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Trapani, 24.06.2009 | di Rino Giacalone

L'approdondimento/III Parte Il cemento della mafia e i delitti del boss

Mazara, storia di una impresa mafiosa. Le reazioni del mondo politico ed economico al sequestro della Calcestruzzi Mazara

Mariano Agate La «Calcestruzzi Mazara» è stata sequestrata. Sarebbe la prova materiale di come mafia e impresa possono costituire un binomio indissolubile, fusi uno dentro l'altro, tanto da riuscire a non fare apparire quello che invece potrebbe benissimo cogliersi, ossia la presenza e la gestione imprenditoriale in mano a mafiosi. Soggetti riconoscibili nel caso della «Calcestruzzi Mazara». Cosa Nostra ha perduto un suo «pezzo» importante nella strategia di controllo delle imprese e delle attività edilizie, pubbliche e private.

A subire il colpo più forte la «famiglia» del boss mafioso Mariano Agate, è sua l'impresa, i nomi ed i cognomi riscontrabili sulle carte societarie, si sovrappongono con quelli scritti sugli atti giudiziari: Mariano Agate, 70 anni, in carcere da tempo, all'ergastolo, ne è socio da dietro le sbarre assieme a suo fratello Giovan Battista, 67 anni, e ad Antonino Cuttone, 73 anni, questi ultimi due in carcere da un paio di mesi, indagati per gli affari della mafia nell'impianto eolico costruito ad Aquilotta. Mariano e Giovan Battista sono intestatari di quote rispettivamente nell'ordine di 103 mila 300 euro, 2 mila quote a testa, Cuttone, ne possiede mille di quote societarie della spa, per 51 mila 650 euro. Amministratore della società è la moglie di uno dei figli di Cuttone, dipendenti dell'impianto sono anche i figli di Agate, Epifanio e Vita, in libro paga a loro favore sono segnati alti stipendi, guadagni nell'ordine dei 100 mila euro l'anno, a fronte di specializzazioni che però non sarebbero state del tutto riscontrate. Guadagni spropositati. Ma dentro l'indagine non c'è solo questo.

Un passo indietro. Chi è Mariano Agate? Allora per dirlo con le parole di un bravo investigatore, il dirigente della squadra mobile di , vice questore Giuseppe Linares, “se fosse libero lui non vi sarebbe un a capo della mafia trapanese”. Mariano Agate è il nome che si incrocia nelle indagini che riguardano la cupola siciliana, l'avanzata dei corleonesi, la distruzione della vecchia mafia, l'attacco allo Stato e gli inciuci con lo Stato, i collegamenti con la massoneria e la politica, le strategie stragiste. L'uomo capace di fare il volto buono, il paciere, ma anche mostrare la faccia burbera violenta, come quando un giorno da un'aula di Tribunale a Trapani, dove era imputato con i boss catanesi Santapaola e

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Mangion, dell'omicidio del sindaco di Vito Lipari, fece cenno ad avvicinarsi ad un operatore televisivo, un cameraman di Rtc, la tv dove in quel momento c'era Mauro Rostagno a fare il giornalista, e Mariano Agate proprio a Rostagno mandò con quel suo collaboratore un messaggio, “ditegli a chiddu ca varva e vestito di bianco che a finissi di riri minchiate” - dite a quello con la barba e vestito di bianco che la finisse di raccontare minchiate. Rostagno seguiva quel processo e smontava gli alibi degli imputati. Rostagno parlava di Mariano Agate e anche di traffici di droga. Anni dopo le indagini mostrarono che aveva visto giusto, Agate si occupava di cosa nostra, delitti, armi, droga, ma anche di cemento, appalti e imprese. Quando tutto questo venne a galla però a Rostagno la mafia lo aveva già fatto uccidere.

