Museo Querini Stampalia Venezia a cura di Babet Trevisan

Fondazione Querini Stampalia Onlus Museo Querini Stampalia Fondazione Querini Stampalia Venezia Onlus

Consiglio di Presidenza a cura di referenze fotografiche Babet Trevisan Joerg P. Anders. ©2005. Foto Scala, Firenze/ Presidente Direttore BPK Marino Cortese Enrico Zola testi di Andrea Avezzù Enrico Zola Cameraphoto Arte Vice presidente Marigusta Lazzari Babet Trevisan Francesco Castagna Antonio Foscari Attilio Maranzano Federico Acerboni schede di ORCH_Chemollo Consiglieri Andrea Bellemo Tiziana Bottecchia (TB) Giovanni Castellani Gabriella Berardi Elisabetta Dal Carlo (EDC) fototeca Davide Croff Tiziana Bottecchia Dora De Diana (DDD) Gabriella Berardi Irene Favaretto Lucia Marina Broccato Babet Trevisan (BT) Marcellino Busato Marcellino Busato Revisori dei conti Cristina Celegon bibliografia essenziale progetto grafico Roberto Parro Barbara Colli Barbara Colli Studio Camuffo Giancarlo Tomasin Elisabetta Dal Carlo Dora De Diana indice dei nomi impaginazione Ente tutore Massimo Donaggio Cristina Celegon Karin Pulejo, Studio Camuffo Istituto Veneto di Scienze Antonio Fancello Grafiche Vianello Lettere ed Arti Neda Furlan coordinamento editoriale ISBN: 978-88-7200-321-3 Leopoldo Mazzarolli, Presidente Angelo Mini Marigusta Lazzari Angela Munari Copyright © 2010 Vianello Libri, Ponzano (Tv) Circolo Queriniano Barbara Poli Iniziativa realizzata con il contributo Copyright © 2010 Fondazione Scientifica Comune di Venezia Barbara Rossi della Regione del Veneto, Querini Stampalia onlus, Venezia Consorzio Venezia Nuova Marta Savaris ai sensi della L.R. n. 50/1984, art. 44 Fondazione ENI Enrico Mattei Babet Trevisan la Fondazione è a disposizione Fondazione di Venezia Anna Francesca Valcanover per eventuali crediti fotografici non indicati FURLA S.p.a. Insula S.p.a. Chiara Bertola Ministero per i Beni e le Attività Culturali Monica Bertello Provincia di Venezia Sara Bossi Regione del Veneto Alessandra Breda Rubelli S.p.a. Anna Fantelli Le attività della Fondazione Querini Stampalia SIPCAM S.p.a. Elisa Ghisu sono sostenute da: Alessandro Marinello Alvise Rabitti Giovanni Rosa Geraldine Testa Onorato Zustovi

Silvia De March Laura Pertot Silvia Zanrosso in copertina: Giovanni Bellini, La Presentazione di Gesù al Tempio, particolare Gentili visitatori, ho il piacere di presentare la guida breve al nostro Museo, pensata per accompagnarvi nella visita, ma anche come ricordo dei percorsi museali. Da molti anni sentivamo il bisogno di uno strumento come questo; il cata- logo del Museo fu pubblicato nell’ormai lontano 1979 ed è di difficile repe- rimento. Inoltre, nel corso degli anni, varie scoperte d’archivio o ricerche iconografiche hanno condotto al cambiamento di attribuzione e datazione dei dipinti della collezione di famiglia e di questo, come anche dei molti altri cambiamenti architettonici della Fondazione e dei nuovi servizi al pubblico, volevamo dare notizia in un’unica pubblicazione. Il volume non sostituisce il catalogo scientifico, ma è una guida completa, se pur breve e divulgativa, a quello che riteniamo maggiormente interessante del no- stro patrimonio. Ci è caro dedicare questa nuova opera alla memoria del nostro Fondatore, Giovanni Querini Stampalia, scomparso 140 anni or sono, il 25 maggio 1869. Potrete così girare per le sale del Palazzo virtualmente accompagnati dai nostri conservatori, autori dei vari testi, che hanno cercato di rendere pia- cevole la descrizione degli ambienti e che hanno voluto, inoltre, offrirvi al- cune curiosità non solo sulle opere esposte, ma anche sulla vita della Sere- nissima. Le piantine vi aiuteranno nel percorso allestitivo, che vi porterà in un viaggio nel tempo: dalla casa settecentesca dei Querini Stampalia, con la sua biblioteca al primo piano, e la dimora storica al secondo piano, all’ar- chitettura contemporanea di Carlo Scarpa, Valeriano Pastor e Mario Botta. Vi auguro una buona visita.

Marino Cortese Presidente della Fondazione Querini Stampalia

Venezia, 25 maggio 2009 Il senso del sostegno offerto alla Fondazione Querini Stampalia per pub- blicare la guida alle collezioni della sua celebre Pinacoteca va al di là del ruolo istituzionale ricoperto dalla Regione nel promuovere il sistema dei nostri musei, privati o pubblici che siano, attraverso quanto dispone la legge regionale 5 settembre 1984 n. 50 “Norme in materia di musei, biblio- teche e archivi di enti locali o di interesse locale”. Il fatto è che il momento della pubblicazione di un volume che illustri il complesso di un’istituzione culturale, sia dal punto di vista storico sin dalla sua fondazione sia per i beni in essa conservati, rappresenta un impegno importante nei con- fronti del pubblico e, soprattutto, un segno di grande attenzione nei suoi confronti al fine di rendergli amichevolmente accessibile l’incontro con il museo. Come viene concepito questo strumento di comunicazione (e di una comunicazione che deve essere qualcosa di più rispetto ad un catalogo scientifico, la cui redazione è prevalentemente orientata alla consultazione da parte di studiosi) costituisce, per questo motivo, un elemento di valu- tazione del raggiungimento di standard di qualità gestionali. Non a caso, infatti, all’interno del noto documento di indirizzo emanato nel 2001 dal Ministero per i Beni e le Attività culturali per indicare i criteri tecnico- scientifici e gli standard di sviluppo e di funzionamento dei musei, l’ambito VII, dedicato ai “Rapporti del museo con il pubblico e relativi servizi”, invita a predisporre una serie di strumenti per favorire la lettura critica delle opere presentate e, tra questi, le guide brevi e il catalogo scientifico. Ci ha onorato il fatto che la Fondazione abbia chiesto alla Regione di es- sere partner istituzionale nella realizzazione di quest’opera. Lo abbiamo colto come un segnale di attenzione rispetto alla nostra missione, tesa ad avvicinare, attraverso iniziative differenziate, il pubblico, sia locale sia turi- stico, alla conoscenza del ricco patrimonio culturale conservato negli oltre trecento musei del Veneto. La qualità della pubblicazione si coglie ampia- mente non solo nel rigore scientifico dei testi e del progetto culturale ad essa sottesi, ma anche nella ricchezza delle immagini che avranno il compito di restituire la memoria delle emozioni che ogni visitatore proverà nell’entra- re nella casa del conte Giovanni, ultimo discendente della famiglia patrizia dei Querini Stampalia, ritrovando il sapiente equilibrio tra una dimensio- ne spaziale e percettiva rimasta domestica e una godibilità pensata secondo i più moderni parametri della fruizione museale di qualità.

Angelo Tabaro Segretario Regionale Cultura Regione del Veneto Sommario

1 1 La Fondazione Querini Stampalia Enrico Zola 33 Restauri e allestimenti storici del Museo Babet Trevisan

IL MUSEO 43 I. Portego 53 II. Sala Giovanni Bellini 59 III. Sala delle tavole 69 IV. Sala della Maniera 79 V. Sala della musica 87 VI. Sala dei ritratti 95 VII. Salotto Giuseppe Jappelli 105 VIII. Sala Ottocento 113 IX. Scene di vita veneziana 123 X. Studiolo 129 XI. Camera da letto 135 XII. Boudoir 141 XIII. Salotto rosso 149 XIV. Salotto verde 157 XV. Sala degli stucchi 163 XVI. Sala da pranzo 171 XVII. Sala mitologica

183 Area Carlo Scarpa

1 97 Restauri e benefattori dal 1980 199 Indice dei nomi 203 Bibliografia essenziale La Fondazione Querini Stampalia

Il Conte Giovanni (1799-1869), ultimo discendente dei Querini del ramo Stampalia, lasciò in eredità nel 1868 alla sua Venezia tutti i suoi averi: lo storico palazzo di famiglia, terre, case, libri, quadri, mobili, oggetti d’arte, monete, stampe. Con l’estinzione dei Querini e il conseguente passaggio a Fondazione di tutto il patrimonio, si è realizzato un raro esempio di conservazione dei beni di una famiglia di antichissime e nobili origini. La famiglia Querini, annoverata tra le dodici casate apostoliche, le più insigni fondatrici della città lagunare, faceva parte dei governanti, del patriziato, cioè di coloro che occuparono ereditariamente l’area del potere. La partecipazione nel 1310 di Marco Querini alla drammatica congiura ordita da Bajamonte Tiepolo contro il doge Pietro Gradenigo segnò la loro storia, macchiando il nome della casata, che venne esclusa per sempre dal dogado. Nel XIV secolo Zuanne Querini riuscì ad acquistare l’isola di Astipalea nell’Egeo e da questo feudo deriva il titolo di Stampalia, titolo che solo nel 1808 venne usato da Alvise Querini alla corte napoleonica di Milano per distinguersi da un suo omonimo, l’am- basciatore del Regno di Sardegna. Da allora il doppio cognome è rimasto ad indicare prima la famiglia, oggi la Fondazione. Nel secondo Settecento, il patriziato veneziano appariva suddivi- so – di fatto se non di diritto – in tre fasce “sociali”: i “grandi”, con il massimo delle disponibilità economiche e quindi con le maggio- ri disponibilità di gestione del governo; i “quarantiotti” mediani di facoltà economiche e mediani di potere; i “barnaboti”, decisa- mente più poveri di sostanze e decisamente poveri di potere pur se appartenenti anch’essi al corpo sovrano e sedenti in Maggior Consiglio.

Pittore veneto Giovanni Querini Stampalia 11 la fondazione querini stampalia

I Querini di Santa Maria Formosa facevano parte dei “grandi” e si evince che Palma il Vecchio, e dopo la sua morte la sua bot- con la generazione che si era dipartita da Zuanne Carlo (fratello tega, e segnatamente Bonifacio de’ Pitati intrattennero conti- del celebre cardinale Angelo Maria) entrarono nel gruppo di co- nuamente rapporti professionali con la famiglia. loro che di fatto guidavano il Governo della Serenissima. Erano Il crescente prestigio dei Querini nei primi decenni del Cinque- di Santa Maria Formosa perché nel Cinquecento i Querini co- cento, spinse la famiglia a realizzare nella dimora una nuova se- struirono in quel luogo, dove già possedevano nel Trecento alcune rie di migliorie, tuttavia le scelte operate negli anni dai diversi case, un palazzo ispirato all’architettura di Mauro Coducci, archi- committenti manifestano la mancanza di un progetto unitario tetto che a Venezia aveva già progettato diverse opere come Ca’ di trasformazione, abbellimento e aggiornamento della dimora e Vendramin Calergi, la chiesa di San Zaccaria, la chiesa di San sottolineano un modo di procedere per aggregazioni, attraverso Giovanni Evangelista (Scuola Grande), la chiesa di Santa Maria una successione di interventi parziali decisi secondo una logica di della Visitazione (Pietà), la chiesa di Santa Maria Formosa. “diligente economia”. Come indicato nel testamento del fondatore questo Palazzo è tut- Il Palazzo di residenza crebbe, si sviluppò, si riarticolò e si abbellì tora la sede della Fondazione omonima che vi ha allestito la Bi- nel tempo con annessioni di proprietà contigue e sopraelevazio- blioteca al primo piano, già appartamento del Conte Giovanni, ni, venne diviso in appartamenti e a volte venne parzialmente il Museo al secondo piano, che era stato sede patriarcale nella affittato. prima metà dell’Ottocento, e un’area per esposizioni al terzo. I documenti d’archivio non riportano novità di rilievo fino al 1614 quando Zuanfrancesco (1554-1621) decise di acquistare da un suo lontano parente una casa da stazio identificabile con l’edificio IL PALAZZO preesistente all’odierna ala orientale del Palazzo, cioè quella di- rettamente prospiciente il campo di Santa Maria Formosa. Un documento del 1514 ci attesta l’inizio dei lavori per la realizza- Venne effettuato un ulteriore acquisto a confine nel 1654 (edificio zione del nuovo Palazzo commissionato da Nicolò Querini (1442 tutt’ora esistente dirimpetto al Palazzo, sull’altra riva del rio) e tra circa - post 1514). I lavori intrapresi da Nicolò proseguirono con il il 1660 e il 1710 è probabile che siano avvenute delle risistemazioni nipote Francesco (1503 circa - 1554) che per circa un trentennio e l’unificazione delle due antiche case da stazio cinquecentesche. registrò nella sua contabilità numerose “spese fatte per la chaxa Mediante un ponte aereo a cavallo del rio, il Palazzo venne col- dove si abita”. legato alla casa antistante sul campo, e questa direttamente alla Gli interventi riguardarono sia la sistemazione degli interni, come chiesa parrocchiale, alla quale dunque nel Settecento la famiglia nella “chamera granda”, sia quella del prospetto sul campiello, accedeva direttamente da casa senza uscire in campo. probabilmente conclusasi nel 1524 con la messa in opera di due Un vero rinnovamento radicale del Palazzo si svolse tuttavia solo balconate ai “pergoli”. nella seconda metà del Settecento, in occasione del matrimonio Tra il 1515 e 1528 sono indicati infatti nei registri di spesa lavori tra Alvise (1758-1834), uno dei figli di Zuanne, e Maria Tere- di ampliamento, riparazione e abbellimento del Palazzo, da cui sa Lippomano. Vennero modificati gli spazi interni, ridotte le

13 la fondazione querini stampalia dimensioni delle sale, commissionati nuovi cicli pittorici, ma non leone gotico e due fontane che portano il murmure dell’acqua in venne alterata la cinquecentesca facciata esterna. In un momen- questo silenzioso angolo veneziano. to di declino della città aggiornamenti e novità infatti potevano Una ulteriore riqualificazione della sede nasce alla fine del 1993, coinvolgere i luoghi del privato uso quotidiano ma non l’immagi- quando Giorgio Busetto ed Egle Trincanato, al tempo rispettiva- ne esterna di una dimora patrizia. mente direttore e presidente della Fondazione, affidano l’incarico Nel 1788 Andrea Querini (1710-1795) e suo figlio Zuanne (1733- all’architetto ticinese Mario Botta di procedere ad un articolato 1793) stipularono un contratto con il proto Antonio Solari per progetto di restauro. Botta, molto legato alla Fondazione, decide l’ingrandimento e il restauro di Palazzo Querini Stampalia. Il di donare il suo progetto: come molti studenti passava intere gior- cantiere venne affidato prima ad Antonio Solari e poi a Giro- nate in Biblioteca e i relatori della sua tesi furono Carlo Scarpa e lamo Vianello mentre per la realizzazione dei nuovi decori ven- Giuseppe Mazzariol. nero chiamati Jacopo e Vincenzo Guarana, Davide Rossi, L’intervento di Botta definisce un rinnovamento profondo della l’ornatista Giuseppe Bernardino Bison, il doratore Domeni- sede, spostando l’entrata al Palazzo da campiello Querini a cam- co Sartori e i fratelli stuccatori Giuseppe e Pietro Castelli. po Santa Maria Formosa. Mentre con il restauro del sottotetto e Dal 20 maggio 1835 al 1° giugno 1850 il secondo piano dell’edifi- del terzo piano sono stati ricavati degli uffici e un’area per mostre cio venne affittato al patriarca Jacopo Monico. e seminari, al piano terra sono stati creati spazi per un insieme Il 3 agosto 1849 il Palazzo fu saccheggiato da parte dei patrio- di funzioni a servizio del pubblico: bookshop, caffetteria, guar- ti del Circolo Italiano. L’assalto avvenne perché si era diffusa la daroba, sale da bagno, un’area per ospitare i bambini e infine un voce, priva di fondamento, che il patriarca Jacopo Monico avesse auditorium che si configura come prosecuzione dell’ingresso alla sottoscritto una petizione per la resa agli austriaci. Fondazione. Mobili, libri, monete, medaglie e altri oggetti preziosi vennero Le differenti funzioni della Fondazione trovano un elemento uni- gettati in canale con un un danno per Giovanni di 100.000 lire ficatore nella corte dedicata a Giuseppe Mazzariol, che si apre austriache di allora. inattesa e riscatta gli spazi compressi dei locali attigui, ridotti in Nel 1869 il Palazzo di famiglia divenne la sede della Fondazione altezza per portare il pavimento a una quota di sicurezza rispet- istituita allo scopo di conservare e valorizzare le sue raccolte arti- to all’escursione media di marea. La continuità spaziale è resa stiche e bibliografiche, insieme con tutti i suoi averi e di promuo- grazie all’impiego degli stessi materiali usati nel bookshop, nella vere “il culto dei buoni studj, e delle utili discipline”. caffetteria e nelle altre sale collocate al piano terra. Confinante Tra il 1959 e il 1963 l’architetto Carlo Scarpa eseguì al piano con la corte l’auditorium con 132 posti a sedere su poltroncine in terra, per volontà di Giuseppe Mazzariol (Venezia, 1922-1989), pelle nera, dotato delle tecnologie più avanzate, di cabine di regia allora direttore della Fondazione, e Gino Luzzatto (Padova, 1878 e traduzione simultanea. - Venezia, 1964) allora presidente, un celebre restauro: la realizza- Alcuni importanti interventi a Palazzo sono stati eseguiti anche dal zione di una sala, utilizzata per mostre e conferenze e un piccolo 1982 al 1997 dall’architetto Valeriano Pastor. Il segno più visibi- giardino interno, chiuso tra mura, con una vera da pozzo, un le è la scala, che costituisce oggi la principale uscita di emergenza

pagina seguente: Carlo Scarpa Giardino 17 Carlo Scarpa Valeriano Pastor LA FONDAZIONE QUERINI STAMPALIA La “Fondamenta” Portone di sicurezza

del Palazzo. Costruita ex novo, al posto di una scala di servizio ottocentesca, con gradini in pietra artificiale prefabbricati, com- prende anche piccoli ambienti per bagni e depositi, e si conclude all’ultimo piano con l’accesso a un’altana. Il rivestimento, che si affaccia su una piccola corte, è in legno e le finestre sono degli oblò. Al pianoterra, nella corte adiacente al giardino, Pastor ha disegnato un varco di uscita sul muro perimetrale. Il portone di legno e metallo, con il monogramma QS (Querini Stampalia) in- serito nell’arco di pietra, dialoga con il cancello scarpiano posto sull’altro lato della calle. Problemi di raccordo e di fruizione di fondamentale importanza vengono risolti da Pastor con un ponte aereo di collegamento tra il Palazzo sede e la palazzina posta al di là del giardino e con la trave parete in Museo, realizzata insieme all’ingegnere Walter Gobbetto, in seguito anche progettista del nuovo deposito librario. Dal 1997 la facciata cinquecentesca del Palazzo è stata arric- chita da un’installazione di neon. Si tratta dell’opera La Materia dell’Ornamento di Joseph Kosuth eseguita per il progetto “Sara- jevo 2000” e costituita da dodici frasi tratte dal libro Le pietre di Venezia di .

IL MUSEO

Le nozze tra Francesco Querini (1503 circa - 1554) e Paola Priu- li, celebrate nell’aprile del 1528, sono considerate l’evento che ha dato inizio alle vicende di committenza artistica della casata. A questa data il pittore della famiglia è Jacopo Palma il Vecchio e a lui verranno commissionati i ritratti degli sposi, oggi esposti in Museo. Importante fonte di notizie su commissioni ed esecuzioni è il Libro di spese di Francesco, dove sono registrati i costi per lavori di ampliamento, riparazione e abbellimento del Palazzo.

