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Corso di Laurea Magistrale in Lingue e Culture dell’Asia e dell’Africa Mediterranea – percorso Giappone -

Tesi di Laurea — Ca’ Foscari Kyōto tra letteratura, fantasia e Dorsoduro 3246 30123 Venezia realtà: proposta di traduzione del Ok. romanzo Yakō (Viaggio notturno, 2016) di Morimi Tomihiko

Relatore Ch. Prof. Toshio Miyake Correlatore Ch. Prof. Bonaventura Ruperti

Laureando Martina Solari Matricola 841551 Anno Accademico 2016/2017 Indice 要旨 ______3 Introduzione ______5

Prima parte 1. Origine e caratteristiche del fantastico in letteratura 1.1 Il fantastico in letteratura ______9 1.2 Critiche al genere ______11 1.3 Caratteristiche principali ______14 1.4 Generi ______16 2. Il fantastico nella letteratura Giapponese: dalle origini alla contemporaneità 2.1 Il fantastico nella letteratura giapponese ______19 2.2 Periodo Heian ______21 2.3 Periodo Kamakura e Muromachi ______28 2.4 Periodo Tokugawa ______30 2.4.1 Asai Ryōi: otogibōko ______31 2.4.2 Ueda Akinari: Ugetsu ______33 2.5 Periodo Meiji e Taishō ______37 2.5.1 Izumi Kyōka: fuga nella fantasia ______38 2.5.2 Akutagawa Ryūnosuke ______42 2.5.3 Kappa ______44 2.6 Letteratura femminile nel dopoguerra: Enchi Fumiko e Ōba Minako ______46 2.7 Letteratura contemporanea Murakami Haruki: kocchi no sekai, acchi no sekai ______49

Seconda parte 3. Turismo e letteratura ______52 3.1 Destinazioni ______54 3.2 Machi okoshi: nuove prospettive fra turismo letterario e seichi junnrei ______55 3.3 Case study: la Kyōto di Morimi ______62

Terza parte: Yakō 4. L’autore: Morimi Tomihiko ______68 5. Il romanzo: Yakō ______71 6. Riassunto dei capitoli ______73 7. Traduzione ______82

Conclusione ______129

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要旨

この論文の目標は森見登美彦の『夜行』という作品の翻訳で、その小説と日本文学におけ る幻想文学の特徴と名作の分析である。

幻想文学とは、 現実世界であり得ないとされる途もない事情や、超自然的な現象を描い た物語のことである。 昔から、人間は議論的に説明できない出来事に興味があって、その物語は現在でもよく 「おとぎ話」と比較されている。また、英雄、魔法、冒険、そして恐ろしい妖怪やモンス ターが語りの基本的要素にされて、その想像世界では何が起きても不思議だと思われてい ない。 アメリカとヨーロッパの典型的なファンタジー文学だとしては、キャロルの『不思議の国 のアリス』(1865年)やトールキンの『指輪物語』(1954~1955年)などが 挙げられる。その物語の出来事は現実世界との全く別世界に現れる。 一方、日本文学では、幽霊、魔法、などの超自然的な現象が現れる世界は、人間も暮らし ている現実世界であり、多くの場合では、古代伝説や民俗伝承に関連する場所である。 例えば、鞍馬山(京都府)は、霊山として知られ、古来より天狗(神や妖怪とも言われる、 赤ら顔で鼻が長く、カラスのような翼がある )という伝説上の生き物と関連している場 所として知られる。 別の世界に生きているものをめぐって、『古事記』や『源氏物語』や『今昔物語集』など をはじめとして、様々な神話や文学作品が書かれていた。 しかし、現代では、その超自然的な話が民俗学と「町おこし」という経済発展計画と手を 組むようにしている。そのおかげで、経済的な窮地に立つ町や地域のツーリズム、経済と 精神的な活性化をできることになった。例えば、一番古い例は、柳田國男による『遠野物 語』(1910年)の影響である。作品の影響のおかげで、1985年に「遠野昔話村」 が建てられて、観光客数を増加するようにできた。しかし、年を経つにつれて、元の民俗 復元プロジェクトは失敗して、遠野は単なるツーリストアトラクションになってしまった。

3 2002年より、日本政府による宣伝・輸出政策で「クールジャパン」というプロジェク トを発生された。当プロジェクトによってコンテンツそのものは、国内でも海外でも公開 されて、「町おこし」に新しいエネルギーを与えて回復できた。 また、漫画・アニメの影響で新しい観光の種類が現れるようになった。それは、「聖地巡 礼」ということである。もともと、宗教において重要な意味を持つ場所を示す表現である が、最近転じて、コンテンツ(つまり漫画、アニメ、小説、映画、ゲームなど)に関連し ている熱心なファンが訪ねる場所を示す。近代、様々な例を挙げられる:例えば、新海誠 監督による映画『君の名は。』とか、『ラキ☆スター』というアニメなどである。

この卒業論文は3章に分かれている。

第1章においては、主なテーマは幻想文学そのものである。特に、日本文学における幻想 文学の変化、特徴と名作の分析を表す。 第2章においては、課題を広げたいと思って、「聖地巡礼」と「町おこし」との関係を紹 介する。それに、森見登美彦の作品による京都聖地巡礼について紹介する。 最後に、第3章においては、作家についての情報を述べ、『夜行』の分析と翻訳を紹介す る。また、作家と京都市(しばしば森見氏の小説の主な背景)との関係を理解するように、 作品発売祭に作家が受けたインタービューを使用することにした。

4 Introduzione Il genere fantastico viene spesso paragonato ad una “fiaba per adulti”, dove eroi, magia, viaggi e mostri da sconfiggere costituiscono gli elementi fondamentali della storia. Nella letteratura europea e americana, i mondi in cui si svolgono le vicende dei protagonisti sono mondi inventati, utopie o proiezioni future della realtà; basta pensare al mondo creato da Tolkien nella saga de Il Signore degli Anelli, oppure a quello di Alice nel Paese delle Meraviglie (1865) di Lewis Caroll. Tuttavia, nella letteratura giapponese, i luoghi in cui si manifestano mostri, spiriti e avvenimenti soprannaturali, sono in molti casi luoghi reali, spesso famosi proprio per essere dimora di yōkai, e le stesse caratteristiche fantastiche sono quelle associate ad antiche leggende e tradizioni del folklore. Come sostiene Susan Napier (2005), molti scrittori, da Izumi Kyōka a Nakagami Kenji, guardarono alla tradizione e al folklore per trarre ispirazione e creare “fantasie contemporanee”; ad esempio, il monte Kurama è fin dai tempi antichi associato ai , demoni della montagna e delle foreste raffigurati come ibridi fra uomo e uccello; il monte Kōya che, oltre ad essere un luogo importante per il buddhismo Shingon, è stato arricchito di un’aura di mistero grazie al racconto Il Monaco del Monte Kōya (1900) di Izumi Kyōka, dove il protagonista attraversa una foresta dall’atmosfera fatata e viene attirato dagli inganni di un demone. Nei racconti, ma anche nel teatro, nel cinema e nell’arte nipponica, il mondo fantastico interagisce con quello reale e l’unico limite fra i due mondi sono foreste, montagne, mare, tutti elementi naturali che in passato hanno spesso segnato l’inizio di una zona liminale; liminale è anche la moralità di demoni e , mai chiaramente “buoni” o “cattivi”; a differenza dei racconti della tradizione euro-americana, che separa nettamente il bene dal male, divinità e demoni possono portare sia benefici sia distruzione e le loro azioni sono sempre dettate dal comportamento degli uomini: se portano distruzione, sarà quasi sempre a causa della natura negativa degli uomini che li avvicinano, mentre possono essere amichevoli e fonte di ricchezza con coloro che dimostrano bontà, saggezza e compassione (Novielli, 2015). Il soprannaturale ha caratterizzato i racconti nipponici fin dalle origini, come testimoniano testi antichi come il 古事記 (Racconti di antichi eventi, 711-712 circa), il Genji monogatari 源氏物語 (Storia di Genji, XI sec.) e il Konjaku Monogatari Shū 今昔物語集 (Racconti di un tempo che fu, 1120 circa); con l’arrivo del buddhismo nell’arcipelago, le storie acquisirono uno scopo didattico, morale, mentre solo verso il XVII secolo questi racconti persero ogni intento didattico e divennero puro intrattenimento, classificate sotto il filone 5 letterario del kaidan 怪談, letteralmente “storie di fantasmi”(Berzieri, 2008). In epoca moderna, lo studioso che ha saputo unire storie kaidan a scopi turistici, di rivitalizzazione di antiche tradizioni e luoghi è stato Yanagita Kunio, (considerato il fondatore del minzokugaku 民俗学, cioè gli studi folclorici giapponesi) che, con il suo Tōno Monogatari 遠野物語 (Storie di Tōno, 1910) ha creato un’imponente raccolta e interpretazione del repertorio mostruoso/fantastico regionale derivato dai racconti orali delle zone rurali, ormai in fase di estinzione di fronte alla modernizzazione (Miyake, 2014, p.19). Infatti, durante gli anni Sessanta, anche la città di Tōno, come altre zone rurali, dovette affrontare un grave spopolamento e le autorità decisero di ricorrere al patrimonio folkloristico per far rivivere la città e attirare i turisti; il progetto, rinominato Tonopia, consisteva nel rendere la cittadina un museo vivente, eternamente rurale, dove vi fosse una kami to ningen no kyōson 神と人間の共 存, cioè una “coesistenza di uomini e divinità” (Berzieri, 2008). Il progetto riuscì e, nel 1985, venne fondato il Tōno Mukashibanashi Mura (lett. “Tōno, il villaggio delle antiche fiabe”). Tuttavia, non fu privo di conseguenze negative: con il tempo, l’aspetto economico ha contaminato (e sorpassato) gli aspetti tradizionali e originali del progetto, così che Tōno assomiglia sempre di più ad un parco a tema in stile Disneyland (Yamashita, 2003). Questo tipo di “revival” ha un nome ben preciso: machi okoshi 町おこし o machi zukuri 町づくり; l’obiettivo è quello di riportare in auge le città – i villaggi 村, le regioni 地域 – spesso in spopolamento e indebolite economicamente utilizzando la cultura e i racconti tradizionali (Thornbury, 1997) . Oltre a numerose associazioni, come la Foundation e Meiji Yasuda Cultural Foundation anche media come , , film e romanzi giocano un ruolo fondamentale nel machi okoshi e tale contributo è stato recentemente classificato dagli studiosi sotto l’etichetta del contents tourism; un esempio è il recente successo del film Kimi no na wa. (Il tuo nome., 2016) del regista Makoto Shinkai: la città attorno alla quale si basa il film, Itomori, è una città inventata ma basata sulla reale Hida, nella prefettura di Gifu. Questo il titolo di un articolo dell’edizione online del Japan Today: “City that inspired settings in hit anime . sees unbelievable boost in tourism”1. L’articolo spiega che:

1 Japan Today, articolo del 28/11/2016, consultabile al link: https://japantoday.com/category/entertainment/city-that-inspired-settings-in-hit-anime-yourname-sees- unbelievable-boost-in-tourism (ultimo accesso: 05/06/2017) 6 Hida City, in light of the film’s success, recently began offering “Your Name. pilgrimage tours” to capitalize on its newfound reputation, and fans have been showing up in droves to mill around town and snap photos of the iconic locations that inspired settings in the film. One of those venues is the Hida City Library, which due to a policy of largely allowing photos of the interior, has become sort of Holy Grail for fans.2

Anche oggetti della tradizione come il kuchikamizake 口噛み酒 (un tipo di sake derivante dalla fermentazione del riso che utilizza la saliva come base per la fermentazione) e i braccialetti kumihimo 組み紐 sono andati letteralmente a ruba dopo la proiezione del film, tanto che, nella città di Uji, per poter acquistare i braccialetti si è arrivati fino a tre mesi di attesa. In questo contesto – cioè di aiuto reciproco tra turismo, letteratura/media e machi okoshi - si inserisce il romanzo Yakō 夜行 (Viaggio notturno) di Morimi Tomihiko 森見登美彦 pubblicato da Shogakukan nell’ottobre 2016 e apprezzato dalla critica per aver utilizzato come sfondo città reali arricchite da un’aura di mistero e fantasia. Nell’elaborato, vorrei proporre una traduzione e analisi del romanzo, candidato al premio Naoki e vincitore del premio Hiroshima hontaishō 2017. Il romanzo è caratterizzato da sfumature che variano dal mistery al fantasy e, come la maggior parte dei romanzi di Morimi, si svolge prevalentemente nella città di Kyōto. Cinque ragazzi, amici di vecchia data, decidono di incontrarsi per organizzare un viaggio sul monte Kurama; il motivo di questa escursione è quello di non dimenticare e di scoprire cosa sia successo veramente, la notte dello Himatsuri 火祭り di dieci anni fa, in cui scomparve Hasegawa, loro amica. Durante il viaggio verso Kurama, i cinque protagonisti si alternano nel raccontare episodi strani, dai particolari soprannaturali, ma tutti con due elementi in comune; “Hasegawa” e una serie di stampe dal titolo “Viaggio notturno”. Nella prima parte dell’elaborato, per contestualizzare il romanzo, vorrei presentare una breve storia del genere letterario, in particolare in riferimento al contesto nipponico e all’evoluzione del genere dalle origini alla contemporaneità. Nella seconda, vorrei estendere il discorso prendendo in considerazione il contributo che il contents tourism – in particolare il turismo letterario – dà al progetto governativo del machi okoshi, attirando sempre più turisti nelle zone colpite da spopolamento e conseguenti difficoltà economiche. La ricerca sarà guidata dalle seguenti domande di ricerca:

2 Japan Today, ibidem. 7 - in che modo il repertorio tradizionale del folklore ha interagito e interagisce con la letteratura per creare atmosfere fantastiche? - come viene percepito l’utilizzo di romanzi, anime, manga, film ecc...per scopi turistici? - in che modo questi interagiscono con le città? - può la letteratura offrire nuovi stimoli al turismo, in particolare al machi okoshi?

La terza parte sarà invece incentrata sulla presentazione e traduzione di parti scelte del romanzo; Utilizzerò interviste rilasciate dall’autore in occasione dell’uscita di Yakō e interviste precedenti, per capire il legame che lo scrittore ha con Kyōto, spesso sfondo principale dei suoi romanzi.

8 Prima parte: 1. Origine e caratteristiche del fantastico in letteratura

Il fantastico in senso moderno, benché sia un genere letterario piuttosto giovane e affermatosi come produzione per adulti negli anni Settanta del Novecento (Stableford, 2009, p. xli), ha in realtà una lunga storia; miti, leggende del folklore, favole e fiabe in cui si trovano elementi fantastici e soprannaturali esistevano già ben prima che nascesse la letteratura scritta e, con il tempo, queste storie aumentarono sempre di più: dalla mitologia classica ai romanzi cavallereschi del ciclo arturiano e carolingio, ai romanzi del XVII secolo che assorbirono gli elementi di quella che Peter Hunt (2001) definisce “primitive fantasy”, cioè le storie della tradizione orale. Stableford (2009) prosegue sostenendo che tutte le culture sono, sotto questo aspetto, uguali: i racconti che esse possiedono prima di apprendere la scrittura contengono elementi fantastici, i quali verranno poi ripresi nella letteratura scritta. Altra caratteristica dei racconti pre-scrittura sono i luoghi in cui sono ambientati, mondi differenti da quello ordinario, popolati da miti e magia, the world of once upon a time (Stableford, 2009, p. xxxix). Tuttavia, proprio questa caratteristica che vede la letteratura fantastica ambientata nel c’era una volta, la rende “vecchia”, “fuori moda” in confronto ai racconti che riguardano il passato storico. Il “passato” della tradizione orale è, come detto prima, costituito di leggende e miti, con immagini di creazione e ordine del mondo, storie che erano raccontate soprattutto ai bambini come insegnamento; questi due aspetti sono di particolare importanza perché riguardano il motivo per cui il fantastico ha impiegato così tanto tempo ad essere riconosciuto come genere letterario di consumo.

1.1 Il fantastico in letteratura

Il primo scoglio che questo genere dovette superare fu il forte senso di realismo imposto soprattutto in epoca illuminista, la quale fu particolarmente ostile al fantastico. Come sostiene Sprague de Camp (1976), a parte qualche storia di fantasmi e/o stregoneria, durante il XVII e inizio del XVIII secolo furono scritte ben poche opere con elementi fantastici. Quest’epoca fu permeata da una prospettiva scettica, razionalistica, materialistica e vide la nascita del romanzo realistico, specchio della società ottocentesca. Anche le storie per bambini si trasformarono in lezioni morali e storie “ragionevoli”, lasciando pochissimo spazio alla fantasia.

9 Tuttavia, nel XVIII e XIX secolo, il fantastico riemerse nella letteratura europea in particolare attraverso tre elementi:

a. il fascino per l’Oriente; b. il romanzo gotico; c. le fiabe.

Elementi appartenenti al Romanticismo che, in reazione al culto della ragione illuminista apprezzava l’immaginazione e il soprannaturale, diedero così nuovo risalto a questo tipo di narrativa. Il primo elemento, l’Oriente, è per i romantici un luogo affascinante e pericoloso allo stesso tempo, a volte un luogo “immaginario” dove ambientare storie di terre lontane e straordinarie. In realtà, durante il Romanticismo prevalgono due tipi di approccio all’Oriente: il primo è puro interesse e studio della cultura e degli usi, il secondo può essere definito come Orientalismo, cioè un atteggiamento caratterizzato da un forte interesse verso tutto ciò che riguarda l’Oriente, interesse che tende però a creare immagini stereotipate, esagerate e talvolta pericolose utilizzate dagli scrittori romantici come ambientazione di narrazioni che sfociarono poi nel romanzo gotico(secondo elemento). Il terzo elemento, la fiaba, visse un’epoca d’oro a partire dal 1860, dominata ad esempio dalle storie di Carroll, MacDonald, Baum; in particolare, i romantici tedeschi, come Goethe, Novalis ecc. crearono opere ispirate ai temi e alle creature delle fiabe, mentre i fratelli Grimm diedero vita alla loro famosa raccolta di racconti popolari. Queste storie furono molto apprezzate nell’Inghilterra del XIX secolo, dove la traduzione dell’opera dei Grimm riaccese l’interesse per tutto ciò che era magico e fantastico. Come sostiene Terri Windling (2001), nell’Inghilterra vittoriana questo ritrovato interesse era, in parte, una conseguenza della rivoluzione industriale e del conseguente

Figura 1 sconvolgimento sociale; mentre sparivano tratti di campagna per far Il Bianconiglio di Alice nel Paese nelle Meraviglie. spazio alle industrie, il mondo fantastico si copriva di nostalgia for a Illustrazione di John Tenniel vanishing way of life. Tuttavia, proprio in questo periodo d’oro per le (1820-1914) fiabe, esse vennero ridotte a mere storie per bambini, sia perché gli editori vi vedevano un cospicuo profitto (grazie alla nascita di una nuova classe borghese), sia perché il fantastico venne declassato nuovamente dalla rigidità dell’epoca. Nacquero infiniti dibattiti e molti scrittori criticarono e si opposero a questo declassamento, come Charles Dickens, che scrisse in Frauds on the Fairies (1853): 10 In an utilitarian age, of all other times, it is a matter of grave importance that fairy tales should be respected. […] Everyone who has considered the subject knows full well that a nation without fancy, without some romance, never did, and never will, hold a great place under the sun.

Tuttavia, bisognerà aspettare fino al 1938 quando, con il saggio On Fairy Tales, Tolkien approfondì il dibattito sulle teorie delle fiabe e del fantastico come genere non solamente per bambini; in questo saggio, egli sostiene che la fantasia agisce su tre aspetti psicologici fondamentali:

a. Recovery: cioè vedere le cose “separate” da noi. Secondo Tolkien, la realtà non può essere pienamente apprezzata senza l’immaginazione, che libera l’osservatore come da una prigione e, proprio i punti di vista situati nell’immaginario, permettono ai lettori di recuperare un senso di percezione appropriato. b. Escape: nel Mondo Reale la parola evasione viene spesso associata a qualcosa di negativo, ma quella che intende Tolkien è una fuga dal caos e dall’immoralità del mondo moderno. Con l’evasione si rifiuta la schiavitù degli oggetti, tipica della società di oggi3. c. Consolation: la consolazione è la funzione più alta della fiaba e consiste nel Lieto Fine, un’improvvisa gioia; la fiaba non esclude il dolore o il fallimento, anzi, è proprio grazie alla loro manifestazione che la svolta positiva, la gioia, può avvenire.

È in parte grazie a questo saggio e al fatto che Tolkien abbia messo realmente in pratica quello che vi era scritto se il moderno genere fantasy ha avuto successo in ambito commerciale e legittimazione letterario-accademica. Da allora sono stati pubblicati non solo molti studi accademici sul genere, ma anche romanzi tutt’oggi famosi, da La spada di Shannara (1977) di Terry Brooks, alla saga di Harry Potter di J. K. Rowling e delle Cronache del Ghiaccio e del Fuoco di R. R. Martins, fino al caso italiano de Le Cronache del Mondo Emerso di Licia Troisi.

1.2 Critiche al genere

Come già accennato in precedenza, il fantastico ha impiegato molto tempo per essere riconosciuto come genere letterario a sé stante. Prima del 1969, esso veniva considerato un

3 The notion that motor-cars are more “alive” than, say, centaurs or dragons is curious; that they are more “real” than, say, horses is pathetically absurd. How real, how startlingly alive is a factory chimney compared with an elm-tree: poor obsolete thing, insubstantial dream of an escapist! (Tolkien, 1964, p. 62) 11 genere per bambini, in quanto la fantasia era considerata poco appropriata per gli adulti che avrebbero dovuto metterla da parte, insieme ad altre cose “infantili” (Stableford, 2009, p. xxxvii). La domanda principale che scrittori e critici letterari si posero all’epoca fu quanto seriamente dovessero prendere in considerazione il fantastico; esso veniva o “preso entusiasticamente sul serio” o “seriamente rifiutato”:

It [Fantasy] is the root of all literature, an area of advanced literary experimentation, and essential to our mental health; or it is regressive, and associated with self- indulgent catharsis on the part of the writers; or it is linked to a ritualistic, epic, dehumanized world of predetermination and out of tune with post-romantic sensitivity; or it symbolizes the random world of the postmodern. Or […] fantasy resists, and indeed mocks, the elaborate classification systems of academia that have grown up around it, just as it defies the view that its huge popularity is a sad reflection on the state of contemporary culture. (Hunt, 2001, p. 9)

Tre sono le accuse mosse al genere dai critici, cioè di essere:

1. “Scontato”; nonostante la fantasia sia illimitata, il Fantasy ha un ristretto numero di motivi ed elementi ricorrenti: giovani eroi e maghi saggi pronti ad aiutarli, mostri da sconfiggere e luoghi tanto meravigliosi quanto difficili da raggiungere, tesori da conquistare, il bene che trionfa (spesso) sul male. Tuttavia, questa ricorrenza è in parte dovuta, come sostiene Hunt (2001), proprio da esigenze commerciali. Queste caratteristiche sono riconosciute e apprezzate dalla maggior parte del pubblico, mentre elementi che si distaccano dallo standard potrebbero disorientare i lettori. Oltre a questi cliché, un altro elemento standard difficile da superare è legato all’eroe, in particolare al genere; essere l’eroe in una storia fantasy è quasi del tutto una prerogativa maschile, mentre al genere femminile spettano ruoli come la dama indifesa da salvare, la madre dell’eroe, streghe malvage. Tuttavia, recentemente questa distinzione sta via via svanendo e possiamo quindi trovare donne indipendenti, forti, determinate che invece di essere salvate, salveranno e diventeranno un supporto essenziale per l’eroe come, ad esempio, nella saga di Harry Potter dove Hermione Granger, oltre a svolgere un ruolo fondamentale nella storia, possiede doti che superano quelle del protagonista. 2. “Infantile”: per molto tempo il genere ha subìto un paradosso; nel canone della letteratura per bambini ha goduto di una posizione relativamente alta, mentre in quella

12 per adulti veniva poco considerato. Questo è dovuto, oltre all’esistenza di un canone , anche al “senso comune” secondo cui i mondi inventati siano solo una fantasia per bambini. Tolkien, ancora una volta, mette in dubbio tale concetto:

The association of children and fairy stories is an accident of our domestic history. Fairy stories have in the modern lettered world been relegated to the “nursery”, as shabby and old-fashioned furniture […] primarily because the adults do not want it. […] Children as a class […] neither like fairy stories more, nor understand them better than adults do; and no more than they like many other things. (1964, p. 34)

Un altro argomento a sostegno della critica, è dato dal concetto di “innocenza”; secondo i critici, nei bambini la distinzione fra reale e irreale sarebbe offuscata, non netta, proprio perché “innocenti”, non a conoscenza dei mali del mondo. Secondo altri, questa teoria non avrebbe molto senso; il fatto stesso di poter creare nuovi mondi, nuove creature, non implica forse una conoscenza del mondo reale? L’utilizzo della realtà per creare qualcosa di immaginario, indica che in questo ci sia qualcosa di vero e, forse, è proprio questo di cui gli adulti hanno paura. 3. “D’evasione”: secondo Tolkien l’evasione è una delle qualità positive del fantastico, che permette agli uomini di fuggire dalla schiavitù degli oggetti; tale fuga permetterebbe inoltre, vedendo le cose da una prospettiva diversa, di aumentare la capacità di cercare soluzioni e vie alternative per risolvere i problemi di tutti i giorni. Molti critici sostengono invece che questa fuga altro non sia che codardia, un modo per evitare di affrontare tensioni e problemi per rifugiarsi invece in inutili nostalgie (Gates, 2003, p.3). Tuttavia, come sostiene Hunt, questa accusa si regge sul fatto che il fantastico è necessariamente escapista: “The idea of all fantasy as frivolous escapism is no more generally applicable than the suggestion that all fiction is escapist – and perhaps less so. Fantasy cannot be free-floating or entirely original, unless we are prepared to learn a new language and new way of thinking to understand it. It must be understandable in terms of its relationship to, or deviance from, our known world (2001, p. 7)”. In altre parole, leggendo e/o scrivendo storie fantastiche non si prova a scappare dalla realtà, in quanto esso ha un ruolo inevitabile come “controparte” della realtà e, proprio per questo motivo, molto spesso ne diventa una critica severa.

Il desiderio di classificare la letteratura fantastica come genere commerciale per adulti ha 13 portato a discutere anche l’origine del genere stesso; ad esempio, l’horror fiction e la science fiction, i due generi che più si avvicinano e ne rappresentano, in senso moderno, dei sottogeneri, hanno origine rispettivamente dai romanzi gotici del XVIII secolo e dalla letteratura di inizio XIX. Esso, pur ammettendo di prendere tematiche ed elementi dalla tradizione e dalle leggende, si propone come qualcosa di completamente nuovo. John Clute in The Enciclopedia of Fantasy (1997)4 ha riassunto e rinforzato tale argomento, sostenendo che non si dovrebbe parlare di “letteratura fantastica” prima dell’Illuminismo, in quanto creata proprio come contrasto al “realismo”; prima di tale periodo non esisteva tale opposizione, in quanto realtà e fantasia non erano considerati come “opposti”. Tuttavia, come sostiene Stableford (2009), i cantastorie e gli scrittori di storie fantastiche vissuti prima di quel periodo erano ben consapevoli delle differenze tra la realtà e gli elementi fantastici presenti nei loro racconti. Per sostenere tale tesi, prende in considerazione colui che può essere considerato uno dei primi autori di opere letterarie fantastiche: Omero. L’autore è al centro della cosiddetta “Questione Omerica”, che si riferisce ai dibattiti riguardanti l’attendibilità della creazione da parte di Omero dell’Iliade e dell’Odissea, oltre che della sua stessa esistenza. Stableford, dopo aver illustrato tale Questione, continua dicendo:

There is no doubt that Homer was a fantasist, in every sense of the word. Whether or not he or his inventors believed in the real existence of the gods they intruded into his canonical accounts of the fall of Troy or the monsters encountered […], they knew perfectly well that there was a difference between the supernatural aspects of the stories and the naturalistic ones. They understood such concepts as symbolism and metaphor, because they knew […] that the mind can […] imagine things that have no actual existence as well as thing that do. They knew […] that the mythical past was indeed mythical. (2009, p. xliv)

Questo porta ad un altro importante elemento per contestualizzare il fantastico come letteratura: la fede. Come genere letterario, esso non ha nulla a vedere con fede e credenze; non importa quanto autori passati e contemporanei credano o abbiano creduto veramente nella magia, nelle fate, negli dei, nei fantasmi ecc., poiché questo non interferisce sulla capacità dei lettori di capire quali elementi siano reali o meno e di capire quale funzione essi assumono nella storia.

1.3 Caratteristiche principali

4 edizione online al link: http://sf-encyclopedia.uk/fe.php (ultimo accesso: 20/06/2017) 14

Elementi chiave di una storia fantastica sono la magia, il soprannaturale, l’allegoria, il mito; un romanzo può essere ambientato in epoche passate o in mondi sconosciuti, essere romantico o pauroso, ma tali elementi saranno sempre presenti. Altro pilastro è la battaglia tra bene e male e il viaggio intrapreso dall’eroe per affrontarla. Oltre a questi, esistono altri elementi che caratterizzano un racconto fantastico:

a. Creature e oggetti soprannaturali: draghi, fate, elfi, nani, fantasmi, animali parlanti e/o in grado di trasformarsi, oggetti che attraversano il tempo, armi magiche, pozioni in grado di modificare l’aspetto di chi le beve e molto altro. L’interazione fra questi elementi surreali con altri “quotidiani”, conosciuti dai lettori, rende la storia dinamica; b. L’eroe: in altre parole, il protagonista; prescelto dal destino, è dotato di grande forza, lealtà e coraggio, doti che gli permetteranno di sconfiggere l’antagonista, il male; di fondamentale importanza per l’eroe sono gli aiutanti, senza il cui intervento non riuscirebbe a portare a termine il suo compito; c. Il viaggio: metafora della crescita interiore del/i personaggio/i; d. L’ambientazione: in molti casi la storia ha luogo in mondi immaginari, i cosiddetti mondi secondari; come spiega Pamela Gates (2003), la credibilità e la vividezza dei luoghi sono di fondamentale importanza affinché il lettore si immerga completamente nel romanzo e, per questo motivo, spesso gli autori dedicando ampio spazio alla descrizione dei luoghi e delle leggi che li governano, inserendo a volte delle vere e proprio mappe. Ovviamente, più sarà dettagliata e quindi credibile la descrizione del luogo, più la storia sarà in grado di creare meraviglia e stupore oltre che aumentarne l’originalità, altri due elementi essenziali per un racconto fantasy.

Dal punto di vista stilistico, non devono mancare: a. Trama complessa: la trama racconta il viaggio compiuto dal protagonista, metafora della sua crescita; per questo è complicata, ricca di colpi di scena, si intreccia con altre storie, ma si arriverà ad un lieto fine. Generalmente, la serena situazione iniziale viene sconvolta da un fatto inaspettato che costringe il protagonista a mettersi in marcia per riportare tutto alla normalità; la suspense e il mistero creano tensione e percezione del pericolo in chi legge, mentre il finale deve riportare tranquillità. b. Ordine interno: la storia, indipendentemente da quali limiti sorpassi, deve esprimere comunque dei valori e degli elementi razionali che permettano al lettore di capire il 15 loro funzionamento. Questi elementi razionali possono anche essere semplici spiegazioni date dal narratore; ad esempio, se in un racconto viene introdotto un oggetto che può essere attivato solamente da una parola d’ordine, allora tutta la narrazione che avverrà dopo dovrà sottostare a tale condizione. Violazioni dell’ordine interno possono portare ad ambiguità e confusione, anche se spesso è una reazione voluta; Alice in Wonderland (1865) di Lewis Carroll ne è un perfetto esempio: tutto quello che accade “sotto” è l’esatto contrario di ciò che ci si può aspettare di trovare “sopra”. Solamente quando Alice riuscirà a capire le leggi che governano il Paese delle Meraviglie potrà riottenere il controllo e tornare nel mondo reale.

