T V / C / T A - P M

T U A a llaa m o R

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b notiziario di Piansano e la Tuscia a n i e n o i z i LL d e p s

- a p s e n a i l a t i e t s o P La parola al gastrosofo Omaggio a Pier Luigi Leoni (1943-2018) a l o Raccolta degli articoli pubblicati nei c c e r B

o nn. 68-69, 98, 99, 100, 101, 102, 103, l r a c n a i 104, 105, 106, 107, 108, 109, 110, 111, G i d a n 112, 113, 114, 115 ti r e p o C Bolsena Nella splendida cornice del Teatro Piccolo di Bolsena domenica 7 ottobre c’è stata la presentazione del libro di Pier Luigi Leoni “Funzionamento del consiglio comuna- le e provinciale”. All’evento ha partecipato una moltitudine di La parola persone tra cui molti addetti ai lavori: segretari, amministratori e dipendenti comunali. Sono intervenute numerose personalità al gastrosofo tra le quali Raimondo Barella, il sindaco di proceno Francesco Battistoni, quello di Onano Giuseppe Onori, Luciano Dottarelli, “Gli animali si nutrono; l’uomo mangia: Antonio Naddeo... solo l’uomo di spirito sa mangiare”. L’opera, che si aggiunge alla già ricca collezione dell’autore, è [Jean Anthelme Brillat-Savarin] in pratica una importantissima guida teorico-pratica per consi- glieri comunali e provinciali, segretari comunali, dirigenti, uesto motto dovrebbe met- impiegati, ma anche semplici cittadini, che attraverso questo tere in imbarazzo non solo i strumento possono conoscere il funzionamento degli organi ghiottoni, ma anche coloro collegiali di indirizzo e controllo direttamente rappresentativi che disquisiscono di cucina della cittadinanza, ovvero i consigli provinciali e comunali. Q senza avere profondamente meditato L’autore vanta in questa materia una esperienza di primissimo su ciò che mangiano. Il motto è di piano, essendo segretario comunale da lunga data nonché Jean-Anthelme Brillat-Savarin, politico e amminstratore di importanti comuni come quello di Orvieto. gastronomo francese, autore del noto (Giuliano Giuliani) saggio “Fisiologia del gusto”, pub-blicato nel 1825, nel quale si affronta per la da la Loggetta n. 68-69 (mag-ago 07) prima volta l’arte della cucina e della tavola alla luce di considerazioni scientifiche e filosofiche. Quindi Bril- lat-Savarin fu il primo gastronomo-filo- sofo; anche se il termine “gastrosofia” fu coniato nel 1851 dal tedesco Frie- drich Christian Eugen Baron von Vaerst. ier Luigi Leoni, appassionato di Perciò, quando mi dichiaro gastroso- aforismi e lui stesso aforista, ne ha fo, mi assumo una certa responsabili- Praccolti 1111. Dice di averlo fatto tà. Però m’impegno, anche per smenti-re per affezione a LibrosìEDIZIONI, perché mia moglie che sentenzia, soprat-tutto una casa editrice che si rispetti non può in pubblico, che lo faccio “per darmi mancare di una raccolta di aforismi. Inve- delle arie”. Crudeltà femminile a parte, ce l’ha fatto semplicemente per il gusto di poiché non mi sopravvaluto, ho limitato piluccare nel mare magnum degli afori- il mio campo alla cucina tradi-zionale, e smi quelli che più gli aggradano e di solo alla cucina della tradi-zione in cui condividerli con chiunque voglia accettare l’invito a leggerli. Come chi, avendo sono nato e cresciuto, che non va molto l’animo pieno di gioia, organizzi un rinfre- al di là dell’acquacotta e delle fettuccine sco e inviti tutti i passanti a entrare in con le rigaglie. In altre parole, mi basta e casa sua e a rifocillarsi. Leoni è andato a mi avanza la Tuscia. Ma devo spiegare cercare abbondanti leccornie e ne ha cosa intendo per aggiunte altre preparate con le sue mani. “tradizione”, poiché nessuno è tenuto a Come tutte le raccolte di aforismi è un conoscere ciò che già ho avuto occa- libro da consultare quando ci si trova nello sione di scrivere in proposito. La defi- stato d’animo giusto; cioè quando si è nizione è necessaria per non confon- stanchi delle certezze proprie e altrui e si dere la cucina tradizionale con la cuci- ha bisogno di chi ce le con- na “antica”, della quale meritevolmen-te fermi o ce le smonti del tutto. si occupano gli storici, e con la cuci-na Karl Kraus ha scritto: “casereccia” o “popolare”, aggetti- “L’aforisma non coincide mai vazioni troppo generiche, anche se con la verità, o è una mezza utili per mettere in rilievo che la cuci- verità o una verità e mezzo”. Il libretto è in vendita Pier Luigi Leoni ha scritto: in formato eBook e cartaceo “L’aforisma è un aforisma sul sito della casa editrice quando provoca una crepa LibrosìEdizioni: da la Loggetta n. 98 (gen-mar 2014) www.librosi.it nelle nostre certezze. O la ripara”. Sembrerebbe che non ci fosse altro da dire, invece ci da la Loggetta n. 98 (gen-mar 2014) sono almeno 1111 cose da dire. La parola al gastrosofo Pier Luigi Leoni

non si può essere cacciati”. Ciò vuol La di Pasqua dire che nemmeno se ne può uscire. Ebbene nel mio paradiso c’è mia madre che, nella nostra casa di Farne- della Tuscia se, faceva lievitare le pizze di Pasqua nel letto matrimoniale scaldato col “prete” e saggiava la temperatura sotto le coperte infilandovi un brac- na italiana deve alla saggezza del tuita, a Perugia, dalla versione salata. cio: lo stesso gesto, anche se non pro- popolo molto più che all’inventiva dei La mia fiducia nella gastrosofia vacillò prio lo stesso amore, con cui control- geni. pericolosamente, ma poi considerai lava l’acqua del bagnetto della mia Il concetto di tradizione (e ciò vale che, se Platone fu contestato da Ari- sorellina. E poi, in quel procedimento, non solo per la cucina) riguarda una stotele, anche un gastrosofo di provin- avevo il mio ruolo: quello di andare a realtà sempre in evoluzione, nella cia può affrontare il rischio di essere prendere la “dose” degli aromi in far- quale alcuni elementi durano nel contraddetto; come infatti mi accadde tempo, pur modificandosi, e superano in un paio di conferenze. Però non lo scoglio di una generazione umana. ci rimasi troppo male, sapendo Infatti va tenuto presente che il termi- che il gastrosofo cerca la veri- ne “tradizione” deriva dal verbo latino tà senza mai pretendere di tra¯de˘re, cioè tramandare, ed implica averla trovata. che la nostra generazione abbia accet- Dunque, della pizza di tato l’eredità della generazione prece- Pasqua, dissi che è un piatto dente. rituale, poiché il gastrosofo Le acquisizioni scientifiche, il progres- accorto comincia sempre so tecnico, la globalizzazione degli con banali certezze per accat- scambi, ma anche le mode, incidono tivarsi l’ascoltatore o il lettore. nel corpo della tradizione e lo modifi- Nessuno può infatti negare che la cano, col rischio di ucciderlo. Quindi il nostra pizza sia legata alla Pasqua gastrosofo studia la cucina tradiziona- e che la sua consumazione insieme le, prima che venga uccisa dalle nuove al e alle uova sode (possi- tendenze, per consegnarla alla storia, bilmente benedette) si ripeta in molte non senza essersela prima goduta alla famiglie nella prima colazione della faccia degli chef creativi, dell’industria domenica. Poi mi esibii in una consi- alimentare e della massa degli sventu- derazione di natura economica, che macia. Il rati che non sanno bere un uovo mi pareva acuta, ma che non suscitò mio fratello crudo e apprezzare un pollo ruspante. alcuna emozione. In sintesi, sostenni maggiore, più robusto di me, era che nel periodo pasquale, quando impiegato nel compito più nobile del Il mio amico e maestro di gastronomia molte famiglie avevano un pollaio e maneggiare l’impasto. Mia madre mi Italo Arieti, ha sempre rispettato, seb- nessuna il frigorifero, la pizza era un affidava una tazzina con dentro due bene non condiviso, le mie tendenze modo per impiegare la grande quanti- cucchiaini di zucchero sul quale il dot- gastrosofiche. Per mettermi alla tà di uova che le galline non snaturate tor Augusto Casali, un onanese che prova, m’invitò, vari anni fa, a cercare dai maledetti allevamenti razionali sembrava uscito da Oxford, deponeva il “senso” della pizza di Pasqua, ma producevano all’arrivo della primave- le gocce della “dose”. Poi copriva la anche a spiegare perché la pizza, che ra. La pizza di Pasqua poteva essere tazzina con un foglietto di carta bian- a Civitavecchia è usata solo nella ver- consumata anche dopo un mese, ca tenuta da un elastico. La “dose” sione dolce, è affiancata nell’en- soprattutto se di grosse dimensioni e conteneva estratti di alchermes, troterra e poi completamente sosti- ben conservata in credenza. Quanto al anice, cannella, limone, vaniglia e fenomeno del dolce e del salato, ricor- (facoltativo) mandorle amare. Me lo si alla merceologia, facendo notare ha ricordato il dottor Edoardo Casali, che un tempo, più ci si allontanava dal succeduto al padre, e mi ha anche mare e più il sale diventava prezioso. consegnato un foglietto con le quanti- Quindi un prodotto legato alla più tà, ma con la mestizia del rimpianto, importante festa dell’anno doveva perché ormai quasi tutti comprano le essere ricco e la ricchezza, nelle zone pizze di Pasqua al forno. Io le quantità interne d’Italia era ben rappresentata non le rivelo. Se qualcuno fosse preso dal valore del sale. Peraltro il sale, da una sana curiosità, vada dal dottor come lo zucchero, è un ottimo conser- Casali. vante. da la Loggetta n. 98 (gen-mar 2014) Se invece volesse affidarsi all’Artusi di casa nostra, veda la ricetta della “Pizza Ma il gastrosofo, per quanto possa di Pasqua nella Tuscia” di Italo Arieti sforzarsi di essere razionale, non può nel sito http://www.provincia.vt.it prescindere dal proprio patrimonio emotivo. Goethe affermava che “il [email protected] paradiso dei ricordi è l’unico dal quale

