla struttura che potete ammirare oggi: una bella la storia del Santuario della Madonna di Monte Berico. chiesa barocca che ospita numerose opere d’arte impor - tanti. Detto per inciso, la peste cessò per davvero. Allora, dice la storia che verso gli inizi del 1400 Vicenza Ma veniamo alle opere d’arte. Una di queste si trova in era flagellata dalla peste. Una gran brutta cosa, dobbiamo quello che una volta era il refettorio e ha una storia dram - dire, queste epidemie di peste che colpivano la popola - matica. Eh sì, perché Vicenza ebbe la sorte di essere la sce- zione, di solito arrivando al seguito dei soldati di ventura na di alcune battaglie risorgimentali, e proprio qui a Mon- impegnati in guerra. te Berico i soldati austro ungarici ingaggiarono una bat - Una anziana contadina di Sovizzo, un paesino appena taglia contro i patrioti capeggiati da Giuseppe Mazzini, fuori Vicenza, se ne era andata a portare da mangiare a suo durante la quale con poche baionettate ben sistemate fe - marito, che lavorava proprio su quel colle. Vincenza, que - cero a pezzi un dipinto che il povero artista Paolo Veronese sto era il suo nome, probabilmente fu molto stupita nel aveva impiegato chissà quanto tempo a fare, qualche se - vedere apparire la Madonna, la quale le disse che se aves - colo prima. Oggi lo potete ancora ammirare per santa mi - sero costruito una chiesa in suo onore la peste sarebbe ces - sericordia, tutto ricucito che quasi non si vede, un vero sata. Logicamente Vincenza riferì tutto a suo marito, che miracolo. Il governo austriaco stesso provvide alla sua re - le mise una mano sulla fronte per controllare se per caso staurazione! non avesse la febbre alta. La signora comunque era sicura E parlando di miracoli, sul retro della chiesa potete af - di quello che aveva visto e corse a dirlo a chi di dovere, facciarvi sul dirupo detto il “Salto dello sbirro”. Un rita - preti ed autorità cittadine, ma anche loro si mostrarono glio di un giornale locale del 1927 racconta anche questa reticenti a credere alla nostra amica. storia. Un malfattore scappa inseguito da un poliziotto. Intanto la peste faceva il suo dovere e mieteva vittime Vedendosi spacciato entra in chiesa, apre la finestra e si a tutto spiano, per cui quando la Madonna si presentò una butta giù. È molto probabile che non frequentasse tanto seconda volta con la stessa richiesta, Vincenza, a costo di la chiesa, altrimenti avrebbe saputo che lì sotto c’era un passare per pazza, raccontò di nuovo dell’apparizione e dirupo. Così si sfracellò. – 12 – – 13 – Lo sbirro che lo aveva rincorso fino a quel momento non voleva farsi sfuggire la preda (chissà poi cosa aveva combinato il criminale) e senza pensarci su troppo, anzi senza pensarci del tutto, si lanciò anche lui dalla finestra. Quando si rese conto che non sarebbe finita bene, dispe - ratamente invocò l’aiuto che ormai poteva arrivare solo dall’alto… e l’ottenne. Raccontò poi che aveva sentito una mano che lo sosteneva e lo depositava a terra illeso.