Mario Botta Mario Botta Scala c Auditorium G. Piamonte 19 LA FONDAZIONE QUERINI STAMPALIA

Tra le commissioni compaiono le pitture di Palma nella “camera d’oro”. Il 30 luglio 1528 Palma muore e nell’inventario steso alla sua morte, dove si legge la descrizione sommaria dei dipinti allora presenti nello studio, sono elencati cinque quadri a lui commissio- nati da Francesco. Da qui nasce la quadreria queriniana. Difficile, allo stato attuale degli studi e dei documenti reperiti, dare informazioni altrettanto certe sulla storia successiva della raccolta per oltre un secolo e mezzo, anche se la presenza di ri- tratti rimanda con sicurezza a Marco Vecellio, chiamato nel tardo Cinquecento a effigiare in una serie di ritratti ideali il ca- sato, e a Sebastiano Bombelli, che celebra, un secolo dopo, Gerolamo in vesti da procuratore e il fratello Polo. Nel Seicento infatti la famiglia raggiunge un elevato grado di ricchezza e potenza, assume una maggiore visibilità e si fanno più frequenti gli episodi celebrativi. Gerolamo (1648-1709) e Polo (1654-1728) acquistano le procuratorie straordinarie di San Mar- co, rispettivamente de citra il primo e de ultra il secondo. L’udinese Bombelli, pittore di crescente successo che sarà chiamato anche a Palazzo Ducale, viene incaricato di eseguire due grandi ritratti a figura intera di Gerolamo e di Polo, e altri quattro ritratti degli stessi di dimensioni più piccole. A maggior gloria della casata, l’avvento al soglio ducale del doge Silvestro Valier e della moglie Elisabetta Querini (1630 circa - 1709) viene immortalato in due ritratti da Nicolò Cassana nel 1694. Gli anni a cavallo tra la fine del Seicento e gli inizi del Settecento vedono alcuni episodi significativi riferiti a interessanti gruppi di opere. Tra questi, per arredare il “cameron della galleria”, desti- nato a funzioni di rappresentanza, sette busti marmorei tradizio- nalmente attribuiti a Orazio Marinali e noti come Bravi, oggi ri- tenuti sculture di Michele Fabris detto l’Ongaro e raffiguranti filosofi, un giovane allievo e una coppia di santi. Tra le opere riconoscibili del “cameron della galleria” vi è il

21 la fondazione querini stampalia soffitto di Sebastiano Ricci con l’Allegoria del giorno, probabil- a Treviso, Bella, un pittore minore. Il Museo conserva mente commissionato per celebrare il matrimonio di Zuanne sessantasette tele di quest’artista che fa rivivere feste popolari, bal- Carlo (1681-1763) con Chiara Tron nel 1702. li, teatri, cerimonie ufficiali della Repubblica, in parte provenien- Il Settecento si pone come un periodo particolarmente felice per ti dalla casa dominicale, in parte dalla famiglia Giustinian. i Querini: annoverati tra i più ricchi esponenti della società ve- Figura chiave in seno alla casata è stata quella di Alvise, nipo- neziana e diventati tra i maggiori proprietari fondiari dello sta- te prediletto di Andrea e padre del conte Giovanni. Dal 1795 al to, parteciparono attivamente alle vicende della vita pubblica. In 1797 visse a Parigi come ultimo ambasciatore della Serenissima questo secolo tre Querini diventano procuratori di San Marco, Repubblica in Francia. A lui si deve l’acquisto del prezioso servi- Polo e i suoi due figli Zuan Francesco e Zuanne Carlo; ma chi zio in porcellana di Sèvres che arreda la sala da pranzo. assurgerà a più alti onori sarà il secondogenito di Polo, Gerolamo, La storia della Dominante, della famiglia e del patrimonio conti- prelato di gran rango dell’ordine benedettino, col nome di Angelo nuano a procedere insieme. Maria (1680-1755), il personaggio più ragguardevole nella storia Dalla metà del Settecento la morsa dei debiti attanaglia il patri- della famiglia. Uomo di grande ingegno e vivace figura di intel- monio queriniano divenendo pesantissima a fine secolo. Nel pri- lettuale, arcivescovo di Corfù e poi vescovo di Brescia, prefetto mo Ottocento ne consegue un’ampia manovra di disinvestimenti della Vaticana e fondatore della grande Biblioteca Queriniana a tale da spingere Alvise e i suoi tre fratelli a decidere di rendere Brescia, ebbe anche statura internazionale per i suoi rapporti con disponibile per la vendita persino la biblioteca e la galleria, che uomini come Voltaire, Newton e Montesquieu, capace come fu di la tradizione familiare voleva custodite integre e, per quanto pos- inserirsi nel più vasto dibattito dell’illuminismo europeo. Lette- sibile, regolarmente accresciute. A causa del collasso economico rato, traduttore, collezionista ed editore, oltre che teologo, era un e sociale della nobiltà veneziana alla caduta della Repubblica, il vanto di Venezia, tanto da venir annoverato tra i “sommi tre geni mercato risultava invaso da libri e opere d’arte e non interessa- patrizi”, unitamente al doge Marco Foscarini e all’abate filosofo to alla gran parte dei beni Querini. Diversamente, anche queste Antonio Conti. raccolte, oggi di pubblico uso, sarebbero state disperse come tante Altro illustre membro della casata è Andrea (1710-1795). Influente altre biblioteche e collezioni d’arte di cui era ricchissima la città. senatore della Dominante, mecenate protettore di Carlo Goldoni Dal terzo decennio dell’Ottocento si affaccia sulla scena Giovan- e Pietro Longhi, a lui si deve la committenza di due dei nuclei ni, “padre” della Fondazione intitolata al nome della famiglia più significativi della collezione. Querini Stampalia. Uomo di difficile carattere, ma ottimo am- Longhi intorno al 1750 dipinse per Andrea la scena d’interno con ministratore e collezionista attento, ebbe in sorte alcune sottra- la Lezione di geografia, tra il 1755 e il 1757 la serie dei Sette Sacramenti, zioni durante il saccheggio del suo Palazzo nel 1849, compensate destinati ad arredare la camera da letto, nel 1761 la Frateria di Vene- dalle eredità Lippomano, Garzoni e Polcastro, che contribuirono zia e nel 1762 il Casotto del leone, opere che fanno parte delle quindi- all’incremento delle raccolte d’arte. ci tele dell’artista che appartengono all’asse ereditario. Sempre per Oggi il Museo si propone al pubblico come una dimora storica Andrea lavora nel 1782 nella casa dominicale ai Santi Quaranta che conserva l’atmosfera di un tempo, aprendo tuttavia le porte pagina precedente: Palazzo Querini Stampalia, installazione di Joseph Kosuth La Materia dell’Ornamento 23 LA FONDAZIONE QUERINI STAMPALIA

ad iniziative, concerti ed esposizioni sia di arte antica che di arte contemporanea. Dal 1996 si organizzano ogni fine settimana, in collaborazione con la Scuola di Musica antica di Venezia, e di recente anche con la Fondazione Ugo e Olga Levi di Venezia, quattro concerti di musica antica. Dal 2004, con il sostegno della Regione del Veneto, si realizza il progetto “Conservare il futuro”. Questa iniziativa vuole essere una sfida coraggiosa che implica il confronto con un passato da tutelare e un futuro da progettare. Gli artisti, con la loro sensibi- lità, vengono invitati a dialogare con le opere del passato. Hanno già esposto in Museo: Elisabetta Di Maggio, Remo Salvadori, Giuseppe Caccavale, Georges Adéagbo, Stefano Arienti, Maria Morganti, Mariateresa Sartori. Una nuova iniziativa è “Ospiti illustri. Capolavori dai maggiori musei del mondo alla Querini Stampalia” che prevede di esporre nelle sale del Museo un capolavoro proveniente da altre Istituzio- ni o collezioni private. Sono già stati esposti: Il riposo durante la fuga in Egitto di Jacopo Bassano di proprietà della Biblioteca Ambro- siana di Milano e la Medusa di Gian Lorenzo Bernini dei Musei Capitolini di Roma.

LA BIBLIOTECA

La Biblioteca trae origine anch’essa dalla donazione dell’inte- ro patrimonio culturale dell’antica famiglia Querini alla città e “all’uso pubblico”, e nei suoi oltre centotrenta anni di vita essa è divenuta la “biblioteca dei veneziani”, frequentata da un pubblico eterogeneo di lettori, studenti, studiosi, sia italiani che stranieri, e comuni cittadini, che utilizzano le diverse sezioni delle raccolte bibliografiche. Biblioteca Giuseppe Caccavale Remo Salvadori Corallo Nel momento 25 LA FONDAZIONE QUERINI STAMPALIA

Collocata al primo piano del Palazzo sede, nelle stesse stanze abi- tate dagli ultimi membri della famiglia e dallo stesso fondatore, le sale della Biblioteca mettono a disposizione dei lettori oltre 32.000 volumi collocati a scaffale aperto e circa 400 periodici correnti, affiancando agli arredi in legno scolpito, voluti dal bibliotecario Arnaldo Segarizzi nei primi anni del Novecento, tavoli e scaffali di design moderno. L’intero patrimonio bibliografico, costituito da oltre 340.000 vo- lumi, si articola nei fondi storici della biblioteca di famiglia e nelle raccolte moderne andatesi organizzando dal 1869, anno della co- stituzione della Fondazione Querini Stampalia. Non vi è un dato cronologico sicuro sul primo formarsi della bi- blioteca di famiglia, anche se certamente esso va ricercato nella raccolta di memorie domestiche, e precisamente nei manoscritti dove ricorre il nome del casato; a questo nucleo più antico si ag- giungono nel corso di sette secoli altri manoscritti e documenti relativi alle attività e agli interessi dei membri della famiglia. Fa parte sempre del fondo storico la considerevole collezione di libri a stampa dalla fine del Quattrocento all’Ottocento, compo- sta di circa 42.000 esemplari, 3.000 incisioni e oltre 350 carte geografiche e antichi mappali. I documenti più antichi sono carte e manoscritti membranacei quali l’importantissimo Capitulare nauticum (XIII-XVI secolo), la Promissio contra maleficia (XIV secolo), le Favole esopiane (XIV seco- lo), il codicetto con i Privilegi dei veneziani in Siria (XIII-XIV secolo), il Libro del Sarto (XVI secolo) e varie Commissioni ducali. Tra i più appassionati raccoglitori di libri della famiglia sono da ri- cordare: il cardinale Angelo Maria Querini (1680-1755) ami- co e corrispondente degli uomini più in vista del suo tempo, tra i quali Federico II di Prussia e Voltaire; Andrea Querini (1710-1795), “ragguardevole amatore e protettor delle lettere”, come ebbe a chiamarlo il Cesarotti e infine Alvise Querini (1758-1834),

Biblioteca 27 la fondazione querini stampalia padre del fondatore, la cui passione per la musica si tradusse usufruire delle sale di lettura e delle raccolte anche la domenica e nell’odierno fondo di opere musicali a stampa, tra cui 450 libretti nelle festività, nel dettato del principio di sussidiarietà che dovreb- d’opera, di balli e cantate, della fine del Settecento e inizi dell’Ot- be contraddistinguere l’offerta culturale di una città. tocento. Il fondo moderno a stampa, costituitosi quindi a partire dal 1869, Non va dimenticato che le collezioni della famiglia, così come anno dell’apertura al pubblico della Biblioteca, comprende oggi l’archivio, si arricchirono anche dei testi confluiti nella biblioteca oltre 250.000 volumi e viene incrementato annualmente secondo familiare attraverso i legami matrimoniali o ereditari con altre una politica delle acquisizioni che tiene conto della complessità nobili famiglie veneziane, quali, fra altri, i Tron, i Mocenigo, i ereditata dal testamento del fondatore e cerca di rispondere alle Dolfin, i Contarini e i Lippomano. esigenze che la sua tradizione, la sua storia e la sua mission attuale Notevole rilevanza per lo studio del patriziato veneziano, nella le richiedono. sua conduzione della politica e degli affari, detiene l’archivio della Gli stessi bibliotecari chiamati a dirigerla hanno cercato di man- famiglia. L’Archivio privato si compone di 120 buste contenenti tenersi il più possibile fedeli al dettato testamentario e alla tradi- documenti, lettere e disegni dal XVI secolo al 1869, esso è com- zione della famiglia Querini. pletamente riordinato e descritto nell’Inventario edito nel 1987. Il primo fu Gustavo Adolfo Ungher “... mio vecchio maestro La fase moderna della storia della Biblioteca prende avvio con il e distinto filologo”, dal Conte Giovanni indicato nel testamento conte Giovanni (1799-1869). Giurista ed economista, con spic- come bibliotecario della nascitura Fondazione. cata vocazione per le scienze fisiche, matematiche e naturali, in- Leonardo Perosa (bibliotecario dal 1880 al 1904), diede ordine ventore e imprenditore spregiudicato rispetto al periodo storico e al ricco settore dei manoscritti. Il suo Catalogo dei codici manoscritti alla struttura della società a lui contemporanea, lascia, di questa della Biblioteca Querini Stampalia (luglio 1883), integrato dal Reperto- sua inclinazione, larga traccia nelle collezioni librarie che cura e rio delle persone, dei luoghi e delle cose più notevoli contenute nei codici mss. riordina continuando i cataloghi iniziati dai predecessori e col- della Biblioteca Querini Stampalia (1884), è tuttora in uso. mando, ove possibile, le lacune. Arnaldo Segarizzi (bibliotecario dal 1905 al 1924) applicò Alla sua morte egli lascia in dono a Venezia il suo patrimonio per le più recenti acquisizioni della scienza biblioteconomica dan- istituire una Fondazione “... atta a promuovere il culto dei buoni do inizio ad un nuovo catalogo per il quale utilizzò schede di studj, e delle utili discipline” indicandone così la vocazione, che formato internazionale; realizzò poi uno tra i primi esempi in nel tempo si è mantenuta, di biblioteca di carattere generale pur Italia di catalogo per soggetti che alla fine fuse, in un’unica con alcune peculiarità e specializzazioni. serie alfabetica, con le schede per autore dando forma al cata- Nel suo testamento stabilisce fra l’altro che la Biblioteca dovrà ri- logo dizionario, tuttora in uso, che rispecchiava l’idea di una manere aperta “... in tutti quei giorni, ed ore in cui le Biblioteche biblioteca attenta alle esigenze di tutti i propri utenti, e non pubbliche sono chiuse, e la sera specialmente per comodo degli solo dei più dotti. studiosi”. Questo dettato testamentario ancora vigente garantisce Manlio Dazzi (direttore dal 1926 al 1957) curò appassiona- un’apertura giornaliera di ben quattordici ore e la possibilità di tamente lo sviluppo delle varie discipline bibliografiche, con

29 la fondazione querini stampalia particolare riguardo (era uomo di lettere e fine poeta) a quelle disponibili nel catalogo collettivo nazionale, consultabile attraver- umanistiche, e rese la Fondazione un centro vivacissimo di cultu- so Internet, le informazioni relative alle proprie acquisizioni. ra letteraria, artistica e civile. Decennale anche la collaborazione con le amministrazioni regio- Giuseppe Mazzariol (direttore dal 1957 al 1974) ha dato nale e provinciale: nel 1998 la Regione del Veneto istituisce pres- all’Istituto la sua vitalità odierna “... ritenendo che una biblioteca so la Fondazione la Biblioteca regionale specializzata in materia per essere viva debba assolvere prima di tutto ad una funzione di di archivi e biblioteche, che la Biblioteca seguita a implementare promozione culturale e civica”. con l’acquisto di repertori, periodici e monografie. La Biblioteca Giorgio Busetto (direttore dal 1984 al 2004) nei venti anni di inoltre aderisce al Sistema Bibliotecario Museale della Provincia direzione ha impresso il volto odierno della Biblioteca: la ristrut- di Venezia. turazione dello scaffale aperto nel 1987; l’adesione, alla fine degli anni Ottanta del secolo scorso, al Servizio Bibliotecario Naziona- Enrico Zola le e al suo catalogo nazionale; la messa a disposizione del pubblico Direttore della Fondazione Querini Stampalia di tecnologie informatiche; la riapertura dell’Emeroteca con oltre 350 periodici correnti direttamente utilizzati dall’utenza; le sale di lettura e gli orari di apertura aumentati; i nuovi depositi librari interni ed esterni. Linee di intervento che, con rinnovata attenzione alla salvaguar- dia e alla riproposta del ruolo che la Fondazione ha avuto sin dal primo Novecento in Venezia e nel mondo e in ossequio alla vocazione espressa dalle volontà del Fondatore, si legano senza soluzione di continuità con l’opera dei predecessori. Negli ultimi decenni del secolo scorso ha trovato sistematicità e struttura la molteplice rete di relazioni intessute dalla Fondazione con altre istituzioni culturali di ambito locale e nazionale. Dal 1982 infatti una convenzione con il Comune di Venezia rico- nosce formalmente alla Querini Stampalia quel ruolo di Bibliote- ca civica che ricopre nei fatti fin dall’inizio del Novecento, quan- do il Consiglio di Presidenza deliberò di trasformare il Gabinetto di Lettura in una Biblioteca aperta ad una più ampia cerchia di lettori e in particolare agli studenti. Sempre dalla fine degli anni Ottanta la Biblioteca entra nel Polo veneziano di SBN, Servizio Bibliotecario Nazionale, e rende

31 Restauri e allestimenti storici del Museo

Dopo la morte di Giovanni, avvenuta il 5 maggio 1868, la collezio- ne di famiglia venne immediatamente ripensata in termini museali. Nel 1872 i tre curatori della Fondazione: Roberto Boldù (che aveva da poco sostituito il senatore Agostino Sagredo), Giacinto Namias e Giambattista Lucietti decisero di trasferire parte del patrimonio artistico al secondo piano del Palazzo e di aprire al pubblico per la prima volta la Galleria rendendola accessibile gratuitamente un giorno alla settimana. Lo spazio espositivo comprendeva venti sale di media grandezza e un ampio salone nel quale venne esposta su un mobile la Pian- ta di Venezia di Jacopo de’ Barbari insieme al busto del cardi- nale Angelo Maria Querini di Giacomo Cassetti, ai sette busti dell’Ongaro e ai quattro globi. Una sala fu destinata esclusivamente a quadri acquistati dopo la nascita della Fondazione – Giovanni Barbarigo libera Maria, re- gina d’Ungheria di Raffaele Giannetti, Interno della chiesa di San Zaccaria di Federico Moia, Sacco del palazzo Querini nel 1849 di Luigi Rossi, Ultimo addio a Jacopo Foscari di Giulio Carlini, Ago- stino Sagredo di Luigi Viviani, La villa Querini Polcastro a Loreggia di Marianna Marin –, una dedicata alle “memorie Querini”, mentre le altre furono allestite prevalentemente in modo tematico (ritratti, ritratti di famiglia, opere mitologiche, opere a carattere religioso, paesaggi) o con i dipinti di un singolo artista (Pietro Longhi, Gabriel Bella, Palma il Giovane). Tutti gli ambienti esponevano un numero cospicuo di opere: qua- dri, sculture, incisioni, miniature, arazzi e diverse tipologie di og- getti di famiglia: porcellane di Sèvres, album con intarsiature in madreperla, una bussola, antichi calamai in bronzo, sigilli, una

Facciata di Palazzo Querini Stampalia, primi Novecento 33 Portego, allestimento 1934 R ESTAURI E ALLESTIMENTI STORICI DEL M USEO

tabacchiera con mosaico di Roma, modellini di cannone, un bas- sorilievo in marmo raffigurante un filosofo, un dito in marmo di una statua greca, scodellini turchi, un antico vaso in vetro, due piatti giapponesi, un turcasso veneto con frecce, antichi bottoni veneziani, strumenti musicali, una camicia a rete di filo di rame, chicchere in legno e un taccuino turco. Negli anni successivi il Museo fu interessato da numerosi inter- venti di restauro e continui allestimenti condizionati in buona parte dagli eventi bellici del periodo, che ne determinarono anche la chiusura e lo smantellamento quasi completo. Durante la prima guerra mondiale infatti la Galleria venne chiu- sa al pubblico e, per una maggiore sicurezza, buona parte dei di- pinti fu portata al piano terra in casse di ferro zincato e una parte trasferita fuori città. Subito dopo il conflitto bellico, il Museo si trovava in uno “stato miserando” talmente preoccupante che Angelo Scrinzi, uno dei più stimati cultori veneziani dell’arte, aveva più volte proposto di trasferire la collezione al Museo Correr di Venezia. A queste affermazioni aveva risposto pubblicamente anche Giu- lio Lorenzetti sostenendo che trasferire la collezione in altra sede avrebbe significato dimenticare la storia e privare le opere di quella particolare atmosfera che lega gli oggetti al palazzo che li custodisce e alla famiglia che li ha posseduti: “annullare questi piccoli centri d’arte, queste piccole oasi di bellezza, che ancora sopravvivono nel gran naufragio di cose e di memorie del passato, è un gran male: tanto più quando, come nel caso della Querini Stampalia si ha la fortuna di possedere vecchi mobili deliziosi, arazzi, suppellettili originali, alcuni dei quali sono dei veri gioielli…”. Fortunatamente, nonostante la Fondazione si trovasse ancora in ristrettezze economiche, nel 1925 la Galleria venne riaperta al pubblico e per l’occasione fu studiato e realizzato un nuovo alle- stimento a cura di Giovanni Bordiga e Angelo Alessandri. I curatori, per ricreare l’atmosfera della casa di famiglia, decisero

Sala dei ritratti, allestimento 1967 35 R eSTAURI e allestimenti storici del Museo di non esporre i mobili e le tele moderne ovvero tutto ciò che era alle “riunioni culturali” che la Fondazione stava organizzando, giunto in Fondazione o che era stato acquistato dopo la morte del ma presto il suo coinvolgimento fu totale ed egli ripensò completa- conte Giovanni. mente l’allestimento della Galleria. Bordiga così racconta il loro lavoro: “Siamo stati qui, noi due vecchi Dazzi, prima di iniziare l’impresa, si consultò con Moschini che amici, lunghe mattine d’inverno, a far aprire nuove finestre, abbattere pare- gli consigliò di diradare l’esposizione e riordinare radicalmente la ti, schiudere passaggi, togliere e collocare cornici, ritogliere e ricollocare, ornare quadreria. e disornare; l’elenco non conta. Soli non eravamo; se una galleria rimane per Con questo intervento numerose opere vennero spostate da una lungo tempo chiusa al pubblico e soltanto qualche devoto ricercatore vi passi, sala all’altra, centonovantadue furono collocate nelle sale di let- allora sembra che le figure create dai pittori non stiano più fisse dentro le pro- tura della biblioteca e circa quarantacinque vennero riposte nei prie cornici, come quando i visitatori si affollano loro d’intorno e i guardiani depositi. Vennero valorizzati gli arredi, quasi completamente as- vegliano da presso; ma esse scendono, si muovono, rompono il silenzio del luogo, senti nell’allestimento precedente. si dicono cose, si raccontano vicende che non dicono a tutti e riempiono di vita Furono esposti anche modelli di artiglieria, armi e, all’interno di strana la apparente solitudine. Così la nostra dimora quasi quotidiana nelle sale vetrine, furono collocati il servizio da tavola di Sèvres, alcuni og- abbandonate e fredde, dove noi eravamo le sole persone reali, aveva fatto nostra getti personali, piccole sculture, miniature, bronzi, pezzi di arche- confidente e collaboratrice tutta quell’altra gente trasformata dall’arte in realtà ologia, ceramica, servizi orientali e biscuit. ideale… […]. Allontanato dalle sale ogni soverchio di pompa, tolto quel troppo Dazzi desiderò arricchire l’esposizione con il raffinato salotto di artificio che spesso hanno le cose ufficialmente numerate, regolarmente catalo- pompeiano dello Jappelli che si trovava in soffitta e acquistò sul gate, rigorosamente conservate; dato alla casa, fin dove era possibile, l’aspetto che mercato antiquario la splendida tappezzeria di lampasso per il essa aveva quando vi abitava il nobile signore e che Egli desiderava conservato riallestimento del salotto rosso. dopo la sua morte, noi, colla nostra modesta e materiale fatica, abbiamo voluto Tutti i lavori si svolsero in un periodo brevissimo: gli interventi mura- soltanto fedelmente servire e fedelmente ricordare la semplicità della vita di Lui”. ri iniziarono a fine febbraio, il riallestimento cominciò il 18 aprile e il La lunga citazione vale a dar conto tanto della personalità di 12 maggio 1934 il Museo era pronto per essere riaperto al pubblico. Bordiga, allora presidente della Fondazione, insigne matematico Durante la sua direzione Manlio Dazzi intervenne costantemente ma nel contempo anima di tutte le iniziative dell’arte in Venezia, nell’allestimento, ma il nuovo pericolo bellico lo obbligò a richiu- dalla Biennale all’Istituto superiore di Architettura, quanto dei dere la Galleria, a mettere al riparo le opere più significative e a criteri seguiti nell’allestimento, dove il rapporto ancora romantico smantellare numerose sale. con le opere giustifica una certa disinvoltura nel murare e nello Finalmente, l’8 giugno 1946 la Fondazione riaprì il Museo con un smurare dentro al Palazzo rinascimentale. allestimento diverso che aveva richiesto numerosi ed impegnativi L’allestimento del 1925 venne qualche anno più tardi rivisto dal interventi di restauro sia dell’edificio che delle opere d’arte, degli nuovo direttore della Fondazione Manlio Dazzi. arredi e delle suppellettili di pregio. Nel 1934 Dazzi iniziò il lavoro in Museo con la volontà di risiste- Solo negli anni Novanta il Museo venne dotato di impianto elet- mare solo alcune sale affinché queste potessero risultare più adatte trico e di impianto di climatizzazione. pagine seguenti: Camera da letto, allestimento 1941 Sala da pranzo, allestimento 1941 37 39 R ESTAURI E ALLESTIMENTI STORICI DEL M USEO

Nell’esecuzione dei numerosi interventi tecnici la Fondazione dovette tener conto delle nuove norme sulla sicurezza dei luoghi aperti al pubblico che contribuirono a sminuire la qualità estetica dell’esposizione museale. Nel 1998, grazie alla generosità del Comitato Francese per la Sal- vaguardia di Venezia, sì è potuto avviare in Museo un progetto di restauro degli affreschi e degli stucchi (portego e camera da letto) per continuare poi, nel 2000 con risorse della Soprintendenza (sala da pranzo e sala mitologica), e nel 2005 con l’aiuto della Presiden- za del Consiglio dei Ministri con fondi dell’otto per mille dell’IR- PEF (le sale lungo il canale, la sala Ottocento, la sala con le scene di vita veneziana e lo studiolo con i paesaggi di Marco Ricci). Questi ultimi interventi di restauro hanno costituito l’occasione per ripensare l’allestimento ricreando l’atmosfera dell’antica di- mora veneziana del Settecento senza rinunciare alla veridicità storica. Il progetto di restauro diretto da Mario Gemin e quello di rial- lestimento curato da Chiara Bertola hanno cercato di conciliare le esigenze storico-artistiche con quelle museografiche e di tutela per garantire, da un lato, l’esposizione e la conservazione delle opere più significative della collezione, e dall’altro, la migliore fruizione possibile senza tuttavia rinunciare a quella suggestiva atmosfera tanto cara a Giovanni Querini.

