La mia vita per la pace

La mia vita per la pace

Sun Myung Moon La mia vita per la pace

Copyright © 2010, 2011: Steber Edizioni di Ciacciarelli Antonio via Carducci 3, 24127 Bergamo BG [email protected] - www.steberedizioni.it e FFUPM - Via di Colle Mattia 131 - Roma Facebook: Chiesa dell’Unificazione

La prima edizione in lingua coreana di quest’opera è stata pubblicata nel 2009 da Gimm-Young Publishers, Inc. - Seul, Corea del Sud

La sua prima edizione in lingua italiana è stata pubblicata nel 2010 da Steber Edizioni, con il titolo «Un cittadino globale amante della pace»

Tutti i diritti riservati. La riproduzione anche parziale senza il consenso di Steber Edizioni o di FFUPM è vietata.

Grafica Copertina ed impaginazione: Viviana Valenti - Bergamo - [email protected] Presentazione

Il nome di Sun Myung Moon è ben conosciuto, in Italia come in tutto il mondo, quale fondatore del movimento spirituale noto come Chiesa dell’Unificazione o Movimento dell’Unificazione. La notorietà del nome si accompagna però ad una conoscenza inade- guata della sua figura e del suo messaggio e permangono, nella mente dei lettori meno giovani, i ricordi degli attacchi che gli venivano rivolti dalla stampa, soprattutto negli anni ’70 e ’80. Oggi da questo punto di vista la situazione è molto più serena; la stam- pa sta guardando in modo più obiettivo, con minori preconcetti, al fenomeno Moon. Giunge quindi a proposito questa autobiografia che permette, a chi lo desidera, di conoscere - direttamente dalle parole dell’autore - chi è, cosa si propone, cosa ha fatto nella sua vita il fon- datore della Chiesa dell’Unificazione. Chi ricorda gli articoli che un tempo lo attaccavano resterà sorpreso nello scoprire una persona completamente diversa da quella che aveva immaginato: scoprirà un leader religioso che ha attirato tante persone nel suo Movimento, proponendo la realizzazione di un nuovo mondo; un mondo che né scende dal cielo né viene costruito solo dagli uomini, ma che viene realizzato dalla cooperazione tra l’uomo e Dio. La sua visione quindi non è né miracolistica né puramente umanistica; è piut- tosto una visione che coinvolge la libertà e la responsabilità dell’uomo nella realizzazione di un mondo nuovo. Un’altra osservazione fondamentale è che si può essere d’accordo o meno con le affermazioni dell’autore rispetto a vari argomenti, ma non si può certo sostenere che le sue posizioni siano astratte o teoriche: tutto ciò in cui crede lo ha messo egli stesso in pratica per primo, pagandone in prima persona le conseguenze; cito solo ad esempio i sei periodi trascorsi in prigione in Corea del Nord, in Corea del Sud, negli Stati Uniti. Si potrà essere incuriositi o scettici anche di fronte al suo amore così

Presentazione 7 profondo per la Corea ed all’affermazione che quella piccola nazione dell’Est è destinata ad avere un ruolo fondamentale nell’era del Paci- fico; non si possono però scartare questi aspetti definendoli a priori come infondati. Le sue argomentazioni sono infatti numerose, concre- te e ponderate, e non ci resta che aspettare qualche anno per vedere se le sue previsioni si avvereranno o meno. A poco più di un anno dalla comparsa del libro in lingua originale possiamo finalmente proporlo anche in italiano. In Corea nei dodici mesi successivi alla pubblicazione, quest’opera è stata più volte in cima alla classifica dei bestseller. Inoltre, in meno di un anno e mezzo ne è stato venduto oltre un milione di copie, segno di un sano desiderio di conoscere «il suono dell’altra campana». Questo desiderio, tra l’altro, è espressione del senso profondo della vera libertà. Questa infatti è possibile solo se per compiere le proprie scelte ci si può basare non sui «si dice» o sull’informazione a senso unico, ma attingendo direttamente alla fonte delle notizie. Qualunque cosa si pensi di Sun Myung Moon bisogna prendere atto del fatto che ha scosso lo status quo delle religioni nel mondo; il Movi- mento da lui creato non è un fenomeno passeggero, è una realtà di cui tenere conto e su cui informarsi perché, indipendentemente dall’opinio- ne di ciascuno in merito, avrà certamente un impatto sul nostro futuro. Uno dei messaggi fondamentali presente in quest’opera è quello rela- tivo alla cooperazione tra le religioni, ed il forte invito a considerare la propria religione non più come via esclusiva per la salvezza personale, ma come mezzo per aiutare i propri compagni di fede a vivere una vita spirituale, valorizzando anche le strade diverse dalla propria. Questo è un messaggio il cui valore difficilmente può essere sottaciuto: indica infatti l’unica via possibile alla convivenza tra culture e religioni diverse.

Bergamo, dicembre 2010 L’Editore

8 Presentazione Premessa

n’insistente pioggia primaverile è caduta tutta la scorsa notte, mettendo fine ad un periodo di siccità invernale. È stato così bel- loU aver avuto questa pioggia, che ho trascorso l’intero mattino passeg- giando nel parco. Il terreno aveva quell’aroma fragrante di terra umi- da di cui avevo sentito la mancanza durante tutto l’inverno, mentre il salice piangente e i ciliegi facevano già intravedere i segni delle nuove gemme primaverili. Mi sembrava quasi di sentire la vita che tornava qua e là nel parco. Allo stesso tempo mia moglie, che mi aveva seguito, stava raccogliendo dei freschi germogli di artemisia che erano riusciti ad emergere tra l’erba secca. La pioggia della notte aveva trasformato il parco in un profumato giardino di primavera. Per quanta confusione possa esserci nel mondo, inevitabilmente, quan- do il calendario giunge a marzo, la primavera si ripresenta. Più divento anziano, più trovo significativo che nella natura la primavera faccia seguito all’inverno, portando con sé tanti fiori in pieno rigoglio. Chi sono mai io perché Dio, in ciascuna stagione, faccia sbocciare i fiori e cadere la neve, così che io possa provare la gioia di esser vivo? L’amore emerge dalle più riposte profondità del mio cuore e resto sopraffatto dall’emozione. Sono mosso alle lacrime al pensare che tutto ciò che vale veramente mi è stato dato gratuitamente. Nella mia vita ho fatto tante volte il giro del mondo, impegnato a costruire un mondo di pace, e tuttavia è qui, in questo giardino di primavera, che riesco a gustare la pace vera. Dio ci ha dato anche la pace, ma noi l’abbiamo perduta da qualche parte e adesso passiamo la vita a cercarla nei posti sbagliati. Per portare la pace nel mondo ho trascorso la mia vita visitando i luo- ghi più depressi ed emarginati. In Africa, ho incontrato madri che non potevano far altro che assistere impotenti alla morte per fame dei loro figli; nell’America del Sud ho incontrato padri che vivevano in riva a un fiume pieno di pesci, ma non riuscivano a mantenere le proprie

