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editoriale

PERCHÉ UN PANNOLINO VALE PIÙ DI UN FILM? di GIANNI CANOVA

C’è una domanda a cui, per quan- lo di persone (poche decine) e pa- to mi sforzi, non riesco a dare una gando meno tasse di una piccola risposta. impresa mobiliera della Brianza?

Perché se uno vuole acquistare Ci sono voluti secoli per arriva- sul web qualsiasi prodotto mate- re a tutelare il diritto d’autore. riale – dai formaggini ai pannolini Per vedere riconosciuto il valore – trova normale che questi abbia- del lavoro intellettuale e creati- mo un prezzo e che per poterne vo. Per far sì che le professioni disporre bisogna sostenere un creative non fossero più solo costo, mentre di fronte a prodotti appannaggio di rentier con alle cosiddetti immateriali – un film, spalle famiglie aristocratiche. Ci un brano musicale, un articolo, sono voluti secoli per capire che un testo – molti pretendono che il riconoscimento economico del siano disponibili gratuitamente? diritto d’autore, nel momento in Forse che il lavoro di un produtto- cui questo diventa di massa, è una re di pannolini vale di più di quel- delle poche vie di cui il singolo retribuite ma attività dopolavori- lo di chi realizza un film o di chi individuo dispone per sfuggire stiche e dilettantesche. Oppure scrive una canzone? davvero alla schiavitù del lavoro attività da cortigiani disposti a salariato. Ora tutto ciò rischia di produrre ciò che i nuovi Padro- Misteri della Rete. essere cancellato da coloro che ni vogliono si produca. È questo con la scusa della libertà della che volete? Questo che vogliamo? Fatto sta che sia a livello europeo Rete in realtà diventano le guar- Questo il futuro che ci attende? La che a livello italiano un fronte die del corpo dell’algoritmocra- battaglia di settembre sul copyri- ampio che va dai post-comunisti zia. E allora bisogna dirlo forte e ght è una battaglia decisiva. Non ai neo-sovranisti urla compatto chiaro che nella battaglia europea solo per noi, ma anche per quelli contro la Legge che tutela il di- per la difesa del diritto d’autore che verranno dopo di noi. ritto d’autore, in difesa di quella passa non solo l’affermazione di che loro chiamano la libertà della un principio, ma anche il futuro Rete. Che è poi la liberta di alcu- dell’industria culturale e dei no- ni colossi del web di rubacchiare stri attrezzi per fantasticare. contenuti prodotti da altri e di metterli a disposizione drenando Se si perde quella battaglia, il ri- pubblicità da capogiro e pagando schio è che di qui a poco non ci tasse in misura ridicola. Ma sanno siano più film, musiche e testi che i paladini della libertà che i loro non siano quelli voluti e approvati amati Google e Facebook hanno dai detentori delle infrastrutture fatturato in Italia nell’ultimo anno tecnologiche di circuitazione di 2 miliardi di euro, accaparrandosi contenuti rubati. C’è il rischio che il 90% delle risorse pubblicitarie, il regista o il musicista o lo sceneg- dando lavoro a un numero ridico- giatore non siano più professioni sommario

½ Progetto Creativo 8 19novanta communication partners NUMERI, VISIONI E PROSPETTIVE Creative Director DEL CINEMA ITALIANO Consuelo Ughi EDITORIALE 24 Allargare la visione di Raffaele Meale Designer 01 Perché un pannolino Bimestrale d’informazione Giulia Arimattei, vale più di un film? 26 AAA cercasi Pontormo e cultura cinematografica Matteo Cianfarani, Valeria Ciardulli, di Gianni Canova di Roberta Torre Martina Marconi, Iniziativa editoriale realizzata Lorenzo Mauro Di Rese 28 Quadricromia. da Istituto Luce-Cinecittà Quattro autori in collaborazione con ANICA Stampa ed allestimento del nostro cinema Arti Grafiche La Moderna cover e Direzione Generale Cinema Via Enrico Fermi 13/17 00012 Guidonia Montecelio 28 La tavolozza di Bava (Roma) SCENARI di Boris Sollazzo Direttore Responsabile Giancarlo Di Gregorio Registrazione presso il Tribunale 06 Tra cromofobia 29 Antonioni, dipingere Direttore Editoriale di Roma n° 339/2012 e cromofilia la realtà del 7/12/2012 Gianni Canova di Gianni Canova di Cristiana Paternò Direzione, Redazione, Vice Direttore Responsabile Amministrazione Cristiana Paternò Istituto Luce-Cinecittà Srl 08 Peppino Ortoleva: 30 La pulsazione emotiva Via Tuscolana, 1055 - 00173 Roma l’eccitazione cromatica di Matteo Garrone Capo Redattore Tel. 06722861 fax: 067221883 Stefano Stefanutto Rosa di un Paese in bianco di Marcella Leonardi [email protected] e nero www.8-mezzo.it In Redazione di G. C. 31 Lo stracolore va… Bene Carmen Diotaiuti di Steve Della Casa Andrea Guglielmino Chiuso in tipografia il 31/07/18 10 Questione di luce di Federico Pierotti 32 Rosso Shining, Coordinamento redazionale DG Cinema blu Titanic Iole Maria Giannattasio 12 Una matita gialla sondaggio di Silvana Annicchiarico di Alice Bonetti Coordinamento editoriale Nicole Bianchi 14 Desaturando desaturando Hanno collaborato Silvana Annicchiarico, di Rocco Moccagatta Pedro Armocida, Alice Bonetti, voci Margherita Bordino, Nicola 16 Cinema ibrido Calocero, Gianni Celata, di Elena Gipponi Roberta Chiti, Corrado Colombo, INCHIESTE Carlo Cresto-Dina, Silvio Danese, 18 Il primo fu Totò Steve Della Casa, Laura Delli Colli, Federica D’Urso, Catherine di F. P. 36 Nuovi Cinema Paradiso Fitzgerald, Iole Maria di Gianni Canova Giannattasio, Elena Gipponi, 20 Quadri in tipografia Oscar Iarussi, Marcella Leonardi, di E. G. 38 Sopra i tetti di Milano Jennifer Malvezzi, Anton Giulio di Hilary Tiscione Mancino, Andrea Mariani, 22 Viaggio cromatico Raffaele Meale, Rocco Moccagatta, Valentina Neri, nella memoria 40 Questione di… Hart Federico Pierotti, Ilaria Ravarino, del cinema di Margherita Bordino Claver Salizzato, Boris Sollazzo, di Andrea Guglielmino Azzurra Teoli, Hilary Tiscione, 41 Seravezza: Roberta Torre, Bruno Zambardino patrimonio Unesco e Grand Gourmet di Nicola Calocero rewind latest

42 Policlinico Gemelli, RACCONTI DI CINEMA SCANNER RICORRENZE l’arte della CineTerapia di Nicole Bianchi 54 La città delle donne 66 La sfida della Legge 92 Una bicicletta La smorfia amorfa Cinema al mondo per l’Italia del ’48 43 Dal Cine-panettone e lo scafandro delle sale di Nicole Bianchi al Cine-panzerotto di Silvio Danese di Federica D’Urso, di Anton Giulio Mancino Iole Maria Giannattasio, Bruno Zambardino RICORDI 44 Proiezioni memorabili REPRINT di Valentina Neri 94 Anna Maria Ferrero 56 Un deserto di colori FOCUS NUOVA ZELANDA (1934-2018) in un mondo pazzo Via dal cinema DISCUSSIONI quattro volte 75 Metti una nuvola per amore di Gianni Toti nel blockbuster di Laura Delli Colli 46 Un gatto in the Sky da “Giovane critica”, di Ilaria Ravarino di Pedro Armocida ottobre-novembre 1964 95 Carlo Vanzina di Andrea Mariani 80 VA TAPUIA! (1951-2018) La forza creativa Il critico (gentile) PUNTI DI VISTA della diversità che non c’è stato ANNIVERSARI di Catherine Fitzgerald di Rocco Moccagatta 48 Il nuovo pensiero critico italiano 58 A 50 anni da di Jennifer Malvezzi C’era una volta il West CINEMA ESPANSO INNOVAZIONI

50 Beethoven 59 Quando la leggenda 82 Calzature Divine 96 Falchi e colombe e la Virtual Reality diventa realtà, di Stefano Stefanutto Rosa contro Netflix & Co. di Carlo Cresto-Dina vince la leggenda di Roberta Chiti di Claver Salizzato 87 Özpetek e le stelle digitali 98 Le tre eresie del cinema di Nicole Bianchi di Gianni Celata

88 Prandino, conte & regista INTERNET di Corrado Colombo E NUOVI CONSUMI

100 Ritorno alla Luna, GEOGRAFIE da Méliès alla realtà virtuale 90 ​L’Adriatico di Fellini di Carmen Diotaiuti di Oscar Iarussi

MARKETING DEL CINEMA ITALIANO

102 L’anno der canaro di Andrea Guglielmino

104 BIOGRAFIE voci - inchieste non ci sono più i cinema di una volta? Sì, ce ne sono di nuovi. cover

SCENARI

06 Tra cromofobia 18 Il primo fu Totò 28 La tavolozza di Bava e cromofilia di F. P. di Boris Sollazzo di Gianni Canova

20 Quadri in tipografia 29 Antonioni, dipingere

08 Peppino Ortoleva: di E. G. la realtà l’eccitazione cromatica di Cristiana Paternò di un Paese in bianco e nero di G. C.

22 Viaggio cromatico 30 La pulsazione emotiva 10 Questione di luce nella memoria di Matteo Garrone di Federico Pierotti del cinema di Marcella Leonardi di Andrea Guglielmino

24 Allargare la visione 31 Lo stracolore va… Bene 12 Una matita gialla di Raffaele Meale di Steve Della Casa di Silvana Annicchiarico

26 AAA cercasi Pontormo 32 Rosso Shining, di Roberta Torre 14 Desaturando blu Titanic desaturando sondaggio di Rocco Moccagatta di Alice Bonetti

28 Quadricromia. 16 Cinema ibrido Quattro autori di Elena Gipponi del nostro cinema

4/5 scenari

TRA CROMOFOBIA

E CROMOFILIA

di GIANNI CANOVA

cover - scenari Profondo rosso o Nero bifamiliare? Tutti i colori del cinema italiano C’è una diffusa cromofobia che marchi stranieri, perché quelli ita- degli album dei Pink Floyd o dei attraversa la storia sociale italiana liani hanno chiuso o sono falliti. Led Zeppelin, anche in Italia, degli nella seconda metà del ‘900. Potenza della politica, miseria del- oggetti di culto. Ma anche la moda la politica. Ma anche, e soprattut- si colora: dal negozio di Piazza san Paura del colore. Diffidenza. Astio. to, paura della modernità. Disagio Babila, a Milano, Fiorucci trasfor- Sospetto. Ostilità. Il culmine di della modernità. Diffidenza nei ma zeppe e monokini sgargianti questa tendenza si ha all’inizio de- confronti della tecnica. E – su tutto quasi in oggetti da pop art e invade gli Anni ‘70, quando uno dei primi – la solita, cronica paura del nuovo. l’immaginario collettivo con una governi Andreotti rischia di cadere visione del tutto nuova che vetri- perché il segretario del Partito Re- Sul colore, attorno al colore, la nizza il mondo anche attraverso pubblicano Italiano, Ugo La Malfa, società italiana gioca una partita l’uso fortemente connotativo di minaccia di ritirare la sua delega- importante nel suo percorso verso tutto lo spettro cromatico. E poi ci zione dal governo se il Consiglio la modernità. Nel cinema, come è sono i fumetti: Pentothal, Canniba- dei ministri dovesse decidere di noto, il colore era già arrivato all’i- le, Frigidaire, Stefano Tamburini e dare il via libera all’introduzione nizio degli Anni ‘50: Totò a colori Andrea Pazienza, e tutto l’universo anche in Italia della Tv a colori. Il (1952) di Steno, realizzato con la psicotropo della new wave italiana colore – pensano in tanti – non è tecnologia tutta italiana della Fer- che celebra nel colore la propria solo inutile, è anche scandaloso. È rania, inaugurava una stagione in vocazione irridente e incendia- un vizio che non ci si può permet- cui l’euforia cromatica (il Ferra- ria, mentre al MoMA di New York tere. È un incitamento neanche niacolor conferiva alle pellicole un la mostra . The New Domestic tanto implicito ai bagordi del con- colore molto sgargiante e acceso, Landscape fa decollare nel mondo sumismo. La pensano così, tra i quasi da risultare irreale, o in alcuni i colori del nuovo design italiano. tanti, molti sindacalisti della CGIL casi addirittura instabile) si appli- Perfino il cibo vuole essere più (“L’adozione della televisione a cava soprattutto alle pellicole più colorato: bibite e gelati ostentano colori si muove in senso del tutto popolari, ai film di genere, a quelli colorazioni estrose ed eccessive, L’improvvisa svolta nella percezione e nel consumo sociale del colore segna – negli Anni’70 – uno dei passaggi più rilevanti nel percorso della società italiana verso la modernità. Allora si passò repentinamente dalla cromofobia pauperistica alla cromofilia euforica. E oggi? Qual è oggi il nostro rapporto con il colore? E che ruolo gioca il cinema nella definizione dello spettro cromatico della realtà contemporanea?

opposto alle esigenze del nostro più vicini al varietà, mentre gli au- arrivano i ghiaccioli translucidi e Paese”) e anche il Partito Comu- tori (con poche sporadiche ecce- gli sciroppi per le granite, spopo- nista, che con un tipico atteggia- zioni: Antonioni e il Visconti del lano i coloranti che qualche tempo mento pedagogico-paternalista si Gattopardo su tutti) continuavano dopo sarebbero stati denunciati preoccupa di proteggere le masse a disdegnare il colore e a preferire come nocivi (ricordate l’E123 che dagli adescamenti del superfluo e il bianco e nero – da Bellocchio e dava una colorazione amaranto?), del consumo. Così la Tv a colori, Bertolucci – sin quasi alla fine de- il packaging delle merci diventa che era già da tempo una realtà non gli Anni ‘60. La partita vera si gioca sempre più indiscreto, ammic- solo in America ma anche in Fran- nel decennio successivo. Anche se cante e vistoso. E il cinema? Come cia e Germania (e che la Rai era tec- passati alla Storia come gli “anni di regola il cinema italiano il suo rap- nicamente pronta a realizzare fin piombo”, i Seventies italiani han- porto col colore? Come gestisce il dal 1961), da noi arriva con almeno no in realtà ben poco di grigio. È in rapporto con una società passata 10 anni di ritardo, e con l’industria quel decennio infatti che la società repentinamente dalla cromofobia elettrotecnica italiana messa sul italiana, all’improvviso, si colora. pauperistica alla cromofilia eufo- lastrico dalla miopia delle scelte Arrivano ad esempio gli eviden- rica? Come incide sui gusti e sulle politiche governative: per anni gli ziatori Stabilo, che sostituiscono tendenze cromatiche (e sociali…) italiani smettono di comprare te- la vecchia sottolineatura con la degli italiani? Sono le domande a levisori in bianco e nero in attesa matita (grigia…) con un tratto fluo- cui cerchiamo di dare una risposta dell’autorizzazione all’acquisto rescente o verde. Ma arriva- nelle pagine che seguono, convinti di apparecchi a colori che però le no anche le copertine dei dischi che anche a partire da punti di vista aziende produttrici non possono di vinile, con le tinte lisergiche di eccentrici come questo si possono né costruire né commercializzare una grafica ardita e trasgressiva, individuare snodi, problemi e con- perché vietati. Così, quando agli che assorbe gli umori della musi- traddizioni che investono non solo inizi del 1977 finalmente il colore ca e li trasforma in segni colorati la Storia del nostro cinema ma an- arriva, nei negozi si trovano solo che rompono gli schemi e fanno che il suo rapporto con la società.

6/7 PEPPINO ORTOLEVA: L’ECCITAZIONE CROMATICA DI UN PAESE IN BIANCO E NERO

di G.C.

cover - scenari Profondo rosso o Nero bifamiliare? Tutti i colori del cinema italiano In Italia il colore ha sempre avuto un Tra i più autorevoli studiosi dell’universo forte valore simbolico anche sul pia- no politico. Il primo simbolo di tutte le mediatico contemporaneo, lo storico e sociologo forze politiche è spesso stato un colore. della comunicazione ripercorre in questa intervista Dai rossi e dai neri degli Anni ’70 agli azzurri di Berlusconi via via fino al modi e forme del passaggio dal bianco e nero nuovo governo giallo-verde. Un po’ al colore nella società italiana a partire come nel tifo calcistico (i nerazzurri, i giallorossi…) dove il colore è l’elemen- dalla metà degli Anni ‘70. to connotativo dell’identità…

Questo però non è un fenomeno specificamente italiano. Il simbolo politico per eccellenza, le bandie- Uno dei suoi libri più importanti si re, sono colorate. Sempre, ovun- intitola Un ventennio a colori. Te- Questa diversità ha delle ricadute e que. Così come il tifo calcistico, levisione privata e società in Italia, dei riflessi anche sulla fenomenologia che è colorato in tutto il mondo. 1975-1995. Fin dal titolo, sembra che Che differenza c’è fra questo nuovo della percezione? È interessante piuttosto, in Italia, lei legga il colore come tratto connota- colore televisivo e il colore al cinema? vedere il percorso per cui un certo tivo della società italiana in quel ven- Certo! Se l’industria comincia ad colore viene associato a una certa tennio nevralgico che va dall’omicidio Mi sembra che due siano le diffe- adattarsi ai colori della Tv è per- idea, a un certo partito. La DC ad di Pasolini alla discesa in campo di renze fondamentali. In primo luo- ché i colori naturali cominciano esempio sceglie un bianco casto e Berlusconi… go, l’immagine televisiva è fatta di ad apparire piatti, meno lumino- virginale, mentre l’azzurro di Forza puntini luminosi. La luce non pro- si. Ricordo solo che gli anni in cui Italia è di chiara derivazione calci- La Tv a colori arriva in Italia in ietta immagini, le fa. Lo schermo è esplode il colore elettronico sono stica ed esprime l’ambizione del modo travagliato. Alcune forze un proiettore: è uno schermo pro- anche gli anni delle luci strobo- partito di Berlusconi di essere un politiche la osteggiano e ritardano iettante, non ricevente come quel- scopiche delle discoteche, con la po’ la Nazionale di calcio della po- un processo che dal punto di vista lo del cinema che viene colpito profluvie di effetti flickering, e di litica italiana. Il giallo storicamen- tecnologico era da tempo maturo. dalla luce dal proiettore. In secon- sberluccicamenti e di sfarfallii… te è stato un colore dispregiativo Negli USA la Tv a colori c’era già do luogo, mentre la somma di tutti e tutto questo in un Paese dove (ricordiamo il “sindacato giallo”), da anni, in Francia e Germania ar- i colori nell’immagine naturale è il fino a poco tempo prima c’era una mentre il verde è un colore “libe- riva negli Anni ‘60, da noi solo nel nero, nell’immagine elettronica la cultura molto riduttiva del colo- ro” associabile alle istanze più di- 1976. Questo fa sì che la Tv a colo- somma dà il bianco. Anche i colo- re. Il vestiario maschile aveva una verse, dall’ecologismo a Gheddafi ri si diffonda da noi un po’ come ri primari sono opposti: per la Tv gamma coloristica assolutamente via via fino alla Lega… prodotto di contrabbando: per sono rosso, verde e blu, per la na- ridotta. La vita di una donna, poi, qualche anno ci si trova a guarda- tura sono giallo, ciano e magenta. era fatta di nero per 2/3 dell’esi- Il passaggio dai vecchi telefonini ai re le Tv estere che già trasmettono In ogni caso, quello televisivo è un stenza. La cultura del lutto, non nuovi smartphone può essere visto a colori, vietate fino al 1974 ma poi colore autoilluminante. dimentichiamolo, imponeva di come l’avvento del colore anche in divenute in fretta oggetto di curio- vestirsi di nero per 11 anni dopo la questo campo? Ormai viviamo in sità e di attenzione collettiva. Con morte del padre, per 7 anni dopo un’eccitazione cromatica perenne… l’avvento della Tv a colori muore la morte della madre, i momenti “Carosello” (che era in bianco e chiave della vita erano fatti di bian- Non so se eccitazione sia la pa- nero) e inizia l’era della pubblicità co e nero (matrimoni, battesimi, rola più esatta. Parlerei piuttosto a colori. Il colore televisivo è un co- comunioni…). A fronte di questa di alterazione. Primo perché – lo lore elettronico. La Tv il colore te lo austerità cromatica, stava però ricordo ancora – i colori elettro- proietta negli occhi, non si limita a l’esplosione coloristica delle feste nici non sono i colori della natura. fartelo vedere. E ciò produce effet- patronali, e poi c’erano le pitture Secondo perché l’alterazione può ti coloristici peculiari: è un colore delle madonne, i fuochi d’artificio. essere eccitante ma anche depri- fluorescente, quello televisivo. E Le processioni, le luminarie. Alla mente. L’esplosione dei colori ha dilaga in fretta dallo schermo Tv festa di sant’Agata a Catania, ad senz’altro un effetto onirico, ta- alle automobili, alla cartellonistica, esempio, la processione si svolge- lora anche un effetto surreale, ma agli elettrodomestici, al packaging. va al buio con le torce. E a guidarla non necessariamente eccitante. Tutto diventa più luminescente… c’erano degli incappucciati vestiti Potrebbe essere anche stordente, di nero. Insomma: un mondo ri- o addormentante. Non a caso, ci gido sul piano coloristico diventa sono prime avvisaglie, in giro, di improvvisamente colorato perché un ritorno a un uso più pacato del tutte le merci lo diventano e con colore. Più discreto. Lo si vede in esse le riviste, i fumetti, le coperti- certe grafiche di gusto ecologista, ne dei dischi, gli abiti…. perfino in certe insegne, in certo packaging, che sembrano voler uscire dal sovraccarico cromatico e informativo degli ultimi anni.

8/9 di FEDERICO PIEROTTI

Breve storia del colore nel cinema italiano da Totò a Una giornata particolare.

È con Totò a colori che nel ‘52 il co- melodrammi d’appendice, peplum lore si affaccia con decisione sulla e commedie balneari. scena del cinema italiano, dopo Inizialmente, gli autori conclamati una serie di esperimenti portati si mantengono a distanza di sicu- avanti senza esito fin dagli Anni rezza dal colore, preferendo prose- ‘30 (perfino Alessandro Blaset- guire sul solco già ben tracciato del ti nel 1937 si era misurato con il bianco e nero. Le ragioni dello scet- Technicolor). Forte del successo ticismo non sono soltanto tecniche ottenuto in sala e della possibilità (c’è scarsa fiducia sull’affidabilità di utilizzare la pellicola naziona- delle nuove pellicole), ma soprat- le Ferraniacolor, il film di Steno tutto culturali: il colore è ancora è finalmente in grado di mettere considerato dalle élite come un in moto un processo che nel giro elemento facile e superficiale, più di una quindicina di anni porterà adatto alla fruizione veloce della al definitivo passaggio dal bianco pubblicità e del consumo di massa e nero al colore. Nei suoi primi che alle esigenze riflessive del film dieci anni di vita, il colore è un d’autore. A tutta prima, il colore patrimonio quasi esclusivo del non sembra adattarsi per niente a cinema popolare e dei generi di quei registi come De Sica, Rossellini profondità: non solo i film comici e Visconti, che con i film neorealisti di Totò e di altri attori che si sono hanno appena scritto una pagina fatti le ossa nel varietà e nell’avan- importante della Storia del cinema.

QUESTIONE QUESTIONE DI LUCE spettacolo, ma anche film opera,

cover - scenari Profondo rosso o Nero bifamiliare? Tutti i colori del cinema italiano Nel frattempo, le vecchie resi- stenze sono state man mano superate e, anche su impulso di uno scenario internazionale che di Ferreri (Dillinger è morto), Paso- preme per il cambiamento, il ci- lini (La ricotta, La terra vista dalla nema tutto inizia a confrontarsi luna, Che cosa sono le nuvole?), Petri Tra i protagonisti di quella vicen- in maniera decisa e sistematica (La decima vittima) e altri ancora, terreno, diventando soprattutto da, è Visconti a rompere per pri- con il colore: “tra poco il bian- segnano un punto di non ritorno un problema di chiaroscuro e di mo gli indugi, nel 1954, decidendo co e nero diventerà veramente per il cinema italiano. Di fronte a modellazione delle forme. Se la di affidarsi al rodato e costoso materiale da museo”, dichiara tanta ricchezza, le obiezioni di ap- disponibilità di pellicole sem- Technicolor per girare Senso, che Antonioni mentre è in sala il suo pena dieci anni prima appaiono di pre più sensibili mette i direttori ricostruisce con sguardo pitto- Deserto rosso (1964), un film che colpo indifendibili. della fotografia in condizione di rico un ritratto indimenticabile si confronta con i colori funzio- A partire dal momento in cui, alla sperimentare soluzioni sempre dell’aristocrazia veneziana duran- nali della società industriale per metà degli Anni ‘60, il colore si più ardite, già nel 1962 in realtà te il Risorgimento. Mentre Senso comporre un magistrale ritratto impone come scelta pressoché Zurlini, coadiuvato da Rotunno, diventa il simbolo della battaglia disfunzionale della donna mo- obbligata, si possono individua- tenta di forzare i limiti del colo- delle idee degli Anni ‘50 (il pas- derna. Nello stesso periodo, con re due grandi linee possibili di re con Cronaca familiare. Il film, saggio dal Neorealismo al reali- Giulietta degli spiriti (1965), Fellini sviluppo. Innanzitutto, dall’on- prefigurando i tempi, lavora so- smo di aristarchiana memoria), si appropria delle policromie po- data più propriamente popolare prattutto sulle sottoesposizioni e per i successivi Le notti bianche e polari dei fumetti, delle illustra- prende il via un filone di grande sulle illuminazioni in chiave bas- Rocco e i suoi fratelli Visconti ri- zioni e dei manifesti per compor- creatività, destinato a riscuote- sa, privilegiando i mezzi toni e ed piega sul bianco e nero, tornando re un affresco di grande impatto, re un forte successo. Un nutrito eliminando ogni traccia di satura- al colore solo con Il Gattopardo, a che trascina lo spettatore in un gruppo di registi, direttori della zione. Qualche anno dopo, men- quasi un decennio di distanza dal- vortice allucinatorio e abbacinan- fotografia e scenografi si diverte tre a impazza la moda la prima prova. te di suggestioni visive. Sono film, a usare il colore con grande fan- del flashing (che ha in Altman, questi ultimi, che assieme a quelli tasia e disinvoltura, infrangendo Cimino e Polanski i suoi più nobili allegramente le vecchie regole esponenti), un’originale via italia- hollywoodiane della misura e del na alla desaturazione è proposta controllo: inaugurato idealmente da Bolognini con Metello (Ennio dai peplum rutilanti di Francisci Guarnieri ammorbidisce i toni (Le fatiche di Ercole, Ercole e la regi- con una pellicola a basso contra- na di Lidia), il filone viene portato sto) e da Scola con Una giornata avanti da Mario Bava (La frusta e particolare. In quest’ultimo, Pa- il corpo, Terrore nello spazio), rag- squalino De Santis rievoca con giungendo con Dario Argento vet- grandissima efficacia le atmosfere te di grande ricercatezza visiva, in livide e plumbee che avvolgono cui la cura formale tende a subli- Mastroianni e la Loren nel giorno mare le dosi crescenti di sangue della visita di Hitler a Roma. che inondano lo schermo (Pro- Il colore, ormai, ha già cominciato fondo rosso, Suspiria). a produrre una sorta di assuefa- Se in tutti questi film il colore è zione presso gli spettatori. Esso genuinamente concepito in tutta non è più concepibile come qual- la sua matericità e concretezza, cosa di separato dalla luce e dal la- un secondo filone tende invece a voro del direttore della fotografia, pensare il colore come elemento almeno per quella scuola italiana etereo e impalpabile, che lavora che proprio in questi anni afferma per toni più che per timbri, per la sua leadership internazionale. accenti più che per macchie. Il I film, insomma, tornano a esse- colore è allora chiamato a sfida- re una questione di luce, come ai re il bianco e nero sul suo stesso tempi del bianco e nero. Lo dimo- strano tra gli altri Giuseppe Ro- tunno (Roma, E la nave va) e Vitto- rio Storaro (Il conformista, Ultimo tango a Parigi, Novecento), che ini- ziano a modellare il colore come se fosse un elemento liquido, per creare trame di luce sempre più eleganti e raffinate, che saranno spesso imitate in Italia e all’estero.

10/11 UNA MATITA GIALLA

di SILVANA ANNICCHIARICO

Come percepiamo il colore? E come può il colore cambiare il nostro sguardo sul mondo? Alcune possibili risposte nel saggio Cromorama di Riccardo Falcinelli, grafico, visual designer, autore di migliaia di copertine e di saggi dedicati alla cultura visuale.

Facciamo un gioco. meno. Se digitate “matita” su Google, e cliccate su Immagini, Provate a immaginare una mati- le prime matite che appaiono ta. Una di quelle vecchie matite sono gialle. O gialle e nere. An- con la mina in grafite che abbi- che negli emoticon, il giallo è il sognano periodicamente del colore più associato alle matite. temperino per essere appuntite Perché? Parte da questa doman- e quindi usate. Di che colore da il saggio di Riccardo Falci- ve la immaginate? Chiudete gli nelli Cromorama (Einaudi Stile occhi e provate a vederla. Nella Libero, 2017), un viaggio colto, maggior parte dei casi è molto appassionato, sorprendente, il- probabile che quella matita la luminante e suggestivo su come vediate gialla. Non lo dicono il colore ha cambiato il nostro solo gli psicologi della perce- sguardo e il nostro modo di per- zione. Lo dicono anche i dati di cepire il mondo. Le matite sono mercato. Chi ha fabbricato ma- gialle – osserva Falcinelli – per- tite di altri colori (verdi, marro- ché un giorno – verso fine ‘800 ni, nere…) ne ha vendute molte – qualcuno decide di avvolgere

cover - scenari Profondo rosso o Nero bifamiliare? Tutti i colori del cinema italiano e contenere la mina di grafite l’idea – per noi quasi scontata Flaubert veste di blu Madame in un involucro di legno. Il che – di tinta unita. Oggi noi attribu- Bovary? Perché nei dipinti di evita, se non altro, di sporcarsi le iamo questa qualità cromatica Mondrian il verde non c’è mai? dita a chi impugna la matita stes- a una superficie omogenea e E perché invece Hitchcock il sa. E questo legno viene ricoper- uniforme in cui riconosciamo lo verde lo usa in abbondanza, so- to da uno smalto giallo. Perché stesso colore in ogni suo punto. prattutto in Vertigo? Perché – po- proprio giallo? C’è chi dice per Ma la tinta unita, nota Falcinelli, tremmo aggiungere – una serie motivi nazionalistici (il giallo è è un portato dell’industrializza- Tv come Il racconto dell’ancella il colore dell’impero austro-un- zione e dei processi di standar- e prima ancora il romanzo di garico, e le prime matite venne- dizzazione produttiva: nel mon- Margaret Atwood da cui la serie ro realizzate proprio lì, prima a do antico era quasi impensabile, è tratta costruiscono un mondo Vienna e poi in Boemia), chi per non solo impossibile da produr- in cui anche i ruoli sessuali e le motivi metaforico-diplomatici re. In un dipinto rinascimentale, gerarchie sociali sono cromati- (la grafite viene dalla Cina e il per dire, non esiste la tinta unita. camente connotati? Perché an- giallo era il colore della famiglia Esistono sfumature, velature, cora oggi molte bambine vengo- imperiale cinese). Fatto sta che sgranature. Il colore è disomo- no educate alla predilezione per da allora le matite sono gialle. I geneo e discontinuo. La stes- il colore rosa? E perché la carne 2/3 delle matite prodotte sono sa cosa non si può dire invece di vitella non viene acquistata se di questo colore. Il che significa per un mattoncino Lego, per la non resa bianchissima magari – conclude Falcinelli – che il co- scocca di un’automobile, per un artificialmente? Passando dai lore “non è solo una sensazione catino di plastica. “La tinta uni- colori di Pompei a quelli di Ul- né un mero attributo delle cose, ta – scrive Falcinelli – è la virtù timo tango a Parigi, dalle infinite il colore è soprattutto un’idea, principe delle cose moderne. La gradazioni cromatiche del vino o un’aspettativa. Certe tinte di- frequentazione dell’omogeneo alle tonalità dominanti in certi ventano tutt’uno con gli oggetti è ormai regina della nostra vita” oggetti di design, Falcinelli ci che le indossano, al punto che (p. 24). Le tinte chimiche e poi offre un percorso prezioso che è è difficile pensarli altrimenti” elettroniche non sono assimila- anche – a suo modo – un antido- (p.7). Così, ad esempio, per re- bili, insomma, ai colori che Le- to contro i rischi di standardiz- stare sul giallo, ci sono oggetti onardo si macinava da solo. Nel zazione dello sguardo, contro il che non possono che essere mondo antico i colori si ricava- pericolo che anche attraverso pensati in quel colore: le Pagi- vano dalle cose (il nero, per dire, la “politica dei colori” esso pos- ne Gialle, i girasoli di van Gogh, dal carbone, il blu dal lapislaz- sa essere reso “prevedibile ed il barattolo del Nesquik, i taxi zulo), oggi nell’epoca dei pen- eventualmente dominabile”. newyorkesi. Una cosa analoga narelli è qualcosa che si spande si può dire anche di certi perso- sopra le superfici. Ma quanti naggi dell’immaginario: Robin sono oggi i colori? I produttori di Hood e Peter Pan, per dire, sono elettronica parlano di 16 milioni, verdi, Cenerentola è azzurra, i gli ottici replicano che l’occhio Simpson sono gialli, Cappuccet- umano però non ne distingue to è rossa fin dalla sua denomi- più di 200. Certo è che rosso o nazione, Audrey Hepburn in Co- verde o blu sono denominazioni lazione da Tiffany è nero, e così troppo ampie e generiche, e co- via. Attingendo all’intero uni- prono una gamma troppo vasta verso delle immagini (dalla pit- di tonalità cromatiche. Falcinel- tura alla pubblicità, dal cinema li, ad esempio, intitola i suoi ca- alla letteratura, dal packaging al pitoli a colori sempre qualificati fumetto…), Falcinelli – grafico, in modo storico-culturale: beige visual designer, autore di miglia- coloniale, arancione bollente, ia di copertine e di saggi dedi- rosa pesca, giallo giuda, marro- cati alla cultura visuale – passa ne neuronale, porpora simboli- in rassegna la storia del colore co, indaco spettrale, malva mo- e racconta come, proprio attra- dernità e così via…. Per dire che il verso il colore, si è formato lo colore è un costrutto culturale, e sguardo moderno. Che è diverso che attraverso i colori costruia- dallo sguardo delle epoche pre- mo sempre più spesso la nostra cedenti. Considerate anche solo percezione del mondo. Perché

12/13 di ROCCO MOCCAGATTA

Il lavoro di sottrazione del colore nel panorama che va

da Una giornata particolare fino a Dogman.

cover - scenari Profondo rosso o Nero bifamiliare? Tutti i colori del cinema italiano Desaturando desaturando, si lettiva di un popolo sotto il tacco sa, l’immagine cinematografica della dittatura, per far provare allo s’illividisce, s’incupisce. I suoi spettatore l’impressione di una colori si atrofizzano, si svuotano, prigionia, di una chiusura. Come si asciugano. Perdono senso e giustamente sostiene Emiliano consistenza, rinunciando a essere Morreale nel suo L’invenzione della percepiti singolarmente, in favo- nostalgia, si voleva stingere il co- re di una smorta indistinguibili- lore del film nel bianco e nero. O, tà. Quasi monocromatica. Anzi, meglio, in un tono grigio, spento, acromatica. L’immagine a colori senza nessuna speranza, nel quale tende a non essere (più) a colori. evidentemente si rispecchiano i Eccolo il paradosso del quale due protagonisti, in una vita che si fa portatrice quest’opzione di particolare, in quel momento di trattamento fotografico, che, storico, non ha nulla. Lo sguardo pur in un panorama tecnologico sul passato del film di Scola, in segnato dal passaggio dalla pel- sostanza, non è nostalgico, anzi è licola analogica al nuovo regime proprio l’esatto contrario, e l’ope- del digitale, il cinema italiano rato di De Santis, da questo punto continua a praticare oggi come di vista - lui che già passava per ieri. Nel passato, tra l’altro, so- principe delle tenebre per aver prattutto in quegli Anni ‘70 che, affogato nel buio tanto dell’ulti- pure, sono stati il primo vero de- mo Visconti, anche lì offuscando cennio compiutamente a colori il colore dell’immagine - fece ra- per i film italiani, dopo i ‘60 anco- pidamente scuola, quando si do- ra attraversati dal corpo a corpo veva mettere in scena il passato, tra bianco e nero e colore. Anzi, impolverandolo e spegnendolo, se si ricorda così tanto la desa- da Cristo si è fermato a Eboli (De turazione delle immagini di Una Santis per Rosi, 1979) in giù o in giornata particolare compiuta di su. Questa strategia del nascondi- comune accordo dal regista Scola mento del colore, come dice Luca e dal suo direttore della fotografia Venzi, è una delle manifestazioni Pasqualino De Santis è, probabil- di una vera estetica dell’acromia e, mente, perché ha un valore pro- ammettiamolo, vale già come giu- grammatico auto-evidente. Per dizio chiaro ed evidente su quel il come, innanzitutto: attraverso passato. Anche Bertolucci e Stora- una triplice strategia, che partiva ro ne Il conformista, qualche anno già dal profilmico, con arredi di prima, vi avevano fatto generoso scena e costumi decolorati prima ricorso, di nuovo per esprimere Daniele Ciprì che stende un velo opachi, fin quasi al b/n de L’in- (secondo una linea d’intervento l’ottundimento dei sensi (e della di polvere sul passato, spegnen- dustriale (Catinari per Montaldo, attivo sul set da ricostruire prima morale) del protagonista Marcel- do i colori verso il b/n (degli sce- 2010), dove rappresenta l’inverno o poi nella sua ricchezza e varietà, lo e della società in epoca fascista. neggiati tv, non a caso). Proprio il perenne della crisi economica, da La spiaggia di Lattuada fino a Il Come che sia, questo sguardo sul lavoro sull’immagine di Ciprì, so- può diventare l’assenza di luce e deserto rosso), proseguiva in sede passato reso concreto attraverso prattutto nei film da regista, con- di emozione (e di morale) delle di riprese con filtri particolari la messa in sordina del colore si sente di spostare i termini della vite dei celerini sbandati di ACAB e trovava il suo compimento in è spinto fino a oggi. Anzi, nelle questione: l’idea di “film in vinile” (Carnera per Sollima, 2012), può post-produzione, in fase di stam- nuove possibilità della fotografia che lui stesso associa al grottesco declinarsi nelle sfumature cupe e pa. Però, è sul perché che vale la digitale, si intensifica ed è opzio- metaforico (in un presente fuo- smorte della periferia degradata al pena in questa sede intrattenersi. ne prediletta ogni qualvolta si ri dal tempo) de La buca (2014, centro de La terra dell’abbastanza Non tanto e non solo, come ha af- mettono in scena, con frequenza, girato in pellicola) fa evadere la (ancora Carnera per i fratelli D’In- fermato spesso Scola, per garanti- gli Anni’70, plumbei e incolori fotografia decolorata dall’obbli- nocenzo, 2018). Anzi, per questa re una continuità visiva con le im- per antonomasia, come fa Fabio go di guardare esclusivamente al via dialoga con l’impressionante magini del cinegiornale in bianco Cianchetti ne L’ultima ruota del passato. In tanto cinema italia- lavoro compiuto da Nicolaj Bruel e nero sulle quali il film si apre, carro (Veronesi, 2013) e pure in no degli ultimi anni, l’immagine per Garrone sull’immagine illi- immediatamente contestualiz- certe operazioni al confine con il desaturata, produttiva di quello vidita e apocalittica di Dogman, zando la giornata particolare dei genere, come Romanzo criminale stato di spegnimento del colore e una sorta di patina oleosa e mar- suoi protagonisti in quel 6 maggio film e serie tv. Anche lo sguardo à di assoluta indistinguibilità si al- cescente che si spalma sui nostri del 1938. Quanto piuttosto per rebours del protagonista di Fai bei larga al presente e al mondo che occhi. Come, quarant’anni fa, la rendere il grigiore di un’epoca, per sogni (Bellocchio, 2016) prende ci sta attorno. Con tante varianti: coltre di nebbia calata da De San- restituire il senso di narcosi col- corpo attraverso la fotografia di può assumere i toni gelidamente tis su Una giornata particolare.