1.4 Generi

Nel corso degli anni sono stati creati numerosi tipi di sotto-generi, tanto che autori e critici stessi non concordano sul loro effettivo numero e classificazione; si sono affermati, ad esempio, il fantasy fiabesco, eroico, epico, magico ecc., e, analizzando gli elementi presenti in un testo, spesso esso può far parte di più categorie. Dato le numerose classificazioni, prenderò in considerazione la tesi di Farah Mendlesohn che, in Rethorics of Fantasy (2008), evidenzia quattro tipologie principali:

1. Portal: nei portal fantasy il protagonista entra in un mondo sconosciuto attraverso un portale; tale mondo è dominato dal fantastico e il portale funge da barriera fra le due realtà. In questo tipo di racconti si hanno anche, generalmente, due narratori: un narratore del microcosmo (cioè del mondo all’interno del mondo), che racconta il punto di vista dei personaggi, e il narratore del macrocosmo che narra e spiega al lettore le leggi del mondo secondario5. Questo ruolo può essere ricoperto anche da un personaggio all’interno della storia, il quale farà da “guida” al protagonista, che non conosce nulla del mondo fantastico. Il leone, la strega e l’armadio (C. S. Lewis, 1950) e Alice nel paese delle meraviglie (1865) di Carroll sono esempi di portal fantasy. 2. Immersive: negli immersive fantasy il fantastico è la norma; mentre i portal fantasy enfatizzano il riconoscimento del “diverso” e il ritorno alla “normalità”, in queste storie il fantastico è dato per scontato. Tuttavia, questo può ridurre il senso di meraviglia e

5 Per approfondimenti, vedere Mendlesohn (2008), p. 8-14. 16 costringe il lettore a dare per scontate ambientazioni e avvenimenti attraverso il processo definito da Tolkien come enchantment. Spesso assumono le caratteristiche di heroic fantasy; un esempio è Il signore degli anelli (Tolkien, 1955). 3. Intrusive: in questo tipo di storie il fantastico entra nel mondo reale portando caos; come sostiene Stableford (2009), “the intrusion usually arises as relics of the mythical past, and the tacit assumption that such relics might exist serves as a reminder that the present state of the worldly affairs is assumed by traditional fantasy to be the result of a long process of erosion that has removed supernatural and magical aspects from contemporary normality.” (2009, p. l). Un vantaggio degli intrusive fantasy è quello di avere un apparente corso “naturale”; l’elemento fantastico compare spezzando la normalità e inizia la riconquista dell’ordine attraverso la sua sconfitta. All’inizio l’intrusione è piccola, lontana, per poi crescere fino a diventare (apparentemente) inarrestabile. Il protagonista di queste storie condivide con il lettore confusione e scetticismo per il fantastico, a differenza dell’immersive fantasy, dove esso è considerato parte della vita di tutti i giorni. Ne è un esempio Eragon (Christopher Paolini, 2002), dove la tranquillità iniziale viene sconvolta dalla caduta dal cielo di un uovo di drago, creatura che si credeva ormai estinta. 4. Liminal: il liminal fantasy (definito precedentemente dall’autrice come estranged6) “is that form of fantasy which estranges the reader from the fantastic as seen and described by the protagonist”(Mendlesohn, 2008, p. 182). Quando l’elemento fantastico compare in questo tipo di racconti dovrebbe essere intrusivo e portare quindi caos, ma, se le sue azioni sono percepite come tali, la sua origine no; il lettore è disorientato poiché, in poche parole, si tratta di un immersive fantasy ambientato nel mondo primario. I protagonisti (e il lettore) capiscono che “c’è qualcosa che non va”, ma non lo identificano con qualcosa di orrorifico, sono confusi dalla sua presenza, nonostante sia reso chiaro che tale elemento non fa parte del mondo primario. Secondo Farah Mendlesohn:

While intrusive fantasy is fascinated with the monster, the estranged fantasy wallows in ennui. To cross the portal is to confront the illusion, but confrontation […] reduces rather than intensifies the fantastic. The transliminal moment, which

6 Vedere MENDLESOHN, Farah, A Taxonomy of Fantasy in Journal of the Fantastic in Arts, Vol. 13, no.2, 2002, pp. 169-183, consultabile on line al link: http://www.jstor.org/stable/43308579 (ultimo accesso:24/06/2017) 17 brings up to the liminal point then refuses the threshold, has much greater potential to generate fear, awe and confusion, all intensely important emotions in the creation of the fantastic mode. (Mendlesohn, 2002, p. 180)

Altra classificazione del genere fantastico è quella data da Italo Calvino in Fantastico Visionario (Racconti Fantastici dell’Ottocento, volume primo, 1983). Nel saggio introduttivo, Calvino suddivide il genere in: “fantastico visionario”- che comprende fantascienza, horror, ghost stories ecc., predominante agli inizi dell’ottocento – dove gli elementi soprannaturali sono tangibili all’interno della storia e in “fantastico mentale” (o “astratto”, “psicologico”, “quotidiano”), dove tali elementi sono invece percepiti interiormente dai protagonisti – come, ad esempio, in La tortura della Speranza di Villiers De L’Isle-Adam (1893), genere predominante verso fine secolo -. Altra distinzione che l’autore sottolinea riguarda invece l’ambito linguistico: in italiano viene spesso preso in prestito il termine inglese fantasy che in realtà ne indica solo una parte; in esso, gli elementi fantastici non sono spiegati in maniera razionale, ma sono dati comunque come certi; in altre parole, il lettore non si interroga sulla loro veridicità, ma li assume come possibili. Inoltre,

Tzevan Todorov, nella sua Introduction à la littérature fantastique (1970), sostiene che ciò che contraddistingue il “fantastico” narrativo è proprio una perplessità di fronte a un fatto incredibile, un’esitazione fra una spiegazione razionale e realistica e l’accettazione del soprannaturale. [...] Il fatto incredibile che il racconto fantastico narra deve, secondo Todorov, lasciare sempre una possibilità di spiegazione razionale, non fosse che quella si tratta d’una allucinazione o d’un sogno (coperchio buono per tutte le pentole). (Calvino, 1983, p. v)

Ancora, sulla distinzione fra il meraviglioso e il fantastico:

[Il meraviglioso] si distingue dal “fantastico” in quanto presuppone l’accettazione dell’inverosimile e dell’inspiegabile, come nelle fiabe o nelle Mille e una notte. (Distinzione che è aderente alla terminologia letteraria francese, dove fantastique è riferito quasi sempre a elementi macabri, come apparizioni di fantasmi dell’oltretomba. L’uso italiano invece associa più liberamente “fantastico” a “fantasia”; difatti noi parliamo di “fantastico ariostesco”, mentre secondo la terminologia francese si dovrebbe dire “meraviglioso ariostesco”). (Calvino, 1983, p. v)

18 2. Il fantastico nella letteratura giapponese: dalle origini alla contemporaneità

2.1 Il fantastico nella letteratura giapponese Nel paragrafo precedente sono riassunte le origini e le caratteristiche della letteratura fantastica in Europa, ma tali caratteristiche possono essere considerate valide anche per la letteratura giapponese? Oppure, esiste una letteratura fantastica distintamente giapponese? Tale interrogativo è al centro del libro di Susan Napier, The Fantastic in Modern Japanese Literature: The subversion of modernity (2005); la risposta dell’autrice sembrerebbe essere “si”: esiste una letteratura fantastica tipicamente giapponese, «but only in a matter of degree, rather than indicating any essential dissimilarity between Japanese and Western literature». (Napier, 2005, p. 221) L’unico elemento che sembra essere più accentuato è quello del diverso, dell’illusorio e dell’irrazionale in contrasto al cambiamento dettato dalla modernità, simbolo di omogeneità, razionalismo e materialismo. Da un punto di vista storico, il periodo Meiji (1868-1912) può essere considerato l’inizio di tale contrasto; durante tutto il periodo, il Giappone non si limitò solamente ad acquisire conoscenze e concetti, ma organizzò anche vere e proprie spedizioni in Europa e negli Stati Uniti, utili alla nuova classe dirigente per promuovere una serie di riforme che puntarono a rendere il paese moderno in tempi brevi. Grazie alle influenze provenienti dai paesi stranieri, si affermò progressivamente una classe media e un mercato urbano, assieme ad una cultura di massa e la richiesta di più tipi d’intrattenimento: la letteratura, il cinema e il teatro. Per quanto riguarda la ‘letteratura’, per indicare tale concetto nel 1890 viene utilizzato per la prima volta il termine 文学 (bungaku); questo termine contiene due nozioni: la prima, ereditato dall’idea confuciana, indica il sapere, un contenuto “alto”. La seconda, deriva dal contatto con i romanzi euro-americani e riguarda i sentimenti; viene incluso quindi nella definizione di letteratura anche ciò che prima veniva considerato volgare, “basso”, cioè la narrativa o prosa di finzione. Tsubouchi Shōyō in Shōsetsu shinzui 小説神髄 (L’essenza del romanzo, 1885-86) afferma che il fulcro dei romanzi deve essere il ninjō 人情 - cioè i sentimenti - e che, in quanto arte, essi dovrebbero essere liberi da qualsiasi intento didattico; unico loro scopo deve essere quello di intrattenere e di raggiungere «un ideale trascendente di bellezza» (Bienati, Scrolavezza, 2009, p. 11). Al contempo, viene introdotta anche la contrapposizione fra junbungaku 純文学 (letteratura pura, alta) e taishūbungaku 大衆文学 19 (letteratura di massa, bassa), dibattito che continua in grado minore ancor oggi, con critici che sostengono la progressiva scomparsa della letteratura pura, dovuta proprio alla letteratura di massa e all’arrivo di nuove tecnologie interattive come i cellulari e i computer, il cui schermo sostituisce la carta stampata; critica riferita in particolare ai netto shōsetsu ネット小説 (romanzi online) e ai keitai shōsetsu ケータイ小説 (romanzi per cellulare). Durante i primi vent’anni del periodo Meiji compaiono anche le prime traduzioni di classici della letteratura europea, come le Fiabe di Esopo, i romanzi di Dickens e i saggi di Rousseau. Secondo Keene (1984), i primi traduttori possono essere divisi in tre categorie: i primi si ponevano come obiettivo principale quello di istruire il pubblico, concentrandosi quindi sulla qualità didattica dei testi; i secondi si rivolgevano a un pubblico maschile e colto proponendo testi politico-filosofici; il terzo gruppo di traduttori era attratto invece da testi più letterari, e segnarono l’inizio di traduzioni e adattamenti delle più famose fiction euro-americane. Tuttavia, questa ondata di traduzioni fu presto messa in secondo piano, poiché il forte senso di nazionalismo che si diffuse portò la riscoperta dei classici in ambito letterario e culturale. Il crescente contatto con testi euro-americani ebbe anche un lato oscuro; conseguenza di questo processo accelerato di modernizzazione e di occidentalizzazione furono la crisi dell’identità culturale e il senso di oppressione della tecnologia. La crisi dell’”io” e la paura per la perdita di controllo sulla tecnologia si riflettono nella letteratura e, in particolare, nei testi di letteratura fantastica soprattutto a partire da XX secolo, caratterizzato dall’accostamento dell’idea di villaggio natio (furusato 故郷) con gli antichi miti, inteso come luogo magico e fuga dal mondo reale (la città grigia e automatizzata), la figura femminile, figura rassicurante, amorevole, che offre una via di fuga dalla modernità che tenta di intrappolare gli uomini. Altro elemento ricorrente nel fantastico, sottolinea Napier (2005), è “la linea di confine”; superare tale soglia significa entrare in un mondo popolato dal soprannaturale, mondo che può essere al tempo stesso spaventoso e rassicurante. Tale linea ha subito dei cambiamenti nel corso della storia: nella letteratura fantastica antecedente la Guerra, il confine era ben delimitato, non vi era un’irruzione violenta del fantastico nella quotidianità e il soprannaturale poteva manifestarsi, ad esempio, nei sogni. Nella narrativa di Kyōka è confinato in montagne e villaggi nascosti, in Akutagawa è rievocato attraverso le storie tradizionali. Nei romanzi degli scrittori del dopoguerra invece, come Abe, Ōe e Nakagami, il fantastico rompe tale linea; ad esempio, i samurai di Ōe (in Dōjidai gēmu 同時代 ゲーム, lett. il gioco della contemporaneità, 1979) si trasformano in mostri dopo essere stati cacciati nella foresta e combattono contro l’armata imperiale. 20 Questa intrusione del fantastico nel reale, dalla letteratura ai manga, ribalta uno dei ‘miti’ del Giappone moderno: la stabilità della società basata sulla pura gerarchia, dove ognuno conosce il proprio ruolo e il proprio compito.

Akira celebrates change and fluidity in a dazzling series of metamorphoses. Even Murakami, whose fantasies are among the most classic and controlled of any contemporary writer, still insist on the primacy of the individual will and uses ghosts, monsters, and humour to challenge a too oppressive reality. (Napier, 2005, p. 222-223).

Bisogna ricordare che gli elementi soprannaturali come fantasmi, mostri ecc. hanno una lunga storia all’interno della letteratura nell’arcipelago nipponico; ad esempio, il Genji monogatari 源氏物語 del periodo Heian (794-1185) contiene diversi episodi di avvenimenti soprannaturali e fantasmi di donne innamorate che cercano vendetta. Successivamente, nel XVII secolo si diffuse un gioco che consisteva nel raccontare cento storie di fantasmi, chiamato Hyaku monogatari kaidankai 百物語怪談会 (Cento storie di fantasmi), dove si raccontavano appunto storie paurose con elementi soprannaturali. Ovviamente, il Giappone non è l’unico paese asiatico ad avere un’importante tradizione letteraria fantastica, basti pensare ai racconti de Le mille e una notte della tradizione araba oppure, solo per citarne una, le avventure dello scimmiotto Son Goku nel racconto cinese di Saiyūki 西遊行 (Viaggio verso ovest).

2.2 Periodo Heian (794-1185)

Come accennato, esseri soprannaturali e mostri hanno una tradizione molto antica nell’arcipelago nipponico; fanno la loro comparsa già nel Kojiki 古事記 (Raccolta di antichi eventi), la cronaca più antica, scritta nel 712 da Ō no Yasumaru, testo legato ai culti shintoisti. Queste creature popolano anche la narrativa dei secoli successivi, dai monogatari del periodo Heian (794-1185) ai testi del periodo Edo (1603-1868) fino al loro successo nella contemporaneità, dove compaiono in manga, anime, film e videogiochi, tanto che si può affermare che «l’influenza dell’immaginario fantastico classico e del folklore […] si è estesa in modo tutt’altro che trascurabile persino ai mezzi di comunicazione di massa contemporanei diffondendosi, in questa maniera, anche all’estero e penetrando in culture differenti da quella di origine» (Soumaré, 2016).

21 Come sostiene Matilde Mastrangelo (2003), in molte culture le rappresentazioni del fantastico e di esseri soprannaturali sono considerate come un prodotto illusorio, proiezioni di quelle emozioni che l’uomo dovrebbe reprimere, come violenza, vendetta e passione. In questo modo, creature come i fantasmi creano uno spazio di libertà e può accadere che il lettore si immedesimi in loro, come farebbero con un eroe. In generale infatti, i protagonisti del fantastico letterario giapponese condividono con gli uomini la difficoltà a “staccarsi” dalla vita terrena, la passione, l’attaccamento ai desideri. L’associazione più immediata porta ai monogatari; ciò che contraddistingue i monogatari dagli altri generi letterari dell’epoca, come ad esempio i nikki 日記 (diari), è di essere fiction, «un’ingannevole opera di fantasia» (Bienati, Boscaro, 2010, p. 10). Tuttavia, proprio questo aspetto era uno dei più criticati, cioè di arricchire con la fantasia i fatti della vita quotidiana - gettando così sospetti sulla loro veridicità - che, nelle cronache ufficiali, venivano invece rigidamente elencati; inoltre all’epoca, da un punto di vista religioso, leggere e scrivere opere che raccontavano di eventi fantastici, fiction o esseri superiori era considerato peccaminoso poiché tali storie evadono dall’idea confuciana di scrittura “didattica”, “edificante”. Come sostiene Luisa Bienati (2010), per esseri superiori si intendono non solo personaggi di origine “aliena” o sconosciuta, ma anche coloro che possiedono capacità, virtù e bellezza inimmaginabili nella realtà e, per eventi fantastici, eventi che non possono accadere nel mondo reale come, ad esempio, il ritrovamento di una minuscola bambina all’interno di una canna di bambù. Il ritrovamento di Kaguyahime (la principessa splendente) segna l’inizio del Taketori monogatari 竹取物語 (Storia di un taglia bambù, anonimo, inizio x sec. ), il quale appartiene al genere degli tsukuri monogatari 作 り物語, cioè opere in cui vi è una prevalenza di prosa ed elementi fantastici (anche se è comunque presente una descrizione realistica dei

Figura 2 luoghi in cui sono ambientate le storie) e spesso Il ritrovamento della principessa Kaguya in una canna di bambù rappresentata dal regista e disegnatore implicano viaggi in un altro mondo (Shirane, Takahata Isao nel film d'animazione Kaguya hime no 2012). La struttura della storia richiama la monogatari かぐや姫の物語, prodotto dallo Studio Ghibli nel 2013. dinamica tipica delle fiabe7, a partire dalle parole introduttive “c’era una volta un vecchio taglia bambù” (今は昔竹取の翁といふものありけり ima wa mukashi taketori no ou to iu mono arikeri) e finali “così viene tramandato” (とぞいひ

7 Per approfondimenti vedere Kristeva, Tzvetana (1990). “The Pattern of Signification in the Taketori Monogatari: the “ancestor” of all Monogatari”, Japan Forum, vol. 2, n°2, pp. 253-260. 22 傳へたる to zo iitsutaetaru), fino alla suddivisione in tre fasi del racconto: armonia iniziale (la vita quotidiana del vecchio e della moglie), rottura dell’equilibrio (il ritrovamento in un bambù della piccola Kaguya), ristabilimento/risoluzione (espulsione/ritorno della principessa sulla Luna); il racconto ha, allo stesso tempo, il tipico intreccio dei monogatari, una giustapposizione di episodi a sé stanti ma collegati alla trama centrale. Grazie a queste convenzioni, il lettore capisce di essere davanti ad un’opera fittizia e «la composizione e la ricezione si fondano sulla premessa dell’accettazione di una realtà che è frutto della fantasia» (Bienati, 2010, p. 48). Gli elementi fantastici del racconto si concentrano in particolare nella descrizione della principessa; Kaguya rompe l’equilibrio iniziale perché non è un essere umano; il ritrovamento, la rapida crescita, la ricchezza che porta ai genitori adottivi, la bellezza e la luminosità che le vengono attribuite e sottolineate fin dall’inizio del racconto sono caratteristiche degli esseri soprannaturali e in quanto tale, quando il vecchio tagliabambù decide di darla in sposa, vìola uno dei più severi tabù dell’epoca: la separazione dall’altro mondo. Kaguya, per opporsi, decide di sottoporre i pretendenti a prove impossibili da compiere, ma quando si rifiuta di obbedire anche alla proposta dell’Imperatore, l’equilibrio si rompe completamente e la quotidianità può essere ripristinata solamente con l’espulsione/il ritorno di Kaguya sulla Luna, avvolta in un vestito di piume (hagoromo 羽衣). Il termine più utilizzato per riferirsi a demoni e ad altri esseri soprannaturali è 物 の怪; il primo carattere, mono, viene tradotto con “cosa”, ma, come spiega Bargen (1997), durante il periodo Heian non si riferisce a cose tangibili, ma al loro esatto contrario, a qualcosa dalla forma indefinita, mutevole, spaventosa. Il secondo carattere, ke, è utilizzato anche nel termine yōkai 妖怪 e indica un senso di mistero; la parola evoca quindi una sensazione di pericolo, di qualcosa in continuo mutamento, senza una forma definita. Nella letteratura e nei dipinti vengono rappresentati mononoke di vario tipo, ma i più temuti ricadono nella categoria degli “spiriti vendicativi”. In particolare, gli yūrei 幽霊, cioè i fantasmi, occupano un posto speciale nella tradizione giapponese; in epoca Heian, la maggior parte delle storie legate a fantasmi e demoni vedono come protagoniste le donne. Come sostiene Barbara Ambros (2015), l’etichetta della corte non ammetteva la pubblica manifestazione di emozioni come gelosia, rabbia o addirittura amore, (che potevano essere espresse solamente attraverso poesie e metafore) emozioni molto comuni nelle donne della corte, in quanto erano spesso coinvolte in intrighi amorosi e rivalità, dato che era ammessa la poligamia. Influenzati dalla dottrina buddhista, gli scritti rappresentavano passioni ed

23 emozioni come demoni malvagi ( 鬼) che assumevano forma umana per placare i loro desideri o vendicarsi; all’inizio rappresentati come uomini, dalla seconda metà del periodo Heian cominciarono ad assumere sembianze di donne giovani mosse dalla gelosia. Parallelamente alla dottrina Buddhista, anche il folklore locale aveva influenzato tali rappresentazioni, ma con una notevole differenza: secondo i culti shintō, le volpi (kitsune 狐), animali dotati di un’intelligenza tale da poter sviluppare poteri sovrannaturali, sono in grado di trasformarsi in donne bellissime, seducenti e tenaci, così da poter ingannare gli uomini e derubarli. Tuttavia, esse sono anche messaggere del dio della fertilità Inari, e per questo sono molto rispettate e venerate. Mentre le ninko人狐(letteralmente “volpi umane”) possono anche portare molta fortuna all’uomo che incontrano e addirittura avere figli da lui; sono quindi più benevole degli Figura 3 Tsukioka Yoshitoshi; oni, i quali non lasciano scampo alla loro vittima / rivale in Shinkei Sanjurokkaisen: 8 Kitsune doji ni wakaruru no zu (Nuove amore, portandola alla follia e alla morte. forme dei trentasei fantasmi: la volpe Kuzunoha) Le donne non solo possono trasformarsi in demoni, ma 1890; Ukiyo-e; 36.5x24.4; National Museum of Modern Art, possono anche essere possedute da questi; all’epoca, la possessione veniva inoltre considerata causa di malattie mentali. In questo periodo non erano affatto rari i racconti riguardanti donne che, per gelosia o per un amore tradito, si trasformano in ikiryō, letteralmente “demoni viventi”, che attraverso la possessione portano alla morte o alla pazzia la loro rivale in amore o l’uomo che le ha tradite. Murasaki Shikibu 紫式部 nel Genji monogatari ci presenta il più famoso episodio di ikiryō della letteratura classica: lo spirito della Dama di Rokujō, che per amore del principe Genji arriverà a tormentare e ad uccidere varie dame, tra cui Yugao e Aoi. La dama di Rokujō viene presentata nel capitolo IV, Yugao, dove troviamo anche la prima vittima di possessione da parte di mononoke, Yugao ( “fiore delle luna” o letteralmente “viso della sera”). All’inizio del IV capitolo, Genji decide di far visita alla sua nutrice, gravemente malata, prima di recarsi dalla sua amante, la dama Rokujō. Per la strada si ferma ad ammirare dei fiori bianchi bellissimi e chiede a un servo di raccoglierne qualcuno; proprio in quel momento sopraggiunge una

8 Per approfondimenti riguardanti le kitsune vedi Bathgate ,Michael (2004). The Fox’s Craft in Japanese Religion and Folklore: Shapeshifters, Transformations and Duplicities. New York: Routledge. 24 ragazza che porge al servo un ventaglio su cui appoggiare i fiori. Genji rimane affascinato dal profumo di quella ragazza, e chiede a Koremitsu (suo amico e figlio della nutrice) di scoprirne l’identità: quella ragazza è Yugao. I due trascorreranno alcune notti insieme, finché una sera dell’ottavo mese, l’ikiryō della dama di Rokujō apparirà davanti a Genji, tormentando Yugao, fino ad ucciderla:

Era da poco passata la mezzanotte, quando apparve una donna bellissima accanto al suo cuscino [di Genji]. “Io tengo così tanto a te, mentre tu non ti degni nemmeno di farmi visita; no, preferisci stare con questa donna insulsa e noiosa, è una cosa davvero insopportabile!” e cominciò a scuotere la donna sdraiata vicino a lui. [Genji] si svegliò all’improvviso, avvertendo quella presenza tremenda. La lampada non si accendeva. […] Nessuno poteva sentirlo, nessuno stava arrivando. Yugao tremava violentemente e, fradicia di sudore, sembrava incosciente. […] Ora, alla luce della torcia, Genji poteva vedere il guanciale e, prima che lo spirito scomparisse del tutto, riconobbe la donna del sogno. Era al tempo stesso sorpreso e terrorizzato, aveva sentito parlare di certe creature solamente nelle antiche leggende. (Tyler, 2001, p. 68)

La seconda vittima dello spirito vendicativo della dama è Aoi, la vittima più importante dell’intero racconto; moglie principale di Genji, viene descritta come una donna bellissima e più grande di quattro anni rispetto al principe. La scena della possessione viene descritta nel capitolo intitolato Aoi (Tyler, 2001) e, come sostiene Bargen (1998) l’episodio viene narrato in modo molto esplicito e viene presentato come un «prolungato stato mentale dissociato(Bargen, 1998, p.98.), quindi non curabile con l’aiuto di medici o di esorcisti e che, alla fine, causa la morte della principessa. Nei giorni successivi all’episodio dei carri (kuruma arasoi), Aoi inizia a soffrire a causa della presenza di molti spiriti maligni e sono chiamati a raccolta esorcisti, medium, shugenja, miko e qualsiasi monaco in grado di esorcizzarli e scacciarli. La maggior parte di questi spiriti si Figura 4 Tosa Mitsunobu; Kuruma no Arasoi (la rivela non particolarmente ostile, tranne uno, che continua a disputa dei carri); 24.2x17.8; inchiostro, colore e oro su tormentare la partoriente; i presenti capiscono che si tratta carta; 1509-1510; Harvard Art Museum di uno spirito mosso dalla gelosia e iniziano a cercare una

25 possibile colpevole. Le voci di sospetto raggiungono Rokujō, la quale si interroga e cerca di combattere il suo stesso spirito attraverso un monologo interiore; non vuole peggiorare ulteriormente la sua posizione all’interno della corte e cerca quindi di trattenere l’astio che prova nei confronti di Aoi. Questi tentativi risulteranno vani e non farà altro che sognare di tormentare e uccidere la rivale. La trasformazione in demone è direttamente opposta alla figura tipica delle donne della corte, belle, raffinate, educate e gentili; inoltre, i loro sentimenti e la loro protesta escono ora dalla sfera privata e attaccano direttamente l’uomo che le ha fatte soffrire e i ruoli si invertono: ora è la donna ad avere il controllo e a dominare psicologicamente l’uomo. Gli episodi di possessione narrati nei monogatari e nei diari delle dame di corte possono essere interpretati in tre modi: • come episodi reali: nell’epoca Heian spiriti e pratiche magiche facevano parte della vita quotidiana e leggendo tali racconti nei monogatari si pensava che fossero realmente accaduti; • come episodi nei quali la vittima finge di essere posseduta in modo da attirare l’attenzione; • come stato psicologico nel quale la vittima è convinta di essere posseduta dallo spirito di un’altra persona e si comporta come guidata da questo. Il tema della possessione associato alla vendetta divenne un vero e proprio topos letterario e, nonostante gli elementi soprannaturali rappresentassero ancora solamente dei singoli episodi all’interno di trame più ampie, la loro presenza aumentò sempre di più (basti pensare alla vasta produzione di storie kaidan 怪談 di periodo Edo). Tuttavia, dopo la Restaurazione Meiji descrizioni melodrammatiche come quelle della Dama di Rokujō iniziarono ad essere considerate “fuori moda”, volgari, nonostante rimanessero uno dei temi più utilizzati nei racconti pubblicati sui giornali popolari, e iniziò a diffondersi (in particolare nella letteratura Meiji e Taishō) un altro tipo di figura femminile; quella che Susan Napier (2005) definisce oasis women, donne legate a uno spazio diverso da quello reale che offre conforto e revitalizza gli uomini. Spesso queste due figure di donna vendicativa e caritatevole possono unirsi in un unico ruolo, come ad esempio nel racconti di Izumi Kyōka. Tornado al periodo Heian, accanto alla produzione letteraria legata alla corte si sviluppò anche un genere riguardante la vita e gli avvenimenti che si svolgevano fuori da essa: i setsuwa 説話 o “racconti aneddotici”. I setsuwa sono un genere di storie fittizie, spesso di 26 provenienza straniera, derivanti dalla tradizione orale che possono essere ricollegati alle “storie del meraviglioso” (chuanqi) della Cina dell’epoca Tang (618-907) e possono essere divisi in due filoni: religioso (storie legate ai precetti buddhisti) e secolare (alcune delle quali famose ancora oggi, come ad esempio Urashimatarō 浦島太郎). Si tratta di racconti brevi, il cui fine è raccontare cose “interessanti”; i personaggi, i tempi e i luoghi sono descritti come realmente esistenti, nonostante si trattasse di racconti fittizi e il finale è sempre didattico. In questo sono simili alle antiche cronache, come il Kojiki, i cui eventi sono considerati reali; come sostiene Bienati «il passaggio a una narrativa più evoluta – i monogatari – avviene quando autore e fruitore sono invece consapevoli della natura fittizia del racconto»(2010, p. 105). La prima collezione di setsuwa fu il Nihon ryōiki 日本霊異記 (Cronache di eventi straordinari del Giappone) scritte dal monaco Kyōkai 景戒 (letto anche Keikai) all’inizio del IX secolo. L’opera è composta da centosedici storie, tutte ambientate in Giappone, il cui scopo è dimostrare il principio buddhista del karma, dove la punizione o la ricompensa per le azioni passate si manifestano in questo mondo e può essere considerata come una delle prime antologie di storie soprannaturali (Reider, 2001). Tuttavia, la collezione di setsuwa più conosciuta è il Konjaku monogatarishū 今昔物語集 (Raccolta di storie di tempi passati); si tratta di una raccolta di 1039 setsuwa scritti verso la fine del periodo Heian e raccolti in 31 volumi (di cui tre – 8, 18, 21 – andati persi) divisi in tre parti: 1. Storie dall’India (Tenjiku 天竺 , 5 volumi), descrivono la storie del buddhismo in India, dalla nascita di Shakyamuni fino alla diffusione degli insegnamenti dopo la sua morte; 2. Storie dalla Cina (Shintan 震旦 , 5 volumi), narrano l’arrivo del Buddhismo in Cina e le relative storie di retribuzione karmika e miracoli; 3. Storie dal Giappone (Honchō 本朝 , 21 volumi), raccontano l’arrivo del Buddhismo in Giappone dalla Cina; non mancano inoltre storie legate alla corte imperiale, al potere della famiglia Fujiwara e racconti di artisti, indovini, animali del folklore, divinità ecc. Come sottolinea Shirane (2012), nelle storie riguardanti il buddhismo l’attenzione è posta generalmente più sui fatti miracolosi e soprannaturali che sulla dottrina stessa; questo stesso interesse è evidente anche nei racconti secolari, in particolare nei volumi 16 (retribuzione

27 karmica), 27 (spiriti e demoni), 29 (il maligno e i criminali) e 31 (storie del mistero). Inoltre, il Konjaku monogatarishū ebbe un ruolo molto importante nello sviluppo dei kaidan di periodo Edo. In modo analogo alle antiche liste di fatti soprannaturali compilate in Cina, esso fornì non solo una prima classifica delle creature soprannaturali giapponesi (divise in cinque categorie: kami 神 - divinità; rei 霊 - spettri; oni 鬼 - demoni; sei 精 –spiriti; dōbutsu 動物 – animali, come volpi, tanuki e altri animali in grado di trasformarsi e ingannare così gli uomini), ma fornì anche un elenco dei luoghi e degli orari in cui si pensava fosse più probabile che comparissero tali creature: la notte sembra essere il momento in cui rei, oni ecc. fanno la loro comparsa, in luoghi come vecchie case e magazzini abbandonati, come ad esempio il “palazzo del demone” (onidono, racconto 1, libro XXVII). Inoltre, nei racconti 13, 14, 41, 42 e 43 del Volume XXVII, l’autore indica come luoghi di tali apparizioni fiumi e ponti e, forse, il luogo più famoso di tutto il Konjaku è il Rashōmon (racconto 18, Volume XXIX), il quale ha ispirato l’omonimo racconto di Akutagawa Ryūnosuke 芥川龍之介 e il celebre film di Akira Kurosawa 輝黒澤. Il motivo per cui questi posti erano considerati dimora di demoni è che ad essi veniva attribuita la stessa caratteristica di queste creature, cioè di essere liminali, di segnare un limite; ponti, fiumi e portali si trovano fra “questo lato” e “quell’altro lato”, dividendoli e unendoli allo stesso tempo, così come i demoni che vivono e compaiono in questo confine.

2.3 Periodo Kamakura (1183-1333) e Muromachi (1333-1568)

Il periodo Kamakura ha inizio con la creazione del bakufu 幕府 a seguito della vittoria di Minamoto Yoritomo 源頼朝 sul clan Taira 平, battaglia conosciuta come Guerra Genpei e vividamente raccontata nello Heike Monogatari 平家物語 (La storia degli Heike). Uno degli aspetti principali di questo periodo, che viene considerato l’inizio del periodo medievale, è l’ascesa di un governo e di una cultura militare che privarono la capitale della sua egemonia politica; inoltre, la Guerra Genpei aveva lasciato alle sue spalle un senso di impermanenza che, per alcune scuole buddhiste, altro non era che un segnale dell’imminente arrivo dell’epoca del mappō, epoca in cui gli insegnamenti del Buddha sarebbero giunti alla fine a causa del comportamento peccaminoso degli uomini, segnando così la fine del mondo. Nacquero così nuove scuole buddhiste che si assunsero il compito di insegnare alla gente comune le scritture e i testi sacri, tra le quali la scuola Jōdo (Terra Pura) che enfatizzava il

28 culto del Buddha Amida il quale, invocandone solo il nome, avrebbe promesso una via certa verso la salvezza, e diverse scuole Zen, particolarmente apprezzate dalla classe dei samurai. Questa sensazione di “fine del mondo” e l’ascesa dei samurai non hanno lasciato molto spazio al fantastico nella letteratura, se non per qualche racconto popolare che riprendeva soggetti e temi del Konjaku monogatari. La progressiva differenziazione del buddhismo portò anche al fenomeno dello honji suijaku 本 地垂跡 (lett. “tracce del terreno otiginario”), secondo il quale i kami 神 shintoisti altro non sarebbero che manifestazioni locali dei Buddha; ad esempio, la dea del sole 天照大 神 sarebbe una manifestazione del Buddha Dainichi Nyorai 大日如来. Questo sincretismo divenne uno dei motivi ricorrenti dei setsuwa del periodo Kamakura e degli otogizōshi 御伽草 子 del periodo Muromachi. Nonostante l’importanza del Nihon ryōiki e del Konjaku monogatarishū, la maggior parte dei setsuwa vennero raccolti e pubblicati durante il periodo Kamakura; all’epoca si diffuse un nuovo tipo di setsuwa, gli engi mono 縁起物 (storie dell’origine), i quali descrivevano le origini e i miracoli di kami e Buddha venerati in vari templi. Un ruolo importante nella diffusione dei setsuwa lo ebbero i cantastorie e, in particolare, le kumano bikuni 熊野比丘尼 (le monache di Kumano) che raccontavano tali storie ai pellegrini. Anche il nuovo genere degli otogizōshi 御伽草子 si diffuse soprattutto per via orale; prima dell’edizione stampata nel 1731 a cura di Shibukawa Seiemon, essi erano diffusi prevalentemente come emaki 絵巻 (rotoli illustrati) e Nara ehon 奈良絵本 (libri illustrati di Nara), dove immagini policrome arricchivano la narrazione. Nonostante siano simili a delle fiabe (tranquillità iniziale interrotta, viaggio per ristabilire l’ordine, lieto fine), si tratta di storie rivolte ad un pubblico adulto, con un intento didattico-morale riassunto nel termine gekokujō 下克上, cioè ribaltare (in senso sociale, politico, economico, militare ecc.) ciò che “sta in alto” con ciò che “sta in basso”. Spesso di autore sconosciuto, gli otogizōshi possiedono una grande varietà di personaggi, da buddha a guerrieri, persone comuni, demoni, animali parlanti come la volpe Kowata e altre creature fantastiche che compaiono in Onzōshi shimawatari 御曹 子島渡 (Il viaggio di Onzōshi nelle isole), classificati come buoni o cattivi dove l’elemento fantastico sottolinea la morale della storia, cioè che grazie a virtù e pratiche devozionali si può raggiungere il lieto fine e invertire il proprio status (Shirane, 2012). Gli otogizōshi segnano il passaggio dai monogatari precedenti ai kanazōshi 仮名草子 e agli ukiyozōshi 浮世草子 del periodo Tokugawa. 29 2.4 Il periodo Tokugawa (1600-1867)

Il periodo Tokugawa viene associata alla “chiusura” del paese dal resto del mondo, periodo conosciuto secondo un’attribuzione aposteriori in epoca moderna come sakoku 鎖国 (paese in catene). Tuttavia, questo isolamento non escluse un intenso sviluppo socio-culturale e una forte urbanizzazione; a questo fenomeno è legata anche la nascita dei chōnin 町人, una nuova classe sociale composta dalle categorie più disparate (artigiani, commercianti ecc.) che ebbe un ruolo fondamentale per lo sviluppo della letteratura popolare. Infatti, con l’incremento dell’alfabetizzazione, l’invenzione della stampa su matrice in legno e il discreto tenore economico di cui godeva questa nuova classe, nacquero diversi generi letterari: kanazōshi, ukiyozōshi, sharebon, meishoki, kusazōshi e molti altri. Queste opere sono scritte per puro divertimento, con continui riferimenti all’attualità, a volte con carattere didattico altre satirico, a volte amoroso.Questa tendenza trova piena espressione nella corrente del gesaku 戯作, i cui esponenti sono definiti bunjin 文人 (lett. uomini di lettere), i quali «si allontanavano sempre di più dai costrittivi precetti confuciani e dalle impostazioni autoritarie» (Boscaro, 2010, p. 149). All’interno del gesaku vengono spesso inseriti gli yomihon 読本 le cui storie, a differenza degli altri generi letterari dell’epoca, non si svolgono nei quartieri di piacere ma hanno un’ambientazione storica e, dati i vari riferimenti ai classici, segnano anche il ritorno dei monogatari. Fra i vari autori, per l’utilizzo di elementi fantastici sono da ricordare Asai Ryōi 浅井了意 (1612-1691) e i suoi otogibōko 御伽草子, Ueda Akinari 上田秋成 (1734-1809) e Takizawa Bakin 滝沢馬琴 (1767-1848). In particolare, ad Akinari si deve il ritorno alla classicità sotto forma di bervi racconti, come in Ugetsu monogatari 雨月物語 (Racconti di Pioggia e di Luna) mentre Bakin utilizza una forma di narrativa più lunga, dalla trama complessa (come in Nansō Satomi hakkenden 南総里見八犬伝 – La leggende degli otto cani dei Satomi a Nansō - e Chinsetsu yumiharizuki 椿説弓張月 - La storia meravigliosa della luna tesa ad arco). Akinari utilizza la luce della Luna per ambientare in un’atmosfera surreale i fatti narrati, mentre Bakin utilizza gli elementi fantastici per enfatizzare la distinzione fra bene e male. Grazie a questi testi si può notare come in periodo Tokugawa l’elemento soprannaturale e fantastico sia passato da essere un mero racconto all’interno di una trama più grande ad avere un proprio ruolo autonomo; inoltre, il termine kaidan 怪談 con il quale inizieranno ad

30 essere chiamati tali racconti, richiama la tradizione orale e l’importanza che essa ha avuto nelle epoche precedenti, dove kai 怪 indica “mistero” (carattere che si trova anche nella parola yōkai 妖怪 , cioè demone, spirito) e dan 談 “racconto”.

2.4.1 Asai Ryōi e gli otogibōko (1666)

Asai Ryōi rappresenta un’eccezione fra i bunjin; egli era infatti un rōnin 浪人 (cioè un samurai senza padrone) che decise di dedicarsi alla scrittura. I suoi racconti divennero popolari grazie alle kashihonya 貸本屋, biblioteche erranti che permettevano di raggiungere un maggior numero di lettori (Bienati, 2010, p. 140). Tra le opere più importanti si ricordano le guide di viaggio, come Tōkaidō meishoki 東海道名所記 (Guida ai luoghi famosi del Tōkaidō), Edo meishoki 江戸名所記 (Guida ai luoghi famosi di Edo) e l’Ukiyo monogatari 浮世物語, il quale ispirerà i testi successivi del genere ukiyozōshi e, in particolare, Ihara Saikaku 井原西鶴 (1642-1693). Per quanto riguarda i racconti fantastici, gli otogibōko 9 ebbero una posizione importante nello sviluppo delle storie del fantastico; si tratta di sessantotto storie del soprannaturale, diciotto delle quali derivano dalla collezione cinese di storie sui fantasmi di epoca Ming, lo Jiadeng Xinhua 剪灯新话 (in giapponese: sentō shinwa 剪灯新話, Nuove storie raccontate spegnendo la candela, 1378) di Qu You. Mentre le storie fantastiche del periodo medievale furono notevolmente influenzate dal buddhismo e dalla retribuzione karmica, le storie di Asai si concentrano sulla psicologia umana, usando il soprannaturale come riflesso delle emozioni (Shirane, 2002, p. 33). Nonostante i racconti siano di origine cinese, Asai utilizzò luoghi e protagonisti giapponesi; ad esempio, Figura 5 Tsukioka Yoshitoshi; nel racconto “La lanterna delle peonie”,considerato il Shinkei Sanjurokkaisen: Botandōrō (Nuove forme dei trentasei fantasmi: la lanterna delle peonie); 1889; più famoso e che ispirò molte opere successive, la Nishiki-e; Matsuki Heikichi, Tokyo

9 Il termine si riferisce ai tradizionali pupazzetti posti vicino ai cuscini dei bambini per proteggere il loro sonno da spiriti malvagi (Shirane, 2002, p. 33). 31 narrazione viene spostata nella Kyōto segnata dalla guerra Ōnin (1467-1477) che devastò la capitale e il Capodanno lunare cinese viene sostituito dall’Obon. Attraverso la dettagliata descrizione iniziale10, la storia viene quindi immersa in un’atmosfera familiare ai lettori, sottintendendo forse un po’ di nostalgia. Un’altra differenza fondamentale è individuabile nel finale della storia: nell’originale cinese viene descritto, attraverso un lungo paragrafo, il rito con il quale un monaco taoista confessa gli spiriti degli amanti prima di spedirli all’inferno, mentre Asai toglie completamente questo passaggio, forse per eliminare ogni morale - didattica religiosa; come sostiene Reider (2001, p. 84):

[…] Botan dōro (La lanterna delle peonie) keeps the reader attentive by focusing on supernatural beings and strange events. The main interest is generated through the narration, particularly through the descriptions of how these strange things happened. Ryōi’s version is disinterested in forwarding any kind of moral or religious agenda and is thus more secular, designed more for entertaining the masses than for the teaching.