Premessa 9 famiglie con la pesca. Sulle prime non feci altro che condividere con loro il mio cibo, ma in cambio essi mi offrirono il loro amore. Inebriato dalla forza dell’amore, ho cominciato a piantare sementi ed a coltivare boschi. Insieme abbiamo pescato per nutrire i bambini affamati e ab- biamo usato gli alberi per costruire le scuole. Ero felice anche quando le zanzare mi divoravano, mentre pescavo durante tutta la notte. E an- che se mi trovavo sprofondato nel fango fino alle ginocchia, ero felice perché potevo vedere le ombre della disperazione scomparire dal volto del mio prossimo. Nella ricerca della strada più breve per un mondo di pace, mi sono sforzato di ispirare la trasformazione del processo politico e cambiare il modo di pensare della gente. Ho incontrato l’allora Presidente dell’U- nione Sovietica Michail Gorbachev, deciso com’ero a favorire la ricon- ciliazione tra il comunismo e la democrazia, e ho incontrato l’allora Presidente della Corea del Nord Il Sung, per discutere di come avremmo potuto portare concretamente la pace alla penisola coreana. Sono andato negli Stati Uniti nel pieno del loro declino morale. Nel ruolo del pompiere che accorre a una chiamata, ho cercato di risveglia- re il loro spirito puritano. Mi sono dedicato a risolvere vari conflitti nel mondo. Nella mia opera di pace tra Musulmani ed Ebrei, non mi sono fatto dissuadere dalla crescente minaccia del terrorismo. Come frutto dei miei sforzi, Ebrei, Musulmani e Cristiani si sono radunati a migliaia, partecipando a manifestazioni e marce per la pace. Purtroppo il conflitto continua. Ho comunque la speranza che un’era di pace stia per iniziare in Corea. La penisola coreana è stata prepa- rata attraverso un’infinita serie di sofferenze e attraverso la tragedia della divisione, e sento nel più profondo del cuore che grazie a queste sofferenze un’energia potente è stata immagazzinata ed è pronta ad esplodere. Proprio come nessuno può impedire l’arrivo di una nuova primavera, nessuna forza umana può impedire che la fortuna celeste emerga nella penisola coreana e si espanda in tutto il mondo. La gen-

10 Premessa te deve prepararsi a salire sull’onda della fortuna celeste1, non appena questa arriva. Io sono un personaggio controverso. In qualsiasi angolo del mondo basta pronunciare il mio nome per portare scompiglio. Non ho mai cercato ricchezza o fama, ma ho passato tutta la vita a parlare solo di pace. Nonostante ciò, il mondo ha associato il mio nome a motti di scherno, mi ha respinto e mi ha tirato pietre. A molti non interessa neppure sapere cosa io dica o cosa io faccia, mi si oppongono e basta. Nel corso della mia vita sono stato incarcerato ingiustamente sei volte: nel Giappone imperiale, nella Corea del Nord di Kim Il Sung, nella Corea del Sud governata da Syngman Rhee e anche negli Stati Uniti, e in certe occasioni sono stato percosso così duramente che la carne mi è stata strappata dal corpo. Oggi, però, nel mio cuore non rimane neppure la più piccola ferita. Qualsiasi cicatrice scompare facilmente in presenza del vero amore. Anche i nemici si dissolvono senza la- sciare traccia, di fronte al vero amore. Il vero amore è un cuore che dà e dà, e vuole continuare a dare. Il vero amore è quello che arriva a dimenticare di aver già dato amore e ne dà di nuovo. Io ho trascorso tutta la vita inebriato da questo amore. Non desideravo niente che non fosse l’amore, e mi sono gettato con tutto il mio essere nell’impegno di condividerlo con coloro che ne avevano bisogno. Talvolta, il cammino dell’amore è stato così arduo da piegarmi le ginocchia, ma anche allora mi sono sentito felice nel profondo del cuore, perché ero intento ad amare l’umanità. Anche adesso sono pieno dell’amore che non sono ancora riuscito a dare. Presento questo libro con la preghiera che questo amore diventi un fiume di pace, capace di dissetare questa terra inaridita e di giungere

1 Il concetto di «fortuna celeste» è spiegato più avanti nell’opera, ma per una migliore comprensione del testo la anticipiamo qui. Secondo Sun Myung Moon, «La fortuna celeste è una forza che muove il mondo… Possiamo non saperlo, ma esiste un principio chiamato ‘fortuna celeste’, che Colui che ha creato questo mondo usa per attuare la Sua provvidenza di salvezza».

Premessa 11 in capo al mondo. Di recente sono diventate più numerose le persone che vogliono saper- ne di più sul mio conto. Per costoro sono ritornato con la memoria ai miei anni passati, ed ho riportato con sincerità i miei ricordi in questo libro. Per ciò che riguarda gli avvenimenti che non ho potuto includere in questo volume, spero che mi si presentino altre occasioni per par- larvene. Il mio amore sconfinato va a tutti coloro che hanno avuto fede in me, mi sono rimasti a fianco e hanno vissuto la loro vita con me; mi rife- risco in modo particolare a mia moglie, Hak Ja Han Moon, alla quale sono profondamente grato per aver lottato insieme a me fino a scalare le vette più impervie. Infine, vorrei esprimere la mia sentita gratitudine a Eun Ju Park, presi- dente della Gimm-Young Publishers Inc., che ha desiderato la pubbli- cazione di questo libro con grande sincerità e dedizione, e a tutti coloro che, nella casa editrice, si sono adoperati per rivedere il testo facendo in modo che il contenuto, spesso complesso, potesse essere compreso facilmente dai lettori.

Cheongpyeong, Corea del Sud, 1° marzo 2009

Sun Myung Moon

12 Premessa

Capitolo 1

Il cibo è amore

Ciò che ho compreso sulla pace quando mio padre mi portava in spalla

er tutta la vita ho avuto un unico pensiero. Volevo realizzare un mondo di pace, un mondo in cui non ci fossero guerre e tutta l’umanità vivesse nell’amore. Magari a qualcuno verrà da dire: P«È mai possibile che tu abbia pensato alla pace fin da bambino?». Ma è davvero così sorprendente che un bambino sogni un mondo pacifico? Nel 1920, quando nacqui, la Corea era sottoposta all’occupazione del Giappone. Inoltre, dopo essere stati liberati nel 1945, abbiamo avuto la guerra di Corea, la crisi finanziaria dell’Asia e numerose altre situa- zioni difficili. Per tanti anni, la mia terra ha avuto poco a che vedere con il concetto di pace. Ma quei tempi di sofferenza e confusione non hanno riguardato soltanto la Corea. Le due guerre mondiali, la guerra del Vietnam ed i conflitti in Medio Oriente dimostrano che le popo- lazioni del mondo continuano a considerarsi nemiche, minacciandosi e bombardandosi a vicenda. Forse, per chi ha provato l’orrore dei corpi insanguinati e delle ossa spezzate, la pace è qualcosa che si può solo sognare. Ma la pace non è così difficile da ottenere. Per cominciare, possiamo trovare pace nell’aria che respiriamo, nella natura e nelle per- sone che ci circondano. Quando ero bambino, i prati erano la mia vera casa. Subito dopo aver trangugiato la mia scodella di riso a colazione, correvo fuori e passavo tutto il giorno tra colline e ruscelli. Potevo trascorrere tutto il giorno vagabondando nel bosco, in compagnia degli uccelli e dei tanti animali; mangiavo erbe e frutti selvatici, così non avevo mai fame. Sin da bam- bino avevo scoperto che ogni volta che andavo nel bosco la mia mente e il mio corpo erano a loro agio. Spesso, dopo aver giocato sulle colline, mi addormentavo lì. Mio padre era costretto a venirmi a cercare. Quando lo sentivo gridare in lonta-

