“Coronato di Immortalità”

Storia, lingua e fede.

A cura di Giorgetta Angelo Gabriele

Montemitro – Veduta dal “Serbatoio”

Mons. Giannelli Thomas (Tomaso o Tommaso)

Nasce a Vitulano (Benevento) il 25 luglio 1713. Prima, Canonico Metropolitano, poi, pro-vicario generale dell'Arcivescovo Card. Landi. Eletto vescovo di il 12 marzo 1753, il 31 dicembre 1761, durante i lavori di scavo nella Cattedrale, scopre i resti mortali di San Basso, vescovo e martire. Muore l'11 novembre 1768. È sepolto nella Cripta della Cattedrale di Termoli.

In copertina: Montemitro – “Largo Sant’Angelo”. Dipinto di Francesco Maldari ( New York ).

Montemitro – Veduta dalla “Montagna di Montefalcone”

Montemitro – Veduta “iz Zdrile”

Mons. Oddo Bernacchia

Nato a Fano il 14 marzo 1880. L'8 dicembre 1924 viene eletto vescovo da Papa Achille Ratti ( Pio XI ). Il 24 giugno 1924, fu nominato Vescovo di e di Termoli; riunendo le due Diocesi che erano state fino ad allora singole e divise. L’11 maggio 1945, nel corso di lavori di restauro della Cattedrale, scopre i resti di San Timoteo, discepolo di San Paolo Apostolo. Il 19 marzo 1962 viene nominato vescovo di Sebela. Muore il 13 novembre 1964 ad Acquaviva di Neroli (Roma). È sepolto nella cripta della Cattedrale di Termoli.

l oli ci sono paesi in grado di portarci oltre il tempo… Con il proprio p cifi co “ a - ašo ” - antica lingua di origine slava – Montemitro è una delle tre piccole minoranze linguistiche a pochi chilometri dalla costa Adriatica a 508 metri s.l.m., su una collina ch , a mo’ di t rr azza ti regala una splendida vista sulla vallata del Trigno. L’orizzont i p rd v r o la provincia di I rnia , il promontorio della Maiella e il mare Adriatico! Le case del paese si raggruppano attorno alla collina, circondata da una rigogliosa vegetazione. Le strade sembrano convergere tutte verso la parte più alta d ll’abitato , il c nt ro to rico, dov vi è una piccola piazzetta e la chiesa parrocchiale, nel cui interno è custodita una straordinaria tela di Andrea Vaccaro (1604-1670), riproducente S. Lucia, e che reinterpreta in maniera classicistica il naturalismo di Caravaggio. Prima ancora d l l’arrivo d g li la vi, Montemitro ha le sue notizie radicate già n ll’XI colo, da quando i Padri B n d ttin i iniziano a far rifiorir tutta la vallata d l Trigno fino a ch … nel 1456 un tremendo terremoto distrugge centinaia di piccoli e grandi paesi. Successiva al terremoto è la pestilenza che dal 1493 al 1495 colpisce i territori di Napoli e delle Puglie. Rimaste abbandonate, le terre v n gono ripopolat da migliaia di profughi… Siamo a cavallo tra il 1400 il 1500, l’inva o r Ottomano dilaga ormai in tutta la penisola balcanica. Le galee veneziane sono in continuo andirivieni tra i porti dalmati e le foci dei fiumi italiani a loro dirimpetto. Il Sinello, il Trigno, il Biferno e il Fortore, sono formicai di profughi slavi e albanesi, dirottati dai feudatari locali sotto l’autorità d l R g no di ap oli. Inizialm n t malvi ti trattati non proprio cristianamente, gradualmente si aggraziano i signorotti locali e ottengo case, terreni e privilegi. Molti si adattano e assimilano la lingua e gli usi locali, altri conservano gelosamente la propria identità, custodendone ancora oggi la lingua e i costumi propri. Noi, abitanti di Montemitro (Mundimitar), San Felice (Filič) Acquaviva Coll croc (Kruč), ia mo fi ri di r figli di g n t lav a, ch pur di con rv ar la Fede, la Libertà, la Vita e la Dignità umana, si sono dati alla fuga. Instancabilmente, i nostri antenati, costretti a fuggire dalla bellissima Dalmazia, pur di conservare Fede e Libertà, hanno tenacemente dissodato palmo a palmo queste terre per dare un futuro alle loro famiglie, per insediarsi contribuendo al miglioramento del t rr itorio di chi li o p itava… Onor a loro… E mpio p r noi…

( L’AUTORE – Luglio 2017 ) (Foto: M. Romagnoli)

MONTEMITRO Storia, lingua e fede

Monte“Mitro” - “Coronato d’Immortalità” “Per ch’io te sovra te corono e mitrio” (T’investo dell’autorità temporale e spirituale sopra di te, cioè ti proclamo pienamente padrone di te stesso). - Dante Alighieri - Purgatorio XXVII.

“Non fo madrigaletti che voi mitriate d’immortalità” (A cui concedete la corona dell’immortalità, che dichiarate cioè immortali). Giosuè Carducci - "Giambi ed epodi" - Introduzione all'opera. 1

PREMESSA

Sulla copertina di questo libro c’è un logo piramidale denominato “FUNIK” – Fondaco o magazzino, qual “Monte Frumentario” che un tempo era nei locali sotto la chiesa di Montemitro. Deposito da dove si prendeva in prestito il grano per la semina, per restituirlo, poi, con il “colmo” o interesse. In tal senso, questo libro, come tanti altri, vanno letti perché producano “interessi di sapienza”… In pratica ogni sana lettura è tale, se produce “semi di saggezza”… La prima pagina del libro evidenzia Dante e Carducci sottolineando la parola “mitrio” qual termine simile a “mitro” di Montemitro. Un parallelo bello e originale che rivela un nonsoché di “profumo eterno” che ha il suo “braciere” nelle “MEMORIE” di Monsignor Tomaso Giannelli, nato il 25 luglio 1713 e morto l’11 novembre 1768. Vescovo di Termoli dal 1753 al 1768. “Apostolo” instancabile e cronista meticoloso, lascia ai posteri le sue “Memorie”. Uno “spazio” davvero delizioso e prezioso per gli usi e i costumi del suo tempo… Come omaggio al suo operato ritengo doveroso stampare questo libro iniziando proprio dal 12° capitolo sulla “Terra di Montemitro”, uno straordinario “spaccato” settecentesco relativo alla società contadina del tempo. L’intera opera: le “Memorie”, altro non è che una relazione non completa della sua diocesi, redatta dal suddetto vescovo dal 1766 al 1768, durante le sue visite pastorali nelle “Terre” di Termoli, San Giacomo, , , , San Felice, Montemitro, Mafalda, Montenero, San Leucio, Montelateglia e . Da una accurata analisi del “1° Registro dei morti”, relativo ai decessi dal 26 marzo 1704 all’8 agosto 1801, conservato negli archivi della parrocchia di Montemitro, è evidente come il vescovo Tomaso Giannelli abbia avuto un interesse molto particolare per la sua diocesi, soprattutto per la “periferia”, dato 2 che le visite canoniche nel “Casale di Montemitro” 1 sono state di cadenza annuale: dal 1753 al 1768! Ben 16 visite ufficiali! Da considerare che in tutto il ‘700 le visite canoniche sono state 40. Nel 1986, grazie allo studioso e compianto Michele De Gregorio, le “Memorie” del Giannelli vengono date alle stampe pari, pari, rispettando anche alcune “imprecisioni” fatte dal vescovo stesso. Grazie a tale pubblicazione, supportata da indagini scientifiche e da ricerche relative anche alla tradizione orale di Montemitro, è nato questo libro. All’interno della copertina anteriore e posteriore, ho ritenuto opportuno “innestare” una breve biografia del suddetto Giannelli come del vescovo Bernacchia, quali scopritori di due grandi Santi: San Basso, patrono di Termoli e della diocesi; San Timoteo, compagno di San Paolo apostolo. Tra gli argomenti trattati, questi i principali: il testo originale sulla “Terra di Montemitro”; la spiegazione delle note inserite nel testo originale; il testo rielaborato in lingua italiana attuale; “i Monti Frumentari”; “la Cappella di S. Lucia”; “i tesori della tradizione orale”; “il campanile”; “il capitano Leopoldo Lalli”; “preghiere e canti”; “feste e tradizioni”; “Don Alberto Pellesi”; “la devozione a S. Lucia”; “un grande tesoro”; “da una relazione di E.A.Paterno”; brani in “Na Našo” e in italiano”, “La Guerra sul Trigno”. Per la collaborazione ringrazio: l’archivio comunale di Montemitro; gli archivi parrocchiali di San Felice del e di Montemitro; il signor Gino Cocciolillo per la foto di copertina; il signor Cristiano Zavaglia di Trebbio (Poggio Torriana - RN) per “l’input iniziale”; il prof. Angelo De Sanctis, passionista; i signori Bruno Romagnoli, Rocco Giorgetta, Gianluca Miletti, Marco Romagnoli, Antonio Sammartino, Mario Giorgetta e il dott. Lucio Piccoli per le foto e altro; infine, tutti i miei paesani che mi hanno dato di attingere ai tesori della tradizione orale.

1 Cfr. il manoscritto sui defunti di Montemitro in data 22 agosto 1735. 3

Ristampa della “Nota alla Prefazione” relativa alla prima pubblicazione delle “Memorie”.

Il testo, naturalmente, è fedele al manoscritto; non si è voluto cambiare nulla, innanzitutto perché la fedeltà all’originale è preciso dovere del trascrittore, e poi per non togliere al lettore il gusto della scoperta e della interpretazione. Si sono divisi i paragrafi (e non tutti) dei singoli capitoli in due o più capoversi per rendere meno faticosa la lettura, mentre la punteggiatura è stata rigorosamente rispettata. Il testo originale presenta numerose abbreviazioni, ovviamente usate per economia di tempo e di spazio, che sono state tutte sciolte, eccezion fatta per quelle ancora abitualmente in uso. Rispettando la volontà dell’Autore, sono stati raccolti in due appendici alcuni capitoli su specifici temi; a queste si è aggiunta una terza con le traduzioni dei testi latini e ciò per comodità del lettore. Queste traduzioni hanno presentato alcune difficoltà, vuoi per l’usura del manoscritto che spesso ha impedito una ragionevole interpretazione di alcune parole, vuoi per la presenza di non poche espressioni estranee al latino classico, per cui, là dove l’interpretazione è stata impossibile, si è preferito lasciare in bianco. Lo scrivente ha ritenuto opportuno, per completezza storica, continuare la serie dei Vescovi avvalendosi dell’opera di Mons. D’Agostino “Termoli e la Diocesi”, almeno fino al Vescovo Bernacchia, con il quale, per lui, inizia la cronaca. E’ doveroso ringraziare coloro che hanno collaborato alla realizzazione del libro: la Dott. Lucia Di Santo che ha contribuito alla prima stesura, il Prof. Alfredo Lomastro che ha verificato le parti latine curandone la traduzione, il Geom. Basso De Gregorio per gli schizzi che illustrano il ritrovamento del sarcofago di S. Basso e Gino Mugnano che ha ricostruito lo stemma vescovile di Mons. Giannelli. Al lettore si chiede venia per le eventuali inesattezze presenti nel libro. Termoli, li 2 Aprile 1986 - Michele De Gregorio

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TESTO ORIGINALE del Giannelli, con all’interno 59 note che rimando alle dovute spiegazioni da pag. 11 a pag. 25.

CAPITOLO XII

Della Terra (1) di Montemitro

Sul principio del XI Secolo, al riferire di Leone Ostiense, (2) un ser tale Benedetto colla di lui moglie Marenda de Castelo Monte matulo fecit oblationem suam in hoc Monastero de Ecclesia S. Johannis, quae sita est in finibus ipsius Castri, iuxta fluvium Trinium cum Terra modiorum (3) ducenti LXX, ubi ipsa Ecclesia edificata est, et cum caeteris rebus ipsius.(4) Il Castello, che qui si chiama Montematulo, suppongo che sia lo stesso, che questo chiamato adesso Montemitro, per esservi tra Mitro, e Matulo picciola differenza, (5) la quale allo scorrere degli anni, e colla variazione degli Abitatori, ha potuto seguire, e per non esservi lungo il Trigno altro luogo, che abbia nominazione simile. La Terra, che adesso si dice di Montemitro è lontana dal Trigno un miglio (6) in circa, che doveva essere il sito occupato dal terreno CCLXX (7) moggi, che formano 5400 passi di quadrato, il quale era nelli confini di Monte matulo, e lungo in fiume. (8) Prima di essere venuti a stabilire il loro domicilio gli Schiavoni, esser stato abitato, ed esservi stato un Castello (9) a caggione del sito, assai forte, il dimostrano le anticaglie, che in più luoghi si veggono. Al salire nella Terra alla destra v’è un colle formato da sassi, alla di cui vetta sono gli avanzi di muri rovinati, li quali formavano il Castello, e tal nome anco oggi ritiene. Intorno il colle era abitato, perché verso occidente appariscono le rovine degli antichi edifici che dovevano essere più tosto umili che nobili, come nel governo de Longobardi (10) si soleva fabbricare.

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Questo luogo il più lontano dalla residenza di Termoli è sito al ponente di San Felice, (11) da cui per via difficile è distante tre miglia quantunque nella distanza di un miglio verso mezzo giorno (12) vi sia un lago, che appartiene al territorio di Montefalcone, col quale la Terra confina. E quantunque nella distanza quasi simile verso il Ponente estivo sia il fiume Trigno, l’aere non è cattivo, vivendovi sani e robusti li Cittadini. Imperciocchè l’esalazioni del lago sono impedite da un colle, e l’umidità del fiume non si eleva sino all’altezza della Terra, ch’è nella vetta di un Colle. Il lago suddetto è assai picciolo, non essendo il suo diametro cento passi, (13) è però profondo molto. Nell’està allorquando l’acqua è contaminata dal lino, (14) le tinghe, e li capitoni vengono da loro a galla semivivi, e si prendono, né si usa altra industria per pescarvi. Vi si prendono spesso le mignatte, (15) delle quali abbonda. Non si sa il tempo preciso, nel quale vi fu fissata la Colonia degli Schiavoni. (16) Si può avere per verisimile, che vennero nell’anno 1520 in circa: (17) cioè quando si portarono ad abitare in S. Felice, luogo a questo contermino. (18) Doverono allora convenire colla famiglia Gallo, a cui era infeudato il Territorio: (19) mentre si sa, ch’essendosi nell’anno 1620 estinta tale Famiglia, seguì la devoluzione al Regale patrimonio, da cui una colle Terre di Monfalcone, e possedute anche dalla medesima famiglia Gallo, comprò Montemitro nell’anno 1637 Gaetano della Famiglia Coppola, di cui ho parlato nel capitolo precedente. In sequela di tale acquisto li Duchi di Canzano vi hanno esercitato ed esercitano giurisdizione, che si amministra dal Governatore, che suole risedere in Montefalcone. Vi godono ancora le ragioni di essere padroni assoluti del Terreno, per cui di tutti li frutti gli è corrisposta la decima.

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Siccome li nuovi Coloni elessero per Protettrice la Vergine Martire S. Lucia, così tal nome diedero alla loro Colonia, e col medesimo è registrato dal Fisco. Nella prima stima, (20) che fu fatta per lo Fisco dopo l’accennata devoluzione del Feudo, fu descritto Luogo per abitato da fuochi 60; nella seconda stima però si rapportò per quasi disabitato. (21) Nelle numerazioni, che si riferiscono dal Summonte a Pacichelli, è tassato per Fuochi 24. Nello stato delle Anime formano fuochi 71 con anime 771. Se però com’è numerato nelli libri parrocchiali, fosse tassato per lo Fisco, non potrebbero li Cittadini soddisfare alli pesi per la ragione accennata nel descrivere le altre simili Colonie. (22) Il Terreno di sua natura non è fertile per essere cretoso e soggetto a frane, (23) l’industria però de Cittadini opera sì, che si raccoglie grano di buona qualità soprabbondante al bisogno, e non vi manchino le altre vittovaglie. Il vino non è scarso, e delli frutti li fichi sono ottimi. Vi pascolano animali grossi e piccoli che non formano numerosi greggi. Se non vi sono famiglie ricche, con la fatica, e coll’industria non sono mendiche; (24) talchè vivono da povera gente, ma con sufficiente commodo e pulitezza. Vivendo applicati alla fatica, il costume è semplice, e sincero, come negli Schiavoni si suole rinvenire, de quali hanno conservata, e conservano la lingua con quelle imperfezioni, delle quali ho parlato nel capitolo precedente. (25) Non è picciolo segno del loro buon costume uniforme alle regole della cristiana morale la sollecitudine che hanno di vedere e ascoltare il Vescovo. Nella visita annuale, ancorché il giorno non sia festivo, radi si portano al lavoro nella Campagna, ed attendono tutti la venuta del proprio pastore, alli di cui uffizi con ufficioso e divoto portamento assistono.

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Si aggiunge, che in un luogo il più picciolo della Diocesi, il meno frequente, (26) siano tre Chiese, le quali, se non sono ornate, con decenza si mantengono. In picciola distanza dal sito abitato verso ponente, v’è la Chiesa (27) nella quale si amministrava la cura delle Anime, ed era dedicata a Dominedio, (28) ed in onore di S. Lucia V.M. (29) Nell’anno 1753 (30) che feci la prima visita vidi che aveva bisogno di restaurazione: e perciò ordinai, che vi formassero il Cemiterio. (31) Ma nell’anno 1757 (32) rinvenni essere stata ben restaurata; talché vi si poteva con decenza celebrare la Messa, e così si mantiene. Siccome in questa Chiesa si seppelliscono li Parrocchiani Defonti, (33) vi si è collocato un quadro, che rappresenta la B.V. Maria colle anime, che sono nel Purgatorio, così le ho attribuito il nome di S. Maria del Suffragio. Vi si entra per la porta laterale all’Altare situato verso Settentrione: ha nave (34) sufficientemente larga, e dietro l’Altare v’è il sito per lo Coro, e Sacristia. Sopra picciola torre sono due campane, che si suonano con tirarsi le funi dalla parte esteriore della Chiesa, a cui si è ordinato provvedersi. Alloraquando Lorenzo Giorgetti (35) amministrava la cura delle Anime prima col titolo di Economo, amovibile a piacere del Vescovo, ed indi col titolo di Parroco perpetuo, chiamato Arciprete, (36) più coi beni propri, che colle rendite della Chiesa, colle limosine de Parrocchiani, fra le case abitate (37) edificò la nuova Chiesa (38) a cui fu trasferito (39) il titolo di S. Lucia, e col titolo la cura delle Anime. La porta (40) è alla parte orientale, ma l’Altare maggiore è alla parte meridionale. (41) All’ingresso vi è un atrio coverto, (42) in cui è collocato il battistero. La Chiesa forma una sola Nave, (43) nella quale oltre l’Altare maggiore, sono due Altari minori, uno dedicato a S. Lucia V.M., e l’altro a Maria Santissima del Rosario.

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La Chiesa con l’Altare Maggiore si mantiene con la quarta delle decime; l’Altare di S. Lucia dall’Università, (44) e l’Altare di Maria Santissima del Rosario con le proprie rendite consistenti in un monte Frumentario (45) ed in pochi animali vaccine. (46) Non vi sono sepolture dovendosi dopo l’esequie portare i cadaveri de Parrocchiani a seppellire nella di sopra descritta Chiesa. V’è però una stanza, la di cui porta (47) è al corno del Vangelo dell’Altare Maggiore, (48) ed è destinata per sacristia. Onde la Chiesa per Terra sì picciola è decente ed ornata. (49) Al lato del descritto atrio s’è incominciata la fabbrica per la Torre delle Campane, (50) che per ora non si pensa proseguire a cagione che l’Arciprete D. Gennaro Manes (51) della Terra di Montecilfone è poco grato ai Parrocchiani. Prima di ascendere (52) il Colle, nel quale sono le case abitate, v’è la Chiesa dedicata a S. Michele Arcangelo, (53) in cui la porta è pure al muro laterale, e non già contra l’Altare. Si dice fabbricata dalla Famiglia Giorgetti, che vanta il padronato, e la mantiene. Onde dalle Persone di tale famiglia, le quali amministrano le picciole rendite alla medesima spettanti, si pagano la proccurazione ed il cattedratico. (54) Sin dall’anno 1734 la cura delle Anime era stata esercitata da un Sacerdote ch’era Deputato, (55) e rimosso a piacere dal Vescovo. Giudicò prudentemente il Vescovo Giuseppe Silvestri, col parere della Sagra Congregazione del Concilio, rendere perpetuo il Parroco da eleggersi osservando la Forma del concorso nel Tridentino Concilio prescritta, e fu allora predetto Lorenzo Giorgetti. Nella morte di costui seguita nell’anno 1735 (56) dalla Santa Sede per la riserba del mese fu provveduto il Sacerdote Gennaro Manes del Casale di Montecilfone. Nel luogo sono adesso due altri preti D.Matteo, (57) e D.Pietro (58) ambedue della Famiglia Giorgetti. Onde la Chiesa è ben servita, e li Cittadini, oltre l’Arciprete, hanno chi amministra ad essi loro li Sagramenti. (59)

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“Madonna delle Grazie”.

Statua in legno dipinto con procedimento a porcellana. Datata intorno al XVI secolo, potrebbe risalire al XIV secolo.

“Portale Laterale della chiesa parrocchiale”.

Realizzato in pietra scolpita. Datato agli inizi del XIV secolo. Opera di pregevole fattura, si inserisce nel filone del gotico abruzzese e si rifà alla bottega larinese interpretandola con sobrietà ed eleganza dei particolari. Sui capitelli scolpiti a foglie di acanto, si imposta l’arco a sesto acuto ornato da una modanatura lavorata a foglie di acanto. La porta in legno, probabilmente del XIX sec., è un capolavoro a mo’ di “trittico- chinante”: tre ante, di cui una centrale e bassa che impone un “ingresso chinante”. 10

SPIEGAZIONE DELLE NOTE INSERITE NEL TESTO

(1) “Della Terra di Montemitro” = Del Paese di Montemitro. La parola “Terra” sta a significare paese, località, contrada, ecc.

(2) Leone Ostiense o Leone Marsicano o Leone di Montecassino. Monaco, vescovo e storico dell’abbazia di Montecassino, nato nella Marsica, in Abruzzo, nel 1046 e morto a Roma il 22 maggio 1115. Famoso per aver scritto la “Cronaca di Montecassino”, tradotta dal latino in italiano e pubblicata nel 2001, a cura di Francesco Aceto e Vinni Lucherini, edizioni Jaca Book.

(3) “Modiorum” da Modius, cioè Moggio. Misura agraria estremamente diffusa soprattutto nel sud Italia. A Napoli, nel Regno delle Due Sicilie, corrispondeva a 3.364,86 m2. Variava, però, da diocesi a diocesi e in alcuni casi cambiava anche da comune a comune. Se tale misura si applicasse al suddetto lascito, il terreno corrisponderebbe a circa 90 ettari attuali. Un lascito straordinario, anche per quei tempi, che Leone Ostiense giustamente notifica nella sua “Chronica”.

(4) “Un tale signor Benedetto insieme a sua moglie Marenda del castello di Monte Matulo, fece un lascito di circa 270 moggi a questo monastero della chiesa di San Giovanni che è situata ai confini dello stesso castello presso il fiume Trigno, dove fu edificata la stessa chiesa con le altre cose riguardanti la chiesa stessa.”

(5) Fermo restando come nel corso dei secoli il testo potrebbe aver subito la cosiddetta “trascrizione corrotta”, dalle accurate ricerche fatte dal signor Antonio Sammartino, il vescovo Giannelli non ha riportato in modo esatto il nome del “Castello”, che secondo il Muratori (1723) non è “Matulo”, ma “Metulo” (Caput LIV), così

11 come viene riportato anche nella “Chronica Mon. Casinensis” al n° 55, pubblicata nella “Monumenta Germaniae Historica” del 1841. Altre notizie riguardanti Montemitro, trovate su Internet, di epoca anteriore alla venuta dei croati sono le seguenti: «Talenasius filius Sagnalis Domini Montis Mituli» (aa. 1150- 1168) «Mons Mitulus» (aa. 1269-70; aa. 1278-79), «Archipresbiter Montis Mituli» (idem, a. 1325), «Clericis Montis Mintuli» (episcopatu Termulano, a. 1328), «Clerici Montis Mileti» (idem, a. 1328). Nei Cedolarii del 1320 viene ricordato come «Mons Mitulus», più tardi come «Monte Mitulo», «S. Lucia di Monte Mitulo» e ancora come «Monte Mirto». Mons. Ferrante, come vescovo di Termoli (1569-1593), nei suoi viaggi pastorali ci riferisce notizie riguardanti la piccola comunità di «Montemitolo». E' pienamente condivisibile la teoria esposta da Marcello De Giovanni che fa derivare «Montemitro, semanticamente affine al tipo Monte Mucchia in quanto risalente a metulus per metula dim. di méta “ogni figura conica o di piramide”, “mucchio, cumulo, bica”, “méta, colonnetta, termine, fine”». Ciò discende evidentemente dalla morfologia dell'antico nucleo urbano. Infine dato che la parola “mitro” è simile al termine “mitrio” cioè “coronato d’immortalità”, perché non allacciare “MonteMitro” a due grandissimi poeti? “Per ch’io te sovra te corono e mitrio” (Dante Alighieri - Purgatorio XXVII ), t’investo dell’autorità temporale e spirituale sopra di te, cioè ti proclamo pienamente padrone di te stesso. “Non fo madrigaletti Che voi mitriate d’immortalità” (Giosuè Carducci - "Giambi ed epodi" - introduzione all'opera), a cui concedete la corona dell’immortalità, che dichiarate cioè immortali. Questo è molto bello e interessante… Montemitro in questo modo ha il “sapore dell’immortalità”.

