Il Settecento

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Il Settecento Il Settecento CAPITOLO III I NUPTIALIA SETTECENTESCHI DELLA BIBLIOTECA COMUNALE DELL’ARCHIGINNASIO DI BOLOGNA. 3.1. Le tipografie All’inizio di questo capitolo, come si è fatto nei precedenti, si forniscono tutte le informazioni utili riguardanti la vita e il lavoro dei tipografi che hanno sottoscritto i libretti protagonisti della nostra indagine. BARTOLOMEO BORGHI Poco si sa oggi di Bartolomeo Borghi al di fuori di quello che racconta di lui Sorbelli. Egli tenne la sua tipografia all’Insegna dell’Angelo Custode, già appartenuta ai Peri per molti anni, fra il 1738 – 1758, e durante questo ventennio di attività pubblicò importanti opere. Ricordiamo fra esse: la Antica fondazione della città di Bologna di Gianandrea Taruffi (1738), la grandiosa opera di Giovan Ludovico Bianconi, Esposizione anatomica della struttura del corpo umano (1743 – 1744), tradotta dal Winslow, e i non meno famosi Giuochi numerici fatti palesi di Giuseppe Antonio Alberti (1747). Già nel 1747, però, il Borghi tentava di vendere la propria stamperia proponendone l’acquisto al tipografo Bartolomeo Soliani di Modena, senza riuscire a concludere la trattativa. Bartolomeo sarà, insieme ad Antonio Giandolini, fra i testimoni presenti all’atto di compravendita con cui, nel 1753, il materiale tipografico sino ad allora appartenuto a Gaspare de Franceschi verrà ceduto a Pietro Zambelli, e quindi al marchese Filippo Carlo Ghisilieri, desideroso di impiantare una tipografia nel suo piccolo borgo presso la villa chiamata Colle Ameno. Bellettini nel suo saggio su Gaspare de Franceschi si chiede se, visti gli stretti rapporti di Gaspare con il Borghi, il tipografo fosse fra i primi ad approfittare dell’estinguersi della tipografia all’Angelo Custode per riprendere la propria attività di stampatore. Ma da una prima sommaria analisi delle edizioni del Borghi fino al 1758 e di quelle del de Franceschi a partire dal 1759, appaiono complessivamente pochi i casi sicuri di materiale tipografico (capilettera, fregi xilografici,ecc.) sicuramente passato dall’uno all’altro. GIULIO BORZAGHI Intorno al 1689, Recaldini aveva fondato una società tipografica insieme a Giulio Borzaghi, sodalizio che si sciolse però assai presto nel 1690. Da questa data sino ai primi anni del Settecento, Borzaghi stampò da solo e nel 1717 dai suoi torchi uscirà la Scorta d’economia ossia Dialogo di scrittura famigliare di Giacomo Venturoli, sottoscritta dal Borzaghi con entrambi i nomi di battesimo, Giulio e Cesare. Successivamente tornò a sottoscriversi solo col primo nome nella Dichiarazione del sepolcro della parrocchia di San Giorgio in Poggiale, fatta da E.N. Giannantonio Alidosi nel 1718. La sua ultima edizione fu la Historia fluidi nervi di Giovanni Giacinto Vogli del 1720. In quello stesso anno Giulio morì e la vedova procedette alla vendita della tipografia. LELIO DALLA VOLPE Figlio di Antonio Maria e di Domenica Buzighelli, Lelio dalla Volpe nacque a Bologna il 17 settembre 1685, ma apparve sulla scena tipografica bolognese solo nel 1720, all’età di 35 anni. L’8 maggio del 1721 contrasse una società in accomandita con il cartaio Giuseppe Avanzi, con il fine di collegare due settori organici al ciclo di produzione e commercio del libro a stampa. Si avvaleva anche dell’apporto di capitali di altri soci, indispensabili per sopravvivere ad una situazione di mercato, che in quegli anni a Bologna risulta essere assai debole e quasi interamente regolata dalle misure protettive e dalla committenza del potere, sia civile che religioso. Svincolatosi ben presto da questa prima società, si mosse con accortezza e decisione, assicurandosi immediatamente il favore degli Ordini religiosi e di privati in grado di garantire la pubblicazione di quelle opere di carattere occasionale che garantivano un flusso continuo di domanda e costituivano un introito sicuro. La prima pubblicazione di un certo respiro uscita dai suoi 260 torchi è l’opera in tre volumi Teologia moralis Regolarium (1720 – 1723) del dotto barnabita Tommaso Francesco Roero. La svolta per la tipografia è segnata sicuramente dalla pubblicazione, nel 1731, del primo tomo del De Bononiensi Scientiarum et Artium Instituto atque Accademia Commentarii, con una tiratura di ben 1000 copie (traguardo elevato anche per le pubblicazioni più fortunate dell’epoca). Con la pubblicazione di quest’opera egli si assicurerà la committenza di uno degli istituti più importanti del tempo, ossia l’Istituto delle Scienze. Assicuratosi il favore di enti, istituzioni e di privati, Lelio puntava infatti da tempo a garantirsi le commesse di questo prestigioso istituto. Il più importante centro culturale bolognese, sorto nel 1711 per volere del conte Luigi Ferdinando Marsili, si preoccupò di unire all’aspetto didattico quello della ricerca, soprattutto