Babet Trevisan Responsabile del Museo

41 I. Portego

Il portego, ingresso originale alla dimora storica, è una delle sale più caratteristiche del palazzo veneziano. La concezione del monumentale ambiente risale all’impianto com- positivo della casa-fondaco medievale: residenza e azienda insie- me. Il portego era luogo di rappresentanza, di feste e ricevimenti, ma anche spazio dove mostrare ai clienti i campioni delle merci. Il salone che, al piano terreno, collegava l’ingresso dall’acqua con quello da terra, si ripeteva uguale ai piani superiori con funzioni di disobbligo e raccordo per le stanze che vi si affacciavano, ed era leggibile sulla facciata principale in corrispondenza della fi- nestratura polifora. Nel Settecento si assiste a Venezia alla revisione e modifica delle strutture interne dei palazzi nonché al moltiplicarsi di imprese decorative secondo il nuovo gusto neoclassico. Nel 1790, in occasione del matrimonio celebrato tra Alvise e Ma- ria Teresa Lippomano, genitori di Giovanni, anche Palazzo Que- rini Stampalia fu ristrutturato in senso “moderno”. Il cantiere venne affidato al proto Antonio Solari e successiva- mente a Girolamo Vianello mentre, per la realizzazione dei nuovi decori, vennero chiamati Jacopo Guarana, l’ornatista Giuseppe Bernardino Bison, il doratore Domenico Sartori e i fratelli stuc- catori Giuseppe e Pietro Castelli. Le numerose sale affrescate da Jacopo Guarana (Venezia, 1720- 1808) al secondo piano del Palazzo costituiscono uno tra i più vasti cicli d’affreschi dell’artista. Il Guarana raffigura nel plafond centrale del soffitto l’Allegoria dell’Aurora affiancata da finti mono- cromi raffiguranti putti allusivi alle Arti (Architettura, Scultura, Musica e Pittura), altre Allegorie e due lunette con Leda e Danae.

43 pagina precedente: Jacopo Guarana I. PORTEGO Lampadario “Rezzonico” Allegoria dell’Aurora, particolare

Il Guarana, con sorprendente disinvoltura, abbandona i suoi modi abituali, legati alla cultura tardo-barocca, per accordarsi alle raffinate ambientazioni classicheggianti e per adottare un nuovo risalto disegnativo nelle figure, che rimpiccioliscono, pur inserite, ancora, nel filone culturale tardo tiepolesco. Nell’ottagono centrale Aurora, coronata di rose e posta alla guida del carro del Sole, è accompagnata dalla Stella del mattino, figu- ra femminile dalle cui lacrime ha origine la rugiada. Questo soggetto, ricorrente nelle camere da letto e nelle sale a carattere più intimo, richiama l’idea dello scorrere del tempo e rimanda alla meditazione sul significato della vita e sul suo evol- versi. L’apparato decorativo va interpretato come un messaggio di buon auspicio per gli sposi novelli e per tutta la famiglia. Alle pareti le raffinate soluzioni degli ornati a stucco su sfondo verde dei fratelli Giuseppe (1755-1822) e Pietro Castelli al- ternano eleganti candelabre parietali a medaglioni sopra porta con testine virili di profilo, diverse tra loro, e nastri svolazzanti. Scandiscono invece gli spazi affrescati del soffitto gli stucchi raffi- guranti fiori e ripetute immagini di soli e stelle, quasi a voler sot- tolineare nuovamente, come nell’affresco, lo scandire del tempo. Disposti su mensole lungo le pareti sono collocati i busti in mar- mo di alcuni Filosofi, di san Giovanni Evangelista, di san Giovanni Battista e di un Giovane allievo, opere di Michele Fabris detto l’Ongaro (Bratislava, 1644 circa - Venezia, 1684) insieme al busto del cardinale Angelo Maria Querini di Giacomo Cassetti (notizie 1682-1757). I sette busti erano tradizionalmente noti come Bravi, con riferi- mento alle famigerate guardie di Francesco Querini e venivano attribuiti ad Orazio Marinali. Solo di recente le sculture sono state restituite all’Ongaro, uno dei maggiori protagonisti della scultura veneta della seconda metà del Seicento. I Filosofi costituiscono una sorta di “ritratti immaginari”.

Giacomo Cassetti Michele Fabris detto l’Ongaro Angelo Maria Querini Filosofo 45 I. PORTEGO

San Giovanni Evangelista ha il volto angelico di un adolescente e lunghi capelli a boccoli sulle spalle, mentre san Giovanni Battista è raffigurato come eremita coperto da una pelle d’animale, dal cui risvolto fuoriesce il vello, il viso incorniciato da lunghi capelli dritti, da baffi e da una barba rada. I dati relativi alla committenza delle sculture non ci sono noti ma pare difficile non collegarli a Gerolamo e Polo Querini e a quell’Accademia dei Paragonisti, aperta nella seconda metà del Seicento nel loro Palazzo, sotto la protezione dei due futuri procu- ratori, dove venivano discusse “le più nobili questioni erudite”. Nel lato verso il giardino sono visibili il Globo celeste e il Globo terre- stre di Willem Blaeu (Alkmaar, 1571 - Amsterdam, 1638) fonda- tore di uno dei più grandi laboratori cartografici olandesi. Il globo celeste serviva a rappresentare la superficie concava del cielo con le sue costellazioni, mentre quello terrestre la superficie della terra, con i mari, le isole, i fiumi, i laghi e le città. Il sontuoso lampadario “Rezzonico” in vetro di Murano dalla ricca festosità policroma e fiorita è composto da una struttura me- tallica rivestita di vetro soffiato e da un ricco apparato decorativo di fiori e foglie in vetro incolore e colorato. Questa tipologia di lampadario chiamato “ciocca” (mazzo di fio- ri), è documentata sin dal quarto decennio del Settecento come opera del vetraio muranese Giuseppe Briati (Venezia, 1685- 1772) ed era stato ideato come la risposta veneziana ai lampadari boemi. (BT)

Willem Blaeu Globo celeste 47 I. PORTEGO

Il terrazzo alla veneziana è frutto della genialità dei popoli latini, capaci di sfruttare i poveri elemen- ti a loro disposizione per creare un prodotto di pregevole valore artisti- co. Questo tipo di pavimentazione, di origine molto antica, trovò la sua compiutezza formale a Vene- zia, dove nel 1586 sorse “l’Arte dè Terrazzeri” e la prima regolamen- tazione scritta delle regole costrut- tive. Originariamente in calce, ora anche in cemento, il terrazzo alla veneziana ha subito numerose e continue evoluzioni nel corso dei secoli, adattandosi ai gusti di ogni epoca.

Portego 49 51 II. Sala Giovanni Bellini

La tavola, di cui non si conosce la provenienza e l’esatta data d’ingresso nella collezione di famiglia, è indicata come opera di Andrea Mantegna da una iscrizione in caratteri corsivi, probabil- mente settecenteschi, collocata sul retro del dipinto. L’opera ha conosciuto negli anni una vicenda critica piuttosto complessa fino a quando nel 1916 Berenson l’attribuì definitiva- mente a Giovanni Bellini (Venezia, 1438/1440 circa - 1516), confermato da quasi tutta la critica successiva. La Presentazione di Gesù al Tempio, collocata su un cavalletto in legno disegnato da Carlo Scarpa (Venezia, 1906 - Sendai, 1978), raf- figura il momento saliente dell’episodio evangelico in cui si narra che Giuseppe e Maria, compiuti i quaranta giorni dal parto, se- condo la legge ebraica presentano il loro primogenito al Tempio di Gerusalemme per consacrarlo a Dio. Nel Tempio li accoglie il vecchio e giusto Simeone, che rappresenta simbolicamente il passaggio dal Vecchio al Nuovo Testamento. La scena si svolge all’interno di un grande Tempio, che il Bellini si limita ad accennare con il ripiano marmoreo in primo piano. I personaggi sono ritratti a mezzobusto su uno sfondo scuro, come in alcune lastre tombali romane, e si appoggiano alla finta cor- nice di marmo che rappresenta l’altare dove sacro e terreno si incontrano. Il davanzale dietro il quale si svolge il cerimoniale liturgico, assai umanizzato, può anche essere letto come prefigu- razione del sepolcro cui è destinato Cristo. Al centro dell’immagine c’è Maria, che ha tra le braccia il Bam- bino e lo porge a Simeone. Il vecchio profeta, con una lunga e folta barba bianca, ha lo sguardo leggermente inclinato in segno di rispetto e adorazione.

53 pagine precedenti: Giovanni Bellini II. SALA GIOVANNI BELLINI Giovanni Bellini Presentazione di Gesù al Tempio, retro Presentazione di Gesù al Tempio La Madre, con un lungo velo bianco sulla fronte che scende fino a nasconderle i capelli, è assorta in un pensiero intimo e stringe tra le braccia il Figlio che non vuole lasciare al Suo destino di Passione e di Morte. Al centro della scena, in secondo piano, Giuseppe assiste muto all’evento e rappresenta l’uomo davanti al mistero; nella sua fi- gura è stato riconosciuto da taluni critici Jacopo Bellini, il padre di Giovanni. Assistono all’episodio evangelico altri personaggi: ai lati, in secondo piano, sono stati identificati Nicolosia Bellini ed Andrea Mantegna, la sorella e il cognato di Giovanni, che si erano sposati qualche anno prima (1453). Sul lato sinistro, in primo piano, il pittore ha raffigurato un’altra giovane donna, forse Ginevra, sua moglie, o Anna, sua madre; e sul lato destro Giovanni esegue quello che sembra essere il suo autoritratto. Il giovane guarda verso lo spettatore, quasi ad invi- tarlo all’interno della scena, dove sembra che divino e umano non abbiano confine: le figure sporgono dalla cornice verso chi le os- serva, e questi entra nel dipinto attraversando il finto parapetto. La tavolozza ricca di sfumature di rosso, l’uso di brillanti ed inten- si colori dai forti contrasti, il ricorso a una luce che arriva contem- poraneamente dal basso e dall’alto manifestano la straordinaria esperienza vissuta dal pittore nella sua città natale, Venezia. Una somiglianza piuttosto stretta pone questa tavola in relazione con l’analogo soggetto dipinto dal cognato Andrea Mantegna nel 1454-1455. La Presentazione di Gesù al Tempio del Mantegna, oggi conservata alla Gemäldegalerie di Berlino, ha infatti il medesimo impianto e in parte gli stessi attori dell’opera del Bellini. Nel 1880 circa la tavola di Giovanni Bellini fu affidata per un restauro a Placido Fabris, pittore, restauratore e copista bellunese dell’Ottocento. Fabris, pur essendo un buon conoscitore delle tecniche pittoriche

Andrea Mantegna Presentazione di Gesù al Tempio Berlino, Gemäldegalerie 55 Giovanni Bellini II. SALA GIOVANNI BELLINI Presentazione di Gesù al Tempio, fasi del restauro eseguito nel 1949 antiche, nei suoi interventi di restauro preferì sempre utilizzare un metodo di lavoro largamente empirico e approssimativo, poco rispettoso dell’originale. Anche nel dipinto queriniano l’artista intervenne nelle forme e nei colori con veri e propri rifacimenti, tanto da rendere impossibile il riconoscimento di qualsiasi precedente pennellata. Dopo il suo intervento Maria appariva con una veste dalle mani- che viola e un mantello blu con rovescio verde. Talune teste ave- vano perduto in parte i caratteri originali, specialmente la Ma- donna, il Gran Sacerdote e le figure dietro di lui; certi panneggi invece, come quello di san Giuseppe, erano stati adeguati al gusto del suo tempo. Nel 1949 la tavola fu affidata a Mauro Pelliccioli per un nuovo intervento di restauro che permise di riportare finalmente alla luce il capolavoro del Bellini sottolineandone definitivamente la paternità. (BT)

In passato tutti i neonati venivano avvolti nelle fasce come pic- cole mummie, con qualche rara eccezione, come il caso dei bimbi spartani, che si narra non venissero né fasciati, né cullati. In generale in tutto il mondo antico le fasce, insieme al latte, erano il simbolo dei neonati. La fasciatura era ritenuta utile a modellare il corpo del bam- bino, per riportare alla normalità le parti del corpo che si fos- sero deformate durante il parto o per risistemare un membro dislocato; inoltre la si credeva efficace a prevenire una cattiva posizione, proteggendo le ossa fragili dei neonati e dei lattanti da una crescita disordinata.

Giovanni Bellini Presentazione di Gesù al Tempio, particolari 57 III. Sala delle tavole

L’affresco Coppia di amorini con corone d’alloro, una cornice in mar- morino e riquadri policromi con decorazioni in stucco bianco di manifattura veneziana della seconda metà del XVIII secolo, de- corano il soffitto della stanza, che ospita antiche tavole e interes- santi pitture di ambito giorgionesco. Attribuita all’ultimo grande esponente del Gotico Internazionale a Venezia Michele Giambono (Venezia, notizie 1420-1462) è la tempera su tavola, di proprietà dell’IRE (Istituzioni di Ricovero e di Educazione) di Venezia e in deposito nel Museo della Fonda- zione, Crocifissione, degli anni 1420-30, dove allo sfarzo dei colori e degli ori si accompagna una dolorosa espressività. La tipologia del Cristo, incoronato di spine e dal volto reclinato di tre quarti, rimane uno dei temi prediletti del pittore, il quale, seppur attento ai problemi formali del Rinascimento, non abbandonò mai il fa- sto decorativo, coloristico e lineare del tardo gotico. Al centro della parete è esposta la tavola più antica della collezio- ne, Incoronazione della Vergine, di Donato (notizie 1344-1382/88) e Catarino (notizie 1362-1382), firmata e datata 1382. L’opera ri- entra nella tradizione neobizantina inaugurata da Paolo Venezia- no. L’accentuazione bizantina è portata all’estremo, tanto che le vesti della Madonna, del Cristo e degli angeli, sembrano lavorate in sottili smalti cloisonnés, per le fitte lumeggiature dorate. Donato e Catarino hanno lavorato insieme anche per la Croce, oggi perdu- ta, nella chiesa di Sant’Agnese a Venezia. Pittore legato alla famiglia Querini era il bergamasco Jacopo Negretti detto Palma il Vecchio (Serina, 1480 circa - Vene- zia, 1528), che si stabilì a Venezia nel 1510. Qui aderì alla nuo- va maniera inaugurata da Giorgione, considerato alla metà del

59 pagina precedente: Donato e Catarino III. S ALA DELLE T AVOLE Incoronazione della Vergine, particolare Michele Giambono Crocifissione Cinquecento il creatore dello stile moderno in pittura. Per “mes- sere Francesco Querini” Palma dipinse cinque opere, commissio- nate a breve distanza di tempo, che si trovavano ancora nella bot- tega dell’artista alla sua morte, avvenuta il 30 luglio 1528. Le due sacre conversazioni qui esposte provengono da tale nucleo di ope- re. Madonna con due sante, san Francesco e san Pietro presenta il caratte- ristico schema compositivo serrato e quasi in rilievo del maestro, mentre l’eccessiva particolareggiatura e la pesantezza del drap- peggio conducono alla sua bottega. Riferita sempre all’ambito della bottega è Madonna con santa Caterina, san Francesco, san Gio- vanni Battista e san Nicola. Palma aveva avviato infatti una delle più affermate botteghe veneziane, portata avanti poi da Bonifacio de’ Pitati. Entrambi gli artisti avevano trovato nelle sacre conversa- zioni uno dei temi a loro più congeniali, come in questo quadro dove la Vergine con il Bambino emerge con sorprendente forza in un atteggiamento pieno di tenerezza e solennità. La larga campi- tura dei colori accesi e l’intonazione reale della luce ricordano la mano di Palma, mentre si può intravedere il segno di Bonifacio nella pennellata più sciolta e nella figura di santa Caterina, moti- vo ricorrente nei dipinti di questo pittore. Partecipano alla medesima poetica delle opere palmesche altri dipinti coevi, o di pochi anni posteriori, della collezione come la Giuditta di Vincenzo Catena e la Sacra Conversazione di Polidoro da Lanciano. Giuditta di Vincenzo Catena (Venezia, 1470/80-1531), del 1517 circa, è un esempio di bella pittura neoclassica del primo Cin- quecento veneziano, dallo stile composto e classicamente tornito. Ritenuta di Giorgione o della sua scuola negli inventari ottocen- teschi del Museo, l’opera venne attribuita a Palma il Vecchio e infine a Catena. Quest’ultimo è considerato il vero pittore ritrat- tista della generazione giorgionesca. La modella riprodotta in Giuditta impersona, con minime variazioni, il tipo femminile di

Donato e Catarino Jacopo Negretti detto Palma il Vecchio Incoronazione della Vergine Madonna con due sante, san Francesco e san Pietro 61 III. S ALA DELLE T AVOLE

63 pagina precedente: III. S ALA DELLE T AVOLE Polidoro di Mastro Renzo da Lanciano Sacra Conversazione molte effigi di sante. Se il dipinto è in qualche misura autobiogra- fico, si può identificare la donna con Rosa da Scardona, la nuova “màmola”, la concubina del pittore destinata ad essere modella ideale. Il capo di Oloferne è quello di un uomo rimasto vittima del dolce ma temibile inganno amoroso e si può avanzare l’ipotesi che si tratti di un autoritratto del Catena. Un dipinto semiprivato, forse una “poesia” in cui il pittore canta la donna amata. Dell’artista abruzzese Polidoro di Mastro Renzo da Lancia- no (Lanciano, 1510/15 - Venezia, 1565), attivo a Venezia nell’am- bito tizianesco verso la metà del Cinquecento, è la Sacra Conver- sazione del 1540 circa. Ancor giovane, Polidoro partì nel 1536 da Lanciano per andare a cercare fortuna nella città lagunare, dove lavoravano artisti come Tiziano, Veronese e . In questa tela, che rivela l’eleganza e le forme del manierismo tosco-romano con la vivace cromia tutta veneziana, il pittore si distacca in parte dal cono d’ombra proiettato da Tiziano, rivelan- dosi compagno di strada di Schiavone, di Bassano o del giovane Tintoretto. Tra le finestre Madonna col Bambino di Bernardo Strozzi (Ge- nova, 1581/82 - Venezia, 1644). La tela, attribuita negli antichi inventari a Rubens, fa parte della cospicua produzione di opere di committenza privata realizzate dal pittore negli ultimi anni di attività veneziana. Nonostante il soggetto devozionale, Strozzi propone in questo dipinto, con un’interpretazione personalissima del colore veneziano, una figura femminile tipicamente barocca dalla folta chioma sciolta sulle spalle, le labbra colorite e la veste rossa. Maria sorregge in braccio il Bambino e il suo sguardo vela- to di malinconia, che prefigura il sacrificio divino, sembra essere l’unica connotazione di Madonna. Sopra le porte i ritratti di Nicolò Querini e di Francesco Querini di Marco Vecellio (Pieve di Cadore, 1545 - Venezia, 1611). Le due tele fanno parte di una serie di dodici ritratti in memoriam a mezza Jacopo Negretti detto Palma il Vecchio e bottega Madonna con santa Caterina, san Francesco, Bernardo Strozzi san Giovanni Battista e san Nicola Madonna col Bambino 65 Vincenzo Catena III. S ALA DELLE T AVOLE Giuditta

figura di esponenti illustri del casato dei Querini Stampalia, effi- giati su sfondi destinati ad accogliere le scritte e le piatte architet- ture allusive. Oggi se ne conservano solo sei. Di carattere celebra- tivo, i ritratti sono stati tagliati ai margini per figurare da elemento decorativo sopra le porte di alcune sale del Palazzo. (EDC)

La spada è l’emblema delle virtù cristiane tradizionalmente at- tribuite a Giuditta. L’arma catalizza in modo magnetico l’in- tera composizione, creando un sapiente contrasto materico con la morbidezza dell’incarnato della donna. Nelle decorazioni dei pomi delle spade si nascondono precisi messaggi. La spada della nostra Giuditta presenta delle connotazioni araldiche nel profilo a tre barre verticali, ripetuto al centro dell’elso e dell’impugna- tura. Il motivo richiama le tre catene pendenti nell’originario stemma dei Catena e rappresenta un indice di nobiltà.