15 La parola al gastrosofo da la Loggetta n. 99 (apr-giu 2014)

namente funzionale; a chi Acquacotta sa gustare l’armonia del sapore del pane con quello delle della Maremma Viterbese verdure, dell’aglio, della mentuccia, L’insostenibile leggerezza della mentuccia dell’olio e di even- tuali altri ingre- dienti, col solo aiuto del sale, che, grazie all’azione sinergica delle papil- ualche settimana fa, le gustative e dell’epitelio olfattivo, Pier Luigi mentre conversavo col esalta efficacemente i sapori. Leoni mio amico Giggiotto nel- L’origine estremamente pragmatica l’omonima trattoria di dell’acquacotta comporta che gli QIschia di Castro, la di lui gentilissi- ingredienti possano essere i più vari, a ma consorte, nonché titolare e cuoca del locale, mi propo- seconda delle stagioni, delle tradizioni se un’acquacotta. Poiché la signora Adelina conosce i miei locali e dei gusti personali. Però, a mio giu- principi in materia, mise la mani avanti precisando che trat- dizio, a parte la cottura integralmente in tavasi di acquacotta toscana. Accettai di buon grado il piat- acqua, non si può prescindere dal sale, dal- to in omaggio alla cucina toscaneggiante della signora, che l’aglio, dall’olio extravergine di oliva, dal pane proviene dal territorio di Proceno, confinante con due pro- raffermo e dall’adorabile mentuccia (clinopo- vince della Toscana. Ed evitai di mettermi in cattedra per dium meta, in italiano nepetella o nipitella). La una conferenza non richiesta sulla differenza tra le acque- gran parte degli italiani non conoscono o non cotte delle due Maremme: la Viterbese e la Toscana. Mi usano la mentuccia; e così il resto dell’umanità. ripromisi però di prendere carta e penna per confermarmi Non sanno quello che perdono. In base ai miei prin- nelle mie opinioni e pubblicarle. In modo che chiunque cipi, mi rifiuto di riconoscere come acquecotte certe avesse avuto la pazienza di leggere il mio scritto, non brodaglie invernali senza mentuccia. L’acquacotta è un avrebbe potuto sbadigliarmi davanti né direttamente rim- piatto estivo e molto rustico, tanto che in campagna veni- beccarmi. Perché, in materia di cucina, circolano troppe va mangiata con le mani (prima di condire con l’olio, si get- opinioni e ognuno è affezionato alle sue. tava via l’acqua eventualmente non assorbita dal pane); il finger non lo hanno inventato i frettolosi bancari in Dunque, l’acquacotta della Maremma Viterbese (che chia- pausa pranzo o i bighelloni dei winebar. È un piatto facile, merò semplicemente acquacotta) comporta assolutamente che chiunque può preparare da solo dilettandosi con le infi- la cottura in acqua degli ingredienti; è tassativamente nite varianti. Anche perché è un piatto inadatto alla ristora- escluso il soffritto. zione, che deve adeguarsi al gusto medio, ormai irrimedia- La funzione del soffritto, che è quella di tirar fuori col gras- bilmente corrotto dai prodotti dell’industria alimentare. Ma so bollente la parte più preziosa degli ingredienti aromati- questo è solo l’inizio di un discorso sull’acquacotta. ci, è svolta in modo meno violento dall’acqua. Perciò l’acquacotta è adatta a chi ha un olfatto selettivo, cioè pie- [email protected] dalla Tuscia da la Loggetta n. 99 (apr-giu 2014)

Pier Luigi Leoni La Belle Époque di Farnese

L’affresco di un’epoca felice, coi colori della passione, dell’orgoglio e dell’indignazione, nell’autoelogio del sindaco emerito Pietro Moscati

ei due decenni a cavallo tra Ottocento e Nove- cento, Farnese si sveglia dal torpore plurisecola- re e si ammoderna in modo sorprendente. Eppu- re questo paese che si affaccia sulla Maremma ancoraN medievale, oltre a non essere neppure lontana- mente lambito dall’industrializzazione, nemmeno è inve- stito da novità nell’agricoltura, ancora tarpata dal latifon- do. È ancora l’epoca dei notabili, in cui la democrazia allo stato larvale esclude il popolino sia dell’elettorato passivo che attivo. L’amministrazione comunale è in mano ai “signori”, circondati da piccoli proprietari, modesti imprenditori e professionisti, che ad essi sono legati da rapporti di dipendenza clientelare. A Farnese, l’eco dei movimenti politici nazionali è ancora molto fle- bile e i contrasti locali si risolvono in scontri tra partiti familiari; una dinamica che riverbera in modo singolare un fenomeno diffuso nel Mezzogiorno. Il “Partito di Castiglioni” s’impernia su questa famiglia e su un’altra ricca famiglia con essa imparentata, quella dei Moscati. Il Partito di Castiglioni domina la Belle Époque farnesana col sindaco Pietro Moscati; ma è sempre più insidiato dal “Partito degli Ortensi”, organizzato da una famiglia più dinamica e dalla ricchezza molto “chiacchie- rata”. Il Partito degli Ortensi riuscirà finalmente a scalza- re il sindaco Pietro Moscati. L’episodio dell’autoelogio del sindaco emerito Pietro Moscati si colloca in un momento di transizione in cui Pietro è stato sostituito precariamente dal fratello Vin- cenzo. L’accorato intervento di Pietro Moscati nella seduta con- siliare del 18 novembre 1911 è un bell’esempio di arte retorica e, al di là dell’orgogliosa indignazione che lo per- vade, documenta la sana passione politica di una classe dirigente che non è stata più uguagliata. Quei notabili erano indubbiamente impegnati nella conservazione del ruolo sociale proprio e della propria famiglia, ma aveva- no anche il senso della collettività ed erano protesi nello sforzo di perpetuare il proprio nome nel progresso del proprio paese. Per gli scettici una illusione d’immortalità, per i credenti una doverosa collaborazione all’azione creatrice dello Spirito. Pietro Moscati, ormai semplice consigliere, domanda al sindaco Vincenzo Moscati la parola per fatto personale, contrastato inutilmente dal consigliere Antonio Ortensi. Ottenuta la parola, legge la seguente memoria (che ripor- to in ampi stralci). [email protected]

la 124 Loggetta apr-giu 2014 dalla Pier Luigi Farnese Leoni Tuscia La Madonna delle Grazie Storia di una singolare devozione farnesana

modo che segue, come si ha per tradi- 1954. Il trasporto straordinario zione, cioè. della Madonna per le vie del paese L’anno 1649, il dì 14 ottobre per com- in occasione dell’Anno Mariano mando di Papa Innocenzo X Pamfili di gloriosa memoria allora felicemente regnante, in pena delli peccati del popo- lo fu demolita, e spianata con il canno- ne [in verità fu demolita a picconate] la Città di Castro, dove ora non si rimirano, se non che le vestigie; non rimase ivi di memorabile, per divina disposizione, se non che il Santissimo Crocifisso, situato in mezzo della strada che conduce a Pitigliano, e Manciano; il quale puran- che al presente ivi esiste; e la detta Santa Immagine nel luogo già detto. Essendosi pertanto il suddetto signor Domenico Menia, uno dei primarj Citta- dini di Farnese portato in Castro per alcuni suoi rustici affari, passando per il suddetto luogo, fissò a caso l’occhio nella suddetta santa immagine, e nel mirarla, si sentì si fattamente rapire dal- l’amore, e divozione verso la gran Madre di Dio, e tale che dispiacevagli sommamente che quella santa immagi- ne se ne stesse così desolata, in un luogo arrano che nel secolo XVII, zioni conservate nell’archivio parroc- deserto; onde deliberò, così ispirato da presso le rovine di Castro, chiale di Farnese documentano i fatti un divino impulso, di fabbricare a bella una immagine della Madonna con esemplare sobrietà, senza nulla posta a spese proprie una Chiesa, per ivi con Bambino benedicente, togliere al fascino degli eventi, anzi collocare quella santissima immagine. dipintaN sul tufo, aveva suscitato devo- illuminando il legame tra il popolo far- Ed infatti giunto in Farnese, considerato zione crescente tanto da essere chia- nesano e la Madonna delle Grazie. il sito, stabilito il luogo, fatti i preparati- mata Madonna delle Grazie. I farnesa- La prima relazione, non datata e stila- vi necessari pose mano subito all’opera, la quale coll’aiuto del Signore e di Maria ni, approfittando della maggiore vici- ta probabilmente dall’arciprete di Far- Santissima felicemente compì l’anno nanza a Castro, decisero di battere sul nese, risale ai primi anni del secolo 1695 che vale a dire quaranta sei anni tempo gli ischiani, che avevano eredi- XIX ed esordisce così: dopo lo spiano della Città. Dopo dunque tato quel territorio, e di trasferire a di aver fabricata la detta Chiesa, nel Farnese la venerata immagine. Quindi La venerabile Chiesa detta della Madon- luogo di sopra già detto, e preparato il caricarono su un carro il pesante na delle Grazie situata presso la terra di luogo dove collocare dovevasi la santa masso tufaceo e imboccarono la stra- Farnese, Principato ed assoluto dominio immagine, finalmente il dì cinque del da per Farnese. Ma, superata la ripida dell’eccellentissima Casa Chigi [dal mese di giugno, cadendo in quel giorno 1658 al 1825 Farnese fu feudo dei prin- salita di Gressa, a poco meno di un la prima domenica del mese di giugno, cipi Chigi, salvo brevi interruzioni […] con solenne processione […] ed chilometro dal centro abitato, i buoi durante il periodo napoleonico] per la innumerabile concorso di popolo, fu feli- che trainavano il carro si bloccarono e strada che conduce a Montalto, ed Orbe- cemente e solennemente trasportata da non ci fu verso di farli proseguire. tello, nella Contrada di Montefiano, fu Castro a Farnese la santa immagine, e S’interpretò il fatto come la manifesta- fabricata dal signor Domenico Menia collocata nella detta Chiesa dedicata in zione della volontà della Vergine di per se, e suoi, a proprie spese, per tra- suo nome, ed a bella posta ad onor suo essere venerata in quel preciso luogo. sporto di sua devozione l’anno 1694 fabricata, dove al presente devotamente Scaricarono quindi il masso dipinto e […] L’Immagine che sta lo-cata sopra si venera, e di dove dispenza ai suoi poi edificarono una graziosa chiesetta l’Altare di detta Chiesa, rappresentante divoti continue, e meravigliose grazie, e la Beatissima Vergine, assisa in seggio, con un portico per il riparo dei devoti. favori […]. con Figlio in seno, ed in piedi in atto di Nella detta Chiesa vi si celebra ogni dare la benedizione, dipinta in rustico anno la Festa la prima domenica di giu- Mi piacerebbe tanto che questa pia Muro concavo, fu trovata presso la diru- gno, cadendo in qualsivoglia solennità, leggenda, impostata su uno stereotipo ta Città di Castro nella Cava, in Luogo come giorno proprio della traslazione molto diffuso in materia di trasporto detto il Nascoriglio, nella Contrada di della santa immagine dalla Città del già di immagini sacre, corrispondesse alla Parta; dal qual luogo fu segata, e traspor- Castro. Il sabbato della vigilia di detta verità storica. Ma alcune antiche rela- tata poi nella Terra di Farnese, nel Festa si porta il Clero in publica forma

