INGMAR BERGMAN

Parte prima - Gli anni Cinquanta

Settembre 2005 – maggio 2006

pag 1/15/ INTRODUZIONE 1 Quando si è artisti, quando si creano film, è molto importante non essere logici. Bisogna essere incoerenti. Se si è logici, la bellezza ti sfugge, scompare dalle tue opere. Dal punto di vista delle emozioni, bisogna essere illogici, è proibito non esserlo. Ma se si ha fiducia nelle proprie emozioni, allora si può essere del tutto incoerenti. Non fa nulla. Perché si ha il potere di cogliere le conseguenze delle emozioni che hai suscitato. Per sempre. (1)

Oggi ancora sento in me uno di quei brividi dell’infanzia quando penso che in realtà io faccio dell’illusionismo, perché il cinema non esiste che grazie a una imperfezione dell’occhio umano, la sua incapacità di percepire separatamente delle immagini che si susseguono rapidamente e che essenzialmente sono simili…Facendo un film mi rendo dunque colpevole di un imbroglio, mi servo di un apparecchio grazie al quale trasporto il mio pubblico, come su un’altalena, da un sentimento a quello opposto, lo faccio ridere, sorridere, gridare di spavento, credere a leggende, indignarsi, risentirsi, entusiasmarsi, eccitarsi o sbadigliare. Sono quindi un ingannatore, o – nel caso di un pubblico cosciente dell’inganno – un illusionista. Mistifico, avendo a mia disposizione il più prezioso e stupendo degli apparecchi magici che sia mai stato, nel corso della storia del mondo, in mano a un prestigiatore. C’è in questo (dovrebbe esserci, per tutti coloro che creano o sfruttano i film) la fonte di un insolubile conflitto morale. (2)

Molti registi dimenticano che il volto umano è il punto di partenza del nostro lavoro…Ne discende che l’attore è il nostro strumento più prezioso e che l’obiettivo non è che il mediatore delle reazioni di questo strumento…Dobbiamo anche ricordare che il più bel mezzo di espressione dell’attore è lo sguardo. Il primo piano obiettivamente composto, perfettamente condotto e recitato, è il mezzo più potente di cui dispone il regista per influenzare il suo pubblico. Ma è nel medesimo tempo il criterio più sicuro sulla sua competenza o sulla sua insufficienza. (2)

Ingmar Bergman da Olivier Assayas e Stig Björkman, Conversazione con Ingmar Bergman, Torino, Lindau, 1994 (1) e Tino Ranieri, Ingmar Bergman, Firenze, La Nuova Italia, 1974 (2)

pag 2/15/ PROGRAMMA Circolo del cinema Circolo del cinema Locarno Bellinzona LuganoCinema 93 Cinema Morettina Cinema Forum 1 + Cinema Iride *Sala dei congressi 2 domenica, 17.30 Muralto sabato, 18.00 lunedì, 20.30 UN’ESTATE D’AMORE 12 settembre 2005 17 settembre 18 settembre 2005 Sommarlek 1951 DONNE IN ATTESA 10 ottobre 2005 15 ottobre 16 ottobre 2005 Kvinnors väntan 1952 UNA VAMPATA D’AMORE 7 novembre 2005 12 novembre 13 novembre 2005 Gycklarnas afton 1953 UNA LEZIONE D’AMORE 12 dicembre 2005 17 dicembre 2005 18 dicembre 2005 En lektion i kärlek 1954 SORRISI DI UNA NOTTE D’ESTATE 16 gennaio 2006 21 gennaio 2006 22 gennaio 2006 Sommarnattens leende 1955 IL SETTIMO SIGILLO Det sjunde inseglet 13 febbraio* 2006 18 febbraio 2006 19 febbraio 2006 1956 IL POSTO DELLE FRAGOLE 13 marzo 2006 18 marzo 2006 19 marzo 2006 Smultronstället 1957 ALLE SOGLIE DELLA VITA 3 aprile 2006 8 aprile 2006 9 aprile 2006 Nära livet 1958 IL VOLTO 24 aprile 2006 6 maggio 2006 7 maggio 2006 Ansiktet 1958