14/15 CINEMA IBRIDO

di ELENA GIPPONI

Esempi di viraggio tra colore e b/n nel cinema italiano contemporaneo.

Se colore e b/n al cinema sono per lo più usati separatamente (la maggior parte dei film è o in- teramente a colori, o interamente in b/n), esiste un piccolo corpus di pellicole che ricorre a entram- bi i registri cromatici, alternando poraneità, come avviene ad es. in sequenze a colori e sequenze in C’eravamo tanto amati); dall’altro b/n, oppure accostando colore e la più complessa contrapposi- b/n nella stessa inquadratura. È zione tra realtà e finzione (dove proprio in questo genere di film ciascuno dei due statuti cromatici ibridi e meticci che le connotazio- può indicare entrambi i corni del ni culturali di colore e b/n, i loro binomio, come accade ne La ricot- significati socialmente sedimen- ta pasoliniana). tati, si impongono con maggiore Anche nella produzione ita- evidenza: da un lato il binomio liana contemporanea figura- presente/passato (dove in genere no alcuni film insieme a co- il b/n segnala il passato e il colore lori e in b/n: in questi casi che un approssimarsi alla contem- rapporto si istituisce tra i due tipi

cover - scenari Profondo rosso o Nero bifamiliare? Tutti i colori del cinema italiano di regime cromatico? Per rispondere prendiamo in esame tre esempi, accomunati in particolare non tanto da un’ordi- nata giustapposizione di colore donna è di tanto in tanto squar- e b/n (prima sequenze a colori, ciato da sprazzi di colore: alcuni poi sequenze in b/n), quanto da sono fugaci flashback della sua un esibito viraggio tra l’uno e infanzia (con un’inversione delle l’altro, una sorta di “contagio” cazzeggio post-adolescenziale, convenzioni che legherebbero dell’uno sull’altro, in seno alla alle soglie dei trent’anni si interro- il b/n al passato), altri sono sue medesima inquadratura: l’imma- gano sull’opportunità di crescere, percezioni soggettive, a metà tra gine si colora o si decolora senza prendersi delle responsabilità, la visione e l’incubo (ad esempio soluzione di continuità. cercare un lavoro. Il prologo del il paesaggio marino fuori dalla È quel che avviene innanzitutto film li vede bambini nell’estate del finestra), altri ancora sono com- in Belluscone (2014), meta-do- 1994: è lì che per la prima volta si menti a latere, sequenze musicali cumentario di Franco Maresco sentono invadere inesorabilmen- in cui l’azione è sospesa e chiosata sul tentativo fallito di ricostruire te da un grigiore che ne spegne dai testi di alcuni brani in dialetto. l’origine siciliana della fortuna tutti i colori. L’alternanza di colore Qui il volto in b/n di Anna, con- politico-finanziaria di Silvio Ber- e b/n non segnala infatti in questo gelato in un freeze frame, viene lusconi. Uno dei personaggi prin- film il passaggio tra due epoche, digitalmente dipinto e decorato, cipali è Ciccio Mira, impresario di bensì quello tra due condizioni: il pennellata dopo pennellata, fino cantanti neomelodici dichiara- mondo chiuso e volutamente im- a diventare una specie di santino. tamente legato alla mafia “di una mutabile dei tre amici asserraglia- In tutte e tre i film la commistione volta”. Questa figura ambigua e ti attorno al tavolo della cucina, in dei due regimi cromatici certo ar- omertosa, in equilibrio tra pre- b/n (a mimare l’estetica low-bud- ticola uno (o entrambi) dei bino- sente e passato, è l’unica a essere get di certo cinema indipendente mi citati sopra (presente/passato, filmata in b/n (tutte le altre inter- americano), finisce forzatamente vero/falso). Più in generale tutti viste sono a colori) e la sua pre- per colorarsi quando i tre sono questi esempi – ma se ne potreb- senza in scena sortisce l’effetto costretti a uscire e fare i conti con bero citare altri, ad esempio Che di decolorare l’intera immagine: la “realtà” (ma basta che anche strano chiamarsi Federico (Ettore ogniqualvolta Mira entra in cam- uno solo di loro lasci la stanza Scola, 2013) – presentano, seppur po, l’inquadratura, prima a colori, perché il regime acromatico ceda a diversi livelli di profondità, una vira repentinamente verso un b/n il posto al colore). dimensione autoriflessiva: il vi- alla Cinico tv, con effetti di stra- L’ultimo esempio è il melodram- raggio senza stacchi di montaggio niante e grottesca comicità. Non ma Per amor vostro (Giuseppe M. tra i due registri cromatici, facili- solo: quando, durante le riprese di Gaudino, 2015), dove il colore tato dalle possibilità di manipo- un concerto di piazza, Mira com- sembra letteralmente applicato lazione dell’immagine garantite pare fugacemente sullo sfondo, la “a pennello” all’interno di scene dal digitale, mette in crisi in modo sua presenza defilata non riesce in b/n: Anna (Valeria Golino), tre giocoso ma radicale lo statuto di ad adombrare per intero l’inqua- figli e un marito violento e malavi- realtà di quello che stiamo veden- dratura, a innescare la transizione toso, lavora come addetta al gob- do, facendo saltare uno dei codici al b/n. L’immagine rimane perciò bo sul set di una fiction tv. Il film cinematografici più “trasparenti” ibrida, con Mira come unico irri- è ambientato a Napoli e presenta e “naturali”, vale a dire la stabilità ducibile “buco bianco-nero” in un una grande sperimentazione visi- cromatica della rappresentazio- mondo per il resto a colori. va e di linguaggi (e di lingue: nella ne. Il trascolorare dell’immagine Questa contaminazione del co- famiglia di Anna si parla anche la sotto i nostri occhi diviene così lore da parte del b/n è ancora più lingua dei segni). Dal punto di vi- un’ulteriore possibilità espres- evidente in The Pills – Sempre me- sta cromatico, il racconto in b/n siva, segno tangibile e materico glio che lavorare (2016), esordio della difficile quotidianità della (pur nella smaterializzazione del nel lungometraggio dell’omoni- virtuale) della difficoltà a fissare mo trio di Youtubers: i tre amici un mondo sempre più complesso romani Luca, Matteo e Luigi, fino e cangiante, perfino nel suo strato a quel momento dediti a un fiero più superficiale.

16/17 IL PRIMO FU TOTÒ di F. P.

Quando una tecnologia genera uno stile: il caso Ferraniacolor.

Ferraniacolor è qualcosa di più di una marca di pellicole. Col tempo, il marchio è diventato un simbolo della cultura italiana del dopo- guerra, capace di alludere per me- tonimia ai cambiamenti e agli og- getti che le immagini a colori del tempo hanno saputo documenta- re: il boom economico e la società dei consumi, le automobili e gli elettrodomestici, le vacanze e il tempo libero. Il Ferraniacolor ha saputo rappresentare con colori vividi un pezzo importante della cultura visuale italiana, non solo attraverso il cinema, ma anche grazie alle fotografie, alle diaposi- tive, agli 8mm e ai super8 che negli anni sono andati ad arricchire gli album fotografici e le bobine di decine di migliaia di persone.

cover - scenari Profondo rosso o Nero bifamiliare? Tutti i colori del cinema italiano L’etichetta Ferraniacolor iden- tifica infatti materiali fotografici e cinematografici per amatori e professionisti. Fratello minore di quella Ferrania (C6, C7, P30), che ha scritto la storia del bianco e nero italiano, il Ferraniacolor ini- zia a essere prodotto stabilmente sul finire degli Anni ‘40. Sono gli anni in cui, finita la guerra e de- caduti i brevetti dell’Agfacolor, le aziende fotografiche cercano di copiare il marchio tedesco, che ha il vantaggio di registrare tutti i colori in un colpo solo su un’uni- ca pellicola. Una versione ancora provvisoria del Ferraniacolor vie- ne testata con Ceramiche umbre, presentato alla Mostra di Vene- zia nel 1949, e con una dozzina Negli Anni ‘50, Ferraniacolor di- di altri cortometraggi realizzati a viene sinonimo di cinema popo- seguire. Nel 1952 finisce il tempo lare. Oltre 150 film italiani usano degli esperimenti e il Ferrania- la pellicola, offrendo agli addetti color tenta di entrare nel mondo ai lavori e agli spettatori la possi- In alcuni casi, il Ferraniacolor of- del cinema dalla porta principale bilità di prendere familiarità con il fre interessanti occasioni di spe- con Totò a colori. A quanto si dice, colore. Sono tanti i generi targati rimentazione a dei registi desi- la sensibilità è ancora bassissima. Ferraniacolor che riescono a toc- derosi di tentare una via al colore Sul film circolano aneddoti, non care le corde del pubblico popo- alternativa a quella offerta dalle si sa quanto attendibili: pare che lare: dal Felice Sciosciammocca pellicole d’importazione. Uno Al cinema, il Ferraniacolor resi- per girare servano talmente tante di Totò (Un turco napoletano, Mi- dei più bei film in Ferraniacolor ste per una decina di anni, fin- lampade da far incendiare la par- seria e nobiltà, Il medico dei pazzi) al resta oggi senza alcun dubbio La ché il mercato interno non vie- rucca di Totò… Vero o falso che melodramma matarazziano (Tor- spiaggia di Lattuada, in cui l’auto- ne cannibalizzato dai prodotti sia, il successo che il film ottiene na!), dal film rivista (Attanasio ca- re milanese (complice l’operatore statunitensi. Le prime avvisaglie fa da traino alla pellicola, che di- vallo vanesio, Il paese dei campanel- Mario Craveri) cerca di valoriz- sono l’arrivo dell’Eastmancolor venta subito la preferita per quei li), al proto-musicarello (Canzoni zare la morbidezza delle tinte e in Italia (1954) e l’apertura del- piccoli e medi produttori che vo- di mezzo secolo e Canzoni, canzoni, dei toni medi (grigi, rosa chiaro e lo stabilimento Technicolor a gliono fare film a colori senza do- canzoni). Il marchio Ferraniacolor altri colori stinti, oltre ai bianchi e Roma (1958). Data l’impossibilità ver andare all’estero. va a comporre una vivace giganto- ai neri), evitando il più possibile i di reggere la concorrenza estera, grafia multicolore che i vari Mat- rossi, con l’obiettivo di restituire il negativo viene ritirato alla fine toli, Mastrocinque, Paolella e Ste- la sensazione dei materiali sbiadi- degli Anni ‘50, mentre i supporti no concorrono via via a disegnare, ti per effetto del sole battente. Al- fotografici e i formati per cinea- assieme a molti altri nomi caduti tro bell’esperimento è Giorni d’a- matori restano disponibili, conti- nel dimenticatoio. more di De Santis: in questo caso nuando ancora per qualche tem- è coinvolto il pittore Domenico po a perpetuare il mito nazionale Purificato, che oltre a disegnare del Ferraniacolor. bozzetti e costumi è chiamato a farsi garante del gusto plastico e compositivo con cui il film cerca di trarre il massimo partito dal marchio nazionale.

18/19 QUADRI IN TIPOGRAFIA

di E.G.

La tradizione italiana dei manifesti illustrati tra pittura e fotografia. Tra i maestri Anselmo Ballester, Silvano (Nano) Campeggi, Ercole Brini, Renato Casaro, Averardo Ciriello, Enrico De Seta.

Tra i paratesti e i materiali effimeri che orbitano attorno allo spetta- colo cinematografico vero e pro- prio, il manifesto murale è uno dei più longevi. Preesistente alla nascita del cinema, continua a es- sere un veicolo di pubblicità e uno strumento molto efficace di po- sfruttandone il medesimo princi- sizionamento del prodotto filmi- pio di scomposizione dell’imma- co. Mentre i cosiddetti manifesti gine in quattro matrici, una per tipografici, diffusi soprattutto nei ogni tinta primaria più una quarta primi decenni della storia del ci- per la scala dei grigi). nema, facevano affidamento per- Eppure, nonostante questa con- lopiù sulla componente verbale, quistata facilità riproduttiva di i manifesti illustrati, nati per pub- materiale anche fotografico a blicizzare altre forme di intrat- colori, i manifesti rimangono a tenimento, dal café-chantant al lungo disegnati, dipinti a mano, circo, puntavano principalmente a pennello, da un manipolo di sulla componente iconica. La loro cartellonisti che verrà presto rico- fortuna è dilagata in particolare nosciuto come “scuola italiana” nel secondo dopoguerra, anche di alto artigianato: Anselmo Bal- in virtù del perfezionamento delle lester, Silvano (Nano) Campeg- tecniche di riproduzione fotogra- gi, Ercole Brini, Renato Casaro, fica (la cosiddetta stampa offset Averardo Ciriello, Enrico De Seta in quadricromia, metodo di im- sono solo alcuni dei nomi più ri- pressione indiretta che perfezio- correnti e riconosciuti. Oggi cele- na i risultati della cromolitografia, brati come autori e maestri da una cover - scenari Profondo rosso o Nero bifamiliare? Tutti i colori del cinema italiano folta messe di mostre e pubblicazioni, questi “pitto- ri del cinema” erano in genere chiamati a proporre bozzetti originali a partire da una proiezione privata del film in anteprima e dalla rielaborazione del ma- teriale fotografico fornito dalle case di produzione. Ma perché ricorrere a un dipinto dalle tinte sgargian- ti in luogo di una foto o di un collage di fotogrammi e soggetti tratti direttamente dalla pellicola? Le ra- gioni della persistenza e del successo – almeno fino a tutti gli Anni ’60, ma con code significative fino agli ‘80 e oltre – della pratica dell’illustrazione, di un’immagine sintetica per annunciare uno spetta- colo analogico, sono molteplici e chiamano in cau- sa in un ruolo non secondario proprio il colore. Da un lato, infatti, a fronte di una produzione ci- nematografica ancora massicciamente in b/n, il ricorso al colore per i manifesti era ovviamente fun- mimandone i bianchi, i neri e la scala di grigi, o ri- zionale ad attirare l’attenzione dei passanti, a cattu- servando colorazioni monocrome ad alcuni sog- rare lo sguardo in un paesaggio urbano che si stava getti, quasi fossero fotografie virate o imbibite (ad rapidamente affollando di segni visivi. A tal propo- esempio il volto di Mastroianni dipinto di blu sul sito, come ha raccontato Silvano Campeggi (Come manifesto de La dolce vita). Un’altra variante della dipinsi il cinema, 1994), il colore dello sfondo era convivenza dei due regimi scopici (oltre che croma- spesso strategicamente più importante delle figure tici), delle due diverse forme visive è l’inserimento ritratte, poiché quella dello sfondo era la campitura di vere fotografie e fotogrammi del film (spesso in cromatica più estesa del rettangolo del manifesto, b/n) entro una cornice illustrata variopinta. Prima una macchia immediatamente riconoscibile e facile che la fotografia arrivi davvero a sostituire le illu- da “memorizzare”. strazioni sui manifesti cinematografici – ma conti- Mentre però si sarebbe potuto generare questo nueranno a sussistere le eccezioni, basti guardare stesso effetto seduttivo anche con una composizio- ad esempio al manifesto di Song’e Napule (2013) – si ne fotografica a colori, il ricorso al quadro, a colori attraversa insomma un periodo di coesistenza e di applicati, a olio, tempera o acquerello, porta con sé “innesti” tra colore applicato e colore fotografico, altri valori “nobilitanti” e un’aura che la riprodu- o meglio tra l’ampia tavolozza pittorica e l’acromia zione fotografica non avrebbe avuto. Come spesso (o la monocromia) fotografica. avviene con il colore, infatti, considerato un orpello In accordo con gli orientamenti della cultura visua- superfluo e volgare, è insomma necessaria la me- le e dell’archeologia dei media, che considerano diazione “alta” della pittura per garantire la bontà parte integrante del patrimonio visivo anche i pro- dell’apporto della componente cromatica alla rap- dotti più apparentemente insignificanti, i manifesti presentazione, e in questo caso specifico per attuti- hanno dunque legittimamente conquistato piena re le lusinghe delle sirene di un’immagine dichiara- dignità di studio e di analisi per la storia del cinema tamente pubblicitaria. e per la storia del colore. In più, alla luce della per- D’altro canto, se di pittura si tratta, la tradizione sistenza in essi di immagini sintetiche, di un regime iconografica a cui i manifesti fanno riferimento è percettivo arcaico, pur in seno alla modernità ana- prevalentemente quella del realismo didascalico logica e anzi in strettissima relazione con questa, i dell’illustrazione popolare, dell’arte minore del- manifesti cinematografici illustrati rappresentano le tavole de “La Domenica del Corriere” e dei libri una mediazione culturale significativa tra due para- per bambini (e infatti molti cartellonisti erano atti- digmi che merita ancora qualche riflessione. vi anche in questi settori editoriali “contigui”), giù giù fino a recuperare proprio quel modello foto- grafico da cui sembravano aver preso le distanze. I disegni e i colori dei manifesti, infatti, in molti casi sembrano alludere direttamente alla fotografia,

20/21 VIAGGIOVIAGGIO CROMATICOCROMATICO NELLANELLA MEMORIAMEMORIA DELDEL CINEMACINEMA

di ANDREA GUGLIELMINO

Quanti colori nei titoli dei film, da Profondo rosso a Pericle il nero.

cover - scenari Profondo rosso o Nero bifamiliare? Tutti i colori del cinema italiano Tra i più gettonati c’è naturalmen- te Bianco, Rosso e Verdone, col gio- co di parole sul nome del regista e interprete, ma solo due utenti hanno ricordato Bianco, Rosso e… di Lattuada, che precede il film “etnica”), Cuori al verde e Il rosso di Verdone che si ispira proprio a e il blu (Piccioni), Il cielo è sempre quel titolo in versione parodistica. più blu (Grimaldi), nere L’horror la fa da padrone, in testa (Munzi), La nave bianca e Anima Qual è il rapporto del cinema ita- c’è Argento (che al limite è un nera, entrambi di Rossellini, Peri- liano con il concetto di colore? colore anche nel cognome) con cle il nero (Mordini), Rosso Malpelo Non intendiamo il lavoro di foto- Profondo rosso e Quattro mosche (Scimeca) e alcune chicche come grafia, che merita una trattazione di velluto grigio, ma anche Fulci Tombolo paradiso nero di Giorgio apposita, ma proprio la presenza con Sette note in nero, Infascelli Ferroni, ispirato a un articolo di dei colori nei titoli e nelle tema- con Almost Blue, Bava con Il rosso Indro Montanelli, La contessa az- tiche delle nostre pellicole, e segno della follia e Sergio Martino zurra di Claudio Gora, La ragazza soprattutto il ricordo che ne ha con Tutti i colori del buio. Ci hanno dal pigiama giallo di Flavio Mo- lo spettatore. Abbiamo posto la chiesto, proponendo quest’ulti- gherini, Il peccato degli anni verdi di domanda direttamente al pubbli- mo esempio, se valesse anche il ri- Leopoldo Trieste. L’esperimento, co tramite un semplice status di ferimento generico ai colori e non comunque, è piaciuto, generan- Facebook, così il pezzo in costru- a un colore specifico, e abbiamo do anche proposte spiritose – in zione si è trasformato facilmente deciso di estendere, così è arriva- questo caso volutamente “fuori in un interessante esperimento to anche il ricordo di Totò a colori, tema” – come il film biografico su di memoria collettiva, offrendo dove il titolo si fa anche questione Giuseppe Verdi, del 1953. Ci fermia- punti di vista inaspettati e interes- di marketing perché richiama la mo, dato che il nostro fine ultimo santi. La domanda era: “Quali film novità tecnologica che è stata an- non è la completezza enciclope- italiani ricordate, di qualsiasi gene- che, a suo tempo, una delle mag- dica ma una gita pop nella me- re, che abbiano un colore nel titolo?”. giori attrattive del film. moria a colori della settima arte della penisola. Da registrare la generica velocità Lato dramma, immancabili Pa- – e conseguente superficialità – lombella rossa, Il deserto rosso di E chiudiamo con alcune risposte con cui spesso si interpretano le Antonioni, guarda caso il primo non proprio centrate, ma comun- istanze sui social network. Non lo film a colori del maestro, che in que da registrare, con riferimento diciamo con il tono dei professori Fare un film è per me vivere: scrit- a film dove il colore corrisponde – presi da ritmi frenetici come sia- ti sul cinema (Venezia, Marsilio, al nome della protagonista (Bian- mo, avremmo potuto facilmente 1994), racconta che il film avrebbe ca, Viol@, Viola bacia tutti), oppu- “sbagliare” anche noi – ma con dovuto intitolarsi Celeste e verde, e re a specie vegetali (Il nome della quello degli osservatori: molti, a proposito di “celeste”, il recente rosa) e animali. Soprattutto una semplicemente, hanno proposto Corpo celeste di Alice Rohrwacher. ci ha fatto particolare simpatia, film non italiani, come ad esem- nel suo denotare una singolare pio Pomodori verdi fritti, Il miglio E poi Lo sceicco bianco di Felli- esigenza di comunicazione. Si verde o la trilogia di Kieslowski. ni, il recente Bianca come il latte, tratta di Viola di mare di Donatella Qualcuno gioca e si diverte a rossa come il sangue di Giacomo Maiorca, tratto da un bel romanzo “trollare”, come si dice oggi, pro- Campiotti, il musicarello kitsch che porta il nome di una partico- ponendo titoli che non rispondo- con Max Pezzali Jolly blu, Ame- lare specie di pesce ermafrodita no alla domanda o che rispondo- ricano rosso (D’Alatri), Nel conti- che si chiama così quando assu- no ad altre domande, ad esempio nente nero (Marco Risi), Telefoni me caratteristiche femminili. Il con i numeri (Ricomincio da tre). bianchi (Dino Risi), vari “corsari titolo del libro, invece, si rifaceva Naturalmente “colore” può esse- neri”, Mare nero (Torre), un al- alla versione maschile, non pro- re inteso sia come aggettivo (La tro Giallo (quello di Camerini priamente adatta ad apparire sui casa del tappeto giallo di Lizzani, del 1933), Il bianco, il giallo il nero manifesti promozionali di un film Il sangue verde di Segre, Travolti (Corbucci, con connotazione senza passare per le forche della da un insolito destino nell’azzurro censura: si chiamava, infatti, Min- mare di agosto di Lina Wertmüll- chia di re. er) che come sostantivo (Giallo di Argento, Nero bifamiliare di Zam- paglione, o semplicemente Nero di Soldi), in questo secondo caso è interessante notare come quasi sempre il colore indichi anche il genere del film.

22/23 ALLARGARE LA VISIONE

di RAFFAELE MEALE

Il cinema italiano e la color-science: il punto di vista di due tecnici del settore, Walter Arrighetti e Nicola Sganga.

Se esiste una branca della (post) dell’immaginario, in qualche mi- produzione cinematografica che sura. Un passaggio fondamentale risulta ancora oscura per la mag- per donare compiutezza a un’ope- gior parte degli appassionati, e ra audiovisiva, e che nonostante le anche per molti addetti ai lavori, nuove tecnologie digitali immer- è sicuramente quella che riguar- ge la sua storia nella storia stessa da l’intervento sull’immagine, la della Settima Arte. lavorazione del colore, dell’in- tensità. Una pratica che il cinema Per approfondire il tema abbiamo italiano frequenta con regolarità contattato due tecnici del settore, solo da pochi anni, dopo averne Walter Arrighetti e Nicola Sganga, relegato il ruolo a quello di sem- chiedendo loro come prima cosa plice “tappabuchi” di quel che di definirsi: “Negli ambienti ci- non si riusciva a risolvere diretta- nematografici mi qualifico come mente sul set. Eppure, la lavora- ingegnere di post-produzione, zione delle riprese, del suo croma- ma per anni sono stato Chief Te- tismo, la cosiddetta color-science chnology Officer di un’impor- rappresenta anche la costruzione tante azienda di post-produzione

cover - scenari Profondo rosso o Nero bifamiliare? Tutti i colori del cinema italiano romana”, esordisce Arrighetti, risultati – con mezzi diversi – dei che ha di recente lavorato all’im- pionieri degli effetti speciali. È plementazione end-to-end de Il un processo in continuità con il ragazzo invisibile – Seconda genera- passato”. Un concetto che Arri- zione di Gabriele Salvatores. Sgan- ghetti amplia: “Abbiamo per anni ga, che lavora per Makinarium, considerato la color-correction rivendica invece nel suo ruolo di come un’estensione della cine- supervisore VFX la responsabili- matografia, operata da un colorist tà di lavorare tanto sia sulla veste professionista, con vari gradi di tecnica, che su quella artistica discrezionalità, ma sempre su- del film. Nonostante il cinema pervisionato dall’autore della fo- italiano non abbia una frequen- tografia. Le tecnologie disponibili tazione di generi come il fantasy oggi superano i confini di quello o che comunque necessitano di che si potrebbe considerare la un forte lavoro sotto il profilo VFX. Le competenze tecnico-e- dell’effettistica, secondo Sganga secutive vanno al di là di una sem- la “considerazione sta maturan- plice estensione della fotografia”. do, e gli effetti visivi non sono più Ma qual è, a conti fatti, il livello visti solo come una toppa con la dell’elaborazione e della lavo- quale coprire o riparare qualcosa razione fotografica nel cinema che è stato immortalato in fase italiano contemporaneo? “Il cine- di ripresa. Il merito è soprattutto ma italiano sta facendo progressi di operazioni come Il racconto dei - incalza Arrighetti - ma spesso racconti di Matteo Garrone, anche la color-correction è utilizzata se il gap con l’estero è ancora forte come mero ‘restauro’ per una fo- ed evidente”. tografia non adeguata. Complici Se per Arrighetti la crescita sem- sono spesso i budget striminziti pre costante della tecnologia che demandano alla post-produ- digitale può essere intesa come zione il compito di sopperire, se una vera e propria rivoluzione possibile, a scelte economiche (“L’avevate mai visto prima un nelle tecnologie di ripresa. Scelte controllo dei costi/ricavi preciso che impoveriscono il linguaggio dal singolo fotogramma girato al visivo dei consumatori”. Una po- singolo minuto consumato tra- vertà di linguaggio che è il nemico mite il vostro tablet?”) per quanto da combattere anche per Sganga, concerne il colore dice di intrave- secondo il quale “quello che man- dere “in ACES e nella possibilità di ca è la cura e la passione per l’in- condividere immagini in flussi di quadratura: le inquadrature lar- lavoro in tempo reale fattori abi- ghe sono ancora rare nel cinema litanti per nuovi modi di narrare italiano, quasi si avesse paura di una storia”. Ma Sganga, pur lavo- confrontarsi con un immaginario rando a sua volta con le tecnolo- meno asfittico, meno controllato. gie più all’avanguardia, non legge Ai giovani registi all’estero vie- ciò che sta avvenendo in questi ne insegnato a essere più arditi, anni come una svolta rispetto alla più ‘cinematici’, a osare non solo Storia del cinema: “Gli orizzon- nelle storie da narrare, ma nelle ti che vedo per il futuro sono in immagini, nelle tecniche. L’Italia qualche modo quelli che ci sono deve ripartire dall’apertura men- sempre stati. La color-science e la tale di Matteo Garrone, e pensare post-produzione dell’immagine che non esiste solo la commedia e del grading si facevano anche come veicolo narrativo. La tecni- in pellicola; noi non facciamo al- ca ce l’abbiamo, serve la volontà”. tro che emulare qualcosa di ana- logico, simulando gli acidi per cercare di raggiungere gli stessi

24/25 di ROBERTA TORRE

L’estetica della luce nel cinema italiano, tra vecchia e “nuova” pellicola, dove il bianco e il nero si fanno contemporanei nell’attesa di un nuovo cromatismo mutuato dalla pittura cinquecentesca.

“Colori? Chiamali colori!”. nia con lo spirito di ogni scena, di a evocare l’essere maschile; l’az- della memoria e del ricordo, che Lo scriveva Pier Paolo Pasolini ac- ogni sequenza. La concordanza zurro, il grigio, il bianco della luna è invece per sua natura luce im- cecato dai rossi, dai rosa e dai gial- tra certi nuovi modi di utilizzare e del suo ciclo a definire quello provvisa, folgorante e nitidissima li che aveva scoperto nei dipinti il colore nel cinema moderno – femminile. E, ancora oltre, fino a seppur frammentaria. del Pontormo e del Rosso Fioren- penso per esempio a Resnais, a utilizzare in modo simbolico lo Potrebbe essere interessante rac- tino. Il poeta-regista ha ricostrui- Bergman – non è casuale. È un’e- stesso rapporto fra luci e ombre. contare l’eclatante anniversario, il to sotto forma di tableaux vivants sigenza che abbiamo sentito con- In un perenne alternarsi fra pit- 1968 appunto, con un viaggio nei due “Deposizioni” dei due pittori: temporaneamente perché è legata tura e cinema che non è possibile colori. Certi accostamenti indi- le due scene interrompevano il all’espressione della realtà del no- tralasciare ma piuttosto è da con- menticabili negli abiti: gli arancio- bianco e nero del suo film La ri- stro tempo […]. siderare il fil rouge di ogni narra- ni, i marroni bruciati dei maglioni, cotta. E se persino lui ha sentito la zione per immagini. “Credo che il verde degli eskimo vicini ai rossi necessità di strappare al bianco e Ed è proprio lo stesso direttore la luce e il colore possano essere imbandierati che sfilavano per nero folgorante di Tonino Delli della fotografia Carlo Di Palma a utilizzati come le note di una par- strada durante le manifestazioni, Colli uno squarcio di colore per raccontare la pratica del dipin- titura musicale o le parole di una o infilandosi negli interni, fare un narrare, un motivo ci sarà. gere l’erba in alcune sequenze de sceneggiatura”, dice Storaro. viaggio cromatico dentro le case Il deserto rosso perchè il verde di borghesi e il loro design, quei sa- Si ha la sensazione che oggi il co- quel prato doveva essere così fo- Ci sono state poi operazioni no- lotti di Cassina dove non mancava lore sia l’invitato chiassoso e sco- tograficamente forte e splendente stalgiche favorite dal trattamen- un divano rosso lacca cinese acco- modo al banchetto del bon ton di a contrasto di quanto lo circon- to digitale dell’immagine, film in stato a pareti blu cobalto... Raccon- certa narrazione cinematografica dava. La narrazione del racconto cui il colore è stato usato come tavano, questi colori, il fulgore di che identifica nel naturalismo la con la luce e con il colore, laddove espediente narrativo che simula anni in cui tutto sembrava (anco- sua più valida espressione foto- il colore era alleato imprescindi- l’epoca, generalmente sono i film ra?) possibile e il loro manifestarsi grafica, eppure è inestimabile il bile della luce e viceversa, emerge che raccontano gli Anni ‘60, ma in modo così pieno lascerebbe tesoro di colore che in pittura è folgorante nel bel documentario anche i ‘70. Ne avremo sicura- intendere che anche la Storia sap- stato ed è il patrimonio italiano: di Fariborz Kamkari - Acqua e zuc- mente in arrivo altri con l’appros- pia quando e dove il colore abbia quantomeno è importante regi- chero - Carlo Di Palma, I colori della simarsi dello storico anniversa- ragione di esplodere. strare che nel cinema dei nostri vita, biografia imperdibile di uno rio 2018/1968. Ma è evidente che giorni tutto questo non abbia dei più grandi direttori della fo- non basti desaturare i colori per Quanto e come abbia mutato lo lasciato se non flebile traccia e tografia italiani che abbiamo mai viaggiare nel tempo, quello che si scenario cromatico del cinema il auspicarne un ritorno in forma di avuto, uno appunto che narrava ottiene spesso è solo una visione passaggio dalla pellicola al digitale rielaborazione contemporanea. con la luce e non viceversa. estetizzante, una sensazione arti- è un’altra questione da non sotto- ficiosa e l’effetto di questa scelta valutare. È innegabile che l’econo- Del potere narrativo del colore ci Del colore e del suo uso simbolico estetica è il contrario di quello mia dell’industria di cinema abbia racconta Michelangelo Antonio- ci ha raccontato magistralmente che si vorrebbe: l’ “idea” del co- inciso in modo determinante sulle ni: “Ho cercato di sfruttare ogni sempre Vittorio Storaro, soffer- lore sbiadito o delle “graffiature scelte tecniche e dunque artistiche minima risorsa narrativa del colo- mandosi sul simbolismo: il giallo, di pellicola” nelle inquadrature del fare cinema. Il digitale non è re in modo che entrasse in armo- l’arancio, il rosso del corso solare prende impropriamente il posto paragonabile alla pellicola sempli-

cover - scenari Profondo rosso o Nero bifamiliare? Tutti i colori del cinema italiano cemente perché è altro e dunque anche narrativamente va conside- rato in modo diverso.