la da la Loggetta n. 100 (lug-sett 2014) Loggetta lug-set 2014 89 dalla Tuscia

pompa solenne, come risul- ta del foglio d’invito, che qui annesso insieme con altri fogli di composizioni postici si conserva; grande fu il concorso di forastieri; fu tra- sportata la detta immagine con solenne processione accompagnata da armonio- sa banda musicale con illu- minazione generale del paese a cera e olio; ed essendo troppo greve il peso, questo per ordine del cappellano don Luigi Egidi Arciprete uno dei parenti della casa Menia fù segata, e fù diminuito il peso, e per timore che potesse soffrire qualche disgrazia nel segar- la, fu cerchiata di ferro, ma con tutto questo ci vollero 12 persone a portarla, e furono fatte delle mute per istrada, e fu collocata nella machina dell’Assunta. La processione dopo la Chiesa delle Monache girò il paese e fece l’ingresso nella Chie- sa Matrice del Santissimo Salvatore e vi stette giorni 15. La suddetta Chiesa era 1954: La processione della sera vagamente ornata con degli verso il santuario arazzi e con bella disposi- zione di cera. Il popol tutto fù il deputato di questo tren- processionante alla detta Chiesa per tesimo […]. cantare i primi Vespri. La domenica Li tre giorni di festa che si fecero in que- mattina poi giorno della Festa ritorna sta occasione riuscirono felici, senza nuovamente il Clero e come sopra pro- ubriacature, e senza risse, e tutto con cessionalmente accompagnato dall’in- grande armonia. La popolazione, come tervento di tutte le Confraternite del i forastieri restarono contentissimi. paese a cantare ivi la Messa quale deve I muratori Pietro e Flavio Leoni [antena- cantarsi dall’Arciprete o da altro sacer- ti del sottoscritto] insieme con i loro dote coll’annuenza però del medesimo. nepoti levarono la Madonna, la rimisero Dopo la quale si cantano solennemente nella propria nicchia senza nessun inte- le litanie della Beata Vergine […]. E per- resse, ma per mera loro divozione. ché da principio non si sapeva la deno- Terminata la Festa restassimo rammari- minazione della sagra Immagine, era da cati nel sentire che il nostro Principe tutti chiamata la Madonna di Castro; ma signor don Agostino Chigi avea venduto poi saputasi per tradizione la sua vera il Feudo di Farnese alla Consulta [in denominazione viene chiamata, come verità la vendita fu fatta alla Camera già ivi chiamavasi la Madonna Santissi- Apostolica, mentre la Consulta, istitui- ma delle Grazie. ta durante il dominio napoleonico, era stata soppressa da dieci anni] per scudi Una successiva relazione, datata 20 cento venticinque mila. agosto 1825 e firmata dall’arciprete Luigi Egidi, descrive la festa del 130° Il rammarico dell’arciprete Egidi per il anniversario del trasporto della ritorno di Farnese alla sovranità della Madonna: Santa Sede testimonia che in circa tre secoli di autonomia, prima come Il dì 20 agosto dell’anno 1825 - anno dei ducato farnesiano e poi come feudo di Giubileo, regnante il Sommo Pontefice Chigi, si era radicato nei farnesani il Leone XII - cadde in quest’anno il trente- sentimento, forse ancora oggi non del simo della Madonna delle Grazie, che tutto spento, di una orgogliosa diver- fino all’anno presente sono 130 dacché sità. fu trasportata da Castro la santa immagi- ne; questo trentesimo fù celebrato con [email protected]

la 90 Loggetta lug-set 2014 La parola al gastrosofo Pier Luigi Leoni La carne dei poveri a Farnese si chiamava “faciole fratine”

me, costituiva il soffritto, su della Tuscia il pane più tradizionale cui venivano riversati i che trovate; fagioli, bolliti a fuoco lento, d) quanto ai fagioli fratini, internet mi con la loro acqua di cottura. ha indirizzato all’azienda agricola Quando la minestra bolliva, biologica Mezzabarba di Farnese, veniva “buttata” la . Appe- dove li ho felicemente trovati; ma il na cotta la pasta, si minestrava, prodotto di quest’anno era pratica- cioè si versava la minestra nei piatti mente esaurito; non rimane che fondi, dove c’erano le fette di pane raf- prenotarli per l’anno prossimo. fermo. Riconosco che è un Va detto che il lardo era il lardo e il signor piatto anche con altre varietà pane era il pane. I maiali che avevano di fagioli, ma, se riuscirete a provarla dato il lardo erano allevati dalle fami- coi fratini, capirete perché i farnesani e faciole co’ le sasse, le carabbi- glie e non avevano ingurgitato i medi- non riescono a dimenticarla. gnere co’ le baffe. Questi delizio- cinali e le altre schifezze che si vanno si plurali alla francese, che a concentrare proprio nel grasso. Il [email protected] Lsegnano l’appartenenza del ver- pane era quello fatto con la pasta nacolo farnesano all’area dialettale madre e con la farina non troppo raffi- orvietano-viterbese, vanno via via nata. Ma anche i fagioli erano gli indi- scomparendo. Gli anziani anche mini- menticabili (e indimenticati da chi li mamente imborghesiti, e i giovani che ha assaggiati) fratini. Erano fagioli li imitano, se ne vergognano. Ma le di medio calibro, di colore verde faciole restano nella mente e nel cuore chiaro che si scuriva un po’ con dei farnesani, perché su questo pre- la cottura, e l’occhio era costi- zioso legume si è basata per secoli tuito da un punto biancastro l’alimentazione dei poveri, cioè della circondato da un anello del schiacciante maggioranza. Il piatto colore della tonaca dei frati unico della sera, cioè dell’unico pasto francescani. consumato seduti a tavola, era la Descrivere dosi e procedi- minestra de faciole, vale dire, a voler mento per la ricetta della esser linguisticamente precisi, la minestra de faciole risul- zuppa di fagioli o pasta e fagioli. “Zup- terebbe eccessivamente pa” perché c’era di mezzo il pane; didascalico, perché tutti “pasta” perché non potevano manca- sanno, o possono facil- re l’anellette, vale a dire i tubetti o dita- mente informarsi, come lini rigati, prodotto industriale che era si fa una zuppa. Ma a chi venuto a dar man forte al pane. volesse cimentarsi propi- Alla base della minestra de faciole no i seguenti consigli: c’era il battuto, cioè un trito di lardo, a) procuratevi lardo di si- sedano e cipolla (obbligatori), aglio e cura provenienza, al- carota (facoltativi) preparato con la trimenti sostituitelo mannaretta o con la lunetta sulla batti- con l’olio extravergi- lonta. Quest’ultima era un tagliere di ne di oliva, con la legno di forma e dimensioni standar- conseguenza, fon- dizzate. Le migliori battilonte erano di damentale per un legno di quercia o di noce, perché non numero crescente si scheggiavano, ma le più diffuse di persone, che erano di legno di castagno o di abete; così il piatto di- quindi si scheggiavano e come, tanto venta rigorosamen- che spesso finivano nella minestra, e te vegetariano, anzi fra i denti, scagliette di legno che vegetaliano; s’erano mischiate al battuto. Di qual- b) non usate il frullatore siasi legno fosse fatta, la battilonta elettrico; se non potete recava nel mezzo un incavo formatosi farne a meno, aggiungete con l’uso e, se era molto vecchia, pre- qualche cubetto di ghiaccio sentava gl’incavi su entrambe le facce. per non far scaldare il lardo; Il battuto, messo sul fuoco in un tega- c) procuratevi a Farnese o nel resto

la 22 da la Loggetta n. 100 (lug-set 2014) Loggetta lug-set 2014 La parola al gastrosofo Gli odori della cucina tradizionale formano il gusto di un popolo

Pier Luigi Leoni Il profumo indimenticabile della

Il gastrosofo deve prendere atto di ciò che avviene e cercare di metter- ne in chiaro le ragioni. Per tale opera- zione deve ricorrere alle scienze neu- rologiche. Infatti nell’alimentazione sono coinvolti sia il gusto che l’olfatto; e l’olfatto, sotto l’aspetto evolutivo, è il senso più antico, così le sensazioni olfattive s’incidono più profondamente nella memoria stimo- lando la parte più antica del cervello, il rinencefalo. Non solo, ma già il feto memorizza l’odore della madre e della relativa alimentazione. Così, per esempio, i figli di donne che con- sumano aglio riconoscono come familiare l’odore dell’allicina. Possiamo dimenticare il volto e la voce di una persona che abbiamo amato, ma non possiamo dimenticar- Zecchitella, “porchettara” ne l’odore. Un farnesano potrà di Montefiascone dimenticare le strade di Farnese, ma non il profumo della porchetta calda n senso antropologico, il fenome- a bujone e alla porchetta. Così come che Pèppe de Copìto vendeva sotto le no dell’acculturazione consiste i sardi non sostituirebbero le seadas Porte nei giorni di festa. nelle modificazioni che avvengo- con le fregnacce o la zuppa gallurese no all’interno di culture differenti con l’acquacotta maremmana. [email protected] quandoI si verifica tra di esse un con- tatto duraturo. Anche la massiccia immigrazione sarda nella Tuscia ha coinvolto in tale fenomeno due cultu- re che hanno significativi, anche se non profondi, tratti caratteristici. Ma l’acculturazione, se è un fenomeno quasi ineluttabile, non è semplice né breve. Se poi si considera la cucina, le caratteristiche sono, per loro natu- ra, notevolmente persistenti; infatti va considerato che le tradizioni culi- narie appartengono al nocciolo duro di ogni cultura. Ogni ricetta traman- data dalle passate generazioni con- tribuisce a formare il gusto di un popolo; e il gusto costituisce un argi- ne alle altre tradizioni culinarie. Per esempio, nella sagra della pastorizia che si celebra a Farnese vengono proposti piatti sardi come la pecora bollita con le patate e il maialino da arrostito. I farnesani, ovviamen- te, sanno apprezzare questi piatti celebri e squisiti, ma credo che non li Farnese, Pèppe de Copìto (Giuseppe Ferranti, 1926-2014) in una foto di quarant’anni fa considerino paragonabili all’agnello