67 I V. Sala della Maniera

Sono qui esposte La conversione di san Paolo di Andrea Medulich detto lo Schiavone (Zara 1510/15 - Venezia 1563) e le tele, tut- te provenienti dal lascito familiare, dipinte da Jacopo Negretti detto Palma il Giovane (Venezia, 1548-1628), uno dei maggiori e più prolifici protagonisti del Manierismo veneziano. L’opera dello Schiavone, una delle figure più significative dell’arte veneta del Cinquecento, è considerata un capolavoro del manieri- smo veneziano per il suo straordinario dinamismo compositivo. Il dipinto si ispira al cartone di Raffaello per uno degli arazzi della Sistina La conversione di San Paolo, cartone presente nella città lagunare a Palazzo Grimani nel 1521. Nell’impennarsi dei cavalli si leggono echi del Pordenone, che rappresentava, nel mondo pittorico veneziano di quegli anni, una brillante moda culturale. Un Pordenone, però, sempre filtrato dallo studio del Parmigianino, le cui raffinate eleganze ritorna- no anche in quest’opera dalla pennellata fluida e cromaticamente esuberante. Alle altre pareti le tele di Palma il Giovane, costituiscono un cor- pus completo della produzione di piccole dimensioni dell’artista. L’Autoritratto, di cui si conserva un disegno a penna alla Pierpont Morgan Library di New York, fu eseguito dall’artista intorno al 1606-1608. Palma si rappresenta leggermente di tre quarti su uno sfondo nero dove la luce proviene sia dal bel volto di uomo maturo che dal collo della camicia chiara. In questo dipinto, così come nei suoi rari esempi di ritrattistica, vi è una spontaneità e una semplicità narrativa non comuni; anche in questo caso l’umanità dello sguardo è resa con insolita bravura. La tela San Nicola di Bari dota le tre fanciulle, una delle migliori opere

69 pagina precedente: Andrea Medulich detto lo Schiavone IV. S ALA DELLA M ANIERA Jacopo Negretti detto Palma il Giovane La conversione di san Paolo Assunzione della Vergine, particolare datata al 1624 e quindi ascrivibile all’ultima produzione dell’ar- tista, narra di un miracolo di san Nicola ad un vecchio che, per mancanza di denaro, stava per avviare alla prostituzione le tre figlie. Palma rappresenta l’episodio con grande attenzione alla psi- cologia dei personaggi: stravolge gli schemi dell’iconografia tradi- zionale che voleva le tre sorelle coricate nello stesso letto, mentre la mezzana fugge spaventata dal santo. La scena vede in primo piano le tre giovani intente a discutere tra loro in modo concitato; il pa- dre invece è in secondo piano, seduto al tavolo e illuminato da una fioca candela. Sullo sfondo nero appare il santo, attraverso una finestrella con una grolla d’oro tra le mani; la tavolozza cromatica fa intuire l’intimità e la discrezione della composizione pittorica. Molto più di maniera e legato alle influenze tizianesche è l’Ecce Homo tanto che per molto tempo non è stato considerato autografo del pittore. La composizione sembra riprendere uno schema caro al Palma in numerose altre tele a destinazione privata, impernia- te su un forte contrasto chiaroscurale, ove la figura centrale del Cristo sofferente con la corona di spine, le mani legate e la verga del flagello, è illuminata in modo particolare e sembra emergere dall’ombra opaca dello sfondo dove si intravedono i volti di due personaggi barbuti. Tra le finestre è collocata l’Assunzione della Vergine, un modelletto che l’artista eseguì per il soffitto della Sala dell’Albergo della Scuo- la di Santa Maria della Giustizia e di San Gerolamo a Venezia (ora Ateneo Veneto). Quella tela purtroppo nel 1825 andò quasi completamente distrutta, e se ne conservano solo due frammenti: gli Apostoli intorno al sepolcro di Maria, ora all’Hermitage di San Pie- troburgo, e Adamo ed Eva, in una collezione privata milanese. Ico- nograficamente l’opera ricorda l’Assunzione della Vergine, secondo lo schema tizianesco e il Paradiso, tema ripreso dal Tintoretto. Jacopo Palma il Giovane, chiamato così per distinguersi dal pro- zio Jacopo Palma il Vecchio, artista anch’esso presente nel Museo,

Jacopo Negretti detto Palma il Giovane Jacopo Negretti detto Palma il Giovane Autoritratto Assunzione della Vergine 71 IV. S ALA DELLA M ANIERA

è uno dei personaggi più controversi della storia dell’arte. Arti- sta dalla produzione feconda, dopo un breve periodo giovanile a Roma, dove si affranca dalla pittura dei tre grandi cinquecente- schi, Tiziano, Tintoretto e Veronese, spenderà tutta la sua attività nella città lagunare, ove conquisterà fama e onori, e verrà consi- derato protagonista assoluto nel panorama pittorico veneziano. Lavoratore instancabile, svolge un’intensa produzione per chiese, ordini monastici e confraternite, e ottiene importanti commissio- ni pubbliche come quelle per Palazzo Ducale. Il soffitto della sala si compone di riquadri angolari in marmori- no policromo ornati a grottesca tra cui spiccano due decorazioni, color ocra, che rappresentano dei cuori trafitti. Al centro l’ovale, affrescato da Jacopo Guarana (Venezia, 1720-1808) nella secon- da metà del Settecento, presenta Diana adagiata su di una nube, avvolta da un drappo bianco, armata di arco e frecce con la fronte cinta da una mezzaluna e accompagnata da un putto alato. Sul tavolo è posta una sfera armillare in legno, cartone e carta stam- pata, all’interno della quale sono visibili il sole e la luna in ferro, mentre i cerchi in cartone riportano il ciclo dei mesi e le grandi costellazioni. L’arredo si completa con una coppia di mensole e una console in noce databili al XVIII secolo. La console è sormonta- Il termine sfera armillare prende il ta da un piano in scagliola Carpi, della fine del Seicento. Il piano nome dal latino armilla che signifi- del tavolo è decorato in bianco su fondo nero e nel rosone centrale ca anello: questo strumento, usato fin è rappresentata una scena bucolica. Una fascia a girali con me- dall’antichità in astronomia, è com- daglioni che raffigurano paesaggi, putti, delfini, uccelli e satiri posto da diversi cerchi che rappre- completa la decorazione. (DDD) sentano l’equatore celeste, l’eclittica, il coluro dei solstizi e degli equinozi della sfera celeste.

Console con piano in scagliola Sfera armillare 73 IV. S ALA DELLA M ANIERA

L’arte della scagliola si diffonde in Italia alla fine del Cinquecento e si afferma poi con lo stile Barocco durante l’intero arco del Seicento e del Settecento. La scagliola, un im- pasto di gesso a cui viene aggiunta della colla da falegname e pigmenti per le varie colorazioni, viene uti- lizzata come sostituta di materiali quali il marmo e le pietre dure. In seguito, grazie all’abilità creativa di ingegnosi artigiani, la scagliola diviene un nuovo tipo di decorazio- ne pregiata. Alla fine del Cinque- cento i migliori artigiani proveni- vano dagli Appennini emiliani (in particolare dalla zona di Carpi) e dalla Germania.

Sala della Maniera pagina seguente: Pietro Longhi Caccia allo smergo, particolare 75 77 V. Sala della musica

Uno dei nuclei più significativi della collezione è costituito da trenta piccole tele dell’artista veneziano Pietro Longhi ( Vene- zia, 1701-1786). Quindici opere erano di proprietà della famiglia, commissionate per lo più da Andrea Querini, mentre le altre quindici sono di provenienza Donà delle Rose. Le quindici tele Donà delle Rose furono acquistate da un consorzio, che le salvò da una sicura di- spersione, cui parteciparono la Fondazione Querini Stampalia, l’Istituto Veneto di Scienze Lettere ed Arti, la Cassa di Risparmio di Venezia e il Banco San Marco e furono collocate in deposito permanente nel Museo della Fondazione. In questa sala è presente la serie della Caccia in valle insieme a numerose scene di vita veneziana dove gli aspetti più curiosi sono sempre raffigurati con straordinaria grazia: chiacchiere di salot- to, intimità di famiglia, divertimenti e danze, maschere e genti- luomini, dame e cavalieri, contadini e isolane, giochi e mestieri, scherzi d’amore, giocolieri e ciarlatani, indovini e cantastorie, acrobati e astrologi. La Caccia in valle, concepita originariamente per palazzo Barbari- go a Santa Maria Zobenigo a Venezia, dove restano visibili sulle pareti le cornici a stucco che custodivano i dipinti, costituisce uno dei cicli più celebri dell’artista. Verso il 1765-70 Longhi eseguì per la famiglia Barbarigo que- ste sette piccole tele con la raffigurazione dell’Arrivo del signore, la Preparazione dei fucili, la Preparazione delle munizioni, il Sorteggio dei cacciatori, la Partenza per la caccia, la Posta in botte e il Conteggio della cacciagione. Il carattere estremamente realistico delle rappresentazioni, i

79 pagina precedente: Pietro Longhi V. S ALA DELLA M USICA Lezione di geografia

numerosi disegni preparatori conservati, l’aderenza al vero, l’at- tenzione scrupolosa ai dettagli e alle tecniche utilizzate, lasciano supporre la partecipazione di Longhi alle battute di caccia insie- me al suo committente. Uno dei momenti più alti del ciclo è l’Arrivo del signore: Gregorio Barbarigo quasi cinquantenne con sguardo distaccato, portamen- to da sovrano e abbigliamento da città giunge nella valle. Subito i contadini si inginocchiano dinanzi a lui e baciano un lembo della veste patrizia quasi a voler rimarcare la distanza tra le due classi sociali. La scena è ambientata al tramonto in una fredda sera d’autunno e il paesaggio è solo accennato con il “casone” nella sinistra e con straordinari effetti di luce e colori all’orizzonte che caratterizzano il panorama lagunare. Non meno significativa la Posta in botte con la cacciagione in primo piano, lo scorcio dell’uomo accovacciato, forse intento a nascon- dere sotto la giacca una preda approfittando della disattenzione del cacciatore, e più lontano il saettare degli uccelli e l’annuncio del nuovo giorno che indica la fine dell’avventura. Il tiratore entra nella botte, una sorta di tino a tronco di cono con intorno delle zolle erbose che la rendono simile ad un’isoletta e aspetta le prede che nel frattempo vengono richiamate dalle anatre, in legno dipinto ad olio, che sono state posizionate dal cacciatore intorno al promontorio “tombolo”. La Caccia allo smergo è uno dei più celebri dipinti di Longhi sia per la particolarità del tema, sia per la felice resa del paesaggio lagu- nare veneto. Questa caccia, piuttosto singolare, era molto amata dalla gioventù patrizia e ancora in uso nel Settecento come prova di abilità. Il nobile, in elegante tenuta da caccia con giubba rossa si disponeva a prua della “ballottina” e con arco e “balotta” in mano, ossia una pallina di terracotta, si apprestava a colpire lo smergo, tra tutti gli uccelli quello più difficile da cacciare, resisten- tissimo e, anche se ferito, capace di nuotare a lungo sott’acqua. Pietro Longhi Arrivo del signore Posta in botte Preparazione dei fucili Conteggio della cacciagione 81 Pietro Longhi V. S ALA DELLA M USICA Caccia allo smergo

Nelle altre scene di genere presenti nella sala il pittore non tra- lascia di analizzare nessun aspetto della società; entra nelle case popolari, nei salotti delle residenze patrizie (Lezione di geografia, Fa- miglia Sagredo, Famiglia Michiel), nelle osterie (Contadini all’osteria), nelle case da gioco (Ridotto) ed esce nei campi, nelle piazze e nelle calli di Venezia (Mondo novo, Casotto del leone) e persino in campa- gna (Filatrice, Filatrici, Contadina addormentata, Furlana) riuscendo a cogliere l’atmosfera dei luoghi, le abitudini, i costumi e lo stato d’animo della gente, immortalando il tutto con un’estrema raffi- natezza d’influenza quasi francese. In ogni scena, con un’apparente semplicità, Longhi riduce i pa- esaggi e gli ambienti a qualche accenno quasi simbolico mentre evidenzia e valorizza i gesti, le espressioni, gli atteggiamenti, i movimenti e il carattere dei suoi personaggi con l’utilizzo di una tavolozza dai colori densi, caldi ed eleganti. È la stessa lunghezza d’onda delle rappresentazioni teatrali di Carlo Goldoni, suo caro amico che incontra e frequenta nel Pa- lazzo queriniano: luogo che grazie ad Andrea Querini, favorisce la loro colta amicizia, lo studio e il divertimento. Sono esposti anche Le tentazioni di sant’Antonio e la Frateria di Vene- zia che, illustrando i ventidue ordini religiosi che avevano sede a Venezia nel 1761, costituisce un vero e proprio manifesto politico del tempo dove i personaggi sono ritratti con una satira partico- larmente pungente. Nella sala sono presenti numerosi strumenti musicali della fami- glia, alcuni a corda altri a fiato. Tra i più interessanti vanno ricordati i due violini attribuiti al pri- mo grande costruttore di strumenti operante nella città lagunare Martinus Kaiser (Füssen, 1642 circa - ?, 1695 circa) ritenuto il caposcuola della liuteria veneziana e i due archetti per violino attribuiti a Carlo Tononi (Bologna, 1675 - Venezia, 1730). Il To- noni usava siglare le sue opere con un marchio a fuoco in negativo

Pietro Longhi Pietro Longhi Mondo novo Casotto del leone 83 V. S ALA DELLA M USICA

(il nome appare chiaro e tutto intorno bruciato) in due diversi punti: sulle fasce, vicino al bottone, e sul fondo, sotto la nocetta così come evidenziato sui due archi di questa collezione. Del To- noni esistono solamente tre archi; il terzo si trova nella collezione inglese Albert Cooper. Di notevole interesse anche la ribalta con alzata collocata tra le fine- stre, in legno e radica di noce, della prima metà del XVIII secolo. Si tratta di un raffinato mobile composto di due corpi separati da elementi dorati e torniti a forma di cipolla, impiallacciato in bel- lissima radica di noce e impreziosito da graziose rifiniture dorate, che accendono la patina del bureau-trumeau. Durante i ricevimenti questo tipo di mobile veniva lasciato aperto per svelare le collezioni di statuine inserite negli appositi scom- parti, un teatrino tutto veneziano. (BT)

Il 26 agosto 1740 Cecilia, sorella del senatore Andrea, scrive al padre procuratore Giovanni: “...Raccomando a V.E. la mia spinetina, se mai potese farmela agiustare; e mi farebbe un gran favore poi a mandarmela, con il libro delli minuetti, acciò non mi dimentichi quello che ho imparato...”.

Martinus Kaiser Violini VI. Sala dei ritratti

La ritrattistica familiare è un ambito di primaria importanza nel- la storia della collezione. Era infatti uso comune per le famiglie nobili veneziane commissionare ritratti: alcuni avevano una fun- zione domestica ed erano di piccole dimensioni, altri venivano richiesti con l’intento di celebrare un momento importante per la vita dell’effigiato e della comunità familiare. Sebastiano Bombelli (Udine, 1635 - Venezia, 1719), uno dei più famosi ritrattisti della nobiltà lagunare, eseguì per i Querini alcuni ritratti di famiglia. Il ritratto di Gerolamo Querini, realizzato con probabilità prima che il Querini fosse nominato procuratore e quindi prima dell’aprile 1669, raffigura il giovane a mezzo busto con una lunga parrucca nera che gli copre le spalle. La figura si staglia su un fondo scuro e viene rischiarata soltanto dal candore del viso e dall’elegante jabot di pizzo bianco della camicia. Gerolamo viene ritratto dal Bombelli anche più tardi, intorno al 1684, quando l’artista lo dipinge come un uomo maturo, a mezzo busto e di tre quarti, vestito con una giacca da casa damascata con inserti in velluto. Dello stesso periodo sono anche i ritratti di Polo Querini, fratello più giovane di Gerolamo. Il ritratto di Polo Querini a mezzo busto, databile tra il 1675 e il 1680 lo rappresenta in una dimensione domestica, iscritto in un ovale con una elegante veste da camera che cela una fine camicia di seta bianca. In questo dipinto il pittore rivela la sua grande capacità nel rendere le caratteristiche psicologiche dell’effigiato. Più di maniera, dai colori smaglianti, appare il ritratto di Polo Querini di grandi dimensioni, databile dopo il 1680, periodo in

87 VI. S ALA DEI R ITRATTI cui Polo Querini acquista la carica straordinaria di procuratore de ultra. L’uso di toni accesi e di una pennellata densa per gli abiti fa propendere gli studi più recenti a ritenere che quest’opera sia stata realizzata dal Bombelli con il contributo di uno dei suoi al- lievi migliori, Vittore Ghislandi, più conosciuto con il nome d’arte di Fra’ Galgario. Un altro allievo del Bombelli è Nicolò Cassana (Venezia, 1659 - Londra, 1714), anch’esso presente in sala con due tele, realizzate intorno al 1694 per celebrare la salita al soglio dogale del doge Sil- vestro Valier e di sua moglie Elisabetta Querini Valier. Al Cassana vennero commissionati, secondo l’uso, due ritratti di piccole dimen- sioni in pendant: nel ritratto del Doge Silvestro Valier il Cassana dipinge l’anziano con in testa la “zoggia” ovvero il corno dogale, chiamato così perché, alla sommità, vi era sempre una grande pietra pre- ziosa, e con una sontuosa stola di ermellino che gli copre le spalle e lascia intravedere una veste riccamente adornata. Il pittore, pur manifestando la sua provenienza dai Tenebrosi, dipinge la com- posizione con toni più chiari, mettendo in risalto l’atteggiamento psicologico dell’effigiato. Nel ritratto della Dogaressa Elisabetta Que- rini Valier il volto dell’anziana nobile sembra mancare di qualsiasi espressione, quasi che l’opulenza dell’abito e dei gioielli annientino qualsiasi spirito vitale. L’abito, l’acconciatura e i gioielli sono resi con grande attenzione: la donna indossa il corno abbellito da perle, il manto di broccato con preziosi inserti in oro e bordato di pelliccia e porta al collo una lunga collana che finisce con una grande croce di diamanti, la toilette è completata dalla preziosa cintura. Nicolò Cassana è il maggiore di una famiglia di pittori venezia- ni. A bottega dal padre, Giovanni Francesco di origini genovesi, si forma sulla pittura di Bernardo Strozzi e, in seguito, verrà influen- zato dalla corrente dei Tenebrosi. Ormai famoso in tutta Italia, si trasferisce in Inghilterra dove diventa noto presso la nobiltà e la monarchia inglese, anche per la produzione, assieme a Sebastiano pagina precedente: Sebastiano Bombelli Sebastiano Bombelli Gerolamo Querini Polo Querini VI. S ALA DEI R ITRATTI

Ricci e al di lui nipote Marco, di numerosi falsi d’autore spaccian- doli per opere di Tiziano, Tintoretto e altri grandi pittori veneti. Interessanti i due ritratti di Luca Giordano (Napoli, 1634-1705): il migliore dal punto di vista stilistico è Filosofo, già conosciuto in passato come Leucippo, per il riferimento ad alcuni caratteri greci che appaiono nello sfondo del quadro. L’opera va collocata nel pe- riodo giovanile di Giordano quando era molto forte l’influsso del suo maestro, il pittore spagnolo Giuseppe Ribera conosciuto come lo Spagnoletto. Il personaggio, di cui non si rileva alcun attributo iconografico è seduto accanto al tavolo in una stanza disadorna, ha i vestiti sgualciti e lo sguardo triste; solo il berretto da casa e la pergamena in mano gli conferiscono un’aria più dignitosa. Eraclito, che in passato era stato identificato come Democrito, probabilmente per l’attributo della sfera terrestre, è immortalato in una stanza molto scura, rischiarata soltanto dai carteggi e dal globo terrestre posto sul tavolo. Luca Giordano è uno dei pittori più prolifici del suo secolo, detto an- che Luca Fapresto per la grande capacità esecutiva; conosceva tutta la pittura del suo tempo e del Cinquecento e riusciva a riprodurre a memoria anche artisti stranieri come Rubens e Rembrandt. Nel dipinto giovanile di Girolamo Forabosco (Venezia, 1605 - Padova, 1679) Gentildonna la figura riprende la tipica composizio- ne tizianesca, rendendola alla moda del Seicento; la donna, con i capelli bruni raccolti in maniera semplice e ornati da un gioiello di granati, è vestita di scuro con un ampio mantello di pizzo che ne copre le spalle e parte del sontuoso abito a vita alta arricchito anch’esso da merletti. Si possono ammirare un monetiere da tavolo in legno ebanizza- to e intarsiato in avorio a dodici cassetti con motivi decorativi a grottesca, e un orologio da mensola e fastigio in bronzo, tartaruga e ottone databile al XVIII secolo che riprende il decoro tipico di Charles André Boulle, ebanista alla corte del Re Sole. (DDD)

Orologio da mensola Girolamo Forabosco Gentildonna Monetiere 91 VI. S ALA DEI R ITRATTI

L’incoronazione a dogaressa di Elisabetta Querini Valier fu un fatto del tutto eccezionale, perché severamente vietata dalle leggi della Repubblica di Venezia. Silvestro Valier infatti volle celebrare la sua salita al soglio dogale anche con la cerimonia di incoronazione della moglie, non preoccupandosi del decreto del Maggior Consiglio del 10 gennaio 1645 che recita: “In ogni tempo e a venire sia proibito il farsi l’incoronazione de le Dogaresse, come attione non necessaria et poco aggiustata a la moderation del Governo”.

