Numero 24 Marzo-Aprile 2015 BIMESTRALE - POSTE ITALIANE S.P.A

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Numero 24 Marzo-Aprile 2015 BIMESTRALE - POSTE ITALIANE S.P.A ISSN 2280-8817 anno v numero 24 marzo-aprile 2015 BIMESTRALE - POSTE ITALIANE S.P.A. SPED. IN A.P. 70% - ROMA - COPIA EURO 0,001 - COPIA 70% - ROMA A.P. SPED. IN S.P.A. BIMESTRALE - POSTE ITALIANE I PUBBLICI DEI MUSEI NUMERI E GRAFICI ARTE & LETTERATURA LOMBARDIA, MILANO, BERGAMO QUATTRO MESI A NEW YORK IL MERCATO DELLE GALLERIE DAVID FOSTER WALLACE MAPPE E CONSIGLI DI VIAGGIO CITTÀ-STATO: REPORTAGE TOTO COTUGNO BANCHE & ARTE DA SINGAPORE A MALTA UNA FOTO CONCETTUALE UBS, ART BASEL E LA GAM àncora di salvezza sul dissesto della cultura nella Capitale del Paese – dissesto di cui incessantemente parliamo da anni – potrebbe in maniera inaspettata giungere dal Vaticano. L’annuncio del Giubileo Straordinario da parte di Papa Bergoglio schiude opportunità impensabili per una città che ha totalmente perduto, dal punto di vista della programmazione museale, il treno di Expo 2015, ma che ora ha la chance di prendere quello del Giubileo 2016. L’allure del cambio di millennio non c’è, i soldi che vi furono allora non ci sono (3mila miliardi e mezzo di TONELLI lire), non c’è neppure un papa dallo spessore di Giovanni Paolo II sebbene Francesco abbia un seguito non indifferente. Quel che potrebbe esserci è l’afflusso di pubblico da tutto il mondo. Anzi la quantità di pellegrini e di turisti che utilizzeranno il Giubileo come scusa per visitare la Città Eterna potrebbe aumentare perché MASSIMILIANO la propensione a spostarsi è enormemente aumentata rispetto al 2000. Ci sono le low cost e all’epoca non c’erano. Ci sono i treni veloci e allora non c’erano. Insomma i 25 milioni di arrivi che si calcolarono al cambio di millennio sono alla portata e la questione di quali servizi dare a tutte queste persone deve essere posta. Senz’altro strade pulite, legalità e decoro (e già qui siamo in grande ritardo), ma poi anche servizi culturali. Se hai degli ospiti che stanno in città due o tre notti non puoi pensare che girino solo per basiliche a confessarsi. Mentre Milano con Expo attrezza la sua offerta culturale e inaugura nuo- vi musei come il Mudec disegnato da David Chipperfield, Roma vive una débâcle culturale non indifferente, soprattutto per quanto riguarda l’im- pegno del Comune di Roma. Paradossalmente ad esser più a rischio sono quegli spazi che vennero aperti sul chiudersi degli anni Novanta, proprio in vista dalle celebrazioni giubilari. Le Scuderie del Quirinale vennero aperte a dicembre del ’99 con una grandiosa mostra sui Cento capolavori dell’Ermitage, oggi questo spazio e tutti quelli gestiti dal Palazzo delle Esposizioni sono gravemente a rischio a causa dei tagli comunali. Il Macro venne aperto a settembre del ’99 con una mostra dedicata a Duilio Cambellotti e oggi quello stesso museo, dopo un quindicennio di alterne vicende e dopo decine di milioni di investimenti, è stato di fatto abbandonato dall’amministrazione. Nell’ambito delle programmazioni che il Commissario per il Giubileo dovrà fare non sarebbe male considerare questi aspetti, sfruttare i finanziamenti previsti per il grande evento per dare ossigeno alle programmazioni di questi spazi. Far partire, poi, progetti nuovi ma veloci e sostenibili visti i pochi mesi a disposizione: c’è il progetto di apertura al pubblico del Quirinale che andrebbe alimentato (il nuovo Capo dello Stato sembra essere decisamente d’accordo) e potrebbe costituire un’attrazione inedita per centinaia di migliaia di persone; c’è la grande idea di William Kentridge per i muraglioni del Tevere fino ad oggi bloccata da patetici veti soprintendenziali; c’è una città che negli ultimi anni si è scoperta capitale della Street Art con centinaia di muri che possono trasformarsi in avvincenti percorsi attraverso le periferie. Non sarebbe una cattiva idea – in circolo proprio nelle ore in cui stampiamo questo giornale – che tutto questo venisse coordinato da una figura come quella di Francesco Rutelli. Non tanto e non solo per la sua esperienza nella città di Roma, quanto per il suo passato da Ministro della Cultura. La sua nomina potrebbe garantire un ruolo anche culturale ai fondi che il Paese deciderà di investire sul Giubileo del 2016. 4 EDITORIALI er chi è cresciuto negli Anni Settanta, il termine “interattività” suonava bene, come una pro- messa di democrazia e di affermazione libertaria contro l’autoritarismo del potere, di cui ilTesto Artisti- co Intoccabile era il simulacro. A teatro si abbattevano i confini tra palco e platea, in letteratura le spe- rimentazioni dissolvevano l’idea di romanzo tradizionale, nell’arte decine e decine di artisti facevano a pezzi le classiche coordinate della fruizione delle opere, rendendo spesso gli spettatori parte del loro lavoro. Al cinema, luogo di moltissime utopie, tutto questo era molto più diffici- le. Tecnicamente, era quasi impossibile interrompere il flusso di un film FERRARIO o immaginarsi un modo in cui il pubblico potesse interagire con esso. La carica rivo- DAVIDE luzionaria