<<

Antonio Pugliano

LA CONOSCENZA STORICA E L’INTERPRETAZIONE CRITICA DELLE FABBRICHE BORROMINIANE PER LA VALORIZZAZIONE DELLA ROMA DEL SEICENTO

Antonio Pugliano, Università Roma Tre, Dipartimento di Architettura (DArc)

Introduzione

Contribuire alla conoscenza dell’architettura barocca andalusa attraverso lo studio del rapporto tra il Barocco romano e la cultura architettonica spagnola, è un tema di sicuro interesse e merita di essere approfondito da quanti siano profondi conoscitori di quest’ultima; al lavoro di costoro si è scelto di contribuire facendo cenno ad alcuni aspetti dell’attività di Fancesco Borromini (Francesco Castelli, 1599 Roma 1667) attinenti alla sua produzione nella Roma del Seicento e che possono costituire un termine di relazione con il contesto andaluso. Restiamo quindi a Roma osservando tuttavia che i suoi primi committenti furono i Trinitari scalzi spagnoli del convento di San Carlo sulla Strada Pia. E’utile premettere che non si ha notizia di alcun viaggio svolto da Francesco Borromini in Spagna, tuttavia la critica ha da tempo proposto alcune analogie tipologiche tra gli elementi della composizione borrominiana e le componenti tipiche dell’architettura iberica. Si guardi per questo alla facciata di San Carlino, la quale è distinta dal contesto retrostante per l’uso del materiale, per la geometria curvilinea, per la presenza del tabernacolo/reliquiario e, persino, per l’autonomia di giacitura, essendo solo aderente alla parete cui si relaziona e questi caratteri la pongono in analogia agli altari retablos della tradizione spagnola11. Ma c’è di più: chi scrive osserva l’interesse che potrebbe avere lo studio comparato degli aspetti compositivi e costruttivi, reali o allusi, palesi o nascosti, che accomunano le coperture murarie dell’architettura borrominiana romana e le cupole della tradizione medioevale araba andalusa, entrambe segnate da profonde nervature. Non c’è chi non veda, infatti, quanto il tema dell’evidenza della composizione gerarchica della struttura negli elementi voltati sia ben documentato nella Cattedrale Moschea di Cordoba, con numerosi esempi che si pongono in analogia assoluta, costituendone quasi un’anticipazione, alle coperture piemontesi di Guarino Guarini ( 1624, Milano 1683) il più vicino al maestro tra i prosecutori dell’estetica borrominiana (fig.1).

1 CANINO, Elena. “Il rapporto tra Borromini e la tradizione. Intervento alla Seconda Tavola Rotonda”, De Angelis D’Ossat G., (moderatore) in: Accademia Nazionale di San Luca. Atti del Convegno di Studi sul Borromini.Volume secondo, De Luca, Roma, MCMLXVII, pags. 63-65.

195

La connoscenza storica e l´interpretazione critica delle fabriche…

Fig. 1. Cupole ad archi intrecciati. Notevoli e non banali le analogie tra le strutture cordobesi e l’esempio torinese. A sinistra la cupola centrale dello spazio della maqsura dinanzi al mihrab nella Moschea d Cordoba, introdotta nel X secolo (962-966) con gli ampliamenti del califfo al Hakam II (915-976). A destra la cupola della Chiesa di San Lorenzo in Torino (1670-1679) opera di Guarino Guarini. La composizione della cupola guariniana è sintetica dei caratteri peculiari al linguaggio costruttivo espresso dall’erudito califfo al Hakam II nella moschea di Cordoba, ponendosi in forte analogia anche con la più essenziale cupola della Capilla de Villaviciosa. Foto di Pugliano A.

Le coperture murarie indicate, tanto le cordobesi quanto le torinesi, possono considerarsi espressioni diacroniche di una comune e approfondita concezione razionale dell’architettura, da esprimere con il linguaggio palese della geometria e della matematica. Entrambi i tipi architettonici assumono come riferimento la più evoluta pratica costruttiva antica, si guardi per questo alla técnica greca e romana della muratura di coperture alleggerite, cosiddette “a intercapedine” realizzate attraverso nervature, in genere celate da paramenti2. Nel caso delle opere del Guarini si può ritenere che esse siano anche il prodotto di un processo di condivisione culturale nato dalla conoscenza e dall’apprezzamento dell’architettura andalusa tradizionale visitata negli anni tra il 1655 e il 1666 in occasione dei numerosi viaggi svolti in Europa: fu a Praga, a Lisbona e, plausibilmente, in Spagna. In generale, la penetrazione del borrominismo nel medesimo territorio sin dai primi anni del XVIII secolo, qui come altrove, è imputabile alla diffusione delle

2 VITTI, Paolo. “Argo. La copertura ad intercapedine della grande aula: osservazioni sul sistema costruttivo della volta”, in: Annuario della Scuola Archeologica Italiana di Atene, LXXXVI, serie III, 8, ASA, Roma, 2008, pags. 215-251.

196

Antonio Pugliano versioni a stampa dell’Opus Architectonicum Equitis Francisci Borromini (1720-1723), pubblicato per i tipi di Sebastiano Giannini, con una dedica al Marchese di Castel Rodriguez e soprattutto, alla connessa presenza in terra di Spagna della Congregazione dell’Oratorio di Filippo Neri portatrice di un importante e duraturo contributo alla cultura artistica, musicale, architettonica: lo stesso Antoni Gaudì fu confratello dell’Oratorio secolare di Barcellona. In questo scenario si colloca l’operato di illustri epigoni del Borromini, di poco successivi al caposcuola, tra i quali ricordiamo padre Andrea Pozzo, (Trento 1642, Vienna 1709) noto per la sua influenza nel contesto iberico, maturata ben prima della sua attività nei paesi tedeschi3.