(6) Il miglio medievale era pari a 1853,18 metri.

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(7) “CCLXX” = 270

(8) Secondo l’ipotesi del vescovo il territorio del paese corrisponderebbe al terreno dato in lascito da “Ser Benedetto”.

(9) Secondo Giovanni Artese, il territorio del basso Trigno è rimasto per circa mille anni sottoposto all’autorità di abati e monaci, benedettini e poi cistercensi, che, l’hanno dissodato, bonificato e reso ricco di produzioni agro-pastorali nonché di attività artigianali e commerciali collegate. La prima influenza del monachesimo benedettino risale almeno ai secoli VII-VIII, quando le grandi abbazie di Montecassino e di Farfa, ben strutturate, cominciarono a far sentire il loro peso anche sul versante adriatico della penisola. I benedettini cassinesi, ricevendo beni e possedimenti in diverse contrade dell’attuale agro di , vi crearono alcuni piccoli conventi. Secondo A. R. Savino i centri del medio corso della Valle del fiume Trigno, anche se profondamente trasformati e alterati nella loro configurazione esterna e paesaggistica, un tempo erano caratterizzati da case-mura, case-torri, torri, porte urbiche, porte urbiche turrite, mura, ecc. Tra questi spiccano ancora per l’imponenza o il particolare incastro paesaggistico (oggi), logistico-difensivo (ieri) i comuni di e Montemitro, per fare degli esempi. (da Internet)

(10) Da notare che verso la fine dell’XI secolo sono i Normanni che riunificano l’Italia meridionale. I longobardi erano antecedenti.

(11) “Ponente” = ovest.

(12) “Mezzo giorno” = Sud.

(13) Il “passo napoletano” è una unità di misura del tempo che equivale a 1,86 metri.

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(14) Anticamente il lino veniva coltivato per la lavorazione dei tessuti. Gli steli di questa pianta venivano raccolti e messi a bagno nell’acqua, o dei fiumi o dei laghi, per facilitare la separazione delle fibre. Queste poi venivano filate e tessute con appositi telai orizzontali. A Montemitro, ancora oggi, alcuni perdurano.

(15) “Mignatte” = Sanguisughe

(16) La Repubblica di Venezia e il Regno di Napoli agevolarono gli insediamenti lungo le coste adriatiche per ripopolare le terre che, in quegli anni, erano rimaste abbandonate a seguito del vastissimo terremoto del 1456 e della Peste del 1495. Il 5 dicembre 1456, alle ore 21, un tremendo terremoto del 10 grado (della scala Mercalli) con epicentro nella zona di Benevento, distrusse centinaia di piccoli e grandi paesi: dall’Aquila fino a Melfi di Potenza. Nel Molise 32 castelli (centri abitati) andarono in rovina; a Termoli cadde la Torre campanaria e la parte superiore della Cattedrale. Morirono circa 40.000 persone quando l’Italia dell’epoca ne contava circa otto milioni. Solo a Larino ci furono 1313 morti (l’avvenimento venne ricordato come: “il terremoto di S. Antonino”). Nella cronaca di “Sant’Antonino di Firenze” si legge: “il terremoto che si verificò in alcune parti del Regno e particolarmente nella Puglia, l’anno del Signore 1456, il giorno 5 dicembre alle ore 21, e che si ripeté il 30 dello stesso mese alle ore 16, fu un terremoto che non si ricorda a memoria d’uomo, e che mai si legge fosse di tale veemenza e che abbia provocato tanta mortalità di uomini.” Così scrive Oscar De Lena: “Quando ai sopravvissuti del terremoto si aggiunsero anche gli immigrati […] che fuggivano dalle loro terre devastate dagli eserciti turchi, iniziarono le costruzioni delle prime case della nuova S. Giacomo. Da quella data in poi, siamo intorno al 1500, le grotte furono utilizzate solo come ricovero per gli animali. Nel 1549, sotto il dominio 14 spagnolo, tutte le terre del regno abitate da albanesi o dalmati furono condannate, per ordine del Viceré, ad essere bruciate e distrutte per la continua facinorosità di queste popolazioni. Nella sola provincia del Molise, di trentasette ‘Terre’, ventinove furono destinate al fuoco e tra queste anche Santo Jacopo de Sclavoni (dell’Episcopo di Termole)”. A proposito della pestilenza del 1495 così scrive Pietro Lo Conte: “Nel 1493 una epidemia di peste a Napoli ha ripercussioni anche su Ariano e sulla sua economia. Infatti viene proibito ai cittadini residenti in città di recarsi a Napoli, e viceversa a quelli che si trovano già in Napoli di ritornare ad Ariano, ed inoltre viene severamente vietato ai contadini di Ariano di recarsi nelle Puglie per la mietitura.” (da Internet)

(17) Il vescovo Giannelli, scrivendo delle “Terre di San Felice”, indica e dimostra una data ben precisa sulla venuta degli schiavoni: “Sul principio del XVI Secolo era privo di Popolo, onde li Dalmatini, ch’erano venuti per fissare in queste Contrade il loro domicilio, nell’anno 1518 vi formarono picciola Colonia. La venuta degli Schiavoni fu nel detto anno 1518, perché nell’aver letto lo Statuto della Terra, il quale si chiama Capitolazione, ho rinvenuto che nell’anno suddetto li nuovi Coloni convennero con Ettore e Pardo Pappacoda in torno quello, che, per alimentarsi in tale Feudo, gli concedeva, e che dovevano essi loro corrispondere e pagare”. Per cui, una parte dei coloni slavi - come afferma lo stesso vescovo - si è insediata presso la Terra di Montemitro, e più precisamente nelle odierne località di “Fontegrande” e “Selo”. La parola “selo” significa paese. Ma, << una località chiamata “paese” perché fatto ex-novo dai profughi? Oppure chiamato “paese” dagli stessi slavi, perché vi trovarono resti di un insediamento preesistente e poi abbandonato? >> (Gabriele Blascetta).

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(18) “Contermino” = Confinante

(19) L’antica esistenza di Montemitro risale alla concessione del feudo (1276) a Gentile della Posta, figlio del Signore di Palata, al quale seguirono tra gli altri: Arcuccio; Carafa (1508); Antonia (1528); Del Tufo (1560); Gallo (1618); Coppola dei Duchi di Canzano, che furono gli ultimi feudatari a tenere Montemitro fino all’eversione della feudalità nel 1806.

(20) Il più antico e parziale censimento che attualmente si conserva nell’archivio parrocchiale risale al 1786. Quello del 1792 (anche questo parziale) è il primo che ci dà una idea un po’ più chiara della comunità di Montemitro.

(21) Da non dimenticare che il ‘600 fu caratterizzato da epidemie coleriche che spopolarono molti centri abitati in tutta Europa.

(22) Per favorire l’insediamento dei coloni e in considerazione della loro povertà, i re aragonesi concessero agli immigrati del Regno di Napoli alcuni privilegi, come il dimezzamento dei tributi, per un periodo di circa cinquant’anni.

(23) Secondo la tradizione orale dei nostri padri si dice che dalla località “Selo” i primi slavi si trasferirono sulla roccia di Montemitro proprio a causa degli smottamenti del terreno in cui vivevano. Quando? Analizzando il “Libro sullo Stato delle Anime”, le “Memorie” del Giannelli, e il “Libro De Defonti Della Chiesa di Monte Mitolo Sub Dive Lucie Titolo A-D- 1702 D. Lorenzo Giorgetta Economo” (Libro dei defunti della Chiesa Madredi Monte Mitolo sotto il divino titolo di Lucia Anno del Signore 1702 Don Lorenzo Giorgetta Economo), deduco che dal 1702, in modo progressivo, la colonia slava di Santa Lucia si sia trasferita dai rifugi del “Selo”

16 alla “Vecchia Chiesa”, che al tempo di Benedetto e Marenda (XI sec.) era di S. Giovanni. Oggi ex-scuola materna. Con la nascita del “Casale di Montemitro” il parroco, per forza di cose, è tenuto così alla stesura del 1° registro parrocchiale. Deduzione avallata dalle seguenti tesi: non sono state trovate menzioni a registri antecedenti al suddetto; nel 1702 l’attuale chiesa ancora non esisteva; i morti venivano seppelliti sotto la chiesa titolata a S. Lucia; dal 1702 la “vecchia chiesa” veniva definita come “Chiesa Matrice”, cioè la principale. In conclusione, quasi sicuramente dal 1702, dalla zona “Selo” la popolazione inizia a ricostruire la cosiddetta “vecchia chiesa” (prima benedettina) per poi, successivamente, erigere l’attuale chiesa parrocchiale per opera di Don Lorenzo Giorgetta.

(24) La parola “mendiche”, qui, non vuol dire “povere” ma che “non chiedono l’elemosina”, hanno cioè il necessario per vivere.

(25) A proposito di San Felice così riporta il Giannelli: “Quantunque siano scorsi più di due secoli dal tempo, che dalla Dalmazia fu dedotta la riferita Colonia, si è conservata però e si conserva la lingua illirica, o sia schiavona, a cui per lo commercio hanno unita l’italiana volgare. Se sin ora han conservata li Cittadini la detta lingua, dovrà molto durare, perché si dimostrano interessati tanto nel custodirla, che gli spiace avere nel Battesimo nome de Santi, che non gli riesce facile pronunciare col loro schiavone dialetto.

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Per la necessità del commercio, e delli matrimoni con donne estere, dovendo spesso parlare l’italiano volgare, si sono contratti e si van contraendo errori nella originaria lingua; come si suole avvertire dalli Mercanti, li quali dalla città di Spalato, o da altri Luoghi della Dalmazia, che per vendere Sarde salate, Cavalli, ed altre loro derrate vengono in queste Contrade.”

(26) “Meno frequente” = Meno frequentato o meno abitato.

(27) La cosiddetta “Vecchia Chiesa”, dove ora c’è l’ex-scuola materna, molto probabilmente fu costruita sul sito del monastero della chiesa di “San Giovanni” (XI sec.) riportata all’inizio del testo di Giannelli. A conferma di ciò lo studioso dell’enclave slava nel Molise, Milan Rešetar, così riporta nel suo libro sulle colonie serbocroate nel sud Italia del 1911: “Ma certamente anche Montemitro non è una fondazione slava, perché nella chiesa in rovina si trova ancora una iscrizione a metà cancellata, sulla fotografia della quale si leggono chiaramente le ultime parole “… | ANNO DNI | MCCCXIII” e ciò vuol dire probabilmente che nel 1313 fu costruita la chiesa e dunque che la località era già abitata”. Tale pietra, ora si trova nell’attuale chiesa parrocchiale.

(28) “Dedicata a Dominedio”! Attualmente, quando si consacra una chiesa, l’altare viene sempre dedicato a Dio Padre, poi le viene dato un titolo relativo ad un Santo, alla Vergine o a Gesù. Nel linguaggio ecclesiastico del tempo il vescovo Giannelli vuole semplicemente dire che la chiesa, come tutte, è dedicata a Dio, mentre il titolo proprio è di “Santa Lucia”, come risulta dal seguente testo dell’11 agosto 1732:

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Dal testo del Giannelli risulta poi, che la vecchia chiesa viene poi titolata a “Santa Maria del Suffragio” e infine, dal 7 luglio 1793 passa definitivamente sotto il titolo della “Madonna delle Grazie”:

(29) Proprio presso la “Chiesa Vecchia” si stabilizzò la “Colonia di Santa Lucia” che dal “Selo” si trasferì definitivamente a Montemitro. Da qui partirono le prime abitazioni. La strada che oggi in dialetto si chiama “za crikuom” (verso la chiesa), inizialmente fu il primo nucleo abitativo dei coloni.

(30) 3 novembre 1753.

(31) Sia dai registri, come dal ricordo degli anziani, la famosa “Jama” (grotta) sotto la chiesa su citata, si sa che era divisa in tre sezioni: per gli uomini defunti, per le donne e per i bambini. In seguito all’editto di Saint Cloud del 12 giugno 1804 applicato in Italia dal 5 settembre 1806, fu costruito un cimitero più in basso secondo le norme del tempo. (Due curiosità: i cipressi, come le altre piante della stessa famiglia, hanno radici a fittone, cioè si estendono solo in verticale, tanto profonde quanto è alto l’albero, in questo modo 19 fanno ombra e non danneggiano le tombe; la parola cimitero viene dal latino “coemeterio” che significa dormitorio! )

(32) 22 aprile 1757.

(33) Dal manoscritto “Morti 1836 al 1882” abbiamo la data precisa della chiusura della “fossa comune” o “Jama”: Montemitro 15 maggio 1838 - “Per ordini superiori si sono chiuse colmate e suggellate le sepolture nella chiesa, disponendo di farsi il camposanto, in tanto che si continuasse l’inumazione dei cadaveri nel provvisorio camposanto, in cui sono tumulate le infelici vittime coleriche”. Pasquale Arciprete Simigliani. Il suddetto “provvisorio camposanto” fu fatto in prossimità della chiesa vecchia, a causa della peste colerica che durò dal 12 luglio al 16 settembre 1837 e che generò 48 vittime, così come si afferma nello stesso quaderno: Montemitro 12 luglio 1837 - “Oggi per sventura sociale, si è in questo comune, sviluppato il terribile flagello del colera morbus, malattia che per molto tempo di lontano ha minacciato queste contrade. Per ordini superiori le infelici vittime di una tale malattia pestifera, non hanno avuto sepoltura ecclesiastica e si sono inumati in campagna dietro la chiesa vecchia, in un luogo destinato e propriamente nel terreno di Pietro D’Ambrosio. Questo luogo a mia cura si è cinto di mura a secco, ed ho cominciata l’inumazione, innalzandovi una croce, ad Futuram ivi Memoriam”. Pasquale Arciprete Simigliani. Questa fossa comune potrebbe trovarsi presso le attuali tre croci vicino al cimitero, il cosiddetto “mundun”. Parola che deriva da “mundunat” (ammucchiare), dato che lì sono stati “ammucchiati” i calcinacci e lo sterro dei lavori per la costruzione delle abitazioni. A conferma di ciò c’è la testimonianza delle persone più anziane che affermano come anticamente li è sempre esistita una croce.

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Al termine del colera, il 16 settembre 1837, così troviamo scritto nello stesso manoscritto: “Oggi grazie alla Divina Misericordia è cessata la strage del Colera Morbus. Le di cui vittime non sono state munite di sacramenti, e si sono tumulati senza pompa funebre perché erroneamente si credeva contaggiosa la malattia.” Pasquale Arciprete Simigliani. Da tutto questo possiamo ipotizzare come il cimitero fatto fare, sotto la vecchia chiesa, dal vescovo Giannelli nel 1753 durò fino al 1838 per un periodo di 85 anni.

(34) “Nave” = Navata

(35) Dal 1° Registro della Parrocchia: “Libro De Defonti Della Matrice Chiesa di Monte Mitolo Sub Diue Lucie Titolo A-D- 1702 D. Lorenzo Giorgetta Economo”, risulta che Don Lorenzo sia stato parroco in due periodi: dal 16 marzo 1704 al 15 gennaio 1713 e dal 30 settembre 1719 al 22 agosto 1735.

(36) Esattamente dal 15 agosto 1734.

(37) “Fra le case abitate”. Sarebbe la zona dove oggi c’è l’attuale chiesa parrocchiale, che, molto probabilmente fu costruita sui ruderi di qualche vecchia roccaforte, utilizzando lo stesso materiale del sito, come si nota visibilmente dalla base delle mura attuali e dalle pietre utilizzate per la costruzione della chiesa stessa, molto diverse da tutte la altre pietre utilizzate per la costruzione delle case limitrofe.

(38) Dai dati del Giannelli e dal 1° Registro della parrocchia, possiamo affermare come la nuova chiesa, quasi sicuramente, fu edificata dal 1719 al 1757 circa (ma ancora senza campanile e senza l’attuale ingresso frontale).

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(39) Come da nota 28, si arriva a stabilire come la “Vecchia Chiesa” di Montemitro sia stata titolata prima a “Santa Lucia”, poi alla “Madonna del Suffragio” e infine alla “Madonna delle Grazie”. Da qui si può avvalorare l’ipotesi che, se la traslazione di una effige di Santa Lucia sia realmente avvenuta, essa ha la sua origine dalla Dalmazia per poi essere portata a “Fontegrande – Selo” (nel 1520 circa), da lì alla “Vecchia Chiesa” (forse verso la fine ‘600), per poi essere posta nella nuova chiesa (nella prima metà del ‘700).

(40) Con i lavori di restauro, sono stati evidenziati i numeretti incisi sulle pietre formanti l’arco dell’ingresso a sud- ovest della chiesa attuale (vedi foto). La numerazione delle pietre si effettuava perché non si perdesse il loro ordine esatto di provenienza. Senza dubbi, il portale, in stile Gotico-Abruzzese del 1300 – 1309, proviene dalla “Vecchia Chiesa”.

(41) Due errori “involontari” del vescovo: la porta non è verso Est, ma verso Sud-Ovest, così come l’altare maggiore non è verso Sud ma verso Nord-Ovest!

(42) “Atrio coverto” = Androne. Quello che oggi in “na našo” è detto “Kapelun”.

(43) La navata della chiesa attuale ha anche un altro ingresso verso Sud-Est. Strano che il vescovo, così minuzioso nei dettagli, non l’abbia descritto. Da qui la deduzione che sia stato creato successivamente.

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(44) Il termine “università” nell’ambito ecclesiastico del tempo aveva il significato di associazione. La comunità parrocchiale, cioè, creando una o più associazioni o confraternite si autotassava per sostenere le spese ecclesiastiche.

(45) A proposito del “Monte Frumentario”, in dialetto FUNIK, leggendo il capitoletto relativo allo “Stato delle Anime” e valutando i ricordi dei più anziani, il locale adibito ad esso era sotto la chiesa attuale. Ipotesi suffragata dal fatto che i fedeli defunti invece di essere sepolti sotto la nuova chiesa, così come afferma il vescovo, erano portati nella “Jama” della “Vecchia Chiesa” o “Chiesa Matrice”; per cui i locali sottostanti alla nuova chiesa furono adibiti a Monte Frumentario, cessato il quale i locali, forse, furono venduti a qualcuno di Montefalcone, dato che i vecchi proprietari erano di lì. Tesi avvalorata da ciò che c’è si leggerà, poi, nei capitoletti relativi ai Monti Frumentari e al Censimento del 1792.

(46) “Animali vaccine” = Bovini

(47) Il vecchio accesso che dalla sacrestia portava al presbiterio è stato murato con l’ultimo restauro del 2008.

(48) “Al corno del vangelo” = Al lato del leggio del vangelo. Prima del Concilio Vaticano II la mensa dell’altare era rivolta al muro, con due leggi anch’essi rivolti verso la parete, uno alla sinistra di chi guardava l’altare (“Corno Evangelii” - vi si leggeva il vangelo) e l’altro alla destra di chi guardava l’altare (“Corno Epistulae” - vi si leggevano le epistole o lettere del Nuovo Testamento); per cui la porta della sacrestia era a sinistra di chi guardava l’altare maggiore.

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(49) “Onde la Chiesa per Terra sì picciola è decente ed ornata” cioè: “Anche se grande la Chiesa per un paese così piccolo, essa è dignitosa e abbellita”. Il vescovo si meraviglia e si complimenta per una tale struttura in un paesino come Montemitro.

(50) La torre attuale delle campane fu poi terminata secondo il progetto iniziale.

(51) Dal 1° registro della parrocchia risulta che, Don Gennaro Manes è stato Parroco dal 1736 al 1780, con alcune interruzioni relative agli anni: 1745-46; 1753; 1755-56; 1756-59; 1760-61.

(52) “Ascendere” = Salire

(53) Il sito della vecchia chiesa di S. Michele Arcangelo, si trovava alla sinistra della strada che va verso Montefalcone, poco dopo “Largo Sant’Angelo”, detto “PRSTAMANDŽEJA”. Da una osservazione del Dott. Lucio Piccoli l’etimologia della parola è una contrazione della frase seguente: “PReko SveTogA Mikela ArkaNDŽEJA”, cioè: “Presso San Michele Arcangelo”).

(54) “Onde dalle Persone…” cioè: “Anche se tale famiglia amministra le piccole rendite spettanti alla medesima chiesa, si paga tutto ciò di cui si ha bisogno, compreso il sacerdote.”

(55) “Ch’era Deputato” = Colui al quale è assegnato un ufficio.

(56) Dal 1° registro della parrocchia ecco riportato l’atto di morte di Don Lorenzo Giorgetta del 22 agosto 1735:

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(57) Dal suddetto manoscritto, dove sono registrati i morti dal 1704 al 1801, risulta che Don Andrea Giorgetta è stato Parroco negli anni: 1753; 1755; 1756-59; 1760; 1781-84; infine dal 26 marzo 1788 al 14 agosto 1790, giorno in cui fu ucciso con un colpo di “schioppo” e poi seppellito sotto il pavimento dell’attuale chiesa come risulta dal seguente atto di morte:

Guarda caso, poi, durante gli ultimi lavori di restauro della chiesa, sotto il pavimento sono stati rinvenuti resti umani!

(58) Sempre dal 1° registro della parrocchia, risulta che Don Pietro Giorgetta è stato Parroco dal 17 ottobre 1745 al 29 luglio 1746.

(59) “Onde la Chiesa…” cioè: “Anche se la Parrocchia è ben servita, oltre all’Arciprete, i fedeli hanno anche chi amministra loro i sacramenti”. Anche qui il vescovo si meraviglia e si complimenta per la comunità di Montemitro. Prima del Concilio Vaticano II non vigeva la concelebrazione. Il sacerdote che “diceva” la Messa era sempre solo. Per cui durante la celebrazione era quasi un lusso, per una piccola comunità, avere un altro prete disponibile per il sacramento della confessione.

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Tabernacolo con le relative scritte interne.

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IL TESTO SULLA “Terra di Montemitro” RIELABORATO IN LINGUA ITALIANA ATTUALE

Il Paese di Montemitro

All’inizio dell’XI secolo (tra il 1000 e il 1100 d.C.), su riferimento di Leone Ostiense, un certo signor Benedetto insieme a sua moglie Marenda del castello di Monte Matulo, fece un lascito di circa 90 ettari a questo monastero della chiesa di San Giovanni che è situata ai confini dello stesso castello presso il fiume Trigno, dove fu edificata la stessa chiesa con le altre cose riguardanti la chiesa stessa. Il Castello, che qui si chiama Monte matulo, suppongo sia lo stesso di questo chiamato adesso Montemitro, per esserci tra Mitro e Matulo una piccola differenza; e non essendoci un altro luogo lungo il Trigno che abbia una denominazione simile, con il trascorrere del tempo e con la variazione degli abitanti, ha sicuramente subito dei mutamenti. Il paese, che adesso si chiama Montemitro, è lontano dal Trigno circa 1800 metri, e il terreno occupato dallo stesso comune dovrebbe essere di 90 ettari, i quali erano nei confini di Monte Matulo e lungo il fiume. Prima di essere venuti gli Schiavoni a stabilire il loro domicilio, la zona era abitata e vi era un Castello; ciò è dimostrato dalla presenza di rovine che si vedono in più luoghi. Salendo verso il paese, sulla destra c’è un colle formato da sassi, sulla cui vetta ci sono rovine, che formavano il Castello, la cui denominazione è rimasta ancora oggi. Il colle tutt’intorno era abitato, perché verso occidente ci sono le rovine degli antichi edifici che, come era solito fabbricare al tempo dei Longobardi, dovevano essere semplici e non sontuosi. Questo luogo, il più lontano dalla residenza di Termoli, è a ovest di San Felice, da cui per vie tortuose è distante circa 5 km e mezzo. 27

Alla distanza di 1800 metri circa verso sud, c’è un lago, che appartiene al territorio di Montefalcone, con il quale il paese confina. E sebbene verso ovest, quasi alla stessa distanza, c’è il fiume Trigno, l’aria non è cattiva. I cittadini sono sani e robusti, dato che le esalazioni del lago sono impedite da un colle e l’umidità del fiume non si eleva fino all’altezza del paese, che si trova sulla vetta di una collina. Il suddetto lago è molto piccolo, il suo diametro è di circa 180 metri, è però molto profondo. D’estate, quando l’acqua è contaminata dal lino, le tinche e i capitoni venendo a galla vengono pescati semivivi. E Per pescare non si usa altra tecnica che questa. Spesso si pescano anche abbondanti sanguisughe. Non si sa il tempo preciso nel quale vennero i coloni Schiavoni. Verosimilmente intorno all’anno 1520, cioè quando fu popolato il paese confinante di San Felice. In quel periodo si accordarono con la famiglia Gallo, a cui era infeudato il Territorio. Poiché nel 1620 tale Famiglia si estinse, il Territorio passò al demanio statale, così come i paesi di Montefalcone e Roccavivara, posseduti dalla famiglia Gallo. Nel 1637, Gaetano della famiglia Coppola (Duchi di Canzano), di cui ho parlato nel capitolo precedente, comprò Montemitro. E in seguito a tale acquisto i Duchi di Canzano vi hanno esercitato ed esercitano tutt’ora la giurisdizione, amministrata dal Governatore che risiede a Montefalcone. Sono loro i padroni assoluti del Paese, per cui gli è corrisposta la decima di tutti i frutti. Siccome i nuovi coloni elessero per Protettrice Santa Lucia, Vergine e Martire, con tale titolo hanno dato nome alla loro colonia e col medesimo è registrata dal Fisco.