“È qualcosa di diverso, non so se migliore o peggiore”, diceva Martin Scorsese nel 2013, mentre sappiamo che Tarantino resta a tutt’oggi il maggior detrattore del cinema digitale da lui definito “la morte del cinema” ma, tra detrat- tori e i sostenitori, quello che suc- cede al colore è argomento ancora da approfondire anche in termini di possibile. La color correction digitale ha aperto mondi impen- sabili e per certi versi ghiotti a chi ama giocare ed equilibrare i pesi di luce e ombra, di contrasto e in- tensità nelle immagini di un film. In fondo e in modo brutale siamo diventati un po’ tutti dei novelli colorist armeggiando con i vari programmi più o meno rudimen- tali dei cellulari di ultima gene- razione. Se sia un bene o un male non è dato capirlo una volta e per sempre, e probabilmente non serve neppure. L’idea romantica della fotografia analogica al cine- ma è percorribile da chi può per- metterselo o da chi ne conosce il valore narrativo, la definizione unica, sia 35 millimetri o Super16: è innegabile che ogni volta la sto- ria dei colori cambi. E se Taran- tino ci fa godere della meraviglia di una fotografia e di colori del 70 millimetri Ultra Panavision (bea- to lui) per The Hateful Eight c’è da notare che Kodak è tornata a pro- durre da poco pellicola Ektacro- me Super8, quella con i classici colori saturi da impazzire.

Due sono le scuole di pensiero sui colori primari: quella classica che riconosce giallo rosso e blu e un’altra, meno tradizionale e più ardita, che annette anche il nero, colore affascinante che li contie- ne tutti quanti. E dunque chissà che non sia poi il bianco, e il suo opposto nero, la vera sfida del cinema italiano contemporaneo, quello che potrebbe dire come stiamo davvero, almeno fino all’arrivo – per chi crede nei mira- coli di un Dio sensibile ai cromati- smi - di un nuovo Pontormo.

26/27 QUADRI Quattro autori del nostro cinema – Michelangelo Antonioni, Lamberto Bava, Carmelo Bene e Matteo Garrone – hanno sempre

Lamberto Bava raramente trova il blu, a incorniciare scenografie una collocazione. Se si esclude la LA TAVOLOZZA fantastiche e il volto incantevole di macrocategoria dell’horror, non è Alessandra Martines. il genere il suo recinto. Lo è semmai Se il padre Mario era geniale nella una capacità notevole e fantasiosa, DI BAVA capacità tecnica di ripresa e nella quanto le sue idee più terrificanti, volontà e abilità di alternare e con- nell’usare il cromatismo come un di BORIS SOLLAZZO taminare generi diversi tra loro, elemento fondante delle sue visio- Lamberto, che pure non si dedicò ni e dei suoi incubi. Persino più di solo all’horror, mostra quel talento Dario Argento, che pure dei colori è nella tavolozza di colori che offre maestro, perché nelle scene di Bava alla sua arte. Talmente vario - più jr è la colorazione dominante, unita nelle tonalità che nelle varietà, in un alla fotografia che fa da pennello, a cinema profondamente ossessivo, essere usata come colonna portan- preferisce dedicarsi a colori primari te della narrazione, dello sguardo e secondari, spesso a coppie - da dello spettatore e dell’autore. Te ne dimenticare o forse semplice- accorgi in Demoni, dove il rosso e mente perdere interesse per il blu, anche grazie a Battaglia, la solidità delle sue trame. dominano costruendo l’atmo- Luci e cromatismi valoriz- sfera del film, dove le emozioni zano inevitabilmente an- viaggiano sulle tonalità cro- che gli attori - risaltano per matiche. Pensate alla scena come vengono “disegna- claustrofobica del condotto ti” Stanko Molnar o Nata- che vive di una pigmentazio- sha Hovey, per citarne un ne che sembra seguire esat- paio -, a volte finendo per tamente i respiri, i battiti del saturare la visione, condi- cuore di chi la guarda, di chi zionando anche la tenuta la sente addosso, di chi la vive, della tensione dei suoi rac- così come avviene anche con la conti cinematografici. musica di Simonetti. Nel meno A volte, guardando le opere riuscito Demoni 2 il blu, che addi- di Lamberto Bava, ma anche rittura diventa sentiero narrativo le sue seconde unità (pensate e individua alcuni volti e oggetti a Cannibal Holocaust e Inferno e chiave della trama, si alterna al gial- troverete la sua firma, anche nei lo accesso, soprattutto del fuoco. I colori), pensi che sarebbe stato rossi, i bianchi, i gialli molto delicati straordinario vedergli non solo rac- dell’esordio Macabro sono un’ere- cogliere l’eredità di papà Mario, ma dità che ritroveremo ovunque nel anche lavorarci insieme. Da pari a cinema di un regista sì discontinuo pari. La loro complementarità visi- ma profondamente inventivo e Lamberto Bava e l’uso va, e non solo, è molto più forte di pittorico, fino a, persino, quel Fan- del cromatismo come elemento quanto si sia pensato negli anni che taghirò che rappresenterà il trionfo, hanno segnato le rispettive attività. e a volte un necessario abuso di cro- fondante delle sue visioni Li avrebbero davvero usati tutti i matismi accesi, tra cui l’arancione e e dei suoi incubi. colori della paura.

cover - scenari Profondo rosso o Nero bifamiliare? Tutti i colori del cinema italiano CROMIA messo in scena il loro immaginario visivo attraverso un forte uso del colore, ciascuno in maniera personalissima.

ANTONIONI, cisione, frutto del puntuale lavoro to di sfruttare ogni minima risorsa della costumista Gitt Magrini (poi narrativa del colore in modo che artefice anche degli abiti di Ultimo entrasse in armonia con lo spirito tango a Parigi). Siamo nel 1964 e di ogni scena, di ogni sequenza. La DIPINGERE Michelangelo Antonioni – anche concordanza tra certi nuovi modi grazie alla fotografia di Carlo Di di utilizzare il colore nel cinema Palma - fa un uso pienamente moderno (penso per esempio a LA REALTÀ consapevole e direi icastico del Resnais, a Bergman), non è ca- colore nel suo primo film non in suale. È un’esigenza che abbiamo bianco e nero. Consapevolezza sentito contemporaneamente di CRISTIANA PATERNÒ che traspare da tutte le sue testi- perché è legata all’espressione monianze coeve o successive. della realtà del nostro tempo che, Il regista ferrarese, non a caso, secondo me, può sempre meno svilupperà un’attività pittorica prescindere dal colore”. Una ri- Cineasta (ma anche pittore), fin dagli Anni ’60 per proseguirla flessione che prosegue per tutta maestro nell’uso consapevole fino alla fine della sua esistenza, la sua carriera e che ritroviamo attività che ha uno dei suoi picchi limpida, cristallina ne Il mistero di del cromatismo teorizzato in opere creativi nel ciclo delle “Montagne Oberwald (1980) dove sperimen- come Il deserto rosso incantate”, acquerelli e collage ta per la prima volta l’uso della di piccole dimensioni dove i pig- telecamera: “Il sistema elettro- e Il mistero di Oberwald. menti hanno precise funzioni po- nico – commenta Antonioni – è etiche, espressive e persino psico- molto stimolante. Lì per lì sembra logiche. Nell’intervista rilasciata a un gioco. Ti mettono davanti una Jean Luc Godard a proposito de Il consolle piena di manopole mano- deserto rosso Michelangelo parla vrando le quali puoi aggiungere o anzi di psicofisiologia del colore, togliere colore, intervenire sulla raccontando che durante le ripre- sua qualità e sui rapporti tra le se l’interno della fabbrica era sta- varie tonalità (…) un modo nuovo to dipinto di rosso e questo aveva di usare finalmente il colore qua- provocato delle liti tra gli operai, le mezzo narrativo, poetico”. E placate da una mano di verde ancora, sempre in “Fare un film è chiaro. Peraltro, il film doveva per me vivere, scritti sul cinema”: La bimba col cappottino rosso colori complementari - e che in intitolarsi inizialmente “Celeste “In Il deserto rosso ho dovuto cam- di Schindler’s List (1994), figura un caso è un indice puntato con- e verde” alludendo alla scelta di biare faccia alla realtà, violentarla, simbolo su cui sono stati versati tro la disumanità del nazismo, Giuliana per l’arredo del negozio dipingerla materialmente. Le ap- fiumi di inchiostro, ha un singo- nell’altro un sintomo palpabile in allestimento che dovrà avere parecchiature elettroniche con- lare antecedente, chissà se noto a di quel malessere esistenziale di pareti celesti e soffitto verde. Ed sentono di aggiungere, togliere, Spielberg, nel paltò verde indos- Giuliana, la donna borghese così è ancora Antonioni, nel volume modificare il colore, di tutta o di sato da Monica Vitti ne Il deserto perfettamente avvolta nella neb- curato da Carlo Di Carlo e pub- una parte dell’immagine, mentre rosso. Un indumento che “buca” bia della noia e dell’inconsistenza blicato da Cineteca di Bologna e si gira il film. (…) La telecamera lo schermo con il suo cromatismo del vivere come in quel soprabito Istituto Luce Cinecittà, a interve- consente, insomma, di immagi- acceso - rosso e verde poi sono in antitesi con la sua cronica inde- nire sul tema: “Ho dunque cerca- nare di più”.

28/29 Ci voleva un autore come Garrone, allora il bianco del paesaggio in cui con la sua formazione pittorica, le due figure umane si scontorna- per riportare il cinema italiano ol- no, fino alla perdita di definizione. tre le sfere puramente narrative e Una morte che culmina nella sfo- razionali, in una dimensione in cui catura dei volti, espediente lingui- esso si fa intermittenza, irraziona- stico attraverso il quale Garrone li lità, pulsazione emotiva. Garrone trasforma in fantasmi. sottrae lo spettatore dal semplice ruolo di voyeur per stabilire con lui Il blu come “spazio” emotivo era con contatto, investirlo di impulsi: già presente nelle notti livide e neb- il suo cinema rompe la finzione ed biose de L’imbalsamatore (2002), esibisce se stesso attraverso colori ma soprattutto assume valore dalla forte risonanza emotiva. Ci- emblematico in Gomorra (2008): nema dei sensi, “eccesso” di infor- le cabine abbronzanti avvolgono i mazione, note coloristiche come protagonisti in un blu-neon inna- pensiero e sentimento. turale e al contempo freddo; è la Si prenda, ad esempio, l’importan- luce di una “differenza” che viene za del blu: non è un caso che la pro- immediatamente stabilita, una tagonista di Primo amore (2004) saturazione disumanizzante, stac- arrivi con un autobus blu. In quella cata dai toni seppia-marroni di una vettura dal colore squillante, inse- naturalità da violentare. rita in un paesaggio monotono, è Garrone lavora spesso attraverso contenuta un’immagine di alterità: l’impressionismo emotivo che elettrica, invasiva, portatrice di una scaturisce dalle macchie di colore: dimensione altra rispetto al quoti- l’esempio più evidente è nei rossi diano. Uno spazio che i due perso- de Il racconto dei racconti (2015), naggi scaveranno in modo patolo- che accende gli abiti e i corpi attra- gico fino all’annullamento: ecco verso il sangue. Garrone affida ad incendi coloristici il furore delle passioni, riprendendo la tecnica dei pittori del Seicento e sintetiz- LA PULSAZIONE zando così astrazione e natura.

Il suo cinema è messinscena del EMOTIVA desiderio attraverso una sintesi cromatica: basterebbe la visio- ne di Reality (2012) per cogliere questa tensione profonda. Qui il DI MATTEO GARRONE colore - primario, saturo - aspi- ra a superare la materialità, farsi di MARCELLA LEONARDI desiderio di trascendenza, os- sessione mistica, apparizione, di- stacco dall’esperienza meramen- Da L’imbalsamatore a Dogman, emerge te umana. Al contrario, il “troppo umano” di Dogman (2018) ha la formazione pittorica di un autore capace colori senza speranza: beige, di portare il cinema italiano in una dimensione verdi spenti, paesaggi seppiati, è l’invasione di un reale che non la- di irrazionalità. scia scampo, un marrone triste e spersonalizzante in cui gli esseri umani sono soli e abbandonati, come bottiglie di Morandi.

cover - scenari Profondo rosso o Nero bifamiliare? Tutti i colori del cinema italiano LO STRACOLORE VA… BENE di STEVE DELLA CASA

Nel finale di Capricci, forse il film più estremo e più personale di Car- saturo, che a poco a poco invade lo schermo. Si esce dalla proiezione melo Bene (“volutamente mal girato”, come lo stesso ebbe a definirlo), stanchi, insoddisfatti, spaesati: esattamente l’effetto che Bene voleva possiamo verificare quanto le cromaticità siano importanti nella co- imporre. Se Erich von Stroheim era l’uomo che avreste voluto odiare, struzione del suo cinema. Non è infatti l’immagine dei cavalieri in tenu- Capricci è il film che volete odiare. ta da caccia alla volpe ciò che ci si aspetta in un film del geniale regista pugliese. Dopo una serie di visioni che lasciano a bocca aperta, il loro Il colore predominante, insomma, come modo per raccontare ciò che arrivo stupisce ancora di più: fino a quando si capisce il perché di quella i dialoghi e le immagini da soli non avrebbero potuto narrare. Carmelo sequenza. In tutto il film, Bene decostruisce l’Arden di Feversham da lui Bene odia le mezze tinte, adora invece la colorazione primaria: e que- portato a teatro (con altrettanto grande scandalo) poco tempo prima: i sto è molto evidente, nonché perfettamente coniugabile con gli aspetti dialoghi elisabettiani sono apertamente mortificati dalla recitazione ir- esteriori della sua personalità e della sua poetica. Ma Carmelo Bene, ritante e mediocre acuita dal fuori sinc. Nella sequenza fi- come sappiamo, non è mai prevedibile e men che meno banale. E an- nale, il colore dei cavalieri è il rosso: cora una volta il colore e il suo uso lo soccorrono quando vuole spin- un rosso vivo, gere la sperimentazione in terreni mai percorsi, e forse impercorribili dagli altri. La sua Salomè, ad esempio, è stata a suo avviso “il primo film a colori della storia del cinema”. E se vediamo con attenzione la cromaticità di quel film, scopriamo Odia le mezze tinte, adora che anche in questo caso bisogna andare oltre, molto oltre la prima lettura. Salomè è un film in cui i colori si mescolano e si rifrangono, proprio come il travaso nel cinema dell’estetica della Pop Art ci abi- tuava in quel momento. Ma è altrettanto evidente la colorazione primaria. che qui siamo in un campo molto diverso, ad esem- pio, dal cavallo dipinto di giallo montato da Vittorio Gassman ne L’armata Brancaleone. Non c’è nessuna volontà di stupire, di catturare l’occhio: si vuole so- prattutto creare disagio, impedire che lo spettatore si “diverta”, si distenda, si rilassi. Con Bene, questo non L’inquietudine è la vera chiave deve essere possibile: l’inquietudine, per lui, è la vera chiave di lettura, la linea unificante della sua produ- zione artistica.

Una linea radicale che si spinge fino a teorizzare una di lettura, la linea unificante nuova cromaticità anche per il bianco e nero. Nel suo Amleto televisivo non ci sono grigi: anche il grigio è una mezza tinta, e le mezze tinte, davvero, non appartengo- no al suo mondo. della produzione artistica

di Carmelo Bene.

30/31 IL SONDAGGIO ROSSO SHINING, BLU TITANIC

di ALICE BONETTI

Tra i colori caldi, il rosso (con le sue gradazioni) è stato sicura- Quali sono i film diventati mente quello che più di tutti è stato ricordato come dominante iconici per l’uso particolare Avete mai pensato a come sa- in diversi film. Colore vivo, di- di una nuance o di un rebbe Shining se fosse stato namico, simbolo per eccellenza ambientato in un hotel con gli della passione, dell’amore, dell’e- dettaglio cromatico? arredi verdi invece che rossi? Po- rotismo e della lussuria, in tanti Abbiamo tentato tente strumento di narrazione in lo hanno associato a film come grado di suscitare emozioni di- Moulin Rouge, In the Mood for Love, di scoprirlo chiedendo verse a seconda dell’uso che se Her (completamente costrui- a un gruppo di 30 persone ne fa, il colore ha un ruolo estre- to su tonalità calde a indicare lo mamente importante nella resa stato emotivo del protagonista) di associare una pellicola finale del film: ci parla, ci comu- e il drammatico American Beauty ai 10 colori più usati nica sensazioni, guida la nostra (cult la scena di Mena Suvari ri- percezione e possiede una sua coperta di petali di rosa rossi). Il nel cinema. Successo forte dimensione psicologica, fi- cremisi può rappresentare però per Wes Anderson, siologica ed estetica. Il colore è, anche rabbia, pericolo imminen- in definitiva, l’elemento filmico te, morte (emblematico il detta- quasi totale assenza universale attraverso cui i nostri glio del cappottino rosso della di titoli nostrani. sensi apprendono la realtà (fil- bambina di Schindler’s List) e follia mica) e la reinterpretano. omicida. A tal proposito, Shining di Kubrick è stato il più citato: la Ma quali sono quei film diventati famosissima scena del fiume di iconici proprio per l’uso particola- sangue che esce dall’ascensore re di una nuance o di un dettaglio è certamente ben impressa nella cromatico? Noi abbiamo tentato di memoria di tutti. scoprirlo chiedendo a un gruppo di 30 persone quale pellicola ve- Se l’arancione è usato spesso per nisse loro in mente pensando ai 10 rappresentare il deserto, la deso- colori più usati nel cinema. lazione post-apocalittica e lo stra-

cover - scenari Profondo rosso o Nero bifamiliare? Tutti i colori del cinema italiano rosso rosa verde giallo blu viola arancione bianco grigio marrone niamento (Mad Max: Fury Road, The Martian, Apocalypse Now), il 28 13 20 22 5 8 22 17 15 13 giallo rappresenta invece la luce, la gioia, la positività (Il mago di Oz, Moonrise Kingdom, Big Fish) ma può spesso simboleggiare anche follia, irrazionalità, delirio. A tal proposito, c’è chi si è perfino ri- ti cancello, è stato invece associa- cordato che in Birdman di Iñárri- to soprattutto a due film: Avatar Guardando i risultati del son- tu, la scena del monologo fuori di James Cameron (in effetti qui daggio, constatiamo la presenza controllo di Sam (alias Emma la presenza del blu è fortissima, massiccia dei film di Wes An- Stone) si dipinge di sfumature dall’ambientazione - il satellite derson, segno che gli spettato- paglierine. Tra i vari film ricordati, Pandora – ai personaggi princi- ri italiani hanno colto l’unicità spicca sicuramente (per numero pali, i Na’vi) e Titanic di James dell’estetica e dell’originale uso di citazioni) Kill Bill e l’iconica Cameron. Ma c’è chi si è ricordato del colore, ma anche che il regi- tuta gialla di Uma Thurman. anche di quel gioiellino de La for- sta statunitense è ormai diven- ma dell’acqua. tato un vero fenomeno culturale Simbolo per eccellenza di femmi- mondiale (tanto da avere cen- nilità, innocenza e giovinezza, gli Verde come pace, senso di rina- tinaia di account Tumblr, GIF intervistati non hanno avuto diffi- scita, quiete (la natura incontami- su Facebook, avatar, citazioni e coltà ad associare il colore rosa a nata di Into the Wild, per esempio, quote in ogni parte del globo). film come Marie Antoinette, Closer o i paesaggi bucolici de Il Signore L’assenza quasi totale di titoli (chi non ricorda la sensuale Nata- degli Anelli: La Compagnia dell’A- italiani tra quelli indicati dagli lie Portman con il suo caschetto nello) ma anche noia, prigionia, intervistati (rare le eccezioni: Il rosa shocking?), La rivincita delle stati di allucinazione (L’uomo sen- deserto rosso di Antonioni, Medi- bionde, Harry Potter (nel 5° film za sonno, Blade Runner, Fight Club, molto usato nei musical, gli spet- terraneo di Salvatores e qualche della saga il rosa confetto carat- Natural Born Killers, Trainspot- tatori lo hanno ricordato soprat- opera di Bertolucci), lascia invece terizza il subdolo personaggio di ting) e - perché no – orchi (Shrek tutto in La La Land, nei film di Tim un po’ perplessi. Consola il fatto Dolores Umbridge), Grand Bu- docet). Grigio, invece, come as- Burton (La sposa cadavere, Dark che, forse inconsapevolmente, in dapest Hotel - dove è utilizzato per senza totale di movimento e di Shadows) e in Grand Budapest Ho- molti hanno ricordato la firma di rappresentare la dolcezza del per- speranza. Pochi i film che i nostri tel di Wes Anderson: indimenti- un artista italiano, nascosta dietro sonaggio di Agatha – e, ça va sans intervistati hanno associato a cabile il personaggio di Monsieur a molti dei film citati. È quella di dire, La Pantera Rosa. questo colore. Tra essi spiccano Gustave H., il cui color viola della Vittorio Storaro, maestro dell’u- American Beauty, dove è il grigio a divisa fa da contrasto agli ambien- so della luce e del colore, che ha Pochi dubbi poi su quale film ven- rimarcare lo status di “prigioniero ti arancioni e rossi dell’hotel. firmato la fotografia di capolavo- ga in mente agli spettatori pen- della routine” del protagonista e ri come Apocalypse Now, L’ultimo sando al color marrone: La fab- Revolutionary Road, dove è usato Asettico, pacifico, ovattato, il imperatore, Il tè nel deserto e Ultimo brica di cioccolato (sia la versione per l’emblematica scena dei bu- bianco è il colore puro per ec- tango a Parigi. burtoniana che quella precedente siness man tutti rigorosamente cellenza e può simboleggiare di Mel Stuart) è stato il film più ci- vestiti di grigio che escono dalla situazioni di isolamento, emar- A questo punto sorge spontanea tato – per non dire l’unico - da chi stazione (cinerea anch’essa) per ginazione (Qualcuno volò sul una domanda: sono i film italiani ha risposto al questionario. andare al lavoro. nido del cuculo) e di sospensione a non essere in grado di ancorarsi spazio-temporale (2001: Odissea saldamente nella memoria visiva Il colore del cielo, che può assu- Il viola, colore tra i più seduttivi, nello spazio, Gravity). C’è chi lo ha degli spettatori, oppure sono que- mere toni drammatici e malinco- viene invece spesso associato al ricordato anche in Arancia mecca- sti ultimi a essere particolarmente nici come in Vita di Adele o espri- mistero, all’ambiguità – sessuale nica, dove Kubrick ne stravolge il distratti quando a scorrere sullo mere tranquillità, quiete, silenzio in molti casi (The Neon Demon di senso facendogli raffigurare tutto schermo sono immagini di pelli- come in alcune scene di Se mi lasci Refn) – e all’eccentricità. Colore ciò che è violenza e sopruso. cole nostrane?

32/33 voci - inchieste non ci sono più i cinema di una volta? Sì, ce ne sono di nuovi. voci

INCHIESTE PUNTI DI VISTA

36 Nuovi Cinema Paradiso 43 Dal Cine-panettone 48 Il nuovo pensiero di Gianni Canova al Cine-panzerotto critico italiano di Anton Giulio Mancino di Jennifer Malvezzi

38 Sopra i tetti di Milano 44 Proiezioni memorabili di Hilary Tiscione di Valentina Neri 50 Beethoven e la Virtual Reality di Carlo Cresto-Dina

40 Questione di… Hart DISCUSSIONI di Margherita Bordino 46 Un gatto in the Sky di Pedro Armocida

41 Seravezza: patrimonio Unesco e Grand Gourmet di Nicola Calocero

42 Policlinico Gemelli, l’arte della CineTerapia di Nicole Bianchi

34/35 inchieste

NUOVI CINEMA PARADISO di GIANNI CANOVA

Molte sale, negli ultimi anni, hanno chiuso. Ma da qualche tempo in qua si registra anche il fenomeno inverso: sale che aprono, o riaprono. Sono ancora casi isolati, certo. Però indicano un’inversione di tendenza. E dimostrano che è possibile pensare nuovi modi di proporre e di vedere film.

voci - inchieste non ci sono più i cinema di una volta? Sì, ce ne sono di nuovi. in posizione supina. Ho saputo e lo metabolizziamo, dipende sempre anche dal luogo in cui l’abbiamo poi che un noto brand svedese visto. E spesso si ricorda il luogo più e meglio della trama del film. A me, (indovinate quale?) per lanciare almeno, a volte capita così. E capita allora che ci sia, anche in Italia, chi una nuova linea di materassi, ha si inventa modi e luoghi davvero “strani” di proporre il cinema. Qualche messo a disposizione di alcune anno fa, ad esempio, Francesco Azzini si è inventato Cortomobile, il ci- sale cinematografiche di Mosca nema più piccolo del mondo: un’Alfa Romeo berlina del ’74 adibita a ci- e di Parigi proprio svariati letti, nema a due posti in cui proporre cortometraggi. Vetri oscurati, pop corn per visioni supine esclusive e di garantiti. Dentro, è proibito fumare e tenere il telefono acceso. Un’idea sicuro successo. Ma ci sono espe- per certi versi analoga è quella di Cinecamper, un cinema mobile a set- rienze anche più estrose e fanta- te posti, ricavato all’interno di un Camper Ford Transit del 1981 di colore siose: la catena Hot Tub Cinema arancione con il proiettore posizionato nel bagno. C’è anche chi usa un Al fondo, c’è sempre una relazio- (presente a Londra, New York e camion: con Cinema del deserto due italiani, un ragazzo e una ragaz- ne a due. Di là uno schermo, di Ibiza) propone forme di cinematic za, portano il cinema nei villaggi poveri dell’Africa. Proiettano film da qua una postazione per lo spet- experience organizzando visioni un camion che ha sul tetto pannelli solari e uno schermo installato su tatore. In mezzo, la magia del di film di volta in volta in vecchie un lato, quasi a riscoprire l’origine nomade e ambulante del cinemato- cinema. Storicamente, tutto ciò fattorie o su grandi terrazze, dove grafo. Ambulante è anche l’esperienza di PostKino, che quest’estate ha è stato strutturato – sul piano gli spettatori, invece che seduti in portato il cinema in giro per la Puglia, in contesti sempre diversi: una delle relazioni spazio/temporali platea, vengono fatti accomodare torre che in tempi antichi ospitava i Cavalieri Templari, un ipogeo nel – nell’architettura della sala ci- in grosse vasche idromassaggio cuore di una città vecchia, una masseria in Valle d’Itria dove si allevano nematografica. Che – a pensarci che possono contenere fino a sei i cavalli, una terrazza vista mare, un chiostro monumentale, un lido sul bene – ha mutuato dalla Chiesa persone. Qui il cinema diventa lungomare. Sono proiezioni che prendono vita al di fuori delle sale, sul (prima ancora che dal Teatro) il ovviamente un’altra cosa. Qui la mare o in campagna, a volte in piccoli borghi che sono del tutto sprov- proprio modello relazionale. Con vista perde l’egemonia assoluta visti di un cinematografo. Ma poi ci sono anche le sale. Che qua e là ria- lo schermo al posto dell’altare e che aveva sugli altri organi di sen- prono. In posti impensati (sui tetti, nei musei…). O con offerte differen- le poltrone/sedili per il pubbli- so. Qui lo spazio del cinema di- ziate (cine-ristoranti, cine-bar…). Nelle pagine che seguono proviamo a co nella “navata” dove pregano i venta inevitabilmente sinestetico dare conto proprio di alcune di queste esperienze. Per dimostrare come fedeli. Così, nel buio, in un buio e coinvolge altri luoghi un tempo qualcosa si stia muovendo anche in un settore che pareva immobile e quasi sacro, dove la vita subisce impensabili. Il regista thailan- non rinnovabile come quello dei luoghi in cui vedere film. la transustanziazione in imma- dese Apichatpong Weerasetha- gine, il cinema ha attraversato il kul e l’attrice Tilda Swinton, ad ‘900. Ma ora quel modello è in esempio, organizzano ogni anno declino. Le sale cinematografiche il Festival Film on the Rocks Yao – soprattutto in Italia – sembrano Noi, dove sia lo schermo sia gli perdere appeal. Molte sale hanno spettatori sono collocati su due chiuso con l’avvento del digitale. gigantesche zattere galleggianti in Altre hanno chiuso (e chiudo- una baia edenica di uno degli arci- no…) per stanchezza, per calcolo, pelaghi più belli del mondo. per speculazione. Ma da qualche Ma lì – potrebbe obiettare qual- tempo in qua, un po’ a sorpresa, cuno – non si vede il film. Lì si si nota una piccola ma significa- resta abbagliati dalla bellezza del tiva inversione di tendenza. Qua luogo. Vero. Ma come si è abba- e là ci sono nuove sale che apro- gliati dal luogo vedendo film nel no. O vecchie sale che riaprono. Teatro Greco di Taormina, o sulle Ci sono appassionati di cinema terrazze del Castello Aragonese che provano a crederci ancora. E durante l’Ischia Film Festival. Il che si inventano, spesso rischian- modo in cui percepiamo un film, do in proprio, non solo nuove modalità di fruizione, ma anche nuovi modi di pensare al “luogo” del cinema. Il mondo è pieno di sale “strane”, di modi di visione eccentrici. Di spettacoli che pon- gono lo spettatore di fronte allo schermo – questo sì ineliminabile – in posizioni e su supporti diver- si. Qualche anno fa, ad esempio, in occasione di una grande mo- stra al Beaubourg parigino, mi era capitato di imbattermi in una sala dove davanti allo schermo invece di sedie o poltrone c’erano letti. Ti ci sdraiavi sopra e vedevi il film

36/37 SOPRA I TETTI DI MILANO

di HILARY TISCIONE

Gli spazi strani della città meneghina che “ospitano” sale cinematografiche: i casi Cinema Bianchini, Nobel-Eataly e il nuovo cinema della Fondazione Prada.

voci - inchieste non ci sono più i cinema di una volta? Sì, ce ne sono di nuovi. Visto sopra i tetti, un film, è tutto un altro cinema. Il cinema dentro lo schermo, ma anche tutto intorno, sopra le case, ap- pena sotto il cielo, proprio dove vive il Cinema Bianchini: un piccolo spazio dentro un altro, infinito, che sovrasta Milano. Fino al 30 settembre, sulla Highline di Galleria Vittorio Emanuele che va da Piazza Duomo a Piazza della Scala, verrà proposta - dalle ore 21 - una selezione di film che varia dai grandi cult, al cinema d’autore, ma anche quelli senza tempo come La notte, A qualcuno piace caldo, Vacanze romane, Barbarella, Miracolo a Milano. E sì, qualcosa di miracoloso ef- fettivamente c’è. La quiete, come prima cosa, rarissima da trovare nel baricentro milanese. Poi, l’incanto fra le tegole, indugio di dodici gatti neri – così vuole la leggenda – che sgambettano, certamente sedotti dall’armonia del posto. Non va solo a braccetto con l’estate l’idea di posizionare un grande schermo all’aperto, lassù dove l’aria è pulita e più fresca, ma è il con- cetto di unire la potenza dell’arte cinematografica all’ampiezza dello spazio. Come a voler dire che una tale ricchezza merita un’estensione ampia, infinita; un posto rialzato, dove osservare tutto l’effimero scena- rio mondano, dall’alto. In un seggio elitario fatto di comode sedute che - attorniate da una vite inerpicata intorno alle grate - ospitano cinquanta persone al massino, pertanto diventa indispensabile la prenotazione a tempo debito, così da evitare il sold out ricorrente. Eretto lassù, il cinema dei tetti, ha un non so che di dominante, ma non per supremazia, piuttosto per capacità di oltrepassare il terreno e innal- zare l’arte al cielo. Allora, le immagini si elevano e raggiungono le guglie del Duomo, camminano verso il Castello Sforzesco, via via fino a Porta Nuova; si arrampicano sulla Torre Branca, scivolano su il Dritto, indu- giano rapite dalla Cupola. Ma questo non è l’unico esempio di cinema originale, anticonformista. Infatti, in una Milano che anticipa sempre di più tutte le nuove forme di espressione, apre la prima sala risto-cinema d’Italia: Nobel-Eataly ospitata dall’Anteo Palazzo del Cinema, dove diventa possibile appaga- re il palato e la vista, ma anche l’udito e il gusto, lo svago e la necessità, il piacere di una cena e quello di un post cena contemporaneamente. L’iniziativa, considerevole anche nella cultura smisuratamente trend del presente, si fa portatrice d’ispirazione e fonde l’emozione filmica con la creatività gastronomica. La sala cine-gastronomica propone tre appuntamenti quotidiani come le pause culinarie che scandiscono la nostra giornata, capaci però di spianare i modelli e scomporre i disegni programmatici della vita. Ma il cinema, quello senza margini, si annida e coabita anche in una del- le più famose istituzioni dedicata all’arte contemporanea: Fondazione Prada, che ha inaugurato il nuovo cinema al suo interno. Si tratta dell’unico spazio filmico della Zona 5 di Milano, una sala che rivolge l’attenzione sia alla memoria dei capolavori intramontabili, ma anche alla parte più emancipata stilisticamente. Offre, così, generi ci- nematografici diversi: dai più classici ai più sperimentali, gli inediti, ma anche i restauri – per esempio Ultimo tango a Parigi di Bertolucci, proiet- tato il 6 maggio in anteprima nazionale e introdotto dal regista in perso- na - per rievocare la traccia storica e il contributo nei confronti dell’arte che, prima ancora di essere segmentata nei vari rami e nei vari ambienti, è la genitrice suprema del sacro e della bellezza.

