La Radicalizzazione Del Male Ovvero: Il Sistema Mondiale Del Terrore

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La Radicalizzazione Del Male Ovvero: Il Sistema Mondiale Del Terrore SEBASTIANO ISAIA LA RADICALIZZAZIONE DEL MALE OVVERO: IL SISTEMA MONDIALE DEL TERRORE 1 Gennaio 2017 2 Indice Introduzione. Per un controtuttismo attivo e operante 5 SI FA PRESTO A DIRE “RIVOLUZIONE”! 20 EFFETTO DOMIN(I)O 22 IL PROFITTO È GRANDE, E L’IMPERIALISMO È IL SUO PROFETA! 25 TEORIA E PRASSI DELLA «RIVOLUZIONE». A proposito della «Primavera Araba» 27 SIRIA: UN MINIMO SINDACALE DI “INTERNAZIONALISMO” 31 PRIMAVERE, COMPLOTTI E MOSCHE COCCHIERE. Siria e dintorni 35 E LA CHIAMANO ESTATE… ANTI-IMPERIALISTA! 41 COSA CI DICE LA SIRIA 43 LA QUESTIONE SIRIANA E LA MALATTIA SENILE DEL TERZOMONDISMO 46 ANCORA SULL’INFERNO SIRIANO 49 GIOCHI DI GUERRA ALL’OMBRA DEL PROFETA 57 LO SCONTRO NON È TRA LE CIVILTÀ, MA DENTRO LA CIVILTÀ CAPITALISTICA MONDIALE 61 ACCOSTAMENTI STORICI: PIAZZA TIENANMEN E GEZI PARK 68 MA CHE POPOLO D’EGITTO! 72 EGITTO E DINTORNI. Un contributo alla definizione del concetto di rivoluzione 79 LA MACELLERIA SIRIANA SECONDO AMMAR BAGDASH 85 EGITTO (MA ANCHE SIRIA E LIBANO): PIOVE SANGUE SU QUELLO GIÀ VERSATO 92 GIANFRANCO LA GRASSA E LA QUINTA COLONNA SINISTRORSA 100 LA RESA INCONDIZIONATA DEGLI AMICI DEL MACELLAIO DI DAMASCO 104 DAL VENEZUELA ALL’UCRAINA, DALL’ARGENTINA ALLA SIRIA. Criterio geopolitico versus criterio di classe 107 L’IMPERIALISMO ITALIANO NEL “PARADOSSO AFRICANO” 110 RIFLESSIONI AGOSTANE INTORNO AL BELLICOSO MONDO 114 L’ALTERNATIVA DEL DOMINIO SECONDO MASSIMO FINI 125 LA “PROPOSTA INDECENTE” DEL MACELLAIO DI DAMASCO E IL PRESIDENTE “RILUTTANTE” 127 ASPETTANDO LA FANTERIA 135 VARSAVIA 1944 – KOBANE 2014. Analogie storiche 138 ROJAVA MIA BELLA… 140 NESSUNO TOCCHI ALLAH! Né il suo Profeta preferito. 147 3 RIFLESSIONI SUI NOTI FATTI PARIGINI 151 LE BARREL BOMBS DEL REGIME SULLA MARTORIATA POPOLAZIONE SIRIANA 158 SALAMA KILA SULL’INFERNO SIRIANO 164 OSTAGGI E VITTIME DEL SISTEMA MONDIALE DEL TERRORE. CIOÈ TUTTI NOI 169 A CHE PUNTO È LA GUERRA? 178 LA GUERRA SECONDO LIBÉRATION 188 SORRIDETE! GLI SPARI SOPRA SONO PER NOI! 193 ALCUNE CONSIDERAZIONI SUL CONFLITTO MEDIORIENTALE 200 ASSEDIATI E PRESI IN OSTAGGIO. A MADAYA COME A ISTANBUL, PARIGI E OVUNQUE 211 IL PUNTO SULLA SIRIA E SUL SISTEMA MONDIALE DEL TERRORE 214 APPUNTI DALL’INFERNO 218 TUTTO IL MALE DEL MONDO. Quale verità per Giulio Regeni? 229 GUERRA E RIVOLUZIONE 234 LA RADICALIZZAZIONE DEL MALE. OVVERO: IL SISTEMA MONDIALE DEL TERRORE 252 LA SIRIA E IL SISTEMA TERRORISTICO MONDIALE 268 MACELLO SIRIANO. C’ERA UNA VOLTA IL MOVIMENTO PACIFISTA 274 YEMEN E SIRIA. DUE PAESI, LA STESSA GUERRA 282 C’È ANCORA QUALCOSA DA BOMBARDARE AD ALEPPO? 292 4 Introduzione Per un controtuttismo di classe attivo e operante L’attentato di Capodanno a Istanbul e le bombe che hanno accompagnato la visita di Hollande a Baghdad non sono che gli ultimi episodi della guerra totale che ormai da molto tempo il Sistema mondiale del terrore ha dichiarato a tutta l’umanità. Anche la strage ai mercatini natalizi di Berlino si colloca in questo funesto scenario di guerra – “convenzionale” e “non-convenzionale”: una distinzione che non ha alcun significato per le vittime e per le potenziali vittime, ossia per tutti noi. «Agire contro il terrorismo in Iraq – ha dichiarato Hollande – serve anche a prevenire degli atti di terrorismo contro il nostro territorio. Tutto quello che contribuisce