Cineclub del Mendrisiotto Cinema Excelsior Chiasso mercoledì, 20.30

11 gennaio DONNE IN ATTESA Kvinnors väntan 1952

18 gennaio UNA VAMPATA D’AMORE Gycklarnas afton 1953

25 gennaio SORRISI DI UNA NOTTE D’ESTATE Sommarnattens leende 1955

1 febbraio IL POSTO DELLE FRAGOLE Smultronstället 1957

8 febbraio IL VOLTO Ansiktet 1958

Entrata: fr. 10.- / 8.- / 6.- Tessera per tutta la rassegna: fr. 70.- / 50.- / 40.- pag 3/15/ INTRODUZIONE 2 Per molti di quelli che oggi hanno più di cinquant’anni, Ingmar Bergman ha significato la scoperta del cinema d’autore, un cinema in grado di indagare l’animo umano e di porre interrogativi, non solo di divertire. Per i cineclub degli anni Sessanta è stato una sorta di vessillo, da sbandierare assieme a quello di Buñuel e da contrapporre al conformismo, così si pensava, del cinema americano. Olivier Assayas, già redattore dei “Cahiers du cinéma” e oggi uno dei più interessanti registi francesi, confessa nel suo libro-conversazione con Ingmar Bergman che il regista svedese è stato il cineasta della sua adolescenza, da quando aveva scoperto L’ora del lupo (1968), rimanendone ossessionato, in un cineclub di Milano all’età di sedici anni. Anche se poi, per tutti, ci sono state altre passioni cinematografiche (le varie Nouvelles Vagues principalmente), ogni nuovo film di Bergman aveva la capacità di riannodarci con l’origine stessa della nostra passione. E lo si è seguito fedelmente fin verso la fine degli anni Settanta, anzi, fino a quel suo capolavoro che è Fanny e Alexander (1981-82) e che per lui avrebbe dovuto costituire l’addio al cinema. Non era vero, evidentemente, ma un po’ si è voluto credergli e a poco a poco lo si è dimenticato. Certo, il suo nome è sempre rimasto quello di un maestro, ma il ricordo della sua opera, complice la programmazione televisiva (ma anche quella dei cinema d’essai) che l’ha ignorato per decenni , si è fatto sempre più indistinto, sfumato. Fino all’anno scorso, quando il vecchio leone ha ruggito di nuovo, dando l’impressione con Saraband di non aver mai smesso di rivoltare gli stessi temi, i rapporti coniugali in frantumi, i vincoli parentali avvelenati dalle misere meschinità che sembrano contrassegnare la natura umana. E allora a qualcuno è venuto in mente di andare a rivedere i suoi film dimenticati, a noi di proporre questa rassegna che, vista l’imponenza dell’opera bergmaniana, si protrarrà sull’arco di tre anni. Si comincia con gli anni Cinquanta, quelli che gradualmente hanno portato Bergman alla notorietà internazionale, raggiunta con Il settimo sigillo (1956) e Il posto delle fragole (1957). Impossibile, invece, tenere in considerazione gli anni precedenti, che lo vedono esordire nel 1946 con Crisi e lavorare disperatamente tra il teatro e il cinema per cercare di farsi accettare dal mondo dello spettacolo. Le copie della decina di film realizzati sul finire degli anni Quaranta sono rare e prive di sottotitoli; e d’altronde, a parere di chi le ha viste e studiate, non meritano certo di essere fatte uscire dalle cineteche svedesi, con l’eccezione, forse, di un paio di titoli (Città portuale, 1948, e soprattutto Prigione, 1949). Un’estate d’amore (1951), il film che apre la rassegna, è una rievocazione malinconica dell’adolescenza e per Bergman è il primo vero successo, che gli permetterà di dedicarsi al cinema con maggiore tranquillità, anche se prosegue parallelamente la sua attività teatrale a Malmö (Strindberg, Pirandello, Kafka), scoprendo e valorizzando quegli attori che segneranno in modo indelebile quella stagione (Gunnar Björnstrand, spesso nei panni dell’alter ego del regista, , e più tardi Max von Sydow, , … Prima de Il settimo sigillo, Bergman lavora su quelle tematiche che saranno costanti e proprie della maturità ( l’insoddisfazione femminile nei rapporti coniugali, la riflessione sul ruolo dell’artista nella società, la tentazione del suicidio) con uno stile che oscilla a seconda dei casi tra il tragico, il comico e il grottesco; e i film di quel periodo sono qui quasi tutti rappresentati, con l’eccezione (e ce ne dispiace) di Monica e il desiderio (1953) e Sogni di donne (1955). Poi, come già detto, il regista svedese diventa un’icona del cinema mondiale e la prima parte della nostra retrospettiva si chiude con tre dei film che l’hanno consacrato sull’altare dei cinefili: Il settimo sigillo (1956), apologo sul Medioevo e sulla morte in cui l’impronta tragica si fonde mirabilmente con il tocco grottesco; Il posto delle fragole (1957), il vero capolavoro di quegli anni, “sintesi felice tra letteratura della memoria, angoscia luterana e analisi freudiana, ‘realismo magico’ e surrealismo, irrazionalismo nietschiano” (Di Giammatteo); e Il volto (1958), allegoria ironica e fantastica sulla condizione dell’artista nel suo ruolo di instancabile illusionista. Nel mezzo, Alle soglie della vita (1958), film quasi su commissione, sostenuto dal governo svedese per la sua campagna contro l’aborto, ma molto bergmaniano in quanto tutto centrato sull’universo femminile come unica possibilità di vita spirituale e di solidarietà umana. La prossima stagione incontreremo un Bergman sempre più pessimista, impegnato a riflettere sull’incomunicabità tra gli uomini e sul “silenzio” di Dio, sugli orrori della storia e sulla malattia come preludio della morte, ma anche capace di intermezzi leggeri e giocosi che avranno il proprio apogeo con la splendida rivisitazione de Il flauto magico di Mozart (1974). Il percorso è solo all’inizio: implacabilmente Bergman ci costringerà a non eludere i problemi di fondo della nostra pag 4/15/ esistenza e della creazione artistica, ricordandoci nel contempo che l’angoscia sempre incombente sulla nostra fragile vita può spesso essere vinta con l’arma dell’ironia.