Il senso delle osservazioni sull’operato di Francesco Borromini

Aggiungere nuove osservazioni alla narrazione dell’operato e dell’esistenza di Francesco Borromini non è agevole: l’estesissima bibliografía che lo riguarda documenta la consistenza di numerosi e autorevoli studi storici a matrice documentaria che ci hanno restituito un prezioso repertorio di informazioni. Dal repertorio di informazioni documentarie riguardanti l’attività romana di Francesco Borromini possono originarsi interpretazioni particolari della complessa figura dell’architetto ticinese, tali di sollecitare l’interesse degli architetti attuali. Una interpretazione particolarmente interessante da delineare con sempre maggiore approfondimento, a parere di chi scrive, riguarda l’attività svolta nel campo del restauro e, quindi, del singolare rapporto intellettuale che egli ebbe in animo di sostenere con la cultura e gli artefatti del passato. Questo tema comporta l’approfondimento del legame di Francesco Borromini con la sua città di adozione e con la cultura urbana ed edilizia delle quali essa stava divenendo espressione. Si tratta di un tema complesso e affatto residuale: attualmente la necessità elementare di conservare le architetture, si affianca all’imperativo di operarne la valorizzazione o, per meglio dire, la conservazione sostenibile. A tal fine si tratta di strutturare sistemi di informazioni estesi e articolati, all’interno dei quali collocare le opere del passato per consentirne una narrazione efficace ai fini della fruizione, una volta che esse siano state comprese, interpretate e rese eloquenti dei loro valori e significati. Filo conduttore di siffatte narrazioni, auspicabili per il loro carattere inclusivo e identitario, non può che essere l’evolvere delle relazioni stabilite dalle successive contemporaneità con le culture precedenti dimostrate dalle loro espressioni materiali eloquenti e persino emblematiche, tanto dei modi di costruzione della città, quanto della definizione concettuale delle architetture che la compongono. La costruzione della città, tra Cinquecento e Seicento, espresse un carattere di innovazione: il rapporto con l’antico che era precedentemente regolato da processi antropologici, si muta in un rapporto governato dalla

3 FUENTES LÁZARO, Sara. “L’uso del linguaggio pozzesco nel primo Settecento spagnolo: la terza via dell’architettura barocca”, in: Atti del Convegno Internazionale di Studi su Andrea e Giuseppe Pozzo Venezia, Fondazione Giorgio Cini 22-23 novembre 2010. Marcianum Press, Venezia, 2012, pags. 2-20.

197

La connoscenza storica e l´interpretazione critica delle fabriche… intenzionalità e dalla critica che esercita il recupero selettivo e la rielaborazione originale degli elementi caratteristici degli artefatti del passato, ripensandone tanto i principi compositivi quanto le scelte tecniche. Quindi: all’interesse conoscitivo utilitaristico, alla prossimità culturale, si sostituisce di fatto la distanza storica, intesa come la premessa necessaria all’interpretazione della cultura del passato e alla sua attualizzazione da svolgere attraverso il riconoscimento di elementi e concetti da assumere e trasferire al futuro. L’opera del Borromini è emblematica di questo programma culturale. Per la produzione del nuovo, infatti, egli espresse la ricerca di una libera e creativa rielaborazione del linguaggio rinascimentale mentre, nella prassi di intervento contemporáneo nel contesto preesistente, dimostrò la propensione a rivitalizzare il metodo progettuale della concinnitas, ponendo in essere le premesse per l’esercizio della filologia nella conservazione e riuso delle opere del passato. Proprio questo aspetto rende, oggi, la figura del Borromini centrale per una storia dell’architettura che sia inclusiva e, pertanto, incline a non distinguersi dalla storia del restauro; a tal fine è necessario coltivare la propensione allo studio di argomenti attinenti a una storiografia forse minore, come può essere la storia materiale, riguardanti i processi produttivi delle architetture, dalla loro concezione alla realizzazione.

Si tratta di indagare la metodologia progettuale e i modi di esecuzione, con gli espedienti tecnici propri ai lessici costruttivi peculiari al saper fare delle maestranze, spesso di provenienza allogena, di tendere all’individuazione circonstanziata del repertorio dei riferimenti concettuali anche di natura tipologica, di porre attenzione alla dimostrazione del legame tra la competenza tecnica e la storia del pensiero scientifico, non solo italiano. Tutte le possibili chiavi di lettura delle opere borrominiane testè indicate esprimono una significativa potenzialità formativa per gli operatori tecnici nel contesto della didattica dell’architettura (fig. 2) e possono costituire il repertorio di informazioni di contesto da offrire ai fruitori della città e dei monumenti valorizzati, in forma di contenuti culturali inclusivi e identitari, sui quali fondare i sempre più numerosi programmi di Heritage Education, ovvero di educazione al patrimonio e alla cittadinanza, auspicati dal Consiglio d’Europa a vantaggio della massima coesione tra le popolazioni nei Paesi membri4.

4 Council of Europe, Framework Convention on the Value of Cultural Heritage for Society. STCE n°199/2006

198

Antonio Pugliano

Fig. 2. La didattica del restauro dell’architettura. Indagini storiche e interpretazioni critiche di edifici borrominiani ai fini del progetto di valorizzazione della Roma del Seicento. Restituzione, dai disegni borrominiani, del tiburio non realizzato di Sant’Andrea delle Fratte (a sin. e al centro); ambientazione dell’immagine della chiesa nel contesto urbano attraverso restituzioni grafiche per il supporto virtuale alla fruizione diretta dei percorsi di visita. Pugliano A, Università Roma Tre, Laboratorio di restauro 2M, allievi dell’AA 2013-2014.