Ciò che ho compreso sulla pace quando mio padre mi portava in spalla 17 Capitolo 1 - Il cibo è amore

nanza: «Yong Myung! Yong Myung!» non riuscivo a trattenere il sor- riso, sebbene fossi addormentato. Il mio nome da bambino era Yong Myung. Il suono della voce di mio padre mi svegliava, ma io facevo finta di continuare a dormire. Lui mi caricava in spalla e mi portava a casa. Il sentimento che provavo mentre mi portava giù dalla montagna, la sensazione di essere completamente al sicuro e di sentire che il mio cuore era completamente libero: quella era la pace. È così che ho cono- sciuto la pace, quando mio padre mi portava in spalla. C’era un’altra ragione per cui mi piaceva il bosco: lì trovavo tutta la pace del mondo. Le forme di vita che abitano il bosco non lottano tra loro. Naturalmente una mangia l’altra, ma questo avviene perché han- no fame e devono sopravvivere. Non lottano per inimicizia. Gli uccelli non odiano gli altri uccelli. Gli animali non odiano gli altri animali. Gli alberi non odiano gli altri alberi. Perché la pace possa nascere deve scomparire qualsiasi forma di inimicizia. Gli uomini sono gli unici es- seri che odiano altri membri della loro stessa specie. Si odiano perché i loro Paesi sono diversi, perché le loro religioni sono diverse, o perché il loro modo di pensare è diverso. Ho visitato circa duecento nazioni, ma non sono stati molti i Paesi in cui, una volta atterrato, ho pensato tra me: «Questo è davvero un posto pacifico e felice». In molti di quei luoghi, a causa della guerra civile, i soldati giravano per le strade con le armi spianate, sorvegliavano gli aeroporti e bloccavano le strade. Giorno e notte si sentiva il rumore degli spari. Più volte, in posti dov’ero andato a parlare di pace, sono arrivato a un passo dal perdere la vita. Nel mondo di oggi c’è una serie infinita di conflitti e di scontri, grandi e piccoli. Decine di milioni di persone soffrono la fame e ne muoiono. Eppure si spendono miliardi di dollari in armamenti. I soldi spesi in armi e bombe basterebbero da soli a sfamare tutta l’umanità. Ho dedicato la mia vita alla costruzione di ponti di pace tra Paesi che si odiano tra loro per motivi ideologici e religiosi. Ho creato luoghi

18 Ciò che ho compreso sulla pace quando mio padre mi portava in spalla Capitolo 1 - Il cibo è amore d’incontro dove l’Islam, il Cristianesimo e l’Ebraismo potessero avvi- cinarsi. Ho operato per conciliare le visioni degli Stati Uniti e dell’U- nione Sovietica, quando si confrontavano duramente sull’Irak. Ho contribuito a sviluppare il processo di riconciliazione tra il Nord e il Sud della Corea. Non l’ho fatto perché desideravo ricchezza o fama. Fin da quando avevo l’età per comprendere cosa stesse succedendo nel mondo, ho avuto soltanto un obiettivo nella vita: far sì che il mondo potesse vivere in pace ed in unità. Non ho mai desiderato altro. Non è stato facile vivere giorno e notte per lo scopo della pace, ma questo è il lavoro che mi rende più felice. Durante la Guerra Fredda, abbiamo provato la sofferenza del vedere il nostro mondo diviso in due dall’ideologia. Allora ci sembrava che, se il comunismo fosse scomparso, si sarebbe realizzata la pace. Invece, ora che la Guerra Fredda è finita, vediamo ancora più conflitti. Ora siamo separati dalle barriere della razza e della religione. Molti paesi confinanti tra loro nutrono aspri contrasti. Come se tutto questo non bastasse abbiamo delle situazioni, all’interno delle nazioni stesse, in cui la gente è divisa a motivo della razza, della religione o del luogo di nascita. I rispettivi popoli, separati da queste invisibili linee di divi- sione, si considerano nemici e rifiutano di aprire il proprio cuore l’uno all’altro. Osservando la storia umana, vediamo che le guerre più brutali e cru- deli non sono state quelle combattute tra nazioni, ma quelle in cui si sono affrontate le razze. Fra queste ultime, le peggiori in assoluto sono state quelle guerre tra gruppi etnici in cui sono state prese a pretesto le religioni. Nella guerra civile di Bosnia, considerata uno dei peggiori conflitti et- nici del ventesimo secolo, sono state sterminate migliaia di persone, e tra esse tanti bambini. Sono sicuro che tutti ricordate l’attacco terroristico dell’11 settembre 2001, in cui hanno perso la vita migliaia d’innocenti e sono andati

Ciò che ho compreso sulla pace quando mio padre mi portava in spalla 19 Capitolo 1 - Il cibo è amore

completamente distrutti gli edifici del World Trade Center di New York, contro i quali erano stati pilotati due aerei passeggeri, sequestrati e dirottati dai terroristi. Più di recente, il sanguinoso conflitto nella striscia di Gaza, in Palesti- na e nel Sud d’Israele, ha causato centinaia di morti. Tante case sono state distrutte e la gente in quelle zone si trova ogni giorno di fronte alla possibilità di morire. Tutto ciò è il lugubre risultato dei conflitti tra etnie e religioni. Che cosa porta gli esseri umani a odiarsi e ad uccidersi a vicenda in modo così crudele? Ci sono naturalmente tanti motivi, ma tra questi troviamo quasi sempre delle divergenze religiose. Ciò è stato vero per la Guerra del Golfo. Ciò è vero per il conflitto arabo-israeliano, che ha ad oggetto il controllo di Gerusalemme. Quando il razzismo usa la re- ligione come pretesto, il problema diventa estremamente complesso. I malefici fantasmi delle guerre di religione, che si pensava fossero finite con il Medioevo, continuano a perseguitarci nel ventunesimo secolo. I conflitti religiosi continuano ad esplodere perché molti politici sfrut- tano l’inimicizia tra le religioni per soddisfare i propri disegni ego- centrici. Di fronte alla forza della politica, le religioni spesso vacillano, smarriscono la via. Perdono di vista il loro scopo originale, che è quello di esistere per la pace. Tutte le religioni hanno la responsabilità di pro- muovere la causa della pace mondiale. Tuttavia, e ciò è deplorevole, le religioni finiscono col diventare la causa del conflitto. Dietro quest’or- rore troviamo le macchinazioni della politica, con il suo potere ed il suo denaro. La responsabilità suprema di un capo politico dovrebbe consistere nel mantenimento della pace. Sembra invece che spesso i governanti facciano proprio il contrario e spingano il mondo verso lo scontro e la violenza. I capi politici usano la lingua della religione e del nazionalismo per nascondere le loro ambizioni egoistiche. Finché il loro cuore non sarà correttamente orientato, le nazioni vagheranno nella confusione.

20 Ciò che ho compreso sulla pace quando mio padre mi portava in spalla Capitolo 1 - Il cibo è amore

La religione e l’amor patrio non sono malvagi in sé; sono, anzi, sen- timenti preziosi, quando sono usati per contribuire alla costruzione della comunità globale. Ma quando, al contrario, si sostiene che solo una specifica religione e una specifica razza abbiano tutte le ragioni, e le altre fedi ed etnie vengono trattate con disprezzo e attaccate, allora la religione e l’amor patrio perdono il loro valore. Quando una religione si spinge fino al punto di vessare e considerare senza alcun valore le altre fedi, cessa di essere un’espressione del bene. Lo stesso accade quando l’amor patrio è usato per affermare la su- periorità della propria nazione su altre. La verità dell’universo è che dobbiamo riconoscere il valore degli altri ed aiutarci a vicenda. Anche gli animali più piccoli lo sanno. Cani e gatti non vanno d’accordo ma, se li allevate nella stessa casa, gli uni accolgono i cuccioli degli altri e si comportano in modo amichevole gli uni verso gli altri. Osserviamo la stessa cosa nelle piante. Il rampicante che si aggrappa all’albero dipende dal tronco di quest’ul- timo per il proprio sostegno. L’albero, però, non dice: «Ehi, cosa pensi di combinare, risalendo lungo il mio tronco?». Il principio dell’universo è che tutti vivano insieme, uno per il bene dell’altro. Chiunque si discosti da questo principio va incontro a sicura rovina. Se le nazionalità e le religioni continueranno ad aggredirsi a vicenda, l’umanità non avrà futuro. Ci sarà un ciclo perpetuo di terrore e guerra, che ci condurrà un giorno all’estinzione della nostra specie. Ma non siamo senza speranza. Certamente la speranza esiste. Io non ho mai abbandonato, in tutta la mia vita, la speranza, ed ho sempre mantenuto vivo il sogno della pace. Voglio eliminare completamente le mura e i reticolati che in mille modi dividono il nostro mondo. Voglio creare un mondo unito. Voglio abbattere le barriere tra le religioni e le razze e colmare il divario tra ricchi e poveri. Una volta fatto questo, potremo ristabilire il mondo di pace che Dio aveva creato all’inizio. Sto parlando di un mondo in cui nessuno è schiavo della fame e nessuno

Ciò che ho compreso sulla pace quando mio padre mi portava in spalla 21 Capitolo 1 - Il cibo è amore

versa lacrime. Per guarire questo mondo, dove abbiamo smarrito la speranza e l’amo- re, dobbiamo ritrovare il cuore puro che avevamo da bambini. Per libe- rarci del desiderio di possedere quantità sempre crescenti di ricchezze materiali e per restaurare la nostra preziosa essenza umana, dobbiamo ritornare ai principi di pace e al respiro d’amore, che abbiamo compre- so quando i nostri padri ci portavano in spalla.