Inoltre, mentre nella storia cinese il protagonista decide liberamente di ubriacarsi insieme all’amico, qui viene invece quasi costretto dal monaco che lo aveva aiutato a fermarsi con lui a bere (nascosta denuncia al degrado del clero buddhista?). Tuttavia, l’affermazione di Reider potrebbe essere riconsiderata; Asai, rendendo le storie più familiari grazie all’ambientazione e ai richiami al folklore e alla storia crea un sentimento di nostalgia per il passato, denunciando (seppur in maniera indiretta) la vita frenetica della città dove gli uomini sono più attirati dai piaceri piuttosto che dal migliorarsi moralmente. Ad esempio, il protagonista di Botan dōro, incurante dei consigli, cade di nuovo vittima dei suoi istinti, nonostante la moglie fosse morta da pochissimo tempo, finendo così per diventare un fantasma e vagare per l’eternità. Quindi l’intento potrebbe non essere solo quello dell’intrattenimento, poiché l’intento didattico interesserebbe la sfera morale, piuttosto che solamente quella religiosa (nonostante sia innegabile che gli otogibōko abbiano avuto un ruolo fondamentale nel distacco dei kaidan dal didatticismo).

10 Per una traduzione in inglese del racconto si veda Shirane, 2002, pp. 33-38. 32 2.4.2 Ueda Akinari: Ugetsu monogatari (1777)

Luo Guanzhong compose il romanzo Sul bordo dell’acqua e per questo motivo i suoi discendenti per tre generazioni nacquero sordomuti; Murasaki Shikubu scrisse La storia di Genji e per questo finì per un certo periodo all’inferno; per entrambi fu conseguenza delle azioni compiute. […] Anch’io per caso possedevo alcune futili storielle e quando le ho buttate giù esse hanno creato un mondo fantastico, dove cantano i fagiani e i draghi combattono. Per quel che mi riguarda, penso non abbiano alcun fondamento, ma chi li legge non deve assolutamente pensare che si tratti di storie vere; non vorrei che per questa colpa i miei discendenti nascessero senza naso o con il labbro leporino. (Orsi, 1998, p. 31) Così Ueda Akinari presentava la sua raccolta di racconti fantastici, nove storie brevi tratte da adattamenti cinesi, divise in cinque volumi11. Nella creazione di questi racconti confluiscono due importanti elementi culturali, citati nella prefazione: lo Shuihuzhuan (Storie sul bordo dell’acqua) – molto popolare all’epoca, narra le vicende di briganti gentiluomini, cioè eroi che, dopo essersi ribellati contro le ingiustizie e per Figura 6 Interno della IV edizione dell’Ugetsu monogatari questo finiti ai margini della società, diventano briganti – e il ritorno ai classici enfatizzato dal kokugaku 国学 (gli studi nazionali), che portava alcunii intellettuali a trovare in essi fonti d’ispirazione anche dal punto di vista linguistico. Akinari utilizzò anche altre fonti di racconti cinesi fantastici, come il già citato Jiadeng Xinhua, inserendoli però nella realtà giapponese (così come avevano fatto Asai, Tsuga Teishō e altri), in particolare nel Giappone del XII secolo. Questo gli permise di inaugurare un nuovo genere letterario, destinato a ottenere un grande successo a Edo: il racconto di ambientazione storica che, tuttavia, non esitava ad utilizzare elementi fantastici e meravigliosi (Orsi, 1998, p. 12). L’Ugetsu monogatari infatti, nonostante specifichi sempre il luogo e il momento in cui avvengono i fatti, rendendo quindi la storia plausibile, viene definito come kaidan, genere di cui Akinari diverrà il massimo esponente. Mentre il panorama letterario era dominato dagli

11 Libro 1: Shiramine e L’appuntamento dei crisantemi; Libro 2: La casa fra gli sterpi e La carpa del sogno; Libro 3: La ghiandaia celeste e La pentola di Kibitsu; Libro 4: La passione del serpente; Libro 5: Il cappuccio blu e Dibattito su ricchezza e povertà. D’ora in avanti si utilizzerà il titolo italiano. 33 ukiyozōshi, ciò che diede notorietà al genere dei kaidan fu la pubblicazione dello Hanabusa zōshi 英草子 (Storia di una ghirlandaia, 1794) di Tsuga Teishō 都賀庭鐘 (1718-1794) che elevò le storie fantastiche ad un livello più sofisticato e influenzò l’opera di Akinari. Un altro fattore che diede nuovo vigore al kaidan si manifestò durante l’epoca Hōreki (1751-1763); la restrittiva riforma Kyōhō promulgata dallo shōgun Tokugawa Yoshimune 徳川 吉宗 (1684-1751) per rafforzare il proprio governo militare portò, alla sua morte, a sentimenti di rivolta che caratterizzarono tutta l’epoca, sentimenti che ritroviamo nella letteratura intrisa di elementi del soprannaturale, simbolo di sfogo e

Figura 7 reazione (Reider, 2001, p. 92). Scena tratta dal racconto Il cappuccio blu; il monaco, trasformatosi in demone, insegue le sue prede Per questo le storie di Akinari traboccano di apparizioni di oni, tengu 天狗, kitsune, spiriti vendicativi, kami e altri elementi del folklore. Lo stesso titolo racchiude due elementi strettamente legati all’apparizione del fantastico: la luna nella tradizione cinese era associata al soprannaturale, così come la pioggia. Ad esempio, in Il cappuccio blu, la luna schiarisce ogni cosa quando il monaco-demone va alla ricerca delle sue vittime, oppure in Shiramine la sua luce illumina la tomba dell’ex imperatore, anticipando l’arrivo del suo spirito. Tuttavia, le atmosfere create dalla pioggia e dalla luna si distinguono dagli scenari delle ghost stories contemporanee inglesi; più che orrore e angoscia i paesaggi di Akinari evocano, utilizzando la definizione di Orsi (1988), «una certa mestizia»; questa malinconia può essere collegata al mono no aware del Genji monogatari, cioè “il sentimento delle cose”, ideale estetico Heian che spesso connota ciò che è fugace ed effimero. Gli elementi fantastici vengono quindi usati principalmente in funzione estetica, cosi che la paura sia accompagnata dall’«emozione per la bellezza» (Ibidem, p. 27). Come accennato, Akinari ambienta i racconti in luoghi e periodi precisi, riassunti da Anthony Chambers (2007) nella seguente tabella:

34 Titolo del racconto Data Luogo 1. Shiramine 白峰 1168 Sanuki (Kagawa) 2. Kikka no chigiri 菊花の約 (L’appuntamento dei 1486 Harima (Hyōgo) crisantemi) 3. Asaji no yado 浅茅の宿 (La casa fra gli sterpi) 1455-1461 Shimōsa (Chiba); Ōmi (Shiga)

4. Muō no rigyo 夢応の鯉魚 (La carpa del sogno) 923-931 Ōmi (Shiga)

5. Buppōsō 仏法僧 (La ghiandaia celeste) 1616 ca. Monte Kōya (Wakayama)

6. Kibitsu no kama 吉備津の釜 (La pentola di Kibitsu) 1500 ca. Kibi (Okayama); Harima (Hyōgo)

7. Jasei no in 蛇性の婬 (La passione del serpente) 794-1185? Kii (Wakayama); Yamato (Nara)

8. Aozukin 青頭巾 (Il cappuccio blu) 1471-1472 Shimotsuke (Tochigi)

9. Hinpukuron 貧福論 (Dibattito su ricchezza e povertà) 1595 ca. Aizu (Fukushima)

Le storie, tranne La ghiandaia celeste, sono ambientate prima del periodo Tokugawa e nessuna si svolge in una delle tre più importanti città dell’epoca, Kyōto, Osaka e Edo. Le province sono sempre sembrate misteriose ed “esotiche” rispetto alla città e anche la loro arretratezza e disordine sociale contribuiva ad aumentare la credenza nelle apparizioni; anche qui, i luoghi in cui le creature appaiono sono luoghi e momenti liminali (tramonti, portali, montagne ecc.). La comparsa del fantastico supera, rompe tale limite in tre modi: i sogni, il ritorno alla vita, rapporti tra esseri umani e non (creature soprannaturali / non viventi). Un altro parametro utilizzato per analizzare i racconti dell’Ugetsu monogatari è la loro somiglianza con le opere del teatro nō, in particolare con quattro elementi: 1. Michiyuki: i racconti di viaggi. Le caratteristiche dei luoghi evocati sono enfatizzate da makura kotoba (lett. parole cuscino) in modo da arricchire l’immaginazione. Viene particolarmente utilizzato per descrivere il viaggio del monaco Saigyō in Shiramine, il viaggio di Muzen in La ghiandaia celeste e quello di Kaian in Il cappuccio blu. 2. Shite e Waki: due figure immancabili in un dramma nō; shite corrisponde alla figura centrale, waki alla “spalla”. Come spiega Ruperti (2015), il primo ha un ruolo più dinamico e poetico e viene preceduto sul palco dal waki, spesso un monaco e/o un viaggiatore che introduce la scena. Dal racconto del waki gli spettatori intuiscono che il demone/fantasma è lo shite stesso, tornato per vendicarsi12. Nell’opera di Akinari possiamo trovare le seguente affinità:

12 Nei drammi in cui lo shite appare prima in forma umana, prende il nome di maeshite; dopo la rivelazione della sua vera natura, nochishite. 35

Racconto Shite Waki Saigyō: durante il michiyuki per Shiramine Sutoku: la sua vera natura viene Shiramine incontro il fantasma di Sutoku (shite) e rivelata verso la fine del racconto intreccia un dialogo (mondō) L’appuntamento Sōemon Samon: racconto la storia dello shite dei crisantemi Hidetsugu – non solo appare come La ghiandaia Muzen e suo figlio (wakitsure): racconto del fantasma, ma si rivela poi un ashura - celeste michiyuki verso il Monte Kōya e seguaci (shitetsure) Monaco pazzo: nelle notti di luna Il cappuccio blu parte alla caccia di vittime, come un Kaian: monaco itinerante oni

3. Mugen: lett. nō di sogno, in cui i protagonisti della scena sono esseri fantastici, divinità, buddha, demoni ecc. Il waki si addormenta e sogna il suo incontro con tali creature. Sempre in Shiramine, il monaco Saigyō appisolatosi, sente una voce che lo chiama e, una volta aperti gli occhi, si ritrova davanti il fantasma dell’imperatore Sutoku; in La carpa del sogno Kōgi racconta ciò che ha sognato durante la malattia; infine, in La ghiandaia celeste, strani eventi cominciano a manifestarsi quando Muzen e suo figlio stendono i loro mantelli sulla balconata di un santuario e iniziano a dormire. 4. Jo-ha-kyū: andamento che segue l’ordine introduzione – sviluppo – climax; le storie iniziano quindi in modo lento per poi aumentare la drammaticità fino a raggiungere il momento di massima tensione13. Per quanto riguarda l’andamento, anche la suddivisione delle storie nei cinque libri ricorda la programmazione di uno spettacolo nō, in particolare per la tipologia di personaggi incontrati: Ugetsu monogatari Teatro nō Shite Libro 1 Wakinō 脇能 o Kaminono 神物 Divinità

Libro 2 Shuramono 阿修羅物 Guerrieri

Libro 3 Katsuramono 桂物 Donne

Libro 4 Kyōranmono 狂乱物 o Genzaimono 現在物 Pazzia o modernità

Libro 5 Kirinō 切り能 o Onimono 鬼物 Demoni e creature

Il ritmo delle storie del primo libro è lento, per poi aumentare dal secondo al quarto per

13 Per approfondimenti vedere Rupert, Bonaventura (2016). Scenari del teatro giapponese: Caleidoscopio del nō. Venezia: Cafoscarina 36 raggiungere il climax nel quinto; inoltre, la prima storia si ricollega all’ultima, Dibattito su ricchezza e povertà, dove lo spirito dell’oro predice un futuro sereno e prospero sotto il governo dei Tokugawa, riportando così l’opera alla contemporaneità.

2.5 Il periodo Meiji (1868-1912) e Taishō (1912-1926): la nascita del romanzo giapponese moderno

Il 1868 segna l’inizio della Restaurazione Meiji (lett. governo illuminato), cioè un periodo di rinnovamento politico, economico e tecnologico che coinvolge tutta la società giapponese e durante la quale la nuova classe dirigente promuove una serie di riforme atte a rendere il Paese moderno in tempi brevi. Il Paese esce dal periodo di chiusura al mondo esterno (sakoku 鎖国) e, per quanto riguarda la letteratura, appaiono le prime traduzioni di testi e romanzi europei, dalle fiabe di Esopo ai saggi di Rousseau, i quali contribuiranno a ridefinire il canone letterario. Grazie a queste traduzioni, i giovani intellettuali dell’epoca capiscono l’importanza e il ruolo centrale attribuito al romanzo in Europa e Stati Uniti, riflessioni che influenzeranno l’opera di Tsubouchi Shōyō, al quale si deve la nascita del romanzo giapponese moderno. Come accennato nella parte introduttiva, in L’essenza del romanzo (Shōsetsu shinzui 小説真髄 1885) Tsubouchi afferma che “il romanzo è arte” e suo obiettivo è ritrarre la vita e i sentimenti umani (ninjō setai 人情世態) piuttosto che incoraggiare la virtù e punire il vizio (Scrolavezza, 2009, p. 30). Si distacca quindi dal gesaku dell’epoca precedente ed enfatizza una nuova forma di narrativa, incentrata sempre di più sul realismo. Tali innovazioni verranno impiegate da Futabatei Shimei in Ukigumo (1887-1889), primo esempio di romanzo dell’io (shishōsetsu), forma letteraria predominante nell’epoca. La ricerca del realismo iniziata da Tsubouchi sfocia nello shizenshugi (Naturalismo), corrente che intende il romanzo come una descrizione reale della vita e dei sentimenti dei personaggi, concentrato sullo sviluppo della loro psicologia e descrizione e privo di elementi meravigliosi o fantastici (Bienati, 2009, p. 49). Il Naturalismo può essere diviso in due periodi: il primo, durante il quale gli autori si ispirarono alle opere di Émile Zola, viene definito zenki shizenshugi o zoraizumu; lo scrittore deve riportare le cose così come le vede, con assoluta obiettività senza mai intervenire. Il secondo periodo è definito kōki shizenshugi ed è caratterizzato da una narrazione più intima, verso il privato; le storie sono narrate con verità assoluta, come delle confessioni, anche a costo di svelare segreti e momenti imbarazzanti. Scopo della letteratura non è creare mondi immaginari, ma narrare quello interiore 37 dell’autore, l’unico a poter essere veramente conoscibile. In questo periodo quindi, l’immaginazione e la fantasia vengono completamente messi in secondo piano, ma alcuni autori sembrano “resistere” a questa ondata di realismo, primo fra tutti Izumi Kyōka. L’affermarsi di un pensiero scientifico, razionale aveva creato critiche sul pensiero tradizionale, cosparso di credenze e superstizioni; se da un lato esse potevano facilmente essere superate a livello ufficiale, più difficile era sradicarle dalla credenza popolare e dalle usanze delle classi più umili, spesso “dimenticate” dal processo di modernizzazione; essa portò allo sviluppo, a partire dal 1872, della rete ferroviaria che collegò per la prima volta paesi e regioni sempre più lontane dalla capitale, «sferrando un’offensiva inarrestabile contro i mondi dell’immaginario»(Ruperti, 1991, p. 22). I viaggi persero così il senso della fatica e del pericolo, sensazioni che avevano ispirato vari capolavori letterari, per diventare un qualcosa di più comune, semplicemente svago e turismo.

2.5.1 Izumi Kyōka: fuga nella fantasia

Mentre gli aderenti al naturalismo erano intenti a descrivere la realtà e a fuggire dalla fantasia, le opere di Kyōka riflettono «il mondo più emotivo, le voci più recondite, gli animi più restii, i sentimenti più radicati di quella parte di popolo che nel suo profondo ha nutrito una passiva resistenza nei confronti degli indirizzi assunti dalle autorità e dalla nuova epoca»”(Ruperti, 1991, p. 304). Fin da giovane si era appassionato ai racconti fantastici dello Shihuzhuan, delle opere di Bakin e di Akinari, ma, in particolare fu attratto dalle opere di Ozaki Kōyō, scrittore emergente che diventerà il suo maestro. La componente fantastica appare già in Kaisen no yowa 海戦の余波 (Le scie della battaglia navale, 1894); occasione della stesura furono le ambizioni imperialistiche che sfociarono nella guerra contro la Cina, le cui vicende portarono in auge la letteratura di guerra. Nel racconto vi è un passaggio dal mondo degli uomini a quello magico, che rievoca le leggenda di Urashima Tarō e del castello del drago in fondo al mare, oltre che sogni e apparizioni di fantasmi. Kaisen no yowa inaugura un periodo di scritti in cui l’elemento fantastico è utilizzato come critica del presente, in particolare sulla guerra e sulla situazione della donna nel matrimonio, definito come kannen shōsetsu, cioè romanzi ideologici. A questo periodo segue come una fuga dal reale, dove la società appare celata dietro vicende misteriose, «rivelando un distacco che via via si allarga sempre di più non solo rispetto alla realtà, ma anche rispetto al mondo letterario e alle sue mode» (Ibidem, p. 309). Tracce di questa fuga si trovano ad esempio nel racconto 38 Ryūtandan 龍潭譚 (Il racconto degli abissi del drago, 1896): il protagonista supera il limite imposto dalla sorella e si ritrova in un mondo magico, dove una dea lo ospiterà per la notte, stringendolo fra le sue braccia. Questo incontro tuttavia, è solamente un sogno e il ritorno nel mondo degli umani sarà disastroso, pervaso dalla follia e soltanto la sorella potrà salvarlo. Kyōka utilizza tre tipologie di figura femminile (Inouye, 1998, p. 117): la prima è (divinità buddhista che, da divoratrice di bambini, ne diverrà la dea protettrice), Maya (la madre di Siddartha) e infine la donna-drago della tradizione asiatica (da qui il titolo dell’opera). La barriera d’acqua che separa la dea-demone dal mondo umano è di fondamentale importanza per il racconto, poiché solo coloro che osano oltrepassare il pericolo dell’acqua potranno raggiungere il suo abbraccio. Infatti, nel folklore e nella tradizione shintoista, l’acqua è simbolo di purificazione, ma il fondo del mare era associato al culto dei morti; nel racconto la troviamo in diverse forme: cascate, il secchio in cui Chisato vede la sua faccia deformata, il luogo dove appare la dea, la palude dove il protagonista viene ritrovato, la pioggia ecc. Il motivo dell’acqua, della natura, della figura femminile e del suo abbraccio materno assumono ancora più importanza nelle opere successive, in particolare in Kōya hijiri (Il monaco del monte Kōya, 1900). Quest’opera, oggi considerata una tra i suoi maggiori capolavori, all’epoca fu poco apprezzata; essa narra le vicende di un giovane monaco, del suo viaggio e dell’ incontro con una donna bellissima e seducente; il racconto ha la struttura di una quest, dove il protagonista deve superare delle prove (in questo caso tentazioni buddhiste), giunge a una morte simbolica per poi tornare alla vita. Oltre che per il richiamo alle figure del folklore, il testo fu criticato per l’ambientazione: un luogo incantato, sfuggito alla trasformazione del bunmei kaika, luogo dove neppure le mappe possono essere d’aiuto e la natura rivela quel suo lato oscuro ormai dimenticato. Anche a questo mondo incantato si accede grazie (o a causa) al superamento di un limite, qui rappresentato da un bivio che conduce a una strada abbandonata e in una foresta oscura popolata da serpenti, sanguisughe e altri elementi spaventosi che portano il monaco quasi alla pazzia. Una volta superata tale foresta e superato un altro corso d’acqua, il monaco giunge a una vecchia casa dove vive una donna che si offre di accompagnarlo al fiume per darsi una rinfrescata. Ancora una volta Kyōka unisce l’immagine dell’acqua alla figura femminile, allo stesso tempo bellissima ma letale; la donna nei confronti dell’”idiota” (che si rivela essere suo marito) si comporta con compassione, mentre quando tenta di sedurre il monaco sfodera le 39 sue doti ammaliatrici e magiche da demone. Difronte a questa tentazione nessun uomo può resistere e anche il monaco stesso sembra essere sul punto di cedere, tanto da non accorgersi dei segnali attorno a lui che lo avvisano del pericolo. Tutti gli animaletti che si gettano contro la donna durante il cammino e il cavallo imbizzarrito venduto dal vecchio altro non sono che gli uomini che la donna ha sedotto e trasformato. Altro elemento liminale è rappresentato dalla figura del vecchio che fa da tramite tra il mondo degli esseri umani e quello magico; sarà lui stesso, inoltre, a svelare tutta la verità al monaco:

Che cosa fa? Preso dalla passione per la nostra signorina, le sono sorti desideri mondani? Suvvia, non lo nasconda. I miei occhi, anche se arrossati, sanno distinguere perfettamente il bianco dal nero. Un individuo di ordinaria costituzione, una volta toccato dalla mano della signorina e trattato con quell’acqua, non è possibile che rimanga essere umano. Un toro o un cavallo, una scimmia, un rospo, o un pipistrello: in ogni modo ne avrebbe fatto qualcosa che vola o che salta. Quando è risalito dal torrente di montagna, alla vista che mani e piedi e viso erano ancora umani, sono rimasto attonito: sembra che abbia potuto salvarsi grazie all’ammirevole fermezza delle sue convinzioni. (Ruperti, 1991, pp. 220-221)

Il vecchio racconterà successivamente la vita passata della donna, del suo incontro con il marito e della decisione di vivere soli sulle montagne. Dal racconto il lettore capisce l’origine dei poteri della donna, la quale ha vissuto in prima persona la morte. In altri racconti di Kyōka, come Yashagaike (Il lago demoniaco, 1913) e Tenshu monogatari (Il racconto della torre del castello, 1917) le donne sono direttamente classificate come esseri soprannaturali (Napier, 2005, p. 27): nel primo, la principessa che vive sul fondo del lago evoca un’alluvione che colpisce gli abitanti del villaggio che si rifiutavano di credere nella sua esistenza; ancora più spaventose sono le azioni delle donne-demone del secondo racconto, in grado di provare piacere solamente quando divorano le loro vittime. Tali figure femminile sono associate alla yamauba 山姥 (strega della montagna), figura dei racconti tradizionali simbolo di erotismo e aggressività. Erotismo e aggressività sono al centro della scena in cui la ragazza del racconto del Monte Kōya si spoglia per eseguire un rito magico, sciamanico:

La donna, gli occhi intenti, le labbra serrate, le sopracciglia vibranti, sembrò andare in estasi. La sua affascinante piacevolezza, la sua leggiadria, le sue maniere disinvolte e senza riserve, svanirono all’istante: la si sarebbe detta una divinità o un demone. In quel momento, le montagne circostanti, le mille cime svettanti laggiù in ogni dove, a una a una drizzarono il

40 capo come spiassero ammirate la figura della bella immobile sotto la luna, in piedi di fronte al cavallo, con il vecchio in secondo piano – un mondo diverso da quello degli umani – mentre all’intorno, calando la penombra, tutto fu pervaso dallo spirito cupo del profondo dei monti. (Ruperti, 1991, pp. 203-204)

Il racconto si conclude con il ritorno alla contemporaneità, dove l’anziano monaco, allontanandosi in mezzo alla neve, si separa dal suo giovane compagno di viaggio. In questo suo allontanarsi, il senso di nostalgia trasmesso al lettore è forte: essa non riguarda solamente il periodo della giovinezza, ma come sostiene Napier «it is also an acknowledgement of the unattainability of desire on a sociocultural level, the desire to deny the workings of history by escaping into a fantasy world of ”old Japan”» (2005, p. 34). Si può quindi paragonare il sentiero che il monaco compie ad un percorso a ritroso nell’epoca premoderna, priva dei valori Meiji così avversati da Kyōka. È interessante anche notare come ciò che tradizionalmente era considerato diverso e mostruoso sia qui associato alla nostalgia per la “vecchia patria”. Tuttavia, la natura che la caratterizza non è poi così innocente; nei racconti di Kyōka la natura e tutto ciò che le appartiene (animali, piante, minerali, uomini) è soggetto a continue metamorfosi che la rendono fantastica e paurosa: rocce che diventano pesci, alberi serpenti, uomini animali, cascate donne ecc. Nonostante ciò, egli ha deciso di adorarla piuttosto che scappare, personificando la natura in donne bellissime e forti (Poulton, 1995, p.89). Kyōka non fu l’unico a reagire in questo modo; la corsa alla modernizzazione ebbe anche un effetto contrario, fornendo uno stimolo alle ricerche sul soprannaturale, fosse esso ripreso nella letteratura, studio di miti (nel caso di Orikuchi Shinobu) e di tradizioni (studi e opere di Yanagita Kunio). Durante il periodo Taishō la produzione di opere fantastiche da parte di Kyōka si sposta verso il teatro, come per i già citati Yashagaike e Tenshu monogatari, dove la narrazione e lo sviluppo dei racconti si ispira all’andamento del nō. Come sostiene Ruperti «nel confronto con quel vasto e complesso intreccio di gruppi, mode e personaggi che disegna le linee generali del mondo letterario del tempo, i lavori di Kyōka, il suo mondo e la sua arte risaltano in piena luce per un’originalità e bellezza che la critica più recente […] va via via alfine analizzando e riproponendo» (1991, p. 327).

41 2.5.2 Akutagawa Ryūnosuke 芥川龍之介 (1892-1927): il fantastico come critica della società

Akutagawa è considerato uno degli scrittori più rappresentativi del bundan (circolo letterario) del periodo Taishō e rientra in quella cerchia di autori che, tra gli anni dieci e trenta del ‘900, si opponevano alla corrente dello shizenshugi, sperimentando nuove tecniche narrative riconosciute oggi come appartenenti alla corrente del modanizumu (modernismo). Nato nel 1892 a Tokyo, non avrà un’infanzia felice; la malattia mentale della madre gli impedisce di starle accanto e l’assenza di questo amore segnerà fortemente la sua vita e le sue opere. Lo zio materno, Akutagawa Michiaki, si prenderà cura di lui, dandogli l’opportunità di frequentare la scuola e soprattutto di avere accesso alla sua ricca biblioteca. Akutagawa iniziò così ad appassionarsi alle fiabe, ai classici cinesi e giapponesi, ai romanzi di Mori Ōgai e Natsume Sōseki oltre che alla letteratura europea e russa, in particolare Poe, Baudelaire, Dostoevskij e Strindberg. I suoi racconti sono infatti caratterizzati da continui riferimenti non solo al mondo di Edo e altri contesti storici nipponici, ma anche da riferimenti alla cultura classica greca e al cristianesimo. Come accennato prima, il rapporto con la madre condizionò la sua arte: la sua inquietudine si rifugia nel mondo fantastico, dove rivela la sua vena più onirica e, spesso, ironica. Le storie fantastiche corrispondono al primo periodo della sua attività, in contrasto con gli ultimi anni, dove prevale l’autobiografismo; in linea con la sua personale visione della letteratura (Ceci, 1995, p. 15), l’autore deve rimanere il più possibile nascosto, oggettivo, deve lasciare che la storia si sviluppi da sé e per fare ciò sceglie il racconto fantastico, o meglio, la riscrittura di opere già esistenti, siano esse opere letterarie o folklore, a volte inventando la fonte come espediente letterario: Momotarō (1924) è una delle fiabe più radicate nell’immaginario collettivo, Rashōmon (1915), Hana (1916) e molti altri racconti sono tratti dal Konjaku monogatari, mentre il Tasso (1917) è un animale tradizionalmente associato alle metamorfosi. In questo periodo Akutagawa si distacca completamente dalla corrente dello shizenshugi ponendo enfasi su situazioni grottesche, surreali ed evitando di inserire nei racconti i propri sentimenti e la tecnica della confessione. Come sostiene Cristiana Ceci, Akutagawa “è un maestro nel confondere le acque” (1995, p. 12). Nella fiaba originale, Momotarō è coraggioso e altruista, mentre nel suo racconto viene rappresentato come un ragazzino arrogante e, al contrario, gli oni sono un popolo tranquillo che continua a subire le angherie degli uomini. Pur mantenendo le caratteristiche tipiche della 42 fiaba, essa non è più quella conosciuta da tutti i bambini e, con il ribaltamento dei ruoli e del finale, diventa una critica all’egoismo e alla violenza14. È possibile suddividere i racconti fantastici nelle seguenti categorie: – Ōcho mono: storie ambientate nel periodo Heian (794-1185); – Kirishitan mono: racconti con argomenti legati al cristianesimo; – Nanban mono: episodi legati alle opere missionarie cristiane in Giappone fra il 1549 al 1600; – Kaika mono: racconti legati al periodo Meiji e al bunmei kaika; – Dōwa: cioè fiabe; Ovviamente, la classificazione non è definitiva, in quanto molte storie non rientrano specificatamente in una categoria o, al contrario, potrebbero entrare in più di una. Nonostante Akutagawa sostenesse l’obiettività dell’autore rispetto al racconto, in alcune storie sono innegabili indizi sulla sua vita: l’atmosfera dei racconti è cupa, il finale rimane spesso ambiguo, come sospeso. Il 1924 segna un punto di rottura nella vita e nello stile dell’autore; l’amore per la poetessa Muramatsu Mineko e l’impossibilità di poterla incontrare pubblicamente (poiché già sposato) non fecero che peggiorare il suo stato di inquietudine e malessere, sentimenti che si riflettono ora come una nota autobiografica nei racconti; durante questo periodo egli si sentì più poeta che autore di romanzi, come testimoniano le ultime opere, tra tutte Aru aho no isshō (Vita di uno stupido, 1927) e Haguruma (La ruota dentata, 1927). L’unica eccezione è costituita da Kappa (anch’essa del 1927), con la quale ritorna nel mondo fantastico e delle creature immaginarie. Tuttavia, esse ormai non potranno più salvarlo dalle sue incertezze; nel luglio 1927, a soli trentacinque anni, ingerisce una dose letale di Veronal, suicidandosi. Nel 1935, su suggerimento di Kikuchi Kan, viene istituito il Premio Akutagawa (芥川賞 Akutagawashō); assegnato due volte l’anno (gennaio e luglio), è ad oggi uno dei più prestigiosi premi letterari di tutto il Giappone.

14 Il racconto è stato visto come una possibile critica nei confronti delle mire espansionistiche che pervasero il Paese in quegli anni; i demoni (metafora dei paesi invasi) chiedono a Momotarō (metafora del Giappone) perché li abbia invasi, ma egli non sa spiegare un motivo particolare: era da qualche tempo che pensava di conquistare l’isola, così ha radunato le truppe offrendo come ricompensa dei kibidango (dolcetti di pasta di riso) e ora è pronto anche ad uccidere tutti i demoni, se proveranno ad opporre resistenza. Testo in lingua originale disponibile al link: http://www.aozora.gr.jp/cards/000879/files/100_15253.html 43 2.5.3 Kappa 河童(1927)

In Kappa, Akutagawa mette in atto una critica severa, ma al tempo stesso ironica, della società e dell’economia giapponese dell’epoca, creando un mondo-specchio popolato da una delle creature più conosciute e amate del folklore: i kappa. Secondo le leggende - e gli avvistamenti - essi sono creature acquatiche, alte come un bambino di circa dieci anni, con la pelle squamosa, dita di mani e piedi palmate, dotate di becco e di un guscio come quello delle tartarughe. L’aspetto più curioso è la testa: sulla sommità, circondata da capelli ispidi, vi è una chierica, una sorta di rientranza che ricorda un piatto (chiamata appunto sara 皿), la cui funzione è raccogliere acqua, elemento di vitale importanza. Negli antichi testi viene spesso descritto come una creature dispettosa, a volte malvagia e persino mortale, mentre nella contemporaneità è un essere benevolo, amico dell’uomo. Questo «salto di qualità» (Miyake, 2014, p. 87) avrebbe avuto origine proprio dal breve romanzo di Akutagawa: il protagonista, un giovane ricoverato in una clinica per malati mentali, racconta la sua avventura nel Paese dei kappa a chiunque vada a trovarlo; N° 23 (così ci si riferisce al giovane) accede a questa terra cadendo in un buco mentre stava inseguendo una di queste creature nelle montagne di Nagano. Con sua grande sorpresa, il posto in cui atterra non è la riva di un fiume o una palude, come narrato nelle antiche leggende, ma è una città simile in tutto e per tutto a quelle moderne: case, palazzi, fabbriche, un moderno sistema di trasporti, linguaggio che assomiglia al verso delle papere, sistema parlamentare, polizia e addirittura un quartiere che ricorda la lussuosa Ginza15; è, in poche parole, una miniatura del Giappone reale. Il racconto rivolge tre principali critiche alla società:

1. Critica al capitalismo: il capitalismo è personificato da Gael (ゲエル), “kappa d’affari”, proprietario di un’impresa produttrice di vetro e carbone; questo dettaglio non è inserito a caso: durante la Restaurazione Meiji carbone e vetro furono i prodotti maggiormente lavorati dalle industrie giapponesi. Gael invita spesso i suoi amici e n° 23 a cena nella sua lussuosa casa, ma finisce per impressionare il protagonista in senso contrario, al punto di disgustarlo: il suo ostentare ricchezza e l’enorme pancia (non si era mai visto un kappa tanto grasso) altro non sono che avarizia e

15 「僕の両側に並んでいる町は少しも銀座通りと違いありません。」(Boku no ryōsoku ni narandeiru machi ha sukoshimo ginzadōri to chigai arimasen – il quartiere che si vedeva su entrambi i lati era senza dubbio Ginza) Testo in lingua originale disponibile al link: http://www.aozora.gr.jp/cards/000879/files/45761_39095.html 44 sfruttamento dei lavoratori, costretti a vendere la propria forza-lavoro pur di sopravvivere. Durante una conversazione con Gael, N° 23 scopre un fatto ancora più raccapricciante: i kappa che non lavorano o che sono stati licenziati vengono uccisi e mangiati dagli altri. Tale situazione è un’esagerazione utilizzata dall’autore per criticare lo sfruttamento della classe operaia a causa del capitalismo dell’epoca Taishō: esso può portare gli operai alla morte per il troppo sfruttamento o perché, grazie ai passi da gigante del settore della meccanizzazione, vengono sostituiti dalle macchine e

non sono più “utili”. 2. Critica alle mire espansionistiche: ad un certo punto della storia i kappa dichiararono guerra al limitrofo Paese delle Lontre, loro nemici giurati e, grazie a Gael, N°23 capisce che questo non fu un episodio isolato, ma che la guerra durava da parecchio tempo. Questo episodio è un’allegoria delle mire espansionistiche giapponesi, con particolare riferimento alla guerra con la Cina (1894-1895) e con la Russia (1904-1905). In entrambi i casi, il numero di vittime è giustificato dalla gloriosa vittoria della Patria e dalla conquista di territori ricchi di materie prime:

N°23: “Quale Paese ha vinto la guerra?” Gael: “Ovviamente, ha vinto il nostro! Per essa sono caduti valorosamente trecento sessantanove mila cinquecento kappa. Tuttavia, non è nemmeno paragonabile alla perdita subita dal Paese nemico. La maggior parte della pelliccia presente in questo Paese, è tutta pelliccia di lontra. All’epoca, io stesso ho inviato sul campo di battaglia vetro e carbone.” N°23: “E cosa ci facevano con il carbone?” Gael: “Ovviamente, lo mangiavano! Se i kappa avevano fame, erano costretti a mangiare qualsiasi cosa […]” N°23: “Bhe…Vi prego, non vi arrabbiate, ma per i kappa sul campo di battaglia…per il nostro Paese, questo è uno scandalo […]” Gael: “Su questo non vi è dubbio[…]. Ma oltre ai profitti, si era infiammato nel mio cuore il patriottismo […]”16

3. Critica alla censura: una caratteristica del Paese dei kappa, è la presenza di un governo e dell’esercito. Durante il concerto di Krabac, il kappa musicista, un poliziotto si alza in piedi e gli intima di fermare tutto, ma egli non si ferma e inizia il caos: spettatori che urlano e protestano contro i poliziotti, questi ultimi che cercano di fermare il concerto

16 Testo in lingua originale disponibile al link: http://www.aozora.gr.jp/cards/000879/files/45761_39095.html 45 e calmare la situazione. Quando N° 23 chiede il perché di tale confusione, Mag (il kappa filosofo) gli spiega che il governo ha proibito qualsiasi tipo di arte, sia essa musica, teatro, pittura o letteratura che non esprima chiaramente il proprio intento e significato, in quanto potrebbe nascondere sentimenti negativi nei confronti della politica. La censura colpì in egual modo il Giappone dell’epoca e quindi il termine “democrazia Taishō” risulta essere inappropriato: gli intellettuali iniziarono ad interessarsi sempre di più alle influenze politiche provenienti dall’Europa e il governo, per evitare che diffondessero tali ideali, mise in atto una dura repressione ed esercitò la censura su tutti i mezzi di comunicazione, sul controllo delle attività politiche e di quelle religiose. La situazione fu portata alla normalità solo nel 1945, quando lo SCAP sciolse tale regime17.

Il kappa risulta quindi diverso dagli esseri umani solamente per la sua fisionomia esteriore; anzi, in alcuni casi risulta essere “più umano” proprio per la sensibilità che mostra verso le contraddizioni sociali del suo mondo, specchio del reale. Esso funge così da mediatore fra un mondo antico e nostalgico e un futuro «totalitario, massificato e tecnologico» (Miyake, 2014, p. 95).