La città di Roma come scenario dell’operatività di Borromini

Roma, a tutt’oggi, è l’espressione di un singolare e complesso proceso evolutivo fondato sul formidabile condizionamento che la città antica ha operato sulla città medioevale e che si è imposto come sedime delle stratificazioni successive. Il fenomeno è noto ed è documentato già da Lanciani sul finire del XIX secolo con rigore e ricchezza di fonti riferibili alle evidenze archeologiche restituite alla conoscenza dalle attività cantieristiche di espansione urbana per la costruzione della Roma Capitale5. Alla naturalità della formazione della città medioevale si associa la progettualità moderna, manierista e poi barocca, incline a riordinare la città precedente operandone la trascrizione secondo i nuovi programmi culturali.

5 LANCIANI, Rodolfo. Forma Urbis Romae - Consilio et auctoritate Regiae Academiae Lyncaeorum – formam dimensus est modulum 1:1000 delineavit Rodolphus Lanciani Romanus, Mediolani apud Ulricum Hoepli, 1893-1901.

199

La connoscenza storica e l´interpretazione critica delle fabriche…

La processualità della relazione con l’antico. Lo sviluppo “in continuità naturale” della città medioevale. Per alcuni Autori6 il fenomeno della permanenza dell’antico nella città di Roma nel medioevo esprime un carattere processuale e organico, a forte connotazione antropologica: la fase medioevale ha consolidato il codice genetico del tessuto edilizio minore, trasferendo al futuro la lógica dell’aggregazione proprietaria mediata dagli ambiti che scandiscono i perimetri di recinti residenziali intasati da scatole murarie dalle dimensioni ricorrenti e comuni a quelle delle antiche tabernae. Noti, peraltro anche sulla base di ritrovamenti, gli esempi che vanno dal tessuto edilizio di Trastevere al tessuto frontista sulla via dei Serpenti che appaiono formati da una successione di case a corte urbane dimensionate sulla parcellizzazione dell’actus e sviluppate sul sedime murario di antichi caseggiati sovente rintracciabili nei piani sotterranei dell’edilizia attuale.

Il medioevo ha prodotto il consumo anche della quantità monumentale che è stata metabolizzata, in sostanza attualizzata, attraverso processi formativi ricorrenti di riuso e occupazione. Ciò avvenne per l’augusteo Teatro di Marco Claudio Marcello (inaugurato nel 17 a.C., restaurato a più riprese in età cristiana e dato come ancora in uso al 421 d.C.) trascritto dal XII secolo in forma di fortilizio familiare dapprima dei Fabi poi, due secoli dopo, dei Pierleoni e quindi dei Savelli che ne produssero la singolare riforma complessiva, ad opera del Peruzzi, alla quale si debe la fisionomia straordinaria dell’edificio reso in forma di palazzo rinascimentale impiantato su un teatro antico. E, ancora, si guardi per questo alle vicende dello Stadio di Domiziano (edificato nel I secolo d.C. e restaurato da Alessandro Severo nel III) e dell’edilizia che su di esso insiste sin dall’VIII secolo (San Nicola dei Lorenesi e/o Sant’Agnese in Agone) o, ancora, all’analogo processo insediativo espresso dall’impianto della Chiesa di Santa Barbara dei Librari la geometria della quale è determi nata dal suo essere ospite di una campata del Teatro di Pompeo, altra emergenza antica a forte connotazione formativa. Non è infrequente, quindi, che la preesistenza determini l’assetto delle architetture e anche dei tessuti e spazi urbani, generando singolarità di segno e significato d’interesse straordinario come avviene, appunto, nella o, seppure meno palesemente, nel caso dello sviluppo quasi semicircolare della via di Grottapinta generata dall’andamento del sedime archeologico fornito dal Teatro di Pompeo. Questo non è un episodio isolato anche se è uno dei più evidenti: l’esame di repertori documentari cartografici, descrittivi di brani di tessuto urbano ormai trasformati mostrano sovente andamenti inattesi che caratterizzano il tessuto edilizio medievale provenendo da un assetto urbano remoto ma ancora condizionante.

6 BASCIA, Luciana; CARLOTTI, P.; MAFFEI, Gian Luis. La casa romana nella storia della città dalle origini all’Ottocento, Alinea, Firenze, 2000.

200

Antonio Pugliano

L’intenzionalità nello sviluppo della città moderna. Il Piano Sistino premessa alla Roma Barocca

In questo scenario evolutivo s’inserì l’intenzionalità formativa della pianificazione sistina, destinata a interpretare in una nuova chiave gerarchica il tessuto urbano, inserendo nuove direttrici e promuovendo la generazione di selezionati poli monumentali, ovvero della rete di attrattori utili a magnificare il programmato nuovo assetto della città. L’architettura è l’espressione artistica che determina, peraltro coerentemente, il volto durevole della Roma del Seicento, costruito dai tre pontefici attivi per circa quaranta anni nel cuore del XVII secolo: Urbano VIII Barberini (1623- 1644), Innocenzo X Pamphilj (1644-1655) e Alessandro VII Chigi (1655-1666). Fondamento culturale di tale operazione fu proprio la complessa rielaborazione del rapporto con l’Antico, tesa a superare l’approccio del secolo precedente portando a maturazione una rivoluzione linguistica consapevole tanto dei principi dell’arte antica, quanto della sua rivisitazione rinascimentale. Pertanto: se la città sistina si compone di un sistema gerarchizzato di segni e di emergenze extremamente caratterizzate, notevoli, all’interno di un tessuto connettivo monotono, analogamente si struttura il modo di comporre le architetture del Borromini che si articolano in sistemi di parti autonome, riconoscibili e fortemente caratterizzate, tali da manifestare inequivocabilmente la propria singolarità di impianto, di assetto funzionale e tipologico, di repertorio formale e decorativo, essendo poste in essere all’interno di una macchina architettonica che necessita tanto di elementi emergenti quanto di contesti di accoglienza di carattere minore, inclini a magnificarli.