Nicolò Cassana Nicolò Cassana Doge Silvestro Valier Dogaressa Elisabetta Querini Valier 93 Sala dei ritratti VII. Salotto Giuseppe Jappelli

La sala è dedicata a Giuseppe Jappelli (Venezia, 1783-1852), architetto e ingegnere, massimo esponente dello stile neoclassico nel Veneto, a cui Caterina, sorella di Giovanni e moglie del conte padovano Gerolamo Polcastro, commissionò il salotto alla pompeia- na. L’arredo proveniva dalla villa Polcastro di Loreggia in provin- cia di Padova dove Caterina soggiornò dopo la morte del marito e la vendita del palazzo di famiglia in Santa Sofia a Padova. Il salotto, in legno laccato nero con raffigurazioni dipinte a finto intarsio color noce, si compone di un divano, un tavolo con piano in radica, dieci sedie, due vetrine e una specchiera che sormonta il caminetto. Il divano, a forma di gondola, è appoggiato su quat- tro basi con serpenti intagliati, mentre l’imbottitura è in panno blu, rifinito in ciniglia marrone. Le sedie sono di struttura semplice con unico sostegno allo schie- nale e le gambe ricurve lisce. Costituiscono un esempio interes- sante di disegno ispirato all’antico e sono simili alla klismos chair, creata in Inghilterra alla fine del Settecento. Il tavolo con intarsi in madreperla, gambe a zampa di leone e una piccola scultura sulla base, che rappresenta un’anfora nelle spire di un serpente, nasconde un cassetto con serratura dorata a forma di testa di leone. Le due vetrine riprendono nella parte bassa la linea ricurva del divano, mentre in alto, nel punto di apertura dell’anta presenta- no due piccole decorazioni di metallo che riproducono i capitelli corinzi ornati da bucrani, più tipici dello stile dorico. Interessanti sono le figurine dipinte a finto intarsio, diverse l’una dall’altra, che si rincorrono da un arredo all’altro. Esse raccontano episo- di mitologici dove ninfe, dee, centauri, putti e altri personaggi

95 pagina precedente: Salotto alla pompeiana VII. S ALO TTO G IUSEPPE J APPELLI Giuseppe Jappelli Salotto alla pompeiana, particolare decorano il legno laccato e sembrano ripresi dal vasellame antico. Questo salotto rivela evidenti riferimenti all’arredo originale di una sala del Caffè Pedrocchi di Padova. In una vetrina è esposta una tazzina da caffè con piattino del- la manifattura di Meissen, databile al 1740. La decorazione su fondo bianco presenta piccoli fiori sparsi indiani e paesaggi in miniatura entro cartigli profilati in oro. Al centro del piattino e ripetuto sul corpo della tazza, circondato da mazzolini di fiori, è dipinto lo stemma della famiglia Querini Stampalia. La tazza e il piattino, di altissima qualità, facevano parte di un cabaret di cui si conoscono oggi altri pezzi, conservati in musei e collezioni private d’Europa, probabilmente un dono di ringraziamento ad Andrea Domenico Querini da parte del principe ereditario Federico Cristiano elettore di Sassonia. Nel 1740, infatti, il figlio del re di Polonia era vissuto per sei mesi a Venezia, intrattenuto durante il suo soggiorno dal Querini, da Giulio Contarini, da Piero Correr e da Alvise Mocenigo. Sopra il tavolo trova posto una delle opere più importanti del Museo, il bozzetto in creta di Letizia Ramolino Bonaparte, realiz- zato dallo scultore Antonio Canova (Possagno, 1757 - Venezia, 1822). Nella produzione canoviana il bozzetto era la prima tra- sformazione plastica del disegno preparatorio e, nel caso della scultura queriniana, ci troviamo di fronte ad un esemplare poco deteriorato e ricco di suggestione. Letizia Bonaparte, madre di Napoleone commissionò al Canova nel 1804 un ritratto a figura intera; il bozzetto è stato realizzato in quel periodo, così come quello gemello che si trova a Possagno. La statua in marmo si trova invece nella collezione Devonshire a Chatsworth in Inghil- terra. Il bozzetto fu donato dall’abate Giovanni Battista Sartori, fratellastro di Canova, al conte Giovanni Querini Stampalia. Il dipinto La partenza del Bucintoro di Antonio Stom (Venezia, notizie 1717-1734) ha avuto diverse attribuzioni, anche illustri,

Antonio Canova Manifattura di Meissen Letizia Ramolino Bonaparte Tazzina con piattino 97 Antonio Stom La partenza del Bucintoro 99 VII. S ALO TTO G IUSEPPE J APPELLI

come quella al Canaletto, prima di essere riconosciuto come ope- ra dell’artista originario della Valgardena. La veduta rappresenta la partenza del doge sul Bucintoro dal bacino di San Marco nel giorno dell’Ascensione, in veneziano “Sensa”. In quel giorno veni- va celebrato lo sposalizio tra la città e il mare, evento festeggiato anche ai giorni nostri. Il doge, accompagnato da un seguito di centinaia di imbarcazioni, si recava a Sant’Elena per accogliere il vescovo di Castello (dal 1451 Patriarca di Venezia) che portava con sé una bacinella di acqua benedetta, un vaso di sale e un ramo d’olivo come aspersorio. Dopo la benedizione del vescovo il doge gettava nelle acque l’anello dicendo in latino “Ti sposiamo in segno di vero e perpetuo dominio”. Ritornando in laguna il vescovo e il doge venivano accolti dall’abate del monastero di San Nicolò del Lido e in processione entravano in chiesa per assistere ad una funzione religiosa, a conclusione della quale il doge rien- trava a Palazzo Ducale dove aveva luogo un banchetto pubblico a cui partecipavano anche le maestranze dell’Arsenale. Infine tre paesaggi attribuiti a Peeter Bolckman (Gorinchen, 1640 - Torino, 1710) databili al periodo in cui il pittore olandese soggiornò a Genova tra il 1670 e il 1678. Memento mori, letteralmente significa “Ricordati che devi Le tele, di formato verticale, permettono all’artista di distribuire morire” ed è una famosa locuzione in lingua latina. La frase le immagini in piani molteplici. Nella realizzazione dei tre pae- deriva da una usanza dell’antica Roma: quando un generale saggi Bolckman è chiaramente influenzato da Pieter Mulier detto vincitore ritornava in città dopo una campagna bellica, doveva il Cavalier Tempesta, che probabilmente conobbe a Genova, piut- sfilare per le vie acclamato dalla folla in festa. Accanto a lui tosto che dai bamboccianti. però c’era sempre uno schiavo che era incaricato di pronunciare Il Temporale rappresenta la natura sconvolta dalla furia degli elemen- questa frase per ricordargli la sua natura umana, in modo che ti: nubi nere si rincorrono nel cielo in tempesta, realizzato con un al generale non venissero manie di grandezza. sapiente gioco di chiaroscuri. Al centro del dipinto l’albero spezzato dalla furia del vento, motivo che, con minime variazioni, ricorre in tutte e tre le opere queriniane e che può essere ricondotto all’usanza dell’arte fiamminga di inserire nelle opere un memento mori, un ele- mento iconografico che ammonisca e ricordi la brevità della vita.

Peeter Bolckman Peeter Bolckman Temporale Caccia al cervo 101 VII. S ALO TTO G IUSEPPE J APPELLI

Nella Caccia al cervo ritroviamo il paesaggio boscoso dell’artista, mentre nel Paesaggio con pastori egli ritrae una tranquilla scena bu- colica, dove solo il cielo carico di nubi e l’albero in primo piano, scosso dal vento, ci riconducono alle tipiche atmosfere dell’artista. Merita attenzione anche l’opera Senza titolo - Muro #5 di Elisa- betta Di Maggio (Milano 1964). Intagliando vari strati di colo- re in forme vegetali, tratte dagli antichi tessuti che rivestivano le sale del Palazzo, l’artista fa riemergere i colori sovrapposti dagli intonaci, evocando le memorie del passato. L’intervento è stato realizzato in occasione dell’iniziativa “Con- servare il futuro” che prevede un dialogo tra gli artisti contempo- ranei e il Museo. (DDD)

Elisabetta Di Maggio Senza titolo - Muro #5 103 VIII. Sala Ottocento

La sala è dedicata alla collezione di oggetti di arte decorativa raccolta da Ada Morandi Padoan, dal marito Romano Padoan e donata dal figlio Renato al Museo. L’antiquario Romano Padoan era il proprietario dello storico ne- gozio a San Marco “Giuseppe Dominici”, una delle mete più vi- sitate da collezionisti e amatori d’arte di tutta una generazione di veneziani e stranieri. La collezione, esposta nella vetrina a parete, comprende porcella- ne, maioliche, argenti, smalti, vetri e una serie di objets de vertu che, tra Settecento e Ottocento, diventarono accessori indispensabili alla moda maschile e femminile. Particolare attenzione è stata posta nella scelta degli oggetti in porcellana. La raccolta è costituita da una campionatura delle più importanti fabbriche italiane ed europee dei secoli XVIII e XIX, con un numero consistente di tazzine e piattini. La manifattura di Meissen è presente con alcuni pezzi di alto livello qualitativo, come il gruppo L’amante scoperto su modello dello scultore Johann Joachim Kändler, che ne rivela lo spirito ironico e lievemente burlesco. Una raffinata tazza da puerpera con coperchio e piattino, contenitore che un’antica tradizione destinava al brodo ristoratore per le dame uscite dal travaglio, è ornata su fondo bianco a mazzi di fiori indiani nei colori rosso, viola, giallo, azzurro e verde. Della manifattura di Sèvres è la tazza e piattino con cartelle deco- rate a trionfi di gusto campestre e attributi rivoluzionari a fondo bleu céleste databile al 1793-1800. L’originalità della tazza dal sem- plice profilo ovoide sta nei manici, ispirati a quelli delle coppe o dei vasi antichi.

Camillo Innocenti Il gioiello VIII. S ALA O TTOCENTO

Il costo del tè nel Settecento era molto elevato e per questo motivo Tra le porcellane italiane del Settecento ben rappresentata è la le tazze da tè erano solitamente più piccole di quelle da caffè; produzione della manifattura veneziana dei Cozzi, con chicchere anche le dimensioni ridotte delle teiere nel periodo tra il 1730 e e tazzine, tutte marcate con l’ancora rosso ferro. Le accompagna il 1770 testimoniano quanto il tè fosse all’epoca raro e costoso. una teiera globulare in porcellana bianca, dalla caratteristica pasta di tonalità grigia e vetrina brillante (1765-70). La decorazione a peonie, rami fioriti e rondinelle è chiamata “blu e rosso o del Giapon” e ricorda infatti i motivi ornamentali delle porcellane giapponesi Imari. Uscite dalla stessa fabbrica sono le due tazzine alla turca da tè tipiche della produzione Cozzi, databili al 1765-90, decorate con fogliette d’oro sparse e bordi a squama verde smeral- do che richiamano i modelli di Meissen. La collezione comprende inoltre porcellane ottocentesche con esempi delle manifatture parigine dei fratelli Darte e di Da- goty, delle manifatture di Berlino e di Gotha, della fabbrica Schlaggenwald e della manifattura di Vienna. Tra le galanteries numerose sono le tabacchiere in smalto di ma- nifattura europea. Un cenno particolare merita la tabacchiera di forma rettangolare ornata a scene galanti policrome e montata in rame dorato di probabile manifattura tedesca della seconda metà del Settecento. Alle pareti della sala sono esposti dipinti degli inizi del XX secolo. Di Camillo Innocenti (Roma, 1871-1961) è la tela Il gioiello, da- tata 1906. L’opera raffigura un interno di chiara luminosità a tinte grigie e verdi rese vibranti dal delicato gioco dei contrasti con la veste bianca della aggraziata figura femminile in un clima di vago dannunzianesimo. La modella di Alessandro Milesi (Venezia, 1856-1945), acquista- ta dalla Fondazione alla Biennale veneziana del 1910, rientra nella fortunata produzione ritrattistica dell’artista. Eseguita quasi di getto con una pennellata densa e strascicata su tonalità prevalentemente scure dove risaltano i verdi, i bianchi e i rossi dei fiori della veste, La modella rispecchia l’eleganza e lo stile inconfondibile di un’epoca. Manifattura di Meissen Manifattura di Meissen L’amante scoperto Tazza da puerpera con coperchio e piattino Manifattura Ferniani, Faenza Manifattura di Sèvres Rinfrescatoio per bottiglia Tazza e piattino 107 VIII. S ALA O TTOCENTO

Di pacato realismo il ritratto di Giovanni Bordiga (Presidente della Fondazione dal 1926 al 1933) è l’opera con la quale Lino Selva- tico (Padova, 1872 - Treviso, 1924) esordisce come artista alla Biennale veneziana nel 1899. Ed è proprio in questo genere che Selvatico troverà il suo punto di forza, diventando il ritrattista della società elegante, della nobiltà e della borghesia della Belle Époque veneziana. Esposta sopra il mobile con ribalta degli inizi del XIX secolo, la tempera su carta di Alberto Pasini (Busseto, 1826 - Cavoretto, 1899) Montenegrino a cavallo del 1860 circa è un modello di studio che rientra nella produzione orientalista dell’artista. Al centro della sala è presentata la cera Testa di bimbo di Medar- do Rosso (Torino, 1858 - Milano, 1928). Nell’opera dello sculto- re si legge il senso della creatura nella sua corruttibilità e nel suo disfacimento; bambini o vecchi indagati con un realismo quasi senza compassione. Nel corridoio si ammira In porto di Guglielmo Ciardi (Venezia, 1842-1917), veduta che si inserisce tra i dipinti a soggetto paesag- gistico del padre della pittura veneta di paesaggio ottocentesca. (EDC)

Con la buona stagione Milesi amava passeggiare lungo le Zat- tere, dove tra l’altro risiedeva, fermandosi a guardare i pittori, esperti o dilettanti, che dipingevano sulla riva del Canale del- la Giudecca. Osservava il quadro abbozzato e non riusciva a tacere: “Vèdela, qua el dovaria far dei sfregazzi co ’na calza de seda, de quele da dona. El vien meio. E questo ghe lo dise Milesi, pitor vecio venezian”.

Alessandro Milesi La modella 109 Alberto Pasini VIII. S ALA O TTOCENTO Montenegrino a cavallo

Medardo Rosso Lino Selvatico Guglielmo Ciardi Testa di bimbo Giovanni Bordiga 111 In porto IX. Scene di vita veneziana

Quello che si ammira attraverso le tele esposte in questa sala è un vivace documentario di usi e costumi della vita pubblica ve- neziana ai tempi della Serenissima. I dipinti sono tutti opera di Gabriel Bella (Venezia, 1730-1799) non proprio pittore, ma de- coratore e con tale mansione impiegato da Andrea Querini nella sua casa di campagna vicino a Treviso, da dove infatti queste tele provengono. Bella rappresenta le tradizionali feste del Carnevale e quelle pri- vate nell’intimità di un campiello o nell’inedito ambiente di un teatro; ma anche sagre, passeggi, regate, corsi e un matrimonio. Una buona parte dei suoi dipinti raffigura le cerimonie a cui par- tecipavano il doge, i magistrati e gli avvenimenti religiosi, per- mettendo così, a distanza di secoli, di partecipare alla quotidiani- tà della vita durante la Repubblica. L’artista prende spunto da incisioni dei secoli XVI, XVII e XVIII, adattandole però alla sua esperienza personale e modificando- le secondo quanto vedeva, per cui, paragonando le incisioni più antiche con i suoi quadri e con ciò che si vede ai nostri giorni, è possibile cogliere i cambiamenti della città nei secoli. Alcuni dei giochi descritti con il pennello dal Bella sono partico- larmente singolari, altri sono molto crudeli per la sensibilità di oggi, ma all’epoca erano così famosi da attirare a Venezia i più importanti personaggi del tempo. Ci sono le cacce dei tori, uno tra gli spettacoli più frequenti in città per oltre un millennio, di cui si trovano diversi esempi nella Caccia dei tori nel cortile di Palazzo Ducale, nella Caccia dei tori alle Chiovere a San Giobbe e nel Corso dei tori e La gara delle carriole a Rialto. Altri giochi con animali si vedono nella Caccia all’orso in campo Sant’Angelo o nella Sagra della vecchia in

113 pagina precedente: Gabriel Bella IX. S CENE DI V ITA V ENEZIANA La regata delle donne in Canal Grande, particolare

campo San Luca, dove sul palco un uomo inginocchiato cerca di catturare con i denti un’anguilla viva, immersa in una tinozza di acqua nera: le facce lorde di chi giocava suscitavano l’ilarità del pubblico. Molti dei passatempi più comuni sono riuniti nella Festa del 2 febbraio a Santa Maria Formosa, dove, oltre alla caccia al toro e all’orso, ci si può divertire a cercare altre piccole scene: l’albero della cuccagna, la rappresentazione di una tipica danza, la furla- na, ma anche un gioco brutale che prevedeva di uccidere un gatto a testate e un altro ancora dove si cercava di afferrare un’oca so- spesa sull’acqua scontando però la pena di un bagno in canale! Il Carnevale è rappresentato in vari dipinti tra cui I ciarlatani in Piazzetta e L’ultimo giorno di Carnevale, ma il più significativo è La festa del giovedì grasso in Piazzetta, copia di una delle Dodici Solennità dogali disegnate da Canaletto e incise da Brustolon. La scena è do- minata dalla grande costruzione da cui partivano i fuochi d’arti- ficio alla fine della festa, ma prima molti divertimenti animavano la giornata e per l’occasione venivano create apposite gradinate dove gli spettatori sedevano per godersi lo spettacolo. Nel qua- dro sono descritte alcune attrazioni: lo “svolo del turco”, cioè un giovane appeso per la vita che, scivolando lungo una doppia fune dalla cima del campanile fino alla loggia su cui si affaccia il doge, doveva porgergli un mazzo di fiori e una poesia, e le Forze d’Er- cole dove castellani e nicolotti, le due fazioni avverse della città, si sfidavano. Il Bella dipinge molti passeggi e anche corsi, cioè l’antica abitu- dine che faceva riunire in un luogo molte imbarcazioni per di- vertimento. Si remava tutti insieme cercando di superarsi, dando prova di destrezza. Sulle fondamenta si raccoglievano numerose persone per assistere al Corso nobile da San Stae alla Croce, al Corso nel canale della Giudecca e al Corso dei Sollazzieri alle Fondamente Nuove. Tra i corsi, quello che attirava la maggiore folla era senza dubbio Il corso delle cortigiane in Rio della Sensa, non più una gara, ma una

Gabriel Bella Gabriel Bella Cena al teatro di San Benedetto L’ultimo giorno di Carnevale per i Duchi del Nord 115 Gabriel Bella IX. S CENE DI V ITA V ENEZIANA Il corso delle cortigiane in Rio della Sensa

passeggiata a filo d’acqua. Alle meretrici era stato vietato di uscire a “corsi” con l’unica eccezione di quello che andava dal Rio della Sensa a Sant’Alvise che divenne perciò il corso delle cortigiane. L’uso del regatare a Venezia è antichissimo e le prime competi- zioni pubbliche di cui abbiamo testimonianza risalgono al Tre- cento. La regata delle donne in Canal Grande è raffigurata mentre si sta superando la Punta della Dogana: le “caorline”, imbarcazioni su cui gareggiano le donne, sono accompagnate dal solito corteo di gondole col “felze” e da altre colorate e adorne. Le barche con quattro rematori in livrea e un nobile inginocchiato a prua sono le “ballottine”, qui usate come servizio d’ordine: chi intralciava il percorso ai concorrenti veniva colpito con la “balotta”, pallina di terracotta scagliata con una fionda. Tra i dipinti troviamo anche le feste dei nobili e del popolo. Ai primi erano riservati spazi lussuosi come quello che si vede nella Cena al Teatro di San Benedetto per i Duchi del Nord, dove, il 22 genna- io 1782 fu allestita, nel nuovissimo teatro di San Benedetto, una cena sontuosa per accogliere gli eredi al trono di Russia. Dai rac- conti di chi vi partecipò si apprende che per l’occasione il teatro fu decorato con raso celeste e argento alternato a specchi; il pal- coscenico fu unito all’orchestra da un’ampia scalinata, ai lati della quale erano allineati i suonatori in elegante uniforme. L’illumina- zione era affidata a migliaia di candele e la visione di quel luogo doveva essere davvero suggestiva. Dopo la cena si tolsero i tavoli e si ballò, come era di moda fare nel Settecento in molti teatri. Il popolo invece si divertiva con La festa da ballo in campiello, qui rappresentata come festa da soldo, a pagamento, al suono di violi- ni e violoncello, c’è chi balla, chi guarda, chi beve come le donne al tavolo sulla destra o chi fuma, come l’uomo dietro di loro, e chi gioca a bocce o a tacco, tipico divertimento dei fanciulli che dovevano riuscire a lanciare il tacco di una scarpa sopra quello degli altri.

Gabriel Bella La regata delle donne in Canal Grande 117 IX. S ALA DELLA V ITA V ENEZIANA

Gabriel Bella Festa del 2 febbraio a Santa Maria Formosa 119 Gabriel Bella IX. S CENE DI V ITA V ENEZIANA L’incoronazione del Doge sulla scala dei Giganti

Anche la vita del doge e le cerimonie politiche e religiose del- la città raffigurate dal Bella sono tratte dalle Solennità dogali di Canaletto e Brustolon. L’elezione del doge per opera dei Quarantuno ri- corda il procedimento molto complicato messo in atto per l’ele- zione della maggiore carica della Serenissima. Un bambino tra gli otto e i dieci anni, destinato poi a stare alla corte del nuovo doge, doveva estrarre a sorte trenta patrizi che ne sorteggiavano altri i quali ne sceglievano ancora fino ad arrivare al numero di quarantuno. Questi ultimi eleggevano il doge con una maggio- ranza minima di venticinque voti. Appena avvenuta la nomina, il più anziano dei Quarantuno presentava il doge nella basilica di San Marco, così come è raffigurata nel dipinto La presentazione del nuovo doge al popolo. Al centro del dipinto si vede la preparazione del pozzetto su cui salirà il doge, mentre armati di bastone gli arsenalotti liberano il passaggio tenendo a bada la folla. Il doge andava quindi a fare Il giro della piazza in pozzetto, portato a mano da ottanta arsenalotti. Con il doge anche l’Ammiraglio, coman- dante supremo dell’Arsenale, che regge lo stendardo appena con- segnato al Serenissimo Principe, mentre il ballottino e un parente del doge lanciano monete con il nuovo nome appena coniate sulla folla. Terminato il giro della piazza si passava a Palazzo Ducale per L’incoronazione del doge sulla scala dei Giganti, dove sulla sommità della scala attorniato dai Quarantuno il doge faceva giuramento e veniva incoronato con il corno ducale. (TB)

A Venezia la maschera si portava anche in occasioni diverse dal Carnevale, è questo il caso del Passeggio delle maschere il giorno di Santo Stefano, o del Nuovo Ridotto, qui in- fatti per una disposizione legislativa del 1704 solo ai nobili era concesso tener banco a viso scoperto, mentre i giocatori dovevano entrare in bautta.

Gabriel Bella Gabriel Bella Sagra della vecchia in campo San Luca Nuovo ridotto 121 X. Studiolo

Al centro del soffitto, affrescato alla fine del XVIII secolo con trompe-l’oeïl a motivi fitomorfici e geometrici, sono raffigurate le Tre grazie: Aglaia “splendente”, Eufrosine “gioia e letizia” e Talia “portatrice di fiori”. Alle pareti sono collocate due tele a soggetto mitologico di Fede- rico Cervelli (Milano, 1638 circa - Venezia, ante 1712) Orfeo ed Euridice e Pan e Siringa. Il dipinto con Orfeo ed Euridice rappresenta il più noto episodio mitico legato alla figura di Orfeo. Alla morte della giovane sposa Euridice, causata dal morso di un serpente, Orfeo disperato discende nel regno dei morti per cer- carla. Con il suo canto straordinario commuove le divinità degli inferi che gli concedono di risalire portando con sé la moglie a patto di non girarsi indietro a guardarla prima di aver raggiunto la soglia illuminata dalla luce del sole. Il poeta, ormai prossimo alla meta, cedendo al desiderio di rivedere la sposa si volta, Euri- dice sparisce per sempre ed Orfeo sconsolato è costretto a tornare da solo sulla terra. Il Cervelli interpreta con libertà il mito e, con una pennellata for- te e vibrante, che caratterizza parte della sua produzione, dipinge ogni singolo elemento con attenzione ed eleganza. Orfeo viene raffigurato con il capo coronato d’alloro per alludere alla sua poesia e con uno strumento a corda nel fianco per ricor- dare la sua abilità nel canto. Euridice ha lunghi capelli ricci e dorati, la spalla destra scoperta e la veste trasparente e leggera ricca di drappeggi di tessuto blu che sottolineano la drammaticità della scena. Nel dipinto Pan e Siringa il tema trattato è quello del mito del dio Pan.