38/39 QUESTIONE DI…HART

Lo storico cinema Ambasciatori di Napoli nel circuito internazionale delle tre sale più innovative secondo la 20th Network Conference Bucharest 2017 di Europa Cinemas. Come vedere un film comodamente sdraiato su un letto (non a casa propria).

di MARGHERITA BORDINO

Nell’Era del marketing e dei social network c’è chi trasforma la sala cine- matografica tradizionale come fosse una vera casa, un modo per man- tenere e proteggere il senso di comunità e di esperienza primaria del ci- nema stesso. Da Bangkok a Mosca, da Parigi a Stoccolma diversi cinema presentano al grande pubblico una sala dal lusso casalingo, offrono l’op- portunità di vedere un film comodamente sdraiati su un letto. Questa stessa esperienza si può vivere anche in Italia, precisamente in Via Cri- spi 33 a Napoli, dove si trova il cinema Hart. Una sala indipendente che conta 110 posti tra poltrone e divani, tra questi 5 letti da 3 posti ciascuno, posizionati in prima fila. Il cinema Hart è stato indicato come una delle tre sale più innovative dalla 20th Network Conference Bucharest 2017 di Europa Cinemas, il network composto da 2.900 cinema indipendenti di tutto il vecchio Continente. Il suo progetto è stato realizzato con un investimento di 800mila euro nella storica sala dell’Ambasciatori da tre imprenditori: Luciano Stella, Sigfrido Caccese e Mariano Pierucci. Stel- la, dopo avere viaggiato molto e visto sale innovative, ha pensato a quel- la del cinema Hart rispondendo all’interrogativo: quale futuro per le mono-sale? L’Hart è diventato, dal dicembre 2015 a oggi, un luogo mul- ticulturale. Un locale che offre al tempo stesso cinema, musica e bistrot. Una storica sala resa attuale, futuristica, intima ed elegante. Grande tec- nologia e proposta culturale sono alla base di questo cinema che pren- de il nome dalla parola olandese, “cuore”, ma che rappresenta anche un neologismo anglofono derivante da “arte” e “terra”. Il cinema Hart ha un target trasversale, come trasversale è stata la programmazione in questi anni, dalla commedia Dio esiste e vive a Bruxelles, all’animazione partenopea di Gatta Cenerentola. La sala dell’Ambasciatori contava 350 posti, ora ne esistono la metà e permettono di assistere comodamente ad un film. Non bisogna pensare al “letto” solo nel senso letterale del termine. Ovunque sieda, lo spettatore ha un poggiapiedi davanti a sé e una scatola in cui tenere la propria borsa, o altro, all’interno trova anche un caldo pile per essere, nei mesi invernali, ancora più a proprio agio. La sala Hart ha lampadari Anni ‘30 e soffitto a volta, caratterizzato da gio- chi di colori: nel momento in cui parte la proiezione tutto diventa buio, come vuole la tradizione cinematografica. Con l’esperienza, che funzio- na, del cinema Hart c’è da chiedersi: e se la soluzione all’evidente crisi cinematografica fosse effettivamente, e banalmente, la comunicazione e la trasformazione della sala?

voci - inchieste non ci sono più i cinema di una volta? Sì, ce ne sono di nuovi. SERAVEZZA: PATRIMONIO UNESCO E GRAND GOURMET

Dove una volta c’erano le stalle dei Medici, tra le Alpi Apuane, ora la settima arte è di casa.

La storia di questa sala inizia molto tempo fa; siamo nella se- di NICOLA CALOCERO conda metà del XVI secolo ed il granduca Cosimo, in questa epo- sano sempre più spesso cineasti ca di aspri contrasti dove il tardo e uomini di cultura qui attratti a Rinascimento si confondeva con promuovere una programmazio- l’affermarsi della Controriforma, ne decisamente scrupolosa nel elesse le pendici delle Alpi Apua- riuscire a presentare tutti i film ne come luogo ideale per il sog- importanti della stagione. E pro- giorno estivo della corte. Vide così prio nelle Scuderie, la sala prin- la luce presso il borgo di Seravezza cipe di questo territorio, in con- la Villa Medicea, oggi riconosciuta temporanea con Torino è stato patrimonio UNESCO. La storia presentato Mia madre fa l’attrice di della Villa si è incrociata con il Mario Balsamo, girato proprio da destino del borgo, sfiorato dalla queste parti. Via Francigena e tristemente si- Il palinsesto colto ha risvegliato tuato – durante la Seconda Guerra un forte sentimento di apparte- Mondiale - sulla linea gotica (vedi nenza cinefila in tutte le vallate Il paziente inglese). Nel corso del- Apuane e ha realizzato quella che le generazioni le Scuderie della dovrebbe essere l’ambizione di Villa hanno avuto molte vite: da ogni sala: far crescere un pubblico alloggio per i puledri del sovrano a sempre più curioso e preparato. stazione di posta, da sala da ballo Per questo vi ha trovato asilo an- tardo Liberty a magazzino comu- che il festival OPERAZIONE PAU- nale. Finalmente (come capita RA, che ospita da anni le fanzine per fortuna sempre più spesso in più attive del cinema di genere provincia) un’amministrazione italiano, e non è mancato in que- sensibile ed illuminata ha resti- sti anni un curioso omaggio a Ugo tuito le Scuderie alla cittadinanza Tognazzi. Ospite estivo per anni identificandole come location nella vicina Versilia è stato ricor- ideale per il cinema municipale. dato a Seravezza presentando le Sfida ambiziosa per un Comune sue pellicole di argomento panta- di poco più di 10.000 abitanti, gruelico, abbinate a degustazioni quando nel nostro Paese abbia- dedicate. Partendo da La grande mo purtroppo anche cittadine abbuffata per arrivare a L’anatra ben più grandi che hanno perso all’arancia. Non a caso fu Caterina la loro sala. de’ Medici, cugina di Cosimo, a La programmazione delle Scude- portare a Parigi quel piatto tipico rie è ricca ed attenta. Nella sala della tradizione toscana oggi sim- - attiva tutto l’anno dal 2013 - pas- bolo del Gran Gourmet.

40/41 POLICLINICO GEMELLI, L’ARTE DELLA CINETERAPIA

La prima sala costruita all’interno di una struttura ospedaliera offre una terapia di sollievo per molti lungo-degenti.

di NICOLE BIANCHI

dando concretamente il via al progetto di ricerca scientifica che ha come obiettivo l’osservazio- proseguire su questa strada, che ne degli effetti di questa terapia Un titolo insegue l’altro, se si pen- pone così il Policlinico “Gemelli” non convenzionale sui pazienti, sa al connubio tra cinema e me- all’avanguardia sul fronte delle adulti e bambini. Lo studio è il dicina: dal nostro Alberto Sordi terapie complementari dedicate primo del suo genere in assoluto. protagonista de Il medico della mu- al benessere della persona nella L’approccio è progressivo e inter- tua (1968), all’affascinante dottor sua interezza. disciplinare e si avvale di un team Ross interpretato Oltreoceano Il premio Oscar Giuseppe Torna- di ricercatori, medici e psicologi, da George Clooney nella serie tv tore ha preso parte sin dall’inizio che hanno iniziato a valutare l’ef- E.R. - Medici in prima linea, senza al progetto, con la realizzazione ficacia del cinema - fruito in una MediCinema programma regolar- dimenticare il pioniere della riso- di uno spot dedicato – Il film come sala tecnologicamente all’avan- mente film “per tutti” il martedì e terapia sul grande schermo, Robin terapia - che si è avvalso della co- guardia, costruita appositamen- film dedicati ai pazienti pediatrici Williams e il suo Patch Adams, lonna sonora di Claudio Baglioni: te - rispetto alle finalità di ausilio il giovedì: il coordinamento delle dell’omonimo film (1998). il cinema come strumento per terapeutico, reinserimento socia- prenotazioni da parte dei reparti La realtà, si sa, supera la fantasia e sostenere la campagna di fundrai- le e riduzione dello stato di incer- coinvolti (ormai oltre una venti- così cinema e medicina si sono in- sing di MediCinema Italia, la no tezza e ansia, spesso connessi alla na) e l’assegnazione dei posti in contrati con la missione di essere profit nata 5 anni fa, ispirata Medi- degenza. Praticando un coinvol- sala, oltre naturalmente all’assi- “terapia di sollievo” per persone Cinema UK. gimento diretto, tramite questio- stenza, è in capo al SITRA, con il costrette a medio-lungo degenze: Per “andare al cinema al Gemelli” nari, approfondimenti personali supporto dei medici e dei gruppi il cinema s’inserisce come parte si sale tra l’8° e 9° piano dell’ospe- di tipo qualitativo, sono coinvolti di volontari, sia dell’A.VO.G., sia integrante delle terapie classiche, dale romano, dove si accede ad pazienti di tutte le fasce anagrafi- degli studenti della Facoltà di per migliorare la qualità della vita un ambiente che conta 130 posti che, sin dall’infanzia. Medicina e Chirurgia. La riposta dei pazienti attraverso la visio- a sedere, inclusi spazi per perso- entusiastica dei pazienti, dei loro ne dei film. Con questo intento ne non autosufficienti, allettati o familiari e accompagnatori, è fon- è stato promosso e costruito il in sedia a rotelle, il tutto calibrato te di grande incoraggiamento per primo spazio cinematografico sui numeri dell’ospedale stesso, all’interno di una struttura ospe- che conta 1.558 posti letto, 35 sale daliera, che da settembre 2016 operatorie, 850 medici e 3.400 in- ha esordito con una programma- fermieri, tecnici e operatori. zione cinematografica regolare,

voci - inchieste non ci sono più i cinema di una volta? Sì, ce ne sono di nuovi. DAL CINE-PANETTONE AL CINE-PANZEROTTO

L’arena “Ai Riciclotteri” di Bari: sala eccentrica e resistente, concepita dal decano dei cineasti underground pugliesi, Nico Cirasola. Nel nome, il riferimento al concetto del “riciclaggio”, del cinema e degli oggetti vintage, dagli elettrodomestici alle macchine da proiezione. di ANTON GIULIO MANCINO

Chi non ricorda l’11 settembre del 2001? A Bari, mentre crollavano le Torri Gemelle a New York, veniva inaugurata l’Arena “Ai Riciclotteri”, probabilmente una delle sale cinematografiche più eccentriche e resi- stenti d’Italia, concepita dal decano dei cineasti underground pugliesi, Nico Cirasola, e portata avanti ancora oggi, tra slanci fantasiosi, intre- pida, allegra determinazione e difficoltà quotidiane, da Luca Ciraso- la e Francesca Garulli. Il riferimento al concetto del “riciclaggio”, del cinema, dei materiali, degli oggetti vintage, dagli elettrodomestici alle macchine da proiezione, è parte integrante di un progetto di lunga du- rata che assieme alla programmazione di film vecchi e nuovi, eventi di ogni tipo, happening, iniziative sull’educazione alla legalità, presidia un territorio della città raggiungibile, sì, ma vagamente post-atomico. Di sicuro, non da cartolina. L’innesto di questa Arena in uno spazio simile, con film che si agitano letteralmente quando il telone è scosso dal ven- to, è un’esperienza unica, da cinema delle origini, quando lo spettacolo era ospitato da fiere, circhi, inserito nei vaudeville. Lo scrittore Gianrico Carofiglio gli ha dedicato un ampio brano del suo libro Né qui né altrove. Una notte a Bari (Laterza, 2008): “Per andare al mio preferito, però, la macchina è necessaria, ci vuole un’ottima conoscenza del territorio e deve essere estate. Questo posto si chiama Arena ai Riciclotteri: ignoro cosa significhi il nome e non ho mai cercato di scoprirlo. La stessa per- sona stacca i biglietti, ti vende le birre gelate custodite in un vecchio fri- go Anni ’60 e fa gli interventi sul vecchio proiettore sferragliante. Tutto è assai romantico e fuori dal tempo in quest’arena collocata fuori città, nel mezzo di nulla, fra capannoni industriali dismessi, depositi, rotaie sulle quali, nel pieno delle scene più emozionanti, rombano treni diretti rotto”, sorto sulle ceneri del “Ci- suggerite agli avventori dell’Are- chissà dove, a quell’ora della notte. Le file di sedili verdi di legno e me- ne-panettone”. Insomma, mentre na “Ai Riciclotteri”, sono – come tallo sono collocate su un pavimento di ghiaia e le facce dei frequentato- il filone più redditizio del cinema dire - alla Cirasola: “Parcheggio ri, me incluso, sembrano quelle di un gruppo di turisti da macchina del italiano era in esaurimento, ecco gratuito non custodito. Copritevi tempo, in gita premio dal passato. Se passate da Bari in estate andate a il panzerotto barese a dare man- sempre bene che la sera ‘stringe’, vedervi un film in questo cinema, se riuscite a trovarlo”. forte agli spettatori di film accorsi siamo vicini alla murgetta! Por- Da allora le novità ulteriori non sono mancate. La programmazione in- a Bari: superata l’uscita Picone, in tate un k-way e un ombrello nel fatti ha sempre avuto una sezione intitolata “Cinema con gusto”, dove zona Santa Fara, dopo il Distribu- caso piovesse! ‘Il Cinema all’aper- al film è stata per tradizione abbinata la degustazione, di vini o di cibo, a tore ERG , in via Massimi Losacco to, più all’aperto che c’è!’”… Vero. cura degli sponsor. Ma la vera rivoluzione è arrivata con il “Cine-panze- numero 4. Anche le precauzioni Assolutamente vero.

42/43 PROIEZIONI MEMORABILI

Marco Belardi, Antonio Avati, Cristiana Caimmi, Carmen Giardina, Marta Donzelli, Roland Sejko, Felice Laudadio e Laura Delli Colli ci raccontano il luogo più insolito in cui hanno visto un film.

di VALENTINA NERI Da anni, soprattutto nel nostro Paese, si suona il de profundis della sala cinematografica. Per farlo smettere bisogna ripensare la fruizione cinematografica, reinven- tandola, con piglio ludico o guardando al passato. E’ il caso delle fondatrici e direttrici del Milano Design Film Festival (25-28 ottobre), Silvia Robertazzi e Antonella Dedini, che all’interno della manifestazione hanno ide- ato l’appuntamento al buio di Cinema Nascosto. Gli iscritti alla newsletter ricevono per email indicazioni su dove e quando incontrarsi; una volta all’appuntamento vengono accompagnati nel luogo reale della proiezione

voci - inchieste non ci sono più i cinema di una volta? Sì, ce ne sono di nuovi. dell’occupazione italiana. Per una volta un film da grandi. Le- gata all’infanzia anche la testimo- nianza di Felice Laudadio, pre- sidente del Centro Sperimentale di Cinematografia. Il primo film che ricorda d’aver capito davvero è stato Cristo fra i muratori. Era una fruizione in spiaggia: schermo il 1951, lui aveva 7 anni, ma aveva praticamente nell’acqua e spet- già visto tanti film perché l’unico tatori sull’arenile, peccato che cinema a Mola di Bari, l’Orfeo, era la serata fosse ventosa e in più di di proprietà del nonno materno. un’occasione lo schermo sia stato “I miei genitori mi scaricavano lì a un passo dal volare via. Sembra ogni giorno per qualche ora in un uscire da un’altra epoca il raccon- posto di prima fila, sempre lo stes- to della produttrice Marta Don- so. A quel tempo le sale di paese scricchiolio, ogni rumore, mi ter- zelli che per Le quattro volte di proiettavano un film diverso ogni rorizzavano da morire. Dopo 20 Michelangelo Frammartino si è ri- giorno, tranne il sabato e la dome- minuti, sono letteralmente scap- trovata ad Alessandria del Carret- nica. Per anni ho visto lo stesso pato. Il film sono riuscito poi a to, dove è stata girata la sequenza film. Per anni ho visto film dal lu- rivederlo per intero anni dopo, legata all’albero della cuccagna. nedì al sabato, anche due volte di in tv, mentre paradossalmente la “Dopo Cannes decidemmo di seguito. Ma quel drammone ne- sala, il Quirinetta, ha portato bene organizzare delle proiezioni nei orealista di Edward Dmytryk che alle nostre produzioni”. Fu la ten- luoghi in cui avevamo realizzato racconta la storia di un emigrato sione invece ad accompagnare la il film. La logistica era a cura del italiano a New York che lavoran- proiezione che la press agent Cri- Comune che allestì lo schermo do s’ammazza per comprar casa stiana Caimmi non può dimen- nella piazza principale, davanti me lo porto dietro da sempre”. A ticare. “Anteprima stampa di Non alla chiesa, ma una volta arrivati metà tra rito folcloristico e nuo- ci resta che piangere. Una saletta sul posto ci rendemmo conto che ve tendenze del comfort invece privata, non più di 25 critici im- c’era solo lo schermo: i cittadini l’esperienza vissuta da Laura e solo qui viene svelato il film. portanti dell’epoca. Il film snoc- non si scomposero, aprirono la Delli Colli nel Sudest asiatico. Spesso il luogo contagia la pro- ciola battute diventate cult come chiesa e cominciarono a portare Nel 2011 la presidente del Sinda- iezione, arricchendola, creando “Due fiorini”, “Come il babbo!” fuori i banchi e le panche per se- cato Giornalisti Cinematografici maggiore immersività o ampli- “Grazie Mario” ma in platea non dersi. In pochi minuti lo schermo Italiani si trovava a Bangkok per il ficando le emozioni trasmesse, ride nessuno, anzi più la storia va diventò un altare speculare della Moviemov e con sincera curiosità come la volta in cui il produttore avanti più il gelo diventa palpabi- chiesa”. Ha il sapore di un tem- assistette alle proiezioni del car- Marco Belardi, bloccato negli le. Io, produttori e distributore ci po lontano anche l’esperienza di tellone italiano del Festival con il USA per un volo cancellato, deci- guardammo preoccupatissimi: Roland Sejko, regista e direttore cerimoniale obbligato in apertura se di passare la serata guardando pensavamo di presentare un ca- responsabile del sito dell’Archivio a ogni proiezione e la “pillola” di sul tablet uno dei suoi film pre- polavoro di comicità con due geni Storico Luce. Da ragazzino, nel- un minuto sui reali thailandesi. feriti, 2001: Odissea nello spazio, in come Massimo Troisi e Roberto la sua città di origine, Elbasan in Nella sala accanto, in un mul- uno dei luoghi più simili all’infini- Benigni ma sembrava che non ca- Albania, andava spesso al cinema tiplex affollato a ogni ora del tà del cosmo presenti sulla Terra, pissero l’ironia del film. La notte dei piccoli, ma quando arrivava giorno, una platea speciale, con il Grand Canyon. In altri casi può non dormii chiedendomi dove l’estate ad attirarlo era l’arena un’ultima fila di poltrone rosse, in accadere l’esatto contrario: il avevamo sbagliato. Poi quando il estiva nel centro della città. Uno velluto, profonde come un letto. film può risentire di una location film uscì in sala diventando il suc- dei pochi svaghi in circolazione C’era il grande spettacolo di un non all’altezza o di un’atmosfera cesso di quella stagione (1984-85), nel ‘78. I ragazzini come lui re- blockbuster action. “Nonostante il negativa. Quello che accadde ad con oltre 15 miliardi di lire d’incas- stavano davanti all’ingresso fino velluto di una poltrona letto in cui Antonio Avati quando dicianno- so, mi rilassai: il pubblico lo aveva all’inizio dello spettacolo speran- sprofondare, e il jet leg del gruppo venne e con il sogno di diventare premiato trasformandolo nella do di convincere i gestori a farli italiano, avendo ovviamente visto un attore, in una Roma deserta pellicola iconica che tutti cono- entrare gratis, ma l’arena esauriva tutti i nostri film in cartellone, per Ferragosto, decise di vincere sciamo”. A base di suspense è sta- sempre i posti e alle piccole gang ricordo che, dopo aver reso di- la solitudine andando al cinema. ta anche la proiezione raccontata di spettatori non restava che ripie- sciplinatamente omaggio al re, ci “Il Quirinetta era l’unico aperto. dall’attrice Carmen Giardina gare sui pini dall’altra parte della siamo subito infilati in sala per te- Quel giorno c’era Billy il bugiardo del suo corto da regista, La gran- strada. Appollaiato sui rami, vide stare la novità. Restando svegli, di John Schlesinger, pellicola piut- de menzogna, opera in costume e Le ragazze con i nastri rossi, pel- nonostante la super comodità tosto godibile, ma resomi conto bianco e nero su Anna Magnani licola propagandistica albanese della poltrona, sicuramente grazie di essere completamente solo in e Bette Davis. Nel 2009 l’Ischia sulla resistenza antifascista in un ai colpi di scena di un film che te- sala non mi interessava più: ogni Global Film Fest aveva optato per liceo femminile durante gli anni neva col fiato sospeso”.

44/45 discussioni

UN GATTO IN THE SKY

di PEDRO ARMOCIDA

Panoramica sulla questione che vede Sky rispettare, appena sul filo del rasoio, la “finestra” dei 105 giorni tra l’uscita in sala e la messa in onda tv di un film, con la complicità del gruppo Vision: dibattito tra tutela della prima visione e soddisfazione popolare domestica, nei pareri di Nicola Maccanico, Mario Lorini e Lorenzo Ferrari Ardicini.

voci - discussioni ne, è stata di un’eccessiva enfa- tizzazione, una sorta di ravvicina- mento tra l’uscita in sala e la messa in onda televisiva della piattafor- ma Sky Italia che, insieme a cinque tra le maggiori case di produzione sviluppi positivi ma a questo punto indipendenti italiane - Cattleya, bisognerebbe iniziare a parlare del- Wildside, Lucisano Media Group, le ‘window’ di tutta la filiera”. Una Palomar e Indiana Production - ha posizione questa completamente dato vita, nel dicembre 2016, a Vi- opposta a quella degli esercenti, “A pochi mesi dall’uscita nelle sale sion Distribution. “Non c’è nessu- ma che si basa anche su dati reali cinematografiche, Sky Cinema na volontà di accorciare la finestra qualche riserva sull’operazione: come quelli del fenomeno della presenta in prima tv Come un gatto theatrical - scandisce bene Nicola “Non c’è una posizione positiva cosiddetta pirateria. Proprio nel lu- in tangenziale, il film diretto da Ric- Maccanico amministratore de- rispetto a questo atteggiamento, glio scorso la Fapav (Federazione cardo Milani prodotto da Wildside legato di Vision - anche se si tratta bisogna rimarcare che l’esperienza per la tutela dei contenuti audiovi- con Vision Distribution in colla- di regole non scritte non è nostra in sala è primaria e va mantenuta al sivi e multimediali) ha pubblicato borazione con Sky Cinema, lunedì intenzione mettere in discussione primo posto. Sono state ribaltate le un importante sondaggio di Ipsos 16 aprile dalle 21.15 su Sky Cinema la finestra dei 105 giorni che pro- cronologie rispetto a tutto quello sullo stato attuale del fenomeno in Uno HD e disponibile anche su teggono il passaggio in sala. Gra- che c’è dopo, sono stati invertiti i Italia: “Dai dati più recenti - conti- Sky On Demand”. Questo l’inizio zie a Sky vogliamo valorizzare al tempi rispetto all’home video. In nua Ferrari Ardicini - risulta che la del comunicato stampa di Sky che massimo il prodotto italiano con una nota di qualche mese fa Anec pirateria nel 2017 ha inciso per 500 annunciava appunto l’uscita di- questo tipo di accesso al pubblico ha ribadito di non inficiare, anche milioni di Euro di mancati introiti rettamente sul suo canale cinema per renderlo più popolare. Secon- da un punto di vista della comu- per l’home video che, lo ricordo, - quindi non nella formula tradi- do noi può avere un effetto molto nicazione, l’esperienza in sala. Vi- ha un mercato complessivo di 340 zionale per le grandi anteprime pay importante per il cinema italiano”. sion si è dimostrata disponibile”. milioni. Per combattere la pirateria per view di Primafila - del film ita- Fatto sta che Sky nei mesi scorsi ha Proprio come conferma Nicola sarebbe necessario lavorare tutti liano campione di incassi dell’ulti- ripetuto l’operazione per altri due Maccanico: “Ci sono state lunghe insieme sulla finestra theatrical. ma stagione cinematografica, ap- titoli, solo del listino Vision, Sono discussioni e li ringrazio per que- Perché se l’home video, che è la prodato sul grande schermo sotto tornato di Luca Miniero, uscito nel- sto. Ho spiegato il senso delle no- prima linea dopo la sala, non se la le festività natalizie, il 28 dicembre le sale l’1 febbraio 2018 e passato su stre scelte. Loro sono stati molto passa bene, anche gli altri sfrutta- 2017 per l’esattezza. Un’uscita che Sky Cinema Uno HD il 21 maggio, e attenti e impegnati a difendere le menti non stanno molto meglio”. salta a piè pari lo sfruttamento do- La casa di famiglia di Augusto For- proprie ragioni ma, alla fine, il no- Nel frattempo, a scompaginare un mestico, quello dell’home video, nari, mandato in onda il 21 marzo stro interesse è collegato al loro po’ questi discorsi, c’è stata la no- ma che rispetta numericamente i e uscito sul grande schermo il 16 interesse”. Infatti Anec, anche con tizia della nuova uscita nelle sale tradizionali 105 giorni di distanza novembre 2017. la nuova presidenza, non è chiusa in estate di Un gatto in tangenziale. tra la prima proiezione di un film Mario Lorini, neopresidente a riccio: “Nessuno di noi va con- Perché quando il film è forte, an- sul grande schermo e il suo succes- dell’Anec, l’associazione degli tro chi entra nel mercato, nessuno che se esce dalla porta, può sempre sivo sfruttamento commerciale esercenti cinematografici, esprime mette in discussione le esperienze rientrare dalla “finestra”… fuori dalle sale cinematografiche, successive dei film che non vanno la cosiddetta “Window Cinema”. demonizzate, però l’importante è In contemporanea anche TIMVI- rimanere dentro i canoni fonda- SION annunciava che “per la pri- mentali e difendere sempre l’im- ma volta i film saranno disponibili printing della visione in sala”. con grande anticipo, a partire dal Ma, sulle “finestre” distributive, il quarto mese dopo l’uscita nelle presidente di Univideo che si oc- sale” e ovviamente il primo ap- cupa dell’home video, Lorenzo puntamento è stato il 16 aprile con Ferrari Ardicini, ha una posizio- Come un gatto in tangenziale. ne molto aperta: “È giusto che ven- L’impressione però che molti os- gano riviste in funzione dei bisogni servatori hanno avuto, anche nel dei consumatori. La politica di Vi- tipo di lancio della comunicazio- sion, sicuramente per loro, ottiene

46/47 punti di vista

IL NUOVO PENSIERO CRITICO ITALIANO di JENNIFER MALVEZZI

L’intera comunità scientifica uni- Casetti che ha chiuso i lavori in versitaria e molti cinefili curiosi bellezza, definendo la critica si sono riuniti a Parma per parte- come atto d’amore. Ma il Conve- cipare al convegno “Il pensiero gno di Parma è stata anche l’oc- critico italiano. Scrivere di cinema casione per i padroni di casa per dal dopoguerra al web” organizza- dati, due sessioni parallele rispet- presentare gli esiti di un ampio to dall’ateneo locale e curato da tivamente dedicate ai video essay progetto triennale. e a televisione e web, nuove forme Michele Guerra e Sara Martin. Noto, che hanno proposto un Nel 2015 infatti il Ministero dell’I- Negli ultimi anni l’attenzione mediali che hanno riconfigurato struzione, dell’Università e della la figura del critico e modificato il affondo sui rapporti di reciproca sempre crescente alla nostra influenza tra critica e produzione Ricerca ha deciso di finanziare il tradizione cinematografica ha comportamento dei fruitori, inne- progetto SIR (Scientific Indepen- scando pratiche di fidelizzazione cinematografica. riaperto un cantiere di studi sul Nondimeno sono emerse letture dence of Young Researchers) dal pensiero critico italiano, nel qua- e autorevolezza inedite, una ricca titolo “Italian Film Criticism in tornata che si è conclusa con l’in- dedicate al contributo dato da le molti giovani studiosi stanno figure, categorie o generi spesso Post-war Cultural and Popular Pe- costruendo, mattone su mattone, tervento di Roy Menarini che qui riodicals (1945-1955)” coordinato ha anche presentato il suo nuovo trascurati in passato: differenti il loro percorso di ricerca. Il dato sessioni sono state dedicate ai da Michele Guerra. Per tre anni un anagrafico non è secondario poi- libro Il discorso e lo sguardo. Forme team di ricerca composto da stu- della critica e pratiche della cinefilia. cineamatori, alla critica femmi- ché segno dell’attualità del tema, nile, ma anche ai vivaci dibatti diosi di cinema e informatici ha ma non sono mancati neppure gli Ma il digital turn ha favorito an- quindi lavorato per “riportare alla che un lavoro “di scavo” e digi- sul cinema nelle riviste d’arte, interventi degli esperti. Roberto industriali e addirittura… di cuci- luce” una serie di contributi sul ci- De Gaetano ha aperto il convengo talizzazione nelle biblioteche nema all’interno di periodici cul- e negli archivi, inimmaginabile na! In merito a questo dualismo con un discorso sulla forma criti- conflittuale tra il cinema inte- turali e popolari di diversi ambiti ca intesa come azione che confor- soltanto pochi anni fa. All’analisi disciplinari che confluiranno en- delle riviste di settore al momen- so come arte o, di contro, come ma il pensiero, speech che ha sim- strumento di servizio al reale al tro la fine dell’anno in un database bolicamente introdotto al panel to stanno lavorando diversi grup- open access, dove chiunque potrà pi di ricerca, tra i quali il team convegno è stato presentato an- sui rapporti tra teoria e critica e a che il nuovo volume di Marco consultare, attraverso un intuitivo quello di carattere monografico vincitore del PRIN (Progetti di sistema di indicizzazione per tag, Rilevante Interesse Nazionale) Bertozzi Documentario come arte. sull’autore come critico. A fare da Le tre giornate sono servite alla migliaia di articoli in formato pdf contraltare a questi temi consoli- “Comizi d’Amore”, che al con- per scopi di studio, per amore del vegno ha presentato l’intervento comunità scientifica per fare il punto sullo stato degli studi a li- vintage o per curiosità. che ha aperto la sessione dedica- “Culture del Film”, questo il ta, appunto, alle riviste. Appro- vello nazionale e internazionale: sono infatti intervenuti relatori nome del database, permetterà fondimenti sulla stampa specia- di “toccare con mano” la pervasi- lizzata sono stati curati anche da provenienti da diversi atenei sta- tunitensi, tra i quali Francesco vità del discorso cinematografico Emiliano Morreale che ha parlato in un periodo cruciale per l’Italia di “archeologia del popolare” e quanto per il cinema stesso. Il fer- da Francesco Di Chiara e Paolo vore di un’epoca segnata tanto dal

voci - punti di vista divismo quanto dalle riflessioni sul mezzo e sulle sue potenzialità attraversa la cultura italiana tut- ta, senza distinzione tra “alta” e “bassa”, investendo sia le riviste d’arte (Arti Visive, AZ, SeleArte, Emporium, Mercurio) che quelle di architettura (Domus, Architet- tura. Cronache e storia, Spazio, Stile), tanto i rotocalchi femmi- nili (Annabella, Bellezza, Grazia, Novità) quanto i periodici di po- litica e attualità (Il Politecnico, Rinascita, Società, Il calendario del Popolo, La cultura sovietica, Epoca), senza tralasciare le rivi- ste letterarie e teatrali (Il dram- ma, Sipario, Drammaturgia, Te- atro d’oggi, Arena, La Lapa) o le pubblicazioni industriali e di arti applicate (Edilizia Moderna, Fer- rania, Mani di Fata). “Culture del Film” permetterà così di ripensare alla tradizione del pensiero critico italiano, ri- considerandone il ruolo, l’impat- to e le funzioni all’interno di un più ampio discorso sul cinema e sui suoi destini nel dibattito cul- turale contemporaneo.