L’attività romana di Borromini

Al volto rinnovato e significante della città di Roma ha molto contribuito, peraltro con profonda coerenza, il lavoro di Francesco Borromini. Anch’esso ticinese, come il Domenico Fontana esecutore del piano sistino e come lo stesso (Capolago 1556, Roma 1629) che lo introdusse alla pratica romana del cantiere di architettura, sostituendo i suoi insegnamenti a quelli di (Milano 1584, ivi 1658) che lo guidò, in precedenza, nel cantiere del Duomo di Milano. Dall’età di venti anni Borromini fu in Roma svolgendo dapprima l’attività di scalpellino: nel 1619 fu nel cantiere della Basilica di San Pietro, dal 1621-23 in Sant’Andrea della Valle e in ; dal 1627 al 1633 di nuovo in San Pietro per la realizzazione del baldacchino in bronzo dell’altare maggiore. Quest’ultimo impegno può ritenersi particolarmente importante per la formazione del Borromini architetto che ebbe modo di conoscere e apprezzare la perizia tecnica degli antichi, rilevando e smontando le raffinatissime strutture metalliche che costituivano la copertura del pronao del Pantheon. Di tali organismo strutturali comprese e documentò l’ineguagliabile sapienza costruttiva che dimostrò di voler

201

La connoscenza storica e l´interpretazione critica delle fabriche… perpetuare assumendone i principi in occasione di diverse sue realizzazioni e si guardi per questo al restauro delle antiche capriate lignee della basilica di San Giovanni in Laterano, già riformate nel XVI secolo (fig.3) ma anche al ricorrente espediente costruttivo adottato più volte per sostegno di coperture a falda, costituito da paradossi di muro, cioè da timpani murari svuotati da archi incatenati all’imposta; valga l’esempio del muro “fatto tutto ad uso d’arco” (fig.4) posto in testata della Biblioteca Vallicelliana7 o della simile struttura posta a sostegno della copertura del Salone del Palazzo Pamphilj. Nel 1634 fu architetto dei Trinitari Scalzi di San Carlino alle ove rimase per due anni per poi passare ad occuparsi dell’edificazione del Convento di San Filippo Neri alla Vallicella. Il cantiere dei Filippini occupò una posizione centrale nell’attività borromiana: fu il primo incarico importante e durevole condotto con continuità (1636-1650/52) e, pertanto, compone lo scenario di molte altre esperienze dell’architetto ticinese.

Fig. 3. L’analogia della concezione strutturale antica delle capriate del Pantheon e il metodo di riparazione ideato da Borromini per le capriate della Basilica del Laterano. In entrambi i casi una componente ad arco, più o mano ribassato, è posta a sostegno dei paradossi. In alto: restituzione grafica del rilievo borrominiano delle capriate del Pantheon (Albertina, Az. Antike 134 e 135); al centro: riconoscimento della gerarchia strutturale e di

montaggio delle capriate del Pantheon; in basso: restituzione, dai documenti, della fisionomia delle capriate del vecchio San Giovanni restaurate dal Borromini. Pugliano A, Università Roma Tre, Laboratorio di restauro 2M, allievi dell’AA 2013-2014.

7 Per quanto riguarda il dettaglio della organizzazione strutturale dell’Oratorio e della Biblioteca si guardi a: PUGLIANO, Antonio. “Francesco Jacquier, Girolamo Masi,…: <>. Teorie scientifiche e pratiche di cantiere in una raccolta di scritti inediti sul restauro dell’Oratorio dei Filippini in Roma”. In: Architettura Storia e Documenti, 1991/1996, pags. 203- 229.

202

Antonio Pugliano

Rientrarono in questo lasso di tempo, tra l’altro, i lavori a Palazzo Carpegna (1638-1650) a Palazzo Pamphilj (1645-1650) e a Palazzo Falconieri (1646-1656), l’esecuzione di parte di Sant’Ivo alla Sapienza (1642-1662) e di San Giovanni in Laterano (1646-1650), della Chiesa di Santa Maria dei Sette Dolori (1643-1646; 1648-1649) per la quale non è possibile ignorare l’analogia tipologica e distributiva della Chiesa con l’impianto dell’Oratorio filippino; c’è da osservare, in più, che si tratta anche di interventi incentrati sulla risignificazione di palinsesti architettonici preesistenti. L’attività iniziale, svolta durante il pontificato di Urbano VIII per strutturare la propria competenza di architetto, fu segnata da un impegno straordinario nello studio dell’antico8 gli esiti del quale, tuttavia, sono da ricercarsi più nelle sue realizzazioni che nella documentazione pervenutaci. Con motivazione, quindi, Borromini fu ritenuto dai suoi contemporanei maestro nel relazionarsi all’architettura del passato, assumendone i principi e rielaborandoli in una chiave interpretativa personale, profondamente analitica, selettiva e critica. Questa sua caratteristica gli valse la stima di illustri committenti a cominciare dei religiosi della Congregazione dell’Oratorio di Roma9.

