Pittura Giapponese Apparen- Tati Ai Rotoli Degli Inferni (Jigokuzo-Shi)

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Pittura Giapponese Apparen- Tati Ai Rotoli Degli Inferni (Jigokuzo-Shi) G Gabbiani, Anton Domenico (Firenze 1652-1722). Per breve tempo presso il Sustermann e poi discepolo di Vincenzo Dandini. Assistito da previsio- ni granducali studiò a Firenze, a Roma (presso l’Accademia medicea diretta da Ciro Ferri) e a Venezia con Sebastiano Bombelli. Il risultato fu uno stile eclettico, tra il classicismo romano e il colorismo veneziano. Pittore ufficiale della corte medicea – protetto da Cosimo III e dal Gran Princi- pe Ferdinando – contribuí alla decorazione di palazzo Pitti, del teatro della Pergola e della villa di Poggio a Cajano (Apoteosi di Cosimo il Vecchio, 1698), oltre che di molti altri palazzi (Riccardi, Corsini, Acciaiuoli). Lavorò molto anche per la nobiltà e per la chiesa (cupola di San Frediano: Gloria di santa Maria Maddalena de’ Pazzi). Si distinse per i suoi sfondi di paesaggio, tra i quali notevoli quelli nelle Sto- rie di Diana a palazzo Gerini. Lasciò una quantità innume- revole di disegni – ammirati poi dal Mengs – che provano la sua tendenza fondamentalmente accademica di tradizio- ne fiorentina: in questo senso anche il suo evidente cortoni- smo di fondo non si limita ad una imitazione superficiale degli effetti piú spettacolari. A Roma conobbe anche la pit- tura del Maratta. Le sue grandi composizioni volgono spes- so verso un freddo accademismo, al contrario dei bozzetti, ritratti e paesaggi con figure. Tra i «quadri di stanza» si ri- corda qui, per particolare esito qualitativo, il Cristo comuni- ca san Pietro d’Alcantara alla presenza di santa Teresa, f. d. 1714 (Schleissheim, sgs). (eb + sr). Gabillou, Le La grotta del G (località della Dordogna, presso Sour- Storia dell’arte Einaudi zac), scoperta nel 1941, si compone di uno stretto corri- doio lungo una trentina di metri, sulle cui pareti una suc- cessione d’incisioni, ben conservate, rivela uno tra i piú importanti santuari paleolitici. La prima parte, all’inizio del corridoio, è decorata dal tema bisonte-cavallo, accom- pagnato da segni quadrangolari. Questa parte è stata par- zialmente distrutta dal cantiere di una cava moderna; conserva soprattutto figurazioni che indicherebbero il termine di un primo santuario: un felino assai bello, dal pelame finemente indicato, precede un personaggio con le corna, dalla testa triangolare e dal corpo inclinato. La testa di un altro felino, di notevole disegno, mostra mi- nacciosi denti canini, questo felino è accompagnato da un bovide e da un cavallino. Tale gruppo viene ripetuto al termine del secondo santuario. Una figura umana, dalla capigliatura irsuta e dagli occhi esorbitanti, è incisa prima della sala in cui un cavallo, dal contorno profonda- mente tracciato, è stato colorato in rosso. Numerosi ca- valli dal collo arcuato, una testa di bovide, un cavallo im- pennato fronteggiano altri equidi accompagnati da un bue che reca il segno di una ferita. Nella strettoia, un gruppo d’incisioni confuse e profonde rivela qualche linea dorsale di bisonte. Sulla volta bei segni rettangolari del tipo del Périgord accompagnano incisioni di cavalli, tra cui una testa dalla criniera irta, di notevole tracciato. Questo complesso principale si fonda dunque sul tema bisonte-cavallo reiterato piú volte. È seguito da un pan- nello con stambecchi e, sulla parete destra, da un gruppo di strani animali: un quadrupede dal lungo collo e una piccola, stupefatta testa di felino, vista di faccia, si trova- no accanto a una lepre dalle lunghe orecchie. Talvolta l’incisione è tanto profonda da costituire un bassorilievo, e l’artista ha abilmente tratto profitto dalle irregolarità della roccia per dare l’illusione del volume. Sulla parete sinistra, la Donna dall’anorak, celebre figura dal volto di profilo, è avvolta in un cappuccio che le copre la testa e le spalle. Compare anche, accompagnato da segni di graf- fa, il tema secondario bue-cavallo. Il corridoio-santuario si conclude con le consuete figurazioni di fondo, in parti- colare un orso, una figura umana che indossa una ma- schera cornuta e numerosi cervidi che incorniciano brevi riprese dei temi bisonte-cavallo e bue-cavallo. L’ultimo pannello contiene un cavallo, un felino e un personaggio che rammenta lo stregone della grotta dei Trois-Frères. Storia dell’arte Einaudi Si presenta qui l’associazione uomo-bisonte unita da alcu- ni tratti a due grandi segni rettangolari. La grotta del G è organizzata come i grandi santuari, in particolare il Diverticolo dei felini a Lascaux, Niaux e Les Combarelles. I temi essenziali vengono ripetuti sulle prin- cipali superfici delle sale, accompagnati da segni di tipo costante, benché con varianti. Nelle strettoie, segni di passaggio, stambecchi o cervidi, preannunciano una nuova sequenza, che è conclusa da esseri umani e da felini. In questa grotta è rappresentato, nel suo complesso, lo stile III; essa appare in parte contemporanea di Lascaux e per- tanto, secondo Leroi-Gourhan, sarebbe stata realizzata tra il Solutreano e il