22 Ciò che ho compreso sulla pace quando mio padre mi portava in spalla La gioia di nutrire il prossimo

miei occhi sono molto piccoli. Mi hanno raccontato che quando nacqui mia madre si domandò: «Il mio bambino ha gli occhi op- pure no?» Mi alzò le palpebre con le dita, così quando sbattei le Isopracciglia disse contenta: «Oh, certo, ce li ha gli occhi, dopo tutto!». I miei occhi erano così piccoli che la gente spesso mi chiamava «Piccoli occhi di Osan», giacché mia madre veniva dal villaggio di Osan. Non ricordo però nessuno che mi abbia mai detto che gli occhi piccoli mi rendessero meno attraente. In effetti, chi conosce un po’ la fisiogno- mia, che è l’arte di comprendere le caratteristiche e il destino di una persona studiandone i lineamenti del viso, dice che gli occhi piccoli indicano la predisposizione a diventare un capo religioso. Penso, per fare una similitudine, che sia un po’ quello che succede quan- do, con un apparecchio fotografico, si mette a fuoco un oggetto molto distante riducendo l’apertura del diaframma. Una guida religiosa deve essere in grado di vedere più lontano, nel futuro, rispetto a quanto fa la generalità delle persone, e forse gli occhi piccoli indicano questa qualità. Anche il mio naso è piuttosto insolito. Basta dargli un’occhiata e risulta ovvio che è il naso di un uomo testardo e determinato. Dev’es- serci del vero nella fisiognomia perché, quando penso alla mia vita, i lineamenti del mio viso sembrano corrispondere al modo in cui l’ho vissuta. Sono nato nel villaggio di Sangsa-ri, al numero 2221, nel distretto di Deok-eon, nel comune di Jeong-ju, nella provincia di Pyong-an. Ero il secondogenito maschio di Kyung Yu Moon del clan Nam Pyung Moon e di Kyung Gye Kim del clan Yeon An Kim. Sono nato il sesto giorno del primo mese lunare nel 1920, l’anno successivo alla nascita del movimento per l’indipendenza della Corea. Mi è stato raccontato

La gioia di nutrire il prossimo 23 Capitolo 1 - Il cibo è amore

che la nostra famiglia si era stabilita nel paese di Sangsa-ri ai tempi del mio bisnonno. Il bisnonno paterno coltivava personalmente la fattoria, e produceva migliaia di staia di riso; costruì così con le sue mani la fortuna della famiglia. Non fumava né beveva: preferiva usare il denaro per comprare cibo da offrire ai poveri. In punto di morte, le sue ultime parole furono: «Se darete da mangiare a gente di tutte le regioni della Corea, riceverete benedizioni da tutte quelle regioni». Così, a casa nostra, la sala era sem- pre piena di gente. Anche gli abitanti degli altri villaggi sapevano che, se fossero venuti da noi, avrebbero sempre potuto contare su un buon pasto. Mia madre attendeva al suo compito - cucinare per tutta questa gente - senza mai lamentarsi. Il bisnonno era molto attivo e non si riposava mai. Quando aveva un po’ di tempo libero confezionava scarpe di paglia, che poi vendeva al mercato. Diventato vecchio, per esprimere la sua misericordia usava comprare alcune oche per poi lasciarle libere, pregando che ai suoi di- scendenti tutto potesse andare per il meglio1. Assunse un insegnante di calligrafia cinese perché offrisse lezioni gratuite nella sala di casa nostra, per fornire così un’istruzione di base ai giovani del villaggio. Gli abitanti del villaggio gli diedero così il titolo onorifico di «Sun Ok» (Gioiello di Bontà) e della nostra casa dissero che sarebbe stata benedetta. All’epoca in cui nacqui, gran parte della ricchezza accumulata dal bisnonno era svanita, e la nostra famiglia aveva appena di che tirare avanti. La tradizione familiare di dar da mangiare agli ospiti, però, era ancora viva e noi li sfamavamo, anche se ciò avesse voluto dire che non ci sarebbe stato abbastanza cibo per i membri della famiglia. La prima cosa che imparai, subito dopo aver appreso a camminare, fu come ser- vire le persone a tavola.

1 Secondo il modo di pensare coreano tradizionale, questi atti di generosità attiravano la buona fortuna verso la propria famiglia.

24 La gioia di nutrire il prossimo Capitolo 1 - Il cibo è amore

Durante l’occupazione giapponese, molti Coreani si videro confiscare le case e i terreni. Nel loro viaggio verso la Manciuria, dove speravano di rifarsi una vita, passavano dalla nostra casa, che era situata lungo la strada principale che conduce a Seon-cheon, nella provincia del Nord Pyong-an. Mia madre preparava sempre da mangiare per questi viandanti, che giungevano da tutte le parti della Corea. Se un mendicante veniva a casa nostra in cerca di cibo e mia madre non era abbastanza svelta nell’occuparsi di lui, il bisnonno prendeva il proprio piatto e l’offriva all’ospite. Forse proprio perché sono nato in una famiglia del genere, anch’io ho passato buona parte della mia vita a dar da mangiare agli al- tri. Per me, nutrire la gente è il compito più prezioso. Se sto pranzando e vedo qualcuno che non ha niente da mangiare, il mio cuore si rattrista e non riesco a continuare il pasto. Vi racconterò un episodio che mi è capitato quando avevo circa undici anni. Mancava poco alla fine dell’anno e nel villaggio tutti erano occu- pati a preparare i dolci di riso per la festa dell’Anno Nuovo. C’era però una famiglia che conoscevamo che era così povera da non aver nulla da mangiare. Nella mente continuavo a vedere i loro visi davanti a me; ero così agitato che continuavo a camminare per la casa, domandandomi cosa potessi fare. Alla fine, presi un sacco di riso da otto chili e corsi fuori. Avevo così tanta fretta di portare fuori dalla casa quel sacco di riso, che non mi soffermai nemmeno per legarlo. Me lo misi in spalla, lo tenni stretto, e corsi per un ripido sentiero di montagna, per circa otto chilometri, fino alla casa di quei conoscenti. Ero così emozionato al pensiero di quanto sarebbe stato bello dare a quella gente cibo suffi- ciente per mangiare a sazietà. Il mulino del paese era vicino alla nostra casa. Le quattro pareti del mulino erano ben rifinite, in modo che il riso macinato non si infiltras- se nelle fessure. Perciò, d’inverno, era un posto eccellente per ripararsi dal vento e stare al caldo. Bastava che prendessi un po’ di brace dal

La gioia di nutrire il prossimo 25 Capitolo 1 - Il cibo è amore

forno di casa nostra e accendessi un piccolo fuoco, perché il mulino diventasse più caldo di una stanza con i radiatori a pavimento. Alcuni dei mendicanti che giravano per le campagne, sceglievano di passare l’inverno in quel mulino. Io ero affascinato dalle storie che quelli mi raccontavano sul mondo di fuori e mi ritrovavo, ogni volta che ne avevo l’occasione, a passare tanto tempo con loro. Mia madre mi portava il cibo nel mulino, mettendone sempre abbastanza perché po- tessi condividerlo col mio amico mendicante. Mangiavamo dagli stessi piatti e la notte dividevamo le stesse coperte. Così passavo l’inverno. Con l’arrivo della primavera loro partivano, diretti verso posti lontani, e io ero impaziente che venisse di nuovo l’inverno, perché i mendicanti tornassero a trovarci. Il fatto che non fossero ben vestiti non significava affatto che il loro cuore fosse miserabile; esprimevano invece un amore profondo e caldo. Io davo loro da mangiare e loro condividevano con me il loro amore. La profonda amicizia e il calore, che mi mostrarono allora, continua a darmi forza oggi. Quando viaggio nel mondo e vedo bambini che soffrono la fame, ricordo sempre come mio nonno non perdesse mai un’occasione per condividere il proprio cibo con gli altri.