8 “Quando il Cavaliere Bernino hebbe à servire la S. M. d’Urbano VIII per statuario desiderando di occupare anche il posto d’architetto, nel che non aveva forse fatto studio sufficiente, tirò a se questo giovine, che aveva sotto la schola di Carlo Maderno suo zio mostrato gran spirito avendo speso lo sua gioventù ad osservare, e disegnare le vestigia delle fabbriche antiche di Roma con estrema applicazione…”. Per questa e per le citazioni seguenti si guardi a: CONNORS, Jack. “Virginio Spada’s Defense of Borromini” in: The Burligton Magazine, 131, febbraio 1989, pags. 76-90. 9 “Il Cavaliere Borromino fù accettato per architetto della nostra congregazione in tempo del padre Angelo Saluzzi, non avendo saputo ritrovare altri che facessero un disegno per il novo oratorio senza stroppij, (…) unico modo per bilanciare il valere de molti, massimamente quando si tratta d’obedire ad altra fabbrica già fatta, come succedette nel nostro caso rispetto alla sagrestia che era già stata piantata, et alzata del Maruscelli”. CONNORS, Jack. “Virginio Spada’s…”, op. cit.

203

La connoscenza storica e l´interpretazione critica delle fabriche…

Fig. 4. Restituzione dell’organizzazione architettonica e strutturale dall’Oratorio dei filippini e della sovrapposta Biblioteca Vallicelliana nell’assetto realizzato da Borromini, precedente alle trasformazioni (1665-1667) operate da . La fisionomia delle componenti strutturali, tanto palesi quanto occulte, è desunta dal repertorio dei documenti di cantiere riguardanti la fabbrica negli anni 1641-1644. Si rappresenta il “muro fatto tutto ad uso d’arco” che sostiene il tetto della Biblioteca e, insieme, contiene la spinta della volta dell’oratorio. Quest’ultima è concepita “a intercapedine” essendo alleggerita da frenelli di irrigidimento trasversali e longitudinali e posta a sistema con ringrossi murari, rinforzati da fondazioni palificate profonde, e connessi a incatenamenti metallici.Comune di Roma. X Ripartizione. Sovrintendenza ai monumenti antichi, medioevali e moderni. Indagini storiche e rilievi propedeutici al Restauro della torre dell’Orologio del Convento dei Filippini in Roma, 1990. Pugliano A., Taccuino di Cantiere.

La maturazione degli interessi antiquari: la sensibilità per il valore storico

Nel contesto oratoriano maturarono i suoi interessi antiquari coltivati attraverso indagini archeologiche dalle quali egli derivò la consapevolezza storica circa il valore e il senso delle opere del passato. In questa ricerca culturale e operativa, Borromini sperimentò un intenso sodalizio con Virgilio Spada (Brisighella 1596, Roma 1662) oratoriano, letterato e architetto, che successe all’interno dei ranghi della Congregazione al cardinale Cesare Baronio (Sora 1538, Roma 1607). La personalità e l’operato di quest’ultimo sono eloquenti del particolare clima culturale del momento e dell’orientamento sedimentato e condiviso dalla compagine di intellettuali nella quale Borromini si trovava ad operare. Baronio, giurista e storico del cristianesimo, Cardinale Bibliotecario di Santa Romana Chiesa e, pertanto, responsabile della Biblioteca Apostolica Vaticana è noto per aver redatto, tra l’altro, i dodici volumi degli Annales Ecclesiastici a Christo nato ad annum 1198 (1588-1607) relativi alla documentazione critica delle fasi storiche della Chiesa, dalle origini sino al Duecento. Si può riconoscere il frutto di tale impegno anche nell’interessante restauro giubilare del 1600, a carattere didascalico, della chiesa dei Santi Nereo e Achilleo: all’edificio profondamente stratificato (impianto dei secoli IV/ VI, fu ricomposto nel IX e profondamente restaurato nel 1475), il Baronio impose una risignificazione tipologica e formale, dando corpo ai lacerti degli arredi nelle componenti del presbiterio, per definire una fisionomia ideale di carattere concettuale utile, per programma, a dimostrare l’assetto significante della chiesa nei primordi della cristianità. L’interesse antiquario attraverso l’esercizio metodologico della concinnitas, quindi, si tradusse in uno strumento operativo incline a stabilire una condizione virtuosa di convivenza tendenzialmente continuistica, pur nella diversità, tra la contemporaneità e l’antichità, quest’ultima assunta al ruolo di portatrice di valori e significati emblematici e identitari. Questo sembra essere anche il punto di vista del Borromini, peraltro sviluppato attraverso una non comune raffinatezza progettuale e un’impareggiabile perizia tecnica: si guardi per questo al repertorio degli interventi di completamento, con finalità di

204

Antonio Pugliano prevenzione, dell’Abbazia di San Martino al Cimino ove, per volere di Innocenzo X, Borromini aggiunse alla facciata preesistente due nuove torri, intimamente medioevali e da ritenersi appropriate (secondo la storiografia del momento che non aveva ancora evidenziato la loro estraneità alla prassi cistercense) oltre che necessarie a mettere in sicurezza la facciata dal rischio di ribaltamento cui era esposta sin dal terremoto del 1461. Punto di forza della concezione strutturale di questi edifici è la consapevolezza del loro possibile comportamento meccanico sotto azione sismica che gli suggerì un uso appropriato del ferro inserito nelle pareti a comporre cordoli sommitali di muratura armata, posti a sistema con tiranti diagonali di controvento anch’essi metallici, oltre a una serie di arguti espedienti di rinforzo locale delle strutture lignee della copertura della navata centrale per assicurarle dal rischio di scompaginamento per deformazione nel loro piano o di ribaltamento per rotazione intorno all’asse congiungente gli appoggi. Gli interventi di restauro antisismico all’abbazia di San Martino al Cimino furono il prodotto di un interessante dibattito disciplinare tra il Borromini e Virgilio Spada di cui resta una importante traccia documentaria10.