alla ricostruzione in Iraq, rappresenta una condizione aggiuntiva per evitare che da parte di Daesh possano essere condotte azioni sul nostro territorio». La verità è che le vittime francesi del terrorismo islamico pagano la politica imperialista della Francia in Medio Oriente e in Africa. Mutatis mutandis questa affermazione vale naturalmente per tutti i Paesi del mondo (Italia compresa) che con la loro politica estera e il loro attivismo economico mettono a repentaglio la vita dei loro cittadini, i quali sono presi in ostaggio da interessi (economici e geopolitici) che non hanno alcun rispetto né per la vita umana né per i cosiddetti “diritti umani”. La popolazione turca, ad esempio, oggi paga con il sangue e con il terrore la fin troppo ambiziosa e “ambigua” politica interna ed estera del Presidente Erdogan, il quale negli ultimi tempi si è messo a recitare troppe parti in commedia, credendo di poter trarre profitto da un quadro internazionale in forte evoluzione (1). Con ciò intendo forse dire che il terrorismo di matrice islamista – o qualsiasi altro tipo di terrorismo – ha una natura, anche solo “oggettivamente”, antimperialista? Questo possono supporlo solo gli sciocchi o chi non immagina altra politica che non sia quella di servire una delle parti in lotta: «O stai con lo Stato o stai con i terroristi». Nemmeno per idea! Personalmente lotto, nei limiti delle 5 mie possibilità e capacità, contro tutti gli attori della «Terza guerra mondiale combattuta a pezzetti», la quale ha come sue vittime privilegiate proprio i civili. Ma questa maligna caratteristica non è nemmeno una novità assoluta, se riflettiamo bene. Come capita almeno dalla Guerra di Spagna degli anni Trenta del secolo scorso in poi, le prime vittime del Sistema mondiale del terrore non sono i militari organizzati negli eserciti, ma la popolazione inerme ammassata nelle grandi città. Gli Stati pianificano lo sterminio della popolazione civile per costringere il nemico alla resa incondizionata o quantomeno a venire, come si dice, a più miti consigli. Esiste un solo fronte di guerra, e la distinzione tra militari e civili non ha più senso. Com’è noto, nel 1943 Stalin si oppose all’evacuazione della popolazione civile da Stalingrado per costringere l’Armata Russa (altro che rossa!) a non indietreggiare di un solo millimetro, peraltro lo stesso ordine che, dall’altra parte della barricata, l’esercito tedesco ricevette da Hitler: militari e civili, uomini e donne, vecchi e bambini: tutti furono costretti a dare il loro “prezioso contributo” alla causa della “grande guerra patriottica”. Poi sarà il leader nazista (e, non dimentichiamolo, ex alleato di ferro del leader sovietico ai tempi del noto Patto sottoscritto nel 1939) a opporsi nel 1945, a guerra ormai strapersa, all’evacuazione della terrorizzata e affamata popolazione di Berlino, presa in ostaggio nel tentativo disperato di vendere cara la pelle del regime e magari strappare ai nemici condizioni di resa un po’ meno disastrose per la Germania. Insomma, nella guerra moderna la popolazione civile è presa in ostaggio da tutti gli eserciti, ed è usata come “scudo umano” soprattutto dagli eserciti che rischiano di cadere in disgrazia. Sotto questo aspetto, la battaglia di Aleppo è stata davvero emblematica. Ho accennato alla famigerata battaglia di Stalingrado anche perché è stato il macellaio di Damasco Bashar al Assad, e sulla sua scia non pochi “antimperialisti” (in realtà non più che antiamericani