Magdaleniano medio. (yt). gabinetto Denominazione conferita a un ambiente ove si conservi una raccolta, pubblica o privata, di quadri, disegni, stam- pe, medaglie, pietre intagliate, materiali di storia natura- le. Un g era, in origine, un mobile munito di numerosi cassetti nei quali si conservavano documenti importanti e oggetti preziosi di piccola taglia: medaglie, gemme, gioiel- li; per estensione, il termine designò in seguito la stanza, generalmente di dimensioni ridotte, ove si custodivano oggetti da collezione. Venne impiegato nel xvii e nel xviii sec. per indicare tanto la collezione quanto il luogo (stan- za o galleria) destinato ad ospitarla. Oggi lo s’impiega an- cora in ambedue i significati. In museologia, designa una sala, generalmente piccola, ove siano esposti alcuni pezzi di una raccolta (al Louvre di Parigi i petits cabinets). Non sembra che nell’antichità un ambiente specifico venisse ri- servato alle collezioni. Nella villa romana la «pinacoteca» designa piú la raccolta che l’ambiente. Nel medioevo i primi grandi collezionisti come Luigi d’Angiò o Jean de Berry possedevano invece g ove raccoglievano oggetti di ogni sorta: pietre preziose, avori, manoscritti. A voler cre- dere al copista fiammingo Guilbert de Metz (prima metà del xvi sec.), un g ospitava inoltre strumenti musicali, armi, pietre preziose, pellicce, tessuti e spezie. Raramente vi si trovavano opere d’arte. Tra la fine del xv e l’inizio del xvi sec. i principi italiani si facevano frequentemente costruire uno «studiolo», o «camerette di meditazione» spesso decorato da pitture (studiolo di Federico da Mon- tefeltro a Urbino, g di Isabella d’Este a Mantova). Si co- minciò col raccogliervi strumenti musicali, apparecchiatu- Storia dell’arte Einaudi re scientifiche, medaglie e monete, nonché ogni genere di curiosità e bizzarrie, mescolate a ritratti di filosofi e di contemporanei. Questa concezione del g di curiosità venne confermata durante il xvi sec. in tutta Europa, ma soprattutto nei paesi germanici. Uno dei g piú celebri, quello di Enrico II a Fontainebleau, conservava oggetti d’interesse etnografico; Rodolfo II, nel castello di Hradãany a Praga, raccoglieva, in mezzo ai quadri di Ar- cimboldo, anamorfosi dipinte e ogni tipo di «fenomeni» naturali, per esempio feti mostruosi. La maggior parte dei grandi palazzi conteneva allora un g d’armature, o Ru- stkammer, uno di oggetti preziosi o Schatzkammer (ne serba il ricordo quello della Residenza di Monaco), e uno di oggetti meravigliosi, o Wunderkammer. Lo sviluppo del mercato d’arte, la scoperta di pezzi antichi, nonché il gusto per le collezioni di ritratti, condussero ad una tra- sformazione nella concezione del g. Francesco I, che fondò il primo «g reale di quadri» nucleo delle collezioni della Corona, li aveva raccolti in cinque camere a volta, riccamente ornate di stucchi, che costituivano l’apparta- mento dei bagni di Fontainebleau. Nella stessa epoca si diffondeva la moda dei «g di ritratti», ad esempio quello approntato da Caterina dei Medici nel suo palazzo di Soissons, in piccoli ambienti dalle pareti interamente co- perte di effigi, sovente incastonate nell’arredo ligneo. Nel corso del xvii e del xviii sec. il gusto del collezioni- smo si diffuse in tutte le classi colte della società; ogni persona di rango era tenuta ad essere un «conoscitore» o un «curioso», e possedeva un proprio «g d’amatore». Una stanza dell’appartamento era destinata ad ospitare quadri, copie di pezzi antichi e quei diversi oggetti di scienza fisi- ca o naturale, già segnalati nelle raccolte cinquecentesche, il tutto assemblato in un suggestivo disordine. Per esten- sione, l’espressione designò pure collezioni piú importanti e specializzate: si parlava del g di M. Crozat o di M. Ma- riette, ma l’autentico g d’amatore è il ripostiglio pittore- sco di cui si trovano tanti esempi in Francia e piú ancora nei Paesi Bassi, ove la relativa piccolezza delle abitazioni non consentiva d’impiantare, come in Italia, grandi galle- rie. La rappresentazione dei g d’amatore divenne uno dei temi favoriti della pittura di genere nelle Fiandre, soprat- tutto ad Anversa. David Téniers, i Francken, Bruegel de Velours, W. van Haecht, Gillis van Tilborch e numerosi altri pittori per tutto il xvii sec. hanno sfruttato il sogget- Storia dell’arte Einaudi to (il Louvre possiede un buon esempio di tali opere, col Cabinet d’amateur di Cornelis de Baellieur). Quasi tutti questi g d’amatore raffigurano anche gli stessi collezioni- sti mentre esibiscono le proprie raccolte. Si tratta di sale dalle pareti interamente coperte da quadri, accostati l’uno all’altro a caso, talvolta con qualche calco di antichità; ve- trine e tavoli espongono medaglie, libri pietre preziose, tutti gli oggetti che avevano affascinato il xvi sec. e che l’amore per la pittura pone ora in secondo piano. I g non bastano piú ad ospitare le collezioni importanti raccolte dagli amatori. Si tratta di gallerie vere e proprie, e il senso del termine evolve, tanto da designare soltanto, quasi sempre, la collezione in se stessa.
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