123 X. S TUDIOLO

Pan, la divinità che presiede ai boschi, alla vita agreste e pastorale si invaghisce della ninfa Siringa, ma questa, devota alla dea Arte- mide, rifiuta il suo corteggiamento. Pan la insegue, ma, giunta in prossimità di un fiume, la giovane rivolge una preghiera di aiuto al padre Ladone che la trasforma in canna poco prima di essere raggiunta dal dio. Pan si trova quindi a stringere tra le mani solo un giunco, e colpito dal suono provocato dal vento che scuote le canne, ne recide alcune e, legatele insieme, crea un flauto. Lo strumento musicale prese il nome di “siringa” in onore della sven- turata fanciulla e sarà convenzionalmente il flauto dei pastori. Il momento raffigurato dal Cervelli è proprio quello della fuga e della metamorfosi di Siringa; Pan dall’aspetto forte, con la fronte stempiata e una folta barba ispida, afferra la giovane in fuga che manifesta nelle dita già la prima fase del mutamento. Siringa è raffigurata con la consueta sensualità del Cervelli, il panneggio delle vesti accenna alla sua corsa disperata mentre il tremolio del- le canne in primo piano sottolinea la drammaticità dell’evento. Tra le finestre è esposta la ribalta con alzata in legno impiallacciato in radica di noce del XVIII secolo. Molto simile al bureau-cabinet inglese, il corpo superiore a due ante termina con il caratteristico motivo a doppia cupola. Il mobile ha la facciata e i fianchi dritti e la fronte del corpo inferiore ospita una calatoia con all’interno tiretti, vani e un ripiano scorrevole. Sopra alla ribalta è visibile Diana di Francesco Ruschi (Roma, 1610 - Venezia, 1661 circa). La dea della caccia viene raffigurata a mezza figura con il tipico attributo del crescente lunare tra i ca- pelli e con la mano sinistra che regge un laccio annodato all’abito dal quale scende una catenella a cui è legato probabilmente un corno da caccia. La sua mano destra sorregge un tamburello che, insieme al canestro di fiori, possono essere interpretati come dei richiami alle Ninfe, le giovani fanciulle divine, compagne di Dia- na, che costituiscono il suo seguito. pagina precedente: Federico Cervelli Federico Cervelli Orfeo ed Euridice Pan e Siringa 125 Marco Ricci X. S TUDIOLO Temporale sulla valle del Piave

Tre tele di Marco Ricci (Belluno, 1676 - Venezia, 1730), che ri- salgono ai primi del Settecento, Temporale sulla valle del Piave, Paese rustico e la Campagna romana con rovine e un laghetto, facevano parte del patrimonio personale di Alvise e Gerolamo. Il pittore ritrae con straordinario respiro i paesaggi tanto amati: i toni bruni del colore su cui si accendono improvvise macchie di luce e il realismo nella resa delle corpose e animate macchiette e degli elementi naturalistici, testimoniano la conoscenza da parte del maestro bellunese delle opere di scuola nordica, e i suoi studi giovanili sul paesaggismo veneto del Cinquecento. In queste pagine di vita, prese dai luoghi dove il Ricci adorava soggiornare, le colline bellunesi e la valle del Piave, comincia a insinuarsi la timida presenza di antiche rovine. Con il maestro nasce nella città lagunare un paesaggio reale e naturale, fatto di campagna e di colline, di mandrie e di pastori, nel quale la natura, insieme all’uomo, diventa protagonista. Le ricerche in senso naturalistico iniziate da Marco Ricci ver- ranno interrotte dal mito dell’Arcadia, introdotto a Venezia dallo Zuccarelli, riprese poi dai migliori vedutisti e paesisti del Sette- cento veneziano, Canaletto, Marieschi, Zais e Guardi. (BT)

Le grazie presiedevano ai banchetti, alle danze e ad altri pia- cevoli eventi sociali, diffondevano gioia e amicizia tra dei e mortali e assieme alle muse cantavano e ballavano per gli dei sul monte Olimpo al suono della lira del dio Apollo.

Marco Ricci Marco Ricci Paese rustico Campagna romana con rovine e un laghetto 127 XI. Camera da letto

Risale all’epoca delle nozze di Alvise con la nobildonna Lippo- mano (1790) anche la decorazione ad affresco in stile neoclassico della camera da letto realizzata da Jacopo Guarana ( Venezia, 1720 -1808). Il soffitto è suddiviso geometricamente da finti stucchi e presenta al centro Zefiro e Flora. L’ovale è attorniato da sei scene antiche su fondo di finto marmo raffiguranti cortei, sacrifici e danze, negli angoli sono presenti quattro lunette con immagini floreali e vasi mentre la cornice colorata reca decorazioni con fiori, motivi flo- reali, festoni, cesti di frutta, animali, vasi e spartiti musicali. Il tema principale dell’apparato decorativo del soffitto è un chiaro augurio di felicità e fertilità agli sposi. Zefiro è il vento occidentale, il cui soffio, dolce e potente ad un tempo, ridona vita alla natura addormentata durante l’inverno. Zefiro, librato nell’aria con leggerezza e grazia, è raffigurato come un giovinetto sereno e dolce, con una veste verde intorno alla cin- ta, un drappo rosso sulla spalla destra e con ali di farfalla. Flora, antichissima divinità italica della primavera, dei fiori, del- la giovinezza, protettrice della fecondità, delle partorienti e delle unioni coniugali, è raffigurata come una fanciulla coronata di fio- ri, dalla lunga veste svolazzante. Tra affreschi, decori e finti stucchi risaltano nella sala gli arredi in lacca dipinta che sottolineano il gusto della famiglia nella con- suetudine quotidiana. In quegli anni lo stato delle finanze dei Querini non permetteva grandi spese, e Alvise decise di conservare parte della camera da letto del padre Zuanne della metà del Settecento: otto poltrone in legno di noce intagliato e dipinto in lacca color verde chiaro e

129 XI. C AMERA DA LETTO

Per adeguare le due portacamicie, ereditate da Zuanne, allo due portacamicie dalle forme arcuate e bombate, caratteristiche stile degli altri arredi della camera da letto, Alvise ne fece mo- dell’ebanisteria rococò. dificare le gambe originali che vennero sostituite da sostegni ret- Solo il letto e i due comodini vennero commissionati per Alvise, tilinei neoclassici. sempre in lacca color verde chiaro con decorazione floreale po- licroma, ma di stile neoclassico nella linearità della struttura e nell’ornato geometrico. Tra le due finestre una ricca console in legno laccato azzurro del 1780 circa, scolpita e intagliata a motivi vegetali policromi e me- daglioni con teste virili e una specchiera argentata in vetro di Mu- rano della fine del XVII secolo. Alla parete sono collocati i Sette Sacramenti di Pietro Longhi (Venezia, 1701-1786), così come voluto da Andrea che li commissionò all’artista. Eseguite tra il 1755 e il 1757 le tele presentano diversi stili: il Batte- simo, la Cresima, la Confessione e il Matrimonio appartengono infatti ancora ad un momento chiarista del pittore segnato dall’influsso francesizzante, mentre la Comunione, l’Estrema unzione e l’Ordine Sa- cro si caratterizzano per l’utilizzo di una materia pittorica più sfu- mata e per un timbro cromatico più cupo, molto vicino allo stile rembrandtiano. Longhi, nell’esecuzione di questa serie, non si fa condizionare da Poussin e Crespi, nobili esempi che lo avevano preceduto ritraendo gli stessi soggetti, e non si lascia influenzare neppure dagli schemi imposti dalle scritture religiose ma raccon- ta la devozione senza aspetti eroici con personaggi tratti dalla società del suo tempo. Longhi scruta e coglie la realtà con attenzione e con amorevole cura e ogni dettaglio lo aiuta a rendere più domestico l’importante momento religioso: l’indiscreta donnina che si affaccia da dietro alla colonna per assistere al battesimo, il cagnolino bianco attento a ciò che succede durante la confessione, il mendicante addor- mentato contro la pila dell’acqua santa mentre i due giovani si uniscono in matrimonio e lo scarno arredo della camera da letto dove il moribondo riceve l’estrema unzione.

Pietro Longhi pagina precedente: Battesimo, Matrimonio, pagine seguenti: Jacopo Guarana Lorenzo di Credi Camera da letto Ordine Sacro, Cresima Zefiro e Flora La Vergine e san Giovannino adoranti il Bambino XI. C AMERA DA LETTO

Impreziosisce la sala il tondo di Lorenzo di Credi (Firenze, 1459?-1537) raffigurante La Vergine e san Giovannino adoranti il Bam- bino. L’opera è databile intorno al 1480 circa e probabilmente fu portata dall’artista stesso a Venezia tra il 1479 e il 1488 quando accompagnò nella città lagunare il Verrocchio, suo maestro. Nei personaggi il di Credi fa emergere i dolci caratteri di origine peruginesca mentre nella smaltata raffigurazione di foglie, fiori e nelle forme architettoniche della città manifesta la sua forte espe- rienza fiamminga nell’uso della materia pittorica. (BT)

133 XII. Boudoir

Adiacente alla camera da letto privata della signora, il boudoir era un salottino intimo e grazioso dove le dame della famiglia riceve- vano, sedute al tavolo della toilette, le visite di amici e fornitori. Accanto, il guardaroba con gli armadi custodiva ricche vesti e pregiati tessuti. Queste piccole stanze, come il boudoir e il cabinet de travail, rispec- chiano il cambiamento di gusto per le proporzioni e l’arredamen- to delle abitazioni che iniziò in Francia nel Settecento all’epoca di Luigi XV. Alle imponenti e grandiose sale, si preferiscono ora ambienti intimi, più caldi, d’impronta squisitamente femminile. Le pareti della stanza sono spartite da inquadrature rettilinee di sapore neoclassico, che presentano decori a foglie in stucchi poli- cromi su marmorino dai tenui colori pastello, della fine del XVIII secolo. Suggestive le quattro tavole di Pietro Della Vecchia (Vicen- za ?, 1602/03 - Venezia, 1678) dalla pennellata irruenta, ricca di spumosità e di effetti luministici. Raffigurano Passeggiata, Concerto, Incontro e Congedo degli amanti. Le tavole facevano parte della deco- razione di un cassone nuziale. Attribuiti in passato alla massima specialista olandese di pittura di fiori del Settecento Rachel Ruysch, i due rami Natura morta con frutta e scimmia e Natura morta con frutta e crostacei sono ritenuti dalla critica più recente opere di Hans van Essen (Anversa, 1587 o 1589 - Amsterdam, 1642 o 1648). Le composizioni, realizzate con grande sensibilità pittorica e pennellata rapida e brillante, sono orchestrate secondo rigorose leggi geometriche. Van Essen era solito infatti raffigurare le sue nature morte sopra un piano obliquo, spesso un tavolo, con poche suppellettili e molta frutta,

135 pagina precedente: Pietro Della Vecchia XII. B OUDOIR Boudoir Incontro e Passeggiata

e illuminare le scene frontalmente, lasciando scuri i fondi. In Na- tura morta con fiori e scimmia la composizione presenta l’elemento obliquo e manifesta un perfetto equilibrio sottolineato dall’uc- cellino posato sull’orlo del bacile in ceramica di Delft ricolmo di frutta. Dell’ambito del maestro fiammingo Sweerts (Bruxel- les, 1618 - Goa, 1664) sono Contadina seduta con cane e Contadino seduto che beve. La fattura delle tele rivela un impasto denso, con forti contrasti luministici, ma trasparente e, a tratti, quasi porcel- lanoso, tipico dello stile di Sweerts, oltre a una forte introspezione psicologica che distingue la sua ritrattistica. In Due scene d’osteria l’artista olandese Bartholomeus Molenaer (Haarlem, notizie 1640-50 circa), con larga e sciolta fattura pitto- rica, mette in scena l’allegrezza che dà il vino. Ne traspare un sen- so genuino d’intimità, che è caratteristico della pittura popolare olandese del XVII secolo, a differenza di quella fiamminga dove è spesso presente un distacco dell’artista dalla scena quotidiana che dipinge. Nelle parti in chiaroscuro, gli oggetti sono studiati minuziosamente e trattati con assoluta veracità. Sopra la specchiera settecentesca, Ritratto di Caterina Contarini Que- rini di Alessandro Longhi (Venezia, 1733-1813). La tela appar- tiene a uno dei momenti più riusciti della prima maturità del pit- tore, caratterizzata da una felicità del colore prossima all’Amigoni e a Rosalba Carriera. I suoi personaggi non vogliono essere eroi, ma solo protagonisti del mondo contemporaneo. L’identificazione della nobildonna raffigurata con Caterina si basa sulla somiglian- za con la signora ritratta in una miniatura firmata Bertaldo, che apparteneva alla collezione della famiglia, datata 1755. Anonimi nei primi inventari e in seguito creduti di Rosalba Car- riera, Ritratto di vecchio e Ritratto di vecchia sono stati attribuiti a Giu- seppe Nogari (Venezia, 1699-1763) dal Lorenzetti nel 1926 e tale attribuzione è stata in seguito confermata dalla critica.

Michael Sweerts Michael Sweerts Contadina seduta con cane Contadino seduto che beve 137 XII. B OUDOIR

La pittura del Nogari è calligrafica, levigata e leziosa e il suo ca- ratterismo tende a forzare la fisionomia e l’espressione. Completano l’arredo del boudoir un divanetto Impero, una sedia con fascia traforata con motivo a palmetta intrecciata del 1830 cir- ca e una specchiera settecentesca in legno laccato e dorato. (EDC)

Aleggia nel boudoir lo spirito neoclassico così descritto da Spinell nel Tristan di Thomas Mann: “Ci sono periodi, in cui semplicemente non posso fare a meno dello stile impero, in cui mi è assolutamente necessario per raggiungere un modesto grado di benessere. È chiaro che ci si sente in un certo modo fra mobili comodi e morbidi fino alla lascivia, e in un altro fra questi tavoli, poltrone e drappeggi così lineari... Questa lumino- sità e durezza, questa semplicità fredda, aspra e questa severità riservata mi conferiscono dignità e contegno... e col tempo hanno come effetto un’intima purificazione e rigenerazione, mi elevano moralmente, non c’è dubbio...”.

Thomas Mann, Tristan. Tristano, a cura di Anna Maria Giachino, Torino, Einaudi 2000, p. 41

Giuseppe Nogari Hans van Essen Ritratto di vecchio Natura morta con frutta e scimmia Ritratto di vecchia 139 XIII. Salotto rosso

La sala, illuminata da un lampadario in vetro di Murano del XIX secolo, è arredata con tappezzeria di manifattura veneziana, ros- so cremisi con disegni floreali beige, in raso e broccato del primo quarto del XVIII secolo, anche se la composizione con questo tipo di elementi naturalistici, il cactus, i melograni e le peonie, è d’impianto ancora seicentesco. Il soffitto è decorato da Jacopo Guarana (Venezia, 1720-1808) e risente del nuovo gusto classicheggiante della fine del Settecento: al centro Apollo sul carro; su quattro lunette con fondo dorato sono raffigurate Venere ed Eros, il Sacrificio a Minerva, Bacco incorona Arian- na e una Scena d’Imeneo, il dio che presiedeva al matrimonio. Agli angoli medaglioni monocromi allusivi alle Arti e coppie di figure femminili con festoni di frutta e nastri. Nella sala sono presenti quattro grandi ritratti ufficiali. Nel Gerolamo Querini in abito di procuratore di San Marco di Sebastia- no Bombelli (Udine, 1635 - Venezia, 1719), il personaggio ap- pare in posa severa e rappresenta un importante caposaldo della ritrattistica aulica o di parata nella pittura veneta. Gerolamo, con indosso la toga, tipica veste rossa che tutti i procuratori portavano nelle occasioni ufficiali insieme alla cappa in velluto, è impostato con una teatralità di gesti tipicamente barocca. Quest’opera può essere datata all’indomani dell’acquisto della procuratoria da par- te di Gerolamo (23 aprile 1669). Bartolomeo Nazari (Elusone, 1693 - Milano, 1758) raffigura Il Cardinale Angelo Maria Querini ed esegue l’opera nel 1727, in occa- sione della sua nomina. La conoscenza tra il Nazari e il Cardinale Querini avvenne forse a Roma, dove il primo si trovava tempora- neamente alla scuola del Luti e del Trevisani, e il secondo fungeva

141 pagina precedente: Salotto rosso

Sebastiano Bombelli Gerolamo Querini in abito di procuratore Bartolomeo Nazari di San Marco Il Cardinale Angelo Maria Querini 143 XIII. S ALOTTO ROSSO

da Consultore del Santo Uffizio. Il ritorno dei due personaggi a Venezia dovette avvenire nello stesso torno di tempo, quando An- gelo Maria Querini, eletto nell’estate di quello stesso anno Vesco- vo di Brescia, fu nominato Cardinale a dicembre. Da questa data in poi l’artista divenne il più richiesto ritrattista ufficiale della Se- renissima. Il Querini invece si trasferì a Brescia nel febbraio del 1728 e lì rimase fino alla morte erigendo tra il 1747 ed il 1750 la Biblioteca Queriniana, alla quale fece dono di circa 1500 volumi della collezione privata di famiglia. L’opera qui esposta tradisce la complessa formazione artistica del Nazari della prima matu- rità: se l’articolazione mossa e teatrale della figura e delle mani richiama il Bombelli, la profusione decorativa nell’ambientazione risente dell’esperienza romana. Gli altri due ritratti raffigurano Gerolamo Querini Stampalia Provve- ditore Generale da Mar di Fortunato Pasquetti (Venezia, 1700 cir- ca - Portogruaro, 1773 circa) e Andrea Querini Stampalia Provveditore generale della Dalmazia e Albania di Bernardino Castelli (Pieve d’Arsiè, 1750 - Venezia, 1810). All’angolo il cantonale è un bell’esempio di lacca veneziana, ben riuscito nella sua decorazione dorata su fondo verde scuro. A Ve- nezia, sulla scia dell’interesse europeo per l’esotico, nato verso la fine del Seicento, si sviluppò la moda della lacca cinese grazie a una categoria di artigiani, i “depentori”, che erano specializzati nell’arte della pittura e della verniciatura e che si dedicarono in particolare all’imitazione delle lacche orientali. Il vero e proprio apice di quest’arte fu raggiunto in particolare con la realizzazio- ne, nel corso del Settecento, del mobilio per l’arredo dei palazzi di città e di campagna della nobiltà veneziana. (TB)

Cantonale 145 XIII. S ALOTTO ROSSO

Tutti i possedimenti veneziani erano sotto il controllo del Prov- veditore Generale, cioè di un funzionario della Repubblica in- viato nei territori sotto la diretta amministrazione di Venezia. I Provveditori generali erano cinque: il Provveditore Generale da Mar: responsabile generale delle province dello Stato da Mar, cioè tutte le colonie marittime, del denaro necessario al mante- nimento della flotta e vice-comandante della stessa, durava in carica tre anni e risiedeva a Corfù. Il Provveditore Generale del Friuli o Luogotenente: responsabile generale delle province della Patria del Friuli, risiedeva a Udine. Il Provveditore Generale della Morea: responsabile generale delle province della Morea, risiedeva a Nauplia; il Provveditore Generale di Dalmazia: responsabile generale delle province della Dalmazia, risiedeva a Zara; il Provveditore Generale di Terraferma: responsabile generale delle province dei Dominii di Terraferma, istituito nel 1796, risiedeva a Brescia. Unica eccezione era Costantinopoli, retta dal Bailo, ambasciatore scelto tra i nobili, che doveva, per tutta la durata della sua carica biennale, risiedere in quella colonia e aveva autorità sui cittadini veneziani presenti nel ter- ritorio ad essa collegato.