Il sequestro. Martedì mattina sono stati gli agenti della Polizia e della Guardia di Finanza, poliziotti della Squadra Mobile e finanzieri del comando provinciale e del nucleo tributario, a raggiungere la sede dell'azienda, appena fuori Mazara, in contrada Serroni - località Cartubuleo, la si scorge dalla strada che conduce verso l'imbocco dell'autostrada: è spettato a loro notificare l'ordinanza di sequestro del gip del Tribunale di , il giudice Antonella Consiglio, che ha accolto la richiesta della Dda, procuratore aggiunto Teresa Principato, pm Cartosio e Padova, che hanno fatta propria la conclusione cui sono pervenuti Polizia e Guardia di Finanza. Non è stato solo un accertamento di natura patrimoniale.

Principalmente si è accertato che la «Calcestruzzi Mazara» sarebbe stata una impresa interamente mafiosa, strumentale all'attività di Cosa Nostra, sin dalla costituzione della società e costruzione dell'impianto ad opera di Francesco Messina, «mastro Ciccio u muraturi», morto suicida oltre un decennio addietro: l'ordine era delle «famiglie» mafiose che facevano parte della società Stella d'Oriente, dietro la quale si celava un crocevia tra mafia e massoneria. Da allora in poi la «Calcestruzzi Mazara» ha prodotto cemento monopolizzando il territorio, ospitato summit di mafia, dentro sono stati ordinati omicidi, di Ernesto Buffa e Agostino D'Agati, commessi a Rimini nel 1991. E poi sono stati uccisi lì dentro Vincenzo D'Amico e Francesco Craparotta, marsalesi, eliminati e fatti sparire per ordine di Totò Riina che in questi uffici venne a presiedere riunioni di Cosa Nostra. Lì in tempi recenti si sono concordate le strategie della nuova mafia, quella imprenditoriale di Matteo Messina Denaro. Ora è lo Stato a gestirla.

L'impresa non era di quelle normali e non era nemmeno di quelle che nel tempo era stata fagocitata diventando proprietà di Cosa Nostra. L'impresa era nata mafiosa e tale lo è stata per intero e per 30 anni. Fino a ieri, quando Polizia e Finanza hanno eseguito il sequestro disposto dalla Dda di Palermo. La «Calcestruzzi Mazara spa», valore sul mercato 5 milioni di euro era controllata dal super boss Mariano Agate, dal carcere manteneva il controllo di 2 mila quote societarie, poco più di 103 mila euro, tanto quanto quelle del fratello Giovan Battista, metà invece di quelle intestate ad un altro soggetto, Nino Cuttone.

La prima particolarità del quadro societario è quella che tutti e tre i soci sono in carcere: Mariano sconta ergastoli anche per le stragi, suo fratello e Cuttone da un paio di mesi sono tornati in cella, stavolta epr il famoso affare dell'eolico, da quando sono stati scoperti a gestire appalti nel settore dell'energia alternativa in nome e per conto di Cosa Nostra. Anzi è stata questa indagine a fornire lo spunto investigativo che ha portato al sequestro: l'impresa di calcestruzzi è risultata «strumentale» all'azione mafiosa, qui si sono svolti «summit», presenti il Totò Riina, qui si sono decise le strategie imprenditoriali, i cartelli di imprese si sono spesso ritrovati a concordare le regole per attaccare il libero mercato, fino appunto a discutere delle forniture di cemento per la costruzione di un parco eolico appena fuori Mazara, ma in questa azienda sono state nel tempo decise strategie di morte, qui secondo condanne definitive sono state ammazzate persone. Sono queste circostanze, prima che l'aspetto finanziario, ad avere portato al sequestro disposto dal gip Antonella Consiglio, del Tribunale di Palermo.

C'entra con l'attentato a Maurizio Costanzo. Il di Castelvetrano, Francesco Geraci,

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ha ricordato quando all'interno dell'impianto Matteo Messina Denaro gli presentò i boss mazaresi a cominciare da Mariano Agate che tornò ad incontrare quando la mafia pianificò l'attentato a Roma a Maurizio Costanzo. Fu dalla «Calcestruzzi Mazara» che si mosse il carico di armi con la raccomandazione di mariano agate a lui e «agli altri picciotti», «a tenere gli occhi aperti». Una intercettazione svelò altro, fu dal racconto sentito pronunciare ad un ex capo dell'ufficio tecnico del Comune di Mazara, l'arch. Pino Sucameli, che gli investigatori appresero di un summit con Riina e presente tutto il “gotha” mafioso siciliano e delle varie famiglie trapanesi: «Qui - disse Sucameli parlando con un altro uomo d'onore - alla Calcestruzzi… c'era tutta mezza Sicilia...c'era Totò Riina».