Fulcro della concinnitas fu il riconoscimento dei caratteri significanti dell’architettura precedente e la loro rielaborazione nella forma di un edificio aggiornato e coerente con le conoscenze storiche del momento; nulla a che vedere quindi con la semplice riproposizione di stilemi ma primato della reintegrazione del senso compiuto riconoscibile nell’opera. Ancora alla concinnitas sono riconducibili gli interventi alla basilica costantiniana del Laterano per la quale il tipo edilizio tardo antico venne oportunamente riconsiderato e aggiornato, nel contesto di un programa di mantenimento (conservazione, adeguamento e riuso) tanto del connettivo di componenti murarie tardo antiche e strutture lignee di copertura, quanto del ricco repertorio di opere d’arte dei secoli precedenti che componevano i monumenti funebri11. In questo programma trovava spazio anche la presentazione delle testimonianze degli assetti precedenti, valga l’esempio degli ovali incorniciati nella navata centrale, destinati a mostrare i brani della muratura costantiniana conservati nel restauro. Borromini, quindi, studia l’architettura antica ai fini del riconoscimento di quegli aspetti sintattici essenziali che presiedono alla composizione architettonica e alla concezione strutturale. Questo approccio lo porta a concentrarsi su particolari non rielaborati dalla cultura rinascimentale, ne risulta che il suo linguaggio architettonico è

10 CORRADINI, Sandra. “Inediti del Borromini nella ristrutturazione di San Martino al Cimino”, in: Innocenzo X Pamphili: arte e potere nell’età barocca, Roma 1990. FERRI, M. y PUGLIANO, A. “La conservazione dei preesistenti caratteri architettonici nei completamente dell’Abbazia di S. Martino al Cimino (secoli XV e XVII),” in: SIMONCINI, Giorgio. (a cura). La tradizione medioevale nell’architettura italiana dal XV al XVIII secolo. L’ambiente storico-II, Leo S. Olschki, Firenze, 1992, pagg. 87-99. 11 Si tratta tuttavia di interventi coraggiosi e complessi; scrive Virgilio Spada: “E certo che Papa Innocenzo X di gloriosa memoria n’hebbe tal concetto che li pose in mani la gran fabbrica di San Giovanni senza voler udire il parere d’alcun’altro architetto, e quante (arti) siano in detta fabbrica in adrizzare muraglie storte, in sostenere le muraglie cadenti, benche li siano state levate di sotto le gambe delle colonne, et in tant’altre cose che hanno dell’incredibile, (…)”. CONNORS, Jack. “Virginio Spada’s…”, Op. cit.

205

La connoscenza storica e l´interpretazione critica delle fabriche… fortemente innovativo rispetto a quest’ultima e si pone come peculiare nei riguardi della cultura architettonica del Seicento. In detto linguaggio le forme classiche si mescolano a quelle desunte dall’osservazione della natura dando vita ad architetture dall’impianto e dalla volumetria complessi, composte su base geométrica e modulare, in armonia con le più aggiornate teorie scientifiche del momento e si pensi all’uso di triangoli e cerchi posti a sistema in chiave di generatori geometrici della composizione architettonica e alle considerazioni galileiane circa l’intelligibilità della matrice razionale dell’universo da decodificare attraverso il riconoscimento della struttura implicita alle forme naturali12. Le architetture borrominane, quindi, sono concepite per essere universali, condividendo l’essenza della realtà percepibile per mezzo dell’interpretazione critica delle sue regole intrinseche. A suggerire nuove e inedite chiavi di percezione dello spazio concorrono raffinati giuochi prospettici con, in più, il ruolo fondamentale della luce. La natura e la storia permangono come riferimento ideale dell’operare, come nella tradizione umanistica, ma l’elaborazione del contributo di queste componenti alla creazione architettonica è dinamico e libero, tanto aperto all’articolazione di nuovi riferimenti culturali, quanto distante dall’esercizio di un repertorio aprioristico e immutabile, sostanzialmente normato, di forme e soluzioni convenzionali.

La concezione e la realizzazione: un rapporto di forte interdipendenza

La natura, con il suo palesarsi attraverso il sistema razionale della matematica e della geometria, tuttavia, continua a essere funzionale alla precisazione progettuale e al controllo della congruente realizzazione dell’idea architettonica; analoga funzione può riconoscersi alla storia, della quale è espressione intenzionale il repertorio delle citazioni dell’antico. Nelle architetture del Borromini il riferimento a selezionate componenti delle opere antiche, infatti, è a volte diretto ed esplicito: è arcinota l’origine antiquaria della soluzione adottata nella sala dell’Oratorio dei filippini per risolvere il raccordo in angolo della volta a vela; ivi si ricorse a pilastri posti di sbieco, sulla base del riferimento alla sala ipogea, antica, visitata dal Borromini nella vigna del marchese Del Bufalo al Laterano. La casistica è estesa e contiene i caratteristici capitelli con le volute rivoltate osservati nell’atrio della villa Adriana13.

12 “La filosofia è scritta in questo grandissimo libro che continuamente ci sta aperto innanzi a gli occhi (io dico l’universo), ma non si può intendere se prima non s’impara a intender la lingua, e conoscer i caratteri, ne’ quali è scritto. Egli è scritto in lingua matematica, e i caratteri son triangoli, cerchi, ed altre figure geometriche, senza i quali mezzi è impossibile a intenderne umanamente parola; senza questi è un aggirarsi vanamente per un oscuro laberinto.” Galilei G. “Il saggiatore”, 1623 in: VITTI, Paolo. “Argo. La copertura ad intercapedine della grande aula: Opere, ed. Istituto della Enciclopedia Italiana, Milano-Napoli 2006, pág. 121. 13 VITTI, Paolo. “Argo. La copertura ad intercapedine della grande aula: “Appunti per una ricostruzione della cultura di Borromini” in: Accademia Nazionale di San Luca. Atti del Convegno di Studi sul Borromini.Volume secondo. De Luca, Roma, MCMLXVII, pags. 263-286.