26 La gioia di nutrire il prossimo Essere amico di tutti

na volta che decido di fare una certa cosa, devo metterla in atto immediatamente. Altrimenti non riesco a dormire. Quando ero bambino, a volte, mi veniva un’idea durante la notte, ma Uero costretto ad aspettare fino al mattino prima di poterci lavorare. Restavo sveglio e, per ingannare l’attesa, facevo dei graffi sul muro. Mi succedeva talmente spesso che, un po’ alla volta, scavai quasi un buco nel muro e i detriti si accumularono sul pavimento. Non riuscivo a dormire nemmeno se durante il giorno ero stato trat- tato ingiustamente. In quel caso, mi alzavo dal letto nel bel mezzo della notte, andavo a casa del colpevole e lo sfidavo a venir fuori ed a battersi con me. Sicuramente per i miei genitori è stato molto difficile educarmi. Non potevo sopportare nemmeno il vedere che qualcuno venisse trat- tato ingiustamente. Ogni volta che c’era una zuffa tra i bambini del villaggio io me ne dovevo occupare, come se fosse mia responsabilità ristabilire la giustizia in ogni situazione. Decidevo quale tra i bambini coinvolti nella lite avesse torto e lo rimproveravo ad alta voce. Una volta andai a trovare il nonno di un ragazzo che faceva il bullo nel vicinato e gli dissi: «Tuo nipote ha fatto questa cosa che non va. Per favore intervieni». Potevo magari essere turbolento nel mio comportamento, ma ero co- munque un bambino con un grande cuore. A volte andavo a trovare mia sorella maggiore, che abitava con la famiglia di suo marito, e chie- devo che mi offrissero pollo e dolci di riso: gli adulti non se ne avevano mai a male, perché potevano vedere che il mio cuore era pieno di calore e amore. Ero particolarmente bravo a curare gli animali. Quando gli uccelli fa-

Essere amico di tutti 27 Capitolo 1 - Il cibo è amore

cevano il nido su un albero davanti casa nostra, scavavo una buca per dar loro dell’acqua da bere. Poi spargevo in terra un po’ di miglio sgu- sciato, preso dal nostro magazzino, perché gli uccelli ne mangiassero. Gli uccelli sono abituati, sulle prime, a volare via non appena qualcuno gli si accosta troppo. Con me, però, si rendevano subito conto che davo loro da mangiare perché li amavo, e non fuggivano quando mi avvici- navo. Una volta decisi che avrei allevato dei pesci. Ne presi alcuni e li misi in una buca con dell’acqua. Presi anche una manciata di cibo per pesci e la sparsi sull’acqua. Ma quando mi svegliai, la mattina seguente, scoprii che tutti i pesci erano morti. Avevo tanto desiderio di fare un alle- vamento con quei pesci. Rimasi lì sbalordito, guardandoli galleggiare sulla superficie. Ricordo che piansi tutto il giorno. Mio padre allevava diverse colonie di api. Usava prendere un grosso al- veare che poneva su una base; sul fondo dell’alveare le api depositavano la cera e poi creavano le cellette in cui ponevano il miele. Ero un bambino curioso e volevo vedere come le api costruivano l’al- veare, così una volta ho messo il viso contro l’apertura dell’arnia. Venni punto da tante api e il viso mi si gonfiò in modo terribile. Una volta tolsi le basi degli alveari e ricevetti una severa sgridata da mio padre. Quando le api avevano finito di costruire l’alveare, mio padre staccava le basi e le impilava da una parte. Le basi erano coperte di cera, che usavamo come combustibile per le lampade, al posto dell’olio. Una vol- ta presi quelle preziose basi, le spezzai e le suddivisi tra le famiglie che non potevano permettersi di comprare olio per le loro lampade. Era stato un gesto gentile, ma lo avevo fatto senza il permesso di mio padre e per questo fui rimproverato ancora una volta duramente. Quando avevo dodici anni, non c’erano in giro tanti giochi. La scelta era tra un tipo di pachisi1, chiamato yute, una sorta di gioco degli scac- chi, che chiamavamo jang-gi, o i giochi di carte. Mi piaceva quando 1 Gioco simile al «tris», ma molto più complesso.

28 Essere amico di tutti Capitolo 1 - Il cibo è amore tante persone giocavano insieme. Durante il giorno preferivo giocare a yute o far volare il mio aquilone, ma la sera facevo il giro del villaggio nei vari luoghi dove si giocava a carte. In certe partite, la posta era fino a 120 won per ciascuna mano, e di solito vincevo almeno una mano ogni tre. La sera di Capodanno e la prima luna piena del nuovo anno erano le occasioni in cui si giocava di più. In quei giorni, la polizia chiudeva un occhio e non arrestava i giocatori d’azzardo. Una volta andai dove stavano giocando gli adulti e sonnecchiai per buona parte della notte. Al mattino, appena prima che finissero di giocare, li convinsi a fare solo tre mani con me. Con i soldi che vinsi comprai cibo, giocattoli, dolci e regali per i miei amici e per i bambini poveri dei villaggi vicini. Non usai quei soldi per me stesso o per fare cose cattive. Quando i mariti delle mie sorelle maggiori ci venivano a trovare, chie- devo il permesso di prendere qualche soldo dal loro portamonete. Avrei poi usato quel denaro per comprare dolci per i bambini poveri. È naturale trovare nei paesi sia gente benestante che povera. Se vedevo un bambino che aveva portato a scuola per colazione del miglio bollito, non riuscivo a mangiare la mia buona merenda di riso e scambiavo il mio riso con il suo miglio. Mi sentivo più vicino ai figli delle famiglie povere che a quelli delle famiglie ricche, e volevo in qualche modo fare qualcosa perché non avessero fame. Era una specie di gioco che mi piaceva tantissimo. Ero ancora un bambino, ma desideravo essere amico di tutti. In realtà volevo essere più che un amico; volevo coltivare relazioni in cui potessimo condividere profondamente il nostro cuore. Uno dei miei zii era avaro. La sua famiglia possedeva un campo di me- loni vicino al centro del paese e tutte le estati, quando i meloni maturi emanavano un profumo dolcissimo, i bambini del paese lo supplicava- no di fargliene assaggiare qualcuno. Mio zio arrivò al punto di montare una tenda sulla strada, vicino al campo dei meloni, per rimanere lì a fare la guardia, e si rifiutò di regalare ai bambini anche un solo melone.

Essere amico di tutti 29 Capitolo 1 - Il cibo è amore

Un giorno gli chiesi: «Zio, mi daresti il permesso di venire una volta nel tuo campo e mangiare tutti i meloni che voglio?». Lo zio rispose di buon grado: «Certo, va bene». Passai parola a tutti i bambini del paese, che chiunque volesse man- giare meloni doveva portare una borsa di tela e presentarsi davanti a casa mia a mezzanotte. A quell’ora li accompagnai al campo di meloni di mio zio e dissi loro: «Ognuno di voi raccolga una fila di meloni, e non si preoccupi di nulla». I bambini fecero salti di gioia e corsero nel campo. Bastarono pochi minuti perché sparissero diverse file di me- loni. Quella notte i bambini affamati del paese, seduti per terra in un campo di trifoglio, mangiarono meloni finché il loro stomaco non fu sul punto di scoppiare. Il giorno successivo successe un grosso guaio. Andai a casa dello zio e trovai un pandemonio, come in un’arnia scoperchiata. «Mascalzone» urlò mio zio, «è stata opera tua? Sei tu quello che ha rovinato tutto il lavoro di un anno, tutto il tempo che ho passato a coltivare i meloni?». Nonostante la sua furia non mi intimorii: «Zio - gli dissi - non ti ri- cordi? Mi hai detto che potevo mangiare tutti i meloni che volevo. I bambini del paese volevano mangiare dei meloni e il loro desiderio era anche il mio. Ho fatto bene a dare loro un melone ciascuno, o non do- vevo assolutamente darne loro neanche uno?». A queste parole mio zio si calmò e rispose: «Va bene, hai ragione», e la sua rabbia svanì.