Michele Dell’Ambrogio Circolo del cinema Bellinzona

pag 5/15/ UN’ESTATE D’AMORE Sommarlek, Svezia 1951 Sceneggiatura: Ingmar Bergman, Herbert Grevenius, dal racconto Mari di Ingmar Bergman; fotografia: ; montaggio: Oscar Rosander; musica: Erik Nordgren (Delibes, Chopin, Ciaikovski); interpreti: Maj-Britt Nilsson, Birger Malmsten, Alf Kjellin, Annalisa Ericson, Feorg Funkquist, Stig Olin, Renée Björling, Mimi Pollak, John Botvid, Gunnar Olsson, Douglas Häge, Julia Caesar, Carl Ström, Torsten Lilliecrona…; produzione: Allan Ekelund per Svensk Filmindustri. 35mm, bianco e nero, v. it., 96’ La ballerina Marie (Nilsson) riceve il diario di Henrik (Malmsten), il fidanzato morto in un incidente tredici anni prima e, in un giorno libero dalle prove, raggiunge la località sul mare dove aveva vissuto quell’amore: dopo aver scoperto che il diario le è stato inviato da un maturo amico di famiglia (Funkquist), con il quale aveva avuto una squallida relazione dopo la scomparsa di Henrik, Marie consegnerà lo scritto a un giornalista (Kjellin) innamorato di lei. L’amore, la tragedia e il tempo: Bergman racconta una breve e intensa passione, dilatata nel ricordo e nella realtà dal suo drammatico epilogo fino a provocare un blocco emotivo che sfocia in amare riflessioni sull’amore e sul destino. Contro ogni previsione, però, sceglie un finale aperto alla speranza e alla necessità di ricominciare a vivere con nuova energia. Per il regista, è il primo film in cui si sia sentito davvero in grado di esprimersi. Oltre alla consueta, intensa bellezza del paesaggio, tutt’uno con quello interiore della protagonista, va sottolineato l’uso programmatico della colonna sonora (dove predominano Ciaikovski e Chopin) che cadenza con puntualità l’atmosfera e i passaggi evolutivi del racconto. Per la prima volta mi sentivo bene, in equilibrio…beh, insomma, non del tutto, ma un po’ sì…Mi sentivo più sicuro, ero meno aggressivo, potevo lavorare meglio con l’operatore e l’équipe, non li insultavo più di continuo e per la prima volta sentivo che quello era il mio film. Non proprio esattamente, ma era quasi esattamente ciò che desideravo fare.(1)