2.6 Elementi fantastici nella letteratura femminile del dopoguerra: Enchi Fumiko (1905 - 1986) e Ōba Minako (1930-2007)

Con la fine della seconda guerra mondiale, oltre a cambiamenti economici e politici, anche i costumi, i valori e lo stile di vita iniziarono lentamente a cambiare conducendo il Giappone verso una profonda trasformazione sociale. Questa trasformazione riguardò soprattutto la condizione femminile con la conquista di diritti politici e civili, in particolare grazie all’abolizione del sistema dello ie, il tradizionale sistema famigliare che vede la donna relegata al ruolo di moglie e madre, sottomessa al volere del capofamiglia. Alle donne viene ora garantita, almeno sulla carta, la stessa libertà concessa agli uomini; tuttavia, sorsero presto delle problematiche: disintegrazione della famiglia, tensioni provocate dalla pressione sociale ecc. (Scrolavezza, 2009, p. 189)

17 Per approfondimenti si veda: Gatti, Francesco (2002). Storia del Giappone Contemporaneo. Milano: Paravia Bruno Mondadori Editori. 46 In questo contesto le donne tornano a riporre nella scrittura la propria inquietudine, che diventa sempre maggiore con il crescere dell’incertezza legata all’identità di genere, dove alcune scrittrici rifiutano completamente la maternità, il matrimonio e qualsiasi altra concezione tradizionale legata al ruolo femminile; l’unica cosa che esse vogliono, sembra essere la solitudine. Come spiega Paola Scrolavezza «le scrittrici del dopoguerra, nella ricerca di nuovi e più efficaci mezzi espressivi, svolgono un ruolo fondamentale nel rinnovamento dei generi letterari fissati dalla tradizione e nella creazione di nuovi mondi utopici e fantastici» (2009, p. 190). Elemento ricorrente è la ripresa e la reinterpretazione di creature tradizionali legate alla figura femminile, come le già citate Dama di Rokujō e yamauba, conosciute per i sentimenti di vendetta nei confronti degli uomini; in particolare, ciò che le contraddistingue dalle scrittrici degli anni Venti e Trenta è il legame con la letteratura del periodo Heian, dove i personaggi femminili riescono a rompere gli schemi grazie ai loro poteri misteriosi. Altro elemento distintivo è il tema della vendetta in molti casi associato al fantastico, al soprannaturale, all’horror, generi in grado di dar vita a personaggi in contrasto con lo stereotipo femminile dell’epoca, che vede la donna fragile e sottomessa (Napier, 2005, p. 81). Enchi Fumiko 円地文子 (1905-1986) nel romanzo Onnamen 女面 (1958) riprende chiaramente il personaggio di Rokujō: il romanzo racconta la storia di Mieko, donna amante della cultura classica - scrive lei stessa un saggio sulla Dama di Rokujō – e allo stesso tempo pericolosa; vedova, dopo la morte del figlio si offre di accogliere in casa sua figlia Harume (gemella del figlio) e la nuora Yasuko, con la quale avrà un rapporto ambiguo. I kanji utilizzati per il nome della protagonista – 三重子 mi-e-ko – se letti letteralmente indicano una persona dalla personalità tripla, numero che richiama la divisione del libro in tre capitoli e le tre maschere del teatro nō che compaiono nella storia. Come sostiene Wayne Pounds (1990), è possibile collegare ogni personalità di Mieko ad un capitolo e a una delle maschere:

Capitolo Elemento della Tradizione Personalità Maschera nō Mieko è divorata dalla gelosia e dalla Zō no onna: vendetta per un amore mai corrisposto; maschera usata 1. 霊の女 Spirito vendicativo della diventa così un ikiryō che utilizza il corpo per Ryō no onna letteratura classica: Rokujō della nuora come medium. Come Rokujō, rappresentare durante la possessione non sarà mai Rokujō negli

47 consapevole delle sue azioni. spettacoli di nō Nonomiya18 In questo capitolo, le donne sono colpite dalla pazzia e, in quanto mentalmente - Retribuzione karmica instabili, sono ridotte a mero corpo, prive di femminile Masugami: donna 2. 十寸髪 ogni sentimento. Tuttavia, se per Mieko e - Storia di e mentalmente Masugami Yasuko la pazzia dettata dalla vendetta è (Kojiki) instabile momentanea, per Harume è permanente,

anche a causa dei danni provocati dal gemello durante la gravidanza. La maschera di Fugai rappresenta la Fugai 深女: solitudine e l’egoismo di Mieko; pur di donne di mezza continuare la propria linea di sangue è 3. 深井 età, spesso madri, disposta a sacrificare sua figlia Harume, che Fukai afflitte dal dolore morirà dando alla luce un bambino. Mieko e per la perdita di Yasuko si occuperanno di lui, senza un figlio l’intrusione di una figure maschile.

Come nota Susan Napier (2005), se nei racconti soprannaturali dell’epoca scritti da uomini le donne sono passive e poco minacciose, nei racconti delle scrittrici diventano invece personificazioni di tremende vendette, spiriti che incanto gli uomini per condurli in una realtà ancor più tremenda. Mieko umiliando e ingannando gli uomini riesce ad imporre il proprio potere, conducendo alla fine una vita indipendente, nella quale l’unico aiuto accettato è quello della solidarietà femminile. Un’altra protagonista costretta ad assumere il ruolo che la società le impone, e dal quale alla fine vorrà scappare, è la yamauba (Yamauba no bisho 山姥の微笑, Il sorriso della yamauba, 1976) di Ōba Minako (1930-2007). Lo stesso scrivere è considerato da Ōba un atto sovversivo, passo fondamentale verso l’emancipazione femminile. Le donne dei suoi racconti sono potenti, come la yamauba del racconto: l’autrice non rievoca tale creatura del folklore solo per il suo lato spaventoso (essa rappresenta infatti tutto ciò che gli uomini temono, in quanto dominatrice e demone) ma ne “ribalta” la posizione; il suo potere di leggere la mente la rende pericolosa, ma vuole essere accettata dalla società e per questo finge di essere umana e cerca di rendere felici le persone intorno a lei, a cominciare dalla madre, dal marito per infine sacrificarsi per i suoi bambini, imponendosi anche di morire alla svelta per non essere

18 Per approfondimenti sullo spettacolo si rimanda al seguente link: http://www.the-noh.com/en/plays/data/program_018.html 48 un peso. Ōba utilizza ironicamente questo ruolo, poiché ogni donna, per poter compiere il proprio ruolo di madre e moglie fedele deve trasformarsi in una strega; la protagonista muore sorridendo, sognando il momento in cui potrà tornare sulle montagne e vivere da , priva di ogni sofferenza, al di fuori delle convenzioni sociali. Sia Mieko che la yamauba possiedono un grande potere sovversivo, la prima perché animata da un forte desiderio di vendetta, la seconda per il forte desiderio di libertà. Ōba ricorre al fantastico anche in altri racconti, alcuni dei quali ambientati a Hiroshima (lei stessa è una sopravvissuta al disastro della bomba atomica) dove il fantastico e l’orrifico convivono, creando immagini surreali; le ambientazioni preferite sono ambienti spogli come i deserti, popolati da granchi, scorpioni e scheletri. Nei racconti di altri scrittrici, come Takahashi Takako 高橋たか子 (1932-2013) e Kanai Mieko 金井美恵子 (1947-), la follia, intesa come unica forma di resistenza, incontra il fantastico e da vita a storie dove i personaggi non hanno un nome, la loro descrizione fisica è vaga, accentuando così ulteriormente il senso di irreale. Come sostiene Scrolavezza «sogni, fantasie di regressione, follia, comportamenti socialmente o sessualmente trasgressivi, esperienze mistiche: sono tutti importanti motivi della letteratura femminile fantastica», dove gli uomini diventano «uno sfondo sul quale si stagliano figure femminili forti, […] autonome e determinate» (Scrolavezza, 2009, pp. 193-194).

2.7 Letteratura contemporanea: Murakami Haruki 村上春樹 (1949-): kocchi no sekai, acchi no sekai Alla fine degli anni Settanta fa il suo esordio sulla scena letteraria Murakami Haruki; fin dalle prime opere si distingue per il forte legame con la cultura popolare –soprattutto americana ed europea – e per l’estraneità rispetto alla tradizione. Molto popolare sia in patria che all’estero, il successo arrivò con il romanzo Noruweri no mori ノルウェイの森 (Norwegian wood, 1987) con il quale abbatte il muro che vi era tra letteratura alta e bassa, e per questo fu al centro della critica di Ōe Kenzaburō 19 . Egli rappresenta la generazione di scrittori nati nel dopoguerra e cresciuti durante il boom economico, disillusi da quegli ideali ormai persi e che tenta di restringere il gap fra i due tipi di letteratura, creando un genere sempre più internazionale e sempre più fantastico (Napier, 2005, p. 204).

19 Per approfondimenti se veda: Ōe, Kenzaburō. Japan’s Dual Identity: A Writer’s Dilemma, disponibile al link: http://www.jstor.org/stable/pdf/40144281.pdf?refreqid=excelsior:3d7defd7438c905c8744c66d7945b034 49 La sua scrittura ha caratteristiche che compaiono in quasi tutte le opere: un narratore in prima persona, boku, la ricerca di un linguaggio che sia in grado di avvicinarsi alle nuove generazioni, ironia, continui riferimenti alla cultura pop, l’uso del pastiche e l’influenza dell’hard boiled; tuttavia, i racconti non sono mai realistici, poiché anche nelle opere che sembrano più radicate nella realtà si insinua sempre l’elemento fantastico. I racconti, che iniziano in modo apparentemente tranquillo, vengono sconvolti da avvenimenti e circostanze misteriose, soprannaturali. Tale caratteristica ha portato molti critici a classificare le opere di Murakami sotto il filone del realismo magico; genere associato alla pubblicazione di Cent’anni di Solitudine (1967) di Gabriel García Márquez20 che inserisce elementi fantastici e soprannaturali con naturalezza in un contesto realistico. Essi infatti non vengono quasi mai spiegati né messi in dubbio dai protagonisti, i quali ne accettano la logica. Le opere di Murakami abbondano di tali elementi, ma vi è una differenza fondamentale con la letteratura Latino Americana: spesso in queste opere vi è una forte presa di posizione politica e l’esaltazione per la propria terra, percepita come magica; se nelle opere di Murakami vi è una finalità, essa è la ricerca e scoperta dell’identità dei personaggi, intenti a comprendere la propria interiorità, alla quale l’autore si riferisce con il termine “scatola nera”. Egli stesso ha spiegato che i suoi racconti si dividono sempre fra due mondi paralleli: kotchi no sekai こっちの世界 e atchi no sekai あっちの世界, il mondo reale che tutti conosciamo e un mondo “altro”, dove il magico e il soprannaturale sono tuttavia la normalità. I due mondi non sono quasi mai separati da un confine netto e il protagonista vive le sue esperienze attraversando l’uno e l’altro, sempre alla ricerca di qualcosa. Il passaggio fra le due dimensioni può avvenire sia fisicamente che in maniera simbolica. Ad esempio, in Sekai no owari to Hādoboirudo Wandārando 世界の終わりとハードボイルドワンダーランド (La fine del mondo e il paese delle meraviglie, 1985) il racconto si snoda attraverso l’alternanza di due narrazioni distinte ma strettamente collegate, una ambientata nel “Paese delle meraviglie”, l’altra nella “Fine del mondo”, dove i due protagonisti – watashi e boku, entrambi pronomi traducibili in “io” – sono uno l’alter ego dell’altro. Si scoprirà che la “Fine del mondo” non è altro che una fantasia della mente di watashi.

20 Genere collegato in generale al boom letterario dell’America Latina; guardando al panorama letterario italiano, rientrano in questa categoria anche le opere di Dino Buzzati e Italo Calvino.

50 In Dansu dansu dansu ダンス・ダンス・ダンス (Dance dance dance, 1988) – seguito di Hitsuji o meguru bōken 羊をめぐる冒険 (Nel segno della pecora, 1982) – è ancora più forte il senso di ambiguità: non è ben chiaro a quale dei due mondi appartengano i personaggi e, come spiega Scrolavezza «attraverso la sua complessa costruzione l’autore vuole mostrarci la condizione del Giappone degli anni ottanta e, soprattutto, lo squilibrio fra la ricchezza materiale e la solitudine degli individui»(2009, p. 211). Secondo alcuni studiosi, la costante dei due mondi paralleli ricorda il mondo dei vivi e il mondo dei morti della tradizione; nei romanzi di Murakami, i personaggi si addentrano in un mondo parallelo alla ricerca di qualcosa, e questo ricorda il mito di Izanami e Izanagi. Tale somiglianza è particolarmente forte in Nejimakidori Kuronikuru ねじまき鳥クロニクル (L’uccello che girava le viti del mondo, 1994-1995): Toru, il protagonista, perde la donna che ama, proprio come il dio Izanagi; come il dio, non si arrende e decide di avventurarsi in un mondo che non conosce pur di riaverla con sé. A differenza di Izanami però, Kumiko non è morta, ma si trova comunque in una condizione nella quale le è impossibile tornare indietro. Come sostiene Napier (1996), l’elemento forse più interessante delle opere di Murakami è l’utilizzo del fantastico in relazione al concetto di utopia e distopia, concetti grazie ai quali non si esclude del tutto l’impegno sociale e politico dell’autore; Hitsuji o meguru bōken tratta direttamente alcuni aspetti della società giapponese contemporanea, tra tutti le interferenze e i complotti fra politici, uomini d’affari e crimine organizzato. Altro fattore importante è il valore dato alla storia: il protagonista riuscirà a recuperarne il senso sia sul piano individuale che nazionale, riportando episodi che la popolazione vorrebbe dimenticare. Il racconto finisce come un’utopia; non solo il protagonista riesce ad incontrare il fantasma dell’amico e a trovare la pecora richiesta dal Boss, ma sconfigge lo scagnozzo che lo aveva costretto, non con buone maniere, a mettersi in viaggio. Sekai no owari to Hādoboirudo Wandārando è invece caratterizzata dall’alternanza utopia/distopia, ma alla fine sarà il lato più distopico a prevalere: Figura 8 Copertina dell’edizione italiana l’ambientazione è una futuristica Tokyo nella quale due organizzazioni, il Sistema e la mafiosa Fabbrica sono in lotta per il controllo assoluto di dati e 51 informazioni. Watashi – il protagonista del “Paese delle meraviglie” – inizia a sospettare del lavoro che gli è stato affidato, cercando così informazioni sulle due organizzazioni. La “Fine del mondo” ricorda invece una città europea medievale, con tanto di mura, ponti e una torre- orologio; boku non sa perché si trova lì né come ci è arrivato, sa solamente che il suo compito è leggere i sogni dentro i teschi di unicorno. Il “Paese delle meraviglie” è una realtà distopica, dominata da continue cospirazioni, dall’illegalità - sottolineata dalla presenza dei malvagi Invisibili – dal consumismo sfrenato e dalla pericolosa - e ormai fuori controllo - tecnologia; al contrario, la “Fine del mondo” sembra essere un luogo perfetto, un’utopia. La Città è un luogo pacifico, confortevole, senza alcun tipo di problema; del resto, ogni abitante ha perso la propria memoria, quindi anche la propria mente. L’elemento che rompe l’equilibrio di questa parte di mondo è l’ombra di boku: essa è in realtà la sua mente, il suo cuore che viene lentamente ucciso dalla “perfezione” della Città. L’ombra riuscirà a scappare dalle mura e a raggiungere il “Paese delle meraviglie”; una volta tornata, vuole convincere boku ad andarsene via con lei, ma lui rifiuterà. Potrebbe sembrare una fuga dalle proprie responsabilità, poiché raggiungendo il “Paese delle meraviglie” egli dovrà affrontare le sue memorie, ma in realtà tale decisione è considerata da Napier come una forma di critica sociale: la staticità della Città ricorda la rigida gerarchia sociale giapponese, dove ognuno è definito secondo il ruolo che ricopre, ad esempio “lettore di sogni”. I suoi abitanti non conoscono nulla di ciò che vi è al di fuori delle mura, neanche se ne preoccupano: un’ implicita critica alla “chiusura” mentale. Il fatto che boku voglia comunque recuperare il proprio passato e aiutare anche altri a farlo, è forse l’aspetto più sovversivo di tutta la “Fine del mondo”; le persone senza ombra, quindi senza memoria, ricordano la società contemporanea: nel “Paese delle meraviglie”, si ha memoria del passato ma non tradizioni; gli abitanti della Città invece, senza ombra, hanno tradizioni ma non ricordi del loro passato, come il Giappone moderno, che sembra dimenticare il proprio.

Seconda parte: Letteratura e Turismo

Il turismo legato al mondo della letteratura è forse una delle forme più antiche che esistano; basti pensare al fenomeno del Grand Tour (XVII-XVIII sec.), viaggi compiuti dalla giovane aristocrazia inglese verso i luoghi culturali e letterari europei – in particolare italiani – attratti dal fascino di racconti e opere filosofiche, raccolte di poesie e diari di viaggio. Questa forma di

52 turismo viene oggi chiamata “Turismo letterario” (in inglese “Literary Tourism”) e, come sostiene Barbara Schaff:

it is part of the heritage industry, and as such it is informed by the industry’s nostalgia for the irretrievable past, its pride in the conservation and display of manifest testimonies of cultural achievements. […] Literary places and trails […] tell spatial stories, which means that places are experienced not only in a material sense, but also in the view of their literary representations, their particular connection to authors and their works. (2011, pag.1)

Tuttavia, vi è una differenza fondamentale con le prime forme di turismo letterario; inizialmente i turisti si recavano in “pellegrinaggio” verso le case degli autori, le loro tombe o luoghi che erano soliti frequentare, ma a partire dal XIX secolo l’attenzione si spostò verso i contenuti e l’ambientazione stessa delle opere, che fossero fiction o non. Esempi recenti sono il “Binario 9 ¾” della stazione di King’s Cross a Londra o il refettorio del Christ Church College a Oxford, luoghi legati alla saga di Harry Potter. Negli ultimi anni, la popolarità del turismo letterario è legato anche alle trasposizioni cinematografiche, alle serie tv e, per quanto riguarda il Giappone, al boom della cultura anime e manga negli anni Novanta, creando così la categoria del “contents turism” (kontentsu tsurizumu). Come spiega Yamamura (2011, p.50), l’attenzione sul contenuto delle opere è un segnale fondamentale del fenomeno del “media mix 21 ”, dove uno stesso contenuto viene trasportato in più media, come libri, film, videogames, giocattoli ecc. aumentando così le possibilità di vendita e accrescere la propria fama. Tuttavia, nonostante il literary tourism sia un fenomeno in continua crescita ed abbia attirato l’attenzione del mondo accademico, sono ancora relativamente pochi gli studi compiuti in questo campo: le ricerche condotte riguardano soprattutto l’ambito europeo, con pochi riferimenti al contesto nipponico. In questo capitolo vorrei fare quindi riferimento al turismo letterario in Giappone, in particolare al progetto del machi-okoshi 町おこし in relazione all’influenza di anime e manga e alla città di Kyōto rappresentata nei romanzi di Morimi.

21 Per approfondimenti sul “media mix” in ambito nipponico vedere: Steinberg, Mark (2012). Anime’s Media Mix: Franchising Toys and Characters in Japan. Per aspetti più generali sul fenomeno si veda: Jenkins, Henry (2006). Convergence Culture: Where Old and New Media Collide. 53 3.1 Destinazioni

Le destinazioni del turismo letterario possono essere divise in tre categorie: 1. Luogo legato alla vita dell’autore: rientrano in questa categoria i cosiddetti luoghi uffa “autobiografici”, cioè la città natale di un autore, la casa in cui è vissuto ecc. 2. Ambientazione che esiste anche nella realtà: ad esempio, Shinjuku (quartiere di Tokyo) in cui è ambientato After Dark di Murakami; tuttavia, essi possono essere allo stesso tempo non reali, poiché facendo parte di una narrazione fittizia non costituiscono la realtà al cento per cento (come nel caso di un racconto ambientato nel futuro). 3. Luoghi inventati: luoghi che non esistono nella realtà. Tuttavia, negli ultimi anni vi è la tendenza a collocare nella realtà tali luoghi; in Nuova Zelanda è disponibile un vero e proprio tour della Terra di Mezzo, dove paesaggi e villaggi sono stati meticolosamente costruiti sul racconto di Tolkien.

Negli ultimi anni, la terza categoria è stata influenzata dalle trasposizioni cinematografiche, così che i turisti tendono a visitare il set come se fosse il luogo vero e proprio. Da un lato, questo fatto è sicuramente propizio per l’economia locale, ma dall’altro tende a complicare la topografia letteraria, poiché i registi utilizzano spesso set diversi durante le riprese (Schaff, 2011, p.7). In questi “pellegrinaggi”, anche azioni semplici come fermarsi a mangiare diventano parte del percorso: molto spesso, fuori dai locali vi sono insegne che sottolineano con orgoglio quale scrittore sia passato da quelle parti o quale racconto sia stato ambientato nella città, pubblicizzando così anche la gastronomia e l’artigianato locali. Un esempio è il percorso turistico basato sul libro - e film - Il Codice da Vinci; su internet si possono trovare svariati siti che propongono itinerari seguendo il percorso fatto dai protagonisti alla ricerca del sacro Graal. Alcuni siti offrono addirittura viaggi internazionali, tra Parigi, Londra, Edimburgo e Italia. Ancora più recente è il successo del film d’animazione 君の名は。kimi no na wa., uscito nelle sale italiane con il titolo Your Name., regia di Shinkai Makoto 新海誠, 2016. Il film ha registrato un successo mai visto prima d’ora sia in patria, dove è secondo per incassi solo a Sen to Chihiro no Kamikaushi (2001) di Miyazaki Hayao, che all’estero, tanto che la Japan Anime Tourism Association – in collaborazione con il governo giapponese per il progetto Cool Japan – ha creato un vero e

54 proprio pellegrinaggio alla scoperta dei luoghi che hanno ispirato il film 22 . Inoltre, dal 3 agosto 2017 è possibile fare un tour dei quartieri di Tokyo legati al film a bordo di un Cafè Bus che offrirà anche la possibilità di assaggiare i piatti preferiti dei protagonisti23. Da questi esempi possiamo capire come il turismo letterario - unito ai recenti anime アニメ e manga junrei 漫画巡礼- possa spaziare da un semplice interesse a viaggi organizzati, veri e propri Figura 9 “pellegrinaggi” che, oltre a confermare Post della società Willer Travel su Twitter per pubblicizzare il tour. la fama di un dato libro/autore, rappresentano una parte fondamentale per l’economia turistica locale.

3.2 Machi-okoshi: nuove prospettive fra turismo letterario e seichi junnrei

Come accennato prima, il turismo letterario ha ormai un ruolo molto importante per l’economia locale, in particolare se legato al progetto del machi-okoshi, volto alla rivitalizzazione delle città e delle zone rurali colpite dallo spopolamento. Il movimento del machi (o mura 村 e chiiki 地域) okoshi iniziò alla fine degli anni Settanta con la comparsa di numerose strutture e complessi turistici, come impianti sciistici, sorgenti termali, grandi magazzini e tutto ciò che potesse attirare l’interesse dei turisti. Alcuni villaggi e città enfatizzarono invece il proprio patrimonio culturale, a volte re-inventandolo e adattandolo alle mode contemporanee (Moon, 2009). In questo hanno giocato un ruolo importante romanzi, , anime e manga che hanno guidato i lettori alla scoperta di luoghi ormai quasi dimenticati. Un importante esempio è dato dal revival di Sakaiminato, città natale del mangaka Mizuki Shigeru, autore di Ge Ge Ge no Kitarō. Questa cittadina non aveva nessuna

22 Fonte: http://lifestyle.inquirer.net/251820/kimi-no-na-wa-pilgrimage-tour-set-up-by-japanese-government- invites-foreigners/ (ultimo accesso: 09/08/2017) 23 Collaborazione tra Cool Japan Travel e la società di bus turistici Willer Travel; Fonte: 日本経済新聞 01/08/2017 http://www.nikkei.com/article/DGXLASFB31HCX_R30C17A7L83000/ (ultimo accesso 09/08/2017) Sito ufficiale: http://travel.willer.co.jp/tour/campaign/kiminona/ (ultimo accesso 09/08/2017) 55 caratteristica particolare che potesse attirare l’attenzione dei visitatori – se non i rinominati frutti di mare - ed era pura difficile da raggiungere. Tuttavia, investendo sulla popolarità del mangaka ha potuto distinguersi da tutte le altre città della prefettura di Shimane, unendo la cultura pop alla nostalgia per il furusato, luogo lontano dalla frenesia della modernità (Greene, 2016). Agli inizi degli anni Novanta il manga Ge ge ge no Kitarō divenne l’elemento principale per la rivitalizzazione della città e, grazie alla cooperazione fra autorità locali e l’autore stesso, venne inaugurata la Mizuki Shigeru rōdo 水木しげるロード (la via di Mizuki Shigeru) e un museo dedicato al mangaka. La disposizione stessa della città e il percorso ricordano quello degli antichi pellegrinaggi: si parte dalla stazione, si passa poi per la Mizuki Shigeru rōdō per arrivare così al museo e concludere il viaggio di nuovo alla stazione. Un’altra somiglianza con i percorsi sacri può essere Figura 10 Guida turistica della regione di Tottori: in trovata nel piccolo santuario al suo interno, simboli della copertina, gli yōkai di Mizuki Shigeru. tradizione shintoista, che conferiscono un aspetto religioso-sacrale al percorso. Altri aspetti importanti che influenzano l’interesse dei turisti sono la distanza e i costi per poter raggiungere quel determinato luogo; la maggior parte delle città ha trasporti efficienti da e per le destinazioni turistiche, altre hanno creato dei percorsi “in miniatura” dei pellegrinaggi più famosi, ma alcune si trovano in zone rurali difficili da raggiungere e richiedono quindi un dispendio di tempo e denaro maggiore. Come spiega Barbara Greene, «this factor has been taken into consideration in the case of Sakaiminato, where the local train station and sometimes the trains themselves are decorated with characters from Ge Ge ge ge no Kitarō » (2016, p. 337), immergendo così i turisti fin dai primi passi del viaggio nel mondo fantastico e allo stesso tempo nostalgico di Shigeru. Tuttavia, bisogna precisare a cosa si riferisce il termine manga/anime junrei: junrei è il termine comunemente usato per indicare i pellegrinaggi, spesso preceduto da seichi 聖地, posti sacri legati alle tradizioni religiose. Negli ultimi anni il successo del mondo e della cultura anime e manga è stato tale da aggiungere un nuovo significato al termine; di seguito è

56 riportata la spiegazione del dizionario online Kotobank コトバンク24 :

Seichi junrei 1. Pellegrinaggi legati a luoghi d’interesse religioso. 2. Pellegrinaggi effettuati da appasionati nei luoghi diventati ambientazioni di libri, anime, manga, film ecc.

Tali pellegrinaggi rappresentano una risorsa talmente utilizzata che esistono delle vere e proprie guide, come ad esempio Jinja junrei: manga, anime de ninki no seichi o meguru25 (Pellegrinaggio nei santuari: viaggio nei luoghi sacri attraverso anime e manga), oppure il sito Seichijunrei mappu 聖地巡礼マップ26 – di cui esiste anche un’app scaricabile sui cellulari - che ne offre una classifica divisa per prefetture. A inizio 2017, nell’ambito del Cool Japan, progetto promosso dal Governo nel 2002 che ha visto aumentare il numero di visitatori stranieri in maniera esponenziale, è nata la Anime Tourism 88-Stop Pilgrimage (88 richiama il famoso pellegrinaggio degli ottantotto templi nello Shikoku): l’iniziativa è nata grazie alla collaborazione tra la già citata Japan Anime Tourism Association e la casa editrice Kadokawa e mira a stilare un itinerario comprensivo degli ottantotto seichi più apprezzati legati ad anime, manga e loro autori. L’obiettivo è quello di raggiungere quattro milioni di turisti – sia inbound che outbound – nel 2020, in concomitanza con l’evento dei giochi olimpici a Tokyo27, oltre che ampliare e aggiornare la già esistente Japan Anime Map, compilata dalla Japan National Tourism

Figura 11 Organization (JNTO). Titolo: “Revival locale grazie a ” Shizuoka Shinbun 静岡新聞, articolo del Una delle città che sta vivendo un boom 11/05/2016 turistico grazie a queste iniziative è Shizuoka, ambientazione della serie di romanzi gialli HaruChika ハルチカ dell’autore Hatsuno Sei 初 野晴 (1973 - ). La serie è composta da sei romanzi pubblicati da Kadokawa Shōten tra

24 Fonte: https://kotobank.jp/word/聖地巡礼- 686484#E3.83.87.E3.82.B8.E3.82.BF.E3.83.AB.E5.A4.A7.E8.BE.9E.E6.B3.89 25 岡本健、『神社巡礼:マンガ・アニメで人気の「聖地」をめぐる』、エクスナレッジ、2014年 26 Link al sito: https://seichimap.jp/contents/2014/07/spot-ranking.html (ultimo accesso 10/08/2017) 27 Fonte: Nihon keizai shinbun 日本経済新聞, articolo del 17/09/2016 http://www.nikkei.com/article/DGKKZO07368040W6A910C1TI5000/ (ultimo accesso 10/08/2017) 57 l’ottobre 2008 e il febbraio 2017 i cui racconti ruotando attorno alla vita di due studenti delle scuole superiori, Haruta – amico d’infanzia di Chika, un ragazzino timido ma dotato di uno spiccato intuito - e Chika - una ragazzina dal carattere forte, decisa a diventare più “femminile” - . I due si iscrivono al club musicale della scuola che rischia tuttavia di essere chiuso a causa delle poche iscrizioni; mentre cercano di reclutare nuovi membri, attorno a loro accadono fatti inspiegabili che i due cercheranno di risolvere. I romanzi, che a settembre 2015 hanno raggiunto un totale di 550mila copie vendute28, hanno avuto sia un adattamento manga (pubblicato sulla rivista Monthly Shōnen Ace da dicembre 2015) sia anime (trasmesso sulle reti nazionali dal 7 gennaio al 24 marzo 2016)29 ; in occasione dell’uscita del film live-action, il 15 marzo 2016 è iniziata la collaborazione con la città di Shizuoka; all’uscita nord della stazione JR della città venne installato un grande cartello raffigurante i due protagonisti che invitavano i turisti a visitare le mostre e le ambientazioni collegate ai romanzi, come il Shimizu Marine Park 清水マリンパーク. La Camera di Commercio e la City Film Supporters di Shizuoka crearono inoltre degli opuscoli –contenenti anche consigli gastronomici - che guidavano i turisti tra i luoghi in cui avvennero le riprese. Come riporta un articolo del Nihon keizai shinbun, vi sono grandi aspettative sull’ utilizzo di film, romanzi, manga ecc. come strumenti per attirare sempre più turisti; la S-pulse Dream Plaza nel quartiere di Shimizu (Shizuoka) ha registrato nel 2015 ben trentacinque mila visitatori solamente alla Chibi Maruko-chan Land, il doppio rispetto all’anno precedente, tendenza che si è registrata anche nel 2016, con turisti provenienti

30 Figura 12 per la maggior parte dall’estero, Cina e Taiwan . Poster della casa editrice Kadokawa che invita alla riscoperta della letteratura: 「本には人生を HaruChika è solamente uno dei tanti esempi 変える力がある」,"I libri hanno il potere di di machi okoshi legati al manga junrei; lo stesso cambiare la vita".

28 Fonte: http://www.shizuoka-cci.or.jp/assets/files/Sing201606/Sing6-P11.pdf (ultimo accesso 11/08/2017) 29 Fonte: sito ufficiale anime http://haruchika-anime.jp (ultimo accesso 11/08/2017) 30 Fonte: Nihon keizai shinbun 日本経済新聞, articolo del 1/03/2017 http://www.nikkei.com/article/DGXLZO13493060Y7A220C1L61000/ (ultimo accesso 12/08/2017) 58 boom è stato registrato per Lucky ☆star ラキ☆スター e la città di Kasukabe (Saitama)31, oppure per il recente successo della serie manga 文豪ストレイドッグス (2012-)(fig. 12) che, avendo come protagonisti scrittori moderni – come Dazai Osamu, Nakajima Atsushi, Akutagawa Ryūnosuke ecc. – ha portato alla riscoperta fra i giovani sia delle loro opere che delle loro città di origine.

Secondo uno studio condotto dalla facoltà di economia e finanza dell’Università di Osaka32, questo processo può essere diviso in cinque fasi:

Media I fase II fase III fase IV fase V fase Drama – libri - Visita alla location, spinta al chiiki okoshi manga Visione / lettura Identificazione Ricerca dei Legame fra Anime location da parte Pellegrinaggio luoghi presenti località e opera dei fan nell’opera

La tabella fa riferimento alla metà degli anni Novanta, quando i fan iniziarono a visitare i vari set sotto l’ondata di successo di manga e light novel come Sailor moon e, soprattutto, delle fiction televisive di carattere storico (taiga drama) dell’emittente nazionale NHK, dal cui successo nacque il fenomeno delle rekijo (lett. ragazze della storia), ragazze accumunate dalla passione per la storia nazionale rivisitata attraverso manga, romanzi, videogiochi e drama. Buona parte delle prime rekijo letteralmente innamorate dello squadrone della Shinsengumi33, le quali visitando i luoghi storici hanno dato vita a quello che viene definito dagli studiosi come pop spiritualism, una forma alternativa del seichi junrei34. In quegli anni, «le scene all’interno delle opere non prendevano come modello città realmente esistenti […], anche cercando per tutto il Paese gli stessi identici paesaggi che compaiono in, ad esempio, Sasae san o Doraemon, potremmo non trovarli mai»35. I fan quindi prima cercavano corrispondenze nel reale e poi, una volta individuate, iniziavano i

31 La pagina ufficiale della JNTO offre un itinerario basato sulla serie: http://www.jnto.go.jp/eng/indepth/cultural/pilgrimage/rakisuta.html (ultimo accesso 12/08/2017) 32 Kusanagi, Nobuteru 草薙信照, Yamano, Shōta 山野翔太 (2014). Seichi junrei bijinesu no butai ni kansuru kenkyū 聖地巡礼ビジネスに関する研究. Tesi di laurea. Università di Osaka. Facoltà di Economia e Finanza. 33 Lett. nuovo gruppo selezionato; speciale corpo di polizia organizzato durante il periodo Bakumastu (1853- 1867)dedito alla protezione dei sostenitori dello shogunato. 34 Per approfondimenti vedere: Sugawa-Shimada, Akiko (2015). “Rekijo, pilgrimage and pop spiritualism: pop- culture-induced heritage tourism of/for young women”. In Japan Forum, vol. 27. N. 1, pp. 37-58. 35 Ibidem, p. 3. 59 pellegrinaggi. Tuttavia, negli ultimi anni questo modello ha subito dei cambiamenti che lo studio fa risalire al successo di Lucky ☆star: in questo caso, il legame tra anime e città è avvenuto nella fase di realizzazione stessa, quindi prima della messa in onda, con l’intento di portare i fan nelle località ritratte. Nella tabella successiva sono riassunte le differenze nei due processi:

I fase II fase III fase IV fase V fase Precedente Identificazione Ricerca dei Visione / lettura Legame fra sistema di seichi location da Pellegrinaggio luoghi presenti opera località e opera junrei business parte dei fan nell’opera Nuovo sistema Ricerca dei Legame località Pellegrinaggio di seichi junrei Messa in onda Visione luoghi presenti e opera dei fan business nell’opera

Lucky ☆ star è un manga creato da Kagami Yoshimizu nel 2004 e pubblicato mensilmente nella rivista Comptiq (); la serie animata, composta da 24 episodi, è stata prodotta dalla Kyōto Animation e trasmessa da aprile a settembre 2007 su sedici canali nazionali. La storia ruota intorno alla vita di quattro studentesse delle superiori, due delle quali figlie di un sacerdote shintoista. Grazie al successo di Lucky ☆star, il turismo nella prefettura di Saitama ha visto un notevole aumento, in particolare per quanto riguarda il santuario shintoista Washinomiya 鷲宮神社. Secondo un articolo del Mainichi shinbun 36, nel 2007 – prima della trasmissione dell’anime – la città aveva registrato circa 90.000 visitatori, mentre nel 2008 la cifra è arrivata a 300.000, tendenza che si è mantenuta tale negli anni:

Visitatori santuario Washinomiya (万人) 50 45 47 47 47 42 40 30 30

20 9 10

0 2007 2008 2009 2010 2011 2012 2013 (年) Trasmissione Lucky ☆star

36 Fonte: 毎日新聞デジタル「鷲宮神社:『ラキ☆スタ』聖地の初詣客数47万人」 Articolo del 08/01/2013 60

Tale successo può essere ricondotto a due motivi principali: durante la sigla d’apertura di ogni episodio vengono utilizzati luoghi realmente presenti nella città, creando così un forte impatto sullo spettatore; secondo, poiché la storia non contiene profondi legami fra i personaggi (siano essi d’amore o legati al passato) ma si concentra sull’ordinaria vita delle bishōjo, autori, fan e autorità locali hanno potuto creare situazioni a loro favorevoli senza dover essere limitati dai contenuti originali. Tale tipo di anime e manga, continua l’autore, viene definito “daily life” (nichijo kei) o “slice of life” (kūki kei) (Yamamura, 2015, p.61). Tuttavia, vi sono numerosi esempi di turismo derivato dal seichi junrei che non Figura 13 Confronto fra la scena mandata in onda nell’anime e hanno avuto l’effetto desiderato, dove le l’ambientazione reale. (Fonte: Yahoo! Japan) ondate di visitatori hanno causato danni alle località e provocato disagi ai residenti. Tali effetti negativi si riscontrano in particolare in luoghi che non sono “pronti” a ricevere un numero così grande di persone: ad esempio, ritornando al caso Washimiya, trattandosi di un santuario shintoista le autorità erano preparate all’arrivo di visitatori, ma non mancarono casi in cui strutture collocate nelle aree residenziali furono invece messe in difficoltà. In questo caso la cooperazione non solo economica e strategica, ma anche di mutuo rispetto tra fan, autorità locali e copyrighters è riuscita a garantire un successo che in altre zone, a causa delle difficoltà accennate, ha portato alla disfatta del progetto. Come spiega Yamamura, questo punto è di fondamentale importanza, poiché:

If contents tourism is to be viewed not just as business pertaining to licenses or economic transactions between host and guest, but instead as communication between people in an actual space and time with contents at the centre of those interactions, then this constitutes a vital insight into what conditions might enable successful contents tourism elsewhere. (2015, p. 76)

Come accennato nell’introduzione al capitolo, il termine contents tourism viene utilizzato in Giappone già dagli anni Novanta in riferimento a tutti gli aspetti della cultura pop legati al 61 turismo; molti studiosi, vedendo i benefici che esso può portare all’economia, iniziarono a studiare casi precedenti che oggi possono essere considerati come forme “primordiali” di tale fenomeno. Masubuchi (2010) fa risalire il primo caso di contents tourism (qui, turismo letterario) alla visita dei luoghi legate alle poesie e alla figura di Matsuo Bashō (1644-1694) nel periodo Edo. Steinberg, autore fondamentale per gli studi sul media mix, in Anime’s media mix: franchising toys and characters in Japan (2012) fa risalire gli inizi di tale fenomeno nel 1960 in concomitanza con il successo della serie Tetsuwan Atomu 鉄腕アトム di Tezuka Osamu 手塚治, mentre Yamamura (2011) ne colloca l’inizio negli anni Novanta, dividendone l’evoluzione in tre fasi: 1) Anni ‘90: boom legato alla cultura anime e manga; 2) Anni 2000: utilizzo di mass media e internet per condividere contenuti; 3) Post 2000: contents turism; città e luoghi reali diventano essi stessi media, in quanto sempre più legati a contenuti “virtuali” e letterari (anche attraverso musei, monumenti ecc.), aumentando così le prospettive economiche e turistiche.