da la Loggetta n. 10 (ott-dic 2014) la 20 Loggetta ott-dic 2014 dalla Il fontanile dell’acqua della Galeazza in località Bottino Tuscia (foto Leone Leoni, 1955 circa)

economiche, il Comune finanziò con un mutuo il progetto dell’ingegnere Cesare Tuccimei. Nel 1887 furono completati con successo i lavori e fu inau- gurata la fontana monu- mentale in piazza del Belli (oggi piazza Umberto I). Ma all’amministrazione del sindaco Pietro Moscati vanno anche altri meriti, fra cui, grazie al nuovo acquedotto, la realizzazio- ne della mola pubblica e del lavatoio. Quest’ultimo in località Bottino, quasi a ridosso del fontanile ali- mentato dall’acqua della Galeazza fin dal 1570. Breve storia del Bottino Adesso il lavatoio pubbli- co è ristrutturato e adibi- Acqua per bere e acqua per lavare to ad altri usi, ma le sue mura, grazie alla potenza 1570 e arrecò un certo sol- l’acqua di San Martino della memoria, sembrano lievo, ma a causa dell’alti- (oggi della Botte), ma i ancora risuonare dello Pier Luigi sciacquio dei panni sbat- Leoni metria non era condotta- lavori dovettero essere bile nel centro urbano. interrotti per errori nel tuti nell’acqua e delle voci Rimase così ad alimentare calcolo delle altimetrie. delle donne che lì dentro, el Millecinquecen- una fontanella e un abbe- Nel Milleottocento si per un secolo, hanno reci- to la popolazione veratoio in località Botti- redassero alcuni progetti tato la loro parte nella sto- di Farnese si no. per realizzare ria del laborioso popolo approvvigionava Nel 1618 il Comune tentò l’acquedotto della Botte. farnesano. diN acqua potabile con di realizzare un acquedot- Dopo alcuni progetti scar- notevole difficoltà, poiché to per condurre a Farnese tati per ragioni tecniche o [email protected] la sorgente più ricca, allo- ra detta di San Martino, distava circa quattro chi- lometri dall’abitato. A un paio di chilometri c’erano le sorgenti del fosso di Gressa, raggiungibili solo attraverso un tratto molto scosceso della strada per Castro. Il fosso della Ragnara correva a poche centinaia di metri dal paese, ma era esiguo, sco- modo e andava in secca durante l’estate. Nel 1567 il consiglio comu- nale decise di avvicinare al paese l’Acqua di Nempe, una sorgente tributaria del fosso della Galeazza, difficile da raggiungere, ma convogliabile per avvicinarla al paese sca- vando una galleria di alcu- ne centinaia di metri. Il lavatoio pubblico del Bottino L’opera fu completata nel (foto Leone Leoni, 1955 circa)

da la Loggetta n. 10 (ott-dic 2014) la 128 Loggetta ott-dic 2014 La parola al gastrosofo Una teoria gastrosofica:

Pier Luigi Leoni Chi disse maccaro’ disse coll’òa

poi la spianò e l’assottigliò col lanza- gnòlo corto, adatto a una piccola sfo- glia. Arrotolò la sfoglia, sottile e ruvi- da, e ne ricavò un mucchietto di fet- tuccine. Senza aspettare l’ora del pranzo, anzi, senza guardare l’orolo- gio, fece cuocere la pasta in acqua adeguatamente salata, la scolò e la condì con un cucchiaio di latte, col burro appena fatto e con parmigiano appena grattugiato. Mangiò divinamente. Ma non dimenti- cò di essere un gastrosofo. Quindi ela- borò la seguente teoria, che decise di rendere pubblica in un’autorevole rivista come la Loggetta: non esiste condimento per la pasta che non sia esaltato dalla pasta all’uovo. Chi disse maccaro’ disse coll’òa…

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uel fine settimana l’avrebbe La domenica mattina fece trascorso da solo. Sua mo- bollire il latte e si godette glie, nel salutarlo, lo aveva l’odore ormai inconsueto rassicurato: “Ti ho lasciato del latte cotto; poi fece nelQ frigo un po’ di spezzatino avanzato, raffreddare il latte, rac- il sugo per condirti la pasta e due pal- colse la panna con un lette di spinaci lessate”. L’anziano ga- cucchiaino e la versò strosofo apprezzava quei rari giorni di dentro un barattolino solitudine. Erano i giorni del piacere di vuoto della marmellata; non lavarsi, di non radersi, di uscire di richiuse il barattolo e lo casa senza subire il controllo dell’ab- agitò violentemente fino bigliamento, di pranzare stravaccato a quando la pallina di sul divano, sbocconcellando una bru- burro non si fu separata schetta calda, bevendo direttamente dal liquido. da un bottiglia di vino, e poi addor- Poi estrasse la spiana- mentarsi sui fogli di un paio di quoti- tóra, preparò due uova di diani. pasta, la fece riposare e Il sabato mattina aprì il frigorifero, guardò con malinconia il sugo, lo spezzatino e gli spinaci e fu allora che gli affiorarono nella mente i versi del filosofo di Montefiascone, un barbuto nullafacente che, nel primo Novecen- to, girava il contado dispensando sag- gezza in cambio di cibo: Chi disse maccaro’ disse coll’òa; chi disse camminà disse a cavallo; chi disse lavorà disse a le bòa”. da la Loggetta n. 102 (gen-mar 2015) L’anziano gastrosofo uscì a comprare due uova, un chilo di farina, un litro di latte intero e un pezzo di parmigiano.

la 30 Loggetta gen-mar 2015 La parola Lepre a bujone al gastrosofo o in salmì?

n pomeriggio di oltre ses- Pier Luigi Il cacciator, che cerca la sua preda, sant’anni fa, in un’osteria ha perso il fiuto fin da’ tempi antichi; Leoni di Farnese, un cacciatore è un predator, benché non se n’avveda, portò una grossa lepre da che, per quanto s’ingegni e s’affatichi, mangiare con gli amici,U non senza prima averla ostentata sarìa costretto, s’altri non provveda, per farli torcere dall’invidia. L’evento scatenò l’onni- a nutrirsi d’insetti e di lombrichi. presente “poeta”, che incantò la comitiva dei cacciatori Perciò, in mancanza di risorse umane, presenti con tre ottave, improvvisate “a braccio”, sulla con atto d’umiltà, ricorre al cane. caccia alla lepre. Cauta la lepre, con il batticore, Il cane che per ciò “da pelo” è detto, mòvesi al loco scelto per covile; con grande diligenza il muso abbassa e, ben sapendo di lasciar d’afrore e col suo fiuto, ch’è quasi perfetto, scia permanente, che naso sottile dipanar cerca l’aerea matassa. pòle sentir d’astuto predatore, Non senza al cacciatore aver predetto procede a zigghe zagghe in modo vile: ch’è sulla pista, ma con voce bassa. così tracciando per colui che passa Giunto presso il covil, la coda drizza d’effluvio intricatissima matassa. e ratta, al suo abbaiar, la lepre schizza.

(Libera citazione della mia novella Poi nacque una discussione sul mo- “Le lepre del Cireneo”) do migliore di cucinare la lepre. Pre- valsero i fautori del “salmì”, ma ven- nero fuori in modo petulante, richia- mandosi alla tradizione locale, anche i fautori del “bujone”. Il Poeta, ormai nel vortice dell’ispira- zione, fece capire di voler dire la sua e riprese il canto.

Il bujone provien dal tempo antico e s’inventò tra il e la Toscana per cucinar, con spezie che non dico, la pecora di razza maremmana. Di carne ovina inver sarei nemico se col bujon non fosse resa urbana. Però sinceramente vado pazzo per ogni carne nel prefato guazzo.

Il salmì, come dice la parola, è cucina d’origine francese, ed è molto gradevole alla gola. Ai nostri dì, senza tante pretese, s’adopra non per una carne sola; e nel condire non badiamo a spese. Però il poeta, non senza ragione, lo raccomanda per la cacciagione.

La serata finì con un compromesso: mezza a bujone e mezza in salmì. Ma tra i gastrosofi la discussione rimane aperta.