30 Essere amico di tutti Una bussola sicura per la mia vita

l clan dei Moon proviene da Nampyung, presso Naju, nella pro- vincia di Cholla, una città a circa trecentoventi chilometri a sud di Seul, nella parte sud-occidentale della nazione. Il mio trisavolo, ISung Hak Moon, ebbe tre figli maschi. Il minore dei tre, il mio bisnon- no Jung Heul Moon, a sua volta ebbe tre figli maschi: Chi Guk, Shin Guk, e Yun Guk. Mio nonno, Chi Guk Moon, era il maggiore. Mio nonno era analfabeta, non avendo mai frequentato né una scuola elementare moderna né una scuola di paese tradizionale. Tuttavia, la sua capacità di concentrazione era tale che poteva ripetere tutto il testo della versione coreana di San Guo Zhi1 dopo che l’aveva sentita leggere da qualcun altro. E non soltanto San Guo Zhi. Quando ascoltava una storia interessante, la poteva imparare a memoria e ripeterla con le stesse esatte parole. Riusciva a memorizzare qualsiasi cosa la prima volta che la sentiva. Mio padre prese da lui; poteva cantare a memoria il libro degli inni cristiani, che consisteva di oltre quattrocento pagine. Mio nonno mantenne fede all’ultima volontà di suo padre, che gli ave- va detto di vivere mantenendo sempre uno spirito altruista. Non riuscì, però, a conservare la fortuna della famiglia, poiché suo fratello minore, il mio prozio Yun Guk Moon, chiese un prestito dando in pegno il pa- trimonio della famiglia, e perse tutto. Dopo questo episodio, dovemmo affrontare enormi difficoltà, ma mio nonno e mio padre non parlarono mai male del prozio, perché sapevano che non aveva perso quel denaro al gioco o in altri modi disdicevoli: Yun Guk aveva mandato quei soldi al Governo provvisorio della Repubblica di Corea, che era stato costi- tuito in Cina, a Shanghai, durante l’occupazione giapponese della mia

1 Una novella molto popolare in Corea che narra di avvenimenti storici della Cina.

Una bussola sicura per la mia vita 31 Capitolo 1 - Il cibo è amore

patria. A quel tempo, 70.000 won, la somma che mio prozio aveva of- ferto al movimento per l’indipendenza, erano un patrimonio notevole. Yun Guk era un ministro religioso che si era diplomato al Seminario di Pyongyang; era un intellettuale che parlava correntemente l’inglese, oltre che un eccellente studioso della lingua e della letteratura cine- se. Era il pastore responsabile di tre chiese, compresa quella di Deok Heung a Deok Eon Myeon. Nel 1919 aveva partecipato alla stesura della dichiarazione d’indipen- denza, assieme a Nam Seon Choe2. Ma quando si scoprì che tre dei sedici leader cristiani, che avevano sottoscritto la dichiarazione, erano collegati alla chiesa di Deok Heung, il nome del prozio fu cancellato dalla lista. Seung Heung Lee, uno degli altri firmatari della dichiarazione, che aveva lavorato con il mio prozio alla fondazione della scuola di Osan, aveva chiesto a Yun Guk di occuparsi delle sue cose, nel caso che il movimento per l’indipendenza non avesse avuto successo e lui fosse stato ucciso dalle autorità coloniali giapponesi. Sulla strada del ritorno alla nostra terra d’origine, il prozio Yun Guk fece stampare decine di migliaia di bandiere coreane e le distribuì alla gente, che si era riversata nelle strade per manifestare il proprio so- stegno al movimento per l’indipendenza della Corea. Fu arrestato l’8 marzo mentre guidava una dimostrazione, sulla collina dietro gli uffi- ci amministrativi di Aipo Myeon. A quella dimostrazione a sostegno dell’indipendenza parteciparono il direttore, i professori e circa duemi- la studenti della scuola di Osan, circa tremila cristiani e circa quattro- mila altri abitanti della zona. Fu condannato a due anni di detenzione, che iniziò a scontare nella prigione di Eui-ju. L’anno successivo fu rilasciato, in occasione di una

2 Il patriota che redasse, nel 1919, la bozza della Dichiarazione di indipendenza della Corea nel corso dell’occupazione giapponese durata dal 1905 al 1945. Poco dopo però, per timore delle possibili rappresaglie giapponesi, ritirò la sua firma.

32 Una bussola sicura per la mia vita Capitolo 1 - Il cibo è amore speciale amnistia. Anche dopo il rilascio, tuttavia, fu perseguitato dalla polizia giapponese, così che non poté mai fermarsi a lungo in uno stes- so posto e dovette vivere sempre come un fuggitivo. Aveva sul corpo profonde cicatrici, ricordo delle torture inflittegli dai Giapponesi, che lo avevano anche trafitto con una punta di bambù, strappandogli via parte della carne. Era stato ferito alle gambe e al costato, ma non si era dato per vinto. I Giapponesi, quando si resero conto che non sarebbero riusciti a sottometterlo, gli offrirono la posi- zione di responsabile della Contea, a condizione che s’impegnasse a rinunciare alle sue attività nel movimento per l’indipendenza. Per tutta risposta urlò infuriato ai Giapponesi: «Come pensate che potrei mai accettare un vostro incarico e lavorare per voi, ladri?». Quando avevo sette o otto anni, il prozio Yun Guk abitò per qualche tempo a casa nostra e alcuni membri dell’esercito di liberazione della Corea vennero a trovarlo. Erano a corto di fondi e, per arrivare da noi, avevano viaggiato a piedi, di notte, nel mezzo di una bufera di neve. Mio padre coprì la testa di tutti noi bambini con una pesante coperta perché la loro conversazione non ci svegliasse. Ma io ero completa- mente desto e me ne stetti sotto la coperta, sforzandomi di sentire il più possibile quanto gli adulti si dicevano. Sebbene fosse tardi, mia madre uccise un pollo e cucinò degli spaghetti di soia per far mangiare i partigiani. Ancora oggi non posso dimenti- care le parole che sentii pronunciare dal prozio Yun Guk, mentre ero lì, sotto la coperta, e trattenevo il respiro per l’emozione: «Anche se do- veste morire» disse, «morireste per la nostra nazione e sarete benedetti. In questo momento vediamo solo buio davanti a noi, ma certamente presto sorgerà un giorno luminoso». A cagione delle torture non aveva più la pienezza delle forze, ma la sua voce era decisa e autorevole. Ricordo che pensai allora: «Perché un uomo meraviglioso come il prozio è dovuto andare in prigione? Se soltanto noi fossimo stati più forti del Giappone, una cosa del genere