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Nella prima stima, che fu fatta per il Fisco dopo l’accennata traslazione del Feudo, il territorio risultava essere abitato da 60 famiglie; nella seconda stima, però, il rapporto parlava di un centro quasi disabitato. Nelle numerazioni, che si riferiscono dal Summonte a Pacichelli, si contano 24 famiglie. Attualmente, risultano 71 famiglie e 771 abitanti. Se però, com’è scritto nei libri parrocchiali, venissero tassati dal Fisco, i cittadini non potrebbero pagare le tasse per la ragione accennata nel descrivere le altre Colonie simili. Il Terreno per sua natura non è fertile, dato che è cretoso e soggetto a frane. I cittadini sono molto operosi. Si raccoglie grano di buona qualità sovrabbondante al bisogno e non mancano le altre provviste. Il vino non è scarso, e dei frutti, i fichi sono ottimi. Si pascolano animali grandi e piccoli, ma non formano greggi numerosi. Se non ci sono famiglie ricche, grazie alla fatica e al lavoro non ci sono neppure famiglie povere, e nonostante la loro condizione di vita, sono agiati e puliti. Vivendo applicati alla fatica, il costume è semplice e sincero, come lo è tra gli Schiavoni, i quali hanno conservato e conservano la lingua con quelle imperfezioni, delle quali ho parlato nel capitolo precedente. È un grande segno del loro buon costume uniformarsi alle regole della morale cristiana con la sollecitudine che hanno nel vedere e ascoltare il Vescovo. Nella visita annuale, nonostante il giorno non sia festivo, raramente vanno a lavorare in campagna, attendono tutti la venuta del proprio pastore e assistono alle celebrazioni con grande devozione. Aggiungo che, nel paese più piccolo della Diocesi e il meno abitato, vi sono tre Chiese, le quali, anche se non sono abbellite si conservano con decoro.

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A breve distanza dal luogo abitato, verso ovest, vi era la Chiesa, nella quale si amministrava la cura delle Anime, era dedicata a Dominedio ed in onore a Santa Lucia V.M. Nel 1753, quando feci la prima visita, vidi che aveva bisogno di restauri, perciò ordinai che vi formassero il cimitero. Nel 1757 vidi che era stata ben restaurata; così tanto che si poteva celebrare con decenza la Messa, e così si mantiene. Dato che, in questa Chiesa si seppelliscono i defunti della parrocchia, è stato collocato un quadro, che rappresenta la B.V. Maria con le anime che sono nel Purgatorio, così le ho attribuito il nome di Santa Maria del Suffragio. Si entra per la porta laterale all’Altare situato verso Nord. Ha una navata sufficientemente larga e dietro l’Altare vi è il luogo per il Coro e la sacrestia. Sulla piccola torre vi sono due campane, che si suonano con le funi dalla parte esterna della Chiesa, come ho ordinato di fare. Quando Lorenzo Giorgetti amministrava la cura delle Anime prima col titolo di Economo - rimovibile a piacere del Vescovo, poi con il titolo di Parroco in perpetuo, cioè Arciprete - fra le case abitate, edificò la nuova Chiesa a cui fu trasferito il titolo di Santa Lucia, e con il titolo, anche la cura delle Anime. Egli la edificò più a proprie spese, che con le rendite della Chiesa e le offerte dei parrocchiani. La porta è dalla parte orientale, ma l’Altare maggiore è dalla parte meridionale. All’ingresso vi è un androne, in cui è collocato il battistero. La Chiesa forma una sola navata, nella quale oltre all’altare maggiore, vi sono altri due altari minori, uno dedicato a Santa Lucia V.M. e l’altro a Maria Santissima del Rosario. La Chiesa con l’Altare Maggiore si mantiene con la quarta delle decime; l’Altare di Santa Lucia si mantiene con le tasse delle associazioni parrocchiali; l’Altare di Maria Santissima del Rosario si mantiene con le proprie rendite consistenti in un monte Frumentario ed in pochi bovini.

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Non ci sono sepolture, poiché, dopo le esequie, i cadaveri dei Parrocchiani sono sepolti nella Chiesa descritta sopra. Vi è però una stanza, la cui porta è alla sinistra dell’Altare Maggiore, ed è destinata per sacrestia. Anche se la Chiesa è grande per un paese così piccolo, essa è abbellita e dignitosa. Al lato del descritto atrio sono incominciati i lavori per la torre delle campane, che per ora non si pensa di proseguire a causa dell’Arciprete Don Gennaro Manes del paese di Montecilfone, poiché è antipatico ai parrocchiani. Prima di salire verso la collina, sulla quale ci sono le case abitate, troviamo una chiesa dedicata a San Michele Arcangelo, la cui porta di ingresso è ugualmente al muro laterale e non di fronte all’altare. Si dice sia stata costruita dalla Famiglia Giorgetti, che vanta il padronato e la mantiene. Tale famiglia amministra le piccole rendite spettanti alla medesima chiesa e paga anche tutto ciò di cui c’è bisogno, compreso il sacerdote. Fin dall’anno 1734 la cura delle Anime era stata esercitata da un sacerdote incaricato dal vescovo che poteva rimuoverlo a sua discrezione. Il Vescovo Giuseppe Silvestri, col parere della Sacra Congregazione del Concilio, prudentemente giudicò di rendere perpetuo il Parroco, da eleggersi osservando la forma prescritta dal Concilio Tridentino, e allora fu nominato Lorenzo Giorgetti. Dopo la morte di costui, che avvenne nel 1735, dalla Santa Sede fu incaricato il Sacerdote Gennaro Manes di Montecilfone. Adesso vi sono altri due preti: Don Matteo e Don Pietro, ambedue della Famiglia Giorgetti. Anche se la Parrocchia è ben servita, oltre all’Arciprete, i fedeli hanno anche chi amministra i sacramenti.

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RAPPRESENTAZIONE GRAFICA DI TRE IPOTESI relative alle tre chiese della “Terra di Montemitro” nel ‘700.

Poteva essere così la chiesa vecchia?

Prima sotto il titolo di “Santa Lucia” (11 agosto 1732), poi con il titolo di “Santa Maria del Suffragio” (1757 circa) e infine (dal 7 luglio 1793) “Madonna delle Grazie”.

Coro e sacrestia

Altare

Ingresso

Verso l’attuale cimitero “Corso S. Lucia”

“Vi si entra per la porta laterale all’Altare situato verso Settentrione: ha nave sufficientemente larga, e dietro l’Altare v’è il sito per lo Coro, e Sacristia. Sopra picciola torre sono due campane, che si suonano con tirarsi le funi dalla parte esteriore della Chiesa, a cui si è ordinato provvedersi.”

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Poteva essere così la chiesa di “San Michele Arcangelo” ?

Altare

Ingresso

S

E O

Attuale N Strada per Montefalcone Attuale “PRSTAMANDŽEJA” “Rotonda” Attuale

Verso il “Colle”

“Prima di ascendere il colle, nel quale sono le case abitate, v’è la Chiesa dedicata a S. Michele Arcangelo, in cui la porta è pure al muro laterale, e non già contra l’Altare.”

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Poteva essere così la chiesa parrocchiale di “Santa Lucia”?

Corno Epistulae Altari di S. Lucia e del S. Rosario Balaustre Altare maggiore Porta esterna (successiva)

Pulpito (successivo) Corno Evangelii Vano Battistero per Sacrestia la torre Atrio delle campane

Ingresso Salita

“La porta è alla parte orientale, ma l’Altare maggiore è alla parte meridionale.2 All’ingresso vi è un atrio coverto, in cui è collocato il battistero. La Chiesa forma una sola Nave, nella quale oltre l’Altare maggiore, sono due Altari minori, uno dedicato a S. Lucia V.M., e l’altro a Maria Santissima del Rosario. (…) V’è però una stanza, la di cui porta è al corno del Vangelo dell’Altare Maggiore, ed è destinata per sacristia. (…) Al lato del descritto atrio s’è incominciata la fabbrica per la Torre delle Campane.”

2 Non proprio verso Sud, più esattamente verso Sud-Ovest. 34

I MONTI FRUMENTARI

I primi monti frumentari sono nati alla fine del XV secolo per prestare ai contadini più poveri il grano e l'orzo per la semina, ed ebbero una notevole diffusione durante i secoli XVI e XVII. Essi si rivolgevano in particolare ai tanti che vivevano in condizioni di pura sussistenza quando, per il bisogno, erano costretti a mangiare anche quanto doveva essere riservato alla semina. A Savoca, in Sicilia, si ha notizia di due Monti frumentari: il primo venne istituito con testamento del 1758 dal sacerdote Vincenzo Giannetto; il secondo venne istituito dal filantropo Vincenzo Maria Trischitta (1772-1852). La loro funzione era quella di costituire un supporto al ciclo agrario.

A tal fine per il loro funzionamento i contadini partecipavano con giornate di lavoro gratuito (roadie) in occasione della semina e del raccolto e l'esito era conservato come semenze da distribuire ai contadini che ne erano privi. Quando nei magazzini c'erano grosse eccedenze, una parte era venduta ed il denaro così ottenuto era utilizzato per la creazione di Monti Pecuniari al fine di prestare agli agricoltori le somme per le spese del raccolto ad un tasso del 5%. Per il prestito di cereali l'interesse era calcolato invece nella tradizione di misurare in sede di prestito, all'epoca della semina il grano "a raso" dell'unità di misura e di restituirlo "a colmo" all'epoca del raccolto. Tanto i Monti Frumentari che quelli Pecuniari operavano, quindi, nelle aree rurali ed in questo erano complementari ai Monti di Pietà, istituiti nelle città alla fine del XV secolo ad opera dei Francescani.

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Con la loro opera tutti questi Monti si proponevano di arginare la piaga dell'usura nei confronti di chi, troppo povero per essere considerato solvibile dagli scarsi istituti finanziari dell'epoca, spesso cadeva vittima degli strozzini. Tutte queste iniziative, inoltre, elargendo i loro prestiti caso per caso in funzione delle effettive necessità (micro-credito), possono essere visti come i primi finanziatori del credito al consumo o anche come delle banche dei poveri ante litteram. I monti frumentari si diffusero particolarmente su iniziativa del cardinale Orsini, arcivescovo di Benevento, che il 14 febbraio 1694 fondò nella sua città un Monte Frumentario per aiutare i contadini bisognosi di sementi e per altre opere di beneficenza. Invitò, inoltre, i suoi parroci ad incoraggiare e sostenere iniziative simili. Quando, poi, fu eletto papa nel 1724 con il nome di Benedetto XIII, allora ordinò a tutti i vescovi dell'Italia centro-meridionale di assecondare in ogni modo l'apertura di nuovi monti, stabilendone le seguenti finalità: (a) somministrazione degli alimenti agli agricoltori poveri; (b) obbligo della restituzione, nei giorni del raccolto, con l'aumento del 5% sulle derrate prestate; (c) nomina annuale da parte del parroco di uno o più amministratori obbligati, al termine dell'esercizio, al rendiconto della gestione nelle mani dell'autorità vescovile. Ma la mancanza di garanzie, comunque impossibili da pretendere viste le pessime condizioni economiche in cui versavano i beneficiari, misero ben presto in difficoltà il funzionamento dei monti nei casi non infrequenti di insolvenza (anche di massa) nelle stagioni climaticamente sfavorevoli. Tra alti e bassi si giunse così nel 1741 quando, per volere regio, i Monti del Regno delle Due Sicilie vennero affidati ad un Tribunale Misto (laici e chierici) che doveva mettere ordine nella loro gestione.

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Ma la cura si rivelò peggiore del male in quanto, così ristrutturati, furono soggetti a pesanti tasse ed inoltre caddero nelle mani dei borghesi che ne disposero secondo i propri interessi, tradendo i principi per i quali erano stati creati. La situazione dei Monti peggiorò sempre più finché il 17 ottobre 1781 Ferdinando IV di Borbone si vide costretto ad intervenire e con un dispaccio ordinò che si facesse luce su tutte le malversazioni perpetrate ai loro danni. Volle anche la fondazione di un Monte Frumentario del Regno con un capitale di mezzo milione tratto dai fondi accumulati per le sedi vescovili vacanti. Grazie a quest'intervento i contadini indigenti residenti nelle aree depresse del regno potevano ottenere prestiti all'interesse annuo del 3%. La nascita della Repubblica partenopea del 1799 segnò un nuovo momento di crisi per questa iniziativa: il Monte Frumentario del Regno venne soppresso ed i capitali incamerati mentre i singoli Monti Frumentari finirono in balia delle autorità municipali che li svendettero a nobili e piccoli borghesi amici. Con la Restaurazione i Monti Frumentari risorsero e furono regolamentati da un nuovo decreto regio emanato il 29 dicembre 1826 da Francesco I. Esso stabiliva che fossero gestiti da un amministratore eletto dal consiglio comunale che doveva dar conto del suo operato direttamente al Capo della Provincia. Prevedeva, inoltre, che Controllori Regi appositamente nominati facessero ispezioni saltuarie, improvvise e scrupolose ai diversi Monti per scoprire e denunziare gli amministratori infedeli. Le garanzie offerte da questo regolamento diedero un grande impulso alla re-istituzione dei Monti Frumentari: nel 1830 erano già circa settecento, per lo più creati grazie all'iniziativa dei contadini stessi; a questi se ne aggiunsero 173 riaperti dopo il recupero dei beni di quelli soppressi ed altri 250 per la vigilia dell'Unità d'Italia creati grazie a lasciti, donazioni e con la somministrazione di frumento delle pie Confraternite.

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Nel 1860, alla vigilia della caduta del regno delle Due Sicilie, se ne contavano oltre mille. Questo testimonia il successo dell'iniziativa. Dopo il 1863 i nuovi ordinamenti unitari3 non solo impedirono la formazione di nuovi Monti Frumentari, ma una legge del 10 marzo 1865 li pose, in qualità di Opere Pie, sotto la tutela delle Deputazioni Provinciali, abolendo anche l'obbligo per gli amministratori di rendicontare l'operato attraverso la presentazione di bilanci preventivi e la verifica di quelli consuntivi. Questa mancanza di controllo ne decretò la fine definitiva. Dopo qualche anno quelli che ancora sopravvivevano furono trasformati in casse di risparmio. Ma il loro ruolo non era del tutto tramontato se nel 1904, quando fu emanata le legge speciale per la Basilicata, fra i compiti dell'istituenda Cassa per il Credito agrario, vi era quella di fare anticipazioni ai Monti frumentari. In parte le funzioni dei Monti frumentari, a partire dagli ultimi decenni dell'Ottocento, furono ricoperte dalle casse rurali, che sulla spinta della prima, fondata nel Veneto, in provincia di Padova, dall'israelita Leone Wollemborg, trovarono una grande diffusione soprattutto per merito di quella parte del basso clero cattolico, più vicino alle istanze sociali. (da Internet)

3 Con l’Unità Nazionale, lo Stato Italiano, attraverso il decreto “Pepoli” del 1860, confisca e incamera tutti i beni della Chiesa, sciogliendo gli ordini religiosi e confiscandone tutti i beni. Per poterli fare sloggiare dai loro conventi, molto spesso, i religiosi venivano ingiustamente accusati di alto tradimento, poiché, secondo la falsa accusa, offrivano rifugio ai nemici dell’Unità Nazionale. Fu tale legge che impedì l’andamento dei Monti Frumentari fino a bloccarli, soprattutto quelli dipendenti dalla Chiesa. 38

“NIZ PO GRAD”

BASSORILIEVI PER IL CENTRO STORICO

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IL MANOSCRITTO SULLO STATO DELLE ANIME

Negli archivi parrocchiali si conserva un manoscritto di 96 pagine, intitolato: “Stato delle Anime 1852 allegati fascicoli 2 di epoca precedente”, in cui sono stati rilegati 5 fascicoli relativi al censimento della parrocchia, secondo l’ordine seguente:

1) “Stato delle Anime” completo nel comune di Montemitro nell’anno 1852. Da “Casa prima” a “Casa 138”. Al 1° Gennaio 1853. 684 “anime”. Compilato al tempo di Don Pasquale Simigliani (1835-1869), Don Cesare Cocciolillo e Don Enrico Cipriani. 30 pagine.

2) “Stato delle Anime” completo. In forma molto sintetica. Anni 1861-93. 882 “anime”! Molto probabilmente compilato da Don Pasquale Simigliani (1835-69). 3 pagine.

3) “A.D. 1786” Dai riscontri fatti con altri registri, è lo “Stato delle Anime” più antico, conservato in archivio. Purtroppo sono assenti le prime e le ultime pagine. I 24 fogli conservati da Casa 19 a Casa 86 riportano una somma parziale di 483 “anime”. Il censimento è stato compilato da Don Biase Bartolino (parroco dal 1785 al 1788). 24 pagine.

4) “A.D. 1791” Dai riscontri fatti con altri registri, lo “Stato delle Anime” risulta essere del 1791.

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Compilato al tempo di Don Eduardo Mancini (parroco dal 1790 al 1804) e da Don Biase Bartolino. Purtroppo sono assenti le prime pagine. Parte da Casa XXIV fino alla Casa XC. Per un totale di 508 anime. È interessante notare come il paese termina con altre due zone: “La Costa” con cinque 4 Case ed “Extra Menia” con due Case. 19 pagine.

5) Anno 1792. Stato incompleto. Da “Casa I” a “Casa LXXVIII”. Fatto da Don Eduardo Mancini. Anche questa documentazione è parziale: mancano le ultime pagine. Il censimento parte dalla casa più vicina alla “chiesa vecchia”, per poi proseguire verso la nuova chiesa e oltre. Si compone di 78 Case e si divide secondo zone ben precise, per un totale (parziale) di 437 anime. Il “Borgo della Chiesa Vecchia”, va dalla Casa I (della fam. Blascetta) alla casa XII (della fam. Giorgetta). La “Piazza del Fondaco”, da Casa XIII a Casa XLVIII; tale zona è ulteriormente divisa in: “Piazza del Fondaco a piede” (due Case), “Ruga5 a sinistra” (cinque Case), “La ruga del piano” (sei Case), “Terza ruga a sinistra” (cinque Case), “Ruga 4 a sinistra” (una Casa), “Ruga 5 a destra” (due Case), “Ruga 6 del Fondaco” (tre Case), “Piano del Fondaco, e ruga 7” (otto Case), “Piazza del Fondaco a capo” (quattro Case); abbiamo poi il “Borgo sotto la Chiesa”, da Casa XLIX a Casa LVII; la “Piazza del Celso6 ed il Castello”, da Casa LVIII a Casa LXX; “La Gradina, ed il Colle”, da Casa LXXI a Casa LXXVIII. 20 pagine.

4 Fuori del centro abitato. 5 Vicolo, detto oggi in dialetto: “Ruva”! 6 Molti ricordano il Gelso che c’era in prossimità di tale piazzetta. 41

LA CAPPELLA DI S. LUCIA – Posa della prima pietra.

Negli archivi parrocchiali si conserva un avviso relativo alla costruzione della Cappella di S. Lucia, che qui riproduciamo.

AVVISO SACRO

Posa della prima pietra della restauranda Cappella di S. LUCIA V. M. IN MONTEMITRO

A Fontegrande, contrada del territorio di Montemitro, sorgeva un tempo una Cappella dedicata a S. Lucia: ed ultimamente se ne vedeva una traccia in un mucchio di macerie. La fede e la devozione vivissima dei fedeli mal sopportava quella rovina, e avrebbe desiderato consacrare quel terreno riedificandovi la Cappella di S. Lucia come un tempo. Quello che era stato finora un desiderio inattivo, ora tutta una fiamma di santo entusiasmo. Dal 12 gennaio u.s.7 ogni giorno si è lavorato alacremente dai devoti di Montemitro, da quelli venuti da S. Felice e da Montefalcone, raggiungendo alle volte il numero di 200 persone. Dagli avanzi dei muri, dall’abside rotonda, da un avanzo di uno stipite lavorato della porta, dalla presenza di cadaveri è dimostrato che trattasi di una vera cappella, che la costante tradizione assicura dedicata a S. Lucia. Ora sono state scavate le fondazioni, cotta la calce, trasportate le pietre, resta di festeggiare con solennità la posa della prima pietra; il ché avverrà luogo il 21 febbraio. L’iniziativa è certo bella e santa, e merita di avere l’appoggio di tutti i devoti di S. Lucia. Nel dare questa notizia siamo sicuri di fare cosa gradita a tutti quelli che intendessero prendervi parte. Anzi, essendo la devozione a S. Lucia vivamente cara e diffusa non solo a

7 Ultimo Scorso 42

Montemitro, ma anche in molti paesi circonvicini, si è stabilito che tutti i paesi potranno avere l’onore di porre a proprio nome la prima pietra benedetta. Tutti i pellegrini di un paese si uniranno in gruppo e eleggeranno un rappresentante; e fra i rappresentanti dei diversi paesi nel giorno della cerimonia si svolgerà la gara per stabilire il maggior offerente, al quale spetta l’onore di collocare a posto insieme con il sacerdote la prima pietra benedetta.8 Il nome di quel paese resterà scritto a perpetua memoria su di una lapide da collocarsi nella facciata esterna della Cappella. L’offerta da farsi sarà calcolata in grano, che verrà ritirato solo dopo il 15 agosto c.a.9 In attesa di fraternamente riunirci in numeroso, devoto pellegrinaggio per onorare la nostra gloriosa protettrice S. Lucia, ne preghiamo su tutti la continua protezione e le grazie più belle.

PROGRAMMA 21 Febbraio 1932 Ore 8 – Nella Chiesa parrocchiale di Montemitro S. Messa cantata, indi processione con la statua di S. Lucia a Fontegrande, al luogo dell’erigenda Cappella. Ore 10 – Pubblica gara fra i rappresentanti dei paesi intervenuti per stabilire il maggior offerente. Ore 10,30 – Solenne rituale benedizione della prima pietra, posa della medesima. Parole di circostanza. Musica del concerto. Fuochi. In fine si ritorna processionalmente alla Chiesa parrocchiale, dove sarà impartita la Benedizione Eucaristica. IL COMITATO

8 Dal documento “Sottoscrizione di libere oblazioni in onore di S. Lucia per la posa della prima pietra della Cappella” in data 10 aprile 1932, risultano raccolti: 300,00 Lire e 54 quintali di grano - da 190 famiglie, di cui il maggior offerente è stato il Dott. Giorgetta Cav. Nicola e famiglia. Dalle testimonianze orali, però, risulta che, chi ha aiutato il sacerdote nella posa della prima pietra è stato il signor Domenico Daniele! 9 Corrente Anno 43

Nota Bene

Dai registri conservati in archivio risultano i seguenti dati: - Il comitato responsabile per la costruzione della Cappella di S. Lucia, svolse il suo compito dal 14 febbraio 1932 al 31 dicembre 1941, anno in cui estinse tutti i debiti. - La prima festa alla Cappella è di domenica 10 aprile 1932. Tale data fissa si protrarrà solo per i primi quattro anni. Successivamente sarà mobile: la prima domenica dopo Pasqua. Data la sua “non compatibilità” con il “Tempo liturgico quaresimale o pasquale”. Da notare, che dai registri contabili non risulta esserci stata nessuna festa alla Cappella nel 1943! - Il 9 aprile 1933, il signor Alessandro Giorgetta fu Luciano, inizia la lavorazione in pietra dell’ingresso principale. - Il 24 febbraio 1934, a Vasto viene acquistato il legname per il tetto della Cappella. - Il 25 maggio 1934, il signor Nicola Costantini inizia la lavorazione del portone dell’ingresso e il signor Pietro Golati inizia a fare le finestre. - Nel 1943 il signor Stanislao Costantini fa il finestrone e il signor Cesare Boschi fa il quadro di Santa Lucia – secondo la tradizione donato dalla signora Clara Ragni. Dunque, considerando che la copertura della Cappella è stata terminata nel 1934, che le ultime voci relative ai lavori della Cappella sono del 13 dicembre 1937, poi del 20 aprile 1941 – giorno della festa – e infine del 1943, si può dedurre che la durata complessiva dei lavori sia stato di undici anni! - Nel 1960 viene rifatto il tetto con la piccola campana. - Nel 1984 il signor Magnacca Adelchi rifà le due porte. - Verso la fine degli anni 90 il signor Mario Giorgetta, figlio del fu Alessandro, rifà il pavimento della Cappella.