Il successo del contents turism non è così scontato: essendo strettamente legato alla risorsa principale (sia essa romanzo o film), il successo che ne deriva può essere duraturo nel tempo o molto limitato, esaurendosi non appena la “freschezza” della novità svanisce. In conclusione, come sostengono Beeton, Yamamura e Seaton:

[…] contents tourism is not only a form of tourism for young people in Japan, with older visitors continuing to demonstrate a fascination with their own (and other’s) versions of popular culture and the layers of meaning this can provide. By looking at popular cultural tourism in terms of its contents and meaning, we can take the notion of contents tourism beyond Japan, using it as a framework from which to consider the relationship between tourism and culture of the day in other cultures and parts of the world (2016, p. 151).

3.3 Case Study: La Kyōto di Morimi

Nel 2015 Kyōto ha conquistato per il secondo anno consecutivo il titolo di “città più bella del mondo”, piazzandosi al primo posto nella classifica stilata dalla rivista Travel+Leisure37. Capitale e dimora dell’imperatore dal 794 al 1868, è oggi considerata la “capitale culturale”

37 Fonte: http://www.travelandleisure.com/slideshows/worlds-best-cities#1 (ultimo accesso 14/09/2017) 62 del Paese e, con i suoi diciassette siti Patrimonio dell’Umanità Unesco, attira ogni anno un numero sempre maggiori di turisti sia inbound che outbound. Tantissime sono le guide turistiche che propongono un numero infinito di itinerari; dai templi shintoisti e buddhisti ai paesaggi primaverili e autunnali, dai giardini zen alle passeggiate e allo shopping in centro città con tanto di a noleggio. Secondo una ricerca38 condotta dalla città stessa, nel 2015 56.840.000 turisti hanno visitato Kyōto, il 2.2% in più (circa 1.200.000 persone) rispetto all’anno precedente:

2016・55.220.000 turisti (Mille persone) V° posto nella classifica stilata dalla rivista Travel+Leisure

2008・50.210 mila turisti Superati i 50.000 turisti

2003・43.740.000 turisti Sviluppo progetti “Kyōto・Hanatōro” e “Visit Japan Campaign” 2015・56.684.000 turisti (numero più alto mai registrato) I° posto nella classifica stilata dalla 2005・42.270.000 rivista Travel+Leisure per il turisti secondo anno consecutivo Aichi Expo

2000・40.510 .000 mila turisti Presentazione del 2009・46.900.000 turisti piano per 50.000 mila Rallentamento economico globale 1995・35.340.000 turisti turisti nella città di Kyōto – Nuova epidemia di influenza Terremoto di Kobe

Heisei

Molti sono i motivi che spingono i turisti a visitare la città e, come riporta la tabella successiva39, negli ultimi anni è in aumento il turismo legato al seichi junrei, tanto che la prefettura di Kyōto ha aperto, già dal 2014, un sito dedicato a tali intinerai;

Motivo Totale 50anni 60anni Anno Uomini Donne 〜19 anni 〜20 anni 30anni 〜 40anni〜 visita % 〜 〜 Manga ・ 2016 anime ・ 1.1 0.8 1.3 6.9 5.1 1.3 1.2 0.6 0.3 cultura pop 2015 Manga ・ 0.7 0.9 0.6 2.3 1.8 1.9 1.4 0.4 0.2

38 Fonte http://www.city.Kyōto.lg.jp/sankan/cmsfiles/contents/0000222/222031/28chousa.pdf (ultimo accesso 14/09/2017) 39 Fonte: http://www.city.Kyōto.lg.jp/menu2/category/22-6-0-0-0-0-0-0-0-0.html (ultimo accesso 14/09/2017) 63 anime ・ cultura pop

Ad attirare i turisti sono stati manga come Inari, konkon, koi iro ha. いなり、こんこん、恋い ろは。(lett. Inari, kokon, abc dell’amore, 2010) ambientato a Fushimi inari, la serie di videogiochi Hakuouki 薄桜鬼 (2010) (particolarmente apprezzata dalle rekijo) con protagonista lo squadrone della Shinsengumi, il recente successo del romanzo e film Boku wa asu, kinō no kimi to deto suru40 di Nanatsuki Takafumi (lett. domani, uscirò con la te di ieri, 2016). Sulla home page del sito dedicato al film è possibile scaricare l’itinerario dei luoghi utilizzati duranti le riprese, in modo da poter ripercorre la storia:

Figura 14 Mappa delle location riportate nel romanzo di Nanatsuki Takafumi 七月隆文 Boku wa asu, kinō no kimi to deto suru e utilizzate come luoghi delle riprese per l’omonimo film.

40 Fonte: http://www.bokuasu-movie.com (ultimo accesso: 14/09/2017) 64

Anche nella letteratura classica e moderna, Kyōto è stata spesso protagonista di poesie, romanzi e racconti fantastici che hanno poi ispirato pellegrinaggi ai luoghi ritratti: dal Genji monogatari alle poesie di Sugawara no Michizane che descrivono la bellezza dell’antica capitale, ritratta anche in Takasebune 高瀬舟 (1916) di Mori Ōgai (1862-1922) e in Koto 古都 (1962) di Kawabata Yasunari (1899-1972); il lato più oscuro della città viene invece raccontato nelle varie storie kaidan e nei racconti di Akutagawa Ryūnosuke, come ad esempio in Rashōmon. Nella letteratura contemporanea, non solo il già citato Nanatsuki ha saputo sfruttare la bellezza e l’aura di mistero della città per dare vita a romanzi best seller; un altro autore che ha saputo utilizzare la città in tutti i suoi aspetti – romantico, misterioso, pauroso, tradizionale e anche un po’ fantastico – è Morimi Tomihiko: nel capitolo successivo mi occuperò della traduzione del suo ultimo romanzo , Yako (2016), integrando tale traduzione con alcune notizie biografiche e riferimenti a suoi precedenti romanzi. Gran parte delle sue opere sono ambientato appunto a Kyōto, città nella quale ha vissuto da ragazzo; tre in particolare sono state trasportate in versione manga e anime, dato il loro grande successo tra i giovani che hanno poi dato vita a un vero e proprio seichi junrei: Yojōhan shinwa taikei 四畳半神話大系(lett. le mitologiche avventure della stanza da quattro tatami e mezzo, 2004, fantasy-slice of life), Yoru ha mijikashi, arukeyo otome! 夜は短し歩けよ 乙女(lett. la notte è breve, corri ragazza! 2006, fantasy-slice of life) e la serie Uchōten kazoku 有頂天家族 (lett. la famiglia eccentrica, 2007 e 2015, fantasy, terzo libro in uscita). Nel primo romanzo, la città viene vissuta attraverso le disavventure tragicomiche di uno studente universitario che passe le sue giornata tra club e attività varie: lezioni all’Università di Kyōto, volontariato al mercato delle pulci del tempio Shimogamo, passeggiate

Figura 15 lungo il fiume Kamo e qualche sosta Un’autista della compagnia di taxi MK mostra i gadget legati all’itinerario Uchōten kazoku: kyomeguri tour 65 allo stand del Neko ramen, dove tutto ebbe inizio. In Uchōten kazoku, l’atmosfera rimane comica ma inizia ad incupirsi a causa dell’introduzione di figure del folklore come tanuki e tengu, che danno un risvolto fantastico alla storia: dalle tirannie dei tengu del Monte Kurama alle trasformazioni dei tanuki in giro per Kawaramachi, dalle navi e treni Eizan “volanti” per poter assistere allo spettacolo del Gozan no okuribi 五山 の送り火 fino al viaggio nel Paravento infernale (riferimento al racconto Jikokuhen 地獄変 di Akutagawa del 1918). Dato il grande successo del romanzo, la nota compagnia di taxi MK ha creato la Uchōten kazoku: kyomeguri tour 有頂天家族京巡りツアー (lett. una famiglia stravagante: tour di Kyōto, fig. 15), proponendo anche una versione dedicata al Gozan41.

Figura 16 Uchōten kazoku: kyomeguri tour, itinerario ideato dalla compagnia di taxi MK che ripercorre le varie ambientazioni della storia. Le tappe sono: stazione, tempio Rokudō chin’nōji, Rokkakudō, Teramachidōri e ristorante di sukiyaki “Mishimaitei”, tempio Nanzenji, tempio Tanukidani fudōin, santuario di Shimogamo, stazione di Demachiyanagi, quartiere commerciale di Masugata e ritorno alla stazione di Kyōto. Nell’ultimo romanzo, l’autore sposta l’attenzione dal centro di Kyōto al Monte Kurama, in particolare nel periodo dello himatsuri 火祭り(Festival del Fuoco), festività religiosa celebrata ogni 22 ottobre al santuario Yuki. Essa ricorda il giorno in cui nel 940 l’antica capitale fu colpita da un violento terremoto. Per proteggere la città, Figura 17 I grandi taimatsu (torce) dello himatsuri.

41 Fonte: http://www.mk-group.co.jp/travel/uchoten_tour.html (ultimo accesso 15/09/2017) 66 l’imperatore decise di spostare il santuario dedicato alla divinità Yuki myojin – protettore della corte imperiale – a Kurama, verso nord; tuttavia, poiché all’epoca il nord era considerata una direzione nefasta, punto d’entrata di demoni e spiriti, gli abitanti decisero di accendere dei fuochi lungo la strada come protezione oltre che per illuminare la via alla divinità e al corteo imperiale42. Verso le ore 18.00 vengono accese duecentocinquanta torce dette taimatsu 松明 (fig.17) che vengono poi trasportate da bambini e adulti; le dimensioni variano in base alla persona che le porta, ma le più grandi possono superare i tre metri e gli ottanta kili di peso. Grazie a questa atmosfera spettrale e alla fama stessa del luogo – alcune leggende narrano che Minamoto no Yoshitsune (1157-1189) sia stata cresciuto ed abbia imparato “la via della spada” dal temibile Sōjōbō, re dei tengu - l’autore ha potuto creare un racconto al limite tra fantastico e pauroso, dove la suspense non lascia mai il lettore. Altra caratteristica che distingue il romanzo da quelli precedenti, è l’utilizzo di Hiroshima, Gifu, Aomori e Nagano come ambientazioni principali: la trama può diventare così la base perfetta per un nuovo seichi junrei. Morimi è autore anche di una guida della città basata sui suoi romanzi: Morimi Tomihiko no Kyōto guruguru annnai 森見登美彦 の京都ぐるぐる案内(lett. guida di Kyōto con Morimi Tomihiko 2014). In essa sono raccolti tutti i luoghi citati nelle opere divisi in Sakyō-ku, Dintorni di Shijō, Fushimi e Co., con consiglio dispensati dall’autore stesso. All’uscita della guida, in collaborazione con l’azienda Eiraku è stato creato un tenugui/mappa (pagina successiva), dove sono illustrati i vari spot e grazie al quale i fan potranno rivivere le storie e le emozioni provate leggendo i Figura 18 Morimi Tomihiko no Kyōto romanzi. guruguru annnai. Tokyo: Shinchōsha 新潮社 (2014).

42 Fonte: https://www.japan-experience.it/citta-Kyōto/kurama-no-hi-matsuri (ultimo accesso 15/07/2017) 67

Figura 24 tenugui ispirato ai romanzi di Morimi

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Terza parte: L’autore e il romanzo

Nei capitoli precedenti sono descritte le caratteristiche del fantastico nella letteratura giapponese e il fenomeno del seichi junrei, temi apparentemente molto lontani tra di loro. In realtà, vi è uno scrittore che ha saputo metterli insieme, scrivendo opere che possono essere catalogate sotto l’etichetta del realismo magico. Il successo dei romanzi ha portato i lettori, soprattutto i giovani, a visitare i luoghi descritti per rivivere le emozioni provate durante la lettura.

4. L’autore: Morimi Tomihiko 森見登美彦

Morimi Tomihiko 森見登美彦 (1979 - ) è un autore contemporaneo conosciuto per i suoi romanzi dalle sfumature fantastiche. Iniziò ad appassionarsi alla letteratura già da bambino, grazie ai libri illustrati che la madre spesso gli regalava e grazie alla “misteriosa” libreria della nonna. Come spiega in un’intervista43, quella libreria era “un vero casino”: all’interno vi erano libri della madre, delle zie, alcuni libri del nonno come Shinsengumi Keppuroku (lett. Shinsengumi: cronache di sangue) e anche libri per bambini. I primi romanzi che attirarono la Figura 19 sua attenzione furono storie come Alice nel Paese delle Meraviglie e Morimi Tomihiko Alice Oltre lo Specchio, romanzi le cui fantasie influenzarono da subito la sua scrittura. Alle scuole elementari aveva l’hobby di scrivere brevi storie accompagnate da disegni che poi regalava alla madre la quale, insieme alla nonna, ha sempre sostenuto il suo desiderio di diventare scrittore, anche se lo stesso non può essere detto del padre; con lui condivide la passione per la lettura, ma non appoggiò mai del tutto le sue aspirazioni. Dopo essersi iscritto all’Università di Kyōto, la passione per la scrittura e la lettura crebbero ancora di più: dalle opere di Dostoevsky ai shōjo manga, ai romanzi di Steven King all’Ugetsu monogatari, la sua libreria non smetteva mai di allargarsi. Nel 2003, mentre proseguiva gli studi magistrali, pubblicò il suo primo romanzo Taiyō no tō 太陽の塔 (La Torre del Sole) con il quale vinse la quindicesima edizione del Japanese Fantasy Novel Award 日本ファンタジーノ

43 Link: http://www.webdoku.jp/rensai/sakka/michi65.html (ultimo accesso 21/08/2017) 69 ベル大賞. Il suo secondo romanzo, Yojōhan shinwa taikei 四畳半神話大系 (conosciuto come The Tatami Galaxy) fu un vero successo, tanto che nel 2010 la Madhouse ne realizzò la serie animata. La storia racconta con ironia le vicende di uno studente universitario iscritto al terzo anno, watashi, convinto di aver sprecato i suoi primi due anni in club e attività inutili; da matricola sognava la “rosea” vita del campus, fra attività extra-scolastiche e amori, alla ricerca della ragazza “dai capelli corvini”. Tuttavia, a mettergli i bastoni tra le ruote ci penserà Ozu, malevolo e brutto come uno yōkai, causa di tutte le disavventure del protagonista. A tirargli su il morale ci penserà Akashi, una kōhai carina e intelligente, per la quale watashi ha una cotta. Alla fine di ogni capitolo (e di ogni puntata dell’anime) ripensando a tutto il tempo perso, al protagonista viene concessa la possibilità di tornare indietro nel tempo - grazie ad un pupazzetto perso da Akashi - nel tentativo di recuperare i bei momenti persi: scelto il club, ogni volta arriverà Ozu a creare scompiglio, facendogli perdere ancora una volta i primi due anni universitari. La storia è ambientata a Kyōto e si basa sulla vita universitaria Figura 20 Copertina di Yojōhan shinwa taikei, dell’autore; l’anime, andato in onda da aprile a luglio 2010, fu edizione Kadokawa bunkō il primo programma televisivo a vincere il Japan Media Arts Festival nel febbraio 2011 grazie allo «sviluppo straordinario che il direttore Yuasa Masaaki ha saputo dare alla storia, sostenuta da movimenti dinamici e grafiche non convenzionali»44. All’interno della serie animata appare un altro romanzo di Morimi che ha avuto un recente successo anche come anime: Yoru ha mijikashi, arukeyo otome! 夜は短し歩けよ乙女, pubblicato a novembre 2006 dalla casa editrice Kadokawa Shoten. Vincitore del 20° Premio Yamamoto Shugurō, ha raggiunto a febbraio 2017 oltre 1,2 milioni di copie vendute, diventando un vero e proprio best seller. L’autore racconta una storia d’amore giovanile dove il protagonista è ancora una volta il senpai - interpretato dal cantante Hoshino Gen - che non si dà per vinto nella sua ricerca della ragazza “dai capelli corvini”. A fare da sfondo a questa storia d’amore è Kyōto che, con l’alternarsi delle stagioni e dei suoi meravigliosi colori e paesaggi, accompagna il senpai nella sua ricerca.

44 Fonte: Japan Media Arts Festival Archive 文化庁メディアゲイ芸術祭:歴代受賞作品 Link: http://archive.j-mediaarts.jp/en/festival/2010/animation/ (ultimo accesso 20/08/2017) 70 Nel 2007 pubblica Uchōten kazoku 有頂天家族, dove in una Kyōto contemporanea vivono insieme umani, tanuki e tengu45; protagonista è Yasaburō, terzo figlio dei Shimogamo, una famiglia di tanuki che, come da tradizione, sono in grado di trasformarsi in qualsiasi cosa, da oggetti a esseri umani. A febbraio 2015 è stato pubblicato il sequel intitolato Uchōten kazoku: nidaime no kichō ed è in programma un terzo titolo46; con questa serie di romanzi, Morimi si distacca dalle precedenti opere, facendo rivivere creature del folklore come protagonisti invece che studenti universitari; come racconta in una intervista del 2015 in occasione dell’uscita del sequel, l’idea è scaturita proprio dall’incontro con un tanuki: «È successo una notte, mentre stavo tornando a casa dopo una cena. Stavo passando per una Figura 21 Evento organizzato in occasione dell’uscita del secondo zona residenziale, quando all’improvviso mi libro della serie Uchōten kazoku sfrecciò davanti agli occhi un animale che s’infilò dritto in una scanalatura. Sono andato a vedere ed era lì dentro, così ho pensato che fosse un tanuki. E allora ho realizzato che girano veramente per Kyōto! Da quel momento ho capito che se avessi scritto una storia dove i tanuki vivono fra gli uomini nella Kyōto odierna, avrei potuto scrivere qualsiasi cosa. […] Tuttavia, avevo l’impressione che se avessi parlato solamente di umani e tanuki, la storia sarebbe risultata banale. Così, prendendo spunto dal manga Dai nippon tengu tō ekotoba di Kuroda Iou, ho deciso di inserire anche i tengu, creando così una triplice relazione che mi ha permesso di creare varie opportunità per far muovere la storia.»47 Altro romanzo in cui vengono rievocati elementi del folklore è Kitsune no hanashi (lett. il racconto della volpe, 2006), composto da 4 racconti apparentemente non collegati fra loro – Kitsune no hanashi, Kakujitsu no naka no ryū, e -. Nel 2007 pubblica Hashire, Melos! in cui riscrive capolavori della letteratura classica ambientandoli nella città di Kyōto e proponendo come protagonisti studenti universitari. Opere successive sono Koibumi no gijutsu (2009), Pengin haiwei (2010) - vinictore del Japan SF Grand Prize -, Yūbinkyoku shōnen (lett. il ragazzo della posta, 2011), Seinaru namakemono no bōken (lett. le avventure di uno

45 Fonte: intervista del 14/03/2015; link http://bookshorts.jp/morimitomihiko/ (ultimo accesso 20/08/2017) 46 Ibidem 47 Link: http://bookshorts.jp/morimitomihiko/(ultimo accesso 20/08/2017) 71 scansafatiche, 2013) e l’ultimo romanzo, Yakō (lett. Viaggio Notturno, 2016).

5. Il romanzo: Yakō「夜行」

Yakō ha avuto un ottimo successo, tanto da essere candidato al premio Naoki per l’anno 2016 e meritare l’ottavo posto nella classifica per il premio Hon’ya taishō 201748. La storia contiene le caratteristiche tipiche della bibliografia di Morimi: l’ambientazione nella città di Kyōto, sfumature fantastiche quasi horror, protagonisti giovani ragazzi e un finale che solo apparentemente conclude la storia. Il romanzo si divide in cinque storie, ognuna raccontata da uno dei cinque ragazzi protagonisti, amici di vecchia data che decidono di incontrarsi per organizzare un viaggio a Figura 22 Copertina del romanzo, edizione Kurama; il motivo di questo viaggio è quello di non Shogakukan dimenticare e di scoprire cosa sia successo veramente, la notte dello himatsuri di dieci anni prima, in cui scomparve Hasegawa 長谷川さん, loro amica. Durante il viaggio verso Kurama, i cinque protagonisti si alternano nel raccontare episodi dai particolari soprannaturali, ma tutti con due elementi in comune, Hasegawa e la serie di stampe49 dal titolo Yakō dell’artista Michio Kishida 道生岸田, composta da 48 misteriose opere. Figura 23 Tsukioka Yoshitoshi, Sojobo istruisce Yoshitsune Due sono gli elementi che balzano sull’arte della spada, 1897 – stampa postuma

48 Fonte: https://www.hontai.or.jp/ (ultimo accesso: 25/09/2017). 49 Il termine utilizzato nel romanzo è dōbanga 銅版画, cioè una stampa realizzata con una matrice in rame, tecnica conosciuta anche come “acquaforte”. 72 fin dall’inizio nella mente del lettore: l’alternarsi di storie paurose ricorda l’andamento dei hyaku kaidan e la notizia della sparizione di Hasegawa ricorda un episodio di kamikakushi 神 隠し, letteralmente “sparizione divina”; il kamikakushi è una credenza popolare che attribuisce la scomparsa improvvisa di una persona a una divinità50. Spesso, i responsabili di questi rapimenti sono kitsune e tengu e in questo caso il collegamento con questi ultimi è molto forte, poiché il Monte Kurama è famoso per essere loro dimora oltre che il luogo di nascita di Sōjōbō, re dei tengu (fig.23). Solitamente, le opere di Morimi sono caratterizzate da uno stile ironico e un po’ antiquato che, mescolandosi con il fantastico crea situazioni a volte assurde51, ma in questo romanzo il mistero e la paura che si percepiscono ricordano uno dei primi titoli dell’autore, Kitsune no hanashi; vi è un’ altra caratteristica che lo distacca da tutti gli altri: Kyōto è si lo sfondo principale, ma vengono utilizzate anche altre città, cioè Hiroshima, Gifu, Aomori e Nagano, soggetti delle stampe che legano le avventure e il destino dei protagonisti:

Capitolo Città Protagonista Stampa e Luogo 第一夜 Prima notte Onomichi (Hiroshima) Nakai 中井さん Yakō: Onomichi ; Hotel

第二夜 Seconda notte Okuhida (Gifu) Takeda 武田さん Yakō: Okuhida ; Caffetteria Yakō: Tsugaru ; Casa in 第三夜 Terza notte Tsugaru (Aomori) Fujimura 藤村さん fiamme Yakō: Tenryūkyō ; Racconto 第四夜 Quarta notte Tenryūkyō (Nagano) Tanabe 田辺さん di Saeki 佐伯さん

最終夜 Ultima notte Kurama (Kyōto) Ōhashi 大橋さん Shokō 曙光 (alba): Kurama

In un’intervista rilasciata per il sito Gendai business52, l’autore spiega l’origine del titolo delle stampe:

50 Per approfondimenti sul tema si veda: Komatsu Kazuhiko. Kamikakushi: Ikai kara no Izanai. Sōsho Shi no bunka, vol 12. Kōbundō. Tokyo. e Komatsu, Kazuhiko (2002). Kamikakushi to nihonjin. Kadokawa Shoten. Tokyo. Il tema del kamikakushi è stato ripreso in chiave contemporanea nel film d’animazione Sen to Chihiro no Kamikakushi (conosciuto in Italia con il titolo La città incantata, 2001) del regista Hayao Miyazaki, dove la sparizione della piccola Chihiro e la sua avventura in un mondo popolato da spiriti è metafora di crescita interiore. 51 Come spiega in una intervista, lo stile classico deriva dall’influenza di opere come Ugetsu monogatari, Shincho nihon koten shusei e in particolare dallo stile di Hyakken Uchida (百閒内田, 1889 - 1971), mentre l’umorismo e le sfumature fantastiche traggono ispirazione dalle storie di Yasutaka Tsutsui (康隆筒井 , 1934 - ). Fonte: http://www.webdoku.jp/rensai/sakka/michi65.html (ultimo accesso 24/08/2017). 52 現代ビジネス, intervista del 09/11/2016. Link: http://gendai.ismedia.jp/articles/-/50095 (ultimo accesso 23/08/2017). 73 I treni notturni mi sono sempre piaciuti, così ho deciso di farli diventare il titolo delle stampe; nel capitolo Tsugaru, vi è la descrizione di un treno che mi piace particolarmente, Akebono, che collega Ueno a Aomori. La solitudine che si prova quando si lascia la stazione nel bel mezzo della notte, spegnere le luci della cabina e guardare il paesaggio esterno, sono sensazioni stupende. In inverno, quando all’improvviso scende la neve e si staglia nel buio pesto, la sua luce arriva fin all’interno della cabina. Attraversando i tunnel, sembra davvero di raggiungere il Paese delle Nevi. È un modo per apprezzare a pieno il fascino di paesaggi che normalmente non potremmo vedere. Quando ero uno studente, visitando il Museo Nazionale d’Arte Moderna di Kyōto ho visto un’opera di Kiyoshi Hasegawa53, e questo è il motivo per cui ho deciso di utilizzare le stampe su matrice in rame come elementi chiave per la storia. Era un’opera strana, sembrava che il tempo si fosse veramente fermato, ritraendo una notte eterna; quell’immagine mi ha dato l’ispirazione per scrivere questo libro. (Morimi 2016, traduzione Solari)

La composizione della storia richiese molto tempo: Morimi iniziò a scriverla nel 2009, alternando la scrittura a viaggi che ispirarono i vari capitoli. L’idea iniziale prevedeva che ogni racconto fosse una storia kaidan a sé stante, ma l’editore decise di farne un volume unico, chiedendo così all’autore di creare un filo conduttore. Solitamente, i suoi racconti sono caratterizzati da episodi vivaci e divertenti, mentre in Yakō il senso di mistero e paura è forte: perché Hasegawa è sparita? Cosa la collega alla serie di stampe? L’ultima opera dell’artista, “aurora”, che significato ha? Tali interrogativi prevalgono per tutta l’opera, dissolvendosi – forse – nel finale: il mondo nel quale i protagonisti stanno vivendo sarà quello della notte, o quello dell’alba?

6. Riassunto dei capitoli Prima notte: Onomichi Nel primo capitolo, Nakai racconta del suo incontro con la prima delle serie di stampe: “Viaggio notturno - Onomichi”. Amico intimo di Ōhashi – il narratore principale – ai tempi della scuola di lingua era uno studente delle magistrali e per questo considerato il senpai del gruppo.

53 Kiyoshi Hasegawa (1891-1980), autore di stampe oggi esposte al Yokohama Museum of Art. 74 Un giorno, quando tornò a casa dal lavoro, sua moglie era sparita. Telefonandole, scoprì che si trovava a Onomichi ad aiutare un’amica; ultimamente i due non erano in buoni rapporti, litigavano di continuo, così lei decise di andarsene per qualche tempo. Tuttavia, Nakai decise di partire per riportarla a casa, ma, una volta arrivato, la ragazza che gli aprì era identica a sua moglie, ma sembrava non conoscerlo affatto; confuso, si diresse verso l’hotel che aveva prenotato e lì vi trovò lo strano individuo che aveva incrociato poco prima che gli raccontò che quella casa era sua ed era il marito della donna che aveva incontrato. Tuttavia, gli disse che era impossibile che l’avesse incontrata perché un anno prima si era gettata sotto il treno notturno, non lasciando però traccia di sé. In quel momento, Nakai si ricordò del viaggio fatto con la moglie a bordo di un treno notturno che passò proprio per Onomichi: in quel momento, entrambi videro la figura di una ragazza dal volto indefinito salutarli, su uno sfondo buio come di notte eterna, scena identica a quella rappresentata dalla stampa. In quel momento, saranno forse stati catturati dalla stampa e imprigionati nel mondo dell’artista? Nakai decise di recarsi di nuovo in quella casa, ma venne fermato dall’ “albergatore” che non aveva intenzioni di farli scappare e lo attaccò; soltanto dopo averlo ucciso poté riabbracciare sua moglie, rimasta prigioniera per tutto il tempo in quella casa. Ma chi era veramente la ragazza che avevano incontrato?

Seconda notte: Okuhida Il secondo a raccontare la propria storia è Takeda; ai tempi della scuola di inglese era solo una matricola e, al momento del racconto, lavorava per una casa editrice; sul luogo di lavoro aveva fatto amicizia con un certo Masuda che un giorno lo invitò ad andare a Okuhida con lui; insieme a loro sarebbero venute anche la sua ragazza, Kawakami Miya e la sorella minore di quest’ultima, Ruri. Durante il viaggio vennero fermati da un’auto in panne e decisero di dare un passaggio ad uno dei passeggeri, una vecchia signora di nome Mishima. Ma questo non fece altro che peggiorare la situazione e a dare al viaggio un risvolto inaspettato: la vecchia disse di essere una veggente e che, sul volto di uno di loro, vedeva la morte. Dei quattro, l’unica a prendere sul serio la cosa fu Ruri, che stette in silenzio per tutto il tempo. Decisero di fermarsi a fare una sosta e, nel locale dove si fermarono, la prima cosa che attirò la loro attenzione fu una stampa dal titolo “Viaggio notturno - Okuhida”: vi era dipinta una notte buia, infinita e, in primo piano, vi era una ragazza dal vestito bianco e dal volto indefinito che salutava nella direzione dello spettatore.

75 Una volta arrivati all’hotel si separarono e la profezia della vecchia sembrò avverarsi: Miya sparì e la sorella non faceva altro che gridare che era morta, che la profezia era vera. Poco dopo anche lei e Masuda sparirono nel nulla e, al loro posto, Miya ricomparve. Ma chi era in realtà? Era veramente lei, o era la ragazza del quadro? Quando la vide, Takeda si accorse di quanto assomigliasse ad Hasegawa.

Terza notte: Tsugaru La terza storia è raccontata da Fujimura, l’unica ragazza del gruppo oltre a Hasegawa; appassionata d’arte, lavora in una galleria nel quartiere di Ginza. Kojima, un caro amico del marito, è un appassionato di treni – in particolare quelli notturni – e i tre decidono di partire insieme verso Tsugaru, nella prefettura di Aomori. Durante il viaggio si raccontano varie cose quando, poco prima di arrivare a destinazione, dal finestrino vedono una grande casa bruciare. Una volta arrivati, quella casa sembrava essersi spostata in quella città; non era la prima volta che Fujimura vedeva una scena simile: nella galleria in cui lavorava vi era una stampa dal titolo “Viaggio notturno - Tsugaru” che raffigurava esattamente quello che aveva davanti agli occhi. Come se non bastasse, Kojima affermò di aver visto una ragazza vestita di bianco ferma davanti alla finestra al secondo piano e sembrava guardare nella loro direzione. Kojima si avvicinò e bussò alla porta, mentre Fujimura e suo marito si rifugiarono in un porticato vicino per ripararsi dalla pioggia; quando si voltarono, lui era sparito. Che quella casa sia un altro ingresso al mondo della notte eterna?

Quarta notte: Tenryūkyō Tanabe è l’ultimo a raccontare la propria storia; dei cinque protagonisti, è l’unico ad aver conosciuto di persona l’autore delle stampe, Kishida Michio ed è a conoscenza dell’unica opera che potrebbe salvarli tutti, “alba”. Di ritorno da un viaggio nella città di Ise, durante la traversata in treno incontra due strani personaggi: una ragazza liceale e un vecchio signore. Quest’ultimo è una sua vecchia conoscenza; anche lui frequentava il “Kishida Salon” che altro non era che la casa dell’artista. Per poter dipingere quei paesaggi notturni, aveva deciso di cambiare la propria vita e vivere di notte piuttosto che di giorno. Così la sua casa era sempre aperta a qualsiasi ora della notte e chiunque poteva andare nello studio e scambiare due chiacchiere. Tuttavia, vi era una stanza, la “camera oscura”, dove nessuno poteva entrare senza il suo permesso; quello era il luogo dove aveva realizzato tutte le sue opere, e lo custodiva gelosamente. Non era mai andato a

76 visitare i luoghi che ritraeva nei quadri, ma entrando in quella stanza riusciva ad immaginare tutto ciò di cui aveva bisogno. Saeki - questo il nome del vecchio – nascondeva però un segreto: era stato lui a trovare per primo Kishida senza vita ma, invece di chiamare i soccorsi, prese con sé una delle stampe e fuggì. Poco dopo fu Tanabe ad arrivare all’atelier, e a scoprire il corpo; in quel momento sentì un rumore di passi provenire dalla “camera oscura”, entrò e venne avvolto dall’oscurità, da una notte infinta. Quando si risvegliò, erano arrivati i soccorsi, e non ricordava nulla. Nel momento in cui la ragazza si allontanò Saeki confessò a Tanabe di avere la sensazione di averla già vista, sembrava la ragazza del quadro. Poco dopo scese in una stazione deserta e la ragazza tornò a sedersi di fianco a Tanabe; in quel momento egli si ricordò dell’esperienza che aveva vissuta all’interno della “camera oscura ” e all’improvviso lei disse: « Ti stai chiedendo come faccio a sapere tutte quelle cose? Perché siamo sempre stati insieme...». Chi è veramente quella ragazza? Che relazione ha con Kishida?

Ultima notte: Kurama Nell’ultimo capitolo, Ōhashi ritorna ad essere il narratore. Finalmente i cinque arrivano a Kurama, ma il Matsuri si è già concluso; mentre ritornano alla stazione, Ōhashi si allontana dal gruppo e non riesce più a raggiungerli. Raggiunta la stazione decide di chiamare Nakai, ma la sua risposta lo lascia sbalordito: «Ōhashi, sei veramente tu?». Pensando si trattasse di uno scherzo, decide di telefonare anche a Fujimura, che però ha la stessa reazione. Nakai lo contatta di nuovo e decidono di incontrarsi a Kawaramachi Sanjō dove, grazie al racconto dell’amico, scoprirà che dieci anni fa non era stata Hasegawa a sparire, ma lui; inoltre, Hasegawa era viva e si era sposata. Ōhashi raccontò quello che era successo, del fatto che fino a poco prima erano tutti insieme a Kurama e il mistero che circondava la serie di stampe e Kishida Michio. Improvvisamente si ricordò della galleria d’arte lì vicino, dove aveva visto per la prima volta la stampa “Viaggio notturno - Kurama”; i due decisero di andare a controllare ma, al posto dell’opera che raffigurava una notte eterna, videro un’opera che rappresentava un’effimera alba: “Alba - Kurama”. Il mondo in cui stava vivendo, era quello dell’alba o della notte?

Dal 16 febbraio 2017, la casa editrice del libro, Shogakukan, ha donato in omaggio ai fan di Morimi cinque cartoline raffiguranti i luoghi ritratti nella storia: - Figura a: Onomichi;

77 - Figura b: Okuhida; - Figura c: Tsugaru; - Figura d: Tenryūkyō; - Figura e: Kurama.