206

Antonio Pugliano

Ad alcune di siffatte citazioni Borromini, plausibilmente, assegnò un ruolo nel processo produttivo della sua architettura proponendone l’uso in forma di componenti semantiche da destinarsi alla gestione della fase cantieristica di trasferimento alle maestranze dell’idea di progetto. La prima apparizione dei capitelli con volute rivoltate nell’architettura borrominiana è in San Carlino ove essi si alternano a capitelli con volute in posizione canonica; l’alternanza ha fatto pensare a un uso simbolico dei primi che, posti sistematicamente nei punti di appoggio delle componenti murarie più impegnative dal punto di vista dei carichi, sono chiamati a fornire la straordinaria rappresentazione dell’equilibrio statico tra azioni e reazioni reso visibile attraverso l’immagine della materia che, come fosse viva, è colta nell’atto di reagire (fig.5). Non ci sarebbe da stupirsi se questa scelta avesse una motivazione “convenzionale”: le differenze nelle fisionomie architettoniche di elementi ricorrenti possono essere utilizzate, in un sistema preordinato e gerarchizzato, per segnalare alle maestranze alcuni caposaldi cantieristici necessari all’esecuzione delle opere secondo una successione ben congegnata di fasi differite.

Fig. 5. Rilievo e interpretazione strutturale dell’ordine architettonico interno alla chiesa romana di San Carlino alle Quattro Fontane: si osserva che i capitelli con volute rovesce sono presenti solo all’appoggio degli arconi sui quali si imposta la cupola. Pugliano A, Università Roma Tre, Laboratorio di restauro 2M, allievi dell’AA 2013-2014.

207

La connoscenza storica e l´interpretazione critica delle fabriche…

Il cantiere di edificazione. La complessità dell’architettura e il problema del trasferimento alle maestranze dell’idea di progetto

Un aspetto particolarmente interessante dell’architettura borro miniana riguarda, infatti, la cantierizzazione. Valga l’esempio della facciata dell’Oratorio dei filippini che, com’è noto, si compone di uno straordinario insieme di superfici centinate, concepite secondo andamenti curvilinei, affatto elementari, basati sulla caratteristica alternanza di superfici concave e convesse. Di questa facciata non è semplice immaginare il metodo della sua realizzazione di cantiere soprattutto ponendo in relazione la complessità della geometria d’impianto con la scelta dei materiali per mezzo dei quali realizzarla. Procediamo con ordine: le superfici architettoniche della facciata sono realizzate in mattoni, per i campi e per i partiti architettonici che li incorniciano, e in pietra di travertino per le basi e i capitelli degli ordini, per le cornici orizzontali, per le incorniciature delle porte e finestre. Nella sostanza si è voluto rinunciare all’esteso contributo che poteva essere offerto dalle finiture superficiali plasmabili in opera, intonaci e stucchi, nel determinare le geometrie delle parti che, invece, furono realizzate con materiali lasciati facciavista e, pertanto, lavorati singolarmente per assumere una geometria tale che consentisse loro di essere localizzati esattamente nel punto in cui ora si trovano e non altrove. La descritta modalità di esecuzione non stupisce se applicata alle componenti lapidee, crea invece molti interrogativi se la si considera applicata anche nel caso degli innumerevoli mattoni che compongono la cortina particolarmente raffinata e mossa che caratterizza la sola parte centrale del primo ordine della facciata.

Detta cortina è di pianelle sottili, di qualità selezionata e lavorazione accurata, a cuneo, tale da consentire giunti orizzontali e verticali di spessore pari a uno o due millimetri; la possibile ultima opera di finitura superficiale di tale paramento dovette essere stata la sagramatura, una sorta di arrotatura fine e umida condotta in opera per levigare le superfici e, contestualmente, per produrre un sottilissimo amalgama di sottile polvere di mattone, così plástico e intrusivo, da saturare le pur minuscole discontinuità presenti nel paramento e farlo apparire simile a un manufatto realizzato, per intero, di terracotta. Ogni mattone di tale cortina differisce geometricamente dagli altri e quindi si deve ritenere che il taglio, necessariamente molto accurato e prodotto da maestranze esperte, sia avvenuto singolarmente in occasione della sua posa in opera. Plausibilmente l’artefice seguiva nella posa una serie di guide sagomate di dimensioni pari al vero utili a riprodurre, ciascuna, il profilo della sezione orizzontale del muro a quella quota e con quella particolare condizione di curvatura. Da questo punto di vista le componenti in pietra giocano un ruolo fondamentale nell’organizzazione del cantiere: realizzate fuori d’opera, sono poste in opera a formare una base continua di appoggio delle pareti in laterizi, al piano terreno con la muratura di spiccato, all’appoggio del secondo ordine e all’appoggio del timpano curvilineo del coronamento. Le componenti lapidee definiscono così l’imprinting geometrico all’opera offrendo

208

Antonio Pugliano il filo e il piombo agli sviluppi successivi dei volumi murari sovrastanti e, sostanzialmente, colaborando al trasferimento dell’idea di progetto alle maestranze in cantiere. La cortina fu realizzata assieme al muro retrostate in pietra e a esso fu collegata con apposite ammorsature. Pertanto: il paramento laterizio, giornata per giornata, ha dovuto essere arrotato in opera per raccordare le superfici delle diverse giornate e per omogeneizzare la geometria complessiva, emendando le seppur minime asperità e singolarità geometriche dovute al taglio di ogni mattone preliminare alla sua messa in opera; alla sagramatura, ad opera finita, fu affidato il compito di presentare l’opera nella sua qualità formale secondo il programma concepito dall’architetto.