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“ DAI TESORI DELLA TRADIZIONE ORALE ”

In questo capitolo riporto svariati racconti ascoltati personalmente. Essi vanno letti nel rispetto di chi liberamente manifesta la propria fede e cultura antropologica.

1) Testimonianza della signora Lucia Venturino sulla probabile apparizione di una Signora (La Madonna? Santa Lucia?), cui avrebbe assistito suo nonno materno Luigi Giorgetta, alla presenza di sua madre Nicolina Giorgetta, la quale allora aveva 11 anni. “Secondo quanto riferitomi da mia madre, nei pressi dei ruderi di una antica chiesa sita in zona “Selo”, dov’era presente una vecchia fontana, mio nonno vide una signora tutta sola e le fece capire mediante gesti, essendo sordomuto, di andare con lui e mia mamma in casa loro a dormire. La signora, vestita con un abito scuro tempestato di stelle e con una corona sul capo, gli rispose che non poteva seguirli perché quella era casa sua e quindi doveva rimanere lì. Mio nonno Luigi, insistette e chiese anche a mia mamma di convincere la Signora ad andare con loro, vista la tarda ora, ma mia mamma, siccome non vedeva la donna descrittagli da mio nonno, si spaventò e di fronte all’insistenza di nonno scoppiò a piangere, facendogli capire che lei non la vedeva. Mio nonno Luigi, presa consapevolezza della situazione decise d’incamminarsi con mia mamma verso casa. Lungo la strada del ritorno ad un certo punto il mulo sul quale era in groppa mia mamma scivolò all’inizio di un burrone, ma inspiegabilmente non precipitò, perché da come mi spiegò mia mamma, questo si fermò o meglio s’immobilizzò e rimase nella stessa posizione fino a quando non giunsero in soccorso alcuni compaesani, i quali si erano allarmati non vedendoli tornare in paese, visto che il sole era già tramontato da un bel pezzo. Mia mamma una volta portata in salvo raccontò ai presenti dell’apparizione che ebbe suo padre. Tuttavia, in questa vicenda, ad oggi, non mi è ancora chiara l’identità di questa signora, che

45 potrebbe essere sia la Madonna, che santa Lucia, come molti degli informati pensano.” (Mi ha riferito la Signora Venturino, che una volta sua mamma ha chiesto a suo padre Luigi se avesse visto altre volte la “Signora”, e lui rispose di sì! Sempre lei mi ha detto che suo nonno ha messo una croce di legno nella sua proprietà nella zona “macchie”! Molto probabilmente, ne mise anche altre: compreso “na Staz”, là dove il mulo si bloccò! Lo fece per ricordare eventi “strani” a lui accaduti?)

2) Testimonianza della signora Onorina, figlia di Maria Lalli (1882-1970): “Mia mamma, all’età di circa 15-16 anni, ha sognato di essere in località ‘Munat’. Mentre pascolava le pecore, vede Santa Lucia che le dice: ‘Ti dico io dove si trova la Cappella’. La Santa si incammina e mia madre la segue e nota che portava calzini rosso e blu! Arrivati sul luogo, la Santa le fa vedere tutto nei minimi particolari e le dice ‘Se fanno la chiesa qui io torno indietro’. Mia madre poi racconta tutto il sogno a Carmine Sammartino. Quando poi puliranno il luogo della Cappella, Carmine troverà tutto quello che mia madre gli aveva riferito, compreso le ‘galete’. Utensile in legno usato dai primi venuti”.

(Dal fu Dante Cocciolillo, ho saputo che la “galeta” era un contenitore in legno o ceramica, usato al massimo fino agli inizi degli anni trenta del secolo scorso. Era profondo circa 30 cm, alla base era largo circa 10 cm allargandosi in crescendo fino a circa 25 cm, poteva contenere circa 5 litri. Era accompagnato quasi sempre da un imbuto di legno. La caratteristica di questa specie di “tazzina” era nel suo manico, non era orizzontale come vediamo in quelle di oggi, ma perpendicolare! Veniva usato soprattutto per attingere in sorgenti strette dove si prelevava l’acqua per immersione.)

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3) Se ricordo bene, avevo una decina d’anni, quando a casa di mia nonna, Letizia Marchesani (1913-2003), forse anche alla presenza di Nicolina Giorgetta fu Luigi, ascoltai di come Santa Lucia apparve al padre di Nicolina nei pressi dell’attuale Cappella di Santa Lucia. Ricordo solo che fu detto come, nel suo linguaggio di sordo muto, egli disse a mio nonno Antonio Giorgetta di aver visto anche delle stelle! Una volta andati in chiesa, il signor Luigi, guardando la Vergine Martire, riconosce le stelle che aveva visto in precedenza.

4) Testimonianza di una signora di Montemitro, della quale rispetto l’anonimato: “Avevo circa 12-13 anni circa, quando una sera ero a casa con i miei genitori. A un certo punto arriva il signor Luigi Giorgetta, che era venuto a piedi dalla campagna, lascia fuori dalla porta l’accetta, che portava sempre con sé, ed entra dentro. Io un po’ il suo linguaggio lo capivo. Appena mi vede mi prende in giro e mi dice ‘Quanto sei bella’, io gli dissi: ‘No’! Poi raccontò a mio Padre di aver visto una donna seduta sui ruderi della Cappella a Fontegrande, dove ora c’è la porta dietro l’altare. Lui pensava che fosse Carmina Michilli. Appena si avvicinò vide che era molto bella. Facendosi il segno di croce le fa capire che è l’ora dell’Angelus e quindi è tardi, per cui si sta facendo buio e bisogna rientrare in paese. Ma lei gli dice che non può, anzi lui deve andare in paese per dire che devono finire la costruzione della Cappella perché lei voleva stare dentro e non più seduta lì fuori. Mio papà con altre persone faceva parte del comitato per la costruzione della Cappella, un comitato i cui membri avevano firmato di fronte ad un notaio a Celenza”.

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5) Testimonianza della stessa signora: “Alla fine del mese di ottobre 1918 la signora Lucia La Melza sognò S. Lucia che implorava S. Antonio da Padova: ‘Antonio, spegni questo fuoco’. Il 4 novembre successivo la prima guerra mondiale cessò. In seguito a tale sogno, anche con il contributo delle vedove e delle mamme dei soldati morti, fu fatto il ‘trionfo’ alla Santa”. Una struttura in ferro battuto, usata ancora oggi per portare in processione la statua della Santa.

6) Mio nonno, Antonio Giorgetta (1888-1970), raccontò a mio padre, come Luigi Giorgetta, il sordo muto, con un’accetta, fece una croce molto rozza, che piantò là dove ora sorge la croce di ferro sul piedistallo in mattoni in località detta “Staza”. Chi gli ha detto di fare e di mettere proprio lì quella croce? Santa Lucia? Mistero!

7) Testimonianza della signora Teresa Costantini: “Si raccontava che una ragazza di Montemitro sognò la Madonna delle Grazie. Ella le disse di come fosse inutile che pregassero contro la prolungata siccità per avere la pioggia, poiché se pioveva, la statua si sarebbe bagnata, dato che il tetto della vecchia chiesa era rotto! Allora il prete, anche se incredulo, fece trasferire la statua dalla vecchia chiesa alla nuova. Un nuvolone già si vedeva su Palmoli! Appena entrati nella nuova chiesa venne giù una grande pioggia”. Sempre Teresa, racconta come durante la peste della “spagnola” del 1917, il 27 settembre suo nonno, che era sacrestano, propose di fare il giro del paese con la statua di S. Rocco! Le campane smisero di suonare a morto! Per quasi un mese morirono molti giovani e bambini. Sempre la signora Teresa afferma come suo padre e prima ancora suo nonno, le abbiano detto che la centralina elettrica costruita in via Marconi è posizionata proprio nello stesso posto dove si ergeva il campanile della vecchia chiesa di S. Michele Arcangelo.

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8) Testimonianza della fu signora Lucia Matera: “Essendo nata nel 1919, avevo circa 5 o 6 anni, quando l’11 giugno, con un gruppo di 20 - 25 persone, eravamo nel santuario di Casalbordino, quando, senza accorgercene, si avvicina un signore che chiese alla signora Santucci Concetta (mamma di Giovanni Barattucci) da quale paese venivano, lei gli disse: “Non te lo dico perché comunque voi non potete conoscerlo”! Dopo varie insistenze da parte dello strano personaggio, lei rispose: “Da Montemitro”. Lui le disse: “Io vado spesso a Montemitro. All’ingresso del paese c’è la chiesa di San Michele, sulle cui rovine c’era un’edera (“škrabut”) che faceva suonare un campanello quando le capre andavano a mangiarla”! La signora Lucia continua dicendo che lo strano personaggio rivelò a tutti loro il vero nome della chiesa quando tutti sapevano che si chiamasse di Sant’Angelo! E aggiunse che egli come misteriosamente arrivò così misteriosamente sparì! Era S. Michele? Quando io, poi, le dissi che Don Nicolino mi aveva dato la copia di un documento del 1700 in cui si parla di tale chiesa già titolata a quel tempo a San Michele Arcangelo, lei mi guardò piena di tanta, tanta gioia poiché capì come quello strano personaggio avesse detto loro la verità!

9) Testimonianza del signor Mario Giorgetta, figlio del fu Alessandro: “Non ricordo bene l’anno preciso, ma era durante gli anni 60. Quando facemmo lo sbanco del terreno per fare le scale che attualmente sono affianco alla Cappella di Santa Lucia. Durante i lavori trovammo ossa umane che mettemmo nell’ossario comune lì affianco, fatto qualche anno prima quando trovarono altre ossa umane durante i lavori di sbancamento affianco alla chiesetta. Poi, quando, feci il marciapiede intorno alla Cappella di S. Lucia (inizio anni 90 circa), all’angolo della chiesa che dà verso est, trovai lo scheletro di un uomo molto alto, ben conservato e in ordine. Anche questi resti li misi nell’ossario comune. Quando, infine, rifeci il pavimento interno (fine anni ‘90), riutilizzando i

49 mattoni sottostanti, trovai altre ossa umane che questa volta seppellii sotto il pavimento stesso, all’angolo sinistro di chi entra dalla porta principale della Cappella”.

10) Da un mio ricordo d’infanzia ho memoria di un fatto che accadde alla fine degli anni ’70, al tempo di Don Nicolino D’Aimmo, parroco di Montemitro dal 1965 al 1996. Un mattino furono trovate scardinate le porte della chiesa, della sacrestia e la cassaforte. Rubarono un crocifisso di legno, la cui croce fu poi ritrovata nella zona “Renazzo”. Si pensò anche al furto della cassetta con i preziosi ex-voto di S. Lucia, ma appena arrivò il Don, non entrò in sacrestia ma si diresse spedito verso la statua della Madonna Addolorata (dove ora c’è la Madonna delle Grazie) e da sotto la gonna estrasse l’incolume cassetta! Nascosta lì da lui la sera prima in fretta e furia! Una bella “usanza” questa che ereditò da Mons. Gaudenzio Daniele. Con sorriso grande, si constatò come la Madonna abbia protetto dai ladri una così preziosa custodia che lega in modo indissolubile S. Lucia ai suoi fedeli.

11) Testimonianza della signora Emma Piccoli, moglie del fu Dante Cocciolillo: “Mio fratello Antonio mi diceva che spesso nostro nonno Giuseppe Piccoli fu Nicola, ripeteva spesso che nei pressi dell’attuale ‘vecchio comune’ si venerava la statua di Sant’Antonio abate. Nato nel 1860, diceva anche che si ricordava bene come nel 1866 iniziarono a seppellire i morti nel nuovo cimitero e come in quello stesso anno arrivò la statua di S. Rocco da Atessa”. “Testimonianza” avvalorata dalla scoperta di Rocco Giorgetta quando, nel 2013, scopre una scritta seminascosta proprio sul basamento della statua: “Michele Falcucci di Atessa fece 1866”.

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12) Testimonianza della signora Angelina Frani: “Avevo circa 5 o 6 anni (inizi anni 50) e ricordo molto bene come nel fare i lavori per la nuova pavimentazione stradale del pezzo del Corso di S. Lucia, che oggi va dal vecchio comune alla piazza, trovarono scheletri umani molto ben ordinati”! Poteva essere un sepolcreto intorno alla chiesetta di Sant’Antonio presso il vecchio comune?

13) Testimonianza del fu Nicola Blascetta: “Di fronte all’ingresso del deposito sottostante la chiesa, anticamente c’era un arco con un muro. Era una struttura scoperta dove vi era sterpaglia ed altro. Ricordo vagamente come all’interno c’era una piccola statua! Tale struttura era del comune che poi fu venduta a privati. Ultimamente ho saputo che essa poteva essere una vecchia chiesetta titolata a San Lorenzo”! Considerando le testimonianze precedenti, come anche il fatto che Montemitro dipendeva da un feudo, è fattibile l’esistenza di una o più cappelline sparse qua e là, dedicate a vari Santi.

14) Il fu Arduino Cocciolillo recupera e ricostruisce il vecchio tabernacolo della chiesa e vi trova un foglietto con su scritto: “Memento Domine, et miserere mei peccatory Patry Caroli a Ceppalone 1771”. Egli, poi, vi aggiunge un altro foglietto scrivendo: “Signore abbi misericordia di me quando sarò nel tuo Regno. Restaurato da Cocciolillo Arduino 26/4/1997”.

15) Più di una persona, mi hanno raccontato che nel settembre del 1943, quando in paese passò il “Fronte” della seconda guerra mondiale, un bomba entrò in chiesa. Il parroco del tempo, Don Quirino Giorgetta, anche se tutto “imbiancato” dal polverone, uscì indenne dalla chiesa. Successivamente, approfittando dei lavori di restauro, si rifece fin dalle fondamenta tutto l’angolo “Nord” della chiesa. Lavori che fece la ditta Rampa Vittorio di Montefalcone. Tutt’ora, la traccia del restauro è chiaramente visibile. 51

16) In un suo lontano ricordo d’infanzia (intorno al 1918 circa) mia nonna Letizia, mi ha raccontato come l’interno della chiesa parrocchiale era molto spoglio. Il pavimento era in terra battuta, c’era qualche panca di proprietà delle famiglie più agiate (“one galandomine”). Chi poteva si portava la sedia da casa con piccoli pezzi di mattoni in tasca da poter mettere sotto i piedi della sedia in caso di squilibrio!

17) Le mura della “vecchia chiesa” stanno cadendo (quando?). Qualcuno si è accorto che in una nicchia c’è uno scheletro seduto su un piccolo baldacchino! Sono i poveri resti di Don Cesare Cocciolillo nato nel 1810 e morto nel 1873, poi sepolto e murato in chiesa! 10 Secondo i registri, parroco di Montemitro dal 1834 al 1835. Forse i più giovani, forse i più burloni, si “svagano” di sera, facendo un macabro corteo: portano i resti del povero prete in giro per il paese. Successivamente (quando?), tali spoglie sono sepolte “a mo’ di nicchia” proprio all’interno del cosiddetto “mundun”. All’epoca c’era una stradina che passava proprio in prossimità del luogo e più o meno tra la stradina e il “mundun” può essere stato sepolto.

(Racconto a me riferito da una testimone, della quale rispetto l’anonimato, presente al momento della tumulazione. Tale persona attesta di ricordarsi esattamente come il muretto, fatto da suo padre per chiudere la nicchia, era più o meno in prossimità della chiusura, e di come gli sia rimasta impressa la vista del cranio dello scheletro! Speriamo, un giorno, si dimostri dove siano i resti di Don Cesare, almeno per ricordarlo con qualche lapide!)

10 “Pratica” del tempo in uso anche a dove tuttora ci sono alcuni sacerdoti murati nelle chiese del paese! 52

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LE QUATTRO EPIGRAFI

Nell’androne della chiesa parrocchiale si conservano quattro epigrafi. Le prime due furono catalogate dall’Intendenza delle Belle Arti di nel 1989; le altre due sono state ritrovate durante i lavori di restauro della Chiesa (2006-08), erano nascoste in una intercapedine nel muro dove ora c’è l’accesso che dà dalla sacrestia alla navata della chiesa.

MALTRV ITI LIENS D F h 0 ANNO DNI MCCCXIIII

MALTRIUS ITILIENS Dono Fecit hoc Opus ANNO DOMINI1314

Malterio Itiliense in dono fece quest’opera nell’anno del Signore 1314.

L’iscrizione, in carattere “gotico-uncinato”, probabilmente è inerente alla consacrazione della chiesa benedettina ricostruita sui resti della chiesa di San Giovanni del secolo XI, della quale abbiamo notizie riportate nelle “Memorie” di T. Giannelli. Maltrius o Malterio, poteva essere l’abate o il signore feudatario del “Mons Itiliens” – attualmente colle di Montelateglia, territorio di Tavenna - CB.

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(...) ANDREA … ANDREA REM HANC GIOR OPERA QUESTA GETTA VIATOR GIORGETTA PELLEGRINI FECERVNT IUNCTIM FECERO INSIEME SVMPTIBUS VERE SVIS SPESE VERAMENTE PROPRIE A.D. MDCCLXX (...) Anno Domini 1770…

…ANDREA OPERA QUESTA GIORGETTA PELLEGRINI FECERO INSIEME SPESE VERAMENTE PROPRIE Anno Domini 1770…

L’iscrizione databile dal 1770, purtroppo lacunosa, probabilmente menziona Don Andrea Giorgetta morto il 14 agosto 1790 e sepolto in questa chiesa. Ricorda una donazione della famiglia Giorgetta e quasi sicuramente proviene dalla distrutta chiesa di San Michele Arcangelo di cui i Giorgetta avevano il patronato, come risulta dalle “Memorie” del Vescovo di Termoli Tommaso Giannelli (1753-1768). Potrebbe essere del 1771, stesso anno del tabernacolo presente in chiesa. La parola “Viator = Viaggiatori o Pellegrini” induce a pensare ad un pellegrinaggio a “S. Michele sul Gargano”; ritornando dal quale, come “ex voto”, la famiglia Giorgetta ha edificato la chiesa in suo onore.

Il testo di queste due epigrafi è di difficile interpretazione. 55

“NOTIZIE” del sacerdote Angelo Cieri. 11

Le seguenti “notizie” sicuramente sono all’oscuro delle “Memorie” di Mons. Giannelli. Si cerca di dare una certa spiegazione alla comunità di Montemitro e alle relative chiese, ma, prive di un documento così importante, si cerca di fare una stringata sintesi relativa ai soli e non molti documenti parrocchiali. Da osservare come l’attuale chiesa parrocchiale, descritta dal Giannelli come costruita da Don Lorenzo Giorgetta, sicuramente subì un qualche abbandono da dover poi essere ricostruita da Don Giuseppe Giorgetta.

Brevi notizie della Chiesa Parrocchiale di Montemitro

Nel registro più antico che conservasi in questo archivio parrocchiale e che rimonta12 al 1702, il paesello era chiamato “Montemitolo”, forse perché posto è circondato totalmente da boschi e abitato da 17 famiglie di pastori, i quali immigrarono in Italia dalla Dalmazia. Essi, slavi d’origine, hanno confermato l’idioma sino ad oggi. L’antica parrocchia era denominata “S. Maria delle Grazie” giusto come sono registrati i rispettivi atti di nascita, morte e matrimoni. Questa piccola chiesa andò in rovina ed allora, verso il 1858, la parrocchia cambiò titolo e fu detta di S. Lucia V. e M.

11 Manoscritto avuto da Rocco Giorgetta, ricevuto a sua ricevuto da Don Nicolino D’Aimmo. 12 Risale 56

Questa chiesa di S. Lucia, oggi chiesa parrocchiale, era cappella particolare13, fatta costruire dall’Economo Curato Don Giuseppe Giorgetta14 a spese d’un devoto di S. Lucia, tanto che i vani sottostanti15 alla navata maggiore furono tenuti dal medesimo Economo Giorgetta, il quale ne dispose come proprietà sua diretta lasciandoli ai conti Cistriani di Montefalcone e che costoro esitarono pure a cittadini di Montemitro. I Rettori o parroci della parrocchia di S. Lucia furono molti sebbene in breve epoca. L’attuale parroco son io sottoscritto Angelo Cieri da Morrone nel Sannio (diocesi di Larino). Fui nominato parroco di questa Chiesa dall’Ill-mo e Rev.mo Mons. D. Raffaele Di Nonno vescovo di Termoli e poi Arcivescovo di Acerenza e Matera, sin dal settembre 1893,16 prendendone regolare possesso canonico e civile consegna delle rendite e degli arredi sacri, non escluso l’obbligo di farne restituzione e consegna quando ne sarà il caso, questo atto da me sottoscritto e registrato a Guglionesi. Le rendite costituenti l’attuale beneficio parrocchiale sono: 1° Congrua Governativa, giusto l’ultimo aumento. 2° Rendita d’un orticino in Lire 25 che per vera stoltezza del mio predecessore furono rivelate ed accondiscese a che fossero computate nella parte attiva delle rendite beneficiarie mentre, giusto atto testamentario del 1825, tale rendita costituiva, e costituisce tutt'ora, l’assolvimento di Messe ed altre pie funzioni che si celebrano nelle ricorrenze anniversarie dei testatori Marco Giorgetta e Carmine Bartolino.

13 “Particolare” – va inteso come: propria, personale, privata. 14 Parroco di Montemitro dal 1805 al 1814. 15 L’antico “Monte Frumentario”. 16 Parroco di Montemitro per 27 anni, fino al 1920. 57

La condizione della Chiesa, nello stato in cui trovasi internamente e per condizioni di statue, nicchie, candelieri ed altro, è discreta, mentre avrebbe bisogno della guglia sul campanile e restauro completo della tettoia. Vi sono nella Chiesa parrocchiale di cui si fa parola, N° 4 altari, e solo in tre d’essi vi si celebra il divino sacrificio della S. Messa; val quanto dire nell’altare maggiore di Gesù Sacramentato, nell’altare della V. SS. delle Grazie, ed in quello di S. Antonio Abate. La Chiesa è benedetta, come pure nei tre altari anzi detti, e dove vi si celebra, vi sono le rispettive pietre sante in cattivo stato. Ciò per mia discolpa. Le statue sono in N° 6 e cioè: S. Lucia, M. SS. delle Grazie, S. Antonio Abate, S. Rocco, S. Giustina17, M. SS. Addolorata. Nella parrocchia vi è un solo confessionale. Un solo organo ed in stato mediocre. Come arredi sacri dovrebbesi dire che la parrocchia ha un tesoro di veri stracci, esattamente 3 pianete ed un piviale acquistate durante la mia arcipretura. Pissidi N° 2 con rispettive vesti. Calici N° 2. Ostensorio N° 1. Incensiere d’argento N° 1 con relativo aspersorio d’argento. Vasetti per olii santi N° 3 di schiuma di piombo. Il pavimento intero della Chiesa è in pessima condizione. Come pure avrebbe bisogno di una buona imbiancatura interamente, da non escludersi eziandio accibatura di calcina alla muratura esteriore. Nel campanile vi sono sospese N° 4 campane delle quali 1 grande, una mezzana e due piccole. Nell’ultimo censimento eseguito dalle autorità civili del Regno, questa parrocchia risultò contare N° 1025 anime18.

17 Non l’attuale statua. 58

Questo paesello, che fu unito prima a Ripalta sul Trigno19 (oggi Mafalda) poi a Montefalcone ed indi a S. Felice e proprio sino al 1902, trovasi costituito in Comune autonomo da frazione qual’era periodicamente dei surriferiti Comuni, ed è posto su d’una collina sulla sponda destra del fiume Trigno che divide la provincia di Campobasso da quella di Chieti, sempre per chi mira l’azzurro mare Adriatico. Queste suddette brevi notizie riguardanti la Chiesa di S. Lucia furono richieste dall’amatissimo Vescovo Mons. D. Rocco Caliandro.

Il parroco del tempo Angelo Cieri da Morrone.

18 10 agosto 1908. 19 L'antico nome "Ripalta" (Ripa alta) non necessita di chiarimento. L'abitato ebbe tale nome per essere posto su di un colle all'altezza di m. 436, a breve distanza dal Trigno. Nell'epoca Angioina (1266-1442) era detta "Trespaldum". Rimase disabitata nella prima metà del secolo XV, rifiorì nella seconda metà dello stesso secolo, per l'interessamento degli Evoli, suoi signori feudali, che vi chiamarono gli slavi a coltivare le terre. Il Galanti scriveva nel 1780 che gli abitanti di Ripalta sul Trigno "hanno dimenticato il loro linguaggio, e parlano male l'italiano"; il disuso dell'idioma slavo è confermato dal Giustiniani nel suo "Dizionario" edito nel 1797. Nel 1799 fu inserita nel dipartimento del Sangro. Nel 1807 venne assegnata al Distretto d'Isernia ed al Governo di Montefalcone, e nel 1811 passò a far parte del distretto di Larino, restando nella circoscrizione del Circondario ed ora Mandamento di Montefalcone. Per R.D. 25 settembre 1862 il Comune di Mafalda venne staccato dal Mandamento di Montefalcone ed aggregato al Mandamento di Palata.