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da la Loggetta n. 103 (apr-giu 2015)

la 38 Loggetta apr-giu 2015 La parola al gastrosofo Pier Luigi Leoni La vigna di Renzo e le erbe squisite chiamate erbacce

uando mia madre voleva descrivere lo stato di Acetosella rizomatosa Radicchiella abbandono di un terreno, diceva che sembra- va la vigna di Renzo. Compresi quello che Avena selvatica Qintendeva dire quando al ginnasio dovetti leg- gere i Promessi Sposi, dove Renzo Tramaglino, rientra- to al paese dopo drammatiche vicissitudini, trova la propria vigna devastata e invasa dalle erbacce. Scrive, tra l’altro, il Manzoni: “Era una marmaglia d’ortiche, di felci, di logli, di gramigne, di farinelli, d’avene salvatiche, d’amaranti verdi, di radicchielle, d’acetoselle, di panica- strelle e d’altrettali piante; di quelle, voglio dire, di cui il contadino d’ogni paese ha fatto una gran classe a modo suo, denominandole erbacce, o qualcosa di simile”. Quando ho cominciato a occuparmi, da gastrosofo se non da scienziato, di alimentazione umana, mi sono reso conto che quasi tutte le erbacce citate dal Manzo- ni sono utilizzabili in cucina, o almeno come foraggio. Le ortiche (urtica dioica) sono preziose in erboristeria Farinello o spinacio e squisite nelle frittate e nei risotti. I germogli delle felci selvatico (pteridium aquilinum) sono usati, ben cotti, nella cuci- na giapponese. Il loglio (lolium perenne) è un buon foraggio, anche se il lolium temulentum, che infesta il grano, si è fatto una cattiva fama a causa delle sue cariossidi velenose, da cui deriva il detto separare il grano dal loglio, cioè distinguere il buono e il cattivo. Le gramigne (cynodon dactylon) hanno radici preziose per fare tisane rinfrescanti e, tostate, se ne ricava una buona bevanda scura senza ombra di caffeina. Il farinel- lo (chenopodium bonus enricus) noto anche come spi- nacio selvatico, è adatto alla preparazione di vari piat- ti. L’avena selvatica (avena fatua) è usata come antide- pressivo nei disturbi psicofisici. Gli amaranti verdi (amaranthus retroflexus) sono piante interamente com- mestibili, dalle radici ai semi. La radicchiella (crepis biennis) è un’erba amarognola che ben s’accompagna, nella insalate, alla cicoria, al crespigno e al tarassaco. Germoglio di felce L’acetosella (oxalis acetosella) è preziosa nella misti- canza. La panicastrella (Echinochloa crus-galli) è valida Ortica Gramigna come foraggio. Risulta che gli esseri umani si sono abituati a usare come cibo solo una minima parte delle specie vegetali utili; sembra 3000 su 30.000. Il gastrosofo non si meraviglia della stoltezza umana, ma la chiama col suo nome e invita a servirsi beatamen- te di ciò che la natura ammannisce.

[email protected] da la Loggetta n. 104 (lug-set 2015) la Loggetta lug-set 2015 La parola al gastrosofo

L’aglio rosso di Proceno: una prelibatezza ai confini della Tuscia

nutile dire che l’aglio è indispensabile nella cuci- Pier Luigi na della Tuscia, come in tutta la cucina italiana, tanto più che, dove la provincia di Viterbo Leoni Is’insinua tra l’Umbria e la Toscana, si produce un aglio eccellente: l’aglio rosso di Proceno. Il nome deriva dal colore rosa-vio- laceo delle tuniche dei bulbilli. Le sue particolari caratteristiche sono riconosciute non solo dalla vox popu- li, che ha già la sua importanza, ma sono verificabili praticamente e facil- mente. Tali caratteristiche attengono al sapore, che è molto intenso, e alla conservazione, che si protrae eccezionalmente a lungo. Infatti la varietà col- tivata a Proceno si sposa felicemente col microclima e col terreno agrario locale, dando luogo a un prodotto molto singolare. Sembra che le colline argillose dell’agro procenese siano soggette a crisi idri- che che “stressano” l’aglio limitandone la dimensione, ma accentuandone l’aroma e la durata. A maggio, per interrompere la fioritura che limiterebbe la crescita del bulbo, si estrae lo scapo florale, cioè il tallo, che localmente è chiamato tarlo. L’operazione è detta perciò starlatura e il prodotto che se ne ricava non solo è commestibile, ma ha un gradevole e delicatissimo sapore di aglio. I talli possono essere cucinati in vario modo. Il modo più semplice è saltarli in padella con olio e poco sale. Ovviamente senza aglio. Nella nostra società sempre più insofferente agli odori che promanano dai corpi umani, ai quali si preferiscono gli odori artificiali dei saponi, dei deo- doranti, dei dentifrici e dei colluttori, l’aglio dà sempre più fastidio. Perciò vengono continuamente escogitati consigli per eliminare l’inconveniente dell’odore che ema na chi ha mangiato dell’aglio. Ne riporto alcuni: mastica- re lentamente una mela o dei chicchi di caffè tostato o un rametto di prezze- molo o delle foglie di salvia o dei semi di anice; mangiare del miele o dello yogurt; bere un decotto di menta o un canarino (scorza di limone in acqua calda) o del latte o del vino rosso o del bicarbonato di sodio; succhiare uno spicchio di limone. Ma si tratta di rimedi poco efficaci perché l’odore dell’aglio si propaga non solo dall’alito, ma da tutta le pelle. Quindi il rimedio veramente efficace è non mangiare aglio. Ma si tratta di un sacrificio assurdo per chi non si vuole priva- re del rapporto con la cucina della propria terra. Perciò vi consiglio di evitare l’aglio solo quando, dopo mangiato, non potete appartarvi in solitudine o in seno a vostri intimi familiari o tra amici che puzzano anch’essi d’aglio.

[email protected] la 16 da la Loggetta n. 105 (ott-dic 2015) Loggetta ott-dic 2015 La parola al gastrosofo

Pier Luigi Leoni Un giro nell’area orvietano-viterbese alla ricerca dei piatti meno conosciuti: I crostini con le fave

I linguisti parlano di subregioni per definire quei territori dove, indipendentemente dai confini amministrativi, si A margine dell’intervento di Pier parlano dialetti affini tra loro e ben distinguibili da quelli Luigi Leoni, la Redazione de la Log- delle subregioni circostanti. In questo senso l’area orvie- getta ne saluta con gioia la recente tano-viterbese, quella compresa tra il Monte Peglia, il nomina a Delegato di Or vieto dell’Accademia Italiana della Cu - medio corso del Tevere, i cina, prestigiosa associazione fon- Monti Cimini e il Mare Tir- data nel 1953 da Orio Vergani e da reno è una subregione. Ma altri intellettuali per tutelare le tra- anche la cucina, come il dizioni della cucina italiana. All’e - dialetto, esprime il poli- poca, infatti, stava cominciando morfismo culturale che è una trasformazione profonda della particolarmente accentua- società che avrebbe migliorato le to in Italia per ragioni sto- condizioni di vita, ma avrebbe riche, geografiche ed eco- messo in pericolo valori importan- ti, compresi quelli della buona nomiche. Sia i dialetti che cucina italiana. Un’asso ciazione la cucina subiscono la con- che agisce con discrezione ed è taminazione da parte dei programmaticamente estranea al territori confinanti, non- mondo della politica, dell’economia ché l’assalto delle migra- e dei mass media. E’ organizzata in zioni, della televisione e gruppi, chiamati Delegazioni, che si della globalizzazione. Ma occupano ciascuno di un territorio provinciale o sub-provinciale (ma esistono anche numerose Delega- cercano di difendersi con una certa tenacia perché gli esseri umani, pur subendo il fascino delle utopie, temono la confusione, come chiaramente esprime il mito della zioni nazionali in gran parte del mondo). Ogni Delegazio ne è presie- Torre di Babele. Allora si comprende perché la forte immigrazione sarda del duta da un Delegato, nominato dal dopoguerra nell’Alto Lazio e nella Bassa Toscana, poco o punto abbia contaminato i presidente dell’Accademia che dialet-ti e la cucina, che sono rimasti ben distinti. E si compren-de pure perché l’area legalmente risiede in Milano. Le orvietana, incuneata fra l’Umbria e la Toscana, conservi una forte omogeneità Delegazioni - di cui quella di Orvie- linguistica e culinaria con l’Alto Viterbese. Certo, il gustosissimo, ben-ché insalubre, to, nata nel 1962, è una delle prime uso toscano di cuocere la carne sulla brace ha dilagato; ma non solo nell’area in ordine di tempo - organizzano orvietano-viter-bese; e non è detto che gli allarmi degli alimentaristi non lo riunioni conviviali nei ristoranti dei costringano alla marcia indietro. Molto divertente, anche se non sorprendente, è loro territori con lo scopo di inco- raggiare i gestori a valorizzare la constatare come, all’inter-no della nostra subregione, esistano piatti, come del resto inflessioni dilettali, limitati a minuscoli ambiti terri cucina della tradizione. Inoltre col- toriali. Mi limito, per chiudere, a laborano alla rivista dell’Accade- un solo esempio. I golosissimi “crostini con le fave”, tipici dell’aera orvietana, sono pressoché sco- mia, inviando i rendiconti delle riu- nosciuti nel Viterbese. Vale la pena leggere la ricetta censita dalla Dele-gazione di Orvieto dell’Ac- nioni conviviali con le relative valu- cademia Italiana della Cucina. tazioni, organizzano conferenze e convegni e assumono ogni iniziati- Fave secche, grammi 500; otto fette di pane raffermo; fiore secco di finocchio sel-vatico; olio va utile allo scopo sociale. Il tutto extravergine d’oliva; aglio; sale; pepe. autofinanziandosi e senza sponso- rizzazioni o rapporti privilegiati Lasciate le fave in ammollo in acqua fredda per circa 12 ore. Lessate le fave in con aziende di ogni specie. In acqua salata con un po’ di finocchio. Tostate le fette di pane e strusciatevi sopra particolare, l’ap partenenza all’Ac- l’aglio. Adagiate le fette tostate sui piatti. Tirate fuori le fave dal liquido di cottura cademia è incompatibile con con un mestolo forato. Versate sulle fette tostate le fave con un po’ di liquido di l’attività di ristorazione. cottura. Condite con olio, finoc-chio e un pizzico di pepe.