48/49 BEETHOVEN E LA VIRTUAL REALITY di CARLO CRESTO-DINA

Che serata il 23 giugno di quest’anno a Bologna! La Fondazione Cinete- che cosa significa un’inquadratura e soprattutto che un’immagine può ca di Bologna ha invitato Martin Scorsese perché conversasse con quat- essere letta e capita”, come dire che non importa insegnare l’opera li- tro registe e registi italiani di cinema: Matteo Garrone, Valeria Golino, rica nelle scuole, importa insegnare il senso della musica nella nostra Jonas Carpignano e Alice Rohrwacher. esistenza. Ha aggiunto che l’alfabetizzazione visiva è tanto più urgente Teatro Comunale strapieno, risse telefoniche per avere un invito, per- oggi con la regressione delle immagini a flusso ininterrotto. Ovviamen- sonalità da tutto il mondo, perfetta organizzazione e poi grande calore, te gli hanno chiesto della controversia digitale/pellicola e lui ha spiegato emozione, applausi in piedi, “martin-scorsese-è-uno-di-noi”, insomma i perché della pellicola guardandosi complice con i suoi colleghi sul pal- il coronamento perfetto per la 32esima edizione de “Il Cinema Ritrova- co, ma poi ha detto che l’ultimo film l’ha girato tre quarti in pellicola e un to”, Festival che ogni anno dimostra come la Cineteca di Bologna - oltre quarto in digitale, e che tante volte usa il digitale perché se deve girare 100 dipendenti tra Fondazione e laboratorio di restauro - sia oggi, con di notte in esterni servono meno luci e risparmia. Ha detto: “la mia ge- la Mostra di Venezia, i broadcaster e il MiBAC, a livello mondiale tra le nerazione ha diritto di lamentare la fine del cinema in sala ma in questo poche importanti istituzioni di cinema italiane. E anche una delle più momento sta nascendo altro, abbiamo avuto 100 anni di cinema e ora grandi media company nel nostro Paese. Occupandosi solo ed unica- forse stanno iniziando 100 anni di qualcosa che sarà diverso”. E ha fatto mente di cinema d’autore di provata qualità. Provateci voi. un gesto con le braccia indicando i registi attorno a lui e ha proseguito: La sera del 23 giugno è stata memorabile, come quelle cene calorose che “E questo ‘qualcos’altro’ siete voi! Io sono il passato.” ancora il giorno dopo viene voglia di telefonarsi e continuare il discorso. E su questo ha fatto un esempio: ormai sappiamo, dice Scorsese, che i Giornali, televisioni e poi tutto il gracidante mondo dei media fai-da- drammi di Shakespeare erano scritti per essere rappresentati in modo te, hanno riportato e amplificato le appassionate parole di Scorsese in molto diverso da oggi; il famoso monologo “to be or not to be”, ha spiega- difesa del cinema goduto in sala, “the collective film going experience” per to, veniva spesso recitato passando in mezzo al pubblico, rivolgendo di- lui piena di memorie “vado al cinema dal 1944”, componente sostanziale rettamente agli spettatori le domande angosciose che scuotono Ham- e generativa di ciò che è stato il cinema nel XX secolo, così come l’abbia- let, quasi raccogliendo le loro reazioni. Se Shakespeare attraversasse i mo conosciuto e amato. secoli e si sedesse in uno dei nostri compassati teatri con Amleto in nero “Dobbiamo far vergognare chi non aiuta e finanzia il cinema in sala”, ha nel cono di luce, dentro uno spazio vuoto e buio, salterebbe in piedi ur- detto Scorsese mentre i nostri quattro autori annuivano largamente e lando: “Ma che cos’è? Mica l’ho scritta così io!!”. il pubblico fragorosamente approvava. Se non che, riprendendo il mi- E ha aggiunto: “ogni generazione ha diritto di fruire l’arte nei modi che crofono e chiedendo un po’ più di tempo per articolare il suo pensiero, vuole, il problema è l’arte, il suo valore, il problema è se in questo mo- Scorsese ha aggiunto un paio di cose che non ho visto riportate altrove, mento c’è un Beethoven che sta facendo virtual reality”. Tra le tante, magari mi sbaglio. bellissime cose che Scorsese ha detto, immagini di strada all’East Villa- Scorsese ha detto (sintesi mie): “se sappiamo difenderla l’esperienza ge, lampadine accese nei corridoi di condomini scuri, i film di John Ford del cinema non scomparirà, il problema è trovare come convivere con nello splendore del Cinemascope, l’incontro con il realismo italiano, mi altri modi di fruire il racconto videografico”, come per dire che questa pare sia importante ricordare questa proiezione al futuro, la speranza convivenza deve diventare ricchezza. Gli hanno chiesto: “Ma allora che già oggi esista un “Beethoven che fa VR” m’è restata in mente. Mi bisogna insegnare cinema nelle scuole?” e lui ha risposto: “la nostra sembra che se c’è un senso al nostro, faticoso ma comunque fortunato, fondazione investe in programmi di alfabetizzazione visiva, insegnare lavoro è proprio nel cercare il Beethoven della VR.

voci - punti di vista 50/51 voci - inchieste non ci sono più i cinema di una volta? Sì, ce ne sono di nuovi. rewind

RACCONTI DI CINEMA REPRINT ANNIVERSARI

54 La città delle donne 56 Un deserto di colori 58 A 50 anni da La smorfia amorfa in un mondo pazzo C’era una volta il West e lo scafandro quattro volte di Silvio Danese di Gianni Toti da “Giovane critica”, ottobre-novembre 1964 di Andrea Mariani 59 Quando la leggenda diventa realtà, vince la leggenda di Claver Salizzato

52/53 racconti di cinema

LA CITTÀ DELLE DONNE LA SMORFIA AMORFA E LO SCAFANDRO

di SILVIO DANESE

rewind - racconti di cinema Un giorno mi rendo conto che sto sul litorale, indagini, confessione, do, superficie e specchio dell’altro cielo. Un’ambigua logica mi fa no- accumulando una strana cartel- processo, difesa, sentenze. Ma è tare la speciale condizione di passeggiatore subacqueo senza pesi, ed è letta di ritagli. Arianna, paladina un’altra storia. Il punto è questo: a questo punto, mi sembra, che mi accorgo di essere nudo. Sentendo il social anti violenze, è morta stran- Dino, il suo corpo spintonato dal- nudo sento il freddo. Sul ventre, sulle cosce, sul sesso. Tra i piedi, anzi golata dall’ex. A Iglesias, Federica le correnti dei fondali, il Global di fianco, mi segue un tubo biscioso attaccato a me, alle mie spalle, pro- è stata sgozzata dal marito davanti Fillet sarcastica prova d’affetto venienza lontana, da qualche parte del fondo infinito, e il mio respiro ai tre figli. A Treviso, Irina 21enne sporgente, il silenzio navigante là prende a rimbombare intorno alla faccia, ma lento, tranquillo come incinta va in tomba perché non sotto. Il punto è il sogno che ho prima però chiuso, ufff, pausa, fffu, pausa, ufff pausa, fffu pausa, e non voleva abortire. A Palermo, Lidia fatto io, l’altra notte – dico l’al- sono più nudo, cioè sono nudo, ma in uno scafandro, così adesso che si fa fotografare cerotti e tumefa- tra notte, ma non so più quando, mi trovo ricoperto dal ferro stagno come i palombari corazzati di anti- zioni in apertura di pagina. Elena forse mesi, forse ogni notte di che avventure sottomarine non riesco più a vedere i miei piedi dal vetro Farina barista è stata lì lì, “Il mio tutto il tempo che ha preso que- tondo dell’elmo un po’ appannato, ma riesco a dare almeno un senso al ex mi ucciderà, stia in cella”, ma sto pensiero, perché, poi, quando peso delle gambe nell’armatura. E qui, da uno dei piccoli oblò laterali, lui esce regolare, arriva al bar, però sai con certezza che hai sognato altezza guancia, ore sette, compare, galleggiante da un sito archeologico la pistola s’inceppa, evviva. Anche e cosa sogni veramente? Avanzo di statue tristi e monche, prima un piede che avanza orizzontale, poi il Antonietta, che invece se ne va tra fettucce di alghe e limacce, fi- polpaccio e la gamba intera, due piedi, sono due gambe che precedono ben sparata dall’ex. Poi c’è Mari- bre e sterchi di legno galleggianti forse un corpo, due gambe infilate in un tessuto gonfio sfilacciato navi- lena, la promoter che se ne sta in nel pulviscolo intorno, come i ganti qui di fianco. Sfilandomi orizzontale di fianco nella semioscurità giardino sotto un po’ di terra get- popcorn degli astronauti. I piedi di me palombaro si presenta tutto intero. Galleggia avanti superando- tata dal vicino di casa, ma la testa affondano nella sabbia melmosa mi, lento più veloce, prima le gambe gonfie di un ripieno impensabile, al momento è in giro in qualche e sollevano torba fino alle ginoc- poi il ventre col calzone sfatto, il costato incamiciato col ferro triste di cassonetto. Le cartellette diven- chia. Sono pesante pesantissimo. vedetta e il volto concentrato nel letargo, bianco tetro nei panni sman- tano due. Poi tre. E viene fuori la Mi muovo su questa broda cene- giati, le palpebre funebri. Ehi. Ma non parlo. Dico ancora: Ehi. Ma non storia di Stefania. Ma qui, come re, nel bagno d’acqua verdastra sto parlando, ci tengo alla vita, non mi faccio fregare dall’acqua in bocca. faccio a riassumere? Lei e Dino, che mi schiaccia e mi copre non Parlo nella mente, e lui rallenta. Galleggia steso, comodo e immobile. borghesia di media imprenditoria, so quanto sopra di me. Dal mon- Rallenta. Mi sente, lui mi sente, sente le parole oltre lo scafandro di fer- l’amore al bowling e fuga nella vita do di terra il buio riceve baglio- ro mentre avanzo, un passo nella melma che esplode a rallentatore, un davanti, due figli, 20 anni di matri- ri lenti che solcano un cielo di altro passo nel pulviscolo. Avanziamo insieme, io dritto pesante d’uma- monio. E puntuali, rituali, botte. plastica opaca lassù. Respiro. Sì, no, lui sdraiato leggero di morte. Nell’opaca trasparenza passeggiamo Poi il coraggio: Stefania si separa. pazzesco, respiro normale. Vengo sotto il cielo d’acqua verso una meta che s’allontana, lo spazio limitato Entra nella sua vita l’informatico dall’angoscia di un’apnea senza di liquido verdastro che si apre mentre si chiude dietro nel buio peren- Roberto. Una sera, nella nuova speranza. Se tiro dentro liquido ne. Andiamo insieme, in cauta distanza. Abbiamo tanta strada davanti, mansarda di Stefania, invita Dino nei polmoni muoio. E invece: re- qui sotto, e andiamo, tanto tempo davanti, tanto. per una cena con orata al sale. La spiro! Sono, non sorpreso, ma in- questione è un’ambigua assicura- credulo, anzi illuminato dal mira- zione per i figli, e lei scoppia e lo colo della inspirazione. Porta aria informa: niente è più come prima. bella, gonfia, invece che acqua. Dino non fa una piega, incassa gli Respiro, ma perché è un sogno, insulti, occhi di ghiaccio che non certo, e nei sogni si respira anche si leggono dal burqa delle mani in- sott’acqua, e me lo ripeto mentre crociate sulla faccia. In due passi avanzo sentendomi dormire. Pos- e mezzo giro del tavolo rotondo è so continuare a vivere, ok, quindi sulla gola di Stefania. Quante altre procedo accolto dal fango soffice volte. Questa è diversa. Quan- che si solleva e sfuma dal basso, do Stefania è alla fine, la smorfia e avanti a piombo, ora cercando amorfa per rilascio dei muscoli di intravedere qualcosa nella tra- sopraffatti da assenza di sangue, sparenza notturna di una semio- luminoso abbandono delle resi- scurità opprimente. Sto cercando stenze nel cervello per soffoca- qualcosa che la mia voce vorrebbe mento, la mano trova quello che pronunciare e non riesce. Se par- cercava, e Dino si becca sotto l’a- li, la norma decade. Se apri, per scella il Global Fillet G 18 Flexible dire, la bocca si riempie e soffochi Knife 24 per pulire l’orata, poi nel strozzato. Cammino sul fondo e fianco, nella pancia, nelle brac- resto vivo nel magico equilibrio cia, 19 volte, e il Global finisce a di silenzio e respiro. Non c’è ver- bandiera nel costato. Penso: una so di vedere più in là di qualche che ce l’ha fatta. Lago di sangue. metro nel plasma torbato dove, E lago d’Orta, dove Dino scivola mi accorgo, non passa neanche cadavere da un tappeto, con l’aiu- un pesce, accidenti non c’è nien- to di Roberto, per cancellare una te che nuota, niente di vivo, una vita e pretendere quella nuova. qualsiasi prova dell’umanità che Poi c’è il resto, il corpo riemerso sta sopra, oltre il mio cielo liqui-

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Un deserto di colori in un mondo pazzo quattro volte di Gianni Toti da “Giovane critica”, ottobre-novembre 1964, 5, p. 14-20

Giornalista siciliano, poeta (an- snobismo che lo ha sempre carat- citamente “sono più di trent’anni che cinematografico) e intellet- terizzato, ma che è pure stato il che il processo di spoetizzazione tuale eclettico e raffinato, Gian- propulsore di imprese ardite e lo- del cinema continua”…è presto ni Toti interviene con un lungo devoli – dà fin da subito alla rivista per Pasolini, e dunque il pensiero pezzo dalla sensibilità estetica un taglio e una caratura nazionale, torna chiaramente al cinema e alla spiccata, su un numero della rivi- raccogliendo nella sua abitazione teoria di Ėjzenštejn, Dovzhenko, sta “Giovane Critica”, una testata catanese i pezzi di giovani firme Vertov, “erano allora i rappresen- che merita una presentazione di prestigio della critica cinema- tanti riconosciuti della tendenza e qualche contestualizzazione. tografica nazionale, ma anche in- poetica del cinema […] Ma dove Su “Reprint” abbiamo già avuto tellettuali di grande peso, siciliani sono andate a finire oggi quelle modo in passato di ospitare con- e nazionali. “Giovane critica” si appassionate polemiche, dove tributi provenienti dalle pagine stava preparando a diventare, con è andato a soffiare quello spirito di fogli o riviste giovanili, se non lo scaldarsi della temperatura po- ribelle contro ogni arte ‘piatta e proprio universitarie: lo abbia- litica dopo il 1966, una delle riviste protocollare’, contro il cinema mo fatto con “Centrofilm”, una di punta della cultura politica gio- d’appendice, contro il cinema testata importante proveniente vanile degli Anni ‘60 e ‘70, facen- delle ‘messe in scena’, delle ‘tra- dall’esperienza dei CUC, ovvero do il paio con “I quaderni piacen- duzioni visuali’?”. Va tenuto conto i Centri Universitari Cinemato- tini” e “I quaderni rossi”… ma fino del fatto che il dibattito sul cine- grafici. “Giovane critica” è un al 1965 “Giovane critica” conserva ma e la teoria del cinema sovieti- caso molto simile a “Centrofilm”, un baricentro per lo più cinema- ci – spunto qui per una polemica eppure profondamente autono- tografico e di alto livello: le firme inevitabilmente anti-capitalistica mo e originale nel quadro della sono di Mino Argentieri, Adelio – prendevano forza da un’impor- pubblicistica cinematografica Ferrero, Lorenzo Pellizzari, Gior- tante retrospettiva che si era chiu- giovanile degli Anni ‘50 e ‘60. La gio Tinazzi, Pio Baldelli, i registi sa poche settimane prima alla rivista nasce nel dicembre 1963 Giuseppe Ferrara e Gianni Amelio Mostra di Venezia, e che Adelio

per iniziativa di un giovane Giam- e tanti altri… Gianni Toti è tra gli Ferrero aveva discusso proprio su MARIANI ANDREA piero Mughini, nella Catania nei intellettuali di maggior peso nella “Giovane critica” nel numero pre- primi Anni ‘60, così spesso rac- Sicilia di quei tempi, già direttore cedente a quello che stiamo trat- di contata dal giornalista nei suoi de “Il lavoro”, firma de “l’Unità”, tando. E lo spunto è occasione per libri autobiografici. Il CUC nasce “Via Nuove”, “Paese Sera”, futu- una polemica, seppure elegante, a Catania qualche anno prima, ro pioniere della “videopoesia”, con l’Antonioni di Il deserto rosso ma il passaggio del decennio tra i e sul finire del decennio collabo- e il potere metaforico dell’uso del Cinquanta e i Sessanta vede un in- ratore di Cesare Zavattini ai “Ci- colore che il regista ferrarese fa cremento esponenziale delle im- negiornali liberi”, che raccolsero nel suo film. “Qualcuno si illude”, matricolazioni e un innalzamento molti dei registi più impegnati del scrive Toti, che “basti qualche progressivo dell’alfabetizzazione giovane cinema italiano. Il gior- poeta del cinema a ricondurre lo a livello nazionale, con la nuova nalista e poeta imposta subito la schermo da quel suo ‘sospetto Riforma scolastica da poco en- riflessione sul piano dei rapporti biancore’ all’incandescenza della trata in vigore. Il CUC di Catania tra cinema e poesia: “Il cinema creatività artistica, ma non è nep- si ritrova ad essere il più impor- sembra aver rinunciato, ormai, pure una illusione riformistica, tante centro culturale della città alla metafora, cioè alle figure, ai è una illusione semplice e tota- siciliana: da qui l’idea di fondare tropi, ai procedimenti innovativi le”. E da lì si lancia in una preca- un organo culturale che ne fosse del linguaggio-pensiero, alle for- ria dimostrazione della fragilità l’emanazione. Il giovane Mughini, mule di stile, alle variazioni se- simbolica (ma anche ontologica, temendo di rimanere imbrigliato mantiche. Al cinema niente è più filosofica) della strategia croma- in un’impresa dal respiro corto e ‘come’ o ‘come se’, ma ogni cosa tica introdotta da Antonioni, sulla provinciale – con quel particolare è quello che è” e ancora più espli- quale lasciamo il lettore.

rewind - reprint IN QUESTO NUMERO UN ARTICOLO ESTRATTO DALLA RIVISTA “GIOVANE CRITICA” 1964

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a 50 anni da C’ERA UNA VOLTA IL WEST

Le foto della sezione ‘Anniversari’ sono state gentilmente concesse dall’archivio fotografico © Si ringraziano Dott. Gabriele Antinolfi, Direttore CN; Dott.ssa Viridiana Rotondi, Responsabile Archivio fotografico della CN; Dott. Alessandro Andreini, ricerca e elaborazione immagini Archivio fotografico della CN.

rewind - anniversari a 50 anni da C’era una volta il West QUANDO LA LEGGENDA DIVENTA REALTÀ, VINCE LA LEGGENDA di CLAVER SALIZZATO

Quando Sergio Leone, nei primi Anni ’60, si trasferì negli USA alla fortunosa ricerca dell’interprete giusto per il suo Pugno di dollari e s’imbatté in un ancora impac- ciato ed imberbe Clint Eastwood, non avrebbe mai immaginato che, dopo nemmeno un lustro da allo- ra, si sarebbe trovato a dirigere dei veri macigni di Hollywood come Henry Fonda, Jason Robards, Charles Bronson. Non si sarebbe mai nemmeno immaginato che alla sua corte avrebbero avuto ac- cesso due fra i cineasti italiani più promettenti dell’epoca come Ber- nardo Bertolucci e Dario Argen- to, destinati, per strade del tutto differenti, ma di egual valore, a segnarne profondamente i per- corsi futuri. Per dar vita e respiro all’impalcatura ideale e pratica, ovverosia al soggetto, di C’era una volta il West. Classe 1968. Leone proviene, in quella fase della sua carriera, dai fasti e dal clamore della cosiddetta “Trilo- gia del Dollaro” (Per un pugno di dollari, Per qualche dollaro in più, Il buono, il brutto, il cattivo) che ha appena finito di incassare com- plessivamente nelle sale del Bel Paese lo sproposito di circa dieci Claudia Cardinale durante una pausa di C’era una volta il West di Sergio Leone, 1968. miliardi della vecchia moneta Foto di Angelo Frontoni. ©Archivio fotografico della Cineteca Nazionale - Museo del Cinema di Torino nostrana, dando nel contempo la stura alla fortunatissima e get- tonatissima stagione del italian style, o “” nella sua accezione più dispregia- tiva e colorita, e sta per darne alle Charles Bronson sul set di C’era una volta il West stampe una versione mastodonti- di Sergio Leone, 1968. Foto di Pierluigi Praturlon. ca e terminale, come quando i Be- ©Archivio fotografico della Cineteca Nazionale

58/59 to ad una favola che, come tutte quelle che si rispettano, non ha alcuna dimensione in un doma- ni, ma soltanto nell’hic et nunc del racconto presente, bastevole a se stesso, secondo il postulato che l’Eroe e le sue imprese non invec- chiano mai. È la favola di un West popolato da figure senza tempo (appunto) che incarnano solo la rappresen- tazione mitologica di una Storia: un uomo che nessuno conosce, Armonica, sbarca un giorno da un treno per cercare e poi affrontare, in un gunfight a morte, un efferato pistolero, Frank, che in un remoto passato gli ha ucciso, dopo una lunga scia di sangue, il fratello, costringendolo a morire su una forca improvvisata (particolare non indifferente, poi rivelato in un flashback finale: essendo co- stretto egli stesso a sorreggere il fratello in piedi sulle sue spalle, cadendo per l’insopportabilità del peso sul suo corpo da ragaz- zino adolescente, diventa esecu- tore materiale della condanna). Dentro questo meccanismo che appartiene ai fondamentali del “genere”, fin dal capostipite Om- bre rosse di Ford (anche là Ringo, l’eroe-non-eroe, torna da qualche parte per vendicarsi di un torto su- bito e riportare ordine e pace dove c’era solo caos), Leone e Sergio Donati, suo fedele sceneggiatore, Lionel Stander in C’era una volta il West di Sergio Leone, 1968. atles avevano cantato per l’ultima incastonano, come una gemma in Foto di Angelo Frontoni. ©Archivio fotografico della Cineteca volta insieme sul tetto del palazzo un gioiello, il personaggio femmi- Nazionale - Museo del Cinema di Torino della Apple Records nel centro nile (massima eresia per un film di Londra, All You Need Is Love. western) di Jill, una Penelope/ Mastodontica, nel senso di kolos- Andromaca/Medea/Baccante e sal(e), perché stavolta a produrre chi più ne ha ne metta, da teatro è una major come la Paramount, classico greco, intorno alla qua- sia pure affiancata dalla neonata le ruoterà l’intera vicenda (altra compagnia leoniana Rafran (dai massima eresia) della Nascita di nomi dei figli del regista, Raffaella, una Nazione (Sweetwater), con Francesca e Andrea). Terminale, tutte le sue bassezze e grandiosità, perché quel C’era una volta... del portate dalla Ferrovia e dalla Ci- titolo sta proprio a significare che viltà, che spazzeranno una razza e qui si tratta di qualcosa che è lega- ne insedieranno una nuova.

Claudia Cardinale durante una pausa di C’era una volta il West di Sergio Leone, 1968. Foto di Angelo Frontoni. ©Archivio fotografico della Cineteca Nazionale - Museo del Cinema di Torino

rewind - anniversari a 50 anni da C’era una volta il West imprescindibile saggio Evoluzione tutte le Praterie, le Diligenze, le del western contenuto nella pre- Cavallerie, le Valli Monumentali, ziosa raccolta di scritti Che cosa le Sparatorie, divenute famose è il cinema? del 1958 – fa risalire in ogni angolo del pianeta sotto tale mutazione soprattutto a titoli la definizione di Frontiera. Nel quali Mezzogiorno di fuoco (High ’62, difatti, con L’uomo che uccise Noon, di Fred Zinnemann) e Il ca- Liberty Valance (nel cui cast, va valiere della valle solitaria (Shane, cerchiato in rosso, compare un di George Stevens), fra il 1952 e ’53 certo Lee Van Cleef), l’ “uomo LA LETTURA (vanno sottolineate, per amor del che diede vita al Western”, inteso vero, le date e le identità dei registi come storytelling della Nazione IPERBOLICA che, con l’argomento, c’entrano americana, decide di sparigliare le poco o nulla). Una metamor- carte e fa pronunciare ad uno dei DI UN ORIUNDO fosi kafkiana che Bazin chiama suoi personaggi (Maxwell Scott, “sur-western”, l’inizio della fine il direttore del giornale “Shinbo- APOLIDE di un’epopea ed insieme la sua più ne Star”), alla fine del film, con alta espressione poetica. Ma l’au- una sudicia e cadente diligenza tentica pietra miliare, la “madre dietro di sé, marchio di fabbrica di tutte le battaglie” che verranno dell’officina fordiana, le fatidiche combattute su questo fronte e che parole: “Qui siamo nel West, dove porteranno fin sulle estreme rive se la leggenda diventa realtà, vince Nessun regista americano, diret- West (prima uscita in sala il 21 di- della Camelot leoniana, quando la leggenda”. Mentre il protagoni- tamente coinvolto in una faccen- cembre 1968, anno fatidico di rivo- il grande critico francese stila le sta, Tom Doniphon/, da così intima e connotata alle luzioni, sugli schermi e fuori, con sue valorose note non è neanche giace in una bara di quattro scon- origini della propria Terra, avreb- un incasso complessivo di circa all’orizzonte e non se la può nem- nesse assi di legno, là vicino, il suo be mai potuto darne una lettura due miliardi e mezzo di Lire), è ne- meno lontanamente immaginare. antagonista, Ransom Stoddard/Ja- tanto straniante e tanto iperboli- cessario, utile e opportuno fare un Anche perché, oltre ad una que- mes Stewart non può far altro che ca, sommamente iperrealistica. passo indietro sui Sentieri Selvaggi stione di tempi (quando il fat- officiarne le esequie come si con- Solo un “oriundo” apolide che e polverosi del genere più antico taccio avviene siamo ormai fuori viene, rievocandone la vita, e tutto avesse accostato quelle origini (The Great Train Robbery, di Edwin dagli Anni ’50, nel promettente questo plot si può condensare in un non attraverso la vita vissuta, ma S. Porter, con la colt che spara al 1962), c’è pure che il suo demiur- unico assunto, allegorico: il West... la mitologia raccontata ed appre- pubblico in platea, origine della go è proprio colui che il “modello” ern è morto, viva il West...ern! sa da voci straniere, poteva am- specie, risale al 1903) e codificato di cui sopra l’ha tenuto a battesi- Ford stila l’atto di nascita e redige il bire a dipingere un affresco così di Hollywood e dintorni. mo, comunicato e cresimato in certificato di morte del mestiere più allegorico e paradigmatico di un Quando il figlio di Roberto Ro- circa mezzo secolo di storia. Si vecchio del mondo, il Westerner. intero evo, della Storia e del Cine- berti (“direttore” per eccellenza tratta, nientepopodimeno, che di Apres lui, le déluge. ma. La potenza, poi, della rappre- della divina Francesca Bertini, Lui, John Ford, il padreterno di sentazione e della messinscena vamp del Muto), Bob Robertson, leoniane, apprese e assimilate, e al secolo (purtroppo ormai pre- quindi riproposte a modo proprio maturamente trapassato) Sergio (le inquadrature in panfocus, l’uso Leone, mette in scena il primo degli obiettivi fotografici a focale atto della sua personalissima Pa- lunga, l’utilizzo del ralenty, il gusto storale Americana, che verrà poi per i particolari e i dettagli, la pre- sbrigativamente e abbastanza dilezione per lo schermo panora- pedestremente derubricata, da mico, il piacere del travelling come una critica sciatta e, come spesso mezzo narrativo), dalla grande accade anche oggidì, vanaglo- lezione americana degli Anni ’50 riosa, con la locuzione “Trilogia della Hollywood sul Tevere (tutto del West” o, più a proposito, “del già contenuto nella meravigliosa Tempo” (con C’era una volta in sequenza della corsa delle bighe Messico/Giù la testa e C’era una in Ben Hur di William Wyler, una volta in America), il “modello” lezione che Leone non poteva mai Western, hollywoodiano ed euro- dimenticare), fa del film l’apoteosi peo (soprattutto italiano), ne ha di un modo quasi “Divino”, alla De viste tante di cose che “voi umani Mille/Occhio di Dio, di concepire non potete neanche immagina- l’arte cinematografica. re”, da tramutarsi in una sorta di Ma per ricordare degnamente e residuato bellico, di rara avis più quindi celebrare, com’è giusto e difficile da scovare, che da imbal- doveroso, dopo cinquant’anni samare ad eterna memoria nella spaccati, un film epocale ed em- teca dorata di un Museo Egizio. blematico come C’era una volta il Qualcuno - André Bazin nel suo

60/61 docet, fra Yojimbo, Il trono di sangue e Ran) della cronaca e del IL CANTO DEL CIGNO Mito della Frontiera. La Leggenda fordiana all’ennesima potenza. Se Bazin non fosse mancato dieci anni esatti prima, certamente ne avrebbe annotato la contiguità e la consequenzialità ultimativa con Shane e High Noon, campioni terminali di un’Epos al tramonto. Come nel primo, i caratteri messi in campo da Leone nel suo tragi- co ritratto di un’Era, più fiabesca che cinematografica, non sono altro che “maschere” di un teatro di ombre cinesi in una fumeria d’oppio (magari quella che dà forma ai fantasmi di Noodles in C’era una volta in America) in cui Bene e Male, Ying e Yang, com- battono la loro sempiterna lotta circolare senza vinti né vincitori. I nomi stessi, Armonica, Cheyen- ne, Ciuf-ciuf (l’onomatopea con cui verrà definito il “padrone del- le ferriere” Mr Morton/Gabriele Ferzetti), Frank, Jill, testimonia- no la loro natura di marionet- te di una picaresca Commedia dell’Arte ambientata in un Ovest che non ha più ragione di esiste- re. E, come nel secondo, tutta la vicenda si incastona nell’osses- Claudia Cardinale e Charles Bronson sul set di C’era una volta il West di Sergio Leone, 1968. sione di un Tempo che trascorre Foto di Angelo Frontoni. ©Archivio fotografico della Cineteca Nazionale - Museo del Cinema di Torino inesorabile e ogni cosa porta via con sé. Il cerchio (e la circolarità, appunto) è infatti la figura geo- È a partire da questo momento, vaggio) l’importanza e la necessità, una sorta di imperativo morale dello metrica preminente, qui e in tutto da quelle parole sul valore della spettacolo, di narrarne, non tanto e non più, perché quel treno è oramai il cinema leoniano, qui portata al leggenda e della realtà, e sulle loro passato, gli atti mortali, ma le imprese immortali. La “ragion pura” del parossismo. Parossismo di orolo- interconnessioni e ricorrenze sto- Western, destinata a consumarne, via via, l’essenza, come un fuoco che gi d’ogni tipo e dimensione, e di riche, che si chiude l’era del genere consumi la vittima sull’altare dei sacrifici. Così impugna, non la colt che spazi nei quali inscenare le sfide come “racconto”, più o meno co- ci si sarebbe potuto aspettare da bambini, ma la cetra e, come un terri- all’Ok Corral. Il Tempo dei fla- lorito e folk, degli eventi insiti in un bile imperatore Nerone, compone versi e canti mentre Troia (o Roma) shback, il Tempo dilatato delle popolo e in una cultura, ed inizia brucia. Esametri epici su cavalieri senza nome (Per un pugno di dollari), attese, il Tempo accelerato, spez- quello, triste, solitaria y final, dell’ stranieri che tornano a Itaca, dopo aver attraversato “l’ira funesta che zato, quasi inavvertibile ad oc- “elegia” che trasfigura quel raccon- infiniti addusse lutti agli Achei” di Iliade e Odissea, per compiere il Fato chio umano per la sua fulminea to in Chanson de Geste omerica. (Per qualche dollaro in più), eroi ed antieroi guidati dai capricci degli Dei velocità, delle pistole che sputa- Leone, con la sua opera, che per (Il buono, il brutto, il cattivo), guerrieri che si rincorrono sulla rena, davanti no fuoco e morte. Il Temps perdu quanto riguarda l’argomento di alle Porte Scee, in cerca della loro Nemesi (C’era una volta il West). di proustiana ascendenza (“Cosa queste righe culmina nell’elegiaco È dunque a questo estremo (estremo in ogni senso, etico ed estetico) hai fatto in questi anni?” - chie- (appunto) canto del cigno di C’era film di Sergio Leone, regista italiano, intrinsecamente romano, che de Fat Moe a Noodles vecchio; una volta il West, è il primo esegeta cinquant’anni or sono ha più o meno l’età del Genere yankee per anto- “Sono andato a letto presto” - ri- mondiale della nuova dottrina del nomasia, nato con il cinema stesso, in quella stessa parte di California sponde lui) e mai più retrouvé. Il suo maestro John Ford, colui che, sotto la collina di Beverly Hills destinata a guidare in futuro e pratica- Tempo che John Ford ci metteva convenuto al capezzale del defun- mente nei secoli dei secoli che verranno le cinematografie dei conti- a fare un film e che Leone consu- to, comprende prima di altri (Sam nenti, che si deve attingere, cui si deve ogni volta tornare, per ammi- ma già tutto nel prologo del suo. Peckinpah, di lì a poco, dà alla luce rare il Monument da lui eretto sui resti di una gloriosa civiltà. C’era una Qui comanda non più il West, ma l’altro epigono, il suo Mucchio sel- volta il West è, nello stile e nella sostanza, la versione No (Kurosawa la sua Apocalisse.

rewind - anniversari a 50 anni da C’era una volta il West anche l’effetto di una generale vo- spettacolarizzazione del proprio, cazione per il racconto: l’America, ahinoi estinto, lignaggio e magi- “NON RICORDATEMI ai miei occhi, appare come una stero. Un po’ come, se si vuole lunga e crudele notte araba. Per usare la lingua delle immagini, COME UN FILOSOFO, questo il mio cinema è popolato l’uomo che uccise Liberty Valance di ladri di Bagdad, di principesse chiuso ormai dentro poche assi ANZI DIMENTICATEMI rapite, di maghi cattivi, di uccelli sconnesse di legno scadente con Roc, e la loro eloquenza, quando un fiore di cactus sul coperchio. ne hanno una, è quella che sa dar- Oppure Armonica che se ne esce PROPRIO” gli Sherazade. Raccontare, cattu- per sempre dall’inquadratura e rando l’attenzione del pubblico, dal progresso della civiltà, e sa che oppure la sentenza di morte verrà a Sweetwater non metterà mai più eseguita all’alba”. piede, “un giorno o l’altro”, come “C’era una volta...” significa proprio questo: che tutto ciò che ci viene Dopo tutto questo, dopo C’e- sembra promettere a Jill. mostrato e che vedremo sullo schermo, è solo ombra e polvere di ciò ra una volta il West, dopo cin- Perché, appunto, come diceva che non c’è più e non potrà mai più ritornare se non in un sogno dolo- quant’anni dalla sua uscita, il quel tale, “Qui siamo nel West, roso da cui, prima o poi, ci si dovrà svegliare. Come nelle parole dello Genere “per antonomasia” non dove se la leggenda diventa real- stesso regista, mai pubblicate in passato e che è giusto dare oggi, cin- è mai più stato quello di “prima tà...” con quel che segue. quant’anni dopo, alle stampe in esclusiva, per magnificare la sua opera, della rivoluzione”, non è mai più Buon compleanno, C’era una volta che restituiscono in pieno i suoi intendimenti, la sua idea del mondo e stato né il racconto della Storia il West…ern. Cento e non più cento del Cinema, con la “c” maiuscola: “Il mio cinema vuole essere un fatto Patria, né la sua commemorazio- di questi giorni. essenzialmente popolare. Non voglio essere ricordato come un filoso- ne barocca e trompe l’oeil. Anzi, fo, a differenza di tanti miei fratelli in celluloide. Voglio essere ricordato non è mai più stato, nemmeno come un intrattenitore. Oppure dimenticatemi proprio. Dico davvero. qualcosa di diverso da se stesso, Il mio interesse per il cinema, anzi l’universale interesse per l’America, è se non indulgente autocitazione e

Claudia Cardinale e Sergio Leone sul set di C’era una volta il West di Sergio Leone, 1968. Foto di Angelo Frontoni. ©Archivio fotografico della Cineteca Nazionale - Museo del Cinema di Torino

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SCANNER GEOGRAFIE INNOVAZIONI

66 La sfida della Legge 90 ​L’Adriatico di Fellini 96 Falchi e colombe Cinema al mondo di Oscar Iarussi contro Netflix & Co. delle sale di Roberta Chiti di Federica D’Urso, Iole Maria Giannattasio, Bruno Zambardino RICORRENZE 98 Le tre eresie del cinema di Gianni Celata FOCUS NUOVA ZELANDA 92 Una bicicletta 75 Metti una nuvola per l’Italia del ’48 nel blockbuster di Nicole Bianchi di Ilaria Ravarino INTERNET E NUOVI CONSUMI

RICORDI 100 Ritorno alla Luna, 80 VA TAPUIA! da Méliès alla realtà La forza creativa virtuale della diversità 94 Anna Maria Ferrero di Carmen Diotaiuti di Catherine Fitzgerald (1934-2018) Via dal cinema per amore MARKETING DEL CINEMA ITALIANO CINEMA ESPANSO di Laura Delli Colli

102 L’anno der canaro 82 Calzature Divine 95 Carlo Vanzina di Andrea Guglielmino di Stefano Stefanutto Rosa (1951-2018) Il critico (gentile) che non c’è stato di Rocco Moccagatta 104 BIOGRAFIE 87 Özpetek e le stelle digitali di Nicole Bianchi

88 Prandino, conte & regista di Corrado Colombo scanner

LA SFIDA DELLA LEGGE CINEMA AL MONDO DELLE SALE di FEDERICA D’URSO, IOLE MARIA GIANNATTASIO, BRUNO ZAMBARDINO*

Dal combinato disposto del Piano straordinario e delle misure fiscali a favore del potenziamento delle sale sul territorio nazionale - ben 46 milioni di euro solo per l’annualità 2017 - si attendono effetti decisivi per modernizzare un buon numero di strutture, creando le condizioni favorevoli per aumentare il flusso di pubblico e soprattutto far tornare in sala fasce di popolazione ormai disaffezionate.