Il tesoretto dei mafiosi. La Guardia di Finanza esaminando i conti ha trovato un «tesoretto», 1 milione di utili aziendali messi da parte: «Strategia molto fine quella condotta - afferma il comandante provinciale della Finanza col. Maurizio Pagnozzi - non toccavano gli utili (oltre 1 milione di euro) per evitare la misura patrimoniale, nel frattempo liquidavano super stipendi». A chi? «Ai figli di Mariano, Epifanio e Vita Agate, quasi 5 mila euro di emolumenti al mese».

Ma chi è Mariano Agate in una battua lo spiega il capo della Squadra Mobile Giuseppe Linares, «se fosse libero non vi sarebbe un Matteo Messina Denaro (attuale latitante ndr) a capo della mafia trapanese». Questo non significa che tra i due ci sono contrasti, anzi, tutt'altro. Precisa alleanza. Di morte e di impresa.

I retroscena e le dichiarazioni. Nello spazio sul web che pubblicizza le formidabili capacità della «Calcestruzzi Mazara» c'è proprio tutto, dalle caratteristiche tecniche e qualitative del cemento prodotto alle opere pubbliche e private costruite col cemento dell'azienda, anche la «famosa» sopraelevata di Mazara, una delle incompiute annoverate nell'elenco nazionale, dalle certificazioni imprenditoriali alle attrezzature ed i mezzi utilizzati, è indicato anche il bacino di vendita, provincia di Trapani e di . Manca sotto i contatti l'indicazione dei nomi dei titolari, no quelli non ci sono proprio. Il nome degli Agate e dei Cuttone non si scorge da nessuna parte. C'è invece anche un link che fa pubblicità ad «Amnesty International» e alla difesa dei diritti dell'uomo. Forse troppo per una impresa che è stata usata per attirare in tranelli persone poi uccise o per tenere riunioni di mafia per ordinare stragi.

«L'analisi condotta da Guardia di Finanza e Squadra Mobile - dice il vice questore e dirigente della Mobile Giuseppe Linares - ha riguardato diversi pronunciamenti giudiziari che hanno evidenziato come in questi luoghi, tra le mura di questa impresa sono state compiute soppressioni, si sono svolti summit con Riina, qui si sono creati cartelli di imprenditori che hanno concordato con la mafia le regole per incidere sul mercato, è il modello della mafia trapanese, fatto di uomini capaci di uccidere ma anche in grado di fare gli imprenditori, mafia militare e impresa mafiosa».

La Guardia di Finanza ha guardato attentamente ai conti della società, dove gli utli non venivano toccati ma gli investimenti in nuovi mezzi erano continui, il valore dell'azienda è di 5 milioni di euro, ma è un dato che secondo le Fiamme Gialle è da aumentare. Già questa circostanza è indice di «conti» tenuti nascosti ai libri contabili.

Giorni intensi quelli che stanno trascorrendo in provincia di Trapani. Duri i colpi inferti alla mafia. Dall'operazione Golem della Mobile al sequestro di ieri di Polizia e Finanza, passando per l'altro altrettanto importante tassello della cattura ad opera dei carabinieri del latitante e narcotrafficante Totò Miceli. Istituzioni, politica e sindacati non mostrano disattenzione nell'esaltare questi fatti. Intanto c'è la Cgil col segretario generale Argurio: ««Non possiamo non sottolineare come l'operato delle forze dell'ordine stia facendo terra bruciata intorno alla rete dei collegamenti economici e finanziari che conduco al capomafia Matteo Messina Denaro.