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da la Loggetta n. 106 (primavera 2016) la Loggetta primavera 2016 21 da la Loggetta n. 10 (ott-dic 2014) “Le Grandi Firme della Tuscia” È una iniziativa letteraria del club culturale orvietano Letteralbar, presentata a Orvieto con una conferen- za stampa il 22 dicembre scorso. Si tratta di una rivista aperiodica (nel senso che esce “se e quando è pronta”) che propone uno dei tanti modi possibili per impiegare saggiamente il tempo libero. L’umanità ha avuto sempre una grande ricchezza: il tempo libero. Tempo per dormire, e quindi per sogna- re ad occhi chiusi, tempo per sognare ad occhi aperti e tempo per raccontare sia i sogni della notte che quelli del giorno. I nostri lontani antenati, raccoglitori e cacciatori, dopo una giornata di attività indispensabili per sopravvi- vere, si riunivano intorno al fuoco per raccontare e per ascoltare. I nostri contadini analfabeti, fino a un secolo fa, si riunivano la sera nel tepore della stalla per raccontare e per ascoltare. La scrittura è una invenzione relativamente recente, che consente di racconta- re scrivendo e di ascoltare leggendo. Ma poiché ogni attività, anche se si tratta di impiegare del tempo libero, richiede un metodo, Letteralbar ha scelto il metodo di Piti- grilli. È costui uno scrittore italiano del secolo scorso, tra coloro che più hanno scritto, più sono stati letti e più hanno fatto scrive- re e leggere. Non ha fondato un partito, non ha costruito un siste- ma filosofico; ha esordito prendendo poco sul serio la vita e ha finito col prendere molto sul serio sia la vita che la morte. Gli ita- liani lo hanno dimenticato; più precisamente lo ricordano attra- verso alcuni celebri aforismi di cui ignorano l’autore. Uno di essi, forse il più citato, è “Non datemi consigli, so sbagliare da me”. Ma forse quello più emblematico è “Quando or-dini una botti- glia d’acqua gasata, c’è sempre un imbecille che ti avverte che dilata lo stomaco”. Queste e altre considerazioni si ricavano dal numero zero de “Le Grandi Firme della Tuscia”.

la Loggetta ott-dic 2014

Mentre stiamo chiudendo que- re paragonabile all'erotismo e Questo godibilissimo trattato sta rubrica ci giunge, graditissi- alla musica. Tutto chiaro. richiama, e ne sono felice, mo, l’ultimo libro di Pier Luigi Anche il nostro autore ce lo anche un altro volumetto del Leoni, Appunti di ga- spiega con l’aforisma “Gli ani- farnesano dott. Clodomiro Man- strosofia. Riflessioni sul- mali si nutrono; l’uomo man- cini: Peperomania,dicuicita la cucina della Tuscia con gia: solo l’uomo intelligente sa uno spassosissimo passaggio ampia rassegna di ricette mangiare”. Ebbene queste sono sull’uso di questa spezia e, in tradizionali (Grotte di C., le premesse di questo piccolo e questo clima “farnesano” Annulli Editore, 2016, p. 142, “saporito” saggio che si lega (anche il nostro Pier Luigi è vis- ill., di cui abbiamo un saggio all’arte del conviviare e di cui è suto da piccolo a Farnese) nella pagina seguente). Non stato maestro Ottaviano Raba- aggiungiamo anche quell’Elogio nascondiamo che siamo subito sco da Marta che, nel 1615, della Zuppa che, in fatto di ricorsi a Wikipedia per ebbe a scrivere il trattato, forse cucina delle nostre parti, è un poco conosciuto ma di eccezio- altro piccolo capolavoro. Le nale valenza per quel tempo, molte ricette, immediate e sem- cioè Il Convito. Overo discorsi plici, che l’autore ci propone, di quelle materie che al Convi- possono costituire veramente to s’Appartengono,editoperi un invito a tornare alla nostra Giunti di Firenze nel 1615. Da cucina contadina, che apparen- queste premesse possiamo temente mal si lega con la immaginare l’excursus “cucina- Gastrosofia, e che invece riporta comprendere l’inusuale termine rio” (si badi bene non “culina- a quel mangiare aulico e poco utilizzato nel titolo del libro: rio”, come ben ci tiene a preci- ricercato che anche i Farnese Gastrosofìa è una disciplina sare il nostro autore, per evitare praticavano prima della loro che si pone l'obiettivo di coniu- che si inquini con quel “prefis- avventura “nobiliare”. Non gare appetito, arte culinaria e so” poco appetibile il nostro essendo di origini illustri, dalle piacere per il buon cibo ed il gusto del mangiare) che si famiglie nobili romane venivano bere. La filosofia del gastrosofo muove tra le specialità della definiti una schiatta “provinciale è la ricerca di ciò che di terra di Tuscia, compreso il ter- e contadina”. Ma poi il “cervel- meglio offre l'arte del cucinare, ritorio di Orvieto che, fino al lo” di questi contadini ha prati- affinché il cibarsi e il bere non 1860, faceva parte delle Terre camente sconvolto Roma, la siano solo un modo di dar del Patrimonio di S. Pietro. Spe- corte papale e poi quelle euro- sostentamento al corpo, ma cialità che non escludono affat- pee. soprattutto un godimento del to il vino che accompagna noto- palato e della mente, un piace- riamente le nostre pietanze. [email protected] la Loggetta estate 2016 15 da la Loggetta n. 107 (estate 2016) La parola al gastrosofo

Pier Luigi Leoni La mentucciata Elogio della Una zuppa estiva che rappresenta degnamente la saggezza e la semplicità della cucina della Tuscia mela

Calamintha e alla specie nepeta,che “toccata” in Toscana poco apprezzano e chia- mano nepetella o nepitella e altrove coi nomi più vari: per esempio erba nuela in Liguria, menta salvadega in l mio compianto amico Lucio Maggio Veneto, calameinta e erba bona in I Aprile m’invitò a pranzo nella sua casa di Emilia, mentascina in Puglia, nipited- Graffignano e, al momento del-la frutta, da in Sicilia e nebidedda in Sardegna. mise sul tavolo un cestino di mele che La mentuccia di distingue dalle varie porta-vano tracce evidenti dell’attacco di mente, perché il contenuto di men- insetti parassiti. tolo è arricchito ed equilibrato da numerosi aromi che la rendono par- "In questa casa preferiamo le mele ticolarmente intrigante. ‘toccate’, che garantiscono l’assenza di Nella cucina della Tuscia, la mentuc- trattamenti con antiparassitari. Conoscendoti cia è indispensabile nell’acquacotta be-ne, sono sicuro che le gradirai”, disse e nelle lumache al tegame. È larga- Lucio col suo modo calmo, solenne e mente adoperata per aromatizzare i autorevole di esprimersi. In effetti le gra- funghi, tranne i porcini arrosto, per i dii e tirai fuori il coltello da tasca che quali si preferisce il fiore di finoc- porto sempre con me, retaggio chio. Pier Luigi È impiegata anche per condire dell’infanzia maremmana. Le mele che nel le melanzane grigliate le zucchine Vi-terbese chiamano “toccate”, con Leoni lessate e i pomodori insalata o al forno. Anche tutti i piatti dove sono espressione più gentile dell’italiano presenti i carciofi richiedono la “bacate”, richiedono un po’ di pazienza per mentuccia. Sovente è usata anche se-parare, con accurato lavoro di nella e nel pancotto. coltello, la polpa sana da quella rovinata, a gran parte degli italiani non Può essere impiegata con ma danno la soddisfazione di evitare l’as- consuma la Calamintha nepe- successo, insieme all’aglio, all’olio e sunzione di invisibili veleni e di ta, che invece è usatissima al pomo-doro, per riciclare il bollito condividere con la innata saggezza dei nella Tuscia, dove la chiamia- L avanzato ripassandolo in padella. bruchi antichi e genuini sapori. Quando i mo affettuosamente mentuccia. E poi c’è una zuppa che prende il pa-rassiti “pungono” la scorza della mela, Anche se non è una menta. Ma nome da questa umile pianta aroma- depositando le loro uova, il danno si può andiamo per ordine. tica. La famiglia botanica della Labiatae risolvere in una bolla poco profonda. A (o Lamiaceae) comprende molti volte il bruco nasce sano e forte e generi di erbe aromatiche diffuse Mentucciata s’insinua nella polpa della mela scavando anche in Italia. Alcune sono molto una piccola galleria. Altre volte l’intero usate nella cucina della Tuscia: sal- • Pomodori freschi, grammi 500 frutto è compromesso, ma ciò fa parte di • Aglio via, basilico, timo, maggiorana, ori- un gioco che è vecchio quanto il mondo; gano, menta e mentuccia. Il gastro- • Peperoncino • Mentuccia fresca un gioco che le attraenti e lucci-canti mele sofo non ha nulla da insegnare in proposte nei negozi, nei mercati e nei materia, ma non può esimersi dal •Olio supermer-cati, possono farci rilevare che alla mentuccia spetta • Pane casereccio raffermo un posto particolare. In primo luogo sciaguratamente dimenticare. non appartiene al genere botanico Su un soffritto di aglio e peperon- Se non avete un amico che coltiva mele Mentha, che comprende, tra gli altri cino versate i pomodori a pezzi senza trattamenti antiparassitari, cercate generi, il mentastro (Mentha rotundi- senza sbucciarli. A metà cottura di farvelo. Oppure girate nei merca-ti e folia o suaveolens), la menta piperita aggiungete foglioline di mentuc- circuite quei pochi agricoltori che (Mentha piperita, solo coltivata, cia in abbondanza. Aggiustate di vendono prodotti propri. Fatevi ottenuta per ibridazione di specie acqua e sale e minestrate sul promettere di portarvi mele bacate e selvatiche) e la menta romana (Men- pane raffermo. promettete di pagargliele quanto e più di tha viridis, anch’essa ibridata). La quelle sane. mentuccia appartiene al genere [email protected] da la Loggetta n. 108 (autunno 2016) da la Loggetta n. 107 (estate 2016)

16 la la L estate 2016 autunno 2016 oggetta Loggetta Miscellanea

La parola al gastrosofo Pier Luigi Leoni Il cazzimperio nella letteratura

Trilussa

E Trilussa, nel 1942, impiega il ter- mine in questione in una gustosa sa- tira politica. n corretto italiano si dice “pinzi- monio”, ma c’è chi sostiene che Nerone “cazzimperio” non sia un termine Isconciamente vernacolare, derivando Nerone aveva chiesto ar Generale: da un antico mestolo denominato “Che penseno de me? Vorrei sapello. “cazza”. Io ci credo poco. Ma va preso Dicheno che so’ brutto o che so’ bello? atto che il “cazzimperio”, che non sto Dicheno che fo bene o che fo male? a descrivere perché troppo noto, è en- Siccome in fonno nun ce vedo chiaro, trato nella letteratura. Lo nomina Giu- cerca de bazzicà quarch’osteria...”. seppe Gioachino Belli in due sonetti: Quello rispose: “Sì, pe’ parte mia uno, del 1832, è troppo osceno per me posso travestì da carbonaro. una rivista come la Loggetta, che è Vado, bevo un goccetto, faccio er tonto, letta anche dagli adolescenti e dalle je reggo er gioco, je do spago eppoi monache di clausura; l’altro, del 1831, a mezzanotte torno qui da voi a favve tuttoquanto er resoconto”. può essere citato: E, lì, se tinse er grugno de carbone, se messe una giaccaccia e serio serio agnede a l’osteria der Cazzimperio framezzo a li gregari de Nerone. “Bottega! - dice - Mezzo litro asciutto!”. E locco locco se pijò una sedia, se guardò intorno, fece la commedia, finse d’appennicasse e intese tutto. Tornò a la Reggia ch’era mezzanotte. “Embè? - chiese Nerone - che se dice? Racconta... Com’annamo?”. “A burr’e alice! La gente magna, beve e se ne fotte... Data, però, la folla così enorme, quarche scontento... veramente c’era... Sciocchezzole, lo so... Ma un’antra sera è mejo c’io ce vada in uniforme... “Va’ là! - strillò Nerone - e fila dritto! Giuseppe Gioacchino Belli Se t’amanca er coraggio, come pare, [...] Scappò allora ridenno er sor Zaverio: de parlà franco e di’ le cose chiare, «Co sale e ppepe e cquattro gocce d’ojjo abbi la furberia de statte zitto”. poderissimo facce er cazzimperio» [email protected]

da la Loggetta n. 109 (inverno 2016/17) 16 inverno 2016/17 Pier Luigi Leoni Pier Luigi Leoni Il gastròsofo