* con la collaborazione di Azzurra Teoli

latest - scanner dati e tendenze del mercato audiovisivo a cura di DG Cinema Questa è una fase storica particolarmente delicata per il mondo dell’e- sercizio, che deve fare i conti con uno scenario in forte evoluzione in cui le modalità di fruizione dei film – soprattutto per alcune fasce di età - si diversificano e puntano sempre di più verso piattaforme distributive on line, e in cui si assiste ad un progressivo spostamento degli investimenti d’imposta, che può contare su 16 milioni di euro riservati agli investi- verso la serialità televisiva. menti per l’adeguamento strutturale e tecnologico, cui si aggiungono Lo confermano i dati non incoraggianti sul versante degli incassi e delle 30 milioni destinati al potenziamento dell’offerta cinematografica, con presenze, soprattutto del cinema italiano, che ha visto nel 2017 un calo particolare attenzione alla programmazione di film italiani ed europei, di ingressi in sala del 12,38% rispetto al 2016 (92,3 milioni anziché 105,3) alle proiezioni nel periodo estivo e in sale d’essai o ubicate in piccoli e una riduzione dell’11,63% al box office (584,8 milioni di euro nel 2017 comuni. Ulteriori 5 milioni riguardano i premi d’essai, che consistono invece dei 661,8 milioni del 2016). nell’attribuzione di contributi alle sale di qualità sulla base del volume È in questo contesto che i primi provvedimenti previsti dalla Legge di film d’essai proiettati, sia lungometraggi che cortometraggi. Franceschini per risollevare le sorti del comparto entrano in una fase Sono previsti ulteriori interventi di minor importo ma altrettanto rile- operativa. vanti dal punto di vista delle finalità. Tra questi un fondo “una tantum” Può essere utile allora offrire un quadro dei diversi interventi previsti a per le piccole sale, che attinge ad una dotazione extra rispetto alla Legge sostegno dell’esercizio cinematografico, con un focus sul Piano straor- Cinema grazie a fondi CIPE non ancora utilizzati e che verranno impie- dinario per il potenziamento del circuito delle sale cinematografiche e gati per investimenti tecnologici legati alla digitalizzazione degli im- polifunzionali previsto dall’articolo 28 della legge n. 220 del 2016, per pianti, come ad esempio i sistemi per migliorare l’accessibilità delle sale cui sono stanziati 30 milioni di euro per l’anno 2017. da parte di persone con disabilità sensoriale e cognitiva. Buona parte delle risorse sono erogate tramite lo strumento del credito Poco meno di un milione è infine destinato alle piccole sale per attività di diffusione della cultura cinematografica; tali sale sono caratterizzate dal radicamento sul territorio di riferimento e dal coinvolgimento del pubblico giovanile; sono incoraggiate anche particolari iniziative tese a favorire l’intrattenimento culturale di persone con disabilità o l’inse- rimento culturale e sociale di soggetti con problemi di emarginazione, nonché strategie di multi-programmazione. La linea di finanziamento appena descritta non è ancora stata resa operativa. Le risorse stanziate dalla DG Cinema a favore delle sale (anno 2017)

LINEE DI INTERVENTO PER LE SALE

30M€ 5M€ Piano Premi 30M€ straordinario d’essai 960K€ Tax credit per le Fondi selettivi 16M€ programmazione piccole sale Tax credit 2M€ per le strutture Fondi Cipe

66/67 IL PIANO STRAORDINARIO

Il primo provvedimento già esecutivo è il Piano straordinario per il po- tenziamento delle sale cinematografiche e polivalenti. Entrato in vigore il 12 ottobre 2017,1 dispone di una dotazione comples- siva di 120 milioni di euro in 5 anni, di cui 30 milioni per gli anni 2017, 2018 e 2019 e altri 30 per i due anni successivi (20 per il 2020 e 10 per il 2021). Si tratta di contributi a fondo perduto distribuiti su quattro linee di intervento. Le risorse sono indirizzate in modo prioritario (50%) a la- vori di riattivazione di sale chiuse o dismesse e di creazione di citiplex urbani per arrestare il grave processo di desertificazione che numero- si centri urbani stanno subendo da diversi anni: una misura pertanto che dovrebbe contribuire a rilanciare i cinema urbani e di prossimità, probabilmente più vicini alle caratteristiche dei consumi culturali 2.0, improntati a personalizzazione, rilevanza, multitasking e interattività. • riattivazione sale cinematografiche chiuse o dismesse (50%)

Piano straordinario sale • realizzazione nuove sale, anche mediante acquisto di locali per l’esercizio cinematografico RIPARTO RISORSE 2017 e per i sevizi connessi (25%)

• trasformazione sale o multisala esistenti in ambito cittadino Un 25% è inoltre destinato alla realizzazione di nuove sale, prevedendo finalizzata all’aumento del numero anche l’acquisto dei locali e dei servizi connessi. Un ulteriore 15% è fina- lizzato alla trasformazione delle sale esistenti con l’obiettivo di aumen- degli schermi (15%) tare il numero di schermi, mentre un 10% riguarda la ristrutturazione e l’adeguamento strutturale e tecnologico della sala, includendo quindi • ristrutturazione e l’adeguamento anche il rinnovo di impianti, apparecchiature, arredi e servizi comple- strutturale e tecnologico sale; mentari alle sale. Di tali contributi possono beneficiare le imprese di esercizio cinema- l’installazione o il rinnovo di impianti, tografico italiane, purché rispettino i requisiti di accesso e fruizione per apparecchiature, arredi e servizi le persone con disabilità, svolgano l’attività di proiezione per almeno i complementari alle sale (10%) cinque anni successivi alla richiesta e si impegnino a riservare per tre anni il 35% della programmazione a film italiani ed europei. Il Ministero indica una serie di priorità nella concessione dei contribu- ti in base alla localizzazione geografica delle strutture, con l’intento di garantire un accesso alle risorse equilibrato ed omogeneo sul territorio senza trascurare le realtà più deboli. Difatti nell’assegnazione viene data la precedenza innanzitutto a quelle sale che si collocano in comuni che sono stati interessati da eventi si- smici, seguono le sale storiche, le sale ubicate in comuni con meno di 15 mila abitanti o quelle ubicate nelle periferie urbane, senza escludere una premialità nel caso di investimenti realizzati da micro imprese o piccole imprese.

1Decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri 4 agosto 2017 avente ad oggetto “Disposizioni applicative del Piano straordinario per il potenziamento del circuito delle sale cinematografiche e polifunzionali”. Gazzetta Ufficiale n.239 del 12 ottobre.

latest - scanner dati e tendenze del mercato audiovisivo a cura di DG Cinema A tutti i beneficiari è richiesto interventi di ristrutturazione e anche un impegno circa la desti- adeguamento tecnologico, inve- nazione d’uso e la programma- ce, non possono superare il costo zione. Infatti uno degli aspetti più eleggibile di: 650mila per le mo- innovativi del piano straordinario nosala, 1.250.000 per le multisa- riguarda le particolari condizioni la a 2 schermi, 1.750.000 per le di vantaggio previste per quei pro- multisala a 3 schermi, 2.100.000 getti che proporranno, anche in per le multisala a 4 schermi e accordo con gli enti locali, un’of- 2.250.000 per le multisala a 5 o ferta di eventi culturali, creativi, più schermi. Nel caso di multi- multimediali e formativi in grado sala da 1 a 3 schermi dichiarate di di contribuire alla sostenibilità interesse culturale, il massima- economica delle strutture, ovve- le di costo eleggibile equivale a ro alla valenza sociale e culturale 1.750.000 euro. dell’area di insediamento. Le richieste di contributo pos- Nel caso di riapertura e realiz- sono essere presentate alla DG zazione di sale o di aumento del Cinema attraverso la modulistica numero di schermi, la richiesta on line presente sulla nuova piat- di contributo di una monosala taforma informatizzata DGCol non può superare i 2 milioni di nel periodo compreso tra l’1 feb- euro, mentre per una multisala braio e il 30 aprile per ognuno dei si parte da 2 milioni di euro per cinque anni di attività del Piano gli interventi riguardanti la prima straordinario. sala e le parti comuni, per poi po- A seguito dell’assegnazione, vie- ter avere fino a 350 mila euro in ne erogato il 30% del contributo, più per ogni ulteriore sala, senza mentre la restante parte viene sal- superare il limite massimo di 6 data entro 90 giorni dal termine milioni di euro per struttura. Gli dei lavori previsti.

ESITI PARZIALI DELLA PRIMA ANNUALITÀ 2017

Lo scorso 16 maggio è stato pubblicato un primo elenco provvisorio delle imprese beneficiarie dei contributi per le prime tre linee di intervento previste dal Piano straordinario. Complessivamente sono state approvate 25 domande sulle 88 ricevute, per un finanziamento totale di 26,6 milioni di euro, la cui l’ammissibilità preve- deva, tra gli altri parametri, l’avvio dell’investimento nel periodo compreso tra il 1 gennaio e il 12 ottobre 2017. Per la prima linea di intervento riguardante la riattivazione di sale chiuse o dismesse, sono sette le imprese ad avere ottenuto il contributo, per complessivi 7,3 milioni di euro utilizzati rispetto ai 15 milioni di euro a dispo- sizione; le risorse in eccedenza sono state ridistribuite sulle altre linee di intervento. Tra le sale ritornate in attività grazie al piano straordinario ci sono, per esempio, il Cinema Troisi di Roma riaperto dall’Associazione Piccolo Cinema America e “Il Garibaldi” (ex Cinema Excelsior) di Prato, rimesso in sesto da Civico 69 s.r.l.

La seconda linea di intervento ha invece contribuito alla realizzazione di otto nuove sale, tra cui il CityLife Anteo di Milano, il Multisala Red Carpet a Monopoli (BA) e il Cinema Victoria Mirandola, proprio nell’omo- nimo comune in provincia di Modena colpito dal terremoto dell’Emilia del 2012. In totale le risorse concesse per tale linea equivalgono a 9,5 milioni, che eccedono rispetto ai 7,5 disponibili, potendo contare sulle risorse eccedenti della prima tipologia di intervento.

La terza linea riservata alla trasformazione delle sale e all’aumento del numero di schermi ha infine premiato dieci imprese di esercizio, per un totale di 9,7 milioni di euro invece dei 4,5 milioni inizialmente previsti. Le sale vincitrici hanno diversa collocazione geografica e vanno dall’Anteo - Palazzo del Cinema di Milano, al Cinema Pierrot di Napoli, fino al Cinema Loren di Praia a Mare in Calabria.

Nel momento in cui si scrive si sta concludendo il lavoro istruttorio relativo alla quarta linea di intervento relativa alla ristrutturazione e all’adeguamento strutturale e tecnologico della sala, per la quale sono giunte ben 139 richieste pur trattandosi della linea con la dotazione finanziaria più contenuta.

68/69 IL TAX CREDIT PER GLI INVESTIMENTI

Accanto al Piano straordinario – come già detto – è prevista una linea di intervento stabile ed ordinaria che, al posto del desueto meccanismo dei contributi in conto capitale e conto interessi, concede crediti di im- posta sugli investimenti relativi alle stesse tipologie di intervento del Piano straordinario ma con una ripartizione delle risorse differente che privilegia l’adeguamento strutturale e tecnologico delle sale. In questo modo l’esercizio si allinea agli altri segmenti della filiera (produzione e distribuzione) che già da diversi anni beneficiano di misure fiscali per lo svolgimento delle proprie attività. Le aliquote in base alle quali è riconosciuto il beneficio sono differen- ziate per dimensione aziendale e localizzazione delle sale. Sono inoltre previste premialità per le sale ubicate in comuni sotto i 15mila abitanti, LE MODIFICHE AL DPCM PER L’ANNUALITÀ 2018: per le “sale storiche” e per le imprese di nuova costituzione. LA NOVITÀ DEI CINEMA IN CORSIA Per evitare rischi di concentrazione è stato fissato anche un tetto massi- mo di contributi che può essere accordato a ciascuna impresa o gruppo Nel febbraio 2018 al decreto relativo al Piano straordinario per il po- di imprese (2 milioni di euro all’anno). tenziamento del circuito delle sale cinematografiche e polifunzionali, È possibile beneficiare di queste risorse per i lavori avviati sin dal gen- sono state apportate alcune significative modifiche in riferimento ai naio 2017. beneficiari del contributo e ad una particolare destinazione di parte I beneficiari dovranno rispettare requisiti di accessibilità e svolgere delle risorse. per i tre anni successivi attività di pubblico spettacolo cinematografi- Nel dettaglio, la Presidenza del Consiglio, su proposta del Ministero co proprio per garantire che gli incentivi siano duraturi e valorizzino la dei Beni e delle Attività Culturali e del Turismo ha stabilito che, per il fruizione cinematografica. Nella stessa ottica è stato posto un vincolo di quadriennio 2018-2021, il 10% delle risorse annue disponibili per il pia- programmazione per tre anni dalla data di richiesta del beneficio (mini- no straordinario venga riservato alla realizzazione di nuove sale nelle mo 35% di film italiani, percentuale che scende al 25% per sale con non strutture ospedaliere pubbliche o private convenzionate, da parte di più di 2 schermi). enti del terzo settore con comprovata esperienza nella programmazio- ne cinematografica. L’accesso a tali sale deve essere ovviamente garan- tito gratuitamente ai pazienti delle strutture, ai loro accompagnatori e al personale medico-sanitario, in linea con l’idea che il cinema possa dimostrare il proprio potenziale benefico proprio su coloro che per di- verse ragioni si trovano ad affrontare problemi di salute e a dover sog- giornare per lungo tempo negli ospedali. Altra sostanziale modifica apportata al piano straordinario riguarda la formalizzazione dell’ampliamento delle categorie dei destinatari: ol- tre alle imprese di esercizio cinematografiche italiane già previste dal DPCM-Decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri 4 agosto 2017 (articolo 4, comma 1), ora possono ufficialmente fare richiesta e bene- ficiare dei contributi anche i Comuni o altri soggetti pubblici, a condi- zione che, in caso di assegnazione, le risorse vengano impiegate da una impresa di esercizio cui l’ente locale dovrà affidare la gestione della sala. Per quanto riguarda le richieste di contributo relative al 2018, saranno finanziati gli investimenti che prenderanno avvio entro un anno dalla domanda e che dovranno concludersi entro due anni.

latest - scanner dati e tendenze del mercato audiovisivo a cura di DG Cinema IMPATTO DELLE NUOVE MISURE A FAVORE DELLA SALA

Difficile stimare l’impatto delle nuove misure a sostegno del settore. L’efficacia delle disposizioni dipenderà anche da come si muoverà la distribuzione nel prossimo futuro. Come già accennato si tratta del comparto che più di altri in questi anni sta subendo i contraccolpi le- gati alle nuove modalità di fruizione dei film e alla moltiplicazione dei canali di accesso e diffusione dei contenuti audiovisivi all’interno del nuovo ecosistema digitale. Film che accanto alle serie tv sono oggetto di appetiti crescenti da parte di nuovi operatori del web, da Apple ad Amazon passando per Netflix, i quali fanno a gara per investire in con- tenuti originali dall’appeal globale, diventando interlocutori interes- santi anche per festival, addetti ai lavori e soprattutto per i produttori GLI ALTRI INTERVENTI A SOSTEGNO DELLE SALE di audiovisivo. Cresce così la pressione sul modello classico di distri- buzione e, in particolare, su quella finestra di esclusività che finora è Non solo benefici per il rafforzamento delle strutture, ma risorse co- stata riservata al grande schermo, in quanto cardine della valorizza- spicue anche per incentivare la programmazione di film, in particolare zione dell’opera anche rispetto ai suoi canali successivi di sfruttamen- quelli italiani ed europei. Ci riferiamo alla dotazione annua di 30 milioni to. Gli interventi dello Stato da questo punto di vista cercano di creare di crediti di imposta che, a partire dal 1 gennaio 2018, saranno concessi condizioni atte a trasformare le attuali minacce connesse alle nuove con un nuovo meccanismo sulla base di aliquote differenziate (cumu- dinamiche della domanda e alla possibile marginalizzazione della labili fino ad un massimo del 20%) per PMI-Piccole e Medie Imprese e fruizione in sala in opportunità, anche sotto il profilo della redditività grandi gruppi. L’entità dei crediti sarà più elevata se si programma nel economica oltre che di una maggiore presenza e diffusione di presi- periodo estivo, contribuendo così - in coerenza con analoghi interventi di socio-culturali nel nostro Paese. L’interrogativo è: su quali basi e a adottati nel settore della distribuzione - ad allungare la stagione cine- quali condizioni le sale cinematografiche, anche grazie alle robuste ri- matografica e ad evitare dannosi affollamenti di titoli in una manciata sorse finanziarie messe a disposizione dalla nuova Legge Cinema (80 di mesi. Particolari tipologie di film programmati (italiani, europei e milioni di euro, ovvero il 20% del fondo complessivo nel 2017, quasi d’essai) o di sala cinematografica (ubicata in piccoli comuni e/o sala 50 milioni in più rispetto alla precedente dotazione FUS-Fondo Unico d’essai) beneficiano di aliquote maggiorate e un trattamento di favore dello Spettacolo), riusciranno a riacquistare centralità nel quadro del- (regime semplificato) è riservato anche a particolari tipologie di eser- le nuove modalità di consumo di cultura ed intrattenimento? centi, fra i quali ricevono una particolare attenzione le imprese start-up. I crediti di imposta a favore dell’adeguamento strutturale e della pro- grammazione prima di entrare in vigore necessitano del via libera dalla Commissione europea per verificare la compatibilità di tali misure con la normativa comunitaria in materia di aiuti di Stato.

70/71 PIANO STRAORDINARIO SULLA DIGITALIZZAZIONE DEL PATRIMONIO

Accanto al Piano Straordinario a favore delle sale, la legge n. 220 Il progetto, inoltre, deve concludersi entro 24 mesi dall’assegna- del 2016 ha previsto un secondo Piano straordinario finalizzato zione del contributo e prevedere la possibilità di fruizione delle alla digitalizzazione delle opere audiovisive e cinematografiche, opere da parte delle persone con disabilità. così da permetterne la fruizione favorendo anche il ritorno di Tra i costi eleggibili sono compresi quelli legati a diverse fasi di vecchie opere sugli schermi cinematografici. Il Piano può conta- lavorazione: il restauro dei materiali (incluse pulizia e riparazione re su una dotazione di 10 milioni annui per il 2017, 2018 e 2019. del supporto), la scansione digitale, il trattamento di digital clean o La richiesta di contributo può essere effettuata da cineteche pub- color correction, la realizzazione di una copia in pellicola e l’acqui- bliche e private italiane e da imprese di post-produzione italiane. sto o il noleggio di sistemi di memorizzazione del materiale. Queste ultime in particolare devono essere in possesso di classi- Il contributo eventualmente concesso viene erogato in due tran- ficazione Ateco J59.11 e J59.12, avere un capitale versato di alme- che, un 50% all’atto di riconoscimento del contributo e la restante no 40mila euro e aver realizzato, negli ultimi due anni, almeno il parte dopo la verifica della digitalizzazione da parte della DG Cine- 25% del fatturato in attività di post-produzione cinematografica ma, e solo a seguito della effettiva consegna della copia digitalizza- e audiovisiva. ta presso la Cineteca nazionale. Il progetto di digitalizzazione, per cui si fa domanda di contributo presso la DG Cinema utilizzando l’apposita modulistica on line, deve possedere delle dimensioni minime del materiale audiovisi- vo in base alla sua tipologia: per soli materiali filmati almeno 100 ore, per lungometraggi o cortometraggi almeno 20 ore, nel caso sia di materiali filmati sia di lungometraggi e cortometraggi la durata non deve essere inferiore a 70 ore per la prima tipologia e a 10 ore per la seconda.

latest - scanner dati e tendenze del mercato audiovisivo a cura di DG Cinema CONCLUSIONI E RISULTATI ATTESI

Innovazione, questa la parola chiave, il filo conduttore dell’articolato pacchetto di misure che la nuova legge cinema e i successivi decreti attuativi prevedono a sostegno del mondo delle sale cinematografiche. Innovazione presente nelle priorità di intervento e nelle procedure di assegnazione delle risorse e che si riflette nella capacità di innovazio- ne richiesta ai beneficiari delle risorse, in termini di programmazione, di dotazione tecnologica, di offerta di servizi agli utenti, di promozione sociale culturale e di coinvolgimento del pubblico. L’approccio adottato dal Ministero non segue più una logica di mero assistenzialismo, ma punta a rafforzare il sistema sala in un’ottica più integrata e di sistema, e lo fa sotto un duplice punto di vista. Da un lato a favore del potenziamento del- sostenere il comparto sotto il profilo economico-industriale, fissando le sale sul territorio nazionale alcune priorità strategiche che, a seconda della tipologia di intervento, - ben 46 milioni di euro solo per pongono l’accento sulla necessità di favorire e incrementare gli inve- l’annualità 2017 - si attendono stimenti per l’adeguamento tecnologico delle strutture (risorse ordi- effetti decisivi per modernizza- narie tramite crediti di imposta) piuttosto che riattivare sale chiuse o re un buon numero di strutture, dismesse e trasformare strutture in ambito cittadino ampliandone gli creando le condizioni favorevoli schermi (risorse straordinarie). Dall’altro lato l’ottica adottata è quella per aumentare il flusso di pub- di premiare ed incentivare la programmazione offerta dalle sale, in par- blico e soprattutto far tornare in ticolare quella legata al cinema italiano ed europeo di qualità, perfezio- sala fasce di popolazione ormai nando il precedente sistema dei crediti di imposta alla programmazione disaffezionate. e confermando il fondo ad hoc per le sale qualificate d’essai basato su Più in generale, le azioni messe punteggi differenziati in funzione della localizzazione sul territorio e del in campo dal Ministero cercano numero di schermi. di dare una risposta concreta a questo obiettivo, puntando con Nei prossimi anni sarà interessante valutare gli effetti legati alla decisio- decisione a diffondere il valore ne di operare una distinzione fra micro, piccole e medie imprese, alle culturale della fruizione dei film quali sono assegnate aliquote più elevate, e i grandi complessi, i quali, in sala, a premiare quelle scelte ad esempio nel caso del tax credit per le strutture, non possono supera- di programmazione che in as- re il 20% delle risorse disponibili. senza di un contributo pubblico La differenziazione delle aliquote fiscali, frutto di un complesso lavoro rischierebbero di assottigliarsi di analisi e confronto con le categorie, è stata effettuata tenendo conto con negativi effetti sugli equilibri della forte eterogeneità del mercato sotto il profilo della dimensione di mercato, a valorizzare quelle aziendale, dell’ubicazione territoriale e del numero di schermi di cui è strutture che - grazie agli incen- dotata la singola struttura. tivi resi disponibili in modo certo Pur mirando a favorire lo sviluppo economico-industriale del compar- per i prossimi anni - sapranno of- to, si è rivolta particolare attenzione all’introduzione di correttivi capaci frire servizi in grado di risponde- di creare condizioni di mercato più equilibrate, come ad esempio le mi- re ai bisogni di un pubblico sem- sure a favore delle piccole realtà imprenditoriali e, al loro interno, le sale pre più esigente e diversificato storiche, piccole imprese in comuni sotto i 15mila abitanti e le bisale. all’interno di strutture moderne Dal combinato disposto del Piano straordinario e delle misure fiscali e professionali.

72/73 FOCUS

Nome ufficiale /Aotearoa Capitale

Forma di Governo Monarchia parlamentare (Commonwealth) Numero abitanti 4.578.900

Lingua ufficiale Inglese, Maori Densità 17 ab./km2

Superficie 267.710 km2

Valuta Dollaro neozelandese NUOVA ZELANDA

Persone che lavorano nell’industria cinematografica: 14.000

Impiegati alla Weta Digital: 1.300

Numero di schermi: 411

Box office (2012): 145 milioni di dollari

Film di maggiore incasso girato in Nuova Zelanda: Avatar

latest - focus Nuova Zelanda METTI UNA NUVOLA NEL BLOCKBUSTER

di ILARIA RAVARINO

Più estesa della Gran Bretagna, ma con una popolazione di poco più di 5 milioni di individui, contro i 60 milioni di sudditi di Sua Maestà, la “Terra dalla lunga nuvola bianca” (questo il significato del nome Nuova Zelan- da, Aotearoa, in maori) è una nazione biculturale, popolata dai discenden- ti dei coloni europei, principalmente scozzesi e irlandesi (74%), e dagli abitanti originari del Paese, i maori (14%). Il cinema di lingua inglese - film dagli Stati Uniti e dalla Gran Bretagna - è ancora predominante, in termini numerici e di gradimento: i primi dieci film per incasso del box office 2017 sono infatti produzioni americane, con Star Wars: Gli ultimi Jedi a guidare la classifica con 6.121.931 dollari. Il pubblico neozelandese mostra tuttavia apprezzamento anche per i prodotti nazionali, non più di una decina all’anno. Con una particola- rità: le cinque pellicole neozelandesi che hanno incassato di più dagli Anni ‘90 a oggi sono accomunate dal tema (storie maori) e dal destino dei registi, tutti affermati internazionalmente: La ragazza delle balene (2003) di Niki Caro (6.400.000 $), Once Were Warriors (1994) di Lee Ta- mahori (6.795.000 $), Indian - La grande sfida (2005) di Roger Donaldson (7.047.000 $), Boy (2010) di Taika Waititi (9.322.000 $) e Selvaggi in fuga (2016) ancora di Waititi (11.053.000 $). Il cinema è la forma d’arte più amata e praticata nel Paese: nel 2017 il 91% dei profitti del mercato culturale neozelandese proveniva proprio dal set- tore cinematografico, con una crescita del 6% rispetto al 2014. L’industria dell’audiovisivo ha generato nel 2016 profitti per 3.3 miliardi di dollari, con il 64% del mercato che gira intorno alla “Cinecittà” di Wellywood e un aumento del 15% dei ricavi dal business della post-produzione. Negli ultimi 40 anni l’industria cinematografica è maturata. Le risorse (talenti, facilities tecniche, location) sono diventati competitivi a livello globale, e mentre le coproduzioni crescono di importanza, aumenta an- che la consapevolezza della validità della cinematografia nazionale, so- stenuta dal lavoro dei festival (New Zealand International Film Festival), e alimentata dalle scuole di cinema (la New Zealand Film and Television School di Wellington, la New Zealand Film Academy di ).

74/75 Lezioni di piano, Karekar beach

Alle origini del cinema in Nuova Zelanda e autore di dieci the Cave (1922), The Te Kooti Trail film tra il 1898 e il 1900, è ritenuto il (1927) e Rewi’s Last Stand (1925), Le origini del cinema neozelan- pioniere del cinema nazionale. un western maori ambientato du- dese, raccontate con romantica Il più antico film conservato nel- rante la battaglia di Ōrakau. ironia da Peter Jackson nel mocku- lo New Zealand Archive of Film di Nel 1940 Rewi’s Last Stand torna mentary Forgotten Silver (1996), Wellington è un documentario del al cinema nel remake sonoro del risalgono al 1896, con un film 1914, la prima sala cinematografica prolifico John O’Shea, attore, proiettato nella Opera House di ad aprire il Roxburgh di Central Ota- regista indipendente e storico Auckland durante uno show della go, inaugurato nel dicembre 1897. del cinema che nel 1952 fonderà, compagnia di Vaudeville di Char- Tra gli Anni ‘20 e ‘30 nasce nel insieme a Roger Mirams, la com- les Godfrey. Ancora Auckland ha Paese una piccola industria cine- pagnia Pacific Films. In attività tra il primato della prima proiezione matografica, il cui principale ani- gli Anni ‘40 e ‘70 - periodo in cui a colori, il 24 dicembre del 1911: Al- matore è l’inglese Rudall Hayward, il genere documentario, finan- fred Whitehouse, inglese cresciuto produttore e regista di My Lady of ziato dalla National Film Unit, fondata nel 1941, è molto popola- re - O’Shea realizza numerosi film tra cui Broken Barrier (1952), Ru- naway (1964) e Don’t Let It Get You (1966), apparendo in un cameo nel Forgotten Silver di Jackson. Nel 1977, un anno prima della fon- dazione della New Zealand Film Commission, il Unica re- gola vincere di Roger Donaldson, primo film in pellicola realizzato interamente con una troupe ne- ozelandese, è anche il primo lun- gometraggio del Paese a ottenere la distribuzione negli Stati Uniti, lanciando la carriera di Sam Neill - nato in Irlanda del Nord, ma di famiglia neozelandese. Donald- son, che nel 1984 partecipa al Festival di Cannes con Il Bounty, prodotto da Dino De Laurentiis, dopo aver realizzato negli Stati Uniti successi commerciali come latest - focus Nuova Zelanda Cocktail (1988) e Senza via di scam- Il signore degli anelli e girare lo sfor- dows (2014). Molti i giovani autori po (1987) tornerà a girare in Nuova tunato thriller Spooked (2004). maori che si stanno facendo strada Zelanda nel 2005 Indian - La gran- Negli Anni ‘90 il cinema neozelan- nel cinema nazionale, anche grazie de sfida, con Anthony Hopkins dese incontra il successo mondia- allo speciale programma di forma- come protagonista. le, con i tre Oscar e la Palma d’oro zione e finanziamento del gover- Gli Anni ‘80 segnano per il cinema assegnati a Lezioni di piano di Jane no: tra i nomi degni di segnalazione neozelandese la rottura di alcuni Campion (1993), già premiata nel Briar Grace-Smith, Awanui Simi- tabù. La prima donna a dirigere un 1990 dalla giuria della Mostra di ch-Pene, Casey Kaa, Ainsley Gar- film è Melania Read, con il thriller Venezia con Un angelo alla mia dinier, Katie Wolfe, Renae Maihi, femminista del 1984 Trial Run, tavola. In questo periodo, mentre Chelsea Winstanley, Paula Jones e mentre il primo autore maori di Once Were Warriors di Lee Ta- Josephine Stewart-Te Whiu. successo è Barry Barclay (Ngati, mahori (1994) conquista il box of- Il genere fantastico resta un caval- 1987), che spianerà la strada alla fice nazionale, emerge la tendenza lo di battaglia della cinematogra- documentarista e attrice maori “fantastica” del cinema neozelan- fia del Paese, con Chris Graham Merata Mita (Mauri, 1988). Pro- dese, destinato a diventare negli (Quattro amici e un matrimonio, prio il marito di Mita, il regista e anni successivi l’alfiere mondiale 2006) che nel 2007 ha portato musicista , sbanca il del fantasy globalizzato. Del 1994 alla ribalta internazionale l’horror box office nazionale nel 1981 con è infatti l’horror di Peter Jackson The Ferryman, mentre Peter Bur- l’action indie Goodbye Pork Pie, e Heavenly Creatures, di poco prece- ger nello stesso anno spaventava dopo altri due film neozelandesi, duto dalla fantascienza suggestiva le platee con The Tatooist e Glenn Utu (1983, prima pellicola del pa- di The Navigator (1988) di Vin- Standring tornava ai vampiri con ese selezionata al festival di Can- cent Ward, selezionato a Cannes The Perfect Creature (2007). Inte- nes) e The Quiet Earth (1985) en- nel 1984 con Vigil. Si affermano in ressati a esplorare la storia del Pa- tra nell’orbita di Hollywood, dove questi anni le prime importanti co- ese, ancora poco conosciuto al di gira gli adrenalinici Young Guns produzioni con gli Stati Uniti (Ron fuori del Pacifico, il samoano Tusi 2 (1990), (1992) e Under Howard fu tra i pionieri, girando Tamasese con The Orator (2011) Siedge 2 (1995) prima di rientrare nel 1988 in Nuova Zelanda il suo ha raccontato la vita quotidiana dei in Nuova Zelanda per assistere Willow), di pari passo con la ten- contadini indigeni, mentre Robert Peter Jackson nella lavorazione de denza a usare nelle pellicole attori Sarkies con Out of the Blue (2006) non neozelandesi (Harvey Keitel si è cimentato con la cronaca, per Lezioni di piano, Kate Winslet portando sullo schermo il massa- per Heavenly Creatures), e con la cro di Aramoana del 1990. Molti migrazione all’estero dei talenti. i felici ritorni in Patria, con Ward Tra gli autori più significativi della di nuovo nel suo Paese per River scena contemporanea, il regista Queen (2005) e Rain of the Children di origine maori Taika Waititi ha (2008) e Jane Campion che ha esordito nel 2007 con il film Ea- scelto il Queensland e Glenorchy, gle vs Shark, dopo aver sfiorato l’isola più a sud del Paese, per la nel 2005 l’Oscar con il corto Two sua miniserie Top of the Lake (2013) Cars, One Night. Con Boy nel 2010 Tra gli attori neozelandesi più fa- ha messo a segno il miglior incasso mosi Anna Paquin (prima attrice di tutti i tempi per un film neoze- del Paese a vincere un Oscar), landese, superato nel 2016 dal suo Karl Urban, Lucy Lawless, Mela- stesso Selvaggi in fuga, girato dopo nie Lynksey, Martin Henderson, il mocumentary vampiresco Vita Daniel Gillies e il “gladiatore” da vampiro - What We Do in the Sha- Russell Crowe.

Il Signore degi Anelli (Lothlorien), Kaitoke Regional Park

76/77 Il caso Peter Jackson Il successo delle operazioni ha se- Ma il dibattito sulla reale efficacia gnato l’inizio di una nuova era per degli investimenti stranieri sul la Nuova Zelanda, scelta sempre territorio è oggi molto acceso, tra Nato a Pukerua Bay, una città co- più spesso come base operativa chi difende la bontà delle opera- stiera nei pressi di Wellington, Pe- dalle grandi produzioni ameri- zioni e chi si lamenta tanto del ter Jackson esordisce con la com- cane: Avatar di James Cameron mercato “drogato” dai larghi bu- media low cost Bad Taste (1987), (2009), Le Cronache di Narnia e dget americani, che ha reso strut- seguita da Meet the Feebles (1988) e Mr.Pip di Andrew Adamson (2005 ture e mezzi quasi inaccessibili ai Splatter - Gli schizzacervelli (1991), e 2012), 10.000 BC di Roland Em- registi locali indipendenti, quanto horror fantastici e volutamente merich (2008) e naturalmente le del presunto “spreco” di fondi che eccessivi trattati con una raffi- coproduzioni di Jackson, tra cui il potrebbero invece essere destina- natezza formale che sarà anche remake di King Kong (2005). ti a film nazionali. la cifra di Heavenly Creatures, nel 1994 Leone d’argento a Venezia, e V Sospesi nel tempo (1996). Notato da Hollywood, dirige il progetto destinato a imprimere il “brand” della Nuova Zelanda nel cine-immaginario globale: la saga fantasy de Il signore degli anelli (La compagnia dell’anello, 2001; Le due torri, 2002; Il ritorno del re, 2003). Hobbiton (movie set), Largamente finanziata dagli Stati Waikato Region Uniti, con un cast internazionale, la saga è stata realizzata dal regista con il supporto di una troupe qua- si interamente neozelandese. De- ciso a rimanere in Nuova Zelanda nonostante l’enorme successo in- ternazionale riscosso dai film, con la stessa strategia - denaro ameri- cano, troupe neozelandese - Ja- ckson realizza tra il 2012 e il 2014 i tre prequel de Il Signore degli Anelli (Lo Hobbit - Un viaggio inaspettato, 2012; Lo Hobbit - La desolazione di Smaug, 2013; Lo Hobbit - La battaglia delle Cinque Armate, 2014). Per avere un’idea dell’impatto esercitato dal- la sua opera fantasy sull’economia del Paese basti pensare che i tour operator neozelandesi inseriscono ormai nei pacchetti di viaggio anche il giro delle location dei film: la Con- tea Hobbit nel villaggio di Watawa- ta, a nord di Auckland; il Monte Fato e la Montagna Solitaria nel Tongari- ro National Park; Gran Burrone nel Kaitoke Park, e molte altre location nel Queensland e nel Marlborough.

pany sorte a partire dagli Anni tures e la divisione Weta Digital, ‘80 in una zona precedentemente aperta dal regista con Richard occupata da basi della seconda Taylor, Tania Rodger e Jamie guerra mondiale, e nate su im- Selkirk. La Weta, con il suo staff Wellywood pulso di Peter Jackson. Un hub di 1.300 persone, è oggi leader nel dominato dalla Weta Workshop settore degli effetti speciali, ha vin- (da cui provengono i set, i costu- to sei Oscar per il cinema e dieci Città nella città di Wellington, il mi, le armi e le armature di Hobbit nel campo dell’innovazione tec- complesso noto con il nomignolo e Signore degli Anelli), fondata nel nologica. Oltre ai film di Jackson, di Wellywood comprende l’in- 1993 da Jackson per produrre gli la Weta si è occupata tra gli altri sieme degli Studios e delle Com- effetti speciali di Heavenly Crea- degli effetti di Avatar, L’alba del pia-

latest - focus Nuova Zelanda neta delle scimmie di Rupert Wyatt (2011) e Apes Revolution - Il pianeta delle scimmie di Matt Reeves (2014), The Avengers di Joss Whedon (2012) e Prometheus di Ridley Scott (2012). Appartengono a Jackson anche la compagnia di produzione Wingnut Films, la Park Road Post e gli Stone Street Studios.

