Tradizione E Innovazione Nella Raffigurazione Di Divinità in Seneca Tragico
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UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI FIRENZE FACOLTA’ DI LETTERE E FILOSOFIA Dipartimento di Scienze dell’Antichità “G. Pasquali” Dottorato di ricerca in Filologia greca e latina XXII ciclo Anno Accademico 2008-2009 L-FIL-LET/04 Tradizione e innovazione nella raffigurazione di divinità in Seneca tragico Candidata Dott.ssa Federica Scalzo Relatrice Chiar.ma Prof.ssa Rita Degl’Innocenti Pierini Coordinatrice Chiar.ma Prof.ssa Rita Degl’Innocenti Pierini Alla cara memoria del prof. Giovanni D’Anna e della prof.ssa Maria Teresa Camilloni Indice Introduzione p. 1 La figura del dio Sole nell’Hercules furens e nella Medea I. La divinità del Sole fonte di luce e di vita p. 5 II. I regni della morte: spatia ignota Phoebo p. 15 III. Armonia cosmica e luminosa bellezza nella preghiera di Ercole al Sole p. 25 IV. Una nobile discendente del Sole: Medea p. 35 V. La preghiera di Medea al suo genitor celeste p. 48 VI. La luce ed il potere del dio Sole nelle mani di Medea p. 63 Il volto suadente e irresistibile della divinità dell’Amore I. L’inno a Venere nel primo coro della Phaedra p. 82 II. La dea nata dal mare p. 87 III. Il sovrano potere di Venere p. 93 IV. Eredità della poesia di Meleagro nel sorriso di Cupido p. 101 Le Laudes Bacchi : un ritratto di divina e ridente maestà I. La figura di Bacco nell’ Oedipus di Seneca p. 113 II. La divina bellezza serenatrice p. 120 III. Il meraviglioso potere del dio Bacco p. 136 Conclusioni p. 149 Bibliografia p. 151 Introduzione Sulla scena del teatro di Seneca autentico protagonista delle vicende tragiche si svela essere il cuore umano, un cuore sapientemente dipinto dal pennello del poeta nei suoi patimenti e nelle sue titaniche aspirazioni, nei suoi slanci e nei suoi turbamenti, nei suoi orgogliosi aneliti e nella sua disperata solitudine. È nelle fibre più intime dell’umana natura che il tragediografo Seneca riconosce la potenza dirompente all’origine dell’evento drammatico ed è nell’interiorità dell’essere mortale che egli addita i germi del male capace di trascinare vorticoso alla rovina od illumina la coscienza lacerante del delitto che ispira desideri profondi di redenzione. Non la volontà sorda di una divinità guida l’agire ed il soffrire umano, non i disegni di una mente divina ispirano ed orientano le passioni delle creature mortali, ma una realtà tutta terrena, segnata dalle leggi proprie del cuore e della psiche degli uomini, ed essa sola appare essere vera protagonista del mondo tragico senecano1. Discostandosi dalle atmosfere del teatro attico, ove nucleo fondamentale delle vicende drammatiche è il rapporto tra la dimensione umana e l’essenza divina, Seneca, come ha illustrato con felice immagine il Paratore, “ha compiuto il miracolo di trasferire la tragedia dal cielo sulla terra, dalla religiosa trascendenza al nudo dato passionale” 2. Egli non ci fa levare gli occhi al cielo, non ci fa volgere lo sguardo verso le entità divine inondandoci della luce di una fede ardente quale fu quella di Eschilo, o lasciandoci rifugiare in una fede rassegnata ma pur rasserenatrice come quella di Sofocle, o turbandoci con gli interrogativi insoluti di una religiosità tormentata quale fu quella di Euripide. Le tragedie di Seneca sono tragedie dell’anima 3. 1 Sulla centralità della figura umana e delle sue passioni nelle tragedie di Seneca ampi e preziosi sono gli studi di Paratore 1956 a, p. XXIII sgg., 1957, p. 68 sgg., 1981, p. 46, 2005, p. 282 sgg. Accanto ad essi meritano di essere ricordati anche gli studi di Marcosignori 1960, p. 223 sgg. e Solimano 1987, p. 83 sgg. 2 Paratore 1956 a, p. XXIII. 3 Sulla religiosità nelle tragedie di Seneca, ed in particolare sul rapporto tra l’afflato del pensiero filosofico stoico presente nelle opere in prosa ed il mondo religioso delle opere drammatiche, varie 1 L’interiorità umana è il luogo in cui vivono e si manifestano le forze che determinano le scelte e le azioni dei personaggi dei drammi senecani, le forze del logos e dell’ alogon , le forze che spingono l’animo ad ergersi titanicamente sulle passioni e quelle che gli impongono di cedere irrimediabilmente ad esse. Così dall’uomo dipende, e da lui solo, la possibilità di inabissarsi nelle oscurità infernali di passioni travolgenti e suscitare una realtà mostruosa in cui vuoti e bui sono i cieli e la terra si popola di Furie e di spettri avernali 4, o la possibilità di elevarsi lungo la strada che conduce alla virtù e rivelare quanto di divinamente buono vi è in sé 5. I personaggi umani, con la loro grandiosa centralità sulla scena, con l’immagine corposa e vivida del loro sentire e del loro soffrire sono certamente le figure che sempre hanno maggiormente affascinato ed impegnato la critica senecana; ed essa ha preferito invece lasciare in secondo piano l’indagine sulle figure divine, pur presenti nei drammi, in quanto esse appaiono immagini depauperate della potenza e dei ruoli che erano loro propri nella tragedia greca e sembrano comparire come parvenze scenografiche, svuotate