La parola al gastrosofo Zuppa di gamberi a Santa Marisala a semi-cultura dei topografi, dei geografi e dei tecnici Alimurgía e “foraging” del catasto ha sistematicamente snobbato i nomi di che passione! monumenti, luoghi e corsi d’acqua tradizionalmente attribuitiL dagli abitanti di modeste aree geografiche. Così, Alimurgìa, termine italiano poco usato, e foraging, termine inglese limitandomi alle mie parti, la Fiora e la Marta sono diven- sempre più di moda, accompagnano il gastrosofo nell’approccio al tati il Fiora e il Marta. E il maggiore affluente della Fiora, crescente interesse alla raccolta e al consumo dei vegetali sponta- l’Òlpita, è diventato l’Olpeta. Più accettabile che si designi nei. come Santa Maria di Sala, invece che col popolare Santa L’alimurgia, o, più esattamente, la fitoalimurgia, è un termine co- niato dal medico fiorentino Giovanni Targioni-Tozzetti dopo la ca- Marisala, la chiesa del XII secolo, recentemente restau- restia del 1764. Il termine deriva dalla composizione di tre vocaboli rata, che si trova qualche chilometro a nord dell’abitato greci: phitón = pianta, alimos = che toglie la fame ed ergon = la- di Farnese. Infatti il termine sala testimonia la presenza di voro, opera. Il Targioni-Tozzetti, col suo libro De alimenti urgentia, una unità fiscale-amministrativa longobarda. insegnava che si può far fronte alle carestie utilizzando le parti com- mestibili delle piante: fusto, germogli, fiori, radici, tuberi e bulbi. Foraging è invece una parola inglese che significa andare in giro Santa Maria di Sala alla ricerca di cibo. Riferita ai vegetali, equivale all’italiano “raccolta di erbe spontanee”. Queste parole sono di attualità in Italia perché sta tramontando il mito della dieta mediterranea e gli italiani si stanno accorgendo di essere sempre più obesi o in sovrappeso e ammalati di diabete. Il 16% degli italiani sono obesi e il 50% in sovrappeso. Ciò comporta alto rischio di malattie cardiovascolari e di cancro. E si sa che l’obe- sità e il sovrappeso sono causati dall’ingestione di un eccesso di car- boidrati (zucchero, pane, pasta, patate, legumi) e dalla sedentarietà. Che c’è allora di più salutare che andare in giro per i campi a rac- cogliere vegetali commestibili che ancora sono presenti nei nostri ecosistemi? Così possiamo fare del moto ed evitare di assumere so- stanze dannose per la salute che derivano dalle concimazioni, dai trattamenti fitosanitari e dalle sostanze con cui viene conservata la frutta. Basta andare in giro bene informati, poiché abbiamo perso l’esperienza dei nostri progenitori e rischiamo di farci del male. Circolano varie teorie in materia di nutrizione, ma esistono delle Tutto questo per introdurre un invito a gustare una zuppa evidenze scientifiche che è prudente non trascurare: una è che la di gamberi d’acqua dolce cucinata all’aperto. Infatti fu pro- vegetazione spontanea commestibile non fa ingrassare, regola la prio accanto al fontanile di Santa Marisala che, quasi ses- pressione arteriosa, tiene bassi il colesterolo e i trigliceridi. sant’anni fa, una allegra comitiva della quale facevo parte, cucinò magistralmente e gustò gamberi di fiume appena pe- [email protected] scati nell’adiacente Olpeta. Il tempo trascorso mi consente di confessare che i gamberi erano stati pescati con le mani, metodo oggi giustamente proibitissimo. Ma allora eravamo ancora in pochi ad andare in giro a fare danni all’ambiente. Coi gamberi si fece una zuppa nel modo più semplice che io conosca, usando una padella di ferro che, insieme a piatti e posate d’alluminio, avevamo caricato su un asino. Dei bicchieri si poteva fare a meno perché eravamo esperti nel bere il vino “a tonfo” dai fiaschi. Non manca- vano olio, pane, aglio, sale e prezzemolo, nonché gl’indi- spensabili fulminanti per accendere il fuoco. Il vino era abbondante, calcolato in un litro e mezzo a testa. Ma era un vinello casereccio che non raggiungeva i dieci gradi. Facemmo dorare nell’olio di oliva alcuni spicchi d’aglio schiacciati col palmo della mano, poi li togliemmo e ag- giungemmo i gamberi. Aggiungemmo sale e peperoncino e, a metà cottura, prezzemolo e vino bianco. Versammo la zuppa su abbondante pane sciapo. Tornammo al paese con l’asino alleggerito di tutto il vino. Consiglio vivamente di fare una gita a Santa Marisala, però lasciando in pace i pochissimi gamberi che ancora sopravvivono nel corso superiore dell’Olpeta. Per fare una zuppa all’aperto, si può rimediare con dei gamberi d’acqua dolce surgelati. [email protected] “Una familia”, olio su tela 241 x 185 di Fernando Botero (1989) da la Loggetta n. 110 (primavera 2017) da la Loggetta n. 111 (estate 2017)

primavera 2017 estate 2017 Miscellanea La parola al gastrosofo Pier Luigi Leoni Il gastròsofo Pier Luigi Leoni Contro l’antipasto L’intramontabile successo del ciambellone Il sano appetito non ha bisogno di essere stuzzicato e parliamo di alimentazione, l’“appetito” è il desi- n punto di forza della cucina di casa mia è il classico derio di mangiare ed è meno forte della fame, che ciambellone. Non solo per il consumo familiare, ma per farne dono a parenti e amici che lo gradiscono è grave bisogno di cibo. Da un sano appetito di- e,U a volte, lo chiedono con insistenza. La ricetta non ha pendeS il sano piacere della tavola. A questo si riferiva niente di originale o di segreto. L’ho anche pubblicata nel San Tommaso Moro nei primi versi della sua “poesia del 1° Censimento della Cucina Orvietana, realizzato nel 2012 buonumore”: Dammi o Signore, una buona digestione e dalla Delegazione di Orvieto dell’Accademia Italiana della anche qualcosa da digerire. Cucina. Ho cercato a lungo la spiegazione della fortuna del Avere poco o punto appetito è una sfortuna dipendente ciambellone e sono arrivato alle seguenti conclusioni. Una da una malattia o da un difetto cronico dell’organismo. ragione è la forma, dovuta allo stampo di alluminio che Ma avere un sano appetito è una fortuna che non va of- comporta il buco centrale ed evita così l’eccessiva umidità fesa e sciupata con l’ingordigia. Il vizio della gola è ap- all’interno. È vero che il buco centrale manca quando il punto la cattiva abitudine di sfruttare il sano appetito ciambellone deve essere utilizzato per la . Ma per ricavarne un piacere superiore a quello che esso è quella è una utilizzazione impropria al posto del pan di predisposto a dare. Mantenere l’equilibrio fra il sano Spagna (buona però!). Un’altra ragione è l’equilibrio di an- piacere (l’honesta voluptas di cui scrisse il Platina, fine tichi sapori e odori: pochi, semplici, ma presenti nella me- umanista del Quattrocento) e la malsana ingordigia, è moria di chi è cresciuto con la cucina di casa. Tra gli aromi, un esercizio che l’ottocentesco umorista Giovanni Raj- una menzione particolare merita il lievito (Pane degli An- berti (1805-1861) affronta in modo divertente parlando geli vanigliato per dolci) che introduce un leggero odore antipasto di vaniglia. Sappiamo che si tratta di vaniglia chimica, ma dell’ , questa abitudine che può significare la sua molecola è identica quella della vaniglia naturale. Se “prima del pasto”, ma anche “contro il pasto”. i raffinati la disprezzano, non così le papille olfattive, che Scrive il Rajberti nel suo libro L’arte di convitare spie- tengono conto della molecola e non delle chiacchiere. gata al popolo: “A motivo appunto della sua squisitezza Avere nella credenza un ciambellone vuol dire non avere il salato non deve essere servito pel primo, perché c’è problemi per la prima colazione all’italiana, perché questo l’inconveniente di mangiarne troppo. Si va a tavola mu- dolce si sposa magnificamente al caffellatte, non è scon- niti, come è naturale, di molta fame per far onore al- fortante come le fette biscottate ed è più leggero dei gras- l’ospitalità, ond’è che ci avventiamo con un certo sissimi cornetti. Non solo, ma, dopo un pranzo leggero, è ardore sulla prima preda che ci si presenta: ma questa adattissimo come dessert, dopo essere stato bagnato, a è singolarmente appetitosa, e quelle amabili gradazioni seconda dei gusti e degli umori, con rum o brandy o al- di rosso vivo, pallido, venato, screziato, e quelle molte- chermes o Strega o o caffè sport o San Marzano plici fragranze reclamano tutte i loro diritti: bisogna as- o altro liquore secco o dolce. saggiare una fetta di questo, una di quello, una di un La mia ricetta è molto semplice e non mi offendo se qual- terzo genere, una di un quarto: trovato quello che me- cuno storce il naso e vanta la propria. Il gastrosofo sa che glio solletica il proprio gusto, lo si sceglie e si va giù in coloro che amano cucinare sono come i tifosi di calcio: seconda, molti vanno in terza, massime se si tarda al- ognuno possiede la formazione ideale della squadra del cuore. quanto a servire altre vivande: e così chi non porta in- torno uno stomaco di commendevole capacità, s’accor- Ecco la ricetta. ge con dispiacere di aver già consumato molto della fa- 300 grammi di zuc- coltà mangiativa, di avere semidesinato a pranzo ap- chero, cinque uova in- pena iniziato, anzi, a rigore di termini, prima di comin- tere, un bicchiere di olio extra vergine d’oli- ciare il pranzo. Perché questo consta di piatti, e dai più va, un bicchiere di lat- si nega che il salato sia un piatto. E hanno ragione; men- te, un pizzico di sale, treché piatto o pietanza non può essere che una cosa una buccia di limone preparata, comunque, in cucina”. grattugiata, farina [email protected] quanto basta, due bu- stine di Pane degli An- geli vanigliato per dolci. Sbattere le uova con lo zucchero, aggiungere la buccia di li- mone, il sale, la farina, il latte e l’olio. Formare una pasta piut- tosto lenta. Aggiungere il lievito. Imburrare lo stampo e aggiungervi il composto. Cuocere in forno a 200° per 10 mi- nuti e a 180° per circa 45 minuti. Per verificare la cottura usare il classico stecchino: infilzare il ciambellone e, quando lo stecchino risulta asciutto, sfornare il dolce.