V

Le cronache di Narnia, Cathedral Cove

te l’istituzione di speciali incenti- Mondiale tra i meno corrotti al nostro cinema nazionale”. Uno New Zealand Film vi. Dal 1978 a oggi ha finanziato più mondo”. Nel 2016 le coproduzioni speciale fondo di due milioni per Commission - produrre di 650 film. internazionali sono state quattro lungometraggi il cui regista - o una in Nuova Zelanda Il governo neozelandese offre con tre Paesi (Australia, Francia, delle figure creative chiave - sia dall’aprile 2014 generosi incenti- Cina), nel 2017 cinque con quat- maori, e uno di due milioni e mez- Fondata nel 1978, la New Zealand vi alle produzioni internazionali tro Paesi (Australia, Canada, Cina, zo se il film è girato in lingua maori Film Commission è composta da che vengono a girare nel Paese Germania). e realizzato da filmakers maori. Al- otto membri nominati dal Ministro attraverso il New Zealand Screen Le produzioni nazionali - com- tre iniziative comprendono il sup- per le Arti e la Cultura. Si propone Production Grant, fondo ammi- pagnie di produzione residenti in porto a progetti di sostegno alla per statuto di incoraggiare e assi- nistrato dalla New Zealand Film Nuova Zelanda, operative nel Pa- lingua, corsi di formazione per fil- stere la promozione, distribuzione Commission. L’incentivo - equiva- ese da almeno 18 mesi - possono maker e tecnici maori e workshop e circolazione dei film; occuparsi lente al 20% della spesa sul territo- accedere a un finanziamento pari per i giovani creativi. del networking fra gli addetti al rio in servizi e location, si applica a al 40% del denaro speso in servizi “La voce dei maori è fondamen- settore; informare sulle risorse del film nel formato cinematografico e location. Si applica a film (inve- tale per la forza della nostra indu- Paese; cooperare con altre organiz- (investimento minimo: 15 milioni stimento minimo: 2,5 milioni di stria - ha dichiarato recentemente zazioni per promuovere occupa- di dollari) o televisivo (4 milioni), dollari), serie tv (spesa per episo- il CEO della Film Commission, zione nell’ambito dell’audiovisivo; documentari, serie tv, animazione dio: 800.000 $), cortometraggi Annabelle Sheenan - e questo è conservare gli archivi; promuovere per bambini o servizi di postpro- (250.000 $). I film devono tassa- un fatto confermato dal successo lo studio della Storia del cinema ne- duzione (basta il 18%). I vantaggi tivamente dimostrare di avere una dei film e dei filmakers maori”. Di ozelandese; riferire, nel rispetto del- offerti comprendono: deregola- distribuzione in Nuova Zelanda. quest’anno l’istituzione di un pre- la propria indipendenza, al governo mentazione del mercato, stagio- La Film Commission neozelande- mio, il Te Tumu Whakaata Taonga dello stato dell’industria. Nel corso nalità inversa (“Se vi serve la neve se ha inoltre recentemente attivato Māori Screen Excellence Award, del tempo la NZ Film Commission a luglio, o campi di grano a febbra- il programma “Te Rautaki Maori” assegnato a filmaker maori capaci ha incorporato tra i suoi obiettivi io, possiamo aiutarvi”), casting per tutelare il cinema maori e “ce- di esercitare un impatto sulla real- anche l’attrazione sul territorio “etnico” e la trasparenza di “uno lebrare la cultura unica e distintiva tà locale o internazionale. delle produzioni straniere, trami- dei Paesi considerati dalla Banca di Aotearoa che rende originale il

78/79 VA TAPUIA! LA FORZA CREATIVA DELLA DIVERSITÀ

di CATHERINE FITZGERALD*

Il New Zealand International Film crescere, con un totale di 250.000 per cui il pubblico del cinema in- all’Isaac Theatre Royal di Chri- Festival è un evento nazionale che biglietti venduti nel 2017. dipendente sarebbe rappresentato stchurch - sale accuratamente re- per due settimane, durante l’in- Il NZIFF è finanziato da un fon- esclusivamente da persone in età staurate dalle amministrazioni verno, offre tra le 150 e le 170 pro- do no profit, il New Zealand Film da pensione, appassionati di una cittadine con il pieno supporto iezioni nelle arene di Auckland Festival Trust, e la sua sopravvi- certa età disposti a riempire le sale del Festival, in prima linea nella e Wellington. Una parte del pro- venza dipende dal gradimento del solo durante gli spettacoli diurni. raccolta di fondi ad hoc. Il Festival gramma “viaggia” anche attraver- pubblico, con l’89% delle entrate Attento a rispettare i più alti stan- si è anche assicurato altre splendi- so altri dodici centri urbani, tra cui derivate proprio dalla vendita dei dard tecnici per le proiezioni, il de location, tutte in grado di ospi- le due maggiori città del Sud. L’u- biglietti. Recenti ricerche segna- NZIFF è orgoglioso di presenta- tare le sue proiezioni: il Te Papa, il nione delle realtà festivaliere ne- lano che il pubblico del festival è re i suoi film nelle più belle sale museo nazionale di Wellington, ozelandesi nel contenitore unico composto soprattutto da giova- della Nuova Zelanda, dal Civic di e più recentemente il nuovo ASB del NZIFF è avvenuta per la prima ni donne laureate e professionisti Auckland al Regent di , Waterfront Theatre di Auckland. volta nel 2009, e da allora il succes- quarantenni, uomini e donne in dall’Embassy di Wellington (l’u- Fondamentale la spinta coesi- so dell’iniziativa non ha smesso di eguale misura, a smentire il cliché nico “vero” cinema del Festival) va fornita alle diverse anime del

latest - focus Nuova Zelanda Filo diretto da Wellington Il punto di vista critico.

NZIFF dal direttore Bill Gosden, nel 2011 è stato proiettato alla Mo- popolazione fosse di origine eu- programmatore del Festival di stra Internazionale d’arte cinema- ropea, culturalmente dominata Wellington nel 1980 e curatore, tografica di Venezia. “Va Tapuia” dai valori britannici, in più di un nel 1984, anche dei Festival di Au- è un concetto difficile da tradur- secolo di Storia il Paese ha impa- ckland, Dunedin e . re, ma fondamentale per la nostra rato a rispettare e conoscere il po- Da 38 anni Bill viaggia nel mon- cultura: allude all’energia che uni- polo originario, i Maori, compren- * produttrice e presidente do alla ricerca dei film miglio- sce spazi diversi, a quella forza di dendo quanto tutti abbiamo da dello New Zealand Interna- ri per espandere e arricchire il origine divina che può mettere in guadagnare dalla reciproca colla- tional Film Festival programma del NZIFF, che oggi comunicazione ambienti lontani. borazione. Oggi siamo fieri della è sotto la sua direzione in stret- Il nostro secondo film, One Thou- nostra nuova identità. La nostra ta collaborazione con un team sand Ropes, è stato selezionato dal- nazione è cambiata e abbiamo di capaci programmatori. Sono la Berlinale, girato a Wellington e fatto della diversità una forza. convinta che parte della salute e raccontato dal punto di vista di un Crediamo nei valori dei nostri an- della vitalità del cinema indipen- immigrato di Samoa. Amo il lavo- tenati europei, ma siamo anche dente del nostro Paese dipenda ro di Tusi Tamasese perché, senza convinti che le antiche culture del anche dalla presenza di un pub- tradire le proprie origini culturali, Pacifico abbiano molto da offrire blico attento e sofisticato, il cui e forte di una profonda conoscen- alla comunità globale. palato cinematografico è stato al- za del cinema indipendente, riesce Convinti anche che il pubblico ci- lenato dal lavoro del NZIFF. a raccontare storie universali: con- nematografico, nel mondo, non La mia avventura come presiden- tinuo perciò a lavorare al suo fian- abbia solo bisogno di sentirsi con- te del Festival prende le mosse da co come produttrice, continuando fermato e rassicurato, ma anche una lunga militanza nel cinema a occuparmi anche di coproduzio- intrigato dalla cultura di altri Pae- neozelandese. Dopo aver lavora- ni con Corea, Cina, Scozia, Irlanda. si e di altre nazioni. Incuriosito, in- to per cinque anni con i giovani Lavorare nel cinema in Nuova Ze- somma, da come altri popoli ab- talenti del Paese nella New Zea- landa oggi è un’esperienza stra- biano risposto con i “loro” film a land Film Commission, ho deciso ordinaria. Nonostante nel No- una domanda universale: che cosa di fondare una mia compagnia di vecento la maggioranza della ci rende, oggi, umani? produzione. Senza che ci fosse uno specifico indirizzo, se non la ricerca di talento e genio, tutti i corti che ho realizzato hanno un autore maori o samoano nei re- parti di regia o sceneggiatura. Ho sempre trovato le loro voci le più interessanti del Paese, e la stessa intuizione è stata condivisa anche dalle rassegne che nel corso degli anni li hanno selezionati: la Set- timana della Critica di Cannes, le sezioni Panorama e Generation della Berlinale, il Sundance e gli Oscar - con Two Cars, One Night di Taika Waititi nominato come Mi- glior Corto . Con il re- gista samoano Tusi Tamasese ho realizzato il corto Va Tapuia, che

80/81 cinema espanso

CALZATURE DIVINE

Il Museo Ferragamo e la mostra “Italia a Hollywood” dedicata alle creazioni di Salvatore, nel suo periodo hollywoodiano: a Firenze, palazzo Spini Feroni, fino al 10 marzo 2019.

di STEFANO STEFANUTTO ROSA

latest - cinema espanso gamo apre a Santa Barbara, con i fratelli, un negozio di riparazioni e di scarpe su misura. Da qui comincia la collaborazione con il mondo del cinema, realiz- zando calzature per i protagonisti e le comparse dei film di Griffith, Cruze, Walsh e DeMille. Ferra- gamo si afferma come shoemaker e shoedesigner, seguendo l’indu- stria cinematografica quando si traferisce nel 1923 a Hollywood dove apre un nuovo negozio in Hollywood Boulevard frequenta- to dalle star: Mary Pickford, Pola Negri, Joan Crawford, Charlie Chaplin, Rodolfo Valentino e Lil- lian Gish. Il capitolo californiano di Ferragamo è riassunto nell’ul- tima sala della mostra che ricrea l’Hollywood Boot Shop con i suoi prestigiosi clienti. Il successo di Ferragamo va di pari passo con il fascino che la cultura e l’arte italiana esercitano sullo stile architettonico delle ville, su- gli arredi delle case private, per- sino sulla struttura delle fastose sale cinematografiche. La mostra ricorda come il progetto della Cittadella Italiana, curato dall’ar- chitetto Marcello Piacentini, e la sua realizzazione alla Esposizio-

“Hollywood è la città paradisiaca Museo Salvatore Ferragamo che e infernale, crogiuolo di gioie e la ospita fino al 10 marzo 2019 a dolori, godimenti e supplizi, lus- Firenze, nel palazzo Spini Feroni. surie e macerazioni, sfinimenti La mostra è articolata in 8 sale che d’orgia e sfinimenti di miseria, espongono fotografie, video, se- oro che trabocca, povertà della quenze di film, manifesti, dipinti, più squallida”. Così il “paradiso” disegni, sculture, oggetti e abiti. del cinema viene descritto negli Si apre con un dipinto, Emigranti Anni ’20 da Alberto Rabagliati, (1894) di Raffaele Gambogi, che allora attore, giunto in California ritrae una famiglia italiana sulla dopo aver vinto nel 1927 un con- banchina in attesa di salire su una tratto della Fox per la ricerca di nave diretta in America. Tra il 1880 un nuovo “Rodolfo Valentino”. e gli Anni ‘20 milioni di italiani, da Prima di Rabagliati molti altri tutte le Regioni, lasciarono il Pa- connazionali arrivano sulla West ese. Tra questi emigranti l’irpino Coast in cerca di fortuna. Salvatore Ferragamo (1898-1960) E proprio il fenomeno migratorio che, dopo un breve soggiorno nel italiano nella California dei primi 1915 sulla East Coast, si trasferi- due decenni del ‘900, e in parti- sce in California, che ospita una colare l’influenza che la nostra variegata colonia italiana di cui la cultura ha nel mondo dello spet- mostra illustra le diverse attività: tacolo e della nascente industria agricoltura, viticoltura, ortofrut- cinematografica, è al centro della ticoltura, conserve alimentari, mostra “Italia a Hollywood”, cu- pesca, editoria, perfino la finanza. rata da Giuliana Muscio e Stefania Nel periodo trascorso in Califor- Ricci, promossa e organizzata dal nia (1916-1927) Salvatore Ferra-

82/83 ne Universale (Panama-Pacific International Exposition) di San Francisco (1915) è così apprezza- to da vincere il primo premio tra i 110 concorrenti. Inoltre, pittori e scultori italiani espongono per l’Expo nel Palace of Fine Arts, che include anche una sezione ricca di opere futuriste. Il nascente cinema hollywoodia- no è intanto influenzato dal no- stro cinema muto che, insieme a quello francese, domina allora la scena internazionale e la cui messinscena risente dell’alle- stimento scenico e operistico. È il caso delle scenografie del ca- pitolo babilonese di Intolerance (1916) di David W. Griffith, che richiamano Cabiria (1914), il film storico popolare di Giovanni Pa- strone cui la mostra dedica una sala, modello di kolossal storico che ispirerà anche I dieci coman- damenti (1923) di DeMille. Di Cabiria, soprannominato negli USA “The Daddy of Spectacles”, il papà di tutti gli spettacoli, ven- gono apprezzati le didascalie, opera di Gabriele D’Annunzio, le scenografie monumentali, l’uso dei movimenti di carrello, l’ac- compagnamento dell’orchestra e coro. Soprattutto il mito di Roma, capace di attualizzare la poten- za politico-militare dell’impero, viene interpretato come una me- tafora della Nazione americana. Altri film come Gli ultimi giorni di Pompei (1913), Quo vadis? (1913) e Caius Julius Caesar (1914) espor- tano Oltreoceano i contenuti di un’antichità “immaginaria”.

latest - cinema espanso 84/85 L’apprezzamento dell’arte e della cultura italiana si scontra con il pre- giudizio della società WASP verso gli immigrati italiani colpevoli di una natura troppo istintiva, passionale e sentimentalista. Ma il fascino e lo stile italiano nella Hollywood degli Anni ’10 e inizio Anni ’20 si conso- lida grazie a quattro grandi interpreti. Per Lina Cavalieri ed Enrico Ca- ruso l’ingresso nel cinema americano è garantito dalla provenienza dal teatro operistico e dal carisma personale; per Rodolfo Valentino e Tina Modotti dalla grande sensualità fisica ed espressiva. Valentino, il più amato e il divo per eccellenza, dopo parti secondarie di “sciupafemmi- ne”, raggiunge il successo con il film I quattro dell’Apocalisse, sfruttando al meglio l’espressività del viso, del corpo, dei gesti per esprimere stati d’animo complessi. “Egli riusciva ad associare la seduzione a un’etica sentimentale da eroe romantico, mai amorale”, scrive Giuliana Muscio nel catalogo della mostra. Accanto a questi volti italiani famosi e a quelli meno conosciuti di ieri, la mostra propone 15 ritratti di protagonisti della Hollywood di oggi, fotografati da Manfredi Gioacchini: dalla costumista Milena Canone- ro al montatore Pietro Scalia, al meno conosciuto artigiano Pasquale Fabrizio, le cui calzature sono apparse in Kill Bill. Nella galleria anche il videoartista Ancarani, cui è inoltre dedicata una sala con la sua vi- deo-installazione realizzata a Zuma Beach, famosa location dove è stata girata la scena finale de Il pianeta delle scimmie. A riprova del fascino dell’arte italiana e della qualità dei nostri arti- giani, il percorso espositivo si sofferma infine sul periodo 1919/1925, quando gli americani girano in Italia una dozzina di film. Tra questi Ben-Hur di Fred Niblo (1925), che impiega le nostre maestranze per costruire nel cantiere navale di Livorno le imbarcazioni storiche. E Ro- mola di Henry King (1924), che utilizza le manifatture fiorentine nella ricostruzione e ambientazione della città quattrocentesca negli studi cinematografici della V.I.S.

latest - cinema espanso Ö ZPETEK E LE STELLE DIGITALI

Cerca talenti sullo smartphone, Ferzan Özpetek con WhataStar, un talent che si mette in scena tutto esclusivamente sul device, parlando al mondo intero.

di NICOLE BIANCHI

Strizzando l’occhio, per assonanza, allo sdoganato What’s Up, ma gio- Vuoi essere tu la prossima Star? cando con il luccicante lemma universale “star”, prendendo della più Registra un video della tua perfor- famosa app di comunicazione istantanea le comuni caratteristiche di mance. Caricalo sulla app Whata- essere mondiale e abbracciare chiunque voglia farne parte in forma di Star. Da qui… inizia la (possibile) “comunità”, WhataStar è un talent, il primo in assoluto che conta non scalata: si viene votati e più si vie- solo sul popolo digitale e sul talento incanalato dalla Rete, ma anche ne votati, più si accumulano punti sull’umanità e sulla competenza di giurie composte da attori, can- e si diventa virali. Inoltre, gli stessi tanti, musicisti famosi, a loro volta iscritti alla app. Il loro voto varrà performer votano, naturalmen- doppio, essendo un parere sicuramente più consapevole e professio- te non della propria categoria. nale. Loro hanno anche una funzione di guida, ovverosia possono ca- Oppure si può scegliere di essere ricare un proprio video, non per partecipare al talent ma per ispirare le solamente spettatori e/o giudici. promesse nascenti. In una sezione speciale i concor- renti hanno la possibilità di cari- WhataStar prende spunto dai più classici show della televisione, ma care spezzoni di un proprio video con l’avanguardia reale rispetto al mezzo di comunicazione, quello più dietro le quinte (prove, errori esi- contemporaneo possibile, il digitale, quello che ancora chiamiamo – ahi laranti, etc), che entra a far parte noi! – “new media”, che di “nuovo” ormai poco possiede, essendo inve- di clip mixati di tutti i backstage ce IL medium dominante, quello della Rete e dei suoi derivati, tema che dei concorrenti di ogni angolo del Ferzan Özpetek sembra avere ben focalizzato e messo in pratica. mondo, in onda nella Rete (You- tube, etc). Il vincitore (o i vinci- WhataStar riflette talento, passione e anima: non solo una competizio- tori) di ogni categoria abita sulla ne, quindi, ma lo specchio digitale dei milioni di persone che nel mon- “copertina” digitale di Whatastar do, a tutte le età e da ogni provenienza, cantano o recitano, anche sem- per un mese (o almeno fino alla plicemente per il gusto di farlo, per la gioia o per il senso di comunità fine della gara successiva). che questa esperienza digitale può far nascere e incrementare. “Tutta la nostra vita è sul telefono, più che un talent è un nuovo modo di comuni- care”, ha spiegato Ferzan Özpetek.

WhataStar non va mai a dormire, è sempre in onda; non ha uno studio in cui si registra, perché non ha confini: WhataStar ricerca il miglior grup- po, il miglior cantante, il miglior attore, cercando senza limiti tra tutti gli stili musicali e tutti gli stili di recitazione. Musica e recitazione per molti, anzi per tutti.

86/87 PRANDINO, CONTE & REGISTA

Dallo spunto di un’amicizia personale, nel nome di un omaggio al proprio maestro, l’autore di Prandino L’altro Visconti racconta la figura del nipote di Luchino.

di CORRADO COLOMBO

Latest “I registi possono morire ma i loro film no, è per questo che ho deciso della moglie Patrizia, dei figli Edo- di lasciarti i miei film!” Così mi disse Prandino, nel ’95, qualche mese ardo e Ortensia, del cugino Marco prima di morire. Stavamo pranzando nella sua tenuta a Castellaro de’ Gastel, del suo sceneggiatore di Giorgi, in una sala dove sono esposti i quadri del Todeschini, testimo- fiducia Roberto Gandus, rivive ni inconsapevoli di questo incarico pieno di onore ma anche di oneri. anche lui. Nel 2012 Michael Gia- Forse lui sapeva più di me quanto la mia stima e ammirazione per il suo calone del Dipartimento Cultura cinema fossero esclusive e senza limiti. In effetti il Conte Eriprando Vi- Italiana a Washington organizza sconti di Modrone Erba, ma per chi l’ha conosciuto, e gli ha voluto bene, all’Università di Pittsburgh un più semplicemente Prandino, è stato per me un maestro, un mentore weekend cinematografico “Vi- ma anche un amico. Da quel pomeriggio del 1977 in cui lo conobbi in via sconti’s Family”: film di Luchino Margutta. Giovane cineamatore (avevo 21 anni), ero a Roma in cerca di ed Eriprando a confronto e La conoscenze e relazioni con i miei filmini in Super8 (con piccolo proiet- orca turba più de L’innocente, Una tore annesso!). Dall’elenco telefonico avevo segnato i nomi dei registi spirale di nebbia coinvolge più di presenti: Bellocchio, Comencini, Lizzani e altri fino a Visconti (Eripran- Gruppo di famiglia in un interno. do perché Luchino non c’era) in ordine alfabetico. Tutti furono molto Questi sono segnali che qualco- gentili e disponibili ma con Eriprando successe qualcosa di speciale, sa sta cambiando verso il cinema lui vide i miei filmini e si appassionò, si divertì… gli entrai in simpatia. di Eriprando Visconti, il tempo Un’amicizia durata 18 anni, dal ‘77 fino al ‘95, anno della sua scomparsa. ha forse restituito ai film il loro Un rapporto che si è trasformato nel corso degli anni, da allievo - perché valore artistico primario. Grazie lui mi ha insegnato il mestiere del regista sul set di Malamore (1982) - a al montaggio di Kim Arcalli, alla “prezioso consulente” quando feci il distributore di film di qualità (e mi fotografia di Blasco Giurato e ai i presentò uffici stampa, distributori, ecc), a padre putativo, prodigo di costumi di Clelia Gonzales, i film consigli sia nel lavoro che nella vita privata. Quando morì, da subito mi sembrano girati oggi. Quando nel occupai del “Suo Cinema”, come aveva scritto nel testamento, e andai a gennaio del 2017 incontro Mario recuperare le nove pellicole 35 mm dei suoi film e due scatoloni di sce- Gerosa, di cui avevo appena letto neggiature e materiale cartaceo e fotografico. Pensai “se i film devono la bellissima biografia su Anton vivere, per prima cosa devono essere visti”, e quindi contattai la Cine- Giulio Majano, parliamo quasi ca- teca di Milano - allora il direttore era Gianni Comencini (il fratello di sualmente del cinema di Eripran- Luigi, il regista) - e diedi in deposito le pellicole. Nel novembre del 2001 do Visconti. Anche Mario voleva lo Spazio Oberdan gli dedicò una personale e una prima serata con Una fare un libro su Prandino. Così storia milanese. C’era la sala stracolma, spettatori di ogni età ma soprat- abbiamo cominciato a mettere in- tutto giovani. La mia missione si stava compiendo, allora pensai che for- sieme idee, tematiche e siamo di- se dovevo dedicargli un libro ma non riuscivo a trovare la chiave giusta, ventati subito operativi: una parte un equilibrio tra il ricordo affettuoso e un’analisi del suo cinema. Anche riguardante la sua vita e una parte perché essendo Prandino nipote di Luchino Visconti il confronto sulla di analisi dei suoi film coinvol- loro opera era inevitabile, ma anche impari. gendo giovani critici, giornalisti e Avere avuto uno zio così importante lo ha sicuramente favorito all’inizio scrittori, impegnati ad affrontare di carriera ma poi lo ha marchiato per sempre come il Visconti minore, la sua opera a 360 gradi, dai temi in una gerarchia assurda e incomprensibile perché i loro film sono mol- principali come: la Trasgressione, to diversi, e non solo produttivamente, ma lontani per ispirazione e stile la Storia, il Paesaggio, agli elemen- e soprattutto l’aria del tempo: Luchino ha raccontato sostanzialmente ti fondanti del lavoro di un regista, l’Ottocento, Eriprando il Novecento. La critica dell’epoca lo ha sempre come la scelta e il lavoro con gli penalizzato, affrontando i suoi film con poca attenzione, rimproveran- attori, l’uso della musica, ecc. dogli di fare film facili e commerciali. Se si esclude il suo film d’esordio, Nel febbraio 2018 esce, grazie alla Una storia milanese, un premio alla Mostra di Venezia, un articolo su casa editrice Il Foglio di Gordiano “L’Espresso” firmato Alberto Moravia e un passaggio in Rai in prima se- Lupi, Prandino L’altro Visconti– rata presentato da Gian Luigi Rondi, quasi sempre i suoi film sono stati Vita e Film di Eriprando Visconti, bistrattati dalla critica ufficiale, il consenso era altrove. Come, nell’arti- regista milanese. Ora che il libro colo sulla Monaca di Monza (1969) scritto dal critico d’arte e poeta Fran- c’è, e i primi dati di vendita sono cesco Arcangeli e pubblicato nella terza pagina del “Corriere della Sera”. più che confortanti, la figura di Un articolo dal titolo inequivocabile: “Mi sembra un Capolavoro!” Eriprando è meno oscurata, ac- Mentre io cercavo l’ispirazione sul libro da fare, i suoi film continuavano quistando una dignità autoriale a vivere. Nel 2004 la rivista “Nocturno” dedica un dossier a tre registi che in vita non ha mai avuto. Mi milanesi: Cesare Canevari, Alberto Cavallone ed Eriprando Visconti. piace considerarlo un atto d’amo- Una piccola goccia che crea interesse per i film di Eriprando. Si ritor- re, amore per il cinema: per chi lo na a parlare di lui, giovani critici e cinefili stimolati da questo dossier ha fatto, per chi sogna di farlo… riscrivono criticamente il suo cinema per arrivare al 2010 con la pub- soprattutto per chi crede ancora blicazione in DVD di suoi quattro film: La orca, Oedipus Orca, Una spi- nella forza, energia e magia che i rale di nebbia, Malamore. Mi si chiede di realizzare gli extra. Coinvolgo film racchiudono. la famiglia, gli amici e collaboratori. Oltre ai suoi film, nelle interviste

88/89 geografie

L’ADRIATICOL’ADRIATICO DIDI FELLINIFELLINI

I luoghi del maestro riminese, con il mare (reale o artificiale) a farla padrone.

di OSCAR IARUSSI

Geografico e antropologico come pochi, il cinema di Federico Fellini a volte disorienta, alla lettera. Un esempio? Il passaggio notturno del Rex al largo di Rimini in Amarcord (1973) chiude una sequenza iniziatasi in pieno giorno. È un’epifania “adriatica” concepita sulla sponda del Tir- reno. Raccontò il direttore della fotografia del film, Giuseppe Rotunno: “La scena fu girata dentro le piscine di Cinecittà. Invece l’imbarco per la serata del passaggio del Rex l’abbiamo realizzato a Fiumicino, stavamo girando un tramonto e gli ho detto: ‘Federico, abbiamo il sole dalla parte sbagliata! A Rimini non tramonta in mare’ – ‘Sto qui per quello!’, mi ha risposto”. Già, l’Adriatico si presta a tale ambivalenza non solo simbo- lica: orienta e disorienta, appunto. Mare “chiuso” e verticale fino all’O- tranto dirimpettaia delle montagne albanesi, fu propaggine lagunare della Serenissima che per molti secoli lo dominò e ribattezzò “golfo di Venezia” o “nostro canal”. Ma l’ipoteca linguistica non è certo bastata a farne limaccio per gondolieri e se la Venezia dell’Era postmoderna ap-

latest - geografie pare a Régis Debray come una lu- gubre Disneyland ridotta a esibire il declino (una libido al crepusco- L’ADRIATICO lo che del resto è lo stigma del Casanova di Federico Fellini, 1976), l’Adriatico resta pur sempre un mare di storie vivide, tramandate nel congedo del ‘900 e oltre. La DI FELLINI dimensione equorea non fa spet- tacolo della realtà, è una realtà spettacolare. Così, per esempio, “filologo del mare”, secondo una nel Breviario mediterraneo di Pre- magnifica locuzione di Claudio drag Matvejevic, nelle raccolte di Magris, a testimoniare in un altro Sergio Anselmi, in taluni saggi me- suo libro, Mondo ex, dello spae- ridiani di Franco Cassano e nei re- samento che assale il reduce e il “deserte” nelle sequenze clou del portage di Alessandro Leogrande: transfuga delle ideologie dopo capolavoro con Marcello Mastro- pagine variamente in debito con l’89 europeo. L’esodo cominciò ianni e Anita Ekberg, come d’al- Albert Camus, per il quale perder- proprio in Adriatico con l’arrivo a tronde l’EUR di Le tentazioni del si significa ritrovarsi. Bari della “Vlora” nel 1991, La nave dottor Antonio, episodio felliniano entrato a Cinecittà. Non c’è al- Non v’è portolano che tenga per dolce con la prora verso Lamerica di Boccaccio ’70.... È un Fellini me- tro”. L’epilogo del film è affidato racchiudere l’Adriatico fra margi- dei film di Vicari e Amelio, pre- tafisico, mai così limpido e acuto al disincanto di Anna Magnani, ni sicuri o segni tranquillizzanti. ludio del Mediterraneo quale via come in Roma (1972): oltre un var- nella sua ultima apparizione sul- Da ultimo, persino le marine an- di fuga e incerto approdo, esilio co appena aperto, in una camera lo schermo: “A Federi’, vattene a siolitiche formato famiglia e i ba- e speranza. Un mare di storie che stagna si palesano dei magnifici dormi’”. Lui insiste: “Ti posso fare gni romagnoli cari alla Gradisca o imporrebbe un bagno di umiltà a affreschi che subito dopo svani- una domanda?”. E Nannarella: alla Saraghina sono punteggiati di tutti noi, sapendo che il sole tra- scono al contatto con l’aria, nello “No, non mi fido. Buonanotte”. caratteri in cirillico per i russi del- monta lì dove sorge. stupore impotente degli esplora- È l’horror pleni il basso continuo la classe media (laddove i ricchi Per il giovane Fellini che si raccon- tori. L’archeologia felliniana è una delle geografie felliniane, dalla moscoviti prediligono Forte dei terà ne I vitelloni (1953), l’Adriati- metafora della sparizione che ri- spiaggia di Gelsomina a La voce Marmi), trasportati con i charter co è un vacuum, è il filo dell’oriz- guarda la storia, l’arte e la bellezza, della Luna (1990), dove Fellini nell’aeroporto intestato a Fellini, zonte vuoto e uggioso scrutato dai non meno dei sentimenti. I fanta- torna con i semplici e i pazzi nel- al pari delle pizzerie e degli hotel pontili d’inverno, è una geografia smi dei genitori parlano a Marcel- le campagne dell’infanzia, negli nella sua città natale. E Rimini in quasi quasi “alla Antonioni” (l’e- lo Mastroianni in 8½ aggirandosi stessi borghi di 8½ e Amarcord, vista del centenario felliniano del sordiente Federico fu additato fra i resti dell’acquedotto romano ormai irrimediabilmente trasfi- 2020 allestisce un museo diffuso di... “incomunicabilità” dal criti- sull’Appia antica (le stesse rovi- gurati, e affida a Roberto Benigni tra il Castel Sismondo e il Palazzo co Guido Aristarco), è il “cinema ne del Dopostoria di Pasolini e, l’invocazione testamentale (e Valloni del rinato Cinema Fulgor. naturale” dei paesaggi poi evocati in seguito, di La grande bellezza di forse testamentaria): “Eppure io La lingua slava, apparentemente da Gianni Celati e Luigi Ghirri, Sorrentino), ma della rivelazione credo che se ci fosse un po’ più paradossale alla foce del Marec- è una “carta bianca” da istoriare presto non resta che nulla: solo le di silenzio, se tutti facessimo un chia, è una conferma “turistica” con sogni e bisogni, a partire dalla pietre del tempo, mute. po’ di silenzio, forse qualcosa po- dell’Adriatico quale nostro “Muro necessità di... partire. Ed è subito Roma di Fellini non è fiction e non tremmo capire”. O vedere, final- di Berlino”: una barriera fluttuan- Roma. La pineta di Fregene in cui è documentario, è un giornale in- mente... Dal buio, luce. Dal vuoto, te e invisibile che, senza la fatica dondola Alberto Sordi /sceicco timo che prende le mosse nella meraviglia. L’unica vera geografia di crollare, fluidificò frontiere e bianco (il parco dal 2014 è intito- Rimini degli Anni ‘30, donde un è bambina, là, in riva all’Adriatico, confuse mondi laddove la geopo- lato a Fellini) e la Foce del Rio Tre ragazzo di nome Federico (Peter sotto quei cieli struggenti di nuvo- litica non aveva neppure immagi- Denari a Passoscuro nel finale de Gonzales) parte per la Capitale le e di desideri. nato potessero lambirsi, come in La dolce vita, la Fontana di Tre- nel 1939: “Sono nato, sono venuto un film... Fu lo stesso Matvejevic, vi e Piazza del Popolo entrambe a Roma, mi sono sposato e sono

90/91 ricorrenze

UNA BICICLETTA PER L’ITALIA DEL ’48

Il capolavoro di Vittorio De Sica, Ladri di biciclette, restaurato in occasione dei 70 anni, a cura de L’immagine Ritrovata di Bologna, la Cineteca di Bologna e, tra gli altri, con il sostegno di Istituto Luce Cinecittà. di NICOLE BIANCHI

Un padre, un bambino e una bicicletta, a Roma, nell’anno 1948: l’entrata in vigore della Costituzione, la sanguinosa povertà postbellica del po- polo, l’attentato a Palmiro Togliatti e la speranza su due ruote, quelle che Gino Bartali pedalava per le vie del Tour de France, spronato per via telefonica dall’allora presidente del Consiglio De Gasperi, che confida nella fuga atletico-eroica, metafora di speranza per il Paese. Quella stes- sa due ruote che anche Vittorio De Sica-regista rende protagonista di un capolavoro immortale, Ladri di biciclette, pellicola di quello stesso anno, nata da Cesare Zavattini, che un giorno gli disse: “È uscito un libro di Lu- igi Bertolini, leggilo, c’è da prendere il titolo e lo spunto. Quel soggetto mi appassiona profondissimamente. Solo in due altri soggetti ho credu- to con uguale fermezza, Sciuscià e Umberto D.” (Vittorio De Sica ne Gli anni più belli della mia vita, “Il Tempo”, 16 dicembre 1954). C’è un debito e una gratitudine da parte di tutto il cinema mondiale nei confronti di Ladri di biciclette, anche premio Oscar come Miglior Film Straniero nel 1950 (e nomination per la Miglior Sceneggiatura non origi- nale per Cesare Zavattini), che quest’anno compie 7 decadi, mantenen- do integra una sintassi universale, in cui il cinema tutto si salda in una visione compatta, umana. Un’opera basilare, influente, esemplare per l’essenzialità di un racconto individuale, in cui brilla una forza narrativa contagiosa. Nel nome di tutto questo, il laboratorio L’immagine Ritro- vata di Bologna, la Cineteca di Bologna, Compass Film, Arthur Cohn, Euro Immobilfin, Artedis, con il sostegno di Istituto Luce Cinecittà, hanno curato il restauro del film, che è stato presentato lo scorso mag-

latest - compleanni gio a Cannes Classics 2018. Così, un titolo icona del Neorealismo, affi- dato ad interpreti non professionisti, quello che secondo André Bazin è: “il centro ideale attorno al quale orbitano le opere degli altri grandi regi- sti del Neorealismo”, è tornato a risplendere sul grande schermo, come accadde nella sua epifania, quando: “Gli uomini coraggiosi al punto di finanziare il film li trovai tra amici: Ercole Graziadei, Sergio Berardi e il conte Cicogna di Milano. Gli interpreti li trovammo in un modo avven- turoso. Il grande problema fu il bambino. Me ne portarono a centinaia: o erano bellini, romantici, lisciati, o erano incapaci”, ha continuato De Sica nel suo racconto del ‘54. Quel bambino - Enzo Stajola, trovato da De Sica nel quartiere popolare romano della Garbatella, scelto tra tanti per il suo modo di camminare, così come suo padre, l’operaio della Breda Lamberto Maggiorani, che ha recitato il ruolo che sarebbe potuto essere di Cary Grant, se il regista avesse accettato il denaro delle produzioni statunitensi, e la loro ricerca cristologica di una bicicletta per le strade di una Roma postbellica tra la borgata Val Melaina e il centro storico, sono i pilastri di questo film che, sì, compie 70 anni, ma il cui cuore artistico s’affranca all’età eterna dell’universo, impresso sugli occhi, prima e come sull’anima, anche gra- zie alla sua locandina, una piccola opera d’arte del pittore cartellonista Ercole Brini, capace con acquerello e tempere di dare una forma dise- gnata al Neorealismo italiano.