si scatenava così sul contesto: era l’epoca dei festival senza premi, dei dibattiti nei cineforum, dei registi “processati” in pubblico. Poi sono arrivati gli Anni Ottanta e siamo tutti tornati a più rassicuranti modelli di godimento estetico. L’interattività si è spostata dal piano espressivo a quello tecnologico, sulla dimen- sione ludica più che su quella artistica. E all’improvviso ci siamo ritrovati dove non avremmo mai immaginato. Si cominciò con la pubblicità. Ricordate la commovente, quasi patetica battaglia di Fellini per combattere gli spot durante la trasmissione dei film in tv? Ci fu perfino un referendum, nel 1995. Naturalmente vinsero a grande maggioranza i fan della pubblicità. Allora - così come con tutto quello che riguardava la tv commerciale - non si capiva che si stava infilando un cuneo in un sistema percettivo che aveva resistito per cento anni, un cuneo che avrebbe divaricato sempre più il rapporto tra autore del film e spettatore. Contestualmente arrivarono le videocassette, che consentivano una forma di controllo sul flusso narrativo attraverso la pausa e il fast forward. Oggi un film si può vedere in mille modi, anche sullo schermo di un telefonino ridicolmente piccolo. Lo si può fermare, spostare in avanti o indietro a velocità multipla, lasciare in sospeso. Chi ha un decoder MySky può farci praticamente tutto, compreso vederlo in una lingua diversa, con sottotitoli o no. L’interattività degli Anni Settan- ta era immaginata come possibilità del pubblico di non subire passivamente una narrazione. Oggi lo spettatore è completamente padrone del modo in cui vede il film. Solo che non si tratta di un progresso, perché il cine- ma è stato degradato a puro bene di consumo, semplice entertainment da accendere e spegnere a piacimento. Per chi, come me, ha scelto per vocazione di raccontare storie al ci- nema, questo comporta un cambiamento epocale. Anche solo qual- che anno fa, realizzare un film assomigliava a fare un discorso. Sape- vi che ci sarebbe stato un pubblico ad ascoltarti e quindi era fondamentale che quello che avevi da dire fosse importante e raccontato bene. Oggi questa aura del cinema è pressoché scomparsa. Qualsiasi arte della narrazione, di fronte ad ascoltatori disabituati a concentrarsi, convinti che sia un loro diritto fare e disfare la continuità di un effetto espressivo, è destinata a morire. Vince non chi ha qualcosa da dire, ma chi produce il volume più alto, l’eccitazione più frenetica. La soglia di attenzione su Internet, dicono gli esperti, è di 8 secondi. Ovviamente si può obiettare che le arti cambiano e si trasformano, ed è proprio quello che sta succedendo. Infatti non mi lamento. Dico solo che dovremmo smettere di chiamare cinema quella cosa 2.0 che lo sta sostituendo. L’arte nell’epoca della sua riproducibilità tecnica, secondo la famosa definizione di Walter Benjamin, partiva comunque dalla definizione dell’opera in quanto tale. Oggi, nel passaggio di potenza al quadrato di quel processo, l’opera è un simulacro che si dissolve nel suo consumo tecnologico. Regista L'ALTRO EDITORIALE 5 IL CAPITALE CULTURALE UNO STATO INVADENTE L’ARTE DI BORIS GROYS Basilea c’è un bunker – lo ’offerta culturale italiana è co- ’attività dei curatori è posta al A Schaulager – nel quale sono L stellata da miriadi di piccole L servizio della collettività, ha conservate numerose opere d’arte organizzazioni. Il più delle volte rilievo civile, è equidistante da gal- contemporanea. Parzialmente aper- destrutturate e poco professionaliz- lerie, artisti e pubblico? In Going to al pubblico, è luogo di ritrovo per zate, ma creative e fantasiose. Que- Public Boris Groys risponde di sì, collezionisti, banchieri, petrolieri, ste centinaia di migliaia di soggetti e questa sua fiducia può sembrarci uomini d’affari, direttori di musei culturali sono spesso giuridicamen- avventata. La figura del curatore è ecc. Per certi aspetti è una spe- te delle associazioni. L’evidente DANTINI profondamente mutata nel corso FALETRA cie di agenzia di rating del valore lacuna di cultura aziendale che le MICHELE dei decenni: in un’intervista recen- SEVERINO MARCELLO commerciale delle opere destina- FABIO contraddistingue le sta mettendo te, Obrist si è interrogato sull’indi- te a regolamentare in termini di profitto il in ginocchio di fronte alla contrazione di pendenza e la preparazione dei più giovani. mercato dell’arte mondiale. Una realtà che finanziamenti pubblici. Un mondo che per Koons si è spinto oltre. “Se sei critico”, ha influisce sui più grandi musei. Nella pro- decenni ha offerto sussidiarietà, educazio- confidato a David Zwirner, sei“ già fuori dal spettiva tradizionale, il museo è socialmen- ne, intrattenimento e identità gioco”. Groys sceglie la strategia del passo te una realtà che associa cultura e potere. grazie ai tributi della collet- indietro rispetto all’attualità: sorvolando su Nel Cinquecento le prime raccolte d’arte tività, oggi è lasciato al ciò che è, si interroga sulle condizioni di divennero subito espressione del potere suo destino.
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