del loro antico valore, scelte in ossequio alla tradizione del genere drammatico. sono state le opinioni della critica. La tragedia senecana è stata letta come “tragedia stoica”, opera poetica in cui si riflettono e trovano esemplificazione le idee filosofiche dell’autore, da Birt 1911 ed Egermann 1940, e le tesi di quest’ultimo sono state riprese da Knoche 1941 e Marti 1945; il Dingel 1974, invece, con visione completamente divergente, riconosce nei drammi del nostro autore la “poetica negazione del pensiero stoico”. In un recente studio del 2008 Fischer, facendo proprie intuizioni già espresse da Narducci 2002, tenta di risolvere l’apparente contraddizione avvertibile tra la sconfortante negatività del mondo tragico senecano e le pagine vibranti di fiducioso e sincero abbandono alla volontà e alla guida divina del filosofo, riconoscendo in essa il portato di una contraddizione presente già nella stessa filosofia stoica. Più condivisibile mi sembra essere tuttavia la posizione equilibrata e conciliante espressa dalla Solimano 1987, la quale, riconoscendo alla poesia senecana il suo statuto di opera drammatica, rintraccia in essa, espressa con i toni ed i modi propri del genere, “la stessa religiosità di fondo che si manifesta nelle cosiddette opere filosofiche”. 4 Sulle apparizioni di ombre infere e paurose Furie nel teatro di Seneca, proiezioni dei mostri che albergano nel cuore umano, e sull’influenza importante che il motivo avrà nel teatro elisabettiano, cfr. Paratore 1956 a, p. XI sgg., 2005, p. 273, Petrone 1984, pp. 16, 43 sgg. 5 L’uomo senecano può imporsi come gigantesco genio del male e, turpe artefice del nefas , sostituirsi agli dei del cielo (così sono ritratti Medea ed Atreo), o può mostrarsi capace di accostarsi alle altezze di un’autentica divinità quando sappia offrirsi come modello di fortezza e di sopportazione (così appare Ercole nel furens ed Edipo, che accetta la propria sorte nelle Phoenissae ). Sul tema cfr. Giancotti 1953, pp. 65-67, Paduano 1974, pp. 18-20, Solimano 1987, pp. 86-87, Scalzo 2002-2003, pp. 134-139. 2 Eppure, sebbene il loro intervento nelle vicende umane risulti ridotto rispetto ai modelli del teatro attico, le divinità del mondo tragico senecano non sono trascurate dal pennello del poeta, che su di loro si sofferma ritraendole in ampi affreschi o disegnandole con sottili contorni, ed esse appaiono, così, figure minori e lontane nelle trame drammatiche, ma non sbiadite. E proprio sulle immagini divine presenti nel teatro di Seneca, su alcune peculiari immagini, poco studiate o solo sfiorate dall’attenzione della critica, ho voluto rivolgere la mia ricerca, per offrire nuove e più approfondite letture interpretative delle loro raffigurazioni e gustare pienamente il valore delle scelte poetiche del drammaturgo. La mia indagine si propone, così, di riconoscere con quali tocchi e cromatismi il poeta dipinge i suoi personaggi divini, e viene condotta volgendo lo sguardo alle eredità che il tragediografo recupera dai modelli poetici greci e latini, ed insieme svelando i modi in cui egli sceglie di arricchire e rinnovare figure e temi ripresi dal passato. Gli dei senecani sui quali si è focalizzata la mia attenzione, ispirata dalla ricchezza immaginifica e dalla particolare cura dei dettagli con cui essi appaiono ritratti, sono il Sole, candida figura di divinità della luce e della vita, Venere e Cupido, divinità dell’amore dai volti suadenti ed insieme terribili, e infine Bacco, dio dalla radiosa bellezza e sovrano della natura dal meraviglioso potere. Il disegno di luminosa armonia che appartiene alla raffigurazione senecana del dio Sole, signore del tempo e padre dell’universo ordinato, offre un attraente materiale di indagine, che permette di mostrare in che modo l’autore sappia dilatare e superare gli spunti ripresi dai suoi modelli letterari, e riesca a plasmarli con l’apporto del pensiero filosofico stoico in quadri di squisita resa poetica. E similmente l’analisi di peculiari sfumature con cui sono dipinte le figure di Venere e di Cupido pone in luce come si intreccino nella pagina senecana eredità poetiche greche e latine ed echi della produzione filosofica dell’autore e come elementi tratti dal linguaggio sacrale romano convivano con suggestioni provenienti dalla poesia d’amore ellenistica. Il ritratto del dio Bacco, creato da Seneca con grande freschezza pittorica, poi, offre un ampio campo d’analisi che lascia emergere come il tragediografo sappia arricchire e ridisegnare con gusto originale e nuovo i 3 sacri attributi ed i caratteri tradizionali della rappresentazione della divinità, desideroso di porre in particolare rilievo gli aspetti miracolosi e ridenti del potere del dio. Nel mio studio sulle raffigurazioni del divino uno spazio privilegiato d’analisi è riservato alle preghiere e agli inni intonati dalla voce dei cori e dei personaggi senecani 6, in quanto essi offrono un materiale d’indagine particolarmente prezioso per la ricchezza di dettagli ed il nitore d’immagine con cui le figure delle divinità appaiono dipinte, nel chiarore dei loro luminosi aspetti o nelle ombre dei loro volti inclementi.