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IL CAMPANILE DI MONTEMITRO

Il campanile fu totalmente rifatto nel 1926 anche con il contributo della vendita del

“tesoro” di S. Lucia!

Il meccanismo originale del primo orologio è del 1925, messo “in pensione” nel 1982. L’attuale meccanismo con quadrante è del 1996.

Sulla vetta del campanile svettano due piccole campane per “ l’ora e la mezz’ora ”. La superiore, con l’effige di S. Rocco, è stata rifusa nel 1926; l’inferiore, con l’effige di Santa Lucia, è del 1948.

La campana che dà a Sud-Est è stata rifusa nel novembre 1902, di kg 500 circa - diametro 94 cm, con le effigi della Madonna delle Grazie e di Sant’Antonio Abate.

La campana che dà a Sud-Ovest è stata fatta nel dicembre 1996, di kg 441 - diametro 86 cm, con le effigi di Santa Giustina, di San Rocco e di Santa Lucia.

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La campana che dà a Nord-Ovest è stata fatta nel dicembre 1948, di Kg 301 - diametro 79 cm, con l’effige di Santa Lucia.

La piccola campana che dà a Nord-Est è stata rifusa nel 1926, di kg 39 - diametro 40 cm, con l’effige della Madonna Addolorata. Prima del 1996 era a Sud-Ovest. Si suonava per la scuola, per il catechismo (“lutrina”) e per i “morticini”, cioè quando morivano i bambini…!

Da evidenziare un fatto curioso! La “buonanima” dell’avvocato Domenico Giorgetta, mi ha detto che suo padre gli raccontava come in concomitanza con la ricostruzione del campanile (1926) venne scavato anche un pozzo presso il loro casolare in contrada “Solagna”, località “Cerreto”. Lo scavo e la costruzione andavano di pari passo! La profondità del pozzo (ora pieno di detriti) era uguale all’altezza del campanile - circa 14 metri.

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L’OROLOGIO “a 6 Ore”

Anche Montemitro ha il suo orologio “a 6 Ore”: a ridosso della parete Sud- Ovest del campanile, difficilmente visibile dalla strada, se non una piccolissima parte. Questi orologi - meglio conosciuti come orologi alla romana, perché diffusi soprattutto a Roma e nell’ambito religioso del Lazio - non riportano la tradizionale suddivisione del tempo in XII ore, ma in VI. Sono orologi solari, che indicavano, al suono delle campane, le antiche Ore Italiche adottate a Roma dalla Chiesa dalla fine del 1200 al 1800. Queste Ore venivano scandite considerando l’inizio della misurazione del tempo dall’Ave Maria della sera, alla fine del crepuscolo, cioè circa mezz’ora dopo il tramonto del sole, e non più dalla mezzanotte, come era consuetudine. Erano quindi necessari quattro giri completi dell’unica lancetta per arrivare a segnare le 24 ore, suddividendo così la giornata in quattro intervalli da 6 ore ciascuno. Per garantire una migliore comprensione dell’ora, era anche prevista la cosiddetta ribotta: dopo circa un minuto, si ripeteva lo stesso numero di rintocchi per rendere così comprensibile l’ora anche per i più distratti. Successivamente, ci fu l’invasione delle truppe napoleoniche nel territorio italiano che portò all’introduzione delle ore dette “Oltramontane” o “alla Francese”, in cui la giornata iniziava con la mezzanotte ed era divisa in due intervalli di dodici ore.

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Questo tipo di conteggio del tempo, in breve, venne adottato in tutta Europa. Lo Stato Pontificio, una volta allontanati i francesi, tentò di ripristinare l’antica misurazione del tempo, secondo le Ore Italiche, ma fu costretto a rinunciarvi, adottando a sua volta quello che era ormai divenuto un metodo di conteggio universale. Il modo di dire "portare il cappello sulle ventitré" trae origine proprio dalle ore italiche: mettere il cappello inclinato sulla fronte per riparare gli occhi dai raggi del sole basso sull'orizzonte.

Panoramica dal campanile (Foto di Floriano Giorgetta)

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UN ANTICO GIOIELLO

Il 17 febbraio 1989 il ministero italiano per i beni culturali e ambientali, fa un inventario dei beni della parrocchia di Montemitro, tra cui un organo situato nella cantoria, ora spostato:

Oggetto - Mostra d’organo, opera isolata.

Cronologia - Secc. XVIII / XIX, ultimo / primo quarto, 1775 – 1824. Motivazione - Analisi stilistica.

Ambito culturale - Bottega molisana, motivazione dell’attribuzione: analisi stilistica. Materia e tecnica - Legno scolpito, intagliato, dipinto.

Misure - Altezza: 173 – larghezza: 143 – profondità: 66.

Stato di conservazione - Cattivo – indicazioni specifiche: sbrecciature, lacune, perforazioni da xilofagi. Restauri - 01/05/48 – Antonio Petrone.

Descrizione oggetto - Organo collocato sul portale d’ingresso su tribuna rettilinea in muratura. Racchiuso in cassa assestante con cornice barocca e mostra piatta con volute dorate. Portelle non più esistenti. Cassa trattata con tinta grigia. Canne di facciata, tinteggiate con porporina argentea, formanti tre cuspidi; bocche delle canne della campata centrale allineate, quelle delle campate laterali degradanti verso il centro, labro superiore a mitria. Tastiera scavezza in osso ed ebano. Non ha pedaliera.

Iscrizioni - Non è stata rinvenuta alcuna iscrizione.

Notizie storico-critiche - Il manufatto presenta caratteri stilistici che lo collegano all’attività delle botteghe molisane di artigiani del legno. La sobrietà dell’ornato fa propendere per una datazione al tardo settecento, soprattutto in relazione all’organo

64 della chiesa matrice di Tavenna datato 1816. Organo di buon pregio databile intorno al sec. XVIII.

Osservazioni - N. 1 tastiera nella finestra sotto il prospetto, con 45 tasti; ambito: 001-005; prima ottava corta; tasti ricoperti in osso ed ebano; registri: a destra della tastiera su due file verticali, tiranti in ferro con pomelli in ottone; elenco registri: principale / voce umanaottava / flauto in VIIIXVXIXXXII tiratutti (a pomello) somiere a tiro, in noce; n. due mantici a cuneo posti all’interno della cassa e azionati da due stanghe; canne esterne ed interne: prospetto a tre cuspidi, composto da 19 canne di stagno con bocche non allineate; canne di facciata trattate con porporina; canne interne: bocche sotto il crivello; materiale fonico integro e restaurabile; trasmissione meccanica a catenaccio; accessori: tira del ripieno (a pomello), manetta di legno per il tremolo. ------Nel settembre 2013, alcuni giovani di Montemitro fanno una grande scoperta, rinvengono il documento qui riportato che data l’origine dell’organo. L’asse di legno sul quale si trova attaccato tale documentazione era uno degli sportelli posteriori dell’organo usato nel tempo come tavola per fare il presepe in chiesa…!

1 Settem. Fondato nell’Anno 1785 da Donato Antonio Ciavarelli Vallett(a) organaro di Castiglione ------Restaurato nell’anno 1943 (da) Rocco Catolino organaro di A(gnone) a spese dei soldati della guerra m(ondia)le 1940 – 1944. Per cura dell’Arciprete Sac. Giorgetta Don Quirino – Parroco – Da Montemitro - 65

“RESIDUO La cosiddetta “KOTORATA” BELLICO”

“Per gli asinelli…”

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“MAI PIU’ LA GUERRA” (San Giovanni Paolo II)

PER NON DIMENTICARE

Il sacrificio del Cap. Leopoldo Lalli e di tutti i nostri Caduti

Lalli Leopoldo di Giovanni e di Lalli Vittoria, nato il 18 aprile 1889 a Montemitro (ultimo di otto figli), si arruola per partecipare alla guerra di Libia tra il regno d’Italia e l’impero Ottomano dal settembre 1911 a ottobre 1912 ( “Tripoli bel suol d’amore “ era il titolo di una canzona allora cantata).

Fervido sostenitore dell’intervento dell’Italia nella guerra contro l’Austria- Ungheria, per la liberazione delle terre irredenti, si arruola volontario. Viene assegnato al 137° reggimento fanteria della Brigata Barletta col grado di sottotenente aiutante maggiore.

Appena due mesi dopo l’inizio delle ostilità dimostra, in zona di operazioni, coraggio ed eroismo, così da essere insignito di medaglia d’argento al V.M., con la seguente motivazione: “Durante un assalto, visto cadere gravemente ferito il proprio comandante di battaglione, lo portava al sicuro in una retrostante trincea. Avendo poi visto un gruppo di soldati dispersi, li riuniva e li riconduceva all’assalto insieme con altro reparto del battaglione. Ferito continuava a combattere. Monte Sei Busi, 2 agosto 1915”.

Per gli atti eroici compiuti viene promosso capitano. 67

La foto cartolina ritrae, in tenuta di libera uscita il capitano Lalli Leopoldo, indicato dalla freccia, con alcuni componenti della sua compagnia del 137° Reggimento fanteria Brigata Barletta. La cartolina ricordo, datata 11.11.1915, è spedita con i saluti al Sindaco di Montemitro, Cocciolillo Giovanni, suo cognato, in quanto marito della sorella Lalli Irene. Nel 1916 è assegnato al 205° Reggimento fanteria Brigata Lambro, appena dopo la sua costituzione. La foto di gruppo di tenenti, capitani e altri ufficiali di grado superiore del 205° mostra anche il capitano Lalli Leopoldo, indicato dalla freccia. La foto è scattata nell'aprile 1916 nel vicentino, dove la Brigata è stata raccolta il 4 aprile fra Marostica e Nove di Brenta. Il 205° Reggimento rimane nel vicentino fino al 22, per poi trasferirsi, insieme al 206°, appartenente anch'esso alla Lambro, nell'altopiano di Asiago, alle dipendenze della 34A Divisione, a sostegno di altri reparti e in differenti punti del settore. Quando si scatena l'offensiva nemica, chiamata "Strafexpedition" (spedizione punitiva) il 205° Reggimento fanteria Brigata Lambro è a sostegno sul monte Costesin del 161° e 162° Reggimento della Brigata Ivrea e della Brigata Alessandria. "Il monte Costesin, già teatro di lotte nel 1915, diviene protagonista nel maggio 1916. All'alba del 15 maggio l’artiglieria

68 austriaca comincia il suo "inferno di fuoco", un concentramento di artiglieria record per la grande guerra. Particolarmente impressionante è il bombardamento del Costesin". "All'alba del 21 maggio si porta all'assalto tutto il corpo d'armata austriaco contro forze italiane che si presumono ormai annichilite dal cannoneggiamento. Gli italiani hanno l'obbligo perentorio di resistere ad oltranza e si battono accanitamente per arrestare l'invasore, ma i loro sforzi non reggono alla superiorità numerica avversaria e riportano gravissime perdite fra caduti e dispersi (85 ufficiali e 3429 uomini di truppa). Nella battaglia del 21 maggio è dichiarato disperso anche il capitano Leopoldo. Aveva compiuto, da appena un mese, 27 anni di età. Nel fiero ricordo del suo eroe, Montemitro ricorda con la posa di una targa di marmo.

MEDAGLIA D'ARGENTO Alle Bandiere della Brigata Lambro (205°, 206° Fanteria)

“Per l'impeto travolgente e l'indomito coraggio con cui spezzarono l'accanita resistenza avversaria a quota 188 di Oslavia; per il largo tributo di sangue versato e per l'incrollabile tenacia con cui proseguirono all'avanzata oltre l'Isonzo e combatterono aspramente al Cimitero di Gorizia. Per la costanza ed il valore dimostrati durante i lunghi mesi nei quali tennero fieramente le posizioni di S. Marco (Quota 108 di Oslavia e Cimitero di Gorizia, 6 - 10 agosto 1916; S. Marco, settembre 1916 - luglio 1917)". (Boll. Uff., anno 1920, disp. 86) 69

Preghiera per la pace

Dio dei nostri Padri, grande e misericordioso, Signore della pace e della vita, Padre di tutti.

Tu hai progetti di pace e non di afflizione, condanni le guerre e abbatti l’orgoglio dei violenti.

Tu hai inviato il tuo Figlio Gesù ad annunziare la pace ai vicini e ai lontani, a riunire gli uomini di ogni razza e di ogni stirpe in una sola famiglia.

Ascolta il grido unanime dei tuoi figli, supplica accorata di tutta l’umanità: mai più la guerra, avventura senza ritorno, mai più la guerra, spirale di lutti e di violenza; fai cessare le guerre tutt’ora in corso, minaccia per le tue creature, in cielo, in terra ed in mare.

In comunione con Maria, la Madre di Gesù, ancora ti supplichiamo: parla ai cuori dei responsabili delle sorti dei popoli, ferma la logica della ritorsione e della vendetta, suggerisci con il tuo Spirito soluzioni nuove, gesti generosi ed onorevoli, spazi di dialogo e di paziente attesa più fecondi delle affrettate scadenze della guerra.

Concedi al nostro tempo giorni di pace.

Mai più la guerra.

Amen. (San Giovanni Paolo II)

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“BATURAK” – “BATACCHIO”

ĆIČINA TRUFULA (Anfora per l’acqua) (Piccola anfora per il vino)

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LA “SCUOLA MATERNA” DI MONTEMITRO

Dagli archivi parrocchiali risulta, che verso la fine degli anni ’50 del secolo scorso, con il contributo della “Cassa per il Mezzogiorno”, l’allora parroco don Gaudenzio Daniele, decise di costruire un asilo infantile di proprietà della Parrocchia. Per la costruzione di tale edificio - all’inizio - la legge prevedeva un terreno di almeno 500 mq. Con la Delibera del 4-5- 1958, il consiglio comunale approvava tale costruzione usufruendo del terreno edificabile di tre particelle tra loro confinanti (foglio 10): 143 mq della Chiesa Vecchia, particella “A” + 107,50 mq del comune, particella 111 + 270 mq del signor Laurenzio Ercole Felice, particelle 110 e parte della 107; per un totale di 520,50 mq. Nel frattempo, però, con la delibera del 14- 05-1958, la “Cassa per il Mezzogiorno” fece sapere che il terreno doveva essere di almeno 800 mq! I restanti 340 mq vengono così presi dalla particella 107 del Signor Laurenzio. In conclusione la Parrocchia, già proprietaria dei 143 mq della Chiesa Vecchia, diventò proprietaria anche dei restanti 107,50 mq donati dal comune e dei 610 mq venduti dal signor Laurenzio; per un totale di 860,50 mq. Forse volutamente, la costruzione dell’edificio non ha intaccato il sepolcreto della Vecchia Chiesa (chiamato “jama”), sul quale oggi c’è un prato, che fa da corona all’edicola della Beata Vergine Maria, fatta costruire da Don Nicolino D’Aimmo, che tanto si è profuso per gestire il suddetto asilo, inaugurato nel 1963, oggi a lui titolato. Con una convenzione 25-nale, stipulata nel 2010 tra la curia di Termoli e il comune di Montemitro, attualmente l’edificio, di proprietà della Parrocchia, è gestito dal comune stesso. (Chiesa Vecchia – Impianto catasto 1937) 72

PREGHIERE E CANTI

Le preghiere, gli inni e i canti qui riprodotti provengono da un manoscritto, conservato negli archivi della parrocchia di Montemitro, probabilmente risalente ai primi decenni del ‘900 ai tempi di Don Angelo Cieri.

1) Alla Vergine

O Augusta Vergine Bella qual’iride Madre di amore cara celeste conforta un’anima tu sei pel misero nel suo dolore. tra le tempeste. So’ che ti chiamano Le amare lagrime Consolatrice porte a te sola dell’infelice tu mi consola che viene a te. nel mio dolor.

L’amara storia Fra tanti palpiti degli anni miei del mio delitto narro a te, Vergine, vengo a te, Vergine, che madre sei. col cuor trafitto. Tu sol sei tenera E col tuo candido dell’alma mia materno manto cortese e pia asciuga il pianto ti mostri a me. d’un peccator.

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2) A Maria SS. del Rosario

La bella tua corona Deh con l’eletta prece io stringo in man, Maria, raffrena il Figlio, il Padre, è vera gioia mia, soccorrimi, sei Madre, è puro mio tesor. e figlio ancor ti son.

Col tuo rosario voglio Accogli questo voto aprirmi il santo cielo, non lo sprezzar, Maria, e pormi sotto il velo sii tu la guida mia del tuo materno amor. ed ogni bene ancor.

Pietosa a me ti volgi… Ma prima di lasciarti Ahimè! Quanto penai… bacio il tuo santo trono, Si, molto Iddio sdegnai… a te io mi abbandono Mi affido, Madre, a te! in terra e poi in Ciel.

3) A Santa Lucia, Vergine e Martire di Gesù Cristo

1°) Consideriamo, o fratelli, la felicità che ora si gode la nostra invitta protettrice Santa Lucia Vergine e Martire di Gesù Cristo, sedente fra quel glorioso coro di Santi che fan corona al purissimo sposo di lei, ed imitiamola nel vivere in questo mondo, onde sperare poi noi suoi devoti di essere un giorno a parte della felicità di lei, di cui godiamo il patrocinio. Un Pater, Ave e Gloria.

Bella gloria celeste si gode la verginella nostra Padrona! In compenso di vita sua prode, con cui vinse i nemici quaggiù. O pure:

O Lucia nostra Avvocata Dalla colpa, e dall’errore che nel ciel sei gloriosa, che quaggiuso l’alma brutta rendi l’anima beata tu difendi il nostro core del tuo popolo fedel. e ci men lassù nel ciel.

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2°) Tende sempre, o fedeli, il mondo lusinghiere attrattive ai cristiani per farli decadere da quella sublime grazia ad essi procurata dal Divin Redentore. Tali insidie però seppe superare il gran cuore della nostra Protettrice Santa Lucia e si conservò illibata al suo sposo celeste, ed ora nel Paradiso ne gode il frutto. Un Pater, Ave e Gloria.

Bella gloria etc. come sopra, o pure:

Tu che sei da noi amata E da ogni malattia non sol salvi l’alma nostra, d’ogni folgore e tempesta ma da ogni mal’annata tu la nostra madre e pia, tu ci devi preservar. che ci devi preservar.

3°) L’astuto nemico dei cristiani, il demonio, o popolo devoto della Vergine Siracusana, sappi che mai cessa di tessere trame per strappare le anime dal costato di Gesù Cristo. Da queste insidie ancora non si fece ingannare Santa Lucia: ne trionfò in vita ed ora gode nel Paradiso. Pater, Ave e Gloria.

Bella gloria etc. come sopra, o pure:

Tu conserva agl’occhi nostri E tenergli sempre fissi sempre libera la vista, alla gloria cui tu siedi; per difenderci dai mostri per vederti senza ecclissi, che molestanci quaggiù. e pensarti ad imitar.

4°) Ai pur troppo sensibili stimoli della ribelle nostra carne, o fratelli, la ragione umana cede, ed accecata dalle passioni, ingannata s’ingolfa nelle turpitudini della concupiscenza. La gloriosa nostra Protettrice però aiutata dalla grazia divina non si fece ingannare. Resistette forte agli stimoli delle indomite passioni; macerò il suo corpo; disprezzò le insidie del demonio ingannatore; rifiutò le lusinghe della vanità del mondo ed ora si gode eternamente la bellezza del suo diletto sposo purissimo nel Cielo. Un Pater, Ave e Gloria. 75

Bella gloria etc. come sopra, o pure:

Tu ci aiuti in tutte l’ore Viva dunque tu, o Lucia, bella Vergine Lucia, viva, o grande, e gloriosa, e coi gemiti del core viva in Ciel, di cui la via, invochiam la tua mercé. tu ci devi sempre mostrar.

Preghiera

O invitta donzella siracusana Santa Lucia, nostra avvocata, noi prostrati innanzi a Voi con tutta fiducia invochiamo la vostra protezione. Vi preghiamo ad impetrarci dalla onnipotenza di Dio la fortezza necessaria per resistere alle tentazioni dei terribili nemici dell’uomo: il mondo, il demonio e la carne. Deh! Fate che lo Spirito Santo con la sua grazia illumini la nostra mente, infiammi i nostri cuori, e rinforzi la nostra debolezza per potere appieno imitare la vostra vita. Così, o Santa Lucia nostra Protettrice, liberato dal peccato in questo mondo, il vostro popolo potrà venire nel paradiso, per sempre godervi con Gesù e Maria.

Un Gloria Patri et ecc:

4) A San Rocco, Confessore della Fede in Gesù Cristo

O San Rocco benedetto, Tu ci salvi dalla peste dacci parte dei tuoi meriti, dai contagi, da ogni male, per in ciel poi averti che non vi è a te uguale quale nostro intercessor. per averlo dal Signor.

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5) A San Giuseppe, sposo di Maria

Glorioso S. Giuseppe, Ti prego, S. Giuseppe, o nostro protettore, dammi il tuo santo amore, a te sia dato onore per quel sì grande onore ed a chi ti creò. che ti recò Gesù.

Sii sempre benedetto, Da te spero, o S. Giuseppe, o santo vecchiarello, di fare santa morte semplice come agnello sarò costante e forte giglio di purità. se mi difendi tu.

Dalle tue sante mani Deh! Vieni, o S. Giuseppe, tu spargi fiori e gigli o sposo di Maria, difendi noi tuoi figli soccorri l’alma mia, Giuseppe per pietà. che io la consacro a te.

O santo protettore

dell’universo tutto,

del gran divino frutto

custode fosti tu.

6) Allo Spirito Santo

Venite oramai, Penetrate il mio spirito o Divinissimo Spirito, con la potenza gioia dei cuori, del vostro braccio, sollievo nelle tribolazioni. fatemi assaggiare una stilla delle vostri celesti dolcezze, Venite, sicché in avvenire o santificatore dei peccatori io abbia a nausea maestro degli umili, ogni difetto dei sensi padre degli orfani, e possa solo godere forza dei deboli, dei santi diletti ristoro dei poveri. del vostro Spirito. Così sia. 77

7) A Gesù Bambino

Prende il Bimbo fra sue braccia la gentil bella Maria, gli da mille baci in faccia e gli dice amante e pia: Cuor di mamma, figlio mio, fa la nanna, o bello Iddio.

La tua reggia è informe grotta d’ogni lato aperta ai venti; solo il gregge vi pernotta; per te è luogo di tormenti: Cuor…

La tua culla è una sdrucita mangiatoia vil negletta, paglia ruvida e marcita, questo è il letto che ti aspetta: Cuor…

Le tue cuffie e i pannicelli le tue fasce ricamate sono cenci poverelli ricevuti per pietate: Cuor…

Le tue gote porporine le tue braccia ben tornite le tue dita e le manine tremon tutte intirizzite: Cuor…

Tu vagisci? I tuoi vagiti son d’amor soavi accenti, di perdono sono inviti, chiami a te tutte le genti: Cuor…

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FESTE E TRADIZIONI

Il seguente testo è la riproduzione di un dattiloscritto di sette pagine di un ignoto autore (forse di Daniele Don Gaudenzio 20 ), misteriosamente interrotto (!), forse risalente agli anni 70 del ‘900, che si conserva negli archivi della parrocchia di Montemitro.

FESTE E TRADIZIONI RELIGIOSE DELLA COMUNITA’ PARROCCHIALE DI S. LUCIA V.M. in MONTEMITRO (CB)

1) Vigilia dell’Epifania. Solenne benedizione dell’acqua, secondo il Rituale Romanum: si preparava una tina di legno, piena di acqua, vicino al presbiterio; l’acqua benedetta, in parte si metteva nelle pile alle porte della chiesa; in parte si distribuiva ai fedeli, che la portavano a casa. Una volta la funzione era molto sentita; ma è andata poco a poco indebolendosi; ora si fa ancora; ma è poco sentita.

2) Epifania. Dopo l’omelia della Messa cantata, il celebrante annunzia ai fedeli la data della Pasqua, dell’inizio della Quaresima e delle feste mobili; comunica i dati riguardanti: battesimi; cresime; matrimoni e morti; al termine della Messa, il bacio di Gesù Bambino che dopo la Messa vespertina viene tolto dall’altare.

3) 17 gennaio, festa liturgica di S. Antonio Abate.21 Dopo la Messa delle undici, tempo permettendolo, si fa la processione: giro corto. La festa è preceduta dal triduo in onore del Santo.

4) Pasqua. Mercoledì – Giovedì – Venerdì Santo. Ogni sera la recita dell’Ufficio delle tenebre: nel presbiterio si poneva un triangolo su di un sostegno con un certo numero di candele accese; sull’altare: sei candelieri con candele accese.