Gli strumenti amministrativi del cantiere borrominiano e la loro qualità ai fini della efficienza delle opere realizzate. La Torre dell’Orologio nel convento dei filippini

Siffatte lavorazioni, per la loro complessità, necessitano di essere regolate da contratti con le maestranze che agevolino il controllo dei committenti sulla qualità delle esecuzioni e dei materiali Messi in opera; corrispondono a questi requisiti i contratti “a sola manifattura” che si differenziano dai contratti “a tutta roba” in quanto i capomastri, con i primi, si impegnano a porre in opera solo i materiali forniti dal comittente; Borromini prediligeva i contratti a sola manifattura ai quali fece ricorso con continuità sin dall’inizio del cantiere oratoriano potendo così avvalersi della possibilità di controllare oltre alla efficacia delle lavorazioni anche la qualità dei materiali messi in opera, ma un contratto del tipo “a tutta robba del capomastro”, nel 1647, fu adottato per la continuazione della fabbrica nel versante di via di , Monte Giordano e via dei Filippini14. Sulla base di tale contratto sfavorevole Borromini concepì e, plausibilmente solo in parte realizzò, la Torre dell’Orologio ideando un’architettura complessa e ricca di valenze sperimentali, rivelatasi poi non sufficientemente durevole a causa di una esecuzione non appropriata (fig.6). Le scelte tecnologiche adottate in fase di prima edificazione del fastigio della Torre dell’Orologio sono piuttosto complesse e rimandano ad un cantiere ricco, vocato ad essere molto seguito dal suo ideatore per le innegabili qualità sperimentali del manufatto. La giustapposizione dei materiali in opera seguiva criteri costruttivi, assieme strutturali e formali, particolarmente attenti al buon comportamento in esercizio della macchina architettonica che compone l’edificio. Le diverse componenti materiali contribuivano alla compagine complessiva secondo una gerarchia di principi utili ad un comportamento duttile della struttura: la continuità presiedeva alla

14 “Capitoli (...) per continuamento della nuova abitazione cominciando da Parione verso Monte Giordano (...) dalle stanze del Padre Virgilio Spada fino alla cantonata di Monte Giordano et anca per tutta la facciata della piazza sino all’Oratorio (...) quale fabbrica haver di fare il Capomastro sudetto tutta di sua robba, spese et fatture conforme dalle conventtioni, o prezzi dechiarati”. Manoscritto conservato in: Archivio di Stato di Roma, Archivio Spada, vol. 496, cc. 111 e ss.

209

La connoscenza storica e l´interpretazione critica delle fabriche… organizzazione delle parti metalliche concepite per distribuire e indirizzare le forze, la monoliticità caratterizzava le parti lapidee preposte a fornire il carico stabilizzante le azioni orizzontali; l’interazione tra pietra e metallo si basava sull’aderenza realizzata con la incastri impiombati. La pessima esecuzione comportò la disomogenea distribuzione delle azioni in esercizio: all’incremento delle spinte operate dal castello campanario sul piedritto nordorientale, fece seguito l’entrata in lavoro dell’anello metallico sottoposto alla cimasa della balaustra. La trazione in questo elemento metallico produsse la deformazione della geometria con la tendenza alla rettificazione delle sue componenti centinate. La deformazione dell’anello metallico indusse la rotazione dei travertini della balaustra a esso solidali, con episodi di rottura della pietra per concentrazione di carico; i pilastrini in muratura parteciparono di tali movimenti lesionandosi. Appare evidente come l’innescarsi di questo meccanismo, avvenuto plausibilmente molto presto se non in corso d’opera, abbia prodotto un primo danneggiamento del complesso apparato costruttivo. Il danneggiamento si è accresciuto nel tempo con la progressione del degrado dei materiali causato dell’azione degli agenti climatici in oltre tre secoli di abbandono e cattive manutenzioni; è stato necessario un restauro di carattere filologico per restituire la leggibilità della raffinata concezione architettonica del monumento.

Fig. 6. La Torre dell’Orologio nel Convento dei Filippini in Roma. Restituzione dell’organizzazione architettonica e strutturale con riconoscimento del comportamento meccanico indotto dalla pessima esecuzione del progetto borrominiano. Comune di Roma. X Ripartizione. Sovrintendenza ai monumento antichi, medioevali e moderni. Indagini storiche e rilievi propedeutici al Restauro della torre dell’Orologio del Convento dei Filippini in Roma, 1990. Pugliano A., Taccuino di Cantiere.

210

Antonio Pugliano

Per concludere

Ancora in chiave propositiva, come nell’introduzione, si suggerisce un ulteriore ambito di approfondimento di carattere molto generale ma estremamente utile all’interpretazione storica dell’operato del Borromini, da affiancare alle chiavi interpretative cui si è alluso precedentemente: si tratta di indagare il legame intellettuale che egli stabilì con il significato delle architetture del passato dal punto di vista tipologico e, quindi, delle consuetudini antropologiche. Detto significato, in altre occasioni e in forma tutt’altro che palese, sembrò costituire il fondamento culturale di alcune sue proposte progettuali e si guardi per questo al mausoleo Pamphjli alla Vallicella (e poi in Sant’Agnese in Agone) composto sulla base della suggestione tipologica dell’impianto chiesastico della basilica circiforme con mausoleo adeso peculiare all’architettura cristiana degli albori, tanto diffuso quanto poco studiato, che ha i suoi prototipi in ambiente romano, negli organismo costantiniani dell’antica Sant’Agnese con il suo mausoleo di Santa Costanza lungo la via Nomentana, nel primo San Lorenzo fuori le mura, nella pristina antica chiesa dei Santi Marcellino e Pietro con il mausoleo di Sant’Elena “ad Duas Lauros”.

211

La connoscenza storica e l´interpretazione critica delle fabriche…

212