78 Figura a. Onomichi

Figura b. Okuhida 79 Figura c. Tsugaru

Figura d. Tenryukyu

80 Figura e. Kurama

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7. Traduzione54

Tutto ebbe inizio quando io e i miei ex-compagni della scuola di inglese decidemmo di visitare il “Festival del Fuoco di Kurama” e alla fine di ottobre lasciai Tokyo per arrivare a Kyōto. Partii prima di mezzogiorno e arrivai verso le due di pomeriggio. Dalla stazione arrivai fino a Shijō Kawaramachi e, dopo aver camminato un po’ per il centro, salii sull’autobus verso la stazione di Demachiyanagi e, quando il bus attraversò il ponte sul fiume Kamo, vidi dei nibbi ballare nel tipico cielo limpido autunnale. La biglietteria dei treni Eizan stava già iniziando a riempirsi di turisti. Mi appoggiai ad una colonna e, mentre pensavo di essere arrivato in anticipo all’incontro, sentii una voce proveniente dall’altro lato della folla chiamare «Ōhashi!»; guardai in quella direzione e Nakai mi venne incontro agitando la mano. «Sei arrivato presto eh!» «Anche tu» «Non mi piace arrivare in ritardo. E poi, prima di trovarci, ho pensato di dare un’occhiata alla scuola» «C’è ancora? » «Certo! Mi è venuta un po’ di nostalgia…» La scuola di inglese era un edificio in legno che si trovava in fondo ad una stradina secondaria, alla quale si accedeva passando per la strada che va verso l’incrocio di Hyakumanben dalla stazione di Demachiyanagi. Un solo professore straniero aveva preso in carico un certo numero di studenti e insegnava per circa un’ora. C’erano molti universitari e ricercatori; io iniziai a frequentarla al secondo anno dell’università e Nakai frequentava le mie stesse lezioni serali. All’epoca era uno studente delle magistrali. «Sono arrivato qui ieri con mia moglie» disse Nakai. Ieri sera si erano fermati in un hotel a Kawaramachi; da stamattina sua moglie era in giro per templi con una sua vecchia amica di Kyōto e sarebbe poi tornata a Tokyo prima di lui. Io l’avevo già incontrata parecchie volte, dato che ero stato invitato al ricevimento nunziale ed ero andato a trovarli nella loro casa a

54 Di seguito viene presentata la traduzione del primo e dell’ultimo capitolo del romanzo, capitoli in cui la città di Kyōto è più presente. Ad oggi, Yakō non è stato tradotto in nessuna lingua europea. 82 Suidobashi55. Mentre parlavamo, aspettavamo l’arrivo di un altro nostro compagno. «Ci incontravamo spesso eh» mormorò Nakai. «Da allora sono passati dieci anni, vero?» Dieci anni…non capisco se siano tanti o pochi. Passando le giornate a Tokyo, i ricordi di Kyōto mi sembrano qualcosa di lontanissimo nel tempo; eppure, ad essere qui ora e parlare con Nakai, il tempo sembra non essere passato poi così tanto. «Ōhashi sono contento di averti chiamato. Se non l’avessi fatto, non so se sarei riuscito ad andarci una seconda volta». Nel momento in cui Nakai mormorò queste parole, dal fondo delle scale della stazione comparve Takeda. Nella nostra compagnia era il più giovane e, quando lo incontrai per la prima volta, era uno studente del primo anno. Quando Takeda ci vide si avvicinò e sorridendo disse: «Senpai56! Da quanto tempo!»

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Quando frequentavamo la scuola di lingua la nostra compagnia ruotava intorno a Nakai: poiché si faceva sempre in quattro per tutti, spesso molti lo invitavano fuori a mangiare e, se io ho potuto conoscere altri studenti della classe, è stato grazie a lui. Anche l’autunno di dieci anni fa quando insieme siamo saliti sul treno dell’Eizan e siamo andati a Kurama a vedere il Festival del Fuoco era stato lui a farci riunire. Mentre stavamo parlando con Takeda delle nostre cose arrivò anche Fujimura – sua coetanea - e in questo viaggio verso Kurama era l’unica ragazza. Quando ci vide si mise a ridere. «Non mi sembra passato così tanto tempo!» «Però in effetti è così» rispose Takeda. «Io sono cambiato molto. Come persona sono diventato grande» «Sei sicuro?» «A me invece sembra che tu ti sia ristretto» «Dunque signori» disse Nakai «Intanto, che ne dite di andare verso l’ albergo a Kibune?» Poiché Tanabe, il più grande di noi, sarebbe arrivato in ritardo a causa di un impegno lavorativo, decidemmo di passare i tornelli e di salire sull’Eizan. Il treno lasciò la città e si diresse verso Nord. Ai tempi della scuola, per me l’Eizan era qualcosa di molto romantico;

55 Quartiere di Tokyo [N.d.T.] 56 Appellativo che si utilizza nei confronti di uno studente di più grande [N.d.T.] 83 vedere la città sprofondare nel crepuscolo mentre ci si muoveva... sembrava che il treno si dirigesse verso il “Paese delle Meraviglie”. Ogni tanto, quando ci salivo, avevo la sensazione di fare un viaggio verso un luogo lontanissimo. Mentre pensavo a queste cose e guardavo fuori dal finestrino, Fujimura mi disse: «Grazie per avermi chiamata, Ōhashi» «Per fortuna avevo ancora il tuo numero» «Quando tornerai a Tokyo, vieni a visitare la mia galleria d’arte, per favore. È vicino a dove lavori, vero?» «Però sai, io non ho l’hobby di comprare quadri» «Non importa, vieni anche solo a trovarmi». Detto questo si voltò verso il finestrino e rimase in silenzio; forse stava ricordando i momenti della scuola, ma poco dopo disse: «Stavo pensando perché mi hai chiamato?» «Ma, perché…» «C’è un motivo?» «Un motivo no, ho pensato che ormai era ora…» «…ah, sì, anch’io lo penso» Fujimura annuì e guardò fuori dal finestrino. La notte di dieci anni fa noi sei amici della scuola di lingua andammo a Kurama per vedere il matsuri. Una di noi, quella notte, scomparve. All’epoca era uscito un piccolo articolo sul giornale, ma non c’era scritto granché: gli sforzi delle persone coinvolte erano stati vani e nessuno aveva dato un aiuto. Sembrava davvero che fosse sparita, risucchiata nel nulla. Al momento della scomparsa Hasegawa aveva la mia stessa età. All’improvviso pensai fra me: «Il fatto che io abbia chiamato gli altri, non è forse perché è stata lei a chiamarmi?» Non appena vidi dal finestrino che ci stavamo addentrando sempre più nella montagna, la fila di cipressi coprì di ombre le rotaie e mi ricordai di quando dieci anni fa lei scomparve. In quel momento mi venne in mente quel paesaggio che vidi nella galleria d’arte che visitai poco prima.

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Al pomeriggio, quando arrivai alla stazione di Kyōto, poiché avevo ancora tempo prima dell’incontro, andai verso Shijō e camminai per quella strada affollata; la città straripava di turisti, c’erano anche tantissimi stranieri. Evitai la folla nella via principale ed entrai in una via secondaria, dirigendomi a nord verso Takakuradori. Il cielo autunnale che si stagliava al di sopra dei palazzoni, ricordandomi il cielo che vedevo quando ero ragazzo mi fece venire un po’ di nostalgia. Mentre camminavo, venni attirato all’improvviso dalla figura di una ragazza

84 che camminava davanti a me: quella figura aveva un’aria strana, camminava con spalle e schiena diritte e sui capelli neri si rifletteva la luce del sole. Avevo la sensazione di averla già vista, un giorno, in un posto lontano; chissà perché sentivo quella nostalgia. La ragazza entrò in un negozio e vidi la sua figura di profilo per un istante: era uguale a Hasegawa. «È impossibile che sia lei» pensai e, con il cuore che mi batteva all’impazzata, aumentai il passo. Quel negozio era una piccola galleria d’arte e fuori aveva appesa una targa in rame con scritto “Galleria Yanagi”. Nella vetrina era esposta una stampa in rame con una targhetta: “opera di Kisida Michio”. Era un’immagine che rapiva in modo strano: in una notte buia al di là di un boschetto correva un luminoso treno notturno; in primo piano c’era una ragazza e sembrava che salutasse con la mano destra; era girata di spalle, quindi non le vedevo il viso. Il titolo era “ Viaggio notturno – Kurama”. Aprii la pesante porta di vetro ed entrai nella galleria: più si andava verso il fondo, più diventava scura e c’era un leggero odore di bruciato. Sul muro bianco erano appese qua e là delle stampe tutte dalle tonalità cupe, come se sul muro bianco ci fossero delle finestre che si aprivano su un mondo notturno. L’interno della galleria era silenzioso, sembrava di essere in un mondo lontano dalla città caotica al di là della porta. Tuttavia, non c’era traccia della ragazza che era entrata poco prima. Ero confuso quando da un paravento in fondo alla sala comparve l’ombra di quello che sembrava essere il gallerista. «Benvenuto» «Non è forse entrata una ragazza?» «...No» rispose con una faccia perplessa. Pensai quindi di essermi sbagliato. La tensione di tornare a Kurama dopo dieci anni mi avrà sicuramente fatto vedere qualcosa d’illusorio. Nonostante abbia chiamato gli altri per andare a Kurama e mettere fine a questo intervallo, sembra che non riesca a togliermi dalla testa che Hasegawa stia ancora vivendo da qualche parte in questo mondo. Poiché mi sentivo a disagio ad andare in queste condizioni, e poiché c’era ancora tempo prima dell’incontro, decisi di guardare ancora per un po’ le stampe. Il giovane gallerista mi spiegò, con modi gentili, la tecnica di incisione detta “mezzatinta” e alcune cose sull’incisore Kishida. L’artista aveva abbandonato gli studi all’università d’arte di Tokyo per andare in Inghilterra come apprendista di un incisore e fare esperienza e, una volta tornato, aprì un atelier a Kyōto sua città natale. Quando ero uno studente vivevo quindi nella sua stessa città, ma nella primavera di sette anni fa egli morì. Quando era ancora in vita, aveva affidato le sue opere al suo amico gallerista Yanagi. «…e così esistono quarantotto opere della serie chiamata Viaggio notturno.» In un paesaggio nero come velluto vi erano delle sfumature bianche che facevano pensare ad

85 una notte infinita. In tutte le opere c’era una ragazza senza occhi né bocca, con il viso liscio e bianco come quello di un manichino. Onomichi, Ise, Nobeyama, Nara, Aizu, Okuhida, Matsumoto, Nagasaki, Tsugaru, Tenryukyō… Guardando ogni singola opera si veniva rapiti dalla strana sensazione che la stessa notte si diffondesse ovunque. «Chissà perché la notte» mormorai e il gallerista sorridendo piegò il capo e disse: «Chissà se è il viaggio notturno di un treno o un viaggio notturno di demoni57…»

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Il posto dove decidemmo di pernottare era uno dei tanti edifici lungo il corso del fiume Kibune e dalla stazione si raggiungeva in dieci minuti in macchina salendo per una stradina di montagna. Nel soggiorno con tatami diviso in due da un fusuma58 si sentiva il suono dello scorrere del fiume e c’era un nostalgico profumo. Poiché il rumore di Kurama non poteva in alcun modo arrivare al di là delle montagne, tutto intorno vi era un profondo silenzio. Mentre aspettavamo l’arrivo di Tanabe decidemmo di fare il bagno e iniziò a cadere una pioggerellina leggera. Takeda si sporse dalla finestra e guardò il cielo. «Il Matsuri non verrà rimandato a causa della pioggia, vero?» «Non è sufficiente la pioggia a farlo sospendere» disse Nakai ridendo mentre si rotolava sul tatami. «Quelle grandi torce penso che riescano a bruciare anche con la pioggia» In quel momento si sentì il rumore di qualcuno che saliva la scala: «Scusate il ritardo» disse Tanabe entrando nella stanza; «Vi state rilassando troppo, avete voglia di andare al Matsuri sì o no?» Alla fine ci radunammo tutti e cinque e quando stavamo per metterci a mangiare lo shishinabe59 la pioggia si fece in un attimo violenta. Il rumore della pioggia che batteva sul tetto si unì al rumore del fiume e avvolse l’albergo.

57 In giapponese, i caratteri yakō 夜行 usati per il titolo della serie di stampe possono avere due significati: il primo, “viaggio notturno” e viene utilizzato insieme ai i caratteri ressha 列車 per indicare un treno notturno; il secondo si trova invece nel termine hyakki yagyō 百鬼夜行, termine che indica la parata notturna dei cento demoni, credenza del folklore secondo la quale durante le notti d’estate gli yōkai invadono le città guidati dal loro leader e, chiunque osi avvicinarsi, verrà ucciso. Lo hyakki yagyō è un tema ricorrente nelle arti visuali e artisti come e Utagawa Yoshiiku ne hanno proposto una rappresentazione. [N.d.T.] 58 Pannelli verticali che, scorrendo, cambiano la struttura delle stanze. [N.d.T.] 59 Stufato di cinghiale e verdure. [N.d.T.] 86 «Piove forte eh?» Appoggiai l’orecchio contro la finestra appannata; avevo incontrato altre volte Nakai ma gli altri era da tanto tempo che non li vedevo. Ognuno aveva il proprio lavoro, la propria vita. Mentre ci raccontavamo varie cose nessuno toccò mai l’argomento Hasegawa: era come se fossimo tutti ancora insieme. Il suono della pioggia mi ricordò ancora una volta il profilo di quella ragazza entrata nella galleria. Quella volta pensavo davvero che si trattasse di lei, ma se ora provo a rievocare quei lineamenti sono vaghi. «Ōhashi, sei silenzioso» mi disse Nakai dall’altra parte del tavolo. «Perché hai quella brutta faccia?» «Oggi pomeriggio ho avuto la sensazione di aver visto Hasegawa» dissi senza pensarci e tutti rimasero pietrificati. «Ma ovviamente devo essermi sbagliato» aggiunsi subito e, in effetti, quando la seguii all’interno della galleria lei non c’era. Per alleggerire la tensione raccontai a tutti della strana stampa esposta in galleria. «Sei andato in quella galleria? La galleria Yanagi, vero?» disse stupito Tanabe. «Sì, aveva un nome del genere.» «Ci sono andato anch’io, non ci siamo incrociati per poco» «Ma tu sei il tipo che frequenta le gallerie d’arte?» «Mah.. ogni tanto» e da allora rimase in silenzio, sembrava però che avesse ancora qualcosa da dire. Anche guardando Fujimura e Takeda, sembrava che anche loro avessero qualcosa a che fare con quell’artista di nome Kishida. Il primo a parlare fu Nakai: «Anch’io ho visto una sua opera quando sono andato a Onomichi, era appesa nella hall dell’hotel.» «Onomichi?» «Ci sarai andato, a Hiroshima» «Perché a Onomichi? Era un viaggio?» chiese Fujimura. E Nakai rispose tristemente: «bhe, sono successe tante cose…» e iniziò a raccontare. Mentre noi ascoltavamo, la pioggia continuava a cadere nella notte.

Prima notte: Onomichi

«Il motivo per cui sono andato a Onomichi risale a cinque anni fa. Era un weekend sulla fine di maggio e c’era un’atmosfera allegra come da inizio estate» Nakai iniziò così a raccontare. Come ho già raccontato, quando ci incontrammo per la prima volta alla scuola di lingua, Nakai era uno studente delle magistrali. Dopo poco tempo mi allontanai da Kyōto e, nonostante non

87 ebbi più contatti con gli altri compagni, continuai a frequentarlo: mi invitava spesso nella sua casa a Suidobashi e più volte mi fermai da loro a cenare. « Il motivo per cui sono andato apposta a Onomichi è stato per riportare indietro mia moglie dopo il suo cambiamento». Da qui inizia il racconto di Nakai.

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La storia ebbe inizio due settimane prima che io partissi per Onomichi. Quando tornai dal lavoro, tutte le luci di casa erano spente e il corridoio che dall’ingresso porta al soggiorno sembrava un tunnel completamente buio. Avevo un brutto presentimento; mia moglie aveva appena lasciato il suo vecchio lavoro ed era spesso a casa e, quando doveva uscire la sera, mi avvisava in anticipo ma nel soggiorno non trovai nessun messaggio. Provai a telefonarle ma non mi rispose – non le sarà forse successo qualcosa? -. Mentre aspettavo con ansia finalmente sentii rispondere «pronto?» a bassa voce. Nell’udire quella voce mi tranquillizzai, ma nel sentire «sono a Onomichi» trasalii. Annoiata, mi spiegò che era partita da Tokyo nel pomeriggio e ora si stava riposando in albergo. «Ho intenzione di stare qui per un po’». A queste parole rimasi sbalordito e le chiesi: «Perché a Onomichi?» ma lei non fece altro che rimanere in silenzio. Se premevo il telefono contro l’orecchio sentivo un suono simile a quello di gocce d’acqua che cadono in una tinozza. Alla fine mi arrabbiai furiosamente: in quanto suo marito, avevo anch’io delle responsabilità, ero preoccupato – uscire di casa senza neanche una spiegazione!-. Se mi avessero chiamato i suoi genitori, cosa avrei detto? Quando le dissi così lei sospirò: «dì quello che vuoi... la tua responsabilità...» e riagganciò. Rimasi per un po’ stordito ,ma c’era da immaginarselo. A dir la verità era già da metà aprile che mia moglie aveva un comportamento strano, non so spiegarlo bene; a volte non c’era nessuna comunicazione tra di noi, e sul suo viso appariva un’espressione gelida, era come se avesse la testa da un’altra parte e, anche se le parlavo, era indifferente e non rispondeva. Se non le parlavo per un po’ di tempo ritornava quella di sempre, ma se la chiedevo se avessi fatto o detto qualcosa che le aveva dato fastidio sussultava. Non capivo se non le importava o se mentiva. In ogni caso quell’espressione fredda che aveva sul viso mi dava una sensazione sgradevole, in quegli istanti mi sembrava che lì ci fosse seduta un’altra persona. Se le domandavo se stava male, lei mi rispondeva: «è tutto a

88 posto». Pensavo però che dietro quell’espressione doveva esserci una ragione. «Se c’è qualcosa che ti ha fatto arrabbiare, dimmelo»; sembrava non aspettarsi questa domanda. «Se sei a disagio, quello è un problema tuo, no?» «Perché mi stai rimproverando in questo modo?» In altre parole, io ero il suo problema e lei era il mio. Dopo aver litigato così più volte, lei si chiuse ancora di più nel suo guscio. Capivo che c’era un problema, ma non riuscivo a focalizzarlo; non facevo altro che arrabbiarmi. La situazione fu questa finché non se ne andò di casa. All’inizio mi arrabbiai: «Faccia come vuole» pensai, ma, con il passare del tempo, mi calmai e ripensai al mio comportamento: riflettendoci con calma, in quello che diceva mia moglie c’era un po’ di verità. Perché avevo perso la pazienza e l’avevo tempestata di domande in quel modo? Forse avevo sfogato la mia rabbia su di lei? Dopo due settimane le parlai al telefono e la sua voce era tornata serena. «Da quando sono arrivata riesco a dormire tutte le sere – disse - è stato un bene che sia venuta qua, per tutti e due» «Si» «Mi raccomando, riprenditi anche tu; fino ad ora è stato tutto strano, penso che ti farebbe bene andare in qualche posto lontano» «Fino a quando hai intenzione di rimanere lì?» «...non lo so. Non voglio decidere in fretta» Il posto dove alloggiava era una vecchia casa a sulla collina e stava aiutando un’amica a gestire il suo negozio di articoli vari. Dalla sua stanza al secondo piano si vedevano la città di Onomichi e le isole di Setouchi. «Dove l’hai conosciuta?» chiesi, ma lei non disse una parola e la cosa mi preoccupò; fino ad ora non avevo mai saputo che avesse delle conoscenze a Onomichi. «Se sei preoccupato perché non vieni qui a vedere la situazione?» «...sei sicura?» «Non ci sei mai stato qui vero?» «È vero» in quel momento mentii impulsivamente.

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89 Onomichi è una città della prefettura di Hiroshima che si affaccia sul Mare di Seto. Oltrepassando i tornelli della stazione e attraversata la piazza di fronte, c’è il mare che brilla alla luce del sole e sulla spiaggia dell’isola di fronte si vedono le gru del porto e le navi andare e venire. Io sono nato e cresciuto in una città lontana dal mare, quindi mi sembrava di essere arrivato in un posto lontanissimo. Dopo aver guardato a lungo il mare, attraversai il passaggio a livello della linea San’yō60 e mi diressi verso la città di Yamanote. Il negozio dove era ospite mia moglie si chiamava “Brezza marina”: il suo sito internet era da veri dilettanti e si vedeva che non veniva aggiornato da tanto tempo. Avevo il dubbio che fosse veramente in attività, ma stampai comunque la piantina e la portai con me. Quella città sulla collina era immersa nel profumo dell’estate: se guardata dal mare sembrava piccola ma, in realtà, al di là della collina ce n’era un’altra; dalle stradine si diramavano dei sentieri e, per quanto si camminasse, sembrava di non poter mai raggiungere una meta; dall’altra parte della via principale vi erano gradinate in pietra ricoperte di erba e vecchie grondaie. Avevo mentito a mia moglie ma ero già stato una volta a Onomichi nell’estate di quando frequentavo l’università. Dopo essere andato dalla mia famiglia nel Kyushu, nel ritorno, a metà strada, scesi dal treno e gironzolai senza meta per mezza giornata. A Onomichi si era appena concluso l’obon e faceva un caldo tremendo; i raggi del sole che illuminavano la collina erano talmente intensi da bruciare, anche la brezza che faceva dondolare gli alberi nell’area del tempio Senkōji era terribilmente calda. Mi sembrava di sognare ad occhi aperti, i ricordi che avevo di quel pomeriggio di agosto non mi sembravano reali e rivisitando la città mi venne uno strano sentimento di nostalgia. Non so se per colpa della piantina fatta male o del mio pessimo senso dell’orientamento, sbagliai la strada che dovevo seguire e mi allontanai di parecchio. Dopo aver camminato per circa venti minuti arrivai finalmente al sentiero riportato sulla cartina. Dal lato di un cimitero si ergeva una ripida stradina che portava alla collin: a destra c’era una fila di alberi, mentre sulla sinistra c’erano delle case. Non avevo affatto voglia di arrampicarmi fino in cima. Salendo la collina, a metà strada, incrociai uno strano uomo che stava scendendo e che, per la fretta, stava per venirmi contro fermandosi all’ultimo momento. Indossava un’uniforme che lo faceva sembrare un albergatore; aveva gli occhi sbarrati ed era bagnato fradicio come se si fosse versato addosso dell’acqua. Con voce bassa e con un profondo inchino disse: «Mi scusi».

60 Una delle principali linee ferroviarie del paese, collega la regione del Kansai alla regione del Kyūshū costeggiando il Mare Interno. [N.d.T.] 90 Aveva un odore acre e quando mi voltai indietro dopo averlo superato, continuai a seguirlo con lo sguardo; sembrava che stesse inseguendo qualcosa o, al contrario, che qualcosa lo stesse seguendo. In qualunque caso quel poverino mi fece un po’ di compassione. Rimasi per un po’ fermo a metà collina e solo dopo averlo perso di vista, ripresi a salire. Finalmente arrivai al negozio che aveva tutta l’aria di una casa abbandonata: il tetto era di tegole e a lato della porta opaca era appesa un’insegna di legno con la scritta “Brezza marina”. Non aveva l’aria di una casa abitata: ai miei piedi c’erano tegole rotte sparse ovunque e le rose davanti all’ingresso erano secche come in un deserto, la porta, aprendosi, fece un fracasso e dall’interno arrivò un odore fortissimo di sabbia. Nel corridoio buio si vedevano delle scale, ma piuttosto che una casa quella vista faceva pensare a un antro. Da qualche parte in lontananza, proveniva un suono come di gocce che cadevano in una grande tinozza. Mia moglie si trovava davvero in un posto così? «E’ permesso?» provai a dire. Sembrava di aver lanciato un sasso in un pozzo profondo. «C’è nessuno?». Tendendo l’orecchio sentii finalmente una voce squillante dire: «arrivo» provenire dalle scale buie. Una figura bianca, a piedi nudi, scese come fluttuando dalle vecchie scale di legno; non avevo mai visto mia moglie indossare quel bianco vestito estivo. «Da quanto tempo! Ho fatto una gran fatica per trovare questo posto!» dissi preso da una improvvisa timidezza. Tuttavia lei fece una faccia perplessa. «Cosa c’è?» le dissi. «Mi scusi, ma chi è lei?» disse inclinando il capo di lato.

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Provando a scambiare qualche parola all’ingresso, sembrava davvero che non fosse mia moglie. Se anche si fosse trattato di una che le assomigliava, la somiglianza era troppa; arrivai perfino a pensare che fosse una parente, ma lei sosteneva di non conoscere affatto mia moglie. In più disse che il negozio non era più in attività. «Ho chiuso circa sei mesi fa» disse. A sentire queste parole, la mia confusione aumentò. «Sono davvero così simile a sua moglie?» disse con un sorriso. Sembrava credermi. “Brezza marina” era un negozio di articoli vari fatti con le sue mani; il marito mentre lavorava nel business hotel davanti alla stazione dava una mano in negozio, ma raramente entrava qualche cliente. A quel punto mi ricordai di quell’uomo che avevo incontrato durante la salita. Ma questa era tutta un’altra storia rispetto a quanto avevo sentito da mia moglie.

91 «Sono sicura che non ci sia un altro negozio con lo stesso nome...» disse lei. Provai a telefonare a mia moglie, ma il cellulare sembrava spento. «Sua moglie è venuta in questo negozio?» «Questo non lo so bene nemmeno io» «Che storia strana!» «Le ho già rubato abbastanza tempo, mi scusi». Mentre stavo per andarmene lei disse: «Aspetti. Dato che è qui perché non dà un’occhiata alla merce, dovrei avere ancora qualcosa» - mi prese delicatamente per un braccio - «mi scusi per il disordine ma prego, entri pure». Anche il veloce modo di parlare era uguale a quello di mia moglie. Mi feci trascinare e, in un attimo, mi ritrovai in casa. Attraversammo il corridoio buio, da un lato c’era la sala da pranzo e di fronte un soggiorno di circa dieci tatami. La veranda che dava sul giardino era aperta, unico punto di luce in quella casa tetra come sommersa dall’acqua. Poiché era in alto sulla collina, al di là della fila di azalee in piena fioritura si potevano vedere sia la città che il mare. «Mi scusi, non ho nemmeno riordinato» - disse senza avere però un’aria così poi dispiaciuta - «Che caldo, le porto qualcosa da bere». Mi sedetti in salotto e bevvi il tiepido tè che portò. «E’ la prima che viene a Onomichi?» «Sì, è così» non so perché, ma mentii ancora. Tirò fuori, non so da dove, uno scatolone ed espose una serie di oggetti che sembravano quelli che si vendono nei mercatini delle pulci la domenica: un sottobicchiere a forma di fiore fatto all’uncinetto, delle borse fatte a mano ed altri semplici oggetti che avevano attaccato un cartellino sbiadito. «Sono carini» dissi. «Perché non ne prende uno per sua moglie?» disse guardandomi in viso. Anche in questo le assomigliava tantissimo: nell’aggrottare le sopracciglia mentre versa il tè e nel fissarmi in viso con quello sguardo. Sembrava che fossi a Onomichi insieme a mia moglie e che ci fossimo introdotti in una vecchia casa; non è possibile che in due settimane di distacco mi fossi dimenticato il suo viso ma forse non era davvero lei o forse faceva solo finta di essere un’altra persona e mi stava mettendo alla prova? Tuttavia, senza dire niente, lasciai che mi studiasse e comprai un piccolo fermaglio. «Mi scusi ma non ho abbastanza resto» «Non si preoccupi» dissi agitando a mano. «Mi scusi davvero» disse con una moina e rimanemmo a parlare con un bel po’. «Sembra una casa con una storia» dissi e lei si guardò intorno.

92 «Me l’hanno affittata a poco prezzo». Disse che in questa casa ci abitava un’anziana coppia; dopo che il marito morì, la moglie andò a vivere insieme alla figlia sposata a Mukōjima e decise di darla in affitto. Poiché era una signora ancora attiva, ogni tanto veniva a vedere le condizioni della casa e tutte le volte che chiacchieravamo bevendo il tè, il discorso andava sempre su sua nipote. Quando viveva qui sua nipote veniva spesso a trovarla da Mukōjima dove frequentava il liceo; per lei erano ricordi davvero preziosi. «Era sempre la stessa storia, sembrava che il tempo si fosse fermato» «Quando si diventa vecchi è così» «Sembrava addirittura che anche il mio tempo si sarebbe fermato» e all’improvviso si girò verso la veranda e tese l’orecchio. «Ah, si sente» «Che cosa?» «Sta passando il treno» in effetti, si sentiva in lontananza lo sferragliare del treno. «Di notte spegnendo le luci del secondo piano e aprendo la finestra vedo la luce del treno che corre lungo la costa, è molto romantico. Ogni tanto passa qualche buio treno merci... quelli, invece, sono un po’ spettrali» «Visto da qui il paesaggio notturno deve essere sicuramente bello». A queste parole lei sussurrò come se mi stesse rivelando un segreto: «Io, in realtà, vivo rinchiusa qui al secondo piano» «Perché?» «Se esco quando voglio, mio marito si arrabbia. Se anche solo scendo al primo piano, si infastidisce: è anche per questo motivo che ho chiuso il negozio... quando sento che sta per tornare dal lavoro vado a nascondermi al secondo piano» All’inizio pensai che fosse uno scherzo, ma lei aveva un’espressione seria, era un discorso strano. Rimasi in silenzio a disagio e sentii uno strano rumore provenire da non so dove: era un rumore d’acqua che bolle. «Non sente uno strano rumore?» «Un rumore strano?». D’improvviso da seduta si mise in ginocchio e fissò le azalee in giardino con un’espressione in volto che la faceva sembrare una maschera. Vedendola, ebbi una brutta sensazione; quell’espressione fredda era la stessa che aveva mia moglie ad aprile e che mi infastidiva.

93 «Mi scusi un attimo». Si alzò e uscì, così com’era, dal soggiorno. Poco dopo sentii un cigolio provenire dalle scale: era un rumore pesante come se stesse camminando un mostro. Tesi l’orecchio e, all’improvviso, il rumore cessò lasciando tutto nel silenzio. Cercai di passare il tempo guardando il giardino ma, per quanto aspettassi, lei non tornava. Dopo circa un’ora mi stancai di aspettare e riportai il vassoio con i bicchieri in cucina: c’era un tavolo per quattro con sopra una tovaglia sporca e anche il lampadario era ricoperto di uno spesso strato di polvere. C’era anche una credenza stipata di stoviglie e, a lato, un vecchio telefono fisso nero. Avrei voluto lavare le tazze ma mi accorsi che il lavello era pieno di ruggine e polvere e dal rubinetto non usciva neanche una goccia d’acqua. «Non è possibile che in questo posto viva qualcuno» dissi rabbrividendo. In silenzio attraversai il corridoio e provai ad uscire; a destra si vedeva la scala, provai a chiamarla ma non rispose; era come se stessi parlando nel vuoto – cosa starà facendo al secondo piano e poi, esisterà veramente? È dall’inizio che ho la sensazione di essere da solo in questo silenzio -. Il quel momento l’odore marcio di quella casa, mi sembrò all’improvviso ancora più vivido. !

Scappai fuori e discesi la collina; dopo un po’ mi voltai indietro e vidi il tetto di tegole blu della casa: una parte era crollata e mi accorsi solo allora di quella forma concava che ricordava un formicaio. Ricominciai a camminare e non mi voltai più; l’orologio segnava ora le quattro e mezza. Finita la discesa, arrivai al parco del tempio Senkōji, al cui interno sbocciavano le azalee e il vento faceva tremare le verdi foglie degli alberi. Vicino al parco vi era il museo d’arte municipale e vari ristoranti; in quella zona il numero dei turisti aumentò e mi sembrò finalmente di essere ritornato nel mondo reale. Entrai in un locale e ordinai un caffè; provai di nuovo a chiamare mia moglie ma il telefono sembrava ancora spento. Non ci capivo veramente niente: perché aveva spento il telefono proprio nel week end in cui ero lì? Non aveva voglia di parlarmi? Però era stata lei a invitarmi qui. Dove sarà lei ora?... in ogni caso, finché il telefono non prende, c’è poco da fare. «A proposito, anche quell’estate ero in questa situazione». Mi ricordai di cinque anni fa; anche quell’estate ero in questo stesso locale a bere un caffè mentre aspettavo una persona che non riuscivo a contattare: quella persona era Hasegawa. Prima dell’estate, dopo che erano finiti i corsi alla scuola di lingua, stavo chiacchierando con lei quando mi disse che veniva da Mukōjima e che i suoi nonni avevano una casa a Onomichi.

94 Dal porto di Mukōjima, Onomichi sembrava un posto misterioso, la città vecchia sembrava un labirinto e quel racconto mi affascinò; quando dal Kyūshū stavo tornando a Kyōto decisi di scendere dal treno a metà strada e, nel telefonarle, venni a sapere che sarebbe rimasta anche lei a casa fino alla fine dell’obon. «Se sei libera andiamo a bere un tè?» le chiesi e lei, senza tanto farsi pregare, rispose: «Certo!» Quella mattina la chiamai e decidemmo di incontrarci al locale nel parco del tempio Senkōji; tuttavia, quando arrivai, per quanto tempo aspettassi, lei non si fece vedere e anche se provavo a telefonarle, non rispondeva. Dopo mi spiegò che era uscita di casa dimenticandosi il cellulare e che, mentre dava una mano ai suoi nonni, non si accorse che il tempo passava; non era per niente un errore da lei. Tuttavia, quando arrivò con trenta minuti di ritardo mi fece un po’ pena: aveva camminato in fretta sotto il sole cocente ed era sudata come se avesse lavorato nei campi; asciugandosi con un’aria abbattuta non sembrava per niente la ragazza decisa che veniva a scuola la sera con me. «Mi dispiace davvero tanto» disse lei scusandosi in continuazione; non so perché ma anche in quelle condizioni, al solo vederla, ero felice. «No, figurati, tanto non ho niente da fare» «Ma perché sei così scemo?» «Quando si torna nella propria città si va un po’ in confusione, sono cose che capitano» «Però mi dispiace; sono terribilmente mortificata» e scoppiò a ridere come una bambina. Passammo molto tempo a chiacchierare nel locale e dopo passeggiammo all’interno dell’area del tempio da cui si poteva vedere dall’alto tutta la città e l’andirivieni della funicolare piena di turisti. Tutt’intorno si sentiva il frinire delle cicale; Hasegawa si sedette sulla panchina vicino allo shorō61. «Che malinconia» disse con un velo di leziosità. «La tua famiglia è di Mukōjima, vero?» le chiesi e lei con un dito indicò l’isola. «È da quella parte, ci si arriva in traghetto» «Che posto è?» «Un posto come tutti gli altri». Dopo aver guardato a lungo il mare seduti sulla panchina, scendemmo con calma la lunga collina del Tempio. Hasegawa mi accompagnò fino ai tornelli della stazione: «Ci vediamo a settembre», disse. La sua figura mi rimase in mente per tutto il viaggio fino a Kyōto.

61 Campanile tipico dell’architettura giapponese. [N.d.T.] 95 Tutto ciò successe due mesi prima che lei scomparse. La sua scomparsa mi distrusse, ma quello che ancora di più non sopportavo era il fatto che proprio non riuscivo a capire cosa fosse successa quella notte a Kurama. Era talmente doloroso che cercai in tutti i modi di dimenticare ogni cosa su di lei, su quella sera e persino su Onomichi. Da allora erano passati cinque anni e il ritrovarmi di nuovo qui e ricordarla, aveva risvegliato in me dei brutti pensieri: per prima cosa, in un certo senso lei e mia moglie si assomigliavano; e poi, se il vuoto che cinque anni fa aveva inghiottito Hasegawa fosse ancora lì e avesse inghiottito anche mia moglie, io... Mi scrollai dalla testa quelle idiozie: «Che assurdità...». Pagai e uscii dal ristorante; attraversai il grande portale d’entrata del tempio e mi diressi ai piedi della collina. Un tempo, avevo camminato per la stessa strada con Hasegawa. Lungo il corrimano sventolava stendardi rossi e blu con scritto “namu senjū Kanzeon Bosatsu62”; in fondo, si vedeva la città: negli spazi tra i tetti delle case e dei templi spuntavano alberi carichi di fresche foglie verdi e nel mare, splendente di luce dorata, si intravedeva un’isola lontana. Sembrava di sognare ad occhi aperti.