20 Parroco a Montemitro dal 1950 al 1965. 21 Sant’Antonio, come la Madonna delle Grazie (nicchia ora di S. Rocco), avevano l’altare proprio fino 1969, anno della demolizione! 79

Man mano che si procedeva nella recita, veniva spenta una candela del triangolo, rimanendo accesa quella del vertice; poi si spegnevano quelle dell’altare: all’inizio del canto del salmo Miserere mei, Deus,… - il popolo ad ogni versetto ripeteva due volte: Miserere – la candela del vertice del triangolo veniva nascosta dietro l’altare; detto l’Oremus, si batteva l’ufficio – tuc ofizie22 – e cioè i ragazzi più piccoli sui gradini dell’altare, i più grandi sotto il Cappellone sul pavimento battevano con bastoni adatti, cioè, con manico ricurvo, finchè non rispuntava fuori da dietro l’altare la candela rimasta accesa; c’era un gran baccano e volava qualche scappellotto da parte del sagrestano sulle teste dei più… fervorosi. Usciti di chiesa, i ragazzi si sfogavano, continuando a battere per terra “sdola suttita”23: un sottopassaggio di fronte alla porta laterale della chiesa. Dopo la Messa del Giovedì Santo si legavano le campane – vesgiahu svona24 – cioè non si suonavano più; le funzioni erano annunziate dai ragazzi, che andavano in giro gridando: venga all’ufficio… venga alla Messa…e le girgiacle e le trtacule25 facevano un frastuono assordante. La sera del Venerdì Santo c’era la Predica della Passione; la Via Crucis per le vie del Paese; al rientro in Chiesa un fervorino sulla Addolorata; la statua dell’Addolorata – un dono della famiglia Giorgetta – era portata in processione e al ritorno in Chiesa, dopo il fervorino, mentre si cantavano le canzoncine della Passione, i fedeli sfilavano davanti all’altare e baciavano il lembo del manto della Madonna. La mattina di Sabato Santo si svolgeva, davanti alla porta centrale la benedizione del fuoco: veniva bruciata una catasta di legna

22 “Tuč uficie” – Letteralmente: “picchiare gli uffici”! 23 “Sdola zutita” – “Sotto il portico” di fronte l’ingresso della chiesa. 24 “ Vežahu zvona” – “Legavano le campane”, in segno di lutto! 25 “Trtakula-e” - “Džrdžaka (sing.), džrdžarkle (plu.)” – oggetti in legno con supporti in ferro. Ruotati su se stessi facevano gran rumore. 80 raccolta dai ragazzi; al canto del Gloria, le campane suonavano a festa; si scoprivano le statue; terminava il digiuno quaresimale; chi si trovava in campagna, specie i ragazzi, faceva capriole in segno di gioia. La mattina di Pasqua alla Messa cantata i fanciulli andavano in Chiesa con il “cognic”26: un dolce raffigurante un cavallo con a un fianco un uovo sodo e tutto spalmato di zucchero; le fanciulle con la “pupa”: un dolce raffigurante una “bambina" con un uovo sodo e spalmata di zucchero. Il Parroco con il sagrestano iniziava la benedizione delle case: il sagrestano dava la palma benedetta e i fedeli offrivano uova, che poi venivano divise tra i due. Un passo indietro. La Domenica delle Palme (masline27) il celebrante benediceva le palme: rami di olivo: i fedeli ricevevano la palma benedetta, baciando la palma e poi la mano del celebrante: si faceva la processione, uscendo dalla porta laterale, girando attorno la chiesa e rientrando dalla porta centrale; questa all’arrivo era chiusa; l’organista con qualche cantore era dietro la porta; con l’asta della croce si bussava, mentre si cantava “Elevamini portae aeternales…” alternativamente e poi si spalancava; l’altare maggiore veniva adornato di palme benedette; spiccavano le palme dei fidanzati con il dono della suocera, che dopo la Messa il fidanzato portava alla fidanzata: veniva ritirato dalla mamma del fidanzato dopo la Messa. La sera vespri solenni; canto delle litanie e benedizione solenne con il SS. Sacramento. Con la riforma liturgica, ci si è adeguati alle nuove disposizioni. Le palme, tempo permettendolo, vengono benedette al Largo S. Angelo, dove confluiscono i fedeli, e poi si va in Chiesa processionalmente, portando il Crocifisso grande (sono venute meno le palme dei fidanzati. Il lunedì dell’Angelo non c’era niente di particolare; si andava al lavoro e si consumavano le rimanenze dei dolci di

26 “Konjič” - “Cavallino”. 27 “Maslina-e” – “Ulivo-i”. 81

Pasqua: pigne e fiadoni; rari quelli che facevano la “scampagnata”; solo negli ultimi tempi è diventata consuetudine generale.

5) Domenica in Albis. A cominciare dalla costruzione della Cappella di S. Lucia sul colle omonimo, contrada “Funda velca”28 (Fontana grande), verso le 9 si esce dalla chiesa in processione con la statua della Santa; si va alla Cappella; si celebra la Santa Messa e poi si consumano le colazioni al sacco, molto abbondanti. Dopo il Comitato delle Feste bandisce i dolci29. A tutti i fedeli che dopo la Messa baciano la Reliquia della Santa, vengono distribuite le “pagnotte benedette”. Verso le ore 15 si rientra in parrocchia sempre in processione e si celebra la Messa Vespertina. C’è grande affluenza di fedeli anche dai paesi vicini; in questi ultimi anni vengono da più lontano. 30

6) Festa di San Marco. 25 aprile. C’era la processione con il canto delle litanie dei Santi e la benedizione dei campi: croce, acqua santa.

7) Feste di Maggio. 1° giovedì del mese: Festa di S. Antonio Abate: una volta c’era anche la fiera, di scarsa importanza; da anni è scomparsa; c’era al largo croce la benedizione degli animali, durante la processione; anche questa venuta meno da parecchi anni; ora si fa, quando si fa, il giro corto; il più delle volte, viene rimandata al 1° venerdì: Festa di S. Lucia. La Santa, per antica tradizione è festeggiata in tutti i venerdì di maggio. 31 Il 1° venerdì, nei tempi remoti, era Festa solenne:

28 Funda Velka. 29 Vendita all’asta dei dolciumi fatti dalle famiglie di Montemitro. 30 Purtroppo, l’autore del testo, trascura un particolare della tradizione molto importante: sia all’arrivo che alla partenza dalla Cappella si fanno i caratteristici “TRE GIRI” intorno alla chiesetta! 31 I festeggiamenti della santa nei venerdì di maggio, sono legati alla tradizione orale, nella quale ancora si tramanda come proprio in un 82 bande, spari, ecc. A memoria d’uomo si celebra con grande concorso di fedeli, anche dei paesi vicini. L’ultimo venerdì i fedeli dei paesi vicini vengono in processione; i gruppi più numerosi vengono accolti dal parroco o altro sacerdote incaricato al Largo S. Angelo e si va in chiesa al canto delle litanie; in chiesa i fedeli devoti si stropicciano gli occhi col fazzoletto, dopo averlo stropicciato sulla statua della Santa. Nei venerdì intermedi, dopo la Messa, celebrata di buon’ora, si fa una piccola processione con la Reliquia della Santa: una verso l’asilo; una verso il Largo Roma e una verso il “castello”. La devozione a S. Lucia certamente è stata portata dalla Dalmazia dai nostri antenati; ne sono prova: dove sorgeva il primo villaggio slavo (selo32) in contrada Fonte grande c’era una chiesetta dedicata a S. Lucia. Si conservava in chiesa un piccolo busto, forse ligneo della Santa, sul quale è stata modellata l’attuale statua della Santa; è scomparsa, pare, nel 1938, portata via da Don Mario Beccaria, quando da Montemitro passò come vice parroco a Palata. Del resto è tradizione che il corpo della Santa da Siracusa fu portato a Costantinopoli; da qui dai veneziani a Venezia; il suo culto doveva essere diffuso nella Dalmazia.

venerdì del mese di maggio siano arrivati gli antichi slavi portando una piccola statua di S. Lucia. Tali festeggiamenti, anticamente, venivano fatti anche a San Felice del Molise, con una processione dalla chiesa madre alla cappella di S. Felice papa, portando un quadro della Santa che ancora oggi si conserva nei locali della chiesa. Negli archivi parrocchiali di S. Felice troviamo il “Libro Arcipretale della Chiesa Parrocchiale del comune di San Felice De’ Battezzati […] A.D. 1847”. All’inizio di tale libro troviamo scritto: “Diritti Parrocchiali. Per ogni processione alla Cappella nei venerdì di maggio Ducati 1:00”. 32 “Selo” – “Paese - Villaggio”. 83

8) L’Ascensione (Scenziuna33). La festa era preceduta dalle Rogazioni34: si facevano tre brevi processioni, al canto delle litanie dei Santi, nei tre punti dell’abitato, come per S. Lucia, e si benedicevano i campi: con la croce, con l’incenso e con l’acqua santa. Il giorno della festa verso le 8 del mattino la grande processione: si passava dal paese alle “pecorine”; da qui ci si dirigeva verso il colle S. Lucia; si aggirava monte Maiardo e si scendeva lungo i “colli”. Caratteristica della processione: le fanciulle vestivano di bianco (verginelle); i fanciulli portavano come stendardi fazzoletti di seta su canne35; venivano benedette le crocette di cera (Agnus Dei36) che si attaccavano alle porte della chiesa e alle croci di legno lungo il percorso della processione: “na sdril”; “na pecurine”; “cuttignane” 37. La processione durava oltre un’ora e mezzo. Si andava al cimitero, si recitava il “Libera me Domine” per i defunti e si rientrava in chiesa, dove si celebrava la Messa cantata. Si racconta che in antico la processione fosse molto più lunga: si andava a Roccile; si girava intorno a Monte Chicero38; poi si puntava verso il colle di S. Lucia; si aggirava monte Maiardo ecc. e durava 2 giorni. Questo percorso sarebbe stato abbandonato in seguito alla morte di una bambina, sbranata dal lupo. Attualmente la processione si fa, uscendo dalla porta centrale si sale al “castello”; si scende al Largo Croce; si sale dalle “tre croci” (calvario); si scende a Largo S. Angelo; si risale per Via

33 Šencijuna. 34 “Rogatio” - “Richiesta, invito, preghiera”. 35 Era un palo alto circa 6 metri chiamato: “Kambalun”! 36 Termini relativi al simbolo e alle parole di S. Giovanni Battista. 37 “Na Ždril”, “Na Pegurine”, “Kutikjane”. 38 “Kičero”. 84

Marconi; si va al cimitero (“na mundun”) e per Corso S. Lucia si torna in chiesa, rientrando per la porta laterale; segue la S. Messa, prima viene tolta dall’altare la statua di Cristo Risorto. N.B. Sono cadute le Rogazioni; non più “verginelle” e canne con fazzoletti di seta; non più benedizione delle crocette di cera;

9) Corpus Domini. Nei tempi passati, praticamente fino agli anni 1965, la processione con il SS. Sacramento seguiva la Messa delle 11, che veniva anticipata di mezz’ora, e si concludeva con la benedizione solenne. Alla processione partecipava il consiglio comunale con la bandiera; il sindaco sostiene l’ombrello; i consiglieri portano il baldacchino; vicino al SS.mo i fanciulli della prima comunione; davanti il turiferario che agita il turibolo. Lungo il percorso, in punti determinati, vengono eretti altarini: la processione sosta; si canta il “Tantum Ergo”; benedizione, “Dio sia benedetto” ecc. Caratteristica è l’esposizione di coperte di seta ai balconi e finestre delle case lungo il percorso. Durante la processione, fanciulle e fanciulli si… divertono a buttarsi fiori in testa, in faccia, ecc. Ora la processione si fa nel pomeriggio.

10) Festa dell’Assunta. Niente di particolare. 16 agosto Festa di S. Rocco: processione corta dopo la Messa.

11) Festa di Santa Giustina. 26 settembre: processione corta; 27 settembre: Festa di S. Rocco. Dopo la Messa delle 11, processione lunga: la festa è preceduta dal Triduo in onore del Santo.

12) Mese di ottobre. È l’ottobre missionario; recita del S. Rosario; S. Messa. La prima domenica del mese a mezzogiorno la Supplica della Madonna del S. Rosario.

13) Festa di tutti i Santi. Verso le 14:30 i fedeli si riuniscono in chiesa; si va al cimitero, recitando il Santo Rosario. Qui si fa una Liturgia della Parola; il sacerdote tiene una breve omelia; segue la preghiera dei fedeli con qualche canto e la benedizione delle 85 tombe. Una volta ci si teneva molto alla benedizione delle singole tombe con la recita del “Libera me Domini…”; l’usanza tende a scomparire. Commemorazione dei Fedeli Defunti. Una volta la funzione si svolgeva nelle primissime ore: recita dell’Ufficio dei Defunti; S. Messa; si usciva di chiesa che era ancora buio o albeggiava appena. Ora l'Ufficio e la Messa si iniziano alle sei. Nei tempi passati si suonava a morto dalle ventun’ore del 1° alle ventun’ore del 2. Ora solo prima delle funzioni. 39 I fanciulli ricavavano dalle zucche le teste di morto che venivano portate in giro o esposte alle finestre. La notte tra l’uno e il due si lasciava accesa la luce ad olio sul caminetto. Sulla mensa si lasciava una porzione della cena per i morti della famiglia – veniva consumata dal padre di famiglia, che era il primo ad alzarsi per andare in campagna. Si credeva che alla Messa di notte, assistevano le anime dei fedeli defunti della parrocchia. Da alcuni decenni verso le 10, tempo permettendolo, si celebra una Messa al cimitero della Cappella del cimitero; prima che questa fosse costruita, si celebrava nella Cappella della famiglia Giorgetta. I fedeli offrono in suffragio dei defunti grano, olio e vino, durante tutto il mese. Il Santo Rosario si recita in suffragio dei defunti e si inserisce un “requiem” dopo il gloria di ogni decina.

14) il 29 novembre inizia la Novena dell’Immacolata. Si espone la statua della Madonna della Medaglia Miracolosa; c’è una specie di liturgia della Parola; conclude il canto: “O Concetta Immacolata…”; segue la S. Messa. Il giorno 8 dicembre, dopo la Messa delle 11: processione, tempo permettendolo, con la statua dell’Immacolata.

39 Le “ventun’ore” sono riferite all’orologio cosiddetto “a 6 Ore”. 86

13 dicembre. Festa liturgica di S. Lucia. V. e M. È preceduta dal triduo: 10-12 dicembre, dopo il S. Rosario segue la S. Messa; si canta la canzoncina: “O Lucia, nostra avvocata…”. Una volta, 20 o 25 anni fa, si cantavano litanie proprie.

15) Il 16 dicembre ha inizio la Novena di Natale. Da parecchi anni si usa una specie di para-liturgia incorporata nella Messa, in analogia con i vespri: a) il celebrante saluta l’assemblea; b) si canta l’invitatorio: “Il Re Signore sta per venire…”; c) l’Inno: “Ecco…”; d) il polisalmo; e) il capitolo con il versetto: “Stillate cieli…”; f) la Colletta del giorno; Liturgia della Parola; Preghiera dei Fedeli; ecc. Dopo la Comunione: antifona e canto del “Magnificat” con incensazione; Post-communio; ecc. Dopo il congedo la canzoncina: “Tu scendi dalle stelle...” La Messa della notte di Natale è preceduta dalla recita del “Mattutino”, che inizia verso le 22:30, in modo che la Consacrazione cada dopo la mezzanotte; prima si confessa. Al termine della Messa il bacio del Bambino, mentre si canta: “Tu scendi dalle stelle...”; la seconda Messa alle 8; la terza alle 11; la Messa Vespertina alle 17; il bacio del Bambino a tutte e tre le Messe. Il 26 dicembre Santo Stefano: ci sono due S. Messe: la mattina e la sera.

16) 31 dicembre. S. Rosario; Messa con omelia; canto del “Te Deum”. Alcune tradizioni. Negli ultimi giorni di Carnevale,40 o l’ultimo giorno? I ragazzi, la sera, andavano in giro facendo baccano con le campane che si mettevano al collo delle vacche, pecore, capre…: per cacciare via il carnevale? Il Carnevale inizia con la festa di S. Antonio Abate (17 gennaio) e termina il mar 41

40 “Vale” in latino significa: “Arrivederci”. Carne-vale = Carne - arrivederci. 41 Qui il dattiloscritto si interrompe. Sicuramente intendeva: “il martedì grasso antecedente al mercoledì delle Ceneri”. 87

“ TRTAKULA – DŽRDŽAKA – HLEPAČA ”

“Strumenti ecclesiastici” ancora in uso durante il Triduo Pasquale in sostituzione del suono delle campane.

Džrdžaka

Hlepača (o Trtakula?)

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Questo antico strumento, di cui gli anziani di Montemitro non ricordano neppure più esattamente il nome, grazie all’interessamento del Signor Gianni Daniele “ha rivisto la luce” dopo decenni di perduta memoria….

Trtakula ( o Hlepača?)

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DON ALBERTO PELLESI A MONTEMITRO

Don Alberto Pellesi ( 7 novembre 1905 – 24 febbraio 1993 ), figura di sacerdote esemplare che, nella piccola comunità di Montemitro, le persone di una certa età ricordano con affettuosa nostalgia. Ordinato sacerdote a Termoli da Monsignor Oddo Bernacchia il 19 aprile 1931, celebra la sua prima Messa solenne a Montemitro nella Chiesa parrocchiale di Santa Lucia. In quella comunità vi trova una situazione scadente sia per quanto riguarda l’edificio di culto sia per i costumi della pratica religiosa. La Parrocchia era stata retta da Sacerdoti avventizi; Don Alberto cominciò a rendere funzionale ed accogliente la chiesa rinnovando l’altare maggiore e tinteggiando le pareti e le volte. Fece altresì ricostruire, a prestazione d’opera, una chiesetta in contrada “Selo” a 3 Km da Montemitro, dove si pensa sia stato il primo insediamento slavo e dove ogni anno nella Domenica in Albis ci si reca in processione portando la statua di Santa Lucia con grande concorso di popolo anche dai paesi circonvicini (festa della Cappella di Santa Lucia). Emanò disposizioni chiare e precise per il ripristino di una liturgia e di un buon comportamento; ha avuto molto da fare cambiando, con metodo pastorale forte e paziente, usi e costumi disdicevoli riscuotendo consenso, ascolto e seguito. Memorabile la sua “PRĆ”: una motocicletta con la quale girava e si portava ogni tanto in un paese vicino, anch’esso di origine slava, per delle sostituzioni; la moto era chiamata in quel modo per il manubrio a forma di corna di montone 42. Riuniva ragazzi e ragazze intorno alla sua radio, una delle poche, in quel tempo, a Montemitro; insegnava canti sacri e

42 In slavo il montone si dice “OVAN”, mentre il caprone “ PRČ ”. 90 profani che ancora oggi si cantano. Messa cantata, osservanza del precetto pasquale, catechismo tutti i giorni, visite alle famiglie, servivano a ristabilire quella società religiosa e quel clima di famiglia con la gente che, a sua volta, cercava di dimostrargli offrendogli prodotti della sua terra. Don Alberto è stato un punto di riferimento e di aggregazione, uno di famiglia; ha dato le sue primizie sacerdotali per la comunità di Montemitro quando, questa parola, comunità, non era nelle intestazioni delle lettere ma soprattutto nella realtà dei cuori; ancora si avverte nelle persone anziane l’impronta di questo esemplare e zelante Sacerdote. Don Alberto è partito da Montemitro nella primavera del 1934; tre brevi ma fecondi anni di ministero sacerdotale. Grazie, Don Alberto, non una volta ma infinite volte. ( Testo scritto da Don Nicolino D’Aimmo )

Una delle prime processioni verso la Cappella di Santa Lucia. (Zona Largo Croce)

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Bella la preghiera alla mamma che Don Alberto scrisse sul ricordino, e che io dedico a tutte le donne di Montemitro

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Ebrei salvi grazie al “Timbro” di Don Alberto Pellesi !

Decine di ragazzi del Centro-Europa erano stati condotti in Jugoslavia da Recha Freier che, si occupava di assistere procurando loro trasporti clandestini e sostentamento. Quando i Tedeschi aggredirono la Jugoslavia, quegli esuli furono condotti a Lubiana, nella Slovenia controllata dall'Italia. Nel 1942, vennero in Italia, ospiti di "Villa Emma" in Nonantola (MO). Dopo l'8 settembre 1943, si sentirono tutti in pericolo; perciò, si pensò alla Svizzera; ma occorrevano documenti per l'espatrio. L'opera di contraffazione fu opera dal parroco di Rubiana (TO). Le carte d'identità venivano fornite da un impiegato comunale e presentavano il timbro a secco del comune di Larino senza l'ala (5 fasce verticali ed una centrale, più marcata). Fu ricavato da un bullone da un artigiano che collaborava. Portata a termine la contraffazione, fu un medico del luogo a sottoscrivere i documenti, adoperandosi - assieme al parroco - affinché i ragazzi di "Villa Emma" potessero raggiungere al più presto la frontiera svizzera in treno. Riuscirono ad attraversare il confine e fu loro concesso asilo politico. Oggi quel timbro a secco del comune larinese è esposto nel “Museo storico della resistenza” di Modena. Successivamente fu utilizzato ancora per documenti d'identificazione rilasciati ad altri Ebrei ed a partigiani. Era stato lavorato in ferro poiché quelli di gomma venivano esaminati con sospetto dai Tedeschi perché una circolare aveva imposto a qualunque laboratorio tipografico l'obbligo di registrare il nome dell'acquirente. Lo studioso Giuseppe Mammarella azzarda un'ipotesi. "Sul finire degli Anni '20 - scrive l'Autore - era giunto nel Basso Molise don Alberto Pellesi, già seminarista a Nonantola che, nel '31, divenne parroco di Montemitro per rientrare a Modena nel '34 dove sicuramente poté incontrare il sacerdote nonantolese che aveva salvato i ragazzi suggerendo Larino per falsificare il timbro" (dato che il Molise era già stato occupato dagli Anglo-Americani). (Da un articolo di Claudio De Luca) 93

LE PRIME VISITE CANONICHE al Casale di Montemitro.

Riportiamo qui sotto l’elenco delle Visite Canoniche nella parrocchia di Montemitro, registrate nel “Libro De Defonti Della Matrice Chiesa di Monte Mitolo Sub Dive Lucie Titolo A-D- 1702 D. Lorenzo Giorgetta Economo”, conservato negli archivi della chiesa stessa.

29 maggio 1732 7 dicembre 1734 19 novembre 1735 11 dicembre 1736 22 maggio 1737 29 novembre 1738 (?) settembre 1741 3 dicembre 1746 3 novembre 1751

3 novembre 1753 (Prima visita pastorale del vescovo Tomaso Giannelli nel suo primo anno di episcopato a Termoli.) 11 maggio 1754 5 maggio 1755 29 aprile 1756 22 aprile 1757 20 aprile 1758 25 aprile 1759 19 aprile 1760 18 aprile 1761 22 aprile 1762 20 aprile 1763 11 settembre 1764 3 settembre 1765 12 ottobre 1766 19 agosto 1767 22 agosto 1768 (anno della morte del vescovo Giannelli – novembre - all’età di 55 anni!)

28 maggio 1771 17 maggio 1772 6 giugno 1773 28 giugno 1774 25 giugno 1775 30 aprile 1776 16 giugno 1777 4 luglio 1778 1 dicembre 1780 “nell’anno” 1782 (tra l’8 aprile e il 10 giugno) 16 settembre 1785 19 maggio 1790 10 giugno 1793 19 ottobre 1794 11 maggio 1798 94

LE PRIME 15 FESTE ALLA CAPPELLA DI S. LUCIA

Riportiamo qui sotto l’elenco delle “Feste alla Cappella” dal 1932 al 1947, riportate nel registro contabile della Parrocchia di Montemitro, conservato nell’archivio della chiesa stessa.

Domenica 10 aprile 1932 - La Prima - Lunedì 10 aprile 1933 Martedì 10 aprile 1934 Mercoledì 10 aprile 1935

Domenica 19 aprile 1936 Domenica 4 aprile 1937 Domenica 24 aprile 1938 Domenica 16 aprile 1939 Domenica 31 marzo 1940 Domenica 20 aprile 1941 Domenica 12 aprile 1942

(Nel 1943 non viene riportata nessuna voce in relazione alla festa della Cappella, molto probabilmente perché passò il “Fronte” della II Guerra Mondiale)

Domenica 16 aprile 1944 Domenica 8 aprile 1945 Domenica 28 aprile 1946 Domenica 13 aprile 1947

Poi si è continuati sempre nella prima domenica dopo Pasqua.

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L’interno della chiesa parrocchiale,

2006

2016

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“Al tempo di Don Quirino Giorgetta, durante gli anni bellici!”

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Cappella di S. Lucia - Fonte Grande -

Chiesa Parrocchiale di S. Lucia

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ARTI & MESTIERI

Fare “memoria” della “Terra di Montemitro” significa anche ricordare le “Arti” e i “Mestieri” di un piccolo paese con grandi artigiani: Apicoltori, Barbieri, Baristi, Boscaioli, Bottai, Calzolai, Canestrai, Cantonieri, Carbonai, Contadini, Fabbri (maniscalchi, idraulici, ferraioli), Falegnami, Fornaciai, Frantoiani, Funai, Gelatai, Insegnanti, Macellai, Medici, Muratori, Negozianti, Panettieri, Parafarmacisti, Potatori, Ramaioli, Ricamatrici, Sarti, Sarte, Scalpellini, Scardalani e Tessitrici.

Molti erano coloro che costruivano i pezzi del telaio.