pag 6/15/ DONNE IN ATTESA Kvinnors väntan, Svezia 1952 Sceneggiatura: Ingmar Bergman; fotografia: Gunnar Fischer; montaggio: Oscar Rosander; musica: Eric Nordgren; interpreti: Anita Björk, Maj-Britt Nilsson, Eva Dahlbeck, Gunnar Björnstrand, Birger Malmsten, Jarl Kulle, Karl-Arne Holmsten, Gerd Andersson, Björn Bjelvenstam, Aino Taube, Hakan Westergren, Kjell Nordenskold, Carl Ström…; produzione: Allan Ekelund per Svensk Filmindustri. 35mm, bianco e nero, v.o. st. f/t, 107’ Quattro donne, riunite in una casa sul lago per una vacanza, in attesa dei mariti (che sono fratelli) si raccontano le proprie esperienze matrimoniali, rivelando un destino più o meno comune di slanci delusi e monotonia quotidiana. Questo non impedirà alla giovane sorella di una di loro, Maj (Andersson), di fuggire col fidanzato nella speranza di un futuro sentimentale migliore. Tipica indagine bergmaniana nel frustrante universo della coppia (soprattutto per le donne, sempre più inquiete e vitali dei loro compagni): strutturato geometricamente in modo insolito, con l’elemento drammatico in progressiva diminuzione dal primo all’ultimo racconto (decisamente comico-grottesco), il film può forse risultare un po’ datato nei suoi contenuti, ma dal punto di vista cinematografico colpisce ancora per il suggestivo equilibrio con cui il regista bilancia l’introspezione, gli eventi e l’ambientazione. Ero di cattivo umore, non funzionava, ero ansioso. Mi sentivo più o meno costretto a scrivere una sceneggiatura che assicurasse un successo commerciale e non era per niente facile, credetemi! Era quasi una faccenda di humour macabro, poiché era la mia ultima possibilità. La mia situazione finanziaria era pessima e avevo dei problemi coniugali.(2)

pag 7/15/ UNA VAMPATA D’AMORE Gycklarnas afton, Svezia 1953 Sceneggiatura: Ingmar Bergman; fotografia: Hilding Bladh, Sven Nykvist; montaggio: Carl-Olov Skeppstedt; musica: Karl-Birger Blomdahl; interpreti: Harriet Andersson, Ake Grönberg, , Anders Ek, Gudrun Brost, Annida Tretow, Gunnar Björnstrand, Erik Strandmark, Kiki, Ake Fridell, Majken Torkeli…; produzione: Rune Waldekranz per Sandrews Film. 35mm, bianco e nero, v.o. st. f/t, 92’ Svezia, inizi del Novecento: il direttore di un circo equestre (Grönberg), incerto tra la famiglia e la cavallerizza Anne (Andersson) che lo tradisce con un attore, medita il suicidio. Il circo come palcoscenico della vita in un film che segnò la svolta di Bergman verso temi esistenzialisti trattati in chiave allegorica. Il repertorio di simboli, in questo caso, è ancora debitore dell’espressionismo, ma si affaccia già un’ironia lucida e spietata. Bergman usa due fotografi: uno per gli esterni (Hilding Bladh) e uno per gli interni (Sven Nykvist, alla sua prima collaborazione con il regista).