nello studio delle scienze sperimentali, al fine di ridare nuovo lustro allo Studio bolognese, già in crisi dal secolo precedente, per reinserirlo all’interno del dibattito culturale europeo. In questo modo Lelio tentò di scalzare il temibile concorrente Costantino Pisarri, erede di un’antica famiglia di stampatori, e di imporsi in qualità di tipografo ufficiale di quel luogo di studi stimato e conosciuto anche a livello europeo. Nel quarto decennio del Settecento condusse poi una libreria per lo smercio non solo delle sue edizioni, ma anche di quelle estere, affermandosi come il più importante tipografo-libraio della città. Il negozio si trovava nella «casa dei conti Fantuzzi», sotto il portico delle Scuole, dove ebbero sede, in una lunga e ininterrotta tradizione, i librai bolognesi. Il luogo divenne, nel giro di poco tempo, una sorta di salotto letterario per gli intellettuali bolognesi e i forestieri. Da quel momento la produzione della tipografia si intensificò e Lelio rivolse particolare attenzione alle opere dei più insigni studiosi e scienziati del tempo, che spesso conosceva in prima persona grazie alle sue frequentazioni. Dai suoi torchi uscirono diverse opere e rime del veneziano Francesco Algarotti, di Girolamo Baruffaldi, di Eustachio Manfredi, di Flaminio Scarselli, di Giampietro e Francesco Zanotti, accolte tutte positivamente dalla critica italiana, anche per la nitidezza e accuratezza delle edizioni volpiane, che per tali caratteristiche si distinguevano nettamente dalle edizioni degli altri tipografi locali. Lelio si dimostrò sempre particolarmente attento ai problemi figurativi e questa sensibilità lo favorì particolarmente in quelle commissioni di testi scientifici che prevedevano, nella maggior parte dei casi, ricchi apparati illustrativi. Inoltre, non solo sembra fosse un buon disegnatore, ma possedeva, anche per interessi professionali, una ricca raccolta di rami e di stampe. Nella sua collezione erano presenti le lastre ormai inservibili incise da Giuseppe Maria Crespi con le storie di Bertoldo di Giulio Cesare Croce, che egli fece riprodurre dall’amico incisore Lodovico Mattioli e che usò per illustrare il celebre Bertoldo con Bertoldino e Cacasenno (1736). Il rifacimento in versi del romanzo burlesco popolare ne sancì definitivamente la fama. Della stessa opera, fra il 1736 e il 1741, uscirono dai suoi torchi altre tre impressioni di cui l’ultima, in tre volumi, con versi in dialetto bolognese. Il dalla Volpe stampò altri numerosi testi arricchiti da importanti apparati iconografici e sono degni di particolare attenzione: la Direzione a giovani studenti nel disegno dell’Architettura civile di Ferdinando Galli Bibiena (1725 e 1731), ma soprattutto la Storia dell’Accademia Clementina di Giampietro Zanotti (1739), con raffinate incisioni di Giovanni Lorenzini, Sante Minelli e Giovanni Lodovico Quadri. Grazie alla fortunata accoglienza ricevuta dal Bertoldo, Lelio riuscì a consolidare la propria azienda e a dare alle stampe opere di grande spessore culturale, nonché di grande impegno finanziario. Ristampò due importanti opere: l’Accademia Scientiarum Imp. Metropolitane (1740 – 1752), edita per la prima volta a Pietroburgo nel 1720 – 1726 e le Philosophical Transaction della Royal Society di Londra degli anni 1731 – 1734, diffuse in francese tra il 1741 e il 1749. È ricordato anche come autore di alcune tra le più raffinate edizioni musicali del XVIII secolo (opere di argomento musicale, libretti, drammi per musica), e nella sua officina si vendevano quelle degli editori bolognesi Monti e Silvani. Tra le opere di maggiore importanza in questo settore, troviamo nel 1720 le Regole facilissime per apprendere il Canto fermo di Angelo Michele Bertalotti (1744, 1756, 1764, 1778) o le Sonate per l’organo e il cembalo e i Duetti da camera del Martini. Pubblicò inoltre trattati di musica, tra cui un Ristretto delle regole più essenziali della musica, di Pietro Maria Minelli; una Dissertatio 261 progressionis in musica (1774) e soprattutto l’Esemplare o sia Saggio fondamentale pratico di contrappunto fermo (1775) e la Storia della musica (1757 – 1781), del Martini. Quando Lelio morì, il 6 ottobre 1749, la tipografia e la libreria passarono al figlio Petronio che da anni lavorava con il padre, lasciandogli in eredità un’attività ben avviata e dalla situazione economica stabile. La fama goduta dal Dalla Volpe, in patria e all’estero, era ormai sancita dalla critica; l’azienda disponeva di maestranze qualificate e il settore calcografico superava di gran lunga quello di altre tipografie non solo locali. PETRONIO DALLA VOLPE Figlio del celebre Lelio Antonio Gaetano dalla Volpe e di Giuditta Castelvetri, nacque a Bologna il 16 novembre 1721 e lavorò nella bottega del padre. Morto il padre nel 1749, la guidò per
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