Fortunato Pasquetti Gerolamo Querini Stampalia Provveditore Generale da Mar 147 XIV. Salotto verde

L’affresco a soffitto è opera di Jacopo Guarana (Venezia, 1720- 1808) e raffigura al centro un’Allegoria nuziale. Intorno al sogget- to principale quattro tondi con monocromi di figure danzanti e due lunette con putti; ai quattro lati corone di fiori con aquile in stucco bianco. Due ritratti sono di mano di Pietro Uberti (Venezia, 1671 - Ve- nezia o Germania, 1762) Gian Francesco Querini Procuratore di San Marco e Giovanni Querini Procuratore di San Marco. Probabilmente le tele sono state commissionate al pittore nel 1716, anno della doppia nomina a procuratore, l’ultima della famiglia. I due per- sonaggi sono raffigurati nella rigida posa ufficiale in piedi, ma a tre quarti di busto, avvolti nella pesante veste rossa e con la lunga parrucca di moda francese ormai diffusa anche a Venezia. Il capolavoro della sala è il Ritratto di un Dolfin Procuratore e Generale da Mar, di Giambattista Tiepolo (Venezia, 1696 - Madrid, 1770). Il procuratore è un superbo esempio della ritrattistica dell’artista. Nel 1854 Giovanni Querini ereditò dalla nonna materna Cecilia Dolfin l’edificio tardo rinascimentale dei Dolfin a San Pantalon, famiglia per la quale il giovane Giambattista, alla fine degli anni Venti del Settecento, aveva lavorato alacremente dipingendo in estate gli affreschi per il palazzo patriarcale di Udine e d’inverno dieci grandi tele di storia romana per il palazzo veneziano, consi- derate il segno della sua raggiunta maturità artistica. Per la stessa famiglia Tiepolo aveva continuato a lavorare anche successivamen- te e questa tela infatti si può far risalire alla metà del Settecento. Non si può invece precisare se la persona raffigurata sia, come la maggior parte dei critici sostiene, Daniele IV Dolfin (1656-1729), Cavaliere del Senato e Capitano straordinario delle navi, mutilato

149 XIV. S ALOTTO VERDE a Metellino di quattro dita di una mano, che Tiepolo sembra voler evidenziare in primo piano coperta dal guanto; o se possa essere Daniele I Dolfin, detto Nicolò (1652-1723), Generale a Palma e Procuratore de Supra, l’unico altro Dolfin a cui competono gli attributi di Generale da Mar. In ogni caso si tratta di un ritratto in memoriam, ossia commemorativo, e per celebrare il personaggio Tiepolo assegna una statura monumentale al procuratore ritratto a figura intera, usando il gradino come un piedistallo. Il personaggio è connotato dalla presenza del berretto a tagliere e del bastone di comando, che spettano ai Capitani da Mar. Dietro, due colonne e, sulla sinistra, due quinte architettoniche: la prima di un classicismo barocco che ricorda il Longhena, la seconda con elementi più rinascimentali ripresi dal Sansovino e dal Palladio. Proveniente sempre dall’eredità Dolfin anche il ritratto a figura intera di Francesco Zugno (Venezia, 1708/09-1787), allievo del Tiepolo, Il procuratore Daniele IV Dolfin, identificabile dalla scritta sul foglio che tiene in mano e dai simboli della sua carica, il cap- pello, il bastone e la nave sullo sfondo. I due sovrapporta Gentildonna e Imperatrice sono tradizionalmente anonimi in tutti i cataloghi e inventari della Pinacoteca. Il taglio compositivo, i particolari naturalistici, e la minuzia nell’analisi del- le stoffe dei costumi sono elementi che possono condurre all’ambito di Carlo Ceresa (San Giovanni Bianco, 1609 - Bergamo, 1679), ritrattista lombardo del Seicento. Il ritratto di Gentildonna potreb- be essere quello di Maria Leopoldina d’Asburgo, seconda moglie dell’imperatore Ferdinando III d’Asburgo, simile a un altro della stessa presente al Castello di Ambras presso Innsbruck. Disposti attorno alle pareti, secondo l’uso veneziano, divani, sedie e poltroncine in legno laccato verde oliva decorati a mazzetti di fiori policromi e dorati. Una di fronte all’altra, due console con alte specchiere databili al 1780 circa, dal gusto classicheggiante: su una di queste è visibile, pagina precedente: Jacopo Guarana Giambattista Tiepolo Allegoria nuziale Ritratto di un Dolfin Procuratore e Generale da Mar Salotto verde XIV. S ALOTTO VERDE

dietro la lastra, la sigla NH (per Nobil Homo), che si usava antepor- re ai nomi dei nobili. La pendola da tavolo in marmo e bronzo dorato e cesellato è opera del primo decennio dell’Ottocento di Luigi Manfredini (Bolo- gna, 1771 - Milano, 1840), firmata infatti “Manfredini orolo.re del Re a Milano”. Il quadrante è inserito in una raffigurazione del carro di Diana. Sia le figure che la biga sono tratte da un’ope- ra simile di Guido Reni. La base in marmo è anch’essa arricchita dalle figure in bronzo dorato di tre putti alati che reggono delle ghirlande vegetali legate da nastri. La coppia di vasi in porcellana di forma ovoidale, proviene dalla Cina ed è databile intorno al primo ventennio del Settecento. I vasi, decorati da smalti policromi, presentano un ornato floreale e conservano il ricordo di una storia avvenuta quando il secondo piano di Palazzo Querini era affittato al Patriarca Jacopo Monico. Questi si era trasferito a Palazzo nel 1835, in attesa della nuova sede patriarcale alla Piazzetta dei Leoncini, accanto a Piazza San Marco. Cacciati gli austriaci nel 1848, dopo quindici mesi di Re- pubblica, nella città stremata da un lungo assedio corse voce che il Patriarca avesse sottoscritto una petizione per la resa agli austriaci. Il 3 agosto 1849, la fazione disposta alla resistenza ad ogni costo decise di prendere d’assalto la dimora patriarcale: mobili, oggetti preziosi, tra cui i due vasi cinesi della dinastia Qing, libri, monete e medaglie vennero buttati in canale, e i pezzi migliori, oltre a mo- Daniele IV Dolfin l’11 febbraio 1709 diede una grandiosa festa nete d’oro, furono rubati. Il Patriarca, costretto a fuggire dalla pro- in onore di Federico IV di Danimarca e Norvegia, per la quale pria residenza attraverso il sistema di ponti aerei che, dal Seicento, decise di coprire tutto il cortile del palazzo di San Pantalon, collegavano Palazzo Querini alla chiesa di Santa Maria Formosa, costruendovi un’immensa sala in legno, ornata e ammobiliata, riuscì a raggiungere in gondola l’isola di San Lazzaro degli Arme- che univa dieci camere illuminate a giorno, e in cui si potevano ni, dove, a sua difesa, vennero issate le insegne dell’impero Otto- ascoltare differenti concerti di musica. mano. Non molto tempo dopo, il 24 agosto, gli austriaci tornarono a Venezia. A Palazzo Querini i cocci dei vasi ripescati dal canale vennero ricomposti pazientemente nelle forme originali. (TB)

153 XIV. S ALOTTO VERDE

Nell’antichità si utilizzavano come specchi piatti di terracotta su cui si versava acqua. L’immagine riflessa era però vaga e per questo egizi, greci e romani finirono col preferire le su- perfici ben lucidate di alcuni metalli e, soprattutto il vetro. Nelle tombe egizie sono stati ritrovati specchi fenici ottenuti con sottili lastre di vetro; una delle facce della lastra era ricoperta da piombo che, annerendo il fondo, trasformava il vetro in uno specchio. Nel Cinquecento a Venezia, dove fiorì l’arte del vetro, i soffiatori producevano specchi così belli che venivano richiesti in tutto il mondo, benché fossero molto costosi. La Serenissima emanava leggi per non permettere ai maestri vene- ziani di esportare in altre città la loro arte, ma dalla metà del diciassettesimo secolo i segreti giunsero in qualche modo anche a Parigi e Londra. Verso la fine del Seicento, per vincere la concorrenza, si cercarono quindi tecniche di produzione meno laboriose e più economiche. Gli specchi, che fino ad allora a causa dell’alto costo erano sempre stati di piccolo formato, per lo più da tenere in mano, cominciarono ad essere prodotti anche in grandi dimensioni e, corredati di cornice, si usarono per la decorazione delle stanze.

Console con specchiera Luigi Manfredini e coppia di vasi cinesi Pendola da tavolo 155 X V. Sala degli stucchi

Fin dall’XI secolo maestranze ticinesi emigrarono nei grandi cen- tri artistici dell’Italia e del resto dell’Europa così numerose da in- cidere notevolmente sulla cultura figurativa di alcuni periodi. Il fenomeno presentò particolare intensità nel corso del Cinque- cento e del Seicento quando si affermarono ovunque, per la loro abilità, vere e proprie “dinastie” di scultori e stuccatori che man- tennero per secoli l’egemonia nell’arte plastica. Queste famiglie dominarono incontrastate a Venezia tutti i cicli stucchivi sia re- ligiosi che civili, e i fratelli Giuseppe (1755-1822) e Pietro Ca- stelli appartennero a una di queste, e più precisamente al ramo di Melide, vicino a Lugano. A quel tempo le famiglie erano molto numerose e, spesso, nella stessa casa più componenti apprendevano la medesima arte. Nel Settecento nei palazzi e nelle dimore della città lagunare i fe- stoni, i trionfi, le figure nei tondi e le riquadrature geometriche in stucco legavano la narrazione alla celebrazione riportando dalla storia miti e racconti al fine di ottenere un raffinato arredamento murale, in simbiosi col pittore, con l’arazziere, con l’intagliatore del legno e l’ebanista, con l’incisore di vetri e specchi. In questa sala l’opera dello stuccatore caratterizza in modo determinante l’ambiente che diviene elegante, piacevole ed originale. Il soffitto, suddiviso geometricamente, presenta due fasce con grifoni, vasi e motivi floreali, quattro lunette rosse con stemmi e quattro coppie di putti con strumenti musicali, rose e libri. Alle pareti trofei che alludono alla caccia, alla musica, alla vita agreste, alla fortuna e all’antico. Collocati su console, due globi di Gilles Robert de Vaugondy (Parigi, 1688-1766).

157 XV. S ALA DEGLI S TUCCHI

La superficie dei globi, che poggiano su supporti lignei originali, è in carta disegnata in calcografia, divisa in dodici fusi e due calotte ai poli. Intorno ad essi, lungo un meridiano, corre un circolo in ottone sul quale sono disegnati i climi, le ore e i gradi di distanza dal polo. Su questo circolo ne poggia uno più piccolo, in ottone anch’esso, sul quale sono segnate le ore. De Vaugondy, raffinato esecutore di mappamondi, carte geografiche e autore di atlanti, nel 1730 divenne cartografo e geografo ufficiale del re di Francia. I gioielli della sala sono le due tavole di Jacopo Palma il Vec- chio (Serina, 1480 circa - Venezia, 1528) collocate su cavalletto: ritratto di Francesco Querini e ritratto di Paola Priuli. Queste opere furono probabilmente commissionate al Palma in occasione delle nozze dei due nobili avvenute il 23 aprile 1528. Pare che France- sco Priuli, padre di Paola, avesse raccomandato il Palma al Que- rini, che infatti gli richiese almeno cinque dipinti. Nella tavola l’uomo è raffigurato con una mantella nera sopra un vestito az- zurro e una giacca a strisce marroni e verdi. L’abito della donna doveva essere verde, ma appare ora diverso perché con gli anni il pigmento è virato sul bruno. L’architettura di sfondo di entrambi i dipinti non si collega a nessun modello dei palazzi veneziani, ma è un’ambientazione convenzionale che Palma utilizzò con lievi varianti in altri ritratti a mezza figura. Compiute solo in parte, queste due opere rivelano il procedimento del lavoro del Palma Dai celebri Diari di Marin Sanudo si apprende che nel 1525 fatto di successive velature di colore, sopra la campitura larga e a Palazzo fu data, dalla Compagnia della Calza dei Valorosi, distesa della base, e i dettagli ricavati con la punta del pennello. di cui Francesco Querini risulta socio fondatore nel 1524, una Il modello a cui guarda l’artista in queste opere, anche se formal- recita della Commedia Orba di Cherea, nell’ambito dei fe- mente legato alla ritrattistica giorgionesca, è il giovane Tiziano di steggiamenti organizzati per il matrimonio di una Querini. cui sa cogliere nel ritratto la dote introspettiva e il risalto formale del particolare analizzato dal vero. Le opere rimasero incompiu- te a causa dell’improvvisa morte del pittore il 30 luglio 1528. È quindi assai probabile che gli sposi abbiano richiesto ed ottenuto entrambe le opere subito dopo la morte del Palma. (BT) pagina precedente: Giuseppe e Pietro Castelli Gilles Robert de Vaugondy Trionfo di caccia Globo 159 XV. S ALA DEGLI S TUCCHI

Jacopo Negretti detto Palma il Vecchio Jacopo Negretti detto Palma il Vecchio Paola Priuli Francesco Querini XVI. Sala da pranzo

Decorata con gli affreschi Aurora di Jacopo Guarana (Venezia, 1720 -1808) e Apollo e una Musa di Costantino Cedini (Padova, 1741 - Venezia, 1811) e con stucchi settecenteschi, illuminata da due eleganti lampadari in vetro di Murano, questa sala ospita parte della collezione di porcellane della famiglia. Protagonista è il prezioso servizio in porcellana di Sèvres acqui- stato a Parigi nel 1795-96 da Alvise Maria, ultimo ambasciatore della Serenissima Repubblica in Francia dal 1795 al 1797. Il servizio in porcellana a pasta tenera, composto da duecento- quarantaquattro pezzi e ancora oggi perfettamente intatto, pre- senta varietà di forme, perfetta doratura, minuziosa decorazione, colori puri e precisi, coperta limpida e brillante. Bande a bordo blu scuro, arricchite da roseaux d’oro, racchiudono riserve ornate con ramoscelli sparsi di campanule violacee e non- tiscordardimé rosa, ornamento tipico nei servizi da tavola della tarda produzione settecentesca di Sèvres. Le forme del vasellame sono quelle di repertorio della manifattura e molte risalgono alla metà del Settecento. La maggior parte dei pezzi del servizio reca la marca della manifattura R.F. per République Française e la parola Sèvres, che aveva sostituito dal 1793 al 1800 la doppia L incrociata del monogramma reale. Si riscontrano inoltre dicias- sette sigle di pittori e doratori, tutti identificati. Sulla tavola, apparecchiata per otto persone, si possono ammi- rare piatti da coltello, da minestra e da antipasto, salsiere, compostiere e burriere. Fin dall’inizio della produzione di porcellana tenera, e più tardi anche di porcellana dura, i piatti da coltello vennero prodotti in gran numero dalla manifattura di Vincennes-Sèvres con le decorazioni

163 XVI. S ALA DA PRANZO più svariate. Ogni pezzo veniva creato sia per servizi da pranzo o dessert, sia per essere venduto singolarmente. La forma dei piatti da minestra apparve per la prima volta nell’in- ventario della manifattura dell’ottobre 1752. Il modello del piatto da antipasto è ravier forme bateau. Per ravier si intendeva un piatto a forma di barca, che si portava in tavola con dei ravanelli o altri antipasti. Generalmente era in porcellana, faenza o vetro. Pot à jus o pot à sauce era il nome primitivo della salsiera, usata per consommé e jus de veau, nome che ha conservato per tutto il Sette- cento. Le salsiere in porcellana divennero oggetti di gran moda per decorare tavole illustri compresa la tavola del re. Nelle compostiere, che potevano presentare otto forme diverse, si servivano composte, frutta, dolci e creme. La coppia di burriere, det- te anglais, modello tipico del periodo Luigi XVI, risponde al gusto tipico dell’epoca per lo stile inglese. Il servizio è accompagnato da figurine, gruppi e vasetti in bi- scuit di porcellana dura di gusto Luigi XV e Luigi XVI che ne costituiscono il surtout. Al centro della tavola viene presentato il gruppo Il trionfo della Bellezza, ideato da Louis-Simon Boizot (1743-1809) per la regina Maria Antonietta nel 1775-76, testimone prezioso dell’arte Luigi XVI a Sèvres e inno alla bellezza femmi- nile. Lo accompagnano L’offerta all’Amore e L’offerta al Matrimonio, sempre creazioni di Boizot, seguite dall’elegante Ninfa Falconet, il cui modello è la Baigneuse, scultura in marmo di Falconet, oggi conservata al Louvre e dal 1759 riprodotta a Sèvres in biscuit. La Ninfa venne copiata dalle manifatture di Ludwigsburg, Zurigo, Copenhagen, Meissen e Berlino e il suo successo a Sèvres conti- nua ancora oggi: la manifattura, che ne ha conservato gli stampi, la produce e la vende. Le due console settecentesche collocate ai lati del caminetto sono utilizzate come tavolini per i dessert e vi sono esposti piatti da pagina precedente: Servizio in porcellana di Sèvres Sala da pranzo Manifattura Vezzi XVI. S ALA DA PRANZO Vaso biansato

frutta, fragoliere, rinfrescatoi da gelato, vassoi con tazze da gelato e cestini da frutta. Una terza console serve come tavolo per le bevande con vari esem- pi di rinfrescatoi, una coppa da punch e un mortaio. Sulle mensole ancora biscuit del servizio di Alvise e figurine set- tecentesche delle manifatture di Nove e Vienna e un raro vaso biansato di Vezzi, ritenuto l’opera più prestigiosa della manifattu- ra veneziana e databile al 1724-27. Il vaso presenta decorazioni in rilievo che ricordano i preziosi lavori di oreficeria, mentre la fascia centrale è ornata da fiori, libellule, uccelli e viticci dai tra- dizionali colori di Vezzi. Lo affiancano gruppi scultorei in porcel- lana bianca di Nove, periodo Antonibon (1782-1802), a soggetto bucolico. (EDC)

Manifattura di Sèvres Rinfrescatoio per bottiglie da liquore, rinfrescatoio per gelato, piatto da frutta XVI. S ALA DA PRANZO

Un antico brindisi del XIV secolo suggerisce: “Chi ben beve ben dorme; Chi ben dorme mal no pensa; Chi mal no pensa mal no fa; Chi mal no fa in Paradiso va; Ora ben bevé che Paradiso averé”.

Vino, pietanze, vasellame d’argen- to, bicchieri, trionfi ornavano le tavole dei veneziani fin dal Medio- evo. In occasione dei banchetti pub- blici o in particolari circostanze, i pranzi, per motivi di osservanza religiosa, si dividevano in pranzi di grasso e di magro. Le pietanze più ricercate nei banchetti di grasso consistevano in pollame e caccia- gione, mentre in quelli di magro si prediligevano storioni, pesci di fiume, ostriche dell’arsenale, peoci (cozze) e rane. Sul finire del Settecento un convito si articolava in tre parti ben distin- te: Ordever (hors d’oeuvre), che consisteva in tre o quattro piatti, Portade, che comprendevano dai dodici ai quattordici piatti e Por- tade dei frutti comprensive di latte e dolci.

Manifattura di Sèvres Surtout 169 XVII. Sala mitologica

Alcune delle più interessanti opere di carattere mitologico e alle- gorico della collezione dei Querini sono conservate in questa sala; essa evoca l’uso, tipico delle famiglie nobili veneziane, di adornare, nel XVII secolo, le loro stanze con favole e miti tratti dall’antico. Il soffitto, attribuito a Jacopo Guarana (Venezia, 1720-1808), presenta un rosone centrale a intonaco di calce, al centro del qua- le campeggia un lampadario a colonna con fiori policromi di vetro di Murano, risalente al XVIII secolo. Dal rosone partono delle fasce in marmorino bianco che spartiscono i riquadri a fondo rosa decorati a grottesche e strumenti musicali in stucco bianco. Entro due grandi ovali a fresco si fronteggiano in un monocromo grigio azzurro due divinità, da una parte Minerva, patrona delle arti e del commercio con i suoi attributi quali l’elmo, la civetta e lo scudo ornato dalla testa della gorgone Medusa e Nettuno, dio del mare, rappresentato sdraiato con il tridente e il delfino. In posizione opposta si distinguono le teste di Medusa, con la folta capigliatura di serpenti e di Ercole, con il capo coperto dalla pelle di leone. Completano la decorazione quattro esagoni dello stesso marmo- rino grigio azzurro ove sono rappresentati Mercurio, messaggero degli dei con il tipico cappello e i sandali alati, Esculapio, dio della medicina, ritratto come un vecchio sapiente con un bastone intorno al quale sta avvolto un serpente, Cerere dea delle messi e dell’agricoltura e un’esile figura femminile ignuda che probabil- mente rappresenta la Verità. L’arredo, molto lineare, è composto da due tavoli e un salotto, tutti databili al XVIII secolo. Nella sala è conservata una delle più importanti opere di Seba- stiano Ricci (Belluno, 1659 - Venezia, 1734). I Querini com- missionarono al Ricci l’Allegoria del giorno tra il 1696 e il 1703, per

171 XVII. S ALA MITOLOGICA abbellire il soffitto del “cameron della galleria”, una grande sala probabilmente al primo piano del Palazzo adibita a galleria d’ar- te dove erano esposte le tele più rappresentative della collezione familiare. Il pittore rappresenta i tre momenti del giorno: la tela principale, dalla forma rettangolare, il Meriggio, propone la lotta tra le divinità portatrici della luce e quelle alleate con le tene- bre. Le prime, innondate di luce, scacciano con fasci di saette, i demoni della notte raffigurati con toni scuri e accompagnati da una civetta, animale notturno per eccellenza. Nell’Alba, di forma ovale, un giovane bruno cinto da un drappo rosso, insieme ad un piccolo putto, risveglia il mondo versando dell’acqua da un vaso, mentre un altro amorino, dai capelli biondi, sorregge la fiaccola della luce. L’ultimo ovale rappresenta la Sera, ove un giovane, con indosso un drappo ocra, lancia delle frecce appuntite nel tentativo di rimandare l’arrivo delle tenebre, aiutato da due piccoli putti, adagiati su una roccia. I corpi dei protagonisti trasmettono movimento e dinamismo all’intera composizione pittorica, evidenziandone l’apertura verso l’alto che ben si adattava all’originaria collocazione a soffitto. L’opera è sicuramente risalente al secondo periodo veneziano del Ricci e risente dell’eredità di Luca Giordano, raccolta durante la sua permanenza a Roma. Il quadro attribuito a Francesco Maffei (Vicenza, 1605 circa - Padova, 1660) Milone da Crotone rappresenta una delle opere tarde del pittore databile intorno al 1657. La tela racconta un aneddoto riportato da alcuni storici antichi, tra cui Plinio il Vecchio nel suo Naturalis Historiae, la morte di Milone, famoso atleta della città di Crotone, vissuto nel VI secolo a. C., noto per la sua forza e pre- stanza fisica che gli valsero la vittoria in diverse discipline olimpi- che. Milone, aggirandosi in un bosco vicino alla sua città, scopre una grande quercia spaccata da due cunei; decide di provare la sua forza togliendo i perni ma rimane imprigionato nel tronco, pagina precedente: Sebastiano Ricci Anonimo, Sibilla Eritrea Meriggio XVII. S ALA MITOLOGICA

in balia delle fiere che lo aggrediscono e lo uccidono. Nel quadro l’atleta prigioniero dell’albero è circondato da una serie di notabili e uomini in arme che rendono teatrale la scena. Milone, vestito soltanto di un drappo che ricorda i simboli di Ercole, guarda con coraggio e mestizia la piccola folla. Un altro dipinto degno di nota è Cefalo e Procri attribuito a Luca Giordano (Napoli, 1634-1705); il soggetto ebbe una discreta for- tuna nel corso del XVII secolo, riprendendo il mito raccontato da Ovidio nelle Metamorfosi. La storia narra dell’amore coniugale del pastore Cefalo e della moglie Procri, che dopo drammatiche vi- cende si ricongiungono e godono dei doni che la dea Artemide ha voluto fare a Procri: un giavellotto infallibile e un cane di nome Lelapo, al quale nessuna preda può sfuggire. Il mito non ha un lieto fine: Procri, gelosa di Cefalo che alla fine di ogni partita di caccia invoca l’Aura per ringraziarla, scambiandola per una riva- le in amore, segue di nascosto il marito durante la caccia e, celata dai cespugli, viene uccisa dal giavellotto infallibile. Il pittore na- poletano fissa il mito in un momento felice, l’attimo in cui Procri, ricongiunta a Cefalo, gli dona il dardo e il fedele Lelapo che aveva precedentemente ricevuto in dono da Artemide. Il chiaroscuro intenso e la luminosità del volto e del braccio della giovane donna rendono l’opera uno dei migliori esempi della produzione vene- ziana di Luca Giordano. Curioso per il soggetto è L’uomo precipitato dai vizi di Pietro Liberi (Padova, 1614 - Venezia, 1687), di chiaro intento moraleggiante. La tela rappresenta un uomo fatto cadere dalle scale di un palaz- zo antico da una tornita e sfuggente Venere in primo piano e da un’altra giovane donna che gli spreme addosso un grappolo d’uva. Ai luminosi incarnati delle due fanciulle ignude fa da contrappun- to un nano, scuro in volto vestito con i tipici colori del buffone che, tenendo in mano un mazzo di carte da gioco, assesta un podero- so calcio all’uomo. L’opera non riprende un vero e proprio mito

Sebastiano Ricci Alba, Sera 175 XVII. S ALA MITOLOGICA

classico anche se tutta la critica ha riconosciuto nella giovane nuda in primo piano la figura di Venere, dea dell’amore e nell’al- tra figura femminile Arianna, guida di Teseo nel labirinto del Minotauro. Interessante il ciclo di dodici Sibille. Attribuite ad anonimo pitto- re veneto della seconda metà del Seicento, facevano parte dei beni di una villa di Lancenigo in provincia di Treviso, acquistata dai Querini alla fine del Seicento. Dalla documentazione pervenuta non è chiaro se questi quadri fossero stati portati dai Querini, oppure fossero appartenuti alla precedente proprietà. Il tema della Sibilla nel Seicento ebbe una vasta fama: le Sibille, nell’antichità erano delle vergini dotate di virtù profetica (famo- sa la Sibilla Delfica consacrata Indovina del Tempio di Apollo), successivamente furono accolte nella cultura cristiana come pro- fetesse della venuta di Cristo e apparvero in diversi cicli pittorici in pendant con i profeti dell’Antico Testamento. Al di là dell’utiliz- zo per ampi complessi figurativi, le Sibille vengono rappresentate anche in cicli domestici e in tele di piccole dimensioni. (DDD)

Il Meriggio, dal latino meridie(m) che significa mezzogiorno, è il simbolo della luce nella sua pienezza fisica e spirituale, la natura si arresta, il tempo sembra fermarsi.