Il sogno è il tema principale del film, il resto è una serie di variazioni attorno a questo tema centrale… Evidentemente, il fallimento commerciale del film e le reazioni molto negative della critica erano per me una vera catastrofe. Sapevo che ogni fallimento riduceva sensibilmente le mie possibilità di proseguire la mia carriera cinematografica. L’incertezza e i rischi diventavano sempre più grandi, la mia situazione sempre più precaria. Ed era un’impressione molto, molto spiacevole…(2)

pag 8/15/ UNA LEZIONE D’AMORE En lektion i kärlek, Svezia 1954 Sceneggiatura: Ingmar Bergman; fotografia: Martin Bodin; montaggio: Oscar Rosander; musica: Dag Wirén; interpreti: Eva Dahlbeck, Gunnar Björnstrand, , Harriet Andersson, Ake Grönberg, Olof Winnerstrand, Renée Björling, Brigitte Reimar, John Elfström…; produzione: Allan Ekelund per Svensk Filmindustri. 35mm, bianco e nero, v.it., 95’ Un ginecologo farfallone (Björnstrand), abbandonato dall’amante (Lombard), cerca di riconquistare la moglie (Dahlbeck) su un vagone ferroviario diretto a Copenhaghen: la donna sta andando a trovare l’amante (Grönberg), uno scultore alcolizzato che un tempo era stato il suo promesso sposo e il miglior amico del marito. Questa volta Bergman affronta uno dei suoi temi prediletti – una gravissima crisi coniugale – con gli strumenti della commedia brillante, orchestrando un film del tutto insolito per le sue corde, che sembra strizzare l’occhio a Hawks (l’intraprendente amante del ginecologo si chiama Susanna), Wilder e Cukor. Dialoghi spumeggianti, schermaglie tra i sessi portate con disinvoltura tutta svedese là dove il codice Hays impediva di arrivare, personaggi femminili di un’intelligenza tremenda: qua e là emergono spunti altrove sviluppati in modo drammatico(la ribellione adolescenziale di Nix [Andersson] che rimanda a Monica e il desiderio, il bilancio della vita e le meditazioni sulla morte che verranno affrontati nel Posto delle fragole, il confronto padre-figlia che sarà ripreso in Come in uno specchio), ma in Lezione d’amore Bergman si diverte e fa divertire, consapevole che si tratta di un gioco innescato da un carillon e da un’ironica voce fuori campo che culmina in un cupidino armato di frecce pronte a scoccare. Carl-Anders Dymling (della Svensk Filmindustri) ha letto la sinossi in tutta velocità, mi ha telefonato…e quindici giorni dopo davamo il primo giro di manovella. Credo che prima di cominciare seriamente, abbiamo preparato il film durante una decina di giorni. Era un film molto leggero, frivolo; d’altronde suppongo che proprio in questo risieda la sua qualità. (2)