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LA DEVOZIONE DI S. LUCIA A MONTEMITRO

Tutto ebbe inizio con l'invasione della penisola Balcanica da parte degli Ottomani nel XVI secolo. Centinaia di profughi, per salvare la propria vita e la propria fede, dalle coste dalmate salparono alla volta delle coste italiane. I territori del Molise, precedentemente colpiti da un grande terremoto e da una terribile peste, necessitavano di manodopera. Rimasti quasi disabitati, i paesi si ripopolarono proprio grazie ai profughi slavi. Intorno al 1520, secondo una antica tradizione orale, alcuni di loro, portando dalla terra natia una piccola statua lignea di Santa Lucia, si insediarono in una zona tutt’ora denominata “Selo” (paese), dove costruirono una chiesa dedicata alla Santa, oggi comunemente chiamata "Cappella di Santa Lucia" in località "Fonte Grande", a circa 3 Km dal paese attuale. Molto probabilmente a causa di smottamenti, dal 1702 la colonia slava di "Santa Lucia" si trasferì sull’attuale colle roccioso di Montemitro. Le tracce del vecchio insediamento restarono così, nella nomenclatura del territorio, nel sito dell’attuale Cappella, ma soprattutto nella tradizione orale della popolazione. Intorno al 1930, a Luigi Giorgetta, un sordo muto di Montemitro, appare la Santa che desidera la ricostruzione della propria "dimora". Con l'inizio dei lavori nel 1932 e con i restauri successivi vengono alla luce le fondamenta della vecchia chiesetta e parte di un cimitero. Attualmente, la festa di Santa Lucia, oltre al 13 dicembre, viene celebrata nella prima domenica dopo Pasqua e nei venerdì del mese di maggio, in modo particolare l'ultimo, per ricordare l'arrivo degli antichi slavi, secondo la tradizione, proprio in un venerdì del mese di maggio.

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La prima domenica dopo Pasqua, detta “In Albis”, è la cosiddetta “Festa della Cappella”. La caratteristica processione parte dalla Chiesa Madre e arriva alla Cappellina della Santa. Una volta sul posto, dopo aver fatto i tradizionali tre giri intorno alla chiesetta, viene celebrata la S. Messa. Segue il Pic-nic generale, durante il quale si fa l’asta dei dolci che ogni famiglia del paese ha preparato con cura. Al termine di tutto, la processione riparte per il paese, sempre dopo aver fatto i classici tre giri intorno alla chiesetta.

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“Stari Grad” e Santa Lucia

Stari Grad (384 a.C.) è una delle più antiche città della Croazia. Quando in Tracia nacque Aristotele, i greci dell’isola di Pharos, nel Mare Egeo, fondarono una città sull’attuale isola di Hvar e la chiamarono Pharos.

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Oggi in questa città si possono trovare diversi monumenti tra cui: il castello del poeta Petar Hektorović, la chiesa San Giovanni ricca di mosaici, la chiesa di Santa Lucia derubata dai Turchi, la chiesa di San Gerolamo, ecc. (da Internet)

La chiesa di Santa Lucia. È il resto di un vecchio convento di suore del XV secolo, demolito dai Turchi nel 1571.

In relazione a tale chiesa e in attesa di riscontro, consideriamo i seguenti fattori per trarre una semplice conclusione.

1) Uno dei dialetti delle persone anziane di Hvar ha molti elementi comuni con l’antico idioma slavo di Montemitro.

2) Da antica tradizione orale si afferma la provenienza di una piccola statua lignea di Santa Lucia dalla Dalmazia.

3) In tutte le isole dalmate centrali e meridionali, forse, solo a Hvar troviamo l’unica chiesa dedicata alla Santa Siracusana.

Da qui è possibile ipotizzare come Stari Grad potrebbe essere stato il luogo da cui partirono quei profughi dalmati che portarono la statuetta lignea di Santa Lucia fino a Montemitro.

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UN PICCOLO MUSEO CON UN GRANDE TESORO

Nell’androne della chiesa parrocchiale di Montemitro, dove è stato allestito un piccolo museo permanente, potrebbe celarsi una tela che da secoli è tanto ricercata: la famosa “Terza Santa Lucia” di Andrea Vaccaro di “Ubica- zione Sconosciuta”. La preziosità è tale che le altre due sono custodite, una al museo del “Prado” di Madrid e l’altra in una collezione privata a Napoli.

Dipinto su tela (93 x 120) di elevata fattura di scuola napoletana, di committente sconosciuto, restaurato a Campobasso dall’equipe di Amedeo Cicchitti nel 1980. Attribuibile ad Andrea Vaccaro (1604-1670), il quale reinterpreta in maniera classicistica il naturalismo del Caravaggio. I suoi personaggi dal volto sereno non sono agitati dalle passioni e sono rappresentati da colori chiari, fermi e delineati, che pacatamente sfumano nel buio dello sfondo. Le sue sante, martiri o non, in sofferenza o in estasi che siano, sono donne vive, senza odore di sacrestia, a volte perfino provocanti nel turgore delle forme e nell’espressione di attesa non solo di sposalizio mistico, «col bel girare degli occhi al cielo» (De Dominici) e con le splendide mani dalle dita affusolate a ricoprire i ridondanti seni. Un genere che incontrò grande successo a Napoli, a conferma del carattere bonariamente devozionale e mistico della popolazione, fu la pittura di martirii.

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Alcune sante preferite dal Vaccaro sono Santa Caterina d’Alessandria e Santa Cecilia, meno gettonate seguono Santa Lucia, Santa Rosalia, e poche altre. La rappresentazione dei supplizi risponde ad una precisa direttiva della chiesa all’epoca della Controriforma ed il martire interpreta l’eroe che esalta i valori della fede, sacrificando se necessario la propria vita, affrontando con serenità i più atroci patimenti. Il martirio funge da esempio di virtù e viene richiesto dalla Chiesa come sacrificio per affermare il suo primato morale di fronte non solo al paganesimo, ma anche e soprattutto nei confronti del protestantesimo luterano e calvinista. Il Vaccaro risponde a questo imperativo categorico che anima le richieste della committenza, non solo ecclesiastica, con grande ardore e partecipazione e sa infondere ai suoi personaggi quel distacco dalla sofferenza che sconfina tra estasi e beatitudine, in stridente contrasto con la ottusa bestialità dei carnefici, inconsapevoli strumenti dell’umana malvagità. Le figure dei personaggi sono caratterizzate da un incarnato rosso bruno e spesso e volentieri ostentano, sia i maschi che le donne, delle nudità in aperto contrasto con i dettami del rigore iconografico.

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Risulta interessante la straordinaria somiglianza di “S. Lucia” con la “Diana” qui affianco (scoperta da Gianluca Miletti). Foto che si trova nel catalogo della Fondazione “Federico Zeri” (1921-1998) a Bologna. Dalle informazioni raccolte risulta che tale foto fu spedita a Federico Zeri da un antiquario dell’Aquila dicendogli che il dipinto originale si trovava da lui fino al 1986 e che avendo le iniziali “A.V.” sicuramente era stato fatto da Andrea Vaccaro.

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“LE 12 CROCI”

Attualmente a Montemitro ci sono sei zone con una o tre croci. Dalla tradizione orale attinta presso il signor Aurenio Bartolino, sappiamo che sul territorio del paese esistevano anche altre località “segnate” da una croce, che venivano “visitate” durante la processione dell’Ascensione quando durava tre giorni.

1) Brdo do Fundaušte – Colle in prossimità di “Fontegiusta”.

2) Brdo do Kuličele, putem sparikjiva (sparitjva) – all’incirca all’incrocio dei due piccoli colli posti tra il Monte Chicerro e il fiume Trigno.

3) Put do Sandimaje, na vrho lame velke– In cima alla “grande frana”, su un terreno in zona “S. Maio”, posta in cima alla valle del versante est del Chicerro. Si dice che la croce fu posta mentre franava tutta la zona sottostante. Quando la frana arrivò presso la croce, miracolosamente si fermò…43

4) Na Pegurine – Zona “Pecorine”, sul secondo incrocio che dalla strada della Cappella portava a San Felice, proprio all’inizio della discesa.

5) Brdo do Funde Velke – All’incirca 100 metri da “Fonte Grande” sulla strada che va alla “Macchia”.

43 Dalla testimonianza di Gabriele Giorgetta (di Arnaldo) avuta dal il signor Luigi Giorgetta (Maljin), “era l’ 8 o il 9 giugno 1921 intorno alle 9 del mattino; durante una pioggia torrenziale, il signor Luigi sentì come un boato e vide una nube di polvere…” A differenza della “piccola frana” avvenuta verso la fine del 1800, della “grande frana” ora si sa quando accadde. È bene sottolineare come in “Na našo” quando avviene una frana si dice: “ je se šljunila zemlja”, cioè, “la terra è scalata”; ed bene ricordare come la frase “è scivolato dalle mani” si dice: “je se šmunjilo iz ruk”. “Šljuni” e “šmunji” sono due verbi che andrebbero rivalutati… 104

6) Križ do Makj (Matja) – Croce alla “Macchia”, sul bivio delle 4 strade dirette ciascuna verso: “Kutikjane”; “Fonte Grande”; Montefalcone e Montemitro.

7) Na “Korito” – Dopo il “Vecchio Abbeveratoio” posto sulla strada verso Montemitro, vicino alla masseria di “Caruso”.

8) Na Tri Križa – Alle “Tre Croci”. Colle che “dà sul paese” e da dove si vede la pineta di Monte Maiardo. Qui, in occasione del 150-mo anniversario della venuta della statua di San Rocco da Atessa a Montemitro, il 27 settembre 2016 – Anno Giubilare Straordinario della Misericordia – l’Arcivescovo Metropolita di Campobasso, Giancarlo Maria Bregantini, benedice le nuove tre nuove croci in ferro erette per opera di Mario Piccoli, Rocco Giorgetta e Paolo Venturino.

9) Pi Križ (o pi križa - ‘pri križa - napri križa) - Largo Croce.

10) Na Staz – Valico alle pendici del colle Ždrila. Provenendo dalla Cappella, è il punto da cui comincia a vedersi il paese.

11) Prstamandžeja – Largo Sant’Angelo. La croce ricorda la missione dei Frati Francescani del 1950 – Anno Giubilare.

12) Na Mundun (parola che deriva da “mundunat” o ammucchiare, dato che la protuberanza collinare è venuta su a causa dello sterro edilizio) – Piccolo colle, che dà sul cimitero, in prossimità del quale è sempre esistita una croce in ricordo della fossa comune del colera del 1837. Ora vi sono tre croci che concludono la Via Crucis; 14 croci fatte e offerte da Cocciolillo Arduino al tempo di Don Nicolino durante gli anni ’80 del secolo scorso. 105

DA UN MANOSCRITTO44 DI E. A. PATERNO45

Passeggiata46 nella vallata del Trigno di Paterno

È ancora notte, ma s’intravede, e più che intravedere, si sente, la vicinanza dell’alba. Ci sono intorno masse di scuro; sembra che le tenebre non siano ancora decise a rallentare il loro assedio. Ma alzando lo sguardo là verso il deserto, dove gli astri incastonati come gemme indugiano ancora in palpiti luminosi, s’indovina un principio di chiaro: un sentore di alba. Si prosegue in silenzio. La Macchina, ingoiando distanze scivola come un pattino sull’asfalto della via nazionale. Non si possono distinguere le campagne naturalmente, ma a poco a poco si delineano, a destra e a sinistra, profili di Alberi. Dall’alto il buio comincia a diluire, come se in una soluzione d’inchiostro bruno venga versata dell’acqua. Dopo mezz’ora qualche tratto di paesaggio si distingue debolmente. Ora l’occhio arriva a scorgere delle zone di verde. Siamo arrivati alla cascina di Roberti, bivio di San Felice del M. Il sole sorge ed illumina il massiccio di Monte Mauro addobbato di verde, levigato di avana con spruzzi di oro e chiazzato dal giallo vivo delle ginestre. L’imponente parete offre un magnifico quadro. La Rocchetta, la cima più alta del monte, somiglia ad un osservatorio47. Fu luogo abitato: i ruderi di una torre e gli avanzi di

44 Ritrovato e conservato negli archivi parrocchiali di San Felice del Molise. Anche se porta in sé delle inesattezze, è un prezioso spaccato socio-geografico di Montemitro durante gli anni ‘50. 45 Emilio Ambrogio Paterno ( 02 – 03 - 1885 / 22 – 01 - 1971 ), storico, scrittore e poeta, originario di Montenero di Bisaccia - CB, suocero del fu avvocato Domenico Giorgetta, nonno dell’attuale Dott. Giovanni Giorgetta. Per i suoi meriti di studioso e narratore delle vicende storiche regionali, fu assai stimato e circondato dai migliori ingegni dell’Abruzzo e del Molise. Alla sua morte, l’Archivio di Stato di Campobasso inviò i suoi dipendenti a catalogare e sistemare l’incredibile quantità di documenti, libri e pubblicazioni varie, ritrovati… 46 “Passeggiata” fatta verso la fine degli anni ‘50. 106 costruzioni antichissime rimangono a testimonianza la presenza dell’uomo in quell’altitudine e solitudine: si rivengono ivi delle monete di città italiote di epoche diverse e delle più remote. Ai suoi piedi scorre la macchina su una strada bianca, allietata da ridenti estensioni di prati e di campi. Sulle pendici del monte macchie di piccole selve di quercia, di abeti, di pini e pecore al pascolo. Si respira ossigeno a pieni polmoni. Al bivio di Montefalcone un po’ di sosta per rivedere le gomme. Ad ogni passo, acque che scorrono, leggere e trasparenti come l’aria. Un breve rettilineo in discesa ci sta di fronte; esso offre al nostro sguardo lo scintillio di un ridente laghetto, che è di figura ovale. Una fitta vegetazione di canneti sulle sponde; piccoli e teneri fusti serrati l’uno all’altro che assecondano lo scivolare del terreno verso l’acqua. Si levano, volteggiando sull’immobile superficie gli uccelli48. La macchina continua a scendere sulla strada tortuosa stringente; all’ultima curva si affaccia seminascosta Montemitro con graziosa compostezza di case, che biancheggiano affondate nelle tranquillità e nel silenzio su un tratto di lievissimo pendio del monte. Ci fermiamo sulla piazzetta dove termina la strada, lasciando la macchina alla custodia del vicinato e all’accortezza dei cittadini. Attraversiamo stradine anguste, assonnate, malinconiche e romantiche esse s’incuneano tra le case nascondendo la chiesa parrocchiale dedicata a S. Lucia. Nel salire la viuzza che porta alla chiesa, riandiamo col pensiero alle origini di questo villaggio che va guardato non solo nella sua limitatissima entità fra le sue ristrettissime mura cittadine come oasi di pace e di beatitudine, ma principalmente, come isola etnica di Slavi nel Molise, di cui conservano la lingua, gli usi ed i costumi. La notizia più antica risale al 1276 quando ne fu investito feudatario Gentile della Posta. Montemitro nei Cedolari del 1320 è detto <>; successivamente fu chiamato <

47 Attualmente sulla Rocchetta c’è un osservatorio astronomico… 48 Ancora oggi volteggia il Nibbio (“Rarog”) e il Falconetto (Karagulj). 107

Mitulo>>. <>, <> nella situazione fiscale del 1648, e finalmente Montemitro. Su quel monte vi era un monastero di benedettini che durò fino al secolo XV; ne fu ultimo abate Giuliano Reggio, cappellano Maggiore del Regno. Le due chiese antiche di Montemitro furono S. Angelo, situata ove sta oggi la gabina elettrica49 e S. Maria delle Grazie. Di notevole nella Chiesa Madre abbiamo: il portale, che è antico e interessante; qualche quadro ed una statuetta di S. Lucia di legno portata dalla Dalmazia50. Fu fondata dagli slavi, ma esisteva prima della loro venuta. Ciò ci viene confermato dall’iscrizione in lettere gotiche, trovata murata in una parete della chiesa di S. Angelo51 e che deve leggersi <>. L’iscrizione è ora conservata nella Chiesa Parrocchiale. Feudatari: a Gentile della Posta, seguirono: Arcario, Capano, Del Balzo, Valgnarnea, Arnone, Della Posta, Garofalo, Del Rossi, Minutolo, Marmile, Del Vicario e Carafa. Dal secolo XV alla eversione della feudalità ebbe comune con Montefalcone le vicende e i titolari feudatari. Coppola dei Duchi di Canzano fu l’ultimo feudatario e tenne Montemitro fino al 1806. Gli slavi, sbarcati dalle galee nella foce del Trigno furono assegnati all’Università52 di Montenero di

49 Fatta costruire alla fine degli anni ’30 da una certa Antonietta (di Forlì e morta a Montemitro), moglie di Giovanni Fiore (di Montemitro e morto negli USA). Viene ricordata come colei che portò la corrente in paese… 50 Incongruenza con ciò che scrive Don Gaudenzio Daniele quando afferma che tale statuetta potrebbe essere scomparsa nel 1938 per opera di Don Mario Beccaria. 51 Conferma data dalla foto del 1904 ritrovata da Emilio Ferrucci nella biblioteca dell’Archiginnasio di Bologna. La chiesa di San Michele Arcangelo però, fu fatta nel 1770 circa, per cui l’epigrafe proviene dalla cosiddetta “Zrikua Stara” o “Chiesa Vecchia”, la più antica di Montemitro, là dove ora c’è un prato affianco alla ex-scuola materna. 52 Intesa in senso lato, come confraternita o associazione ecclesiale. 108

Bisaccia, la quale, perché molesti, li mandò ad abitare a Monte Fetilio (Montelateglia53) suo casale deserto. I feudatari Girolamo Carafa ed altri vollero ripopolare i Castelli54 e chiesero coloni slavi a Montenero. I primi capitolati55 furono redatti nel 1509 e gli slavi partirono dal Casale di Montelateglia, in cui si sentivano a disagio, per Mafalda, Tavenna, Palata, Acquaviva, San Felice, Montemitro, S. Biase ecc… (1509-1555). Sull’onda di un canto fresco e melodioso, gentile ed appassionato che si deduce, avviciniamo un gruppetto di famiglie, le quali ci ricevono con un sorriso di assenso. Alle nostre domande rispondono: <>56, di forma rotonda, ci serve per ammassare il filato. Una fa scorrere la spola nella lana, un’altra innaspa. Ecco le parole della nenia: <>57. <>. Strano però come questo paese sia rimasto ancora attaccato alle vecchie tradizioni nonostante il precipitare dei tempi. Le donne hanno qui le pettinature delle antiche pompeiane, anche la treccia gira loro intorno alla cervice e molte ne hanno pure il profilo con zigomi alti e nasi diritti. La <>, per esempio, le donne di Montemitro non la conoscono come altri trucchi che rimangono ad esse ignorati! Per

53 Attualmente colle del cimitero di Tavenna – CB. 54 Inteso come centri abitati. 55 Una specie di contratti a vantaggio dei feudatari, stipulati per la lavorazione delle terre. 56 Struttura portante del telaio, in legno massiccio. 57 Frase che attualmente sembra scomparsa e che andrebbe scritta così: “Ja, nečem tvoje suze, a ti hoš suze moje. Ovi amor nije sve tvoj. Nisi nemik kano ti”. 109 le vie non c’è un uomo: sono al lavoro nei campi. Andiamo verso la periferia. Vediamo maiali color rosa grufolati nel timo di crusca e zucche, chiocce che raspano la terra, pulcini come batufoli di bambagia, il gallo che imita il pavone, e poi, vicino alle case, orti con insalata, zucchini che hanno come una fiamma in testa58, pomodori, api, fichi, mais: ecc. Sulla strada che mena59 al cimitero, fiancheggiata da una recete piantagione di ciliegi60, ci imbattiamo in una bella terrazza con sedie: monti a destra e a sinistra, paesi appollaiati sulle pendici dei colli, pianura frastagliata dal Trigno, in fondo lo scintillio del mare Adriatico. Vediamo quasi tutta la vallata del fiume. Nel cavo sorgono tutte le varietà di verdi della terra. Le pareti della valle sono festosamente imbottite di vegetazione colorata, vi sono alvei di lacca rosa, di grigio cerulei, ecc.! E si serpeggiano i rivi d’argento vivo nei greti più capricciosi. Nel prendere la via del ritorno incontriamo l’avvocato D. Giorgetta61, sindaco del comune, che gentilmente ci conduce nella sua abitazione. La famiglia è prodiga di premure e di notizie sugli avvenimenti locali e sulle costumanze degli slavi. Si fa sera. Lasciamo questa casa e ci incamminiamo per riprendere la macchina e ripartire. Sotto il borgo c’è uno spiazzo attorniato da case isolate e da querce ed ulivi. Nel mezzo c’è una fontana dove le donne sono intente a riempir quei orci di creta che più a lungo conserveranno la freschezza dell’acqua; i bambini si divertono a spruzzarsi ed a diguazzare; buoi, muli ed asini corrono all’abbeveratoio62. Mentre la nostra macchina si allontana , alle spalle Montemitro si lascia voluttuosamente abbracciare nell’abbandono del tramonto. Paterno

58 Fiore di zucchina. 59 “che mena” – “che va”. 60 Piantate da Emilio Cocciolillo (sindaco dal 1952 al 1957). 61 Sposò una delle figlie di Paterno. 62 Era la fontana di Largo Sant’Angelo (vedi copertina) dove si incitavano gli asini a bere fischiando in un modo del tutto particolare. 110

<< QUALCOSA “NA NAŠO” E IN ITALIANO >>

In questa sezione troviamo preghiere, detti, poesie, scioglilingua in “Na našo” e in italiano molto curiosi, con parole ormai dimenticate…

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Secondo la testimonianza della fu signora Luciana Daniele, la signora Giulia Minicucci nel farsi il segno di croce diceva così:

IME OCIN Il Nome del Padre U SIN nel Figlio I DUGA SVETI e nello Spirito Santo NAKO BOŽE BILO così in Dio è stato

Una frase sicuramente antica e molto interessante a livello teologico, che probabilmente ha le sue radici nell’antichissima tradizione liturgica “dalmato-glagolittica”, caratterizzata dal fatto che, a differenza delle lingue di tutte le altre comunità cattoliche, mai accettò la riforma di S. Pio V del 1570, quando cioè, il Papa obbligò la traduzione di tutti i testi liturgici in lingua latina… Riforma che decadde subito dopo il Concilio Vaticano II, e più precisamente con il Beato Paolo VI nel 1970, quando tutti i testi liturgici dalla lingua latina furono tradotti ciascuno nella propria lingua volgare…

La lettera “U” – in italiano “in” – in questo caso “dentro” - sta a significare la cosiddetta “compenetrazione-Trinitaria”, cioè, un vortice d’amore dove Ognuno è “dentro” l’Altro… Non esiste parola migliore di: “U” – “in” – “dentro”, per identificare l’indissolubilità trinitaria dove c’è “Unione senza confusione e distinzione senza separazione”…

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Attualmente conservo gelosamente un testo in carta velina, forse dattiloscritto da Don Gaudenzio Daniele. Esso riproduce una “Nenia-preghiera” molto antica intitolata “USMA”, qui riportata, che il caro Don Nicolino D’Aimmo, tanti anni fa, mi fece avere. Di essa, solo le prime due strofe sono state riportate dallo storico Milan Rešetar nel suo libro tradotto e stampato in italiano nel 1997 a pag. 204.

PASQUA

Andiamo a letto, andiamo a dormire, il bel Dio andiamo a chiamare.

Laggiù c’è una chiesetta, e due piccioncini che tubano; la Madre di Dio svegliano: - su alzati, o Madre, - su alzati, o Madre

che adesso ti portano il figlio in croce e dalla croce gocciola il sangue, in quelle camerette va, e due colombi lo raccolgono, e in cielo lo portano.

Gocciolano loro gocce di sangue, gli Angeli lo raccolgono in cielo lo portano, lo mettono sull’altare, che bella Messa che si dice adesso.

Da alcune testimonianze raccolte presso le persone più anziane risulta che attualmente il testo non sia proprio così. Ascoltandoli però, ho notato che neppure i loro testi corrispondano tra loro, tutti però riportano il testo su presente quasi nella sua totalità. In conclusione, questo testo scritto, esatto o meno, ricapitola in modo eccellente la relativa tradizione orale. 112

Questo il testo che attualmente ricordano alcuni anziani:

“Homo leč, “Andiamo a letto, homo spat. andiamo a dormire.

Lipoga Boga Il bel Dio homo zvat. andiamo a chiamare.

Tamo dol Laggiù je na crikuiza. c’è una chiesetta.

Golobiča zgudžu Alcune colombe tubano Materu Božiju budu. la Madre di Dio svegliano.

Ustanise Ma Alzati o Madre ke ti nosu che ti portano sina a križ. il figlio in croce.

Iz križa kaplje krv Dalla croce gocciola il sangue Andžele ga kupu. alcuni Angeli lo raccolgono.

Na nebo ga nosu In cielo lo portano ga meču zgora otara. lo mettono sull’altare.

Ki lipa Misa Che bella Messa ke se govore sada.” che si dice adesso.

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“NAKO MI REĆAHU KADA BIHU MALI ”

Kada te povahu: “ Para na turcič ”.

Te ngrilahu na jenu kurniču: “ Le ke čini dubič ”.