Pietro Liberi Sala mitologica L’uomo precipitato dai vizi 177 Francesco Maffei XVII. S ALA MITOLOGICA Milone da Crotone

Luca Giordano Anonimo veneto Cefalo e Procri Sibille 181 Area Carlo Scarpa

Carlo Scarpa (Venezia, 1906 - Sendai, 1978) è una delle figure più interessanti della scena architettonica italiana del Novecento. Personaggio controverso, spesso osteggiato, fu intellettuale dalla personalità eclettica; coltivò i suoi interessi attraverso molteplici e assidue frequentazioni con artisti e studiosi. Importante anche la sua attività di designer per oggetti in argento e tessuti, ma so- prattutto il suo ruolo di consulente artistico, dal 1933 al 1947, per la vetreria Venini di Murano: al suo personale gusto sono dovuti alcuni dei vetri più originali della storia del design. L’intervento realizzato alla Fondazione tra il 1961 e il 1963 inte- ressa parte del piano terra del Palazzo, il giardino situato sul retro e l’antica scala principale fino al primo piano. Il progetto, destinato a rendere maggiormente fruibile quest’area, trova una soluzione ai tipici problemi lagunari dell’alta marea e dell’umidità costante, e crea uno spazio espositivo, per convegni e altre iniziative culturali. L’opera di Carlo Scarpa può ricondursi a quattro temi fondamen- tali: il ponte di accesso, l’ingresso e la porta d’acqua, il portego e il giardino. Con il nuovo ponte, montato in poche ore, Scarpa risolve il pro- blema dell’angusto accesso preesistente, posto su una calle latera- le, spostandolo sul fronte del Palazzo, in campiello Querini, mo- dificando una finestra per ricavarne la porta. Il ponte è costruito principalmente in legno, con un parapetto minimale in ferro e corrimano ligneo: un arco tesissimo che riesce a superare mira- bilmente il delicato tema della differenza di quota. I disegni con- servati dalla Fondazione su questo tema sono numerosissimi, ma chissà quanti altri ne avrà fatti Scarpa, che, in contrasto con la

183 AREA C ARLO S CARPA

cura maniacale che usava nello scegliere la carta da disegno, era solito usare per i suoi schizzi qualsiasi supporto gli capitasse sotto mano, compresi i pacchetti delle sue adorate Muratti. La sala a cui si accede varcando il ponte è caratterizzata dal pavi- mento in marmo policromo, che entra in risonanza con il soffitto in stucco rosso lucido tirato a spatola. La luce entra prepotentemente attraverso le cancellate sul canale, poste a sostituzione dell’antica porta d’acqua, indugiando sulla pavimentazione in lastre di pietra d’Istria e sulla tessitura delle pareti in mattoni. La cerniera tra l’atrio sul canale e la sala in- titolata a Gino Luzzatto, già rettore dell’Università di Venezia e presidente della Fondazione dal 1950 al 1964, è rappresentata dall’involucro in cristallo e pietra d’Istria, impreziosito da un mo- tivo a foglia d’oro, che riveste l’elemento del termosifone. Scarpa risponde così ad una questione funzionale con l’immissione di un elemento plastico. La sala Luzzatto rappresenta un’attenta rilettura del portego, che relazionava il cortile interno con il canale. L’effetto prospettico suggerito dai profili in ottone, appositamente predisposti per le esposizioni temporanee, e dalle grandi lastre di rivestimento in travertino delle pareti, è bilanciato dalle paraste luminose in vetro opacizzato e dalla partizione del pavimento in lastre di calcestruz- zo lavato, scandite da una maglia modulare in pietra d’Istria. Vi è una fortissima continuità organica tra i molteplici elementi che compongono la spazialità della sala, tanto che anche la por- ticina laterale è appena percepibile in quanto a sua volta lastra in travertino, incernierato a scomparsa. La porta chiusa disegna una S, che ci fa pensare a una discreta firma dell’architetto. Una parete-porta in cristallo separa virtualmente il portego dal piccolo giardino, che conclude la visione prospettica assumendo il significato di un’estensione naturale della sala. Scarpa organizza questo spazio verde, delimitato da un alto muro pagine precedenti: Carlo Scarpa Carlo Scarpa, Atrio e “Fondamenta” “Fondamenta”, particolare 185 Carlo Scarpa Carlo Scarpa AREA C ARLO S CARPA “Edicola” copricalorifero Aula Luzzatto, particolare

perimetrale, come uno dei momenti fondamentali del suo proget- to di restauro. Il prato, contenuto da un muretto in calcestruzzo, si presenta so- praelevato rispetto al livello della sala Luzzatto ed è attraversato da un canale d’acqua che, partendo da una labirintica scultura in marmo, scorre sino a scendere in un gocciolatoio di pietra d’Istria posto sotto una vera da pozzo, usata come elemento decorati- vo. Sulla sinistra, adiacente il muro in calcestruzzo che separa il giardino dal cortile, decorato con il mosaico di Mario De Luigi, colloca una vasca d’acqua in tessere vitree e cemento, all’interno della quale ne pone una seconda di rame. Le specie botaniche se- lezionate dallo stesso architetto, e negli anni ripristinate, sono da considerarsi veri e propri materiali costitutivi del progetto. (TB)

Carlo Scarpa Carlo Scarpa Aula Luzzatto, particolare Giardino, particolare 187 AREA C ARLO S CARPA

Carlo Scarpa Giardino, particolari 189 191 Pagina precedente: Mario Botta Mario Botta Auditorium G. Piamonte, Mario Botta Auditorium G. Piamonte Particolare 193 Auditorium G. Piamonte I servizi: caffetteria e bookshop 195 Restauri e benefattori dal 1980

Per i restauri si ringraziano:

Amici della Querini Stampalia Associazione Amici dei Musei e Monumenti Veneziani Banca Intesa Banco San Marco Mina Bianchi Cassa di Risparmio di Venezia Comitato francese per la Salvaguardia di Venezia (Solange Gaussen) Fondazione Ercole Varzi Istituto Veneto di Scienze Lettere ed Arti Magazzini Le Printemps, Parigi Ministero per i Beni e le Attività Culturali,Soprintendenza per i Beni Architettonici e Paesaggistici di Venezia e Laguna Presidenza del Consiglio dei Ministri Regione del Veneto Save Italian Art Soprintendenza per i Beni Artistici e Storici di Venezia Committee International Fund for Monuments, Inc.

Per le donazioni si ringraziano: lo straordinario numero di persone che hanno permesso la costituzione del fondo di arte contemporanea “Giuseppe Mazzariol”

Ambasciata indiana a Roma Margherita Andreu Stefano Arienti Loredana Balboni Carla Bernardi Carlo Dalla Zorza Vivian Albert Daniels Eredi Da Venezia Eredi De Giudici Eugenio Da Venezia Nulla Romanidi Dazzi e Carlo Dazzi Elisabetta Di Maggio Josef Albers Foundation Galleria Michela Rizzo Joseph Kosuth Paola Levi Costantina e Franca Mariuzzo Margherita Galante Menini Maria Morganti

197 Indice dei nomi

Renato Padoan A Cassana, Giovanni Francesco 89 Giannina Piamonte Adéagbo, Georges 25 Cassana, Nicolò 21, 89, 92 Sofia Postai Alessandri, Angelo 35 Cassetti, Giacomo 33, 44-45 Remo Salvadori Amigoni, Jacopo 137 Castelli, Bernardino 145 Giovanni Sarpellon Antonibon Manifattura di 167 Castelli, Giuseppe 14, 43, 45, 156-158 Mariateresa Sartori Arienti, Stefano 25 Castelli, Pietro 14, 43, 45, 156-158 Maria Vittoria Querini Scelsi Catarino 58-60 Mario Stefani B Catena, Vincenzo 61, 65-66 Armando Tonello Barbari, Jacopo de’ 33 il Cavalier Tempesta, Pieter Mulier 101 Italo Valenti Barbarigo, famiglia 79 Cedini, Costantino 163 Alberta Viola Barbarigo, Gregorio 81 Ceresa, Carlo 151 Barbieri, Giovanni Francesco, v. Guercino Cervelli, Federico 122-125 Bassano, Jacopo 25, 65 Cesarotti, Melchiorre 27 Bella, Gabriel 23, 33, 112-116, 118-121 Cherea, Francesco 158 Per l’allestimento del Museo si ringraziano: Bellini, Giovanni 50-57 Ciardi, Guglielmo 109, 111 Bellini, Jacopo 55 Coducci, Mauro 12 Banco Popolare – gruppo bancario Bellini, Nicolosia 55 Contarini Querini, Caterina 137 Cassa di Risparmio di Venezia Berenson, Bernard 53 Contarini, Giulio 97 Sonia Guetta Finzi Berlino Manifattura di 107, 165 Conti, Antonio 22 Jesurum Bernini, Gian Lorenzo 25 Cooper, Albert 85 Mario Levi Morenos Bertaldo, miniatore 137 Copenaghen Manifattura di 165 Marisa Nardini Bertola, Chiara 41 Correr, Piero 97 Giampaolo Nason Bison, Bernardino Giuseppe 14, 43 Cozzi Manifattura di 107 Pauly & C.V.M. Blaeu, Willem 46-47 Crespi, Giuseppe Maria 131 Presidenza del Consiglio dei Ministri Boizot, Louis-Simon 165 Rubelli S.p.a. Bolckman Peeter 100-101 D Leonardo Trevisan Boldù, Roberto 33 Dagoty Manifattura di 107 Bombelli, Sebastiano 21, 86-89, Dazzi, Manlio 29, 36-37 141-142, 145 Della Vecchia, Pietro 135-136 Bonaparte, Letizia, v. De Luigi, Mario 187 Ramolino Bonaparte, Letizia Di Maggio, Elisabetta 25, 102-103 Bordiga, Giovanni 35-36, 109-110 Dinastia Qing 153 Botta, Mario 15, 18, 190-193 Donà delle Rose, famiglia 79 Boulle, Charles André 91 Dolfin, Daniele IV 149, 152 Briati, Giuseppe 47 Dolfin, Daniele I 151 Brustolon, Giambattista 115, 121 Dolfin Lippomano, Cecilia 149 Busetto, Giorgio 15, 30 Donato 58-60

C E Caccavale, Giuseppe 24-25 Essen, Hans van 135, 138 Canal, Antonio, v. Canaletto Canaletto, Antonio Canal detto Canaletto F 101, 115, 121, 127 Fabris, Michele detto l’Ongaro v. Ongaro, Canova, Antonio 96-97 Michele Fabris detto l’ Carlini, Giulio 33 Fabris, Placido 55 Carriera, Rosalba 137 Falconet, Étienne-Maurice 165

199 Federico Cristiano, elettore di Sassonia 97 Longhi, Pietro 22, 33, 74, 76-83, 130-131 O Querini, Zuanne 11 Federico II, re di Prussia 27 Lorenzetti, Giulio 35, 137 Ongaro, Michele Fabris detto l’ 21, 33, Querini Zuanne Antonio 13-14, 129-130 Federico IV, re di Danimarca e Norvegia 152 Lorenzo di Credi 131, 133 44-45 Querini, Zuanne Carlo 12, 22, 85, 149 Ferdinando III, imperatore del Sacro Romano Lucetti, Giambattista 33 Ovidio 175 Querini, Zuanfrancesco 13 Impero 151 Ludwigsburg Manifattura di 165 Querini Stampalia, Alvise Maria 11, Ferniani Manifattura di 106 Luigi XVI, re di Francia 165 P 13, 23, 27, 43, 127, 129-131, 163, 167 Forabosco, Girolamo 90-91 Luti, Benedetto 141 Padoan, Renato 105 Querini Stampalia, Andrea Maria 145 Foscarini, Marco doge 22 Luzzatto, Gino 14, 185 Padoan, Romano 105 Querini Stampalia, Giovanni 10-12, 14, Fra Galgario, Ghislandi Vittore detto 89 Palladio, Andrea 151 23, 28-29, 33, 36, 41, 43, 95, 97, 149 Fratelli Darte Manifattura di 107 M Palma il Giovane, Jacopo Negretti detto Querini Stampalia, Gerolamo Ludovico Maffei, Francesco 173, 178 33, 64, 68-71 127, 145-146 G Manfredini, Luigi 153-154 Palma il Vecchio, Jacopo Negretti detto Querini Stampalia Polcastro, Caterina 95 Gemin, Mario 41 Mann, Thomas 139 13, 19, 21, 59-61, 64, 71, 159-161 Querini Valier, Elisabetta 21, 89, 92 Ghislandi, Vittore, v. Fra Galgario Mantegna, Andrea 53-55 Paolo Veneziano 59 Giachino, Anna Maria 139 Maria Antonietta, regina di Francia 165 65, 73 R Giambono Michele 59-60 Maria Leopoldina, arciduchessa d’Austria Parmigianino 69 Raffaello Sanzio 69 Giannetti, Raffaele 33 151 Pasini Alberto 109-110 Ramolino Bonaparte, Letizia 96-97 Giordano, Luca 91, 173, 175, 178 Marieschi, Michele 127 Pasquetti, Fortunato 145-146 Reni, Guido 153 Giorgione 59, 61 Marin, Marianna 33 Pastor, Valeriano 15, 18-19 Rembrandt 91 Giustinian famiglia 23 Marinali, Orazio 21, 45 Pelliccioli, Mauro 57 Ribera, Giuseppe, v. Spagnoletto Gobbetto, Walter 19 Mazzariol, Giuseppe 14-15, 30 Perosa, Leonardo 29 Ricci, Marco 41, 91, 126-127 Goldoni, Carlo 22, 83 Meissen Manifattura di 96-97, 105-106, 165 Pitati, Bonifacio de’ 13, 61 Ricci, Sebastiano 22, 89, 91, 171-174 Gotha Manifattura di 107 Medardo Rosso v. Rosso, Medardo Plinio il Vecchio 173 Rossi, Davide 14 Gradenigo, Pietro doge 11 Medulich, Andrea v. Schiavone lo Polcastro, Gerolamo 95 Rossi, Luigi 33 Guarana, Jacopo 14, 43-45, 73, 129, Milesi, Alessandro 107-109 Polidoro di Mastro Renzo da Lanciano Rosso, Medardo 109-110 131-132, 141, 148-149, 151, 163, 171 Milone da Crotone 173 61-65 Rubens, Pieter Paul 65, 91 Guarana, Vincenzo 14 Mocenigo, Alvise 97 Pordenone il 69 Ruschi, Francesco 125 Guardi, Francesco 127 Moia, Federico 33 Poussin 131 Ruskin, John 19 Molenaer, Bartholomeus 137 Priuli, Francesco 159 Ruysch, Rachel 135 I Monico, Jacopo, patriarca dal 1827 al 1851 Priuli Querini, Paola 19, 159-160 Innocenti, Camillo 104-105, 107 14, 153 S Montesquieu, Charles Louis de 22 Q Sagredo, Agostino 33 J Morandi Padoan, Ada 105 Querini, Andrea Domenico 14, 22-23, Salvadori Remo 24-25 Jappelli, Giuseppe 37, 94-96 Morganti, Maria 25 27, 79, 83, 85, 97, 113, 131 Sansovino, Jacopo Tatti detto il 151 Moschini, Vittorio 37 Querini, Angelo Maria (n. Gerolamo Sanudo, Marin 158 K Mulier, Pieter, v. il Cavalier Tempesta Guerrino) 12, 22, 27, 44-45, 141-143, 145 Sartori, Domenico 14, 43 Kaiser, Martinus 83-85 Querini, Cecilia 85 Sartori, Giovanni Battista 97 Kändler, Johann Joachim 105 N Querini, Francesco 12, 19, 21, 61, 158, 161 Sartori, Mariateresa 25 Kosuth, Joseph 19-20, 22 Namias, Giacinto 33 Querini Francesco Melchiorre 45 Scardona, Rosa da 65 Napoleone I, imperatore 97 Querini, Gerolamo Domenico 21-22, 47, Scarpa, Carlo 14-18, 53, 180-189 L Nazari, Bartolomeo 141-143, 145 86-87, 89, 141-142 Schiavone, Andrea Medulich detto lo Liberi, Pietro 175-176 Negretti, Jacopo, v. Palma il Giovane Querini, Marco 11 65, 69-70 Lippomano Querini Stampalia, Maria Teresa Negretti, Jacopo, v. Palma il Vecchio Querini, Nicolò 12 Schlaggenwald Manifattura di 107 13, 43, 129 Newton, Charles 22 Querini, Polo Marco 21-22, 47, 87-89 Scrinzi, Angelo 35 Longhena, Baldassarre 151 Nogari, Giuseppe 137-139 Querini, Zanachi v. Querini, Zuanne Segarizzi, Arnaldo 27, 29 Longhi, Alessandro 137 Nove Manifattura di 167 Querini, Zuan Francesco 22, 149 Selvatico, Lino 109-110

201 Bibliografia essenziale

Sèvres Manifattura di 105-106, 162-169 Carlo Scarpa alla Querini Stampalia. Disegni Fondazione scientifica Querini Stampalia, Solari, Antonio 14, 43 inediti, a cura di M. Mazza, Venezia, Catalogo della pinacoteca della Fondazione Spagnoletto, Giuseppe Ribera detto 91 Il Cardo, 1996 scientifica Querini Stampalia, a cura di Spinell 139 M. Dazzi e E. Merkel, prefazione di Stom, Antonio 97-99 Carlo Scarpa: l’opera e la sua conservazione. R. Pallucchini, Vicenza, Neri Pozza, 1979 Strozzi, Bernardo 64-65, 89 Giornate di studio alla Fondazione Querini Sweerts, Michael 136-137 Stampalia, I.1998/III.2000, a cura di Fondazione scientifica Querini Stampalia, M. Manzelle, Milano, Skira, 2002 Il libro dei Querini nel Settecento, nota introduttiva, catalogo e appendice documentaria a cura di T Carlo Scarpa: l’opera e la sua conservazione. Tatti, Jacopo detto il Sansovino v. Sansovino G. Busetto, Venezia, Fondazione scientifica Giornate di studio alla Fondazione Querini Querini Stampalia, 1973 Tiepolo, Bajamonte 11 Stampalia, VII.2004, a cura di M. Manzelle, Tiepolo, Giambattista 149-151 Mendrisio, Mendrisio Academy press, 2005 Fondazione scientifica Querini Stampalia, Tintoretto 65, 71, 73, 91 La Presentazione di Gesù al Tempio di Giovanni Tintoretto, Jacopo v. Tintoretto Cento scene di vita veneziana. Pietro Longhi Bellini, [testi B. Trevisan, Venezia, Tononi, Carlo 83, 85 e Gabriel Bella alla Querini Stampalia, a cura di Fondazione Querini Stampalia, 2007] Trevisani, Francesco 141 G. Busetto, Venezia Fondazione scientifica Trincanato, Egle Renata 15 Querini Stampalia, 1995 Giuseppe Mazzariol: 50 artisti a Venezia, a cura Tron, Chiara 22 di C. Bertola, Milano, Electa, 1992 Dei ed eroi del Barocco veneziano. Dal Padovanino U a Luca Giordano e Sebastiano Ricci, a cura di Mario Botta. Luce e gravità. Architetture 1993- Uberti, Pietro 149 G. Busetto, Catania, Maimone, 2004 2003, a cura di G. Cappellato, Bologna, Compositori, 2003 Ungher, Gustavo Adolfo 29 Donazione Eugenio Da Venezia. Le recenti acquisizioni, a cura di E. Dal Carlo, Venezia, Nella casa di un uomo prudente. Carlo Goldoni V Fondazione scientifica Querini Stampalia, in visita alla famiglia Querini, a cura di Valier, Silvestro 21, 89, 92 1994 M. Lazzari, Venezia, Fondazione scientifica Vaugondy, Gilles Robert de 157-159 Querini Stampalia, 1993 Vecellio, Marco 21, 65, 67 Eugenio Da Venezia. La donazione alla Querini Vecellio, Tiziano 65, 73, 91, 159 Stampalia, Milano, Electa, 1990 Le porcellane dei Querini Stampalia, a cura di Venini S.p.A. 183 E. Dal Carlo, [Venezia], Fondazione Verrocchio, Andrea 133 A. Fancello, Per un profilo di Giovanni Querini Querini Stampalia, 2002 Vezzi Manifattura di 166-167 Stampalia. Tesi di laurea, relatore Vianello, Girolamo 14, 43 G. Pizzamiglio, [S.l., s.n., 2003] Le porcellane dell’ambasciatore, a cura di E. Dal Carlo, Venezia, Arsenale, 1998 Vienna Manifattura di 107, 167 Fondazione scientifica Querini Stampalia, Vincennes-Sèvres Manifattura di 163 Archivio privato della famiglia Querini Stampalia. I Querini Stampalia. Un ritratto di famiglia Viviani, Luigi 33 Inventario, a cura di D. V. Carini Venturini, nel settecento veneziano, a cura di G. Busetto, Voltaire 22, 27 R. Zago, Venezia, Fondazione scientifica M. Gambier, Venezia, Fondazione scientifica Querini Stampalia, 1987 Querini Stampalia, 1987 Z Zais, Giuseppe 127 Fondazione scientifica Querini Stampalia, Valeriano Pastor alla Querini Stampalia, a cura Zuccarelli, Francesco 127 Gli arredi della Fondazione Querini Stampalia, di M. Michelotto Pastor, L. Taddei, [scritti Zugno, Francesco 151 [testi E. Dal Carlo, Venezia, Fondazione di M. Folin…et al.], Padova, Il Poligrafo, Zurigo Manifattura di 165 Querini Stampalia, 2005] 2000 Fondazione scientifica Querini Stampalia, Catalogo del fondo cartografico queriniano, a cura di G. Mazzariol, Venezia, Lombroso, 1959

203 Finito di stampare nel mese di gennaio 2010 nello stabilimento delle Grafiche Vianello Ponzano, Treviso