Una bussola sicura per la mia vita 33 Capitolo 1 - Il cibo è amore

non sarebbe mai accaduta». Yun Guk continuò a vagabondare in tutta la nazione per sfuggire alla persecuzione della polizia giapponese, e fu soltanto nel 1966, men- tre mi trovavo a Seul, che ebbi di nuovo notizie di lui. Il prozio era apparso in sogno a uno dei miei cugini più giovani e gli aveva detto: «Sono sepolto a Jeong-seon, nella provincia di Kang-won». Andammo all’indirizzo che ci aveva dato nel sogno e scoprimmo che era morto nove anni prima. Trovammo solamente un cumulo di terra coperto di erbacce. Riesumai i suoi resti e gli diedi sepoltura a Paju, nella provin- cia di Kyeonggi, non lontano da Seul. Negli anni successivi alla liberazione della Corea dal Giappone, avve- nuta nel 1945, i comunisti nordcoreani uccisero senza pietà i ministri religiosi cristiani e i partigiani. Il prozio, temendo che la sua presenza potesse essere fonte di pericolo per la famiglia, era fuggito lontano dai comunisti, aveva attraversato il 38° parallelo e si era stabilito a sud, a Jeong-seon. Non aveva informato della sua fuga nessuno dei famigliari. Si guadagnò da vivere in quella lontana regione montana vendendo pennelli per calligrafia3. Più tardi, ci dissero che aveva fondato una scuola di paese di tipo tradizionale, dove aveva insegnato lettere clas- siche cinesi. Secondo alcuni dei suoi ex-allievi, si era dilettato spesso nella compo- sizione di poesie in caratteri cinesi. I suoi studenti ne avevano copiato e conservato circa 130, tra cui il seguente:

Pace tra Sud e Nord Sono passati dieci anni da quando ho lasciato casa mia per venire al Sud. Il corso del tempo accelera l’imbiancare dei miei capelli. Tornerei al Nord, ma come posso farlo? Quello che avrebbe dovuto essere un breve esilio si è prolungato.

3 La composizione di frasi con pennelli più o meno spessi è in Oriente una vera e propria forma d’arte.

34 Una bussola sicura per la mia vita Capitolo 1 - Il cibo è amore

Indossando l’abito estivo ko-hemp4 dalle lunghe maniche, mi faccio aria con un ventaglio di seta e penso a cosa porterà l’autunno. La pace tra Sud e Nord si avvicina. Bambini che aspettate sotto i cornicioni, non dovete preoccuparvi così tanto.

Sebbene il prozio Yun Guk vivesse a Jeong-seon lontano dalla sua fa- miglia, in un luogo che gli era estraneo sotto tutti gli aspetti, il suo cuore traboccava d’amore per il suo Paese. Lasciò anche questi versi:

Quando all’inizio ti poni la meta, giura a te stesso di raggiungere il livello più alto; non permetterti neppure il minimo briciolo di desiderio privato.

Il contributo dato dal prozio al movimento per l’indipendenza fu ri- conosciuto dal governo della Repubblica di Corea. Fu insignito di due onorificenze postume: un Riconoscimento Presidenziale nel 1977 e l’Ordine al Merito della Fondazione Nazionale nel 1990. Ancora oggi a volte recito i suoi versi. Sono intrisi dell’inesauribile amore che ha sempre serbato per la sua nazione, anche di fronte alle avversità estre- me. Recentemente, da quando sono diventato più anziano, penso sempre più spesso al mio prozio. Tutti i suoi versi che esprimono il suo sen- timento di amore per la nazione coreana mi trapassano il cuore. Ho insegnato ai nostri membri la canzone Daehan Jiri Ga (Canzone del- la geografia coreana), le cui parole sono state scritte da lui. Mi piace cantare questa canzone insieme ai nostri membri. Quando la canto mi 4 Abito tradizionale coreano.

Una bussola sicura per la mia vita 35 Capitolo 1 - Il cibo è amore

sento sollevato delle mie pene.

Canzone della geografia coreana La penisola di Corea in Oriente è posta fra tre Paesi. A Nord, le grandi pianure della Manciuria, a Est, l’azzurro e profondo Mare dell’Est, a Sud, un mare con tante isole, a Ovest, il profondo Mar Giallo. Cibo nei mari su tre lati, È nostro tesoro ogni specie di pesce.

Il possente monte Baekdu sta a Nord, e dà acqua ai fiumi Amrok e Tumen. Riversandosi nei mari a oriente e occidente, marcano chiaro il confine con i Sovietici. il monte Kumgang splende luminoso al centro, una riserva per il mondo, orgoglio della Corea. Il monte Halla s’innalza sull’azzurro Mare del Sud, riferimento per i pescatori in mare.

Le quattro pianure di Daedong, Hangang, Geumgang e Jeonju danno alla nostra gente cibo e abiti. Le quattro miniere di Woonsan, Soonan, Gaecheon e Jaeryung ci danno i tesori della Terra. Le quattro città di Kyungsung, Pyongyang, Daegu e Kaesung risplendono sulla terra. I quattro porti di Busan, Wonsan, Mokpo e Incheon danno il benvenuto alle navi straniere. Le linee ferroviarie si dipartono da Kyungsung, collegando le due linee principali, Kyung-Eui e Kyung-Bu,

36 Una bussola sicura per la mia vita Capitolo 1 - Il cibo è amore

le linee secondarie Kyung-Won e Honam corrono a Nord e a Sud, coprendo tutta la penisola.

Le nostre città ci raccontano la nostra storia. Pyongyang, la città di Dangun5, vecchia di 2000 anni, Kaesung, capitale di Koryo6, Kyungsung, per 500 anni capitale di Chosun7, Kyungju, dove la cultura bimillenaria di Silla8 risplende, origine di Pak Hyuk-ko-sai9, Chungchong ha Buyo, la capitale storica di Paekche10.

Figli di Corea, avanguardia del futuro, le onde della civiltà bagnano le nostre coste. Scendete dalle colline, e incamminatevi decisi verso il mondo del futuro!

5 Dangun è il leggendario fondatore del primo regno della Corea. La leggenda narra che la fondazione sia avvenuta nel 2333 a.C. 6 Il regno che unì gran parte della Corea, e che durò dal 918 al 1392. Dal suo nome deriva quello della Corea attuale. 7 Il regno che successe al Regno di Koryo, e che durò dal 1392 al 1897. 8 Uno (57 a. C. – 935 d. C.) dei tre regni che confluirono nel regno di Koryo. 9 Antenato del «clan» Pak, conosciuto perché secondo la tradizione è stato originato da un uovo divino. 10 Il terzo (18 a. C. – 660 d. C.) dei tre regni che confluirono nel regno di Koryo.

Una bussola sicura per la mia vita 37 Un bambino testardo che non s’arrende mai

io padre non era solito fare debiti ma, se mai avesse ricevuto dei soldi in prestito, avrebbe onorato l’impegno di restituir- li, anche a costo di vendere al mercato la mucca della fami- Mglia o un pilastro tolto dalla nostra casa. Lui diceva sempre: «Non puoi cambiare la verità con l’astuzia. Una cosa vera non sarà mai sopraffatta da un misero inganno. Qualsiasi risultato si possa ottenere con l’astu- zia, non passerà mai più di qualche anno prima che tutto sia scoperto». Mio padre aveva una statura imponente. Era così forte da non avere alcun problema a salire una rampa di scale con un sacco di riso sulle spalle. Il fatto che a novant’anni io possa ancora viaggiare per il mondo e continuare il mio lavoro è il risultato della forza fisica che ho eredi- tato da mio padre. Anche mia madre, il cui inno cristiano preferito era «Higher ground», era una donna piuttosto forte. Ho preso da lei non soltanto la fronte spaziosa e il viso rotondo, ma anche la sua personalità diretta ed esu- berante. Sono piuttosto tenace e non c’è dubbio che, in questo, io sia figlio di mia madre. Da bambino, avevo un soprannome che significa: «colui che piange tutto il giorno». Mi ero guadagnato questo nomignolo perché, una vol- ta che avessi cominciato a piangere, non avrei smesso più per tutto il giorno. Quando piangevo, urlavo così forte che la gente immaginava che dovesse essere accaduto qualcosa di terribile. Anche chi stava dor- mendo si alzava ed usciva di casa per vedere cosa stesse succedendo. Per giunta, quando piangevo non stavo un attimo fermo. Saltavo per la stanza, mi ferivo e creavo un putiferio. A volte sanguinavo. Avevo questo tipo di forte personalità anche quando ero giovanissimo. Una volta che mi ero messo qualcosa in testa non vi rinunciavo mai, anche

