Le Professioni Musicali A.A

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Le Professioni Musicali A.A Le professioni musicali a.a. 2017-2018 Il cantante Premessa …ma perché di soprano ho detto essere malamente adoperati quei lunghi giri di vo- ci, è d’avvertire che i passaggi non sono stati ritrovati perché siano necessari alla buona maniera di cantare, ma credo io più tosto per una certa titillazione à gli o- recchi di quelli che meno intendono che cosa sia cantare con affetto, che se ciò sa- pessero indebitamente i passaggi sarebbe abborriti, non essendo cosa più contrario di loro all’arte… Scriveva così nella Prefazione alla sua raccolta intitolata Le nuove musiche Giulio Caccini (1602). In pratica, l’autore invitava i cantanti a non mirare solo al “titillamento” delle orecchie dell'ascoltatore mediante una lettura tecnicamente corretta e generosa di trilli e passaggi, ma puntare sull'emotività. Nasceva, in- somma, la figura dell'“interprete”: … il fine del musico, cioè, dilettare e muovere l’affetto dell’animo. La raccolta di Caccini seguì di due anni la nascita ufficiale dell’opera (Euridice di Peri, Firenze, 1600). E possiamo considerare quell’evento lo spartiacque fonda- mentale nella storia della figura del cantante. Un prima in cui il cantante era “cantore”; e un dopo in cui il cantante diventò un divo e un “interprete”. Il Cantore dalle Chiese alle Corti La voce ha costituito, come è noto, il primo strumento “musicale” usato dall’uomo per comunicare. Molti studiosi ritengono che il canto sia nato appunto come mezzo per lanciare messaggi a distanza o per implorare le divinità e ottenerne i favori. Già all’inizio della storia umana, dunque, il canto ha avuto una valenza “sacra”, per certi versi, anche incantatoria. Basta pensare, nella mitologia greca, al canto di Orfeo. I cantori nelle antiche civiltà erano preposti ai culti sacri oppure partecipavano a manifestazioni laiche. In particolare in Grecia si sviluppò uno studio sulla tecnica vocale rivolta soprat- tutto alle voci maschili classificate in netoidi (le più acute, adatte al canto virtuo- sistico), mesoidi (di registro centrale, usate nel canto popolare) e ipatoidi (le più gravi, impiegate dagli attori delle tragedie). La tecnica vocale greca fu poi assimilata dai Romani. Nell'Antichità e nel Medioevo il cantor, detto anche psalmista, era il termine ge- nerico che designava un cantante di musica sacra o profana (in greco, psaltēs). Il canto gregoriano, riservato a esecutori di sesso maschile, impiegò in funzione solistica voci che per la tessitura e l’estensione (alquanto ristretta) potrebbero es- sere definite come di tenore baritonale. Si raccomandava allora ai cantori di usa- re la voce piena ma di evitare esibizionismi e istrionismi. Filiazioni del canto liturgico sono considerati i canti goliardici dei clerici vagantes e i canti trovadorici. I trovatori erano essenzialmente poeti e cantautori, la loro formazione era più di carattere letterario e musicale (compositivo) che tecnico- vocale. 65 Le professioni musicali a.a. 2017-2018 D’altra parte il termine cantor ebbe spesso nel Medioevo il significato di teorico della musica e di compositore. Nel secondo Quattrocento, Johannes Tinctoris definì semplicemente il cantore: Cantor est qui cantum voce modulatur1. Ma proprio nel Quattrocento le difficoltà insite nella nuova polifonia contrappun- tistica fiamminga impose una svolta professionale nel campo vocale che già nel Trecento cominciava a richiedere una formazione tecnica più attenta e mirata. Alla preparazione musicale erano dunque preposte le cappelle delle basiliche, del- le cattedrali e delle grandi corti. Fra i maggiori centri dell’epoca si segnala Cam- brai, fiorente città la cui cattedrale, dall’acustica straordinaria, si impose come una delle più prestigiose culle della nuova musica, pronta ad accogliere artisti del valore di Dufay, Obrecht, Compère, tanto per citare qualche nome. Nelle cappelle si formavano i cantori professionisti ormai resi necessari per l’esecuzione di un repertorio sacro sempre più complesso. I cantori erano guidati da un maestro di cappella che normalmente era un compositore. E in quelle rigorose e moderne cappelle del nord iniziarono la loro preparazione i futuri maestri fiamminghi. Vi entravano come pueri cantores, poi, cresciuti, completavano la loro formazione nelle università; e quando ne uscivano erano assegnati a una cattedrale o a una cappella signorile dove svolgevano, accanto a quella di musicisti, anche mansioni o di dignitari ecclesiastici o di diplomatici. Erano, dunque, umanisti nel senso più completo del termine, figure di alta cultura e preparazione. Erano, comunque, so- prattutto professionisti della musica. Se fino a quel momento il comporre aveva per molti rappresentato un’attività collaterale, rispetto al servizio quotidiano co- me canonici, cappellani, monaci o altro, ora l’attività creativa diventava centrale, anche se ancora affiancata da altri eventuali incarichi. Il polifonismo introdusse nella musica sacra il canto fiorito (ornato) e “passeggia- to” (basato cioè su passaggi vocalizzanti) in opposizione alò canto fermo o piano del gregoriano. Tali