e anti israeliani di vecchissimo e di nuovo conio) basati in Occidente, a porre per primo, in chiave propagandistica, l’analogia tra quella battaglia e la tragedia di Aleppo. Anche il patetico Staffan De Mistura, l’inviato dell’Onu per la Siria dal luglio 2014, parlò qualche mese fa di Aleppo come della «Stalingrado siriana»: «chi vince lì fa 6 pendere la bilancia dalla sua parte»; di qui il carattere particolarmente micidiale che il conflitto siriano ha assunto in quella martoriata città, ridotta a un ammasso di case sventrate, a una mortifera trappola che tiene sotto sequestro migliaia di vecchi di donne e di bambini, prezioso materiale biologico da offrire in sacrificio al Moloch. Ma su questi fatti si riflette nelle pagine che il lettore avrà la bontà di leggere. Anche sulla definizione di Sistema mondiale del terrore, concetto elaborato con un preciso intento polemico nei confronti della cosiddetta guerra al terrorismo (per chi scrive terrorizzante e terroristica è la società mondiale presa nella sua disumana totalità), rimando ai post dedicati al tema che il lettore trova in questo PDF, nel quale ho raccolto una parte degli articoli che ho pubblicato negli ultimi sei anni sulla guerra in Siria, sulle cosiddette Primavere Arabe, sulla Questione Mediorientale in generale e sulla cosiddetta radicalizzazione islamista. Gli articoli scelti seguono un ordine cronologico, così che il lettore possa farsi almeno un’idea circa l’evoluzione della situazione “sul campo” e sul dibattito politico- teorico che l’ha accompagnata. Non ho fatto nessun lavoro di revisione dei testi; spero che la ripetizione di argomenti, di concetti e di singole frasi non disturbi oltremodo la pazienza del lettore. Nel 2011 iniziava in Siria quella che molti hanno definito una «rivoluzione aconfessionale, portata avanti da una parte della società siriana, che reclama libertà, dignità e pari diritti. Una rivoluzione sulla quale si è abbattuta una forte repressione da parte del regime siriano». Così scrive ad esempio Shady Hamadi, attivista per i diritti umani, come egli si definisce, nonché estimatore di Antonio Gramsci e autore di Esilio dalla Siria (ADD Editore, 2016), un breve saggio che ho letto la scorsa settimana. Come il lettore avrà modo di appurare compulsando lo scritto che ha sotto gli occhi, chi scrive non solo non ha mai definito le Primavere Arabe nei termini di eventi rivoluzionari, ma come ha piuttosto cercato di criticare le interpretazioni “rivoluzionarie” delle scosse telluriche che hanno scosso, e che continuano a scuotere, le società mediorientali (2). Proprio in questi giorni ho riletto quanto ebbe a scrivere Marx nel 1856 a proposito dei moti rivoluzionari del 1848: «Le cosiddette 7 rivoluzioni del 1848 non furono che meschini episodi – piccole rotture e lacerazioni nella dura crosta della società europea». Il lapidario giudizio marxiano, espresso intorno a un eccezionale periodo storico che fece epoca, mi ha fatto subito pensare alla pochezza sociale e intellettuale dei nostri tempi, quando la parola magica “rivoluzione” è usata a destra e a manca per designare ogni sorta di evento. Non c’è nuovo modello di iPhone o di automobile che dal marketing non sia definito “rivoluzionario” rispetto ai precedenti modelli (prodotti solo pochi mesi, o giorni, prima); non c’è starnuto del processo sociale che potenzialmente non meriti di finire nella rubrica degli “eventi rivoluzioni”.
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