38 Un bambino testardo che non s’arrende mai Capitolo 1 - Il cibo è amore a costo di rompermi le ossa. Naturalmente, tutto ciò accadeva prima che diventassi più maturo. Quando mia madre mi rimproverava perché avevo fatto qualcosa di sbagliato, io le rispondevo: «Non è vero! Assolutamente no!». Sarebbe bastato ammettere che avevo torto, ma avrei preferito morire, piuttosto che scusarmi. Anche mia madre comunque aveva una personalità piuttosto forte. Lei mi picchiava e diceva: «Pensi di poter continuare a non rispondere a tua madre?». Una volta mi colpì così forte da farmi perdere i sensi; ma nemmeno quando tornai in me volli darle ragione. Lei stava davanti a me e piangeva disperata. Neanche quella volta volli ammettere che avevo sbagliato. Il mio spirito combattivo era pari alla mia testardaggi- ne. Non potevo sopportare di perdere, in nessuna situazione. Gli adulti in paese dicevano: «Una volta che ‘Piccoli occhi di Osan’ decide di fare una cosa, la fa». Non ricordo quanti anni avessi quando successe questo fatto: un bam- bino mi aveva dato un pugno sul naso ed era scappato. Per un mese da allora tutti i giorni andavo di fronte a casa sua ed aspettavo che uscisse. Gli adulti erano meravigliati della mia determinazione. Alla fine, i suoi genitori mi chiesero scusa e mi diedero anche un vassoio pieno di dolci di riso. Questo non significa però che io cercassi sempre di prevalere con la persistenza e la testardaggine. Ero fisicamente molto più grande e più forte degli altri ragazzi della mia età. Nessuno di loro poteva battermi nella lotta. Una volta persi contro un ragazzo più grande di me di tre anni, e ne rimasi talmente irritato che non riuscivo a darmi pace. Andai su una montagna nelle vicinanze, strappai un po’ di corteccia da una pianta di acacia e per sei mesi, tutte le sere, mi allenai su quell’albero per diventare abbastanza forte da sconfiggere quel ragazzo. Alla fine dei sei mesi gli chiesi la rivincita e riuscii a batterlo. Tutte le precedenti generazioni della nostra famiglia avevano avuto

Un bambino testardo che non s’arrende mai 39 Capitolo 1 - Il cibo è amore

tanti figli. Io avevo un fratello più grande, tre sorelle maggiori e tre sorelle minori. In effetti, ci sarebbero stati anche altri quattro fratelli minori, nati dopo Hyo Seon, la sorella minore, ma morirono tutti in tenera età. Mia madre aveva partorito in tutto tredici figli, ma cinque di essi non erano sopravvissuti1. Il suo cuore dev’essere stato profon- damente provato. Mia madre ha sofferto molto per allevare tanti figli, e per di più in una situazione non di abbondanza. Se ci fossimo alleati tra noi, i fratelli e le sorelle che avevo quando ero bambino e tutti i nostri primi e secondi cugini, avremmo potuto fare qualsiasi cosa. Ma è passato tanto tempo e ora ho la sensazione di essere rimasto solo al mondo. Una volta, nel 1991, mi sono recato per una breve visita in Corea del Nord. Sono tornato nel mio paese natale, per la prima volta dopo qua- rantotto anni, e ho scoperto che mia madre e gran parte dei miei fra- telli non c’erano più. Rimanevano solamente una sorella maggiore ed una minore. La sorella maggiore, che quand’ero piccolo mi aveva fatto quasi da mamma, era diventata una bisnonna di oltre settant’anni. La sorella più piccola aveva passato i sessanta e aveva il viso coperto di rughe. Quando eravamo giovani scherzavo spesso con lei. Le gridavo: «Ehi, Hyo Seon, tu sposerai un tipo con un occhio solo». Lei mi rispondeva, «Cosa hai detto? Cosa ti fa pensare questo, fratello?». Poi mi rincorreva e mi picchiava sulla schiena con i suoi minuscoli pugni. Poco prima di compiere diciotto anni, Hyo Seon incontrò un uomo, che una delle nostre zie aveva invitato per vedere se fosse possibile combinarle il matrimonio. Quella mattina mia sorella si era svegliata presto, si era pettinata con cura i capelli e si era passata la cipria sul viso. Aveva pulito meticolosamente la casa, dentro e fuori, e aveva at- teso che arrivasse il suo pretendente. La presi in giro: «Hyo Seon, si

1 Oltre ai quattro morti in tenera età dei quali parla alcune righe prima, un quinto fra- tello era morto alla nascita.

40 Un bambino testardo che non s’arrende mai Capitolo 1 - Il cibo è amore vede proprio che vuoi sposarti!». Il suo volto avvampò, e ricordo ancora quanto fosse bella, col rossore delle guance che traspariva attraverso la cipria chiara. Sono passati più di venti anni da quella visita in Corea del Nord. Mia sorella maggiore, che aveva pianto tanto nel rivedermi, se n’è andata, ed è rimasta soltanto mia sorella minore. Questo pensiero mi riempie di angoscia e mi scioglie il cuore. Avevo buone capacità manuali e usavo confezionarmi i vestiti. Quando arrivava la stagione fredda, mi cucivo rapidamente un cappello. Lavo- ravo a maglia meglio delle donne e davo suggerimenti in proposito alle sorelle più grandi. Una volta feci uno scialle a Hyo Seon. Le mie mani erano grosse e tozze come zampe d’orso, ma mi piaceva cucire e confezionavo anche la mia biancheria. Ritagliavo il tessuto da un ro- tolo, lo piegavo a metà, lo tagliavo nella giusta foggia, facevo l’orlo, lo cucivo e lo indossavo. Una volta feci in questo modo un paio di calze tradizionali coreane per mia madre, e lei espresse il suo apprezzamento dicendomi: «Bene, bene, io pensavo che il mio secondo figlio fosse un perditempo, ma queste calze mi stanno alla perfezione». A quei tempi, quando si preparava il matrimonio di un figlio o una figlia, si tessevano per loro dei tessuti di cotone. Mia madre prendeva i batuffoli di cotone e li metteva sull’arcolaio per filarli. Questo lavoro si chiamava «to-ggaeng-i», nel dialetto della provincia di Pyong-an. Poi regolava il telaio a venti fili e iniziava la tessitura… dodici pezze di tessuto, tredici pezze di tessuto, e così via. Ogni volta che uno dei figli doveva sposarsi, le mani ruvide di mia madre creavano tessuti morbi- di e belli, che sembravano raffinati satin. Le sue mani si muovevano in modo incredibilmente rapido. Altre donne avrebbero tessuto tre o quattro pezze di to-ggaeng-i al giorno, ma mia madre poteva arrivare a farne venti. Una volta che aveva particolarmente fretta, perché dove- va completare i preparativi per il matrimonio di una delle mie sorelle maggiori, confezionò un intero rotolo di tessuto in un solo giorno. Mia

Un bambino testardo che non s’arrende mai 41 Capitolo 1 - Il cibo è amore

madre aveva un temperamento impaziente. Ogni volta che si metteva in testa di fare una cosa si sbrigava a finirla presto. Io le somiglio da questo punto di vista. Fin da bambino, mi è sempre piaciuto mangiare una grande varietà di cibi. Da piccolo mi piacevano il granturco, i cetrioli, le patate e i fagioli. Durante una visita ai parenti di mia madre, che abitavano a circa cinque miglia di distanza da casa nostra, notai qualcosa di ton- deggiante che cresceva nel campo. Chiesi cosa fosse e mi fu detto che era «ji-gwa», ovvero una patata dolce. Qualcuno ne prese una, la cucinò col vapore e me la diede da mangiare. Il gusto era talmente delizioso che ne raccolsi un’intera cesta e la mangiai tutta da solo. Dall’anno successivo, in quel periodo, non passarono mai più di tre giorni senza che andassi a trovare i parenti di mia