Ritengo che questo territorio stia acquisendo tutti gli elementi per uscire definitivamente dal

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giogo e dalle imposizioni mafiose che ne condizionano la crescita economica, sociale, culturale e democratica». La politica nazionale si è fatta sentire con i senatori Vizzini (Pdl) e Lumia (Pd): «Tutto il settore che riguarda il ciclo del cemento - dice Vizzini - è chiaramente oggetto di grande interesse e inquietanti presenze di Cosa Nostra. Dietro il cemento ci sono gli affari sporchi di opere pubbliche costruite con calcestruzzo depauperato che mettono a rischio la vita di migliaia di cittadini». «Il sequestro di oggi - aggiunge Lumia - ci conferma la rilevanza del potere economico-finanziario della mafia e di Matteo Messina Denaro. La gestione delle imprese consente all'organizzazione di realizzare i suoi sporchi affari e di controllare e contaminare l'economia legale, con conseguenze devastanti per lo sviluppo del territorio».

Gli amministratori locali si sono fatti sentire con il sindaco di Castelvetrano Pompeo, mentre il presidente del Consiglio provinciale Peppe Poma ha reso nota una nota indirizzata al prefetto Trotta, di compiacimento: «L'operazione pone le basi per la definitiva risoluzione del pericolosissimo intreccio che permette ingenti quanto illeciti profitti a certo mondo pseudo imprenditoriale le cui fila sono purtroppo condotte da elementi malavitosi».

Il presidente della Provincia Turano ha sottolineato tutte le operazioni condotte di recente nel territorio trapanese: «Straordinario lavoro e intensa attività investigativa. L'operazione Golem, l'arresto di , l'attività contro gli usurai a Marsalai, il sequestro odierno debbono avere come contropartita istituzioni che svolgano il loro ruolo affiancando l'impegno delle forze dell'ordine».

«Non passa ormai giorno senza che le nostre forze dell'ordine e la magistratura continuino a stringere il cerchio nella dura lotta contro la mafia. Ci ridanno la speranza che si possa tornare a lavorare serenamente, liberi da condizionamenti, è l'obiettivo principale - dice Davide Durante presidente di Confindustria - ma questo si può raggiungere soltanto se ognuno di noi è disponibile a fare la propria parte. Ormai non ci sono più alibi e chiunque decida di collaborare sa di poter contare su una rete di tutela vera garantita dalla presenza dello Stato».

Il caso del revisore dei conti, eletto alla Provincia e a disposizione dell'azienda in mano ai mafiosi. Ma la politica si è fatta sentire anche in Consiglio provinciale con temi che pubblicamente non hanno trovato giusta eco. Il provinciale marsalese del Pd, Ignazio Passalacqua, è stato tra quelli che hanno riproposto il caso della presidente del collegio dei revisori della Provincia, Cinzia Puma che quando fu eletta faceva anche il revisore dei conti alla Calcestruzzi Mazara: «Il 25 marzo scorso - scrive Passalacqua in una nota dai toni duri - il Consiglio Provinciale votava (all'unanimità) un odg presentato dai consiglieri di centrosinistra con cui si invitava la dottoressa Cinzia Puma, attuale presidente del Collegio dei Revisori dei Conti della Provincia, a dimettersi poichè la stessa rivestiva contestualmente il ruolo di revisore dei conti presso la "Calcestruzzi Mazara Spa". Ad oggi - aggiunge Passalacqua - la dottoressa Puma, nonostante tutto, riveste ancora l'incarico di Presidente dei Revisore dei Conti della Provincia».

Un incarico politico che ha avuto riflessi anche sulle recenti elezioni amministrative di poiché, evidenzia Passalacqua, nella lista "Leali per Mazara", che fa riferimento alla corrente interna al Pdl che ha indicato la stessa Puma in Provincia, era candidata la signora Daniela Puma, sorella della commercialista. «Come sappiamo - conclude sarcastico Passalacqua - in politica i debiti si ripagano (anche) con le candidature. Ma alla luce di tutto noi chiediamo le immediate dimissioni della dottoressa Puma dall'incarico di presidente dei Revisori dei Conti della Provincia regionale di Trapani».

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