stili si imposero nei mottetti e nei madrigali del Cinquecento, epoca nella quale i cantori cominciavano a improvvisare, dando il via al “virtuosi- smo” contrassegnato dalla denominazione di “canto di gorgia” (gorgheggiato) e di “Canto colorito (da cui “coloratura”: passi di agilità). Tutto questo portò ad approfondire la tecnica vocale e di ciò si ha conferma ion diverse pubblicazioni del tempo su questo argomento. Proprio nel Cinquecento si arrivò alla classificazione delle voci: soprani, controtenori, alti o contralti, tenori, bassi, mezzosoprani, baritoni In realtà tale classificazione si riferiva solo agli uomini in quanto alle donne era vietato il canto sacro. Gli uomini dunque cantavano con la voce naturale o in fal- setto per imitare le voci bianche o quelle femminili. Nella seconda metà del Cinquecento si incontrano i primi cantanti celebri, la cui fama è legata soprattutto all’abilità nel canto gorgheggiato che comporta come di- 1 «Cantore è colui che intona il canto con la voce». 66 Le professioni musicali a.a. 2017-2018 chiarato da Ludovico Zacconi (Prattica di musica, 1592) “petto e gola”, ovvero re- sistenza polmonare e duttilità di emissione. Ferrara – Il concerto delle Dame Il Concerto delle Dame fu un gruppo di cantanti professioniste attivo nel tardo Rinascimento italiano presso la corte degli Estensi a Ferrara, rinomato per la sua tecnica e il virtuosismo. L'ensemble venne fondato da Alfonso II d'Este nel 1580 e fu attivo fino al dissolvimento della corte nel 1597. Il complesso nacque da un gruppo amatoriale di cortigiani che si erano esibiti su iniziativa del Duca già nel 1570. L'ensemble si evolse poi in un gruppo, tutto al femminile, di musiciste professioniste, chiamato Concerto delle Dame, che ese- guiva concerti per i membri della corte ed i loro ospiti. Il loro stile di canto molto ornato, diede lustro a Ferrara e ispirò molti compositori del tempo. Il Concerto delle Dame rivoluzionò il ruolo delle donne nella musica professionistica e raffor- zò la tradizione della corte degli estensi come centro musicale. La fama del grup- po si diffuse presto in tutta la penisola italiana, ispirando imitazioni presso le corti dei Medici e de-gli Orsini. Il gruppo originario era costituito da cantanti dilettanti appartenenti ai compo- nenti la corte, sia pure con caratteristiche di alta qualità vocale: le sorelle Lucre- zia e Isabella Bendidio, Leonora Sanvitale e Vittoria Bentivoglio. Ad esse si ag- giunse il basso Giulio Cesare Brancaccio, che venne scritturato dalla corte nel 1577 per la sua indiscussa abilità. Il gruppo iniziale fu attivo per diversi anni e poi gradualmente subentrarono cantanti professionisti. Il nuovo gruppo venne creato da Alfonso, in parte per il divertimento della giovane moglie, Margherita Gonzaga d'Este (aveva solo quattordici anni quando si sposarono nel 1579), e in parte per gratificare il suo interesse artistico nell'ambito della corte. Il primo con- certo del gruppo professionistico, del quale si ha notizia certa, avvenne il 20 no- vembre 1580. Dal carnevale del 1581 i concerti ebbero luogo regolarmente. Le componenti principali del gruppo furono Laura Peverara, seguita da Livia d'Arco e Anna Guarini, figlia del poeta Giovanni Battista Guarini. Giovanni scrisse dei poemi per molti dei madrigali composti per il gruppo, e creò le coreo- grafie per il balletto delle donne di Margherita Gonzaga d'Este. Del gruppo faceva parte anche la modenese Tarquinia Molza (arrivata a Ferrara nel 1583 quale dama della duchessa Margherita) che fu celebre per una scandalosa storia d’amore con il compositore fiammingo Jacques de Wert. Luzzasco Luzzaschi diresse e compose musiche eseguite poi dal gruppo, accompa- gnandolo con il clavicembalo. Le cantanti del secondo gruppo del Concerto delle dame erano ufficialmente dame di compagnia della duchessa Margherita Gonzaga d'Este, ma venivano assunte principalmente per le loro attitudini vocali. L'abilità canora della Peverara in- dusse il duca a chiedere espressamente alla moglie Margherita di portare l'arti- sta da Mantova come parte del suo seguito. Le nuove componenti del gruppo suo- navano anche degli strumenti come il liuto, l'arpa e la viola, ma puntavano le loro energie nello sviluppo del virtuosismo vocale. Le artiste cantavano fino a sei ore al giorno, a memoria, leggendo dallo spartito musicale o partecipando ai balletti come cantanti e danzatrici. Erano retribuite e godevano di altri benefici, come appartamenti nel palazzo ducale. La Peverara 67 Le professioni musicali a.a. 2017-2018 riceveva 300 scudi per anno ed era alloggiata nel palazzo ducale con suo marito e la madre, oltre ad aver ricevuto una dote di 10.000 scudi in occasione del suo ma- trimonio. Tecnicamente abili, le artiste avevano una solida preparazione nel contrappunto, erano abili improvvisatrici. Per loro scrissero i maggiori compositori che ruotavano intorno alla corte ferrare- se, da Lodovico Agostini a Gesaualdo da Venosa, da Luzzasco Luzzaschi a Jac- ques de Wert, da Luca Marenzio a Claudio Monteverdi. Il concerto delle dame trasformò il modo di fare e godere la musica a corte.
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