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Salii sulla funicolare, scesi dalla collina e attraversai la via commerciale dirigendomi verso l’hotel che avevo prenotato. Decisi che non mi sarei arreso finché non sarei riuscito a contattare mia moglie. L’hotel si trovava in una zona centrale lungo la linea ferroviaria San’yo ed era circondato da vari negozi e ristoranti. Sul retro di quel cupo hotel passavano proprio le rotaie e lo sferragliare dei treni merci riecheggiava a lungo. L’atrio era deserto, alla reception non c’era nemmeno l’ombra di una persona. Davanti ad essa c’era un carrellino stipato di kamaboko63, frutta essiccata e altri prodotti locali; fra quelli c’erano anche degli oggetti fatti a mano con attaccato un cartellino sbiadito con scritto “Brezza Marina”. Per quanto chiamassi nessuno si presentò, così mi arresi e mi sedetti sul divano nell’atrio. Da parte al divano c’erano dei vasi con delle piante le cui foglie erano scure e grandi come mani e che, al contrario, non facevano altro che aumentare l’aria tetra dell’atrio. In più, appesi al muro c’erano tantissimi

62 Preghiera rivolta alla divinità buddhista Kanzeon Bosatsu; nella sua rappresentazione dalle “mille braccia” rappresenta la divinità della misericordia. [N.d.T.] 63 Alimento tipico della cucina giapponese ottenuto da una particolare lavorazione di pesce azzuro e surimi. [N.d.T.] 96 quadri di paesaggi anch’essi dai colori cupi e, fra i tanti, uno sembrava aprire uno spazio nero sul muro bianco. Mi alzai dal divano e mi avvicinai, sembrava una stampa; sotto vi era un cartellino che riportava il titolo e l’autore “ Viaggio notturno - Onomichi - Kishida Michio”. In un paesaggio nero come velluto c’erano soltanto alcune sfumature bianche e, a fianco di una serie di case, vi era una stradina in pendenza; a metà salita sotto la luce di un lampione vi era una ragazza senza volto che, voltata verso l’osservatore, sembrava salutare con la mano destra. A guardare quell’immagine si aveva l’impressione di esserne risucchiati; non capii il perché, ma provai allo stesso tempo orrore e nostalgia. «Ha attirato la sua attenzione?» disse l’albergatore alle mie spalle. Indossava una divisa rossa che sembrava un vecchio tappeto, mi fissò in viso con occhi spalancati e aveva il volto completamente sudato. Non me ne accorsi subito, ma era senza dubbio l’uomo che avevo incrociato poco prima nella parte alta della città. «E’ un’opera che affascina, da quando l’hanno appesa qui all’ingresso anch’io ne sono sempre attirato» - disse come rispondendomi- «Mi scusi per l’attesa, prego, da questa parte». Mentre compilavo il check in ogni tanto mi guardava in volto: «Viene spesso a Onomichi?» «No, è la prima volta» mentii. «Mi scusi, ho l’impressione di averla già incontrata da qualche parte...» disse chinando il capo. «Non ci siamo forse incontrati sulla collina? Dall’alto ti ho seguito con lo sguardo.» «Ah certo, ora ricordo.» «Gli oggetti che sono lì sono quelli del negozio nella parte alta, vero?» dissi indicando il carrello di fronte alla reception. «Sì, è come dice lei. Era il negozio che per hobby gestiva mia moglie». Quindi la ragazza che avevo incontrato in quella casa esisteva veramente. Mi vergognai per essere scappato come se avessi visto un fantasma, tuttavia quella casa non aveva per niente l’aria di essere abitata. «Prima sono andato in quel negozio» «Davvero?» «Sono stato scortese con tua moglie, me ne sono andato senza nemmeno salutarla...» «Mia moglie?» disse con una espressione perplessa. «Sì, tua moglie, quella che era in casa.» «...in quella casa non c’è nessuno.»

97 «No, tua moglie mi ha mostrato gli oggetti fatti da lei» «In quella casa non c’è nessuno» mi fissò con gli occhi sbarrati scandendo le parole; mi sentii a disagio per quello sguardo che sembrava una buia caverna. Sul suo viso traslucido per il sudore sembrava scorrere dell’acqua. «Mia moglie se n’è andata, in quella casa ci vivo solo io» «...allora devo essermi sbagliato» «Sì, deve essere sicuramente così» disse studiandomi.

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Mi chiusi nella mia stretta stanza d’albergo; la carta da parati era sbiadita e anche i mobili erano piuttosto vecchi. Dopo essermi lavato via la stanchezza con una doccia, mi coricai sul letto, mi sembrava di aver scalato una montagna; d’altronde avevo camminato tutto il giorno per la città. Presi il fermaglio dalla borsa e lo guardai: era in un piccolo sacchetto trasparente con un’etichetta dalla scritta “Brezza Marina”; era una prova inconfutabile di tutto ciò che era successo in quella casa, dato che l’avevo comprato da quella ragazza. In ogni caso, da quando sono arrivato qui succedono solo cose inspiegabili: quella ragazza uguale identica a mia moglie, quell’uomo che sostiene che in quella casa non ci sia nessuno... e, cosa più importante non capisco dove si trovi ora mia moglie dato che non riesco a contattarla. Mentre mi rotolavo nel letto e guardavo il soffitto scrostato, provai a ricordarmi la figura di mia moglie quando eravamo ancora a Tokyo, ma non ci riuscii, o meglio, mi veniva in mente soltanto la figura della ragazza incontrata poco prima in quella casa. Pensai «Quella era sicuramente mia moglie». Due settimane fa mi aveva detto che viveva in quella casa; se così fosse, perché quell’uomo avrebbe dovuto mentirmi dicendo che in quella casa non c’era nessuno? Perché era così agitato? Mi starà forse nascondendo qualcosa? O forse, sarà mia moglie a nascondermi qualcosa? Era lecito pensare così, ma mi irritava. Mi alzai dal letto e, spostando le voluminose tende e vedendo le rotaie sul retro, pensai al viaggio sul treno notturno che avevo fatto con mia moglie. Era inizio aprile e quel treno per Tokyo era passato anche per di qua... tornavamo dal Kyushu dove avevamo trascorso un periodo sereno per lo houji64 e mia moglie era gioiosa come sempre; era sta proprio lei a dirmi «Vorrei tanto assaporare l’atmosfera di un viaggio...»

64 Funzione buddhista commemorativa per il sesto anniversario della morte di un parente. [N.d.T.] 98 e a voler salire apposta su un treno notturno. Quella sera spegnemmo la luce della cuccetta e guardammo fuori dal finestrino fino a notte fonda: il contorno nero delle montagne e l’atmosfera triste della luci delle città e di stazioni sconosciute che scivolavano via, rischiaravano di una luce pallida il volto di mia moglie . Se tendevo l’orecchio al rumore delle ruote del treno che superavano le traversine sembrava davvero di correre sul fondo della notte. Guardando la città fuori dal finestrino mia moglie disse: «Sembra che l’alba non arrivi mai». Ripensandoci ora, suonava come una sinistra profezia.

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Una settimana dopo essere tornati dal Kyushu, una notte successe una cosa. Tornai a casa molto tardi e mia moglie era già andata a letto. Cercando di fare meno rumore possibile feci una doccia e poi mi coricai di fianco a lei. Mentre stavo per addormentarmi avvertii una sensazione soffocante, come se avessi il viso immerso in una tinozza piena d’acqua. Mi alzai in preda al panico e ripresi a respirare sotto la luce della lampadina. Guardai mia moglie che dormiva con un’espressione che la faceva sembrare una bambola e dalle sue labbra proveniva un suono strano, sembrava che stesse parlando ma schioccava la lingua producendo un suono simile a gocce d’acqua che cadono e che, forse, mi provocarono quell’incubo. In sogno stava forse parlando con qualcuno? La sua voce si alzava sempre di più finché non urlò e la situazione precipitò. «Cos’ hai?» le dissi prendendola per le spalle. In quel momento si tirò su urlando e cercò di attaccarmi. Il suo viso sembrava quello di un’altra persona. Finalmente tornò in sé; ci fissammo negli occhi per qualche secondo finché lei prese il mio viso tra le mani: «Ho fatto un sogno spaventoso». Era seduta in una stanza di circa sei tatami illuminata da una piccola lampadina; all’interno non c’era altro che una cassettiera e una tinozza, sembrava di essere in una prigione. «Dovevo assolutamente uscire da quella stanza...» Per quanto si sforzasse, non riusciva a muoversi, come se fosse incollata al suolo, ma riuscì a guardare attraverso lo spiraglio del fusuma socchiuso; riuscì a vedere delle scale buie che sembravano portare al piano inferiore, doveva quindi trovarsi al secondo piano di una casa. Per uscire, avrebbe dovuto per forza scenderle, ma era terrorizzata al solo guardarle e non riusciva ad alzarsi. In quel momento sentì qualcuno salire le scale a carponi: un gradino alla volta, un suono talmente lento da essere a dir poco inquietante. Trascinò il proprio corpo

99 pesante fino alla cassettiera, ma sapeva che sarebbe stato inutile nascondersi lì; poco dopo quel rumore inquietante sparì di colpo e il silenzio opprimente della notte avvolse qualsiasi cosa. «Non venne nessuno...» Si tranquillizzò e sospirò; tuttavia un attimo dopo, si accorse che qualcuno la stava osservando dal fondo buio delle scale: dalle scale faceva capolino solo dal collo in su, ed era rivolto verso il viso di mia moglie, lucido come se fosse immerso nell’acqua; lei gridò spaventata, ma quella figura continuò a guardarla sempre con la stessa espressione, scuotendo leggermente la testa. «Quel suo viso... era identico a te». Rimase poi in silenzio. Da allora ebbe spesso degli incubi, le sue urla mi svegliavano nel cuore della notte un’infinità di volte. Ma non mi raccontò mai più cosa aveva sognato; le dissi che forse quegli incubi erano il motivo per cui non era più la stessa, ma lei pensava l’esatto contrario: ero io a causarle quegli incubi, poiché la tormentavo parlando di cose di cui non capivo niente.

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Mi addormentai senza accorgermene e quando mi risvegliai fuori dalla finestra era buio e non riuscii a capire dove ero. Accesi la luce e guardai l’orologio: erano le diciannove passate. In quel momento squillò il cellulare; pensai fosse mia moglie, ma era un numero sconosciuto. Risposi ma dall’altra parte non parlò nessuno. «Chi è» chiesi stizzito, ma non volevo riattaccare, avevo la sensazione che dall’altra parte ci fosse lei; non so perché ma mi venne in mente la sua figura seduta in quella stanza buia, forse sarà stato a causa del sogno che mi raccontò. Finalmente dall’altra parte si sentì una voce flebile e spaventata: «Sono io. Ci siamo incontrati oggi pomeriggio... si ricorda?» «La ragazza del negozio?» «Sì, sono io». Dal tono della voce non sembrava stesse fingendo. «Venga a salvarmi» «... cosa stai dicendo? Chi devo salvare?» «Ho paura di mio marito» gridò spaventata. «Sono ancora rinchiusa al secondo piano» «Sì, ma...» «Vieni a salvarmi» «Ma perché hai chiamato proprio me?» «Perché sento che non sei un estraneo»

100 «Se ti senti così in pericolo dovresti chiamare la polizia. Mi dispiace ma io non saprei proprio cosa fare» «Hai intenzione di scappare?» «Non è questo il punto» «...voglio che sia tu a salvarmi, tu». Nel mentre sentii bussare alla porta. «Aspetta un attimo, è arrivato qualcuno.» «È sicuramente mio marito» «Ma dai!». Mi avvicinai alla porta e guardai dallo spioncino e, di fronte alla porta, lo vidi. Era talmente vicino alla porta che la sua testa sembrava deformata come quella di un mostro. I capelli sottili erano intrisi di sudore e sembrava che stesse per scoppiare a piangere da un momento all’altro. Cosa voleva? Appoggiai la mano sinistra alla porta e continuai a guardare dallo spioncino trattenendo il fiato. «Pronto, ci sei?» disse la ragazza. Starà telefonando da quella casa, forse da quel telefono nero che era in soggiorno. Trasalii; come faceva a conoscere il mio numero? Doveva essere mia moglie, ormai ero sicuro che stesse complottando qualcosa ostinandosi a sembrare qualcun altro. Finsi di essere calmo: «Che cosa vuoi dire?» «Di fronte alla stazione c’è la via commerciale, giusto? Lì c’è un ristorante di che si chiama Kitsune, aspettami lì, arrivo» «Capito, arrivo.» Riattaccai, e lui se ne era andato. Mi preparai e uscii dalla stanza facendo attenzione, ma non lo incontrai né in ascensore né nel corridoio; l’atrio era tranquillo e poco illuminato, soltanto la luce della reception era accesa. Squillò il telefono ma quell’uomo non si presentò; quello squillare risuonava come un brutto presagio; passando di lì mi cadde l’occhio sulla stampa appesa al muro; mi accorsi che c’era un nuovo elemento che al pomeriggio non avevo notato: c’era disegnata una casa su una salita, uguale a quella di oggi, come se fosse stata disegnata con l’inchiostro simpatico. Alla finestra al secondo piano si vedeva un’ombra, ma, anche avvicinandomi non riuscivo a vederla bene, sembrava essere stata cancellata apposta con dei graffi.

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Oltre la fila di negozi c’era un vecchio e nostalgico porticato; la maggior parte dei negozi aveva già le serrande abbassate e incrociai poche persone. Arrivai al ristorante ed entrai, presi posto

101 e ordinai del sashimi e una birra. L’orologio segnava le venti, ma mia moglie ancora non si vedeva, così l’aspettai mentre bevevo. Ero arrabbiato ma allo stesso tempo mi ero tranquillizzato: ero arrabbiato perché fino ad ora si era presa gioco di me trascinandomi in questa specie di nebbia, ma ora riuscivo a capirci qualcosa. Non sapevo in che circostanze si fossero incontrati quei due, ma ora almeno sapevo dove si trovava. Poco dopo sentii la porta del ristorante aprirsi e il cameriere dire «buonasera»; mi voltai e, lì in piedi c’era l’albergatore che, senza indugio, venne verso di me. «Mi scusi per l’attesa» «Non stavo mica aspettando te» «Lo so benissimo». Ci guardammo per un po’, e avevo la sensazione di guardarmi allo specchio. D’un tratto prese il mio bicchiere e iniziò a bere: «Stai lavorando, non dovresti bere» «Per così poco...». Perché era venuto qui, sarà stata forse lei a chiederglielo? Però sembrava che avesse paura e, a guardarlo bene, quello di cui sembrava aver paura non ero io. Ogni tanto si voltava e scrutava le persone che passavano per di lì, come se stesse controllando che nessuno lo seguisse; continuava a bere e sembrava che non avesse nessuna intenzione di aprire bocca, quindi parlai io per primo. «Che rapporto hai con tua moglie?». Lui sorpreso rispose: «Mia moglie?» «Sì, tua moglie. Cioè la mia» «Io non so proprio nulla di tua moglie» disse sospirando. «Quindi pensi di avere la coscienza pulita?» «Potrebbe abbassare la voce per favore?» nonostante ci fossero delle persone all’interno del ristorante, c’era uno strano silenzio e la nostra conversazione poteva sicuramente essere udita. Il cameriere portò un altro bicchiere e un’altra birra e li posò davanti a lui che sussurrò: «Non sta forse fraintendendo qualcosa?». Quel tono consolatorio mi diede sui nervi. «Allora dimmi, perché sei venuto qui?» «Ero preoccupato per lei» «Prima eri davanti alla mia stanza, vero?» «Quindi ha fatto finta di non esserci eh?» disse ridacchiando; ora mi stavo davvero arrabbiando, parlava di cose senza senso e pensava pure di prendermi in giro. «Perché non arrivi al dunque»

102 «Va bene» «Tu hai detto che in quella casa non c’è nessuno» «È così. Non dovrebbe esserci nessuno» «Se davvero fosse così, chi è quella ragazza che si nasconde al secondo piano? Non cercare di fregarmi» «Bhè, vedi... quello... è il motivo per cui sono venuto qui» «Allora sbrigati» «Prima vorrei chiederle: è sicuro di averla vista?» «Sì, ne sono certo» «Che scemenza» ridacchiò, ma il suo viso impallidì.

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«Ci siamo trasferiti in quella casa tre anni fa», disse. Lui lavorava nell’hotel della stazione e la moglie aveva aperto un piccolo negozio di articoli vari utilizzando parte della casa e per un po’ vissero sereni. Tuttavia, circa un anno fa, il comportamento di lei iniziò a preoccuparlo: si occupava svogliatamente del negozio e quando lui non c’era, sembrava uscire di nascosto. «Pensai che era strano» disse. «Avevi dei dubbi su qualcosa?» «No, volevo solo capire, in fin dei conti sono suo marito». Forse era stato uno sbaglio trasferirsi in quella casa: tutto era sempre ricoperto di polvere, c’era un continuo rumore di acqua che gocciola e c’era un odore pungente; per quanto le dicesse che non era normale lei continuava a non volerne discutere. «Quello non normale sei tu» e ogni volta che affrontavano il discorso, i litigi aumentavano; arrabbiata si rifugiava al secondo piano e, per quanto la chiamasse, non rispondeva. Quando finiva di lavorare e rincasava, tutto era sempre buio; saliva la scala e lei era nel soggiorno con le persiane sbarrate e per quanto fosse rinchiusa almeno potevo stare tranquillo. Un giorno le disse: «Stasera sono di turno, tornerò tardi. Ma, a notte fonda, entrai di soppiatto in casa: dovevo accertarsi di una cosa. Entrai dalla veranda e sentii un rumore di passi provenire dal piano superiore, ma non sembrava la sua camminata». Salì pian piano le scale e sentì sua moglie parlare con qualcuno, ma quando si affacciò dal vano delle scale sia la voce che i passi

103 si fermarono bruscamente. Lei era raggomitolata a fianco della cassettiera e lo fissava illuminata da una luce soffusa. «Chi c’era? Ho sentito la voce.» «È impossibile che ci sia qualcuno.» disse con un ghigno «Qui è vuoto». All’improvviso balzò fuori e spingendolo via si precipitò giù dalle scale. In preda al panico la inseguì, ma arrivato all’ingresso lei era già uscita lasciando la porta aperta. Uscirono entrambi a piedi scalzi e la vide per un istante scendere la collina; in quella notturna città addormentata sembrava correre come il vento. La perse di vista varie volte e finalmente la raggiunse nell’area del tempio; lei continuò a correre e si avvicinò alle rotaie. «In quel momento passò il treno notturno». Quando disse così mi vennero i brividi. «Si fermò davanti alle rotaie e si girò verso di me, non l’avevo mai vista con quell’espressione fredda, quello non era un volto umano. E poi si lanciò sulle rotaie»

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«Quindi si è suicidata?» «Bhe...» «Cosa vuoi dire?» «Il treno non si è fermato ma dopo il suo passaggio non c’era nulla. L’avevo vista soltanto io, chi poteva credermi. Da quando se ne è andata, quella casa è ancora più vuota, per questo, quando lei mi ha detto di averle parlato sono rimasto scioccato. Non era possibile» e rimase in silenzio. In quel momento mi sentii terribilmente a disagio, stava davvero raccontando la verità? «Quindi hai deciso di vivere lì da solo?» «Si può vivere in una casa del genere?» «Però oggi stavi andando là, vero?» «Sì, perché penso che potrebbe tornare» «... hai provato a guardare in quella stanza?». Lui scosse il capo spaventato «Quel posto è vuoto, le finestre sono serrate ed è completamente buio, il solo pensarci mi da delle brutte sensazioni, mi sembra di sentire il suo ghigno. Chi avrebbe il coraggio di salire quelle scale?»

104 Cosa diavolo stava mai succedendo, perché quell’uomo mi stava raccontando tutte queste cose? Senza che neanche me ne accorgessi, i clienti diminuirono e divenne tutto stranamente tranquillo, sembrava quasi di essere chiusi in quella stanza. «Perché stai raccontando queste cose proprio a me?» «Se non le interessasse non sarebbe qui ad ascoltarmi. Che caldo tremendo!» In effetti c’era un caldo insopportabile. Asciugando la fronte con un fazzoletto di stoffa sgualcito, mi disse: «E lei, sa forse dirmi dove si trova?». In quel momento quell’uomo dall’aria sgradevole mi irritò ancora di più. Era lui la causa di tutto questo, diceva soltanto cose senza senso. «Dovresti sapere tu dove si trova, io che ne so. Non sarà in quella casa?» «È impossibile, ti ho detto che là non c’è nessuno.» «Quindi» «Quindi...?» «Non hai ancora capito che lei è morta? Non è forse così?» Senza dirmi niente non fece altro che guardarmi in viso e ansimare; impallidì e pensai che stesse per sentirsi male. Poco dopo si alzò e barcollando uscì.

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«L’alba sembra non arrivare mai» disse mia moglie quando eravamo sul treno notturno. Mentre diceva questo il treno arrivò alla stazione di Onomichi; la banchina era deserta ed era illuminata fiocamente. «Sei mai stato qui?» «No» dissi. Superando la stazione, lungo la linea ferroviaria si vedeva una lunga fila di vecchie case, la gradinata in pietra che portava a tempio, e la salita tra due file di case; quando passammo davanti a quella salita la sua vista lasciava un che di misterioso. Quando finalmente il treno oltrepassò l’area del tempio, vidi una ragazza in piedi davanti al passaggio a livello: il treno passò in un attimo ed ebbi l’impressione che quella ragazza agitasse la mano guardandomi. Nel vederla mi ricordò Hasegawa e di quando passai il pomeriggio insieme a lei. Dopo aver visitato il tempio ritornammo verso la stazione e mentre camminavamo parlammo di Kyōto e ci raccontammo qualche pettegolezzo sui nostri compagni di scuola; lei aveva intenzione di ritornare a Kyōto il prima possibile e di mettersi a studiare.

105 «Ah sì, a settembre hai gli esami!» «Finché sto qui non faccio altro che perdere tempo» «Non è da te» «Davvero?» «Mi sembri una persona scrupolosa» «Non mi fai star meglio dicendomi così, non lo sono per niente, è che nascondo solamente le mie debolezze. «Perché?» «Sono sempre stata così» «Hai sempre nascosto le tue debolezze?» «Sì, anche oggi sono arrivata in ritardo, mi vergogno ma cerco di non darlo a vedere» «Guarda che puoi anche mostrarmi i tuoi punti deboli» dissi cercando di farla sembrare una battuta. «Se ci sono cose che ti turbano, puoi parlarmene» «Ci sarebbe una cosa...» disse fermandosi. Fissava il paesaggio, dall’altro lato c’era l’isola da dove veniva, ma sembrava non guardare quello. Ero confuso, quando lei abbozzò un sorriso. «Ma a te interessa solo ciò che si può risolvere» e riprese a camminare. Non aveva intenzione di dirlo in malo modo, sembrava piuttosto una frase tanto per parlare, ma avevo come l’impressione che mi avesse letto nel pensiero. «Hai ragione» e insieme continuammo a camminare. Forse temevo che qualcuno mi accusasse di aver avuto io stesso qualche sospetto? Le sue parole mi sembravano dire: «tu sei la tipica persona che scappa dai problemi, per una cosa così importante non ci si può fidare di te».

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Tornai in me, e mia moglie stava ancora guardando fuori dal finestrino in silenzio. Le parlai, ma non mi rispose, aveva un’espressione fredda come il ghiaccio. La scrollai per le spalle: «Che c’è?» «Che hai tu! Eri persa nel vuoto e non rispondevi» «Persa nel vuoto?»

106 «Completamente» le dissi, ma lei non fece altro che voltarsi di nuovo e guardare fuori, così mi arresi. Ripensai ancora alla ragazza che avevo visto vicino alle rotaie, chi poteva essere? La vidi solo per un istante, ma mi ricordava Hasegawa. Ma non era possibile, lei era sparita cinque anni fa, e da allora nessuno aveva più avuto sue notizie. «Non hai visto nulla di strano?» disse all’improvviso mia moglie. «Strano?» «Una ragazza, era vicino alle rotaie. Non l’hai vista?» «...no, non ci ho fatto caso» dissi scuotendo il capo. «...non so, mi sembrava di vedere me stessa»

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Pagai in fretta e uscii dal ristorante ma, in quella strada ormai deserta, non c’era già più traccia di quell’uomo. «Vieni a salvarmi». Queste parole continuavano a tormentarmi; non mi importava più chi fosse quell’uomo o cosa avesse voluto dire, per me ora l’unica cosa importante era andare a salvare mia moglie, dovevo portarla via da quella stanza al secondo piano e da Onomichi, non l’avrei più lasciata da sola. Avrei dovuto capire tutto molto prima. «...sei la tipica persona che scappa dai problemi». No, non era vero. Corsi più velocemente che potevo e attraversai l’area del tempio; la città alta dormiva, non era più la stessa città affollata di qualche ora fa, sentivo solamente il rumore dei miei passi. Più proseguivo, più la strada si faceva buia e le case che sorpassavo sempre più diroccate. Poco dopo mi voltai, e quel paesaggio notturno si stagliava fino al mare; in quel momento di accorsi di quanto quella notte fosse profonda, di come l’alba sembrasse non arrivare mai. Proseguii fino a quando un’ombra scivolò fuori dall’oscurità e mi sbarrò la strada: era quell’uomo. «Dove hai intenzione di andare?» «In quella casa!» «Rinuncia. Là non c’è nessuno» «Vado a riprenderla!». A queste parole, mi si scagliò contro con tutto il corpo e mi ritrovai a terra in un istante; si mise a cavalcioni su di me e cercò di strangolarmi. In quel momento non provai paura, ma una grande rabbia mai provata fin ora. Allungai il braccio e afferrai una tegola che si trovava lì vicino e lo colpii alla tempia con tutta la forza che avevo; si

107 buttò di lato e lo colpii ancora, finché non sentii più il suono del suo respiro. Buttai via quella tegola; avevo le mani completamente insanguinate.

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La luce dei lampioni e delle case sulla sinistra si spensero improvvisamente e tutto venne avvolto dall’oscurità; solamente un lampione al centro della salita rimase acceso. Guardai verso l’alto della salita e, dal profondo della notte, vidi la figura di una ragazza vestita di bianco; si fermò sotto la luce del lampione e sorrise salutandomi con la mano destra. Finalmente, era lei. «Sei venuto a prendermi? Forza, torniamo insieme» disse, venendomi incontro. «Sei stata in quella casa per tutto questo tempo?» «Si, per tutto il tempo. Era tutto buio, sembrava una camera oscura» «Non dovrai più preoccuparti, ho sistemato quell’essere» «Gli sta bene!» disse sorridendo. All’improvviso alzò il volto: «Hai sentito?» «Che succede?» «Guarda verso quella casa, sta arrivando il treno notturno! Cos’hai, non riesci a camminare?». Rimasi fermo e guardai il treno; non ero scappato, ero riuscito a salvarla e ora potevo riportarla a casa con me. «Solo un po’ di nostalgia...» «Forza, manca poco» «Si...torniamo a casa» Tesi il braccio e lei mi strinse forte quella mano sporca di sangue. In quel momento, tutto venne avvolto da una notte dolce e tranquilla; strinsi la mano di mia moglie ancora più forte, non l’avrei più lasciata.

Ultima notte: Kurama

La pioggia che stava cadendo a Kibune rallentò. «È ora di andare» mormorò Nakai; mentre riordinavamo avevamo tutti un’espressione perplessa, non era poi così strano [dato quello che ci eravamo raccontati].

108 Continuavamo a ripetere: «Siamo venuti qui per vedere il matsuri», ma nessuno dava l’impressione di voler veramente uscire dall’albergo. Takeda e Tanabe aprirono il giornale locale con scritto il programma della giornata e Fujimura si coricò nello zashiki65accanto. Di questo passo ci perderemo lo spettacolo, pensai, ma anch’io non avevo tanta voglia di muovermi; avevamo tutti gli stessi pensieri. Nakai prese da bere e me ne offri un po’. «Eri innamorato di Hasegawa?» «... non lo eravamo tutti?» «... sì, è vero...» disse sorridendo.

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Finalmente ci alzammo e la pioggia smise di cadere. Il personale dell’albergo ci accompagnò in macchina fino alla stazione di Kibune dove salimmo sull’Eizan; c’erano pochi turisti, ma con il pavimento sporco e bagnato a causa della pioggia, all’interno vi era odore di aria stagnante. Mentre noi eravamo in albergo a mangiare, chissà quanti turisti aveva trasportato... Quando arrivammo alla stazione di Kurama, la celebrazione era già finita. «Troppo tardi» disse Takeda. Si era già formata una lunga fila sulla strada di ritorno alla stazione e, quel posto di solito tranquillo e silenzioso, era ora un formicaio. Provammo a uscire almeno dal portale principale e vedemmo alcuni poliziotti che indirizzavano i turisti. L’asfalto era bagnato a causa della pioggia e nero per la caligine lasciata dalle grandi torce e si sentiva lo scalpiccio dei passi. Scendendo la scalinata di pietra del tempio, vedemmo la folla; nessuno di noi diceva niente, ma sapevamo che, mentre in albergo ascoltavamo il rumore della pioggia, aspettavamo la fine del matsuri. All’improvviso Nakai disse: «Perché non arriviamo alla stazione passando da un’altra parte? Facciamo due passi» «Se si rimette a piovere?» disse Fujimura guardando il cielo; non si vedeva nemmeno una stella. «Ma il treno sarà troppo affollato» Tanabe annuì alle parole di Takeda.

65 Stanza con tatami. [N.d.T.] 109 «Non ho voglia di farmi schiacciare come un oshizushi66, io passo» «Allora non ci resta che camminare» e continuammo a camminare in fila dietro a Nakai; passammo per la stradina piena di negozi e case davanti al portale principale, dove alcuni bambini giocavano ancora con il falò rimasto dalla cerimonia e potemmo percepire un pochino l’atmosfera della festa. Dopo aver camminato per cinque minuti le case si fecero più rade e non si sentiva più la confusione. Dal bosco alla nostra sinistra potevamo sentire espandersi il freddo della notte; il traffico era stato bloccato e le strade asfaltate erano deserte. «Che desolazione...» sussurrò Fujimura. Se camminando per questa strada notturna si arrivasse nel mondo in cui vive Hasegawa, pensai. Era scomparsa nella notte di dieci anni fa e, da allora non c’era più traccia di lei. Avevo la sensazione che quel vuoto che l’aveva risucchiata, si fosse, ora, riaperto da qualche parte qui a Kurama. Nakai iniziò a camminare vicino a me: «Domani, che ne dici di andare a vedere tutti insieme le stampe di Kishida?» «Va bene» «Certo che è una strana coincidenza» ripensai a ciò che ci eravamo raccontati in albergo: Nakai, che aveva visto una delle stampe in un business hotel a Onomichi, e poi Okuhida, Tsugaru, Tenryukyu. Potevano essere comunissimi racconti di viaggio, se non fosse che tutti ruotavano attorno alle stampe “ Viaggio notturno”. Nel caso di Nakai, era riuscito a riportare indietro sua moglie e anche Takeda,Fujimura e Tanabe erano riusciti a tornare indietro sani e salvi; tuttavia vi era anche la possibilità che non tornassero affatto: c’era sempre la possibilità che durante il viaggio venissero risucchiati in quel vuoto, proprio come Hasegawa quella notte... L’ Eizan passò lungo il fiume e noi ci fermammo a guardarlo incantanti: sembrava correre nel fondo della notte. Il suo sferragliare si unì allo scorrere del fiume e riecheggiò lontano. Quel paesaggio, come un sogno, mi fece pensare alla stampa di Kishida.

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Nella galleria d’arte, il proprietario Yanagi mi raccontò una strana storia:

66 Sushi pressato tipico della zona di Osaka; il riso e il pesce vengono pressati utilizzando una scatola di legno. [N.d.T.] 110 «Kishida ha lasciato un’opera misteriosa». Iniziò a lavorare alla serie “Viaggio notturno” dieci anni fa, esattamente lo stesso anno in cui scomparve Hasegawa; per circa due anni e mezzo, fino al giorno della sua morte, realizzò quarantotto opere; prima di morire aveva accennato di quella stampa al suo amico Yanagi. Opposto alla serie “ Viaggio notturno”, il suo titolo era “Alba”; se il primo raffigurava una notte eterna, il secondo un’alba fuggevole. «Le persone che frequentavano il Salone avrebbero fatto qualsiasi cosa per vederla.» «Il Salone?» «All’epoca c’erano tante persone che si incontravano nel cuore della notte a casa sua e, per questo motivo la chiamarono “Kishida’ Salon”. Anch’io ero uno di loro» «Quindi, c’è qualcuno che l’abbia vista?» «Nessuno» disse sorridendo. Il treno sparì, tutto tornò silenzioso e riprendemmo a camminare. “Alba” mi impensieriva; la serie notturna aveva avuto un enorme successo, quindi anche per “Alba” ci saranno state grandi aspettative, tuttavia nessuno l’aveva mai vista. Forse Kishida aveva mentito e si era preso gioco di tutti, oppure l’aveva nascosta in un atelier segreto. Mi avvicinai a Tanabe e gli raccontai i miei dubbi. «Penso che sia solo un suo scherzo» disse con un’ aria vaga e un po’ irritata. «L’ha fatto per ingannare tutti?» «Era un personaggio particolare, quello là» e mi raccontò qualche aneddoto del Salone con un misto di affetto e di timore. «In quella casa c’era una camera oscura e lì si rifugiava aspettando l’ispirazione per i quadri notturni. Era un tipo strano. «Ma, una camera oscura per sviluppare le fotografie?» «Sì, anch’io ci sono entrato una volta insieme a lui. Ebbi una sensazione stranissima, mi trovavo in una stanza piccola, ma avevo l’impressione che si allargasse e non capivo più dove mi trovavo» Sentimmo la risata fragorosa degli altri provenire dalle nostre spalle. Tanabe si voltò verso di loro e in tono scherzoso disse: «Che casinisti!», ma il suo volto era serio. «Ogni tanto mi sembra ancora di essere lì dentro» «Posso capirti». Poco dopo arrivammo in un punto in cui le rotaie divergevano e tutto intorno riecheggiava il rumore del fiume: sulla sinistra la strada portava verso Kyōto, girando a destra vi era la stazione di Kibune. Tanabe ed io girammo a destra dirigendoci verso la stazione ma, poco dopo, egli disse in tono preoccupato: «Guarda che gli altri non ci sono». Dieci anni fa...

111 Nella confusione del Matsuri, ci perdemmo di vista: le scintille delle grandi torce si diffondevano nel cielo, gli uomini seminudi che con il loro passaggio agitavano la folla, il fumo denso che si alzava. Dopo il loro passaggio, l’oscurità della notte si fece ancora più profonda; perché in quell’istante persi Hasegawa di vista? Eppure ero sicuro di tenerla per mano... «Ancora oggi ho la sensazione di essere in quella camera oscura» riuscivo a capire quella sensazione. «Chiama l’albergo, chiedi se possono venirci a prendere.» ma quando mi girai anche lui era sparito, non c’era nessuno si sentiva solo lo scorrere del fiume; per quanto aspettassi loro non arrivarono. !

Provai ad andare in stazione; dall’altra parte dei tornelli c’era un gruppetto di ragazzi che chiacchieravano, sembravamo noi dieci anni fa. Mi guardarono in modo sospetto e poco dopo salirono su un taxi; ora che anche loro se ne erano andati, quel luogo sembrava una in rovina. «Dove saranno finiti?» mi sedetti sulla panchina e provai a telefonare a Nakai: lo squillo sembrava provenire da un altro mondo. «Sì, prontoo?» rispose, ma quel tono noncurante mi sbalordì, sembrava quasi ubriaco. Dall’altra parte si sentivano in sottofondo una musica leggera e un chiacchierio, sembrava trovarsi al bancone di un bar, non era possibile che quei suoni provenissero dal profondo della montagna; ero confuso, fino a poco fa era qui insieme a me. «Nakai dove sei?» «Chi parla?» «Ma cosa dici, sono Ōhashi!» «... Ōhashi?» «È da un bel po’ che vi sto aspettando qui in stazione!» Come dissi queste parole Nakai ammutolì. Quel silenzio coprì qualsiasi altro rumore. Rimasi in attesa fino a quando una voce angosciata disse: «Sei davvero tu?» «Ma che domande fai, certo che sono io» «... non mi faccia perdere tempo» e riattaccò. Rimasi sbalordito e provai a chiamare Tanabe che però non rispose; tentai allora con Fujimura: feci squillare il telefono a lungo e, quando stavo per riattaccare, sentii la sua voce: «Pronto?» «Fujimura?»

112 «Sì. Chi è?» «Dove sei?» «Le ho chiesto chi parla «Smettila, ormai sono stufo. Sono Ōhashi» in quel momento la sentii trattenere il respiro. «... sei davvero tu?» «Ma che dici? Eravamo insieme qui a Kurama.» dissi, ma lei non rispose. Finalmente riprese a parlare con voce spaventata: «Cosa vuoi dire, quella è una storia dei tempi della scuola. Dove sei ora? Mi senti?» «Sì, ti sento. A Kurama, sono a Kurama.» «... non mi stai prendendo in giro, sei davvero tu?» irritato riattaccai. Rimasi con il telefono in mano e fissai il pavimento. Pensai che se anche avessi telefonato a Takeda, mi avrebbe risposto la stessa cosa. Per sicurezza telefonai all’albergo dicendo che ero uno degli ospiti e avevo prenotato per quella sera, ma mi dissero che non c’era nessuna prenotazione a quel nome. Era come se quel viaggio verso Kurama, fosse stato cancellato del tutto. Mi alzai e decisi di andarmene da lì. Dalla città sentii il rumore dell’Eizan, ma quando arrivò era vuoto; ripartì verso la montagna e vidi la sua luce allontanarsi fra gli alberi.