Kada idaše: “ Vrzmu vavarelu ”.

Prosaše vodu: “ Nati bumbu ”.

Biše lačan: “ Nati latuč ”.

Te vidahu: “ Delabendika ki lipi dite ” “ Činimu smoku, se no češ ga ureč ”.

Biše naručaj mater: “ Daj belle, daj belle ”.

Bolaše trbuh: “ Ti boli buš ? ”.

Si ba cupa: “ Si činija bolu ? ”.

Ti gredaše san: “ Čin nanu ”.

Vidaše kučak: “ Le tetee ”.

Gledaše praščič: “ Bakič na, bakič na…”.

Lišivaše mačku: “ Otoje mušil ”.

Nebiše nišče več, s prsti ti činahu: “ Pik, pak ”.

Činaše mašatu: “ Nati čakić ”.

Maše ist meso: “Na čaču, na…”

Ti držahu ruke ‘a mani giunte’, pa skupa se rečaše: “ Bože, Bože, daj papu ”.

Stojaše okolo ognja: “ Biž tote, ke češ se peci ”.

Se šalaše: “ Činiš šigularelu ol husalinu? ”.

Za reč ke biše slako, se vrtaše prst u mašel e čujaše: “Le koko je šiko ”. 114

“COSI’ MI DICEVANO QUANDO ERO PICCOLO”

Quando ti avvolgevano in fasce: “ Sembra un torsolo ”.

Ti raddrizzavano in un angoletto: “ Vedi, fa l’alberello ”.

Quando mangiavi: “ Mettigli il bavaglino ”.

Chiedevi l’acqua: “ Ecco l’acquetta ”.

Eri affamato: “ Ecco il latte ”.

Ti vedevano: “ Dio lo benedica che bel bambino ” “ Fagli il fico, altrimenti gli fai il malocchio ”.

Eri in braccio alla mamma: “ Dammi le manine ”.

Faceva male lo stomaco: “ Ti fa male lo stomachino ? ”.

Ti eri fatto male: “ Hai fatto la bua ? ”.

Ti veniva sonno: “ Fai la nanna ”.

Vedevi il cane: “ Ecco il cagnolino ”.

Guardavi il maialino: “ O maialino ecco…”.

Accarezzavi il gatto: “ Eccolo il gattino ”.

Non c’era più niente, col pollice e l’indice che giravano ti facevano: “ Pik, pak ”.

Facevi un servizio: “ Prendi un pezzettino di noce ”.

Dovevi mangiare la carne: “Eccoti la ciccia, ecco…”

Ti tenevano le mani a ‘a mani giunte’, poi insieme si diceva: “ O Dio, o Dio, dacci la pappa ”.

Stavi vicino al fuoco: “ Togliti da lì che ti scotti ”.

Giocavi: “ Stai scivolando ? ”.

Per dirti che era saporito, si ruotava l’indice sulla mascella e sentivi: “Quant’è buooono… ”. 115

“Naše Dida” “I nostri antenati”

Iz one bane mora Dall’altra parte del mare one su se bijal loro sono partiti e ne nadahu kako e non sapevano come oš di mahu rivat. e dove dovevano arrivare.

Gredahu u more nišče vidahu Andavano per il mare samo zdvizde e niente vedevano oš sunce one gledahu. solo le stelle e il sole loro guardavano.

Il sole gli parlava “Venite qui Sunce gnim govoraše dove io vi porto “Hote ode vi vogliono bene”. di ja vas nosim

vas hoču dobro”. “Queste persone

ci vorranno bene. “Ove čeljade dobro te nas tit. Ma i nostri fratelli Ma na naše bratija come più li rivedremo?” kako čmo hi več vit?” Quando sono scesi in Italia Ka su se skinil u Italiju guardavano i colli gledahu brda e guardavano la valle. oš gledahu valu. In questo colle Na vi brdo one su dol loro sono venuti za gleda mor oš iskle su dol. per guardare il mare e da dove sono venuti.

Hižu su si činil La casa si sono fatti palako palako, piano piano, mi se nahodimo ode noi ci troviamo qui ne nademo kako. e non sappiamo come. ( Giorgetta Attilio )

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Molte persone anziane ricordano una frase al quanto originale per indicare situazioni di alta povertà:

“DŽEREBERE “Scarabocchi MINGULARE. di Domenico.

JESU BUHE Ci sono le pulci NIS PALJARE” nel pagliaio”

Mio padre mi ha dettato questa filastrocca scioglilingua molto carina, che gli hanno insegnato alle elementari:

Paolo Pitto Piccolo Pittore Pittò Pilladi Per Pochi Paoli Poscia Pentitosi Per Poca Paga Partì Per Pavia Propria Patria Per Procurarsi Proprio Pane.

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NA “ZUMBATUR” – A “Largo Roma”

<< Nu votu, ode se činaše “Zumbakaval”

e niz pograd se činaše

“Kaptunmačkun” oš “Vitj-vitj” >>

<< Una volta, qui il faceva il “Salto della cavallina”

e per il paese si faceva

la “Capriola” e il “Nascondino” >>

N.B. In Croato il suo “Z” si scrive “C”, ma, ma qui volutamente ho lasciato la “Z” italiana per evidenziare l’assonanza con la parola “Zumba” o “Zomba”, cioè “Salta”. 118

EPIFANIA 2017 “La grande nevicata”

“P.za del Popolo” (Foto: G. Miletti)

“Veduta da Montefalcone” (Foto: V. Cordisco)

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ALBO DEI SINDACI DEL COMUNE DI MONTEMITRO

…… – 1902 Minicucci Michele 63 1902 – 1914 Giorgetta Domenico 1914 – 1924 Cocciolillo Giovanni 1924 – 1925 De Aloysio Nicola 1926 Menna Nicola 1926 – 1927 Petrella Nicola 64 1927 – 1931 De Aloysio Nicola 1932 – 1941 Menna Nicola 1941 – 1944 Giorgetta Giovanni 1944 – 1946 Cocciolillo Antonio 1946 – 1948 Giovanni Battista Piccoli 65 1948 – 1949 Rossi Nicolino 1949 – 1952 Venturino Pierino 1952 – 1956 Cocciolillo Emilio 1956 – 1970 Giorgetta Domenico 1970 Giovanni Battista Piccoli 1971 – 1975 Giorgetta Floriano 1975 – 1980 Cocciolillo Emilio 1980 – 1985 Giorgetta Domenico 1985 – 1990 Piccoli Lucio 1990 – 1995 Giorgetta Giovanni 1995 – 1999 Giorgetta Maurizio 1999 – 2009 Sammartino Sergio 2009 – 2010 Giorgetta Valentina 2010 – 2012 Giorgetta Silvano 66 2012 – …… Sammartino Sergio

63 Vice Segretario Comunale delegato del Sindaco di San Felice Slavo. 64 Primo Podestà. 65 Primo Sindaco eletto. 66 Sindaco “facente funzioni”. 120

UNO STRANO ALTORILIEVO

Antica Ubicazione.

Stele funeraria scolpita in altorilievo di fattura romana dei primi secoli a.C. (?). Usata come chiave di volta per un portale del 1839. La data è postuma. La scritta in greco, forse postuma anche questa, evidenzia: “Arhipresbiteros o oikos”, cioè: “La casa dell’Arciprete”(!).

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LA BATTAGLIA DEL TRIGNO

Nei giorni 8-22 ottobre 1943 Montgomery concesse un periodo di riposo alle sue formazioni, considerando che il lungo tragitto percorso dalla Sicilia e poi dalla Calabria e dalla Puglia fino al Molise avevano logorato il suo dispositivo logistico e amministrativo. Nel frattempo reparti della sua VIII Armata chiudevano lentamente fino alle nuove posizioni tedesche, occupando quasi tutti i centri situati tra il Biferno e la destra del Trigno (Petacciato il 19 ottobre, Montenero di Bisaccia il 22 ottobre, Acquaviva il 24 ottobre, San Felice, Montemitro e Montefalcone il 27 ottobre) e preparandosi al successivo, impegnativo scontro sulla linea difensiva germanica - Colli a Volturno. […] Così, sul basso Trigno nei giorni 8-22 ottobre i tedeschi poterono dedicarsi quasi interamente ad attività di pattugliamento, fortificazione e logistiche più in generale. Essi, che avevano i punti di maggior forza in San Salvo e Tufillo, cominciarono a far saltare i ponti e a minare - con ordigni antiuomo e anticarro - strade e sentieri, imposero il coprifuoco alle popolazioni, continuarono a razziare o requisire animali, viveri, veicoli, macchine e strumenti di ogni tipo e infine sfollarono i paesi maggiormente esposti ai rischi dei combattimenti. Localmente si ebbero anche esecuzioni di civili, per malintesi o per rappresaglia al mancato rispetto degli ordini e delle leggi di guerra germaniche. La loro posizione difensiva, la Barbara-Stellung, alla sinistra Trigno, si sviluppava, come al solito, in profondità: una prima linea di avamposti (appena rialzata, non troppo lontana dal fiume), una seconda di maggiore importanza, “Hauptkampflinie” (tra San Salvo, Tufillo, Torrebruna, Poggio Sannita, Civitanova, Sessano, Pesche, Colli a Volturno) e una terza linea, più arretrata, di riserva (Vasto, Furci, Carunchio, Castiglione, Forlì del Sannio).

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Gli Alleati, sulla sponda destra del Trigno, si assicuravano invece il controllo del territorio bassomolisano, si rifornivano di armi e materiali, cannoneggiavano e attaccavano dall'aria le postazioni tedesche mentre iniziavano le manovre di schieramento per la battaglia concentrando reparti di artiglieria e truppe tra Petacciato/Montenero, Mafalda, San Felice/Montemitro, Montefalcone e, più sporadicamente, nel settore tra Roccavivara e , anche al fine di ingannare il nemico sulle possibili direttrici di avanzata. […] La battaglia del Trigno ebbe inizio nella notte tra il 22 e il 23 ottobre, allorché un battaglione della 78ª Divisione britannica riuscì ad attraversare il fiume nella piana di San Salvo e a stabilire una testa di ponte sulla riva sinistra del corso d'acqua (bosco Motticce-Padula). Ma i pattugliamenti e i piccoli scontri sulla linea degli avamposti tedeschi non diedero, nei giorni successivi, risultati confortanti, tanto da indurre Montgomery a tentare una prima decisa azione di sfondamento alle postazioni nemiche di San Salvo già nella notte tra il 27 e il 28 ottobre. Dopo una violenta preparazione di fuoco, truppe irlandesi appartenenti alla 38ª Brigata della 78ª Divisione tentarono, nelle prime ore del 28, di occupare il paese, ma furono respinte con gravi perdite. L’avanzata dovette essere fermata e le truppe riportate sulle posizioni di partenza. Entro il 29 di ottobre, i britannici nell’area costiera avevano già subito circa 100 morti, 250 feriti e 55 prigionieri. Nei soli giorni 27 e 28 ottobre essi avevano sparato ben 14.000 colpi di artiglieria. Il mese di ottobre si concludeva così con un unico successo alleato: la conquista di Cantalupo, avvenuta il giorno 31, con Isernia e San Salvo che restavano ancora saldamente in mano tedesca. Montgomery concentrò allora il grosso delle sue forze nella bassa valle del Trigno e decise di attaccare risolutamente le posizioni nemiche sulla costiera nella notte tra il 2 e il 3

123 novembre. Più all'interno, l’8ª Divisione indiana avrebbe preceduto (nella notte tra il 1 e il 2 novembre) e poi accompagnato tale azione puntando su Tufillo e Palmoli. La posta in gioco si faceva sempre più alta, e un nuovo insuccesso alleato avrebbe fatto saltare tutti i piani di avvicinamento e di contatto con le difese germaniche della valle del Sangro. L’assalto alle posizioni nemiche del basso Trigno fu perciò preparato con molta cura e fu preceduto da intensi bombardamenti terrestri e aeronavali che crearono il panico tra gli abitanti dei paesi sulla riva sinistra del fiume. Tufillo fu attaccata, senza successo, da pakistani e inglesi già la notte del 1/2 novembre. Nelle ore centrali del 2 novembre 1943, bombardieri tattici e cacciabombardieri alleati colpirono , Furci, Fresagrandinaria, Dogliola, Celenza, Carunchio provocando morti più tra i civili che tra le truppe tedesche. Obiettivo dei bombardamenti era di isolare le posizioni tedesche di San Salvo e Tufillo, che sarebbero state attaccate dalle fanterie e dai carri la notte successiva. Nella tarda serata del 2 novembre, mentre 1’8ª Divisione indiana provava per la seconda volta a prendere Tufillo (con la 19ª Brigata di fanteria) e falliva ancora l'obiettivo - dopo uno scontro cruento durato tutta la notte e il dì seguente con gli uomini del 3° Reggimento paracadutisti tedesco del col. Heilmann -, sulla costiera il cannoneggiamento terrestre e navale in direzione dei colli di San Salvo, Cupello e Vasto divenne violentissimo. Un poco più tardi, alle ore 1 antimeridiane del 3, mentre i cannoni Bofors sparavano proiettili traccianti, simulando un'azione, sulla direttrice Montenero-Montalfano, i battaglioni d'assalto della 78ª Divisione britannica iniziarono l'avanzata verso le posizioni nemiche di San Salvo, su di un fronte lungo quasi 5 chilometri (dal mare all’inizio della Bufalara). Intorno alle ore 3.30, una flottiglia di motosiluranti simulava inoltre uno sbarco, a

124 tergo delle posizioni germaniche, in un punto a mezza strada tra la foce del Trigno e la Marina di Vasto per tenere sotto pressione i comandi tedeschi. La simulazione produsse i suoi effetti. Poco prima dell'alba del 3 novembre (quando già erano state sparate 25.000 granate sulle posizioni della 16ª panzerdívision), la battaglia cominciò a volgere lentamente a favore dei britannnici. I carri “Sherman” del 46° “Royal Tank Regiment”, aprendo un varco negli avamposti nemici de “I Colli” (sulla direttrice della via vecchia di Montenero e dell’attuale via Bellisario), consentirono alle fanterie irlandesi e inglesi di raggiungere le periferie meridionale e orientale di San Salvo. Il battaglione irlandese degli “Inniskilling” iniziava allora lo sgombero di San Salvo, operazione portata a termine entro le ore 10, impegnando scaramucce con pattuglie nemiche (durante la ritirata entro l’abitato, 2 soldati tedeschi venivano uccisi da civili). Nel frattempo, il saliente di Cupello era ancora pesantemente colpito dall’aria, da squadriglie di bombardieri medi tattici alleati, le cui bombe più grandi colpirono anche alcune abitazioni, causando la morte di 74 persone in totale. […] Nel contiguo settore sinistro del fronte, nel frattempo l’8ª Divisione indiana (dopo tre ripetuti insuccessi) occupava finalmente Tufillo, il 4, località che era stata difesa dal 3° Reggimento della provata ma risoluta 1ª Divisione paracadutisti di Heidrich, e raggiungeva il 5 novembre Palmoli, sgomberando successivamente la strada Statale 86 tra Vasto e Torrebruna. […] E' difficile, anzi impossibile, dire esattamente quante furono le vittime della battaglia. Le perdite della 78ª Divisione britannica ammontavano a più di 1000 uomini (250 morti, 700 feriti e 55 prigionieri); nell’8ª Divisione indiana il 6° battaglione del 13° reggimento “Royal Frontier Force Rifles” ebbe 38 morti, 209 feriti e 14 dispersi; il 1° battaglione del 15° “Essex Regiment” circa 36 morti e 139 feriti; gravi anche le perdite del 3° battaglione dell’8°

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“Punjab Regiment”. Perdite minori si ebbero nelle operazioni attraverso la media e alta-valle. Non ben conosciute ma certamente inferiori le perdite delle formazioni tedesche (un'ipotesi molto approssimativa, indica in almeno 200/250 i morti e in almeno 500 i feriti del LXXVI Panzer Korps). Quanto ai civili, si ebbero circa 400 morti in totale: 35 morti circa a San Salvo (di cui 14 il giorno 3 novembre 1943), circa 30 a Vasto, 126 a Cupello, 2 a , 10 a Fresagrandinaria, 4 a Dogliola, 7 a Tufillo, 10 a Furci, 1 a Palmoli, circa 25 a Celenza, 11 a Carunchio, circa 6 a Castiglione, 2 ad Agnone e contrade, 2 a Pescolanciano, 14 a Capracotta, 2 a Civitanova, 3 a , 13 a Torella, più di 6 a Bagnoli, 2 a , 5 a Tavenna, 2 a Roccavivara, circa 4 a Montefalcone, circa 9 tra Montemitro e San Felice, 11 ad Acquaviva, circa 10 tra Mafalda e Tavenna, 20 a Montenero di Bisaccia e altri ancora nelle restanti località della valle, in gran parte a seguito dei bombardamenti aerei alleati e in parte minore per fuoco di artiglieria, per mine antiuomo e anticarro o per essere incorsi in esecuzioni o rappresaglie tedesche (circa 35). Almeno altri 1.000 civili rimasero feriti.

( Dal testo di Fernando Sparvieri, sunto dello scritto del prof. Giovanni Artese, in una versione ridotta di alcuni argomenti trattati nei suoi libri "La guerra in Abruzzo e Molise 1943 - 1945 - I - II- III Volume".)

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Capitello con fiori di acanto. PECTEN Ingresso laterale della chiesa. Ingresso centrale.

Anno Domini 1728

Casa adibita a canonica fino alla fine degli anni ’30.

Cornice orizzontale e quattro volute che suggeriscono il frontone sull’ingresso principale della chiesa.

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“…ad Futuram ivi Memoriam…”

Grazie “Venerabile” Padre e Pastore, Tomaso Giannelli.

Sei stato il missionario delle “periferie”… la tua e la nostra terra…

Ora, dal cielo ti chiediamo di elargire su di noi la tua benedizione…

Sì..! Una mano benedicente sulla tua tanto amata Chiesa di “Termoli-Larino”.

Si..! Benedici, o Padre buono!

Benedici “La Terra di Montemitro”, i tuoi parrocchiani, tutta la tua diocesi, la Chiesa intera e il tanto amato Sommo Pontefice.

Dona ad ogni uomo e donna un futuro migliore: un futuro di pace e d’amore. Amen.

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Il pensiero conclusivo non è mio…

Carissimo/a in questo momento storico, se la fede in Dio vacilla. Se i rapporti con la Chiesa crollano. Se i legami familiari si indeboliscono. Se i giovani sono attratti da falsi miraggi. Se si assiste allo stravolgimento dei valori. Se l’istinto prevale sulla ragione. Se tutto diventa lecito. Se ogni crimine viene giustificato. Se si arriva allo scoraggiamento e al suicidio fisico e spirituale. Allora, è necessario ritornare alle vere sorgenti. A Dio, che è Padre e vuole solo il tuo bene. Alla famiglia; prima cellula della società e della Chiesa; prima scuola dove si impara a pensare; prima chiesa dove si impara a pregare. Alla terra; che significa tornare anche a quell’humus cristiano in cui sei nato e vissuto, che ti porta ad amare la patria e la Chiesa, che ti porta ad essere cristiano e cittadino che si sacrifica per il bene della nazione e per il suo sviluppo. Carissimo/a ti auguro di essere testimone della Verità e della Pace. Apostolo coraggioso consapevole delle difficoltà che ti circondano, che per amore non tacerai pur di vedere regnare la pace e l’unità. Ti auguro di essere custode e difensore dei diritti di Dio e dell’uomo, per non tradire mai la Verità né per minaccia, né per adulazione. Sii seminatore di pace come cittadino e come cristiano, capace di dare a Cesare quello che è di Cesare e a Dio quello che è di Dio. P, Eugenio Bosilkov (1900-1952)

Carissimo/a questa non è la conclusione di un lavoro fatto sulle memorie di un piccolo paese, bensì la sintesi di un messaggio: - “ieri” trasmesso ai nostri antenati dai loro predecessori, - “oggi” tramandato a noi attraverso i nostri padri, - “sempre” vivo per essere trasmesso ai posteri! 129

INDICE

Premessa pag. 2

Ristampa della “Nota alla Prefazione” relativa alla prima pubblicazione delle “Memorie”. 4

Il testo originale. 5

Spiegazione delle note inserite nel testo originale. 11

Il testo sulla “Terra di Montemitro” rielaborato in lingua italiana attuale. 27

Rappresentazione grafica di tre ipotesi relative alle tre chiese della “Terra di Montemitro” nel ‘700. 32

I Monti Frumentari. 35

“Niz Po Grad” 39

Il manoscritto sullo Stato delle Anime. 40

La Cappella di Santa Lucia – Posa della prima pietra. 42

“ Dai Tesori della Tradizione Orale ”. 45

Le quattro epigrafi. 54

“Notizie” del sacerdote Angelo Cieri. 56

Il campanile di Montemitro. 60 L’orologio “a 6 Ore”. 62

Un antico gioiello. 64

“Mai più la guerra” – Per non dimenticare. Il sacrificio del Cap. Leopoldo Lalli. 67

La scuola materna di Montemitro. 72

Preghiere e canti. Alla Vergine 73 A Maria SS. del Rosario 74

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A Santa Lucia, Vergine e Martire di Gesù Cristo 74 A San Rocco, Confessore della Fede in Gesù Cristo 76 A San Giuseppe, sposo di Maria 77 Allo Spirito Santo - A Gesù Bambino 77-78

Feste e tradizioni. 79

“ Trtakula – Džrdžaka – Hlepača ” 88

Don Alberto Pellesi a Montemitro. 90 Ebrei salvi grazie al “Timbro” di Don Alberto Pellesi! 93

Le prime Visite Canoniche al Casale di Montemitro. 94

Le prime 15 feste alla Cappella di Santa Lucia. 95

Arti & Mestieri 98

La devozione di Santa Lucia a Montemitro. 99 “Stari Grad” e Santa Lucia. 100

Un piccolo museo con un grande tesoro. 102

“Le 12 croci” 104

Da un Manoscritto di E.A. Paterno. 106

Qualcosa “Na Našo” e in italiano . 111 Uzma – Pasqua 112 “Nako mi rečahu kada bihu mali” 114 “Così mi dicevano quando ero piccolo” 115 “Naše Dida” – “I nostri antenati” 116

EPIFANIA 2017 - “La grande nevicata”. 119

L’Albo dei Sindaci del Comune di Montemitro. 120

Uno strano altorilievo. 121

La battaglia del Trigno. 122

Il pensiero conclusivo non è mio… 129

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Angelo Gabriele Giorgetta

Sacerdote. Nato a Campobasso il 6 marzo 1966. Originario di Montemitro – CB. Un paese di minoranza linguistica slava. Dal 1976 al 1985 studia presso il Convitto “Principe di Piemonte” in Anagni – FR, dove si diploma come Geometra. Dal 1990 al 1995 studia filosofia e teologia a Roma presso l’università pontificia “Antonianum”. Il 20 aprile 1996 è ordinato sacerdote passionista. Nel 1997 consegue la Licenza in “Scienze Orientali” presso il Pontificio Istituto Orientale a Roma elaborando una dissertazione dal titolo: “Respirare col Cuore – Aspetti Apofatico-Trinitari in S. Paolo della Croce”. Dal 1997 al 2003 è missionario nella Bulgaria del nord. Dal 2013 è Parroco di Montemitro e di San Felice del Molise. Queste le pubblicazioni: - “Radici profonde – Background del cattolicesimo in Bulgaria” - 2004. - “Sulle rive del Danubio - L’inizio delle comunità cattoliche in Bulgaria” - 2006. - “Maria - Maestra di Vita” - Raccolta di brevi meditazioni mariane – 2006. - “Il mondo trasfigurato dall’Amore. Scritti di san Paolo della Croce e di suo fratello Giovanbattista Danei alla luce dell’Oriente cristiano” – 2007. - “Nel Cuore del Padre – Pensieri e Trepidazioni per un futuro migliore” – Romanzo storico sul B. Eugenio Bosilkov, martire, vescovo passionista - 2012. - “Racconti Veri. Mai Successi…” - 2016. - “Dov’è l’umiltà? Zitto e scava… - Racconti, considerazioni e riflessioni. Per tutti i tipi di giovani…” - 2016 - “ Mundimitar, Filič, Kruč - Ove naře lipe gradiča - Montemitro, San Felice, Acquaviva - Questi nostri bei Paeselli - Foto e rimembranze di un passato proteso verso il futuro – Piccola rassegna fotografica – 2016. - “Uniti nella fede liberi nella verità – Sulle sponde dell’Europa. Popoli in esilio. Nel cuore del Mondo. Nazioni ferrite” - 2016. II edizione, riveduta e ampliata di “Radici profonde”. - “Montemitro – Coronato di Immortalità – Storia, Lingua e fede” - 2017. - “Word & Windows – Parola di Dio. Finestre sull’Eternità – Piccolo manuale per i primi passi nella comprensione dell’Antico Testamento e della Celebrazione Eucaristica” – 2017. - “Il rosario e il cellulare – Sulla scia di Don Oreste Benzi. Costruire la famiglia su Gesù, la pietra angolare” - 2017. - “La velocità tetrangolare - Storia sulla scoperta dell’energia esasferica Romanzo di Fantascienza” – 2017.

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