[email protected] da la Loggetta n. 112 (autunno 2017) da la Loggetta n. 113 (inverno 2017-18) 1MISCELLANEA_1 miscellanea 12/04/2018 09:37 Pagina 22

Miscellanea La parola al gastrosofo Pier Luigi Leoni Cucinare nasce femmina arlo di maschi e femmine nel senso strettamente anatomico e mi dichiaro d’accordo con la chef Vi- viana Varese, quando sostiene che cucinare nasce Pfemmina. Ma il mestiere di chef è maschio. Perché è fa- tica. Però non in senso assoluto, perché maschi sma- nettoni nelle cucine di famiglia sono sempre esistiti e femmine abbastanza robuste da sostenere l’impegno nelle cucine di alberghi e ristoranti abbondano. Per dimostrare che cucinare nasce femmina bisogna tener conto che la gastronomia ha una funzione norma- tiva, ma, nella sua applicazione, diventa un’arte: l’arte della cucina, appunto. Ma le arti sono tante e, per orien- tarsi, sono state inventate le classificazioni: arti mag- giori e arti minori, arti visive e arti performative e così via. E poi c’è la dottrina filosofica del sublime nell’arte, per cui la Pietà di Michelangelo va distinta da un bel piatto di fettuccine. Ebbene, Michelangelo ha arricchito l’umanità dal punto di vista culturale, ma non ci sa- rebbe stato Michelangelo se la mamma non l’avesse svezzato con le pappine e non gli avesse preparato i pranzi e le cene. Probabilmente la mamma di Michelangelo, come molte mamme nei secoli, ha vissuto più serenamente di Mi- chelangelo, perché l’arte della mamma è stata, per molti millenni, quella di pulire la casa, cucinare e prov- vedere alle altre faccende domestiche. Un’arte molto più in sintonia della scultura, o della pittura, o dell’ar- cora cucinano e fanno le faccende, siano tutt’altro che chitettura, con i ritmi della vita. La vita è fatta di na- casalinghe disperate [desperate housewives], come vuol scite, di morti, di cicli continui. L’uomo vive in mezzo far intendere una serie televisiva americana. Basta con- alle piante, agli animali, ad altri esseri umani, a parenti, frontarle con quelle che lavorano fuori casa, si dedi- amici, a umanità che si rinnova continuamente, che cano poco o punto ai fornelli, comprano cibi nasce e che muore. preconfezionati, si svegliano stranite la mattina per cor- E che c’è di più conforme ai cicli naturali rispetto alla rere a lavorare per un datore di lavoro che non è il ma- cucina e alle faccende domestiche, dove tutto si fa per rito padrone, ma sempre padrone è. un giorno di lavoro, per una notte di sonno, per un Non sto lodano i tempi andati. I rimpianti li tengo per pasto di mezz’ora? Un bel piatto che viene portato a ta- me. Intendo solo dire che la cucina della tradizione, vola fumante ha richiesto ore di lavoro e sparisce in quella dell’uso sapiente degli ingredienti disponibili, dei pochi minuti. Poco dopo si torna a fare un altro piatto modi e tempi di cottura, della confezione dei piatti per per la cena, poi si va a letto. E la mattina le donne met- la tavola, della scelta e della cura degli attrezzi e delle tono (anzi, mettevano!) a cuocere il sugo, che richie- stoviglie, della sollecitudine per il benessere proprio e deva tre o quattro ore di cottura, anche perché il fuoco dei familiari, nasce dalle donne. era veramente un fuoco lento. Invece la cucina pesante, quella delle case dei ricconi e Queste donne che cucinavano producevano delle opere quella degli alberghi, dei ristoranti e delle mense azien- d’arte che poi dovevano essere consumate, dovevano dali è stata sempre appannaggio degli uomini, che ne sparire e poi dovevano essere rifatte. Queste donne hanno approfittato per introdurre lussi, sprechi, esage- erano veramente in sintonia con i ritmi della natura, e razioni. per questo campavano più degli uomini, nonostante i È’ per questo che il gastrosofo guarda con sospetto la parti e gli sbalzi ormonali che avrebbero atterrato cucina creativa. anche il più robusto degli uomini. (da Appunti di gastrosofia, Eppure queste donne erano normalmente meno malate Annulli ed., Grotte di Castro, 2016) degli uomini e vivevano più a lungo di essi. Ancora oggi [email protected] si può constatare come le donne di casa, quelle che an- da la Loggetta n. 114 (primavera 2018)

22 primavera 2018 Miscellanea La parola al gastrosofo Pier Luigi Leoni La cura della semplicità Come disintossicarsi dall’alimentazione sbagliata

nche se tutta l’umanità fosse in sciamente si odino perché si ren- dita con ricotta di pecora stemperata grado di alimentarsi adeguata- dono conto di avere le potenzialità con un po’ dell’acqua di cottura della Amente, non verrebbero meno per essere felici, ma di essere inca- pasta e condita con zucchero e can- gli inconvenienti dovuti all’intreccio paci di utilizzarle. Ma non voglio at- nella; è adatto qualsiasi tipo di pasta, di razionalità e di sentimenti che de- teggiarmi a filosofo e a teologo e mi compresa quella all’uovo. termina il comportamento umano. La limito, da gastrosofo, a utilizzare la Mentucciata: pomodori freschi ma- ragione ci spinge ad alimentarci per cucina per consigliare periodi di di- turi cotti in un soffritto di aglio e pe- sopravvivere e mantenere o recupe- sintossicazione dalle dipendenze ali- peroncino con l’aggiunta, a metà rare la salute. Ma è tutt’altro che fa- mentari, facendo contenti i nostri cottura, di abbondanti foglioline di cile. Gli scienziati e gli specialisti ci amici medici, a costo di scontentare mentuccia; una zuppa da minestrare aiutano, ma non sono in grado di ac- i nostri amici ristoratori. La cura da su pane raffermo. cordarsi per darci consigli di carat- me consigliata è quella della cucina Pansanella: pane casereccio raffermo tere generale e assoluto; inoltre noi “semplice” della Tuscia, alla quale imbevuto d’acqua e condito con po- comprendiamo solo parzialmente le appartengono, tra tanti altri, i se- modorini freschi maturi, basilico, prescrizioni, secondo il nostro livello guenti deliziosi piatti. olio, sale, cetrioli, sedano, cipolla, di intelligenza e di cultura. prezzemolo, aceto e pepe. Insalate varie di verdure crude: fon- Per esempio, qualche giorno fa sono damentale è il condimento, che an- stato colto dal rimpianto per gli spa- drebbe fatto con una emulsione che ghetti a e, per scrupolo si ottiene mescolando energica- nei confronti del mio stato di salute, mente olio, aceto e sale (vinaigrette) ho fatto una ricerca sugli “effetti in- oppure olio, succo di limone e sale desiderati” del pepe nero, come fac- (citronette); in ogni modo va evitato cio quando, nonostante il consiglio l’errore di mettere prima l’olio, che del medico, leggo attentamente i bu- crea una patina sulle verdure e impe- giardini dei farmaci… e mi terro- disce agli altri ingredienti di mesco- rizzo. Confesso di non averci capito larsi, quindi si versi prima il sale, poi niente e di essermi rifugiato nel l’aceto (o il succo di limone) e alla motto di Paracelso che “tutto è ve- : quella classica della Tu- fine l’olio. leno, e nulla esiste senza veleno. Solo scia consiste in fette di pane sciapo la dose fa in modo che il veleno non leggermente bruscato, insaporito faccia effetto”. Perciò mi sono cuci- con aglio strusciato, sale e olio extra- nato solo mezz’etto di e ho vergine di oliva. usato poco pepe nero di buona qua- Pasta in bianco: condita con burro o lità macinato all’istante. con olio e.v.o., a seconda dei gusti, e Nell’alimentazione umana, lo sforzo con il parmigiano grattugiato da della ragione è sostenuto dall’amore pochi minuti; è opportuno salare un per la vita. Ma tale sentimento varia po’ più abbondantemente l’acqua di da individuo e a individuo e, nello cottura della pasta e utilizzarne qual- stesso individuo, a seconda dei mo- che cucchiaio per rendere più cre- menti. Si può arrivare a stancarsi moso il condimento. Cazzimperio: ortaggi crudi intinti in della vita e persino a odiarla fino a una salsetta formata da sale, olio e suicidarsi. Ma oltre al suicidio volon- pepe. Col cazzimperio concludo i tario, consapevole, traumatico, c’è mei consigli, non senza far presente una forma generalizzata di suicidio che, se pronunciare tale parola v’im- involontario mediante il fumo, l’al- barazza, potete dire, in corretto ita- cool, le droghe e l’alimentazione quo- liano, pinzimonio; oppure precisare tidiana, nonché regimi di vita in altro che la parola potrebbe derivare da modo pericolosi. Come si concilia “cazza”, un antico mestolo usato l’amore per la vita con queste forme dagli alchimisti. di suicidio involontario? Io tendo a pensare che gli esseri umani subcon- Maccheroni con la ricotta: pasta con- [email protected]

da la Loggetta n. 115 (estate 2018) 32 estate 2018