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Dalla stazione di Kibune ritornai a Demachiyanagi. Il treno che mi aveva portato lì era stracarico e faceva un caldo asfissiante, mi sentivo intontito. In ogni caso pensai che, se fossi arrivato in un luogo affollato e ben illuminato, avrei potuto recuperare il senso del reale. Avrei passato la notte in un albergo - o alla peggio, in una bettola più o meno decente – e domani ci saremmo fatti tutti una bella risata. Vista la situazione, non mi rimaneva che affidarmi a questa vana speranza. Fuori dalla stazione mi incamminai verso il fiume Kamo; nel punto in cui il fiume si unisce al fiume Takano c’è un banco di sabbia che affiora dall’acqua, chiamato delta; andai a sedermi lì, e rimasi a guardare il parapetto illuminato del ponte che lo attraversava. Nonostante non ci fossero molte persone nei paraggi, mi sentivo comunque più sollevato di quando ero a Kurama; poco dopo mi accorsi di alcuni ragazzi che attraversavano il fiume saltando sul sentiero di pietre. Una volta, feci la stessa cosa con Hasegawa; all’epoca uscivo spesso con Nakai a mangiare dopo la fine delle lezioni e, quella sera, ci aveva invitato a cena in un locale nei dintorni di 113 Kiyamachi in cui lavorava un suo amico. Di solito ci fermavamo in qualche posto vicino a Demachiyanagi o a Hyakumanben, ma quella volta decidemmo di cambiare e rimanemmo lì fino a tarda notte; mentre gli altri continuavano a bere, accompagnai Hasegawa a casa passeggiando lungo il fiume. «Che ne dici di camminare? Finché l’alcol ce lo permette...» disse lei ridendo. Attraversammo il ponte Shijō e ci dirigemmo verso la parte nord della città, lasciandoci alle spalle la folla e la confusione. Ci scambiammo battute scontate, pettegolezzi sui compagni di scuola, impressioni su libri e film e non la sentii mai così vicina a me come in quel momento. All’inizio del corso, non mi andava molto a genio; siamo entrambi molto timidi e, alla fine delle lezioni, tornavamo subito a casa senza neanche scambiare una parola con gli altri compagni di classe. Ero più abituato a sentirla parlare in inglese che in giapponese; tuttavia quella sera, ogni tensione sparì. All’improvviso, iniziò a raccontarmi la storia di un’astronauta. Vi è una famosa frase pronunciata dal sovietico Gagarin: “La Terra è azzurra”. Oggi, le fotografie della Terra viste dallo spazio non sono una cosa rara, quindi conosciamo bene quell’azzurro; tuttavia, un aspetto di quella frase che ancora ci sconvolge, riguarda l’oscurità dell’universo che si stende sullo sfondo del nostro pianeta: quanto sono scure quelle tenebre, fin dove arriva quel vuoto...concetti che non possiamo capire se non li vediamo con i nostri occhi. Pensare a quell’oscurità, che non può essere racchiusa in una fotografia, mi provocò allo stesso tempo paura e fascino; «L’universo è una continua notte» disse Hasegawa. Guardai la sua figura attraversare il sentiero di pietre e quella notte mi resi conto di quanto fossi affascinato da lei. Era settembre, il mese successivo ci sarebbe stato il Festival del Fuoco. «Andiamo tutti insieme?» chissà chi era stato a dire queste parole... probabilmente, ero stato io... Quando ritornai in me, la coppia che stava attraversando il fiume se ne era già andata; mentre guardavo distrattamente le luci della città al di là del fiume, squillò il cellulare: era Nakai. «Pronto, Ōhashi?» «Si, sono io» «... dove sei ora?» «Vicino a Demachiyanagi». Per un istante sperai che mi dicesse cosa diavolo ci facevo lì, che mi stavano tutti aspettando in albergo a Kibune, ma non fu così.

114 «Bene, puoi venire fino a Kawaramachi Sanjō?». Mi diede l’indirizzo dell’hotel in cui stava alloggiando, dicendomi di aspettarlo nel bar al piano terra. «Mi raccomando, vieni. Ti aspetto»

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Dalla stazione di Demachiyanagi presi un treno della linea metropolitana Keihan e scesi a Kawaramachi Sanjō. «Mi raccomando, vieni. Ti aspetto». La voce di Nakai aveva sempre avuto il potere di persuadere le persone; tuttavia, da quando Hasegawa sparì, cambiò atteggiamento: distrutto come se avesse perso una sorella, non tornò mai la persona sicura e affidabile di una volta. L’hotel in cui alloggiava si affacciava sulla via principale di Kawaramachi Sanjō e, entrando, si veniva accecati dal pomposo lampadario di cristallo. Avevo ancora la mente annebbiata, mi sembrava di essere arrivato lì dalla montagna come scaraventato da un tengu; quando vidi Nakai seduto al bancone del bar, tirai un sospiro di sollievo. «Nakai! Scusa per l’attesa». Nel sentire la mia voce, rimase a bocca aperta. «Ōhashi, sei davvero tu!» «Che domande...» «Quando ho sentito la tua voce al telefono, non potevo crederci! Mi sembrava di stare parlando con un fantasma» «Ma se fino a qualche ora fa eravamo tutti insieme a Kurama!» «...quella, è la storia di dieci anni fa». Rimasi paralizzato, aveva detto le stesse parole di Fujimura. «Dai, siediti. Bevi qualcosa?» Nakai era arrivato a Kyōto la sera prima insieme a sua moglie, che ora stava riposando in stanza. «Quindi, mi stai dicendo che non sei andato al matsuri?» «No, non ci sono più andato da quell’incidente... dove sei stato per questi dieci anni?» «Dieci anni? Puoi spiegarmi cosa sta succedendo per favore?» «In realtà sei tu quello che deve delle spiegazioni» «Non ci capisco più niente...» Nakai sospirò, poi inizio a raccontarmi tutto. Dopo essere arrivati al tempio e aver visto la processione delle fiaccole ci separammo a causa della confusione; una volta passata la marea

115 di turisti, mi cercarono nei dintorni, ma non mi trovarono. Decisero così di aspettarmi prima in stazione e poi all’albergo, ma ero come svanito nel nulla. Senza poter fare altro, chiamarono la polizia che, il giorno seguente, denunciò la mia scomparsa; i miei genitori vennero convocati a Kyōto e sul giornale locale venne pubblicato un trafiletto sull’accaduto, ma nessuno diede una mano nelle ricerche. Non avevo nessuna motivazione per scomparire, non avevo lasciato nessuna traccia. «Per tutti questi dieci anni, sei stato dato per disperso»

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Appoggiai i gomiti sul bancone e mi presi la testa fra le mani. «Questa storia è completamente diversa...» «Diversa?» «Dovrebbe essere stata Hasegawa a scomparire». Nakai mi guardò perplesso. «Lei è tornata con noi, è stata in pensiero per te tutto il tempo» «Dov’è ora?» «È da tanto che non la sento... ma sono sicuro che sarà felicissima di sapere che sei tornato!» disse, come rivolgendosi a un bambino; ero veramente io a essere ritornato? «Per tutti questi anni ho sentito come un vuoto dentro di me... Perché sei sparito? Cosa ti è successo?» Quello che era successo, era forse stato un sogno? A partire dalla scomparsa di Hasegawa, ai giorni trascorsi a Kyōto, la mia vita e il mio lavoro a Tokyo, fino al viaggio insieme a Kurama, era stato tutto solo un’illusione? No, non era possibile. Avevo chiaramente in testa l’immagine del viso di Nakai che mi raccontava la sua disavventura a Onomichi. «Per caso, tua moglie se n’è andata di casa?» «Ehi aspetta, che vuoi dire?» «Sei andato a Onomichi per riportarla a casa?» «... come fai a saperlo?» «Questa sera, ci siamo riuniti tutti e cinque in un albergo a Kibune per andare a vedere il matsuri, e tu mi hai raccontato questa storia» «Ma non è possibile, io sono rimasto qui tutto il tempo» «E allora come faccio a saperlo?» e gli raccontai tutto fin nei minimi dettagli. Questa volta era stato lui ad appoggiare i gomiti sul bancone e a prendersi la testa fra le mani.

116 «Come puoi sapere fin queste cose...». Ai tempi della scuola avevo visto spesso quell’espressione sul suo volto, un’espressione seria, di chi sta studiando mille possibilità. «Sta succedendo qualcosa di troppo strano» «Prima di tutto, perché mi hai chiamato?» chiese. «Quando stavamo tornando, voi siete spariti. Non so spiegarmi perché...». In quel momento, mi resi conto di una cosa: quando arrivò il treno mentre stavo aspettando gli altri alla fermata di Kibune, non feci troppo caso al mio riflesso sui finestrini, ma quel treno, la notte, lo sfondo scuro della foresta e la mia figura rispecchiavano esattamente quella stampa. «Nakai, hai mai sentito parlare di un certo Kishida Michio?»

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Gli raccontai dell’artista, della sua vita capovolta fra il giorno e la notte, della serie di stampe, del Salone; «Ho intenzione di andare ancora una volta in quella galleria d’arte» «Ma siamo nel cuore della notte» «Sarà sicuramente rimasto qualcuno. Al limite, penso che riusciremo a vedere almeno le opere esposte in vetrina» «...allora vengo con te» disse, dopo aver riflettuto un po’. «Sei sicuro di voler lasciare qui tua moglie?» «Tanto starà dormendo, ed è peggio lasciare andare te da solo. Non si sa mai che tu scompaia di nuovo» Usciti dall’hotel, ci dirigemmo verso la famosa arcata di Sanjō; mi sembrava di tornare indietro nel tempo, quando rientravo a casa da scuola. «Non ti sembra di tornare indietro nel tempo?» disse anche Nakai con aria felice. La galleria era nello stesso posto; sulla porta di vetro era appesa l’insegna “CLOSED”, ma alcune luci all’interno erano ancora accese. Il proprietario doveva essere ancora lì. Esposta in vetrina c’era sì l’opera di Kishida, ma era diversa da quella che avevo visto nel pomeriggio: nero e bianco si alternavano, e tutta l’opera aveva un aspetto luminoso. Al di là della fila di alberi colpiti dai raggi del sole passava un treno e, in primo piano, una ragazza girata di spalle salutava con la mano destra. Di fianco ad essa era stata messa una targhetta con scritto: “Alba - Kurama”. «Non è la stessa stampa di cui mi hai parlato vero?» disse Nakai guardandola.

117 «No, non è la stessa» Spinsi la porta ed entrammo. La galleria era illuminata di una luce soffusa e dal fondo proveniva un leggero profumo; tutte le stampe che erano appese qua e là sulle pareti avevano dei colori brillanti, sembravano tante finestre aperte su un mondo in cui l’alba era appena sorta. Anche l’atmosfera della galleria era cambiata; il proprietario, il signor Yanagi, ci venne incontro da dietro un paravento in legno. «Scusatemi, ma ormai la galleria è...» «Mi scusi – dissi interrompendolo – oggi pomeriggio sono passato di qui, si ricorda di me?» Lui mi guardò confuso; sembrava non ricordare, nonostante avessimo passato tutto quel tempo a chiacchierare. Ma, cosa che mi preoccupava più di tutto, ero il fatto che ogni singola opera era cambiata. «Da oggi pomeriggio, avete cambiato le opere?» dissi indicando le stampe sulle pareti. «...no, non le abbiamo cambiate» «È strano... vede, quando sono passato nel pomeriggio, avevate esposto una stampa dal titolo “Viaggio notturno”. Mi ha anche spiegato varie cose sull’autore, Kishida» «Non abbiamo mai esposto una stampa con quel titolo» «Sono sicuro di averla vista, proprio qui!» «Se anche mi dice così...» disse Yanagi abbozzando un sorriso.

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«Ci scusi per averla disturbata a quest’ora» disse Nakai mettendomi la mano sulla spalla. «Andiamo Ōhashi, sei confuso. Riposati un po’. Possiamo anche pensarci domani, giusto?». Ma non avevo nessuna intenzione di arrendermi. Mentre Nakai provava a trascinarmi fuori, mi voltai verso il muro bianco e indicando le stampe dissi: «Queste stampe fanno parte di una serie dal titolo “Alba” vero? Scommetto che in tutto ce ne sono quarantotto» «Si, è così. Sono tutte stampe di Kishida Michio» Da quelle opere si poteva percepire il calore dei raggi del sole, alternati a sfumature bianche e nere. In tutte, c’era una ragazza sola, senza occhi né bocca, dal viso bianco e liscio come quello di un manichino. Onomichi, Ise, Nobeyama, Nara, Aizu, Okuhida, Matsumoto, Nagasaki, Tsugaru,

118 Tenryukyō… Raffiguravano tutti una fuggevole alba. Erano l’opposto della “notte”, le opere che Kishida teneva nascoste. ... Il “Viaggio notturno” e l’“Alba”... In quel momento, capii: erano rispettivamente il fronte e il retro della stesse opera. Guardandole dal mondo in cui mi trovavo prima, essere erano la “notte”, mentre in questo mondo erano l’”alba”. Sono sicuramente finito qui durante la strada di ritorno dal matsuri, nel momento in cui persi di vista gli altri; in questo mondo non esistevano le stampe notturne, quindi era normale che non fossero esposte. Tuttavia, chi poteva mai credere a questa storia? «Se Kishida fosse qui, saprebbe spiegarmi tutto...» mormorai. «Non hai detto che è morto tempo fa?» rispose Nakai. «Non è vero – disse Yanagi – ho parlato con lui tutto il giorno» Io e Nakai ci guardammo stupiti; Kishida era vivo. «Riesce a contattarlo, per favore?» «A quest’ora...». Avrà sicuramente pensato che stavamo tramando qualcosa di losco. Gli dissi che bastava una semplice telefonata, che era una questione urgente e lo pregai di credermi, finché cedette. «Mi scusi se la disturbo a quest’ora della notte, sono Yanagi». Sembrava aver risposto al telefono la moglie dell’artista. Yanagi le spiegò la situazione e riuscii a sentire soltanto alcuni spezzoni della conversazione. Quando nominò me e Nakai, la persona dall’altra parte sembrò avere una strana reazione. «Cosa dico loro?» dopo queste parole non sentii più niente. Quel silenzio era insopportabile. Poco dopo, Yanagi sbucò da dietro al paravento. «La signora vorrebbe parlarle». Avvicinai il cellulare all’orecchio e la voce che sentii sembrava tremare. «...Ōhashi, sei tu?». Era una voce che avevo già sentito. «Sono io, Hasegawa. Ti ricordi?»

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A notte fonda il taxi superò Karasumadori e si diresse verso la parte nord della città. «Che storia strana...» mormorò Nakai guardando fuori dal finestrino. Percepivo la sua agitazione, d’altra parte, come potevo biasimarlo. Anch’io mi sentivo perso in un mondo che non era il mio. Il mondo dell’”alba” e della “notte” iniziavano ad offuscarsi. «Erano dieci anni che non sentivo la voce di Hasegawa»

119 «Com’è stato?» «È stata una sensazione strana... non mi sembrava passato così tanto tempo» «Tu eri innamorato di lei vero?» disse Nakai continuando a guardare fuori. «... non lo eravamo un po’ tutti?» «... si, è così» Le luci del centro si allontanavano sempre di più; il taxi costeggiò il giardino del palazzo imperiale, oltrepassò l’università Doshisha e girò dentro Imadegawadori. Era ormai l’una di notte e le strade erano deserte. «Dovrebbe essere da queste parti» disse il tassista guardando il navigatore. Scendemmo dal taxi all’estremità del ponte Izumoji; La casa – e atelier – di Kishida si trovava in fondo all’argine, verso ovest. Tra le varie case addormentate, quella era l’unica con le luci accese. Aveva un che di nostalgico, come un rifugio per un viaggiatore che vaga in una terra desolata. Nakai suonò il campanello; si sentì un rumore di passi avvicinarsi e un uomo aprì la porta. «Mi scusi per l’ora tarda, io sono Nakai e lui è Ōhashi. Il signor Kishida è in casa?» «Sono io. Vi stavo aspettando» disse in tono sereno e ci invitò ad entrare. «Sono arrivati! Scendi!» disse Kishida dal fondo delle scale e qualcuno accese la luce. Una figura bianca scese le vecchie scale di legno e, quando arrivò a metà scala, potei vedere il suo volto. Di fronte a me c’era Hasegawa. Lei si fermò e mi guardò sbalordita. «Ciao Hasegawa, da quanto tempo!» disse Nakai timidamente. «Nakai, che sorpresa!» «Mi scuso per l’ora, guarda, ho portato anche Ōhashi» «Da quanto tempo» le dissi. «... sei tu?» disse con aria ancora incredula. Non sembravano trascorsi dieci anni. Non era cambiata per niente e sembrava che pensasse la stessa cosa di me. «Forza, accomodatevi» disse Kishida. Dalla stanza vicino proveniva un odore di aceto e lui accese di proposito la luce per farcene vedere l’interno. «Questo è il mio atelier» e ci spiegò di averla appena ristrutturata in stile occidentale. A prima vista sembrava una piccola officina; larga circa dieci tatami, era illuminata da una luce fredda, con vari mobili posizionati in modo disordinato. Sulla libreria a muro vi erano

120 rotoli di carta e svariati oggetti, oltre che vecchi lavori, libri e colori. In mezzo c’era uno strano macchinario e fili per stendere i panni che la attraversavano in tutte le direzioni con appese alcune stampe. «Prego, da questa parte» disse invitandoci verso il soggiorno.

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Era un soggiorno confortevole e c’era un piacevole profumo di caffè. «Sembra diventata una festa, non è male ricevere ospiti anche a quest’ora» disse Kishida divertito in cucina. «Domani è un giorno festivo, quindi potete stare qui fino a tardi» disse Hasegawa canticchiando. Mi sedetti sul divano rivolto verso il giardino e, guardando Kishida aiutarla nel preparare il caffè, ebbi una strana sensazione. Poco dopo si sedette anche Nakai sorseggiando il suo caffè. «Non ho la sensazione di incontrarlo ora per la prima volta» gli dissi. «È vero, chissà perché» disse Kishida sorridendo. «Mi scusi, ma ci sono delle cose che mi sembrano vaghe, confuse» «Anche a me capita, a volte» «Non è così semplice. Mi sembra di esserci già riuniti così, in passato» «Nostalgia?» «Questo è il “Kishida’ Salon”, vero?». A queste mie parole, egli scoppiò a ridere. «Questa è bella, dovrei scriverla su un’insegna» Bevendo il caffè insieme a loro, questo mondo mi sembrò ora più familiare. «Hasegawa, che fai ora?» Anche per lei erano passati dieci anni: si era laureata e aveva lavorato per un po’ come supplente alle scuole superiori finché venne assunta regolarmente e ora insegnava giapponese. «E cinque anni fa ho sposato quest’uomo» «Continui a insegnare?» le chiesi. «Certo» Accolsi quanto diceva di quei 10 anni come se fosse tutto naturale. Aveva vissuto davvero. Proprio come io avevo vissuto quei dieci anni.

121 «E tu Ōhashi, cosa hai fatto in questi dieci anni?» Iniziai così a raccontarle tutto: di quando lei svanì nel nulla, della mia vita a Kyōto e del mio lavoro nella capitale, fino a quando partii per incontrarmi con i nostri vecchi compagni e iniziarono ad accadere cose strane. L’unico particolare che omisi, fu la morte di Kishida. Ogni tanto lei e Nakai mi fecero delle domande, mentre Kishida rimase in silenzio fino alla fine, poi disse in tono commosso: «Che storia interessante. Quindi Ōhashi, pensi che ci sia un segreto dietro le mie opere? È per questo che sei qui?» «Penso che siano davvero delle immagini stregate» «Ma io non so usare la magia o cose simili. Certo è, che ho pensato sul serio di realizzare una serie dal titolo “Viaggio notturno”... – e, dopo aver riflettuto un po’, disse – hai detto che nel luogo in cui hai vissuto, mia moglie era sparita, giusto? Io vivevo da solo in questa casa?» «... si, è così» «Che tristezza, non riesco nemmeno ad immaginarlo!» Non riuscivo ancora a capire come e perché avessi attraversato quella notte della stampa notturna e fossi finito in questo mondo. Lui le aveva solamente create, quelle stampe. Ma quale per prima? L’alba? La notte? Diceva di essersi limitato a produrle ma, in qualsiasi caso, quale sarà stata la prima ad essere creata? La serie dell’”Alba” o la serie della “Notte”? Quando glielo chiesi, lui disse: «Aspetti un attimo» e si alzò. Poco dopo tornò dall’atelier portando con sé una stampa. «Questa è la prima opera della serie “Alba”, “Onomichi”.» Vi era raffigurata una strada in salita illuminata dalla luce del mattino; dalla finestra al secondo piano di una casa costruita su un’altura, una ragazza si sporgeva e agitava la mano, aveva un aspetto fresco e giovane. «La prima volta che incontrai mia moglie fu qui, a Onomichi. Ormai, si parla di tredici anni fa» e ci raccontò di quel viaggio.

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Mia madre era morta verso la fine dell’anno e caddi in una profonda depressione. Per più di un mese non riuscii a fare niente finché, agli inizi di febbraio, iniziai a sistemare la casa che i miei genitori mi avevano lasciato e finalmente mi ripresi.

122 In quel periodo, un mio conoscente, che insegnava all’accademia di belle arti di Onomichi, mi invitò a casa sua, preoccupato per la mia salute ed era venuto a sapere da un senpai che ero tornato dall’Inghilterra in quel periodo. «All’interno del parco del tempio Senkoji si trova il museo d’arte municipale e lì si terrà la cerimonia di diploma degli allievi» mi disse al cellulare e così partii per Onomichi. Da quando ero tornato mi ero occupato di mia madre ed ero stato indaffarato con il lavoro part time, quindi non avevo più avuto occasione di uscire da Kyōto e non lo incontravo da parecchi anni. Mi venne a prendere alla stazione; avevamo tantissime cose di cui parlare e così chiacchierammo a lungo. Nel pomeriggio visitammo il museo e il tempio e alla sera cenammo in un ristorante vicino al mare. «Quando ero piccolo venivo spesso qui con mio nonno» disse, guardando nostalgico il paesaggio. «Di cosa hai parlato con quella ragazza?» mi chiese improvvisamente, ma non capii subito a cosa si riferiva. Alla mostra, oltre agli studenti, eravamo presenti solo noi e qualche professore; girammo per le opere dei suoi studenti con fare austero quando, arrivati alla sezioni di dipinti in stile orientale, vidi una liceale di fronte ad un grande dipinto. Vi era raffigurata una grande finestra, oltre la quale vi era uno spazio carico di stelle, come nell’universo. La ragazza aveva una lunga sciarpa rossa avvolta attorno al collo e dal suo zaino pendeva un pupazzetto di Snoopy. Non avevamo intenzione di disturbarla, così ci recammo nella sala accanto passandole alle spalle. Poco dopo sentimmo gridare: «Aaa!»; ci voltammo e una studentessa si stava arrampicando sulla sedia dov’era seduta. «Cos’è successo?» disse il senpai e lei indicò atterrita il pavimento, dove un gattino dalla pelliccia grigia sedeva acciambellato vicino alla ragazza di prima; sembrava che gli piacesse la sua compagnia. «Sensei, che faccio?» «Basta allontanarlo. Dai, svelta» La ragazza guardò in basso e finalmente si accorse della presenza del gatto; anche lui fissava quel grande quadro. «È un tuo amico?» le chiesi, e lei sorrise. «No, è la prima volta che lo vedo»

123 «Allora posso farlo uscire» e così dicendo, il senpai e la studentessa lo inseguirono per il corridoio cercando di mandarlo fuori dal museo; nella sala rimanemmo solo io e quella ragazza. Mi sentivo in imbarazzo, quando lei mi chiese: «... è un professore?» «No, non lo sono. Il signore di prima lo è, io sono un suo amico» «Ah...» «E tu? Sei amica di qualche studente?» «In realtà stavo solo gironzolando... Stavo andando da mia nonna, quando ho visto che c’era una mostra» e tornò a fissare il quadro. «Ti piace?» «Non è che non mi piace...» Disse che qualche giorno fa aveva letto l’intervista fatta ad un astronauta; vi è una famosa frase pronunciata dal sovietico Gagarin: “La Terra è azzurra”. Oggi, le fotografie della Terra viste dallo spazio non sono una cosa rara, quindi conosciamo bene quell’azzurro; tuttavia, un aspetto di quella frase che ancora ci sconvolge, riguarda l’oscurità dell’universo che si stende sullo sfondo del nostro pianeta: quanto sono scure quelle tenebre, fin dove arriva quel vuoto...concetti che non possiamo capire se non li vediamo con i nostri occhi. Pensare a quell’oscurità, che non può essere racchiusa in una fotografia, mi provocò allo stesso tempo paura e fascino; «L’universo è una continua notte» disse lei. Che ragazza strana, pensai.

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Raccontai di questa conversazione al senpai; «Mi stai dicendo che sei rimasto completamente incantato?» «Non è così!» «Le hai chiesto come si chiama? Da dove viene?» «Mi ha detto che vive a Mukojima e che sua nonna vive qui a Onomichi, nella parte alta» I finestroni del ristorante si affacciavano sul mare buio e, dall’altra parte, si vedevano le luci di Mukojima; «L’universo è una continua notte», rimasi affascinato da quelle parole. Usciti dal ristorante andammo in stazione; lì ci separammo e mi diressi verso la parte alta, il mio albergo si trovava vicino all’area del tempio.

124 Era ormai notte fonda e la città dormiva profondamente. Camminavo da solo per il parco deserto sotto la luce arancione dei lampioni; la parte vecchia era un dedalo di stradine e piccole salite e l’eco dei miei passi sembrava provenire da un altro mondo. Sospirai e continuai a salire; la costa si allontanava e mi avvicinai rapidamente al cielo notturno. Finalmente arrivai in cima; avrei dovuto vedere l’hotel, ma il paesaggio era del tutto diverso. L’oscurità era talmente profonda da essere angosciante e solamente un lampione illuminava la strada. Mi guardai intorno, e poi la vidi; sotto la luce del lampione c’era una figura bianca, una ragazza, ma non riuscivo a vederle bene il volto. Quell’ombra minacciosa non si mosse e continuò a fissarmi; abbassai lo sguardo e, quando lo rialzai, era sparita, come dissolta nell’oscurità. Mi vennero i brividi lungo la schiena e rimasi impietrito. Che cosa avevo appena visto? In fondo, vidi l’albergo e iniziai a camminare in fretta dalla paura, ma non incontrai più nessuno. Guardano giù dalla collina, vidi la città illuminata e lo sferragliare di un treno riecheggiò nelle tenebre. Ebbi una strana sensazione, come se il mondo della notte mi avesse risucchiato, non avevo mai percepito la notte come così profonda e vasta. Ma ora, mentre vagavo nella sua profondità, percepii città lontane avvolte dalle stesse tenebre e un numero infinito di persone collegare i loro sogni. Quell’eterna notte, non era forse la vera forma dell’universo? In quel momento mi balenarono in mente le parole: viaggio notturno.

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La notte non chiusi occhio, non riuscivo a scrollarmi di dosso quella malinconia. Continuavo a rigirarmi nel letto, avevo la sensazione che quella figura avesse sussurrato qualcosa... era senza dubbio una ragazza e continuava a tornarmi in mente il momento in cui svanì nelle tenebre. Quella lugubre sensazione mi ricordò una stampa su matrice in rame che avevo visto in Inghilterra. Probabilmente realizzata agli inizi del XIX secolo, era appesa nell’ufficio del mio maestro e in una cornice verde scuro era raffigurato un palazzo; l’aveva comprata il padre durante uno dei suoi viaggi e si diceva che l’avesse realizzata un maestro esperto. Vi erano raffigurati solamente la casa e il giardino, nient’altro; in primo piano vi era un piccolo pergolato, al cui interno c’era una ragazza. «Questa è una stampa stregata, Kishida» disse il maestro e iniziò a raccontarmi una comune storia di “opere maledette”: tanto tempo fa, la ragazzina che viveva in quella casa

125 scomparve e, dopo qualche anno, il padre chiese ad un amico di realizzare l’opera poiché quest’ultimo era un appassionato di stampe realizzate con matrice in rame. Tuttavia, il giorno seguente che ebbe finito di stampare notò qualcosa di strano. «È lei!» Aveva disegnato solamente il palazzo e il giardino, ma all’improvviso si materializzò anche quella figura. Nessuno gli credette, la stampa non tornò mai alla normalità e quell’uomo morì di pazzia. Secondo il racconto di coloro che gli stettero vicini fino alla fine, egli confessò di essere l’assassino di quella ragazza, di averla uccisa perché l’amava, ma lei era destinata a sposarsi con un altro uomo. «La figura apparsa nella stampa era il fantasma di quella ragazza; il suo spirito è intrappolato lì e dicono cerchi di tornare indietro. Chiunque guardi il suo volto verrà risucchiato all’interno dell’opera, quindi mi raccomando, fai attenzione.» Ovviamente non credevo a quella storia, ma da quando me la raccontò, quella stampa iniziò a preoccuparmi. Volevo controllare se era vero, se stava veramente cercando di tornare indietro e così, finii per guardarla in volto. La ragazza che voleva tornare nel mondo dei vivi, mi trascinò all’interno della stampa. Quella notte ripensai alla storia del maestro, e pensai che ora fosse tutto troppo reale. Mi addormentai poco a poco e sognai; nel sogno, ero nella mia casa a Kyōto. Proprio come ora, ero seduto sul divano e aspettavo qualcuno fissando il giardino. All’improvviso sentii il rumore della porta in fondo al corridoio che si apriva. Qualcuno era entrato furtivamente nella stanza e camminava nell’oscurità. Poi la vidi, era la ragazza con cui avevo parlato nel museo. «Il mondo è una continua notte» sussurrò. In quel momento, capii che stavo per morire.

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Quando mi risvegliai da quell’orribile incubo, il cuore mi batteva talmente forte da farmi male. Mi alzai e guardai fuori dalla finestra. Senza che me ne accorgessi, il cielo era diventato di una luce bianca. Decisi di fare una passeggiata e mi lasciai l’albergo alle spalle. La città che ieri notte sembrava deserta si stava ora svegliando poco a poco grazie alla luce dell’alba; i gatti randagi iniziavano a sbucare fuori da sotto le siepi e alcune vecchiettine arzille erano già in fila per visitare il tempio. Il cielo si faceva sempre più luminoso, e quella luce mattutina era meravigliosa. Pensai che solo questo poteva scacciare quella “notte”.

126 Mentre ripercorrevo la collina per tornare in albergo, sentii un nostalgico rumore di persiane aprirsi; mi fermai e il rumore proveniva da una casa a due piani dalle tegole blu. Vidi una ragazza che, affacciata alla finestra, guardava il mare. I raggi del sole le illuminavano il viso rendendola ancora più bella. «È quella ragazza» pensai. Era sempre lei, ma il suo viso radioso riuscì ad eliminare dalla mia mente tutte le illusioni della notte. «Buongiorno!» disse, accorgendosi di me. L’alba era finalmente arrivata.

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«L’ho realizzata appena sono tornato da Onomichi» disse Kishida indicando la stampa sul tavolo. Raccontò che la prima volta che la fece vedere al suo amico, il proprietario della galleria Yanagi, egli gli disse: «Perché non lo chiami semplicemente “Alba”?» Una nuova luce che illumina la città, un’alba che dura un istante. Ma non riuscì a proseguire la serie. Pensava che non avrebbe più incontrato quella ragazza, ma dopo tre anni di vuoto, l’aveva riincontrata. Pensava che non l’avrebbe più incontrata. Eppure accadde, dopo tre anni di silenzio. «È stato a Kurama, durante il Festival del Fuoco. La intravidi in mezzo alla folla e pensai che non dovevo perderla di vista» Quella sera Kishida si trovava lì, proprio come noi, per guardare quello spettacolo notturno. In quella notte, quando le grandi fiaccole passarono, lui ritrovò Hasegawa, noi la perdemmo. In quella notte, iniziò il viaggio notturno, ma inizò anche l’alba. «E da allora ha creato la serie di stampe, giusto?» dissi indicando il tavolo. «Sono passati tanti anni – disse – e abbiamo fatto parecchi viaggi insieme» disse guardando malinconicamente Hasegawa. «Siamo andati davvero in tanti posti...» Per ritrarre i luoghi raffigurati nelle quarantotto opere voleva vedere quante più albe possibili. Viaggiarono inseguendo quel fugace momento e, in nessuno dei luoghi che visitarono, videro la stessa alba.

127 Nel raccontare, Hasegawa aveva un viso sereno e anche Nakai sembrava divertirsi. Mi sembrava di guardare quella scena da un finestrino, come da un treno notturno. Se fuori dal treno si andava allargando l’oscuro mondo della notte, le persone all’interno risplendevano di una luce calda. Dove ci stavamo dirigendo, correndo lungo il fondo della notte? Pensando a queste cose, all’improvviso mi resi conto di un cambiamento all’interno della stampa; la luce brillante dell’alba si stava affievolendo finché si spense prima nel crepuscolo e affondò poi nella notte. Quando alzai la testa per avvertire gli altri, la stanza era ormai sprofondata nelle tenebre; sentii Nakai e Hasegawa parlare allegramente, ma la mia voce non poteva più raggiungerli. «La luce di una fuggevole alba» queste furono le ultime parole che udii. Fu Kishida a pronunciarle. !

Quando ripresi conoscenza, era da solo in soggiorno. La luce di prima era svanita, tutto era buio; l’unica fonte luminosa proveniva dalla luce azzurra della cucina. I mobili erano ricoperti di polvere e sul tavolo di fronte a me vidi una stampa: “Viaggio notturno - Onomichi”. In quel paesaggio nero come velluto, una ragazza senza volto agitava la mano sotto la luce di un lampione. Sembrava una notte eterna. La guardai per un po’, poi iniziai a girare per quella casa vuota. Kishida e Hasegawa non erano lì, ma questo non voleva dire che non esistessero, il loro mondo era semplicemente nascosto ai miei occhi. E il mio mondo era nascosto ai loro. Uscii e l’aria della notte era fredda come se fosse inverno. Mi voltai e pensai alla casa che avevo visto quando ero arrivato in taxi; ora, davanti ai miei occhi c’erano dei vecchi sacchi della spazzatura, il giardino non curato e pieno di erbacce, le tegole spezzate e il muro scrostato. Nessuno viveva più lì. All’improvviso sentii dei suoni provenire dalle case vicine: rumore di piatti, di acqua che scorreva da una doccia, un motorino, persone che camminavano, un neonato che piangeva. Non ci feci subito caso, ma quelli erano i rumori dell’arrivo dell’alba.

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Salii i gradini di pietra e mi incamminai verso il fiume Kamo. Incrociai persone che facevano jogging e altre che portavano a spasso il cane; mi sedetti sulla sponda fresca di rugiada e fissai

128 per un po’ nel vuoto. Respirai l’aria frizzante della mattina e alzai lo sguardo verso il cielo limpido. Pensai che ormai, non avrei più incontrato Hasegawa, ma sapevo che lei in questi dieci anni aveva vissuto la propria vita; gli anni erano passati per lei, così come per me… aveva vissuto il suo tempo, così come io avevo vissuto il mio. Pensai ai quattro amici che avevo lasciato a Kurama; non erano stati loro a sparire durante il ritorno dal matsuri, ero stato io, quindi saranno rimasti in pensiero per tutta la notte; dovevo fargli sapere al più presto che stavo bene. Mi alzai e provai a chiamare Nakai; non sapevo se sarei riuscito a mettermi in contatto con lui, ma dopo aver lasciato squillare il cellulare per un po’, mi rispose con voce preoccupata. «...Ōhashi?». Che nostalgia sentire quella voce. «Buongiorno» dissi tirando un sospiro di sollievo. Non ho mai sentito una mattina così mattina. Un’alba che dura solo un istante... Ripetendo quelle parole guardai il cielo e strizzai gli occhi; la luce era talmente forte che mi fece scendere le lacrime. Al di là delle montagne, era sorta l’alba.

Conclusione

Uno dei quesiti di questa ricerca era volto a indagare se le caratteristiche della letteratura fantastica in Europa e America possono essere considerate valide anche per la letteratura giapponese. Oppure, esiste una letteratura fantastica distintamente giapponese? Le ricerche sembrano confermare la risposta offerta da Susan Napier: “si”, esiste una letteratura fantastica tipicamente giapponese, «but only in a matter of degree, rather than indicating any essential dissimilarity between Japanese and Western literature». (Napier, 2005, p. 221). L’unico elemento che sembra essere più accentuato è quello del diverso, dell’illusorio e dell’irrazionale in contrasto al cambiamento dettato dalla modernità.

Ripercorrendone la storia, si può notare come essa sia cambiata dalle origini alla contemporaneità: dal mito di creazione e ai racconti sulle divinità fino alle prime opere in cui luoghi lontani dalle città diventano utopie, luoghi lontani dal mondo reale e popolati dalle creature del folklore; con l’arrivo del Buddhismo nell’arcipelago, le storie acquisirono uno scopo didattico, morale, mentre solo verso il XVII secolo questi racconti persero ogni intento

129 didattico e divennero puro intrattenimento, classificate sotto il filone letterario del kaidan; Durante i primi vent’anni del periodo Meiji a causa processo forzato di modernizzazione il Paese subì una perdita d’identità culturale che portò alla crisi dell’”io” che, insieme alla paura per la perdita di controllo sulla tecnologia, si riflette nella letteratura e, in particolare, nei testi di letteratura fantastica soprattutto a partire da XX secolo. Un cambiamento radicale avviene anche nella rappresentazione della figura femminile: da elemento legato allo spirito di vendetta e al soprannaturale, diventa figura rassicurante, amorevole, che offre una via di fuga dalla modernità che tenta di soggiogare gli uomini. Altro elemento che cambia significativamente durante questo periodo è il “limite” che ha sempre diviso il mondo reale da quello fantastico: nella letteratura antecedente la Guerra, il confine era ben delimitato, non vi era un’irruzione violenta del fantastico nella quotidianità; il soprannaturale poteva manifestarsi, ad esempio, nei sogni o essere confinato in montagne e villaggi nascosti, mentre nei romanzi degli scrittori del dopoguerra, il fantastico rompe tale linea, portando alla crisi esistenziale e delle gerarchie sociali.

Ma le storie fantastiche, siano esse legate a rievocazioni tradizionali o inventate e raccolte in romanzi, anime, manga, film hanno saputo contribuire - e contribuiscono tutt’ora - alla rivitalizzazione delle città e delle zone rurali attraverso il progetto del machi okoshi; grazie alla collaborazione del governo e della nascita di progetti come Cool Japan, il fenomeno del seichi junrei rappresenta una risorsa ormai irrinunciabile per l’economia locale. Ne sono un esempio i citati Sakaiminato, Shizuoka e il tempio di Washimiya a Kasukabe.

In questo contesto si inserisce il romanzo yakō, il cui autore propone la città di Kyōto sotto una luce diversa, fantastica, e che ha attirato l’attenzione di molti lettori; chissà se il successo di questo romanzo dalle sfumature paurose e fantastiche porterà ad una nuova sferzata di curiosità e turismo.

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