92/93 ricordi

Anna Maria Ferrero (1934-2018) VIA DAL CINEMA PER AMORE di LAURA DELLI COLLI

Roma, 1961. Mentre gira L’oro di Roma di Carlo Lizzani, un attore fran- del Neorealismo rosa: Domani è un altro giorno nel 1951 poi Cronache di cese neanche trentenne e decisamente affascinante incontra un’attrice poveri amanti (1954), Totò e Carolina (1955) diretta da Mario Monicelli, italiana neanche trentenne, deliziosamente femminile e già affermata. con un grande Totò agente obbligato a prendersi cura di una ragazza in- Lui è ancora poco conosciuto, charmant e nobile per aristocratica di- cinta e senza famiglia. Con Gassman Amleto (1954) e Otello (1957). Poi scendenza. Lei è una piccola diva della porta accanto, lanciata anche a nel 1958 Irma la dolce, nell’omonimo musical di cui il grande Vittorio teatro, reduce da qualche anno d’amore con Vittorio Gassman, che ha cura la regia. conosciuto in attesa di divorzio da Shelley Winters. È il colpo di fulmi- ne e la signorina Anna Maria Guerra in arte Ferrero (in omaggio allo zio Della sua filmografia resta indelebile anche La notte brava di Mauro Bo- Willy, musicista, unico che in famiglia aveva creduto nel suo talento) lognini (1959) ispirato a Ragazzi di vita di Pier Paolo Pasolini. Poi il silen- da una quindicina d’anni sulla cresta dell’onda tra cinema e teatro, ne- zio. Ettore Scola nel 1985 prova ad offrirle un ruolo in Maccheroni. “Mi ha anche un anno dopo lo sposa. La storia d’amore tra Jean de Combault tentato” diceva, “ma poi ho rinunciato”. E infatti è rimasta lontana dal marchese di Roquebrune, in arte Jean Sorel e Anna Maria Ferrero non cinema fino ai suoi ultimi giorni. Felicemente. si è mai fermata: solo la scomparsa di lei, il 21 maggio scorso a Parigi, dopo una malattia inesorabile, ha chiuso un’intesa inossidabile per ol- PS se posso aggiungere una nota personale: tornando dal mio primo junket tre mezzo secolo, siglata, da parte di lei, da una incredibile dedizione internazionale, in un inverno del 1976, mi trovo per caso a tavola a Parigi sentimentale. Basta con lo spettacolo, già nel ’63 decide di far la moglie con due amici di una persona di famiglia molto lontana, peraltro, dagli am- felicemente nell’ombra, pur di vivere in pieno un’unione in cui la star, bienti dello spettacolo. Non sapevo fossero due attori ma riconosco subito, per ben 33 film girati in Italia - una ventina dei quali solo negli Anni ‘60 - già giovanissima precaria del giornalismo cinematografico, proprio loro: è solo lui, l’unico bello d’Oltralpe capace di contendere il titolo ad Alain Sorel e Ferrero. Ammetto di aver provato un attimo di emozione davanti a Delon, perfino accanto a Luchino Visconti. una tartare, in un semplicissimo bistrot, ma chiedo timidamente notizie dei E dire che la piccola Ferrero aveva cominciato con una grinta da vende- loro progetti. Sorridendo mi risponde: “Non lavorare mai più, occuparmi re: ricordarla oggi vuol dire infatti ripescare innanzitutto i sui esordi, da di un marito come Jean e lasciargli fare quello che vuole”. Sull’onda del ‘68, quindicenne, fermata per strada da Claudio Gora che la trova perfetta una bella provocazione. Ma, chapeau, la piccola grande Ferrero non ha mai per il suo Il cielo è rosso. È il 1949 e la sua grazia conquista il cinema al pun- cambiato idea… to che inizia per Anna Maria una galleria di interpretazioni sul tono mélo

latest - ricordi Carlo Vanzina (1951-2018) IL CRITICO (GENTILE) CHE NON C’È STATO di ROCCO MOCCAGATTA

Carlo Vanzina avrebbe voluto fare il critico prima ancora che il regista. ro (questo è facile da scoprire), parecchio Weekend con il morto (questo è Da bambino pensava che fosse un modo per andare sempre al cinema un po’ meno facile), un pizzico di , soprattutto agli inizi gratis, mi confessò in uno dei primi incontri per un’ampia intervista (questo è difficile). E, ça va sans dire, la commedia dei padri e dei mae- sulla carriera dei “famigerati” fratelli Vanzina. Perché, altrimenti, con stri, Risi, Monicelli, Scola, che, ora l’uno ora l’altro, hanno dovuto rico- la sua bulimia spettatoriale, sarebbe costato parecchio. Mi piace pen- noscere che sono stati proprio i Vanzina a portare avanti la loro tradizio- sare che già s’intravedesse allora il regista amato dai produttori perché ne, Carlo anche nello stile, nella velocità, d’ispirazione e d’esecuzione, attentissimo al budget, capace di girare con precisione millimetrica il nell’invisibilità discreta dietro la mdp. Però, quella cinefilia bisognava film montato in testa fin dal set. “Con Carlo, girare ai Caraibi costava anche un po’ saperla cogliere, e qui, spiace dirlo, i critici veri, suoi col- quanto girare a Manziana”, chiosa il fratello Enrico, l’altra metà della leghi mancati, non hanno mai troppo brillato. Era più bravo Carlo, che coppia, non semplicemente la parola, ma anche l’occhio accanto e in i critici li leggeva (anche quando non parlavano di lui) e spesso i film li più (in post-produzione, e oltre). Giovanissimo, Carlo andava pazzo capiva meglio di tanti di loro. Che preferivano buttarla sui Cinepanet- per i film americani (e non solo), non ne aveva mai abbastanza, viveva toni, su “Iside, famme ‘na pompa!”, su Boldi e le sue avventure scato- in sala, organizzava con gli amici cineforum improvvisati in scantinati e logiche. Anche qui, tirando una riga sopra una genealogia abbastanza simili, riempiva da autentico grafomane pagine e pagine di quaderni e illuminante, ché Carlo (come Enrico) era figlio di Steno, e dietro Steno, quaderni di notazioni sui film, non solo recensioni, soprattutto nomi, di quella cafe society degli Anni’50 e ’60, Via Veneto e dintorni, che ci ha spunti, curiosità tecniche. Sono convinto che oggi ci potremmo trovare lasciato tanto come impronta culturale, non solo qualche bella battu- prodromi e incunaboli di tanti film realizzati anni dopo: la passione per ta da riciclare sui social per sembrare più intelligenti. Così come Carlo quell’attore, l’amore per quel film, il gusto per quel tipo di storia. Perché ci lascia 60 film, di commedia (con qualche sorpresa), diverse fiction, Carlo Vanzina era un vero cinefilo, di quelli che sanno recitare a me- qualche sceneggiatura scritta per altri, tutto o quasi in tandem con Enri- moria intere filmografie e muoversi con sicurezza nei generi comples- co, un lascito prezioso, una filmografia d’altri tempi, come quella di uno si della Hollywood classica, il noir, il gangster, il western (che avrebbe Steno appunto, partita a ridosso dell’attualità e poi svaporata con grazia voluto sempre fare, che è riuscito a girare solo come parodia). Un po’ in una dimensione fuori dal tempo, che si potrebbe avere la tentazione come Alberto Tarallo, che per tutti, se va bene, è il produttore delle fi- di attribuire a un classico. “È meglio dei film che fa”, concedeva più d’u- ction con Gabriel Garko, seppur tra i massimi cultori italiani del melò no, magari senza prendersi la briga di vederli davvero. Pazienza, l’hanno hollywoodiano, alla faccia di tanti tromboni. Con Carlo, che conosceva capito meglio i tantissimi attori, italiani e stranieri, che l’hanno molto bene, quando s’incontravano doveva essere uno spettacolo assistere a amato, per il garbo gentile che sempre si accompagna alla capacità au- una loro conversazione sui film amati. Questa cinefilia emergeva nei tentica. “Io senza cinema morirei. È la mia vita!”: è stata una delle poche film dei fratelli Vanzina, nei luoghi più impensati: dietro un Proietti am- volte che ho intravisto in lui una serietà non temperata dalla leggerezza nesiaco fanno capolino Capra e Lady for a Day, il bastone con lama re- di una battuta a smorzare il pathos, come sempre. In uno degli ultimi trattile del villain di Gilda ispira l’analoga arma di un poliziotto corrotto sms che mi ha scritto c’è tutto Carlo Vanzina spettatore appassionato, in uno dei (rari) thriller, Il padre della sposa, fa da quinta a Brignano co- critico innamorato del cinema fino alla fine: “Stasera ho visto Colpo da stretto a cenare con la figlia racchia del capo. E poi, tanto Ritorno al futu- otto e due giorni fa Lettera al Kremlino!” Ciao Carlo!

94/95 innovazioni

FALCHI E COLOMBE CONTRO NETFLIX & CO. di ROBERTA CHITI

Come l’Europa stabilisce le prime regole: dalla rottura di Cannes all’apertura di Venezia.

La rottura messa in atto dal Festival di Cannes e l’apertura della Mo- Tra gennaio e marzo di quest’anno Netflix ha registrato 7,4 milioni di stra di Venezia. Sono i due poli della complicata risposta europea nuovi abbonati: ora sono 117 milioni in tutto il mondo tranne Cina, Cri- a Netflix, la società fondata da Reed Hastings per la trasmissione in mea, Corea del Nord e Siria. Il fatturato è cresciuto del 43% nell’ultimo streaming di serie Tv e film. “Bestia digitale” che fin dai suoi esordi anno a 3,7 miliardi di dollari. Quest’anno investirà 8 miliardi di dollari in ha spiazzato equilibri consolidati nell’industria dell’entertainment 800 titoli tra serie e film – più del doppio di qualunque Studios. Niente provocando nuovi assetti nella tv, nel cinema, nelle telecomunicazio- break even in vista, per ora, ma una folle corsa all’espansione. ni. “Nemico pubblico numero uno”, la chiamano a Hollywood stan- do al “Wall Street Journal”. “Il posto dove i film vanno a morire” l’ha Il secondo dato allarmante è contenuto nelle parole usate dal numero definita il vecchio Rupert Murdoch che di business se ne intende. La uno dei contenuti, Ted Sarandos, contro il “sistema sala”. Conviene leg- “bestia digitale” farà bene o male alla fabbrica dell’immaginario? Che gerle con attenzione: “In sala vedo sedie scomode, gente che chiacchie- strumenti ha a disposizione per farci i conti? Le risposte stanno forse ra e guarda il telefonino, pavimenti sporchi e schermi piccoli. Eppure, le tra i due poli: tra la decisione “protezionistica” di Cannes che ha esclu- windows non sono ancora state toccate dall’avvento di Internet: non so so dal concorso i film destinati solo all’online e non alla sala (dunque per quanto ancora le cose rimarranno così. Non è un buon affare impe- quelli di Netflix) e l’ “apertura” della Biennale di Venezia che lancia dire alle persone di fare quello che vogliono…”. un ponte al futuro anche se pieno di insidie: strategie complesse, per- ché il gioco si è fatto duro nel giro di pochissimo tempo. Ma un passo L’attacco alle “finestre” è esattamente il pezzo forte dei piani di espan- in questo senso lo sta compiendo l’Europa con una maxi-riforma del sione della società. Dice Emilio Pucci, direttore di E-Media Institute, so- sistema audiovisivo, soluzione compromesso tra le richieste di Paesi cietà di analisi con sede a Londra: “Dopo aver eroso il terreno dell’Ho- “falchi” e “colombe” ai giganti USA dello streaming. me Video fisico, avviato ormai al declino, Netflix punta alla sala che mantiene il controllo della prima finestra di sfruttamento del film”. Al centro della tensione tre fattori esplosivi: i numeri in vertiginosa cre- scita, l’attacco alla sala cinematografica come pilastro della strategia di In questo senso la guerra ingaggiata dal direttore di Cannes ha un forte sviluppo, un modello di distribuzione che basa la sua potenza sull’uti- senso politico e strategico: niente Festival se fai della guerra alla sala lizzo dei dati digitali. la tua fortuna.

latest - innovazioni FALCHI E COLOMBE CONTRO NETFLIX & CO.

Il tutto all’ombra di un modello di distribuzione che fa per- no sulla forza “disruptive” tipica del mondo digitale: grazie a una complessa architettura di algoritmi (si chiama Netflix Recommender System) la piattaforma prende costantemente il polso dell’abbonato registrando cosa vede, quando, su che dispositivo, a che ora del giorno, in quale giorno della settimana, con che intensità. “Il recommender system – dice Augusto Preta, direttore generale di ITMedia Consulting - deve produrre suggerimenti tali che sia altamente probabile, o meglio ancora certo, che l’utente trovi un contenuto di interesse”. In questo senso Netflix è un perfetto player dell’industria tech: come Facebook, costruisce una “bolla” che rappresenta l’alter ego digitale dell’abbonato costruito sulle sue preferenze.

Certo è difficile scendere a patti con la “disruption”, ma ne va della sopravvivenza di intere industrie: al di là dei singoli accordi stretti da Netflix con player locali, sta prendendo forma a livello europeo una strategia che punta a trovare aree di collaborazione con le nuove piat- taforme digitali a sostegno delle cinematografie, è quanto prevede la Audiovisual Media Service Directive che vincola Netflix, Amazon e le altre piattaforme streaming a proporre in catalogo più film europei: il 30%. Ma anche l’obbligo di investimento nelle produzioni naziona- li sia attraverso la modalità “diretta” che “indiretta”, a un fondo na- zionale ad hoc. L’Italia si è mossa per tempo: il Decreto Franceschini prevede già una serie di operazioni nella stessa direzione. “Tra le due modalità, l’investimento diretto mi sembra di gran lunga più rispetto- so della libertà editoriale ed economica degli operatori – dice Ernesto Apa, socio dello studio legale Portolano Cavallo -, libertà che già su- bisce una severa compressione nei Paesi che, come Francia e Italia, si sono avvalsi della facoltà di introdurre obblighi più stringenti rispetto a quelli previsti dalla direttiva”.

Il primo passo è stato fatto, resta da vedere su quale punto di equilibrio si attesteranno le forze in campo. I due poli tracciati da Cannes e Vene- zia stanno mettendo in luce prospettive nuove.

96/97 LE TRE ERESIE DEL CINEMA

L’autore di Economia, Management e Finanza dell’Impresa Cinematografica ed Audiovisiva anticipa i punti cardine del volume, che analizza le connessioni tra immagini e altre forme di narrazione anche dal punto di vista industriale e finanziario.

di GIANNI CELATA

Il cinema e tutte le sue derivate, siano esse televisive, web, pubblicitarie, corporate e altre, sono la forma di narrazione ormai più diffusa. Ha una capacità di attrazio- ne che nessun’altra forma narrativa riesce ad esprimere. Il motivo sta nel fatto che il cinema è la forma dei nostri sogni, della nostra immaginazione, dei nostri pensieri. Come ogni altra forma di narrazione, si regge su un impian- to economico, finanziario, industriale e tecnologico. Lo stesso avviene per l’editoria, l’architettura, il fashion, il de- sign, ormai applicato in pressoché tutti i settori industriali. Creatività, arte, immaginazione sono da sempre connesse a forme e variabili imprenditoriali, societarie, di organizzazio- ne della produzione, della distribuzione e delle pratiche di consumo.

Il cinema e le sue tante forme derivate audiovisive han- no invaso e spesso cannibalizzato i modi precedenti di consumo e spazi di tempo dell’uomo. Oppure si sono reciprocamente “contaminate”. È il caso ormai consolidato della pubblicità, che può essere consi- derata, al di là del fine economico, una forma di espressio- ne che assume qualità cinematografica e che, nello stesso tempo, contamina il cinema. Avviene con la stampa, quella quotidiana o periodica, le cui derivate Internet si avvalgono

latest - innovazioni in maniera sempre più determi- nante di supporti audiovisivi. Si conferma con la narrativa, che da sempre si contamina vicendevol- mente con il cinema e tende a usa- re i booktrailer per promuoversi. E infine la contaminazione si “esal- dalle altre, nella misura in cui si fonda, il che potrebbe apparire un ossi- ta” con i cartoon e i videogiochi. moro, su tre eresie economiche. La prima eresia economica riguarda proprio il rapporto tra costi del pro- Non c’è ormai forma di narra- dotto cinematografico e i mezzi propri della società di produzione. La zione che si svolga senza l’e- produzione di un film assume, infatti, la forma di un quasi spin off attor- spressione audiovisiva e quin- no al quale si raccolgono altri finanziatori in termini di equity, softmoney di della sua matrice originaria: e presales. il cinema. La seconda eresia consiste nella sfasatura tra il tempo in cui maturano i Caso a parte da sottolineare è costi per la realizzazione di un film e i tempi di acquisizione del contri- il rapporto tra musica e cine- buto finanziario dei vari altri partecipanti alla copertura del suo costo. ma. La musica indica la strada che La terza eresia riguarda la sfasatura tra i tempi di maturazione dei costi seguiranno poi gli altri media, in per la produzione di un film e i tempi del recupero economico del film termini di modalità di distribu- che parte dal theatrical, prosegue con l’home entertainment e si dipana zione e di consumo. Avviene dal nelle varie forme di televisione e quindi nelle fruizioni ancillari. ‘600 quando Mozart, costretto La società di produzione cinematografica affronta, per ogni singolo film, dalle sue vicende professionali ed queste tre eresie economico-finanziarie di non poco conto, pressoché economiche, inventò, grazie ad sempre con affanni e ansietà ricorrenti. Che fare per aiutare la produzio- un mercante parigino, la commer- ne? C’è bisogno dell’introduzione nel nostro Paese di strumenti come cializzazione degli spartiti musi- il bridge e il gap financing che oggi ci sono, ma in forme criptiche e non cali, al secolo attuale quando con chiarificate. Oltre a questo, produrre in un’ottica internazionale diventa Internet precedette tutti gli altri, ormai un prerequisito obbligatorio per la diversificazione del rischio e cinema incluso, nella distribuzio- per affrontare gli alti costi che richiedono la confezione creativa e indu- ne digitale. Non solo, scendendo striale del prodotto in un mercato ormai molto concorrenziale. nei particolari, detta il pricing del- la distribuzione digitale e, nello Industria che sta affrontando una sfida ancora più esaltante di stesso tempo, e paradossalmente, altri settori nella misura in cui il suo prodotto è completamente la rivalutazione espressiva ed eco- digitabile e quindi distribuibile con il Protocollo Internet. Questa nomica di una delle forme più an- circostanza ha ampliato la platea dei protagonisti: OTT e Telcoms in pri- tiche di narrazione: lo spettacolo mo luogo. A questa invasione i protagonisti di sempre stanno reagendo. dal vivo. La crescita del consumo La sala cinematografica spostandosi verso la multiprogrammazione, digitale di musica si accompagna che sta esplorando anche format nuovi come i cosiddetti contenuti infatti con la rivalutazione dei complementari e andando verso la ricerca di modi con cui aumentare concerti dal vivo. Lo stesso vale la user experience dello spettatore. I broadcaster, sia terrestri sia satelli- per le performance teatrali che tari, a creare branch OTT per i propri contenuti. vedono sempre più la presenza In questa fase, dopo un primo approccio guidato dalla diffidenza e for- attoriale del cinema. Quasi come temente concorrenziale, si sta assistendo a forme di collaborazione, tra se attori e attrici, che conoscono vecchi e nuovi protagonisti, che portano ad allargare ancor più lo spazio una vita principale nei film, sen- di tempo in cui lo spettatore può fruire del contenuto filmico. C’è stata tissero il bisogno di risciacquare i quindi una comprensione dell’importanza di come la fruizione consu- panni in Arno. mi, come per gli altri prodotti media, ma come non avviene per nessun altro prodotto industriale, il tempo del consumatore finale. L’arric- Il cinema come industria ha un chimento dei modi di godimento, anche in nomadismo o/e mobilità, si- alto coefficiente di rischio, sia per gnifica allargamento del mercato anche per prodotti, come i documen- il produttore sia per il consuma- tari, che stentavano ad averlo. tore. Questo l’ha portato ad assu- Il testo Economia, Management e Finanza dell’Impresa Cinematografica ed mere paradigmi economici-socie- Audiovisiva (https://stores.streetlib.com/it/giandomenico-celata-e-ros- tari-finanziari diversi, secondo le sella-gaudio/economiamanagement-e-finanza-dellimpresa-cinemato- caratteristiche dei singoli mercati grafica-ed-audiovisiva/) prova a raccontare tutto ciò. nazionali nativi. Mercati peraltro resi sempre più internazionali e di easy approch, dalle tecnologie digitali e Internet e di applicazio- ne ai cosiddetti mobile device: pc, tablet, smartphone, videogame. Un’industria, quella del cinema, che si caratterizza diversamente

98/99 internet e nuovi consumi

RITORNO ALLA LUNA, DA MÉLIÈS ALLA REALTÀ VIRTUALE

DI CARMEN DIOTAIUTI

È dedicato al pioniere degli effetti speciali Georges Méliès il primo Doodle in realtà virtuale, Ritorno alla Luna. Un filmato interattivo e liberamente navigabile dallo spettatore il quale può scegliere dove guardare e come muoversi. Ma non è l’unica incursione nelle narrazioni immersive a opera di Google, che ha lanciato le Spotlight Stories realizzate appositamente per mobile e disponibili sull’omonima app.

“Amici miei, mi rivolgo a voi per e dell’immaginazione. Un pioniere di eventi da celebrare. Un filmato ciò che davvero siete: illusionisti, degli effetti speciali rivoluziona- in VR, interattivo e liberamente sirene, viaggiatori, avventurieri e rio e visionario, a cui Google ha navigabile dallo spettatore a 360°, maghi. Venite a sognare con me”. dedicato il suo primo, altrettanto che può scegliere dove guardare e Parlava così al suo pubblico incan- visionario, Doodle interattivo, come muoversi, diventando così, tato il regista e illusionista francese Ritorno alla Luna, diretto da Fx nella pratica, macchina da presa e Georges Méliès quando, agli al- Goby ed Hélène Leroux e realiz- insieme autore del montaggio del bori della cinematografia, amava zato con la tecnologia della realtà film cui assiste. Pubblicato onli- sperimentare ogni sorta di effetti virtuale (VR). Un corto animato ne lo scorso maggio, in occasione speciali alla ricerca di vivaci e sem- che, come di consueto, può esse- dell’anniversario di Alla conquista pre più prodigiose soluzioni tecni- re lanciato dalla variante illustrata del Polo - capolavoro di Méliès del che e narrative capaci di spalanca- del logo di Google che appare sulla 1912 nel quale offriva una diver- re le porte verso il mondo dei sogni home page di ricerca in occasione tita e fantasiosa interpretazione latest - internet e nuovi consumi trimonio, Laurent Mannoni, ci tiene a sottolineare come Méliès fosse affascinato dalle nuove tec- nologie alla continua ricerca di invenzioni originali: “Immagino delle allora recenti esplorazioni che sarebbe stato molto contento di Amundsen nelle Regioni polari di vivere nella nostra epoca, così - Ritorno alla Luna è un racconto ricca di esperienze cinematogra- coinvolgente capace di trasportare fiche immersive, effetti digitali e lo spettatore in un mondo intriso immagini spettacolari sugli scher- di magia, navigabile attraverso un mi. Si sarebbe indubbiamente visore tridimensionale, le cui se- sentito lusingato di trovarsi sotto quenze hanno una peculiare do- i riflettori grazie al primo Doodle minante cromatica per richiamare di Google in assoluto fruibile tra- all’uso del regista di dipingere i mite video a 360° o realtà virtuale, singoli fotogrammi delle pellicole portato sotto i riflettori in tutto il per dar loro colore. Nel racconto mondo grazie a un nuovo sistema un affascinante illusionista, un’av- dagli sconfinati poteri magici”. Del venturosa regina di cuori e un dia- resto per Méliès la pellicola e la ci- volo malvagio celebrano la vivace nepresa non erano semplici stru- fantasia del regista e prestigiatore menti per catturare le immagini, francese con un viaggio tra i pri- ma piuttosto mezzi per trasportare mi esperimenti del cinema, e non e far immergere completamente le può che terminare con l’iconica persone all’interno di una storia, all’interno del mondo virtuale, ed immagine del razzo nell’occhio come sottolinea la scenografa del oltre che spostare lo sguardo per della luna. La storia mette in rilie- Doodle, Hélène Leroux: “Méliès esplorare gli scenari da angolazio- vo alcuni dei trucchi illusionisti- ha portato la magia nel mondo del ni diverse è anche possibile sbloc- ci ideati da Méliès per dar vita ai cinema grazie a un ampio ventaglio care micro-narrazioni all’interno suoi mondi magici pieni di effetti di trucchi e illusioni. E noi voglia- della storia. Tra i video disponibili teatrali e pirotecnici, precursori mo rendergli omaggio utilizzando un inedito dietro le quinte in VR degli odierni effetti speciali: dalle uno degli strumenti più innovativi del film di animazione in stop-mo- sparizioni in mezzo a fiamme, gas e coinvolgenti di cui disponiamo tion di Wes Anderson L’isola dei e vapori, ottenute interrompendo al giorno d’oggi per raccontare una cani, in cui è possibile incontrare le riprese e facendo uscire di scena storia: la realtà virtuale” parte del cast canino alle prese con il personaggio, alla fantasmagorica una sessione di interviste sul set; moltiplicazione dei protagonisti in Ritorno alla Luna non è, però, sol- il filmato interattivo Il pianeta dei scena, creata tramite sovrimpres- tanto un innovativo Doodle, ma divani, realizzato dal team creatore sione sulla pellicola, riprendendo anche una delle Spotlight Stories dei Simpson per celebrare il seicen- più volte uno stesso protagonista lanciate da Google e disponibili tesimo episodio della serie; il bel in posizioni differenti. attraverso l’omonima app: una for- corto Pearl, racconto di un padre ma di narrazione immersiva e inte- e di una figlia che attraversano l’A- Il Doodle, prodotto da Nexus Stu- rattiva, realizzata appositamente merica per inseguire i propri sogni dios, è stato realizzato da Google per dispositivi mobili e VR che di- a bordo di un’auto, che è la loro Doodle, Google Spotlight Stories, ventano la finestra attraverso cui lo casa, realizzato da Patrick Osbor- Google Arts & Culture in collabo- spettatore può osservare la storia. ne e vincitore nel 2017 di un Emmy razione con la Cinémathèque Muovendo il telefono durante la e candidato, prima volta per un VR, Française, il cui direttore del Pa- visione si sposta la videocamera agli Oscar come miglior corto.

100/101 marketing del cinema italiano

L’ANNO DER CANARO

di ANDREA GUGLIELMINO

Suscita curiosità vedere distribuiti nello stesso periodo due film sul medesimo argomento (un efferato fatto di cronaca degli Anni ’80). Entrambi validi prodotti per il loro genere, il Dogman di Garrone e il Rabbia furiosa di Stivaletti, con la loro uscita ravvicinata, ci ricordano di quando il cinema italiano cavalcava l’onda dei grandi successi richiamandone il titolo o l’atmosfera…

latest - marketing del cinema italiano Ad aprile dello scorso anno, Mat- è passato a Cannes ed è valso a zando un prodotto a buon mer- maestria del regista poche decine teo Garrone annunciava di aver Marcello Fonte il premio per la cato che puntasse solo sul “gore” di comparse truccate sembrano momentaneamente abbandonato Miglior Interpretazione Maschi- per agganciarsi all’annunciato diventare centinaia di morti vi- il suo progetto di trasporre Pinoc- le, rivelandosi un successo di cri- successo del “rivale” autoriale. venti all’attacco del ponte di Bro- chio per il cinema per dedicarsi a tica e di pubblico. Ad agosto del In verità, Stivaletti si è distinto oklyn – ambientati a New York. tutt’altro tema: il suo successivo 2017, però, anche qualcun altro per aver realizzato un film con Funzionò: la pellicola incassò in film, Dogman, sarebbe stato infatti annunciava di star lavorando allo una struttura solida e profon- totale 1.502.251.238 di lire, classi- ispirato a uno dei più atroci delitti stesso tema: era Sergio Stivalet- da, tutt’altro, insomma, che un ficandosi al 57° posto della clas- della cronaca nera degli Anni ’80, ti, mago dell’effettistica speciale “fratello minore”, sebbene negli sifica annuale e suscitò un certo conosciuto come l’omicidio “der tradizionale – conosciuto per il ultimi dieci minuti (sconsiglia- clamore. Complessivamente, nel canaro”, fattaccio verificatosi alla suo lavoro soprattutto in ambito tissimi alle anime candide) non mondo, guadagnò circa 30 milioni periferia di Roma dove un mite horror con Argento, Bava e Soavi lesini di raccontare la tortura nel di dollari, secondo molte fonti ri- toelettatore di animali seviziò per – e poi regista per MDC- Maschera dettaglio come il suo pubblico si scuotendo un successo superiore ore e infine uccise il pugile che lo di cera (1997) e I tre volti del terro- sarebbe aspettato da lui. “Quel a Zombi. A Romero e Dario Argen- tormentava fisicamente e psico- re (2004). Era facile pensare che brutto fatto – ci ha tenuto a pre- to, che aveva di fatto co-prodot- logicamente da mesi. Il risultato si trattasse del classico tentativo cisare Stivaletti presentando il to Zombi (insieme a suo fratello ora è sotto gli occhi di tutti, il film di cavalcare l’onda, magari realiz- film Rabbia furiosa: er canaro alla Claudio) e curato il montaggio stampa – a noi romani è rimasto dell’edizione, la cosa non piacque, dentro, ho sempre immaginato e in particolare non venne apprez- di poterci lavorare. Avevo la sce- zata la frase di lancio: “...quando i neggiatura pronta già da tempo e morti usciranno dalla tomba, i vivi rispetto a Garrone ero più avanti, saranno il loro sangue...”, che rie- ma non trovavo un produttore. cheggiava la frase promozionale Ho capito che dovevo essere io a del film di Romero, “Quando non mettermi direttamente in campo ci sarà più posto all’inferno, i mor- e forse l’annuncio del film di Mat- ti cammineranno sulla Terra”, teo mi ha stimolato, le cose si sono così tra i due autori si venne a cre- messe per il verso giusto”. Sembra are un divertente battibecco che proprio “l’anno der canaro”, dato in realtà aiutò entrambe le pelli- che il misfatto, avvenuto trent’anni cole, e quella di Fulci venne pure fa, è al centro anche di un romanzo rivalutata dalla critica negli Anni scritto da Antonio Del Greco e ’90 e 2000. “Nocturno” lo defini- Massimo Lugli, oltre che del rac- sce “un’opera rivoluzionaria, dal conto contenuto nel volume Fat- punto di vista estetico e tecnico, tacci di Cerami, che è del 2014). Il rispetto alla tradizione horror, e film di Garrone è certamente più non solo italiana” nel dossier n.3. simbolico e intimista, non mostra L’opera al nero. Il cinema di Lu- la violenza ma la suggerisce, diven- cio Fulci del 2003. tando una parabola universale, ma Altro celebre esempio è l’Alien 2 – non è tanto il confronto tra le due Sulla Terra di Ciro Ippolito, girato pellicole che ci interessa in questa in grande economia alle grotte di sede, quanto l’abile strategia di far- Frasassi per cavalcare il successo le uscire quasi in contemporanea. del capostipite di Ridley Scott, ma Non che ci sia niente di male e ricordiamo anche il Terminator non è nemmeno una cosa nuova 2 di Bruno Mattei (1990), uscito nell’ambito del cinema di genere due anni prima del seguito uffi- italiano, solo che i memorabili ciale di James Cameron. Casi precedenti si mettevano più al in cui il tempismo e il marketing rapporto con le pellicole USA, diventavano decisamente più im- come il leggendario Zombi 2 di portanti del valore stesso del film. , con un richiamo nel Inutile dire che negli altri Paesi titolo allo Zombi di Romero che queste pellicole sono uscite tutte però, nella sua terra d’origine, si con titoli differenti, ma non sono chiamava Dawn of the Dead ed era solo i registi e i distributori italiani a sua volta un “capitolo 2”, per la ad aver furbescamente sfruttato precisione de La notte dei morti in distribuzione un titolo celebre. viventi. La storia non c’entrava Ad esempio, in Giappone, Pro- assolutamente niente e riportava fondo rosso di Argento è stato di- la figura dello zombie alle sue ori- stribuito tardivamente col titolo gini esotiche e all’ambientazione di Suspiria 2, dato il successo del caraibica, se si escludono un pro- film argentiano sulle streghe nella logo e un finale – dove grazie alla terra del Sol Levante.

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CORRADO COLOMBO

Inizia giovanissimo a girare film in Super8, diviene poi assistente di Eriprando Visconti per Malamore (1982). Nello stesso periodo fonda una società di produzione e distribu- zione. Nel 1998 realizza il cortometraggio Nulla da dichiarare. Nel 1999-2000, per il Giubileo e la Regione Lazio, cura 6 episodi sulla vita di sei sante (Maria Goretti ottiene il CLAVER Premio della Giuria al Festival del Cinema di Salerno). Nel 2000 realizza il film La donna del delitto, nel 2001 Con gli occhi dell’assassino, SALIZZATO nel 2002 Encantado. Nel 2018 ha curato, con Claver Salizzato, storico e critico del cinema, è stato, nella Mario Gerosa, il libro collettivo Prandino. seconda metà degli anni ’80, collaboratore della Mostra L’altro Visconti. del Nuovo Cinema di Pesaro, diretta da Lino Miccichè e Bruno Torri. Come saggista ha pubblicato monografie su Robert Aldrich e John Schlesinger (Castoro Cinema), ol- tre che su , il musical americano ed il cine- ma italiano dell’ultimo decennio. Come sceneggiatore ha firmato i copioni dei film Io e il Re di Lucio Gaudino, Tra CARLO due mondi di Fabio Conversi, I giorni dell’amore e dell’odio e CRESTO-DINA I fiori del male (questi ultimi anche diretti).

Carlo Cresto-Dina, produttore e fondatore di Tempesta nel 2009, casa che produce film di autori europei e progetti crossmediali pensati per la distribuzione internazionale. Tra i titoli più significativi L’intervallo e L’intrusa di Leonardo Di Costanzo; Corpo Celeste, Le meraviglie e il re- cente Lazzaro Felice, premio Miglior Sceneggiatura al Festival di Cannes, ROBERTA tutti film per la regia di Alice Rohrwacher. TORRE SILVIO Nata a Milano, ha scritto e diretto lungometraggi presentati a Cannes, Venezia e al Sundance, vincitori di David di Donatello e DANESE Nastri D’Argento: Tano da morire (1997), Sud Side Stori (2000), Silvio Danese è giornalista e critico cinema- Angela (2002), Mare Nero (2006), I baci mai dati (2012), Riccardo tografico per QN (Il Giorno, La Nazione, Il va all’inferno (2017). Ha messo in scena spettacoli al Teatro Greco Resto del Carlino). È stato consulente della di Siracusa, a Taormina Arte, al Piccolo Teatro di Milano, al Teatro Mostra di Venezia e curatore di rassegne. Tra Biondo Stabile di Palermo. Tiene masterclass e corsi con universi- le sue pubblicazioni “Abel Ferrara, l’anar- tà americane, è stata artist in residence al Mills College in California. chico e il cattolico” (Le Mani, 1998), “Anni Ha pubblicato il romanzo Il colore è una variabile dell’infinito e il li- fuggenti - Il romanzo del cinema italiano” bro a fumetti Il giocatore, illustrato da Gianni Allegra. (Bompiani, 2003), “Il suono della neve” (Bompiani, 2009). Vive e lavora a Milano.

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