pag 9/15/ SORRISI DI UNA NOTTE D’ESTATE Sommarnattens leende, Svezia 1955 Sceneggiatura: Ingmar Bergman; fotografia: Gunnar Fischer; montaggio: Oscar Rosander; musica: Erik Nordgren; interpreti: Eva Dahlbeck, Gunnar Björnstrand, Ulla Jacobsson, Harriet Andersson, Margrit Carlqvist, Ake Fridell, Björn Bjelfvenstam, Naïma Wifstrand, Jullan Kindahl, Gull Natorp, , Bibi Andersson, Jarl Kulle…; produzione: Allan Ekelund per Svensk Filmindustri. 35mm, bianco e nero, v.o. st. f/t, 108’ Inizio del secolo: nella casa di un’attrice (Dahlbeck) sono ospiti il suo attuale amante (Kulle) con relativa consorte, e il suo ex amante (Björnstrand) accompagnato dalla giovane moglie (Jacobsson). Il figlio di quest’ultimo (che nella versione italiana diventa il nipote) divide il suo desiderio fra la matrigna e la cameriera. La notte estiva e i filtri magici smonteranno le coppie per ricostruirle secondo i piani della padrona di casa. “È una commedia o un dramma?” chiede Anne al marito prima di andare a teatro. Bergman mescola la pochade a Pirandello, Shakespeare a Max Ophüls e René Clair per trattare, in una chiave solo in apparenza leggera, e comunque per lui nuova, i temi del rapporto fra i sessi e della ricerca della felicità. Vincitore a Cannes nel 1956, fece conoscere Bergman al mondo. Certo, è strano, a volte parlando di Sorrisi di una notte d’estate qualcuno dice: “Che bei colori!”. Non c’è colore in quel film, è stato girato in bianco e nero. Ma ci siamo comportati come se fosse a colori. Abbiamo lavorato su una gamma che andava dal nero più intenso al bianco più sparato. Si è trattato di un lavoro molto accurato. (1)

pag 10/15/ IL SETTIMO SIGILLO Det sjunde inseglet, Svezia 1956 Sceneggiatura: Ingmar Bergman, dal suo dramma Trämälning (Pittura su legno); fotografia: Gunnar Fischer; montaggio: Lennart Wallén; musica: Erik Nordgren; interpreti: Max von Sydow, Gunnar Björnstrand, Nils Poppe, Bibi Andersson, Bengt Ekerot, Ake Fridell, Inga Gill, Erik Strandmark, Bertil Anderberg, , Inga Landgré, Anders Ek, Maud Hansson, Gunnar Olsson…; produzione: Allan Ekelund per Svensk Filmindustri. Dvd, bianco e nero, v.o. st. it., 96’ Di ritorno dalle crociate, in un mondo sconvolto dalla peste e dalla violenza degli uomini, un cavaliere (von Sydow) che ha perso la fede incontra la morte (Ekerot) che lo sfida a scacchi. Una famiglia di saltimbanchi gli fa però tornare fiducia nell’avvenire, e lui riuscirà anche a proteggerli dalla morte. Il più noto dei film di Bergman non è anche il migliore: troppo programmatico il simbolismo, e di maniera (ma per i tempi originale) l’ambientazione in un Medioevo specchio del caos contemporaneo, dove si mescolano sacro e profano, tragedia e farsa. I quesiti metafisici sono trattati in modo un po’ schematico, ma dal punto di vista figurativo il film conserva un fascino innegabile, pieno com’è di richiami pittorici (a Dürer, al Trionfo della morte dell’Orcagna) e scultorei (alle incisioni in legno di Hans Beham) su cui il regista ricama liberamente. Il ruolo di Jot, il girovago ingenuo, è interpretato dal celebre attore comico Nils Poppe. Avevo l’impressione di aver trionfato, riuscendo a realizzare nel migliore dei modi questo tournage importante e complicato in così poco tempo e con così pochi soldi. Era divertente ricostruire tutta un’epoca con mezzi estremamente semplici…Sono legato da un vincolo d’amicizia con questo film, ancora oggi… Il film tratta della paura della morte. Personalmente, mi ha permesso di sbarazzarmi di questa angoscia. (2)

pag 11/15/ IL POSTO DELLE FRAGOLE Smultronstället, Svezia 1957 Sceneggiatura: Ingmar Bergman; fotografia: Gunnar Fischer; montaggio: Oscar Rosander; musica: Erik Nordgren, Gote Lovén; interpreti: Victor Sjöström, Bibi Andersson, Ingrid Thulin, Gunnar Björnstrand, Folke Sundquist, Björn Bjelfvenstam, Naïma Wifstrand, Jullan Kindahl, Gunnar Sjöberg, Tunnel Broström, Gertrud Fridh, Ake Fridell, Max von Sydow…; produzione: Allan Ekelund per Svensk Filmindustri. 35mm, bianco e nero, v.o. st. f/t, 90’ L’anziano luminare della medicina Isak Borg (Sjöström) si reca insieme alla nuora (Thulin) a ritirare un prestigioso premio accademico: il viaggio è l’occasione per un ripensamento sulla sua esistenza e per un pellegrinaggio a tappe nei luoghi veri e immaginari dei suoi fallimenti. Se la giovinezza è il superamento della “linea d’ombra” conradiana, la vecchia è l’arrivo al “posto delle fragole” di Bergman. Il regista ha solo trentasette anni, ma è già capace di amari bilanci esistenziali, non a caso affidati alla sensibilità interpretativa del grande regista svedese Sjöström (qui alla sua ultima apparizione sul grande schermo). Il risultato è un singolare road-movie alla ricerca del tempo perduto, una straordinaria fiaba drammatica sulla solitudine che dal punto di vista formale oscilla tra l’espressionismo onirico (l’incubo iniziale e quello del processo) e il naturalismo quotidiano. Solo alla fine il ritmo sincopato si distende e i sussulti d’angoscia si sciolgono in un sorriso sereno: e la vita mancata del protagonista si illumina attraverso le vite ancora possibili dei suoi giovani compagni di strada. Un film ancora affascinante e significativo, uno dei migliori di Bergman. Molti premi, tra i quali l’Orso d’oro a Berlino. Per me si trattava di fare una sorta di inventario della mia vita passata, una sorta di test finale approfondito. Il lato psicanalitico del film non mi sembrava per niente evidente. È un’etichetta che altri gli hanno appiccicato, dopo. Per me è un film solido, reale, manifesto… Il mio incontro con Victor Sjöström resta per me uno degli avvenimenti più importanti della mia vita, poiché Sjöström mi ha insegnato molto… attraverso i suoi film. (2)

pag 12/15/ ALLE SOGLIE DELLA VITA Nära livet, Svezia 1958 Sceneggiatura: Ingmar Bergman, Ulla Isaksson, dalle sue novelle Det vanliga, vardiga, Det orubbliga (La cosa gentile, La cosa incrollabile); fotografia: Max Wilén; montaggio: Carl-Olov Skeppstedt; interpreti: Ingrid Thulin, Eva Dahlbeck, Bibi Andersson, Barbro Hiort af Ornäs, Max von Sydow, , Anne- Marie Gyllenspetz, Gunnar Sjöberg, , Lars Lind, Sissi Kaiser…; produzione: Gösta Hammarback per Nordisk Tonefilm. 16mm, bianco e nero, v.it., 84’ Ricoverata dopo un aborto, Cecilia (Thulin) fa la conoscenza di due partorienti: Stina (Dahlbeck) è una moglie felice che attende con ansia la nascita del primogenito, mentre Hjördis (Andersson) è una ragazza madre che si sente abbandonata da tutti. Ma nella notte il parto di Stina si conclude con la morte del nascituro, mentre Hjördis, grazie anche all’aiuto dell’infermiera Brita (Hjört af Ornäs), trova la forza di riconciliarsi coi genitori che si dimostrano disposti ad accoglierla in casa. Un film tutto al femminile che si rivela un inno alla vita nascente, sceneggiato da Ulla Isaksson a partire da due sue novelle e realizzato con l’appoggio del governo svedese che aveva in corso una campagna per il contenimento delle pratiche abortive (il che può spiegarne “la semplicità e l’esilità filosofica”, specie se paragonato alla complessità delle due opere precedenti, Il settimo sigillo e Il posto delle fragole). Lasciando gli uomini sullo sfondo, “manichini inutili nella loro boria o nella loro superficialità”, Bergman esalta i valori della solidarietà femminile (specie attraverso la figura dell’infermiera) e apre la propria riflessione alla presenza dell’elemento spirituale, se non proprio religioso, nel rapporto con il mistero della vita. Mentre non risparmia dure frecciate al mito dell’assistenzialismo statale. Premio per la regia ed ex aequo alle quattro attrici al festival di Cannes. So che in Alle soglie della vita la collaborazione con Ulla Isaksson ha avuto un’importanza enorme. Lei mi è stata veramente utile, mentre in seguito per La fontana della vergine ci siamo forse “sedotti” l’uno con l’altra… Confesso che, se si considerano i criteri attuali di autenticità, Alle soglie della vita è molto teatrale. Non c’è nessun dubbio su questo punto. (2)

pag 13/15/ IL VOLTO Ansiktet, Svezia 1958 Sceneggiatura: Ingmar Bergman; fotografia: Gunnar Fischer; montaggio: Oscar Rosander; musica: Erik Nordgren; interpreti: Max von Sydow, Ingrid Thulin, Ake Fridell, Naïma Wifstrand, Lars Ekborg, Gunnar Björnstrand, Erland Josephson, Gertrud Fridh, Toivo Pawvo, Ulla Sjöblom, Bengt Ekerot, Sif Ruud, Bibi Andersson, Birgitta Pettersson…; produzione: Allan Ekelund per Svensk Filmindustri. 16mm, bianco e nero, v.it., 100’ Verso la metà dell’Ottocento, la compagnia dell’illusionista Vogler (von Sydow) accetta di esibirsi per i rappresentanti dell’ordine costituito. Beffato dal razionalismo del medico Vergerus (Björnstrand), Vogler se ne vendica fingendo di morire. Ma, dopo una sarabanda di orrori e spaventi nel laboratorio dell’autopsia, confessa il suo trucco. Una grazia del re, per il momento, lo salva. Una riflessione sull’illusione dell’arte e sul suo rapporto col potere, considerata una delle opere più personali di Bergman. L’allegoria, tuttavia, è troppo trasparente e verbosa, e von Sydow che, con aria perennemente accigliata, distilla sentenze memorabili, fa sorridere. Non sono invecchiate, al contrario, le parti tenute sul filo del fantastico – tra i migliori esempi dell’espressionismo bergmaniano. Premio speciale della giuria al festival di Venezia per la “raffinatezza formale”. Era un cast fantastico. La maggior parte degli attori proveniva dalla compagnia del Teatro di Malmö. Sono legato a quel film. Ancora oggi, è uno strano film e poi ci siamo tanto divertiti a farlo. Era un bel momento. Stavo bene. Eravamo tutti uniti. È stato molto piacevole… (1)

pag 14/15/ BIBLIOGRAFIA Le shede sui film sono tratte da Olivier Assayas, Stig Björkman, Conversazione con Ingmar Bergman, Torino, Lindau, 1994 (per la parte tecnica) e da Il Mereghetti. Dizionario dei film 2004, Milano, Baldini & Castaldi, 2001 (per le sinossi e il giudizio critico). Le dichiarazioni di Ingmar Bergman (in corsivo) da Olivier Assayas, Stig Björkman, Conversazione con Ingmar Bergman, cit (1) e da Le cinéma selon Bergman, entretiens recuellis par S.Björkman, T. Manns, J.Sima, Paris, Seghers, 1973 (2) [traduzione dal francese: Michele Dell’Ambrogio]. Sono stati utili anche Tino Ranieri, Ingmar Bergman, Firenze, La Nuova Italia, 1974 e Sergio Transatti, Ingmar Bergman, Milano, L’Unità / Il Castoro, 1995.

Per l’ottenimento delle copie si ringraziano:

- Columbus Film, Zurigo - Cineteca Lucana, Potenza - Istituto Cinematografico “La Lanterna magica”, L’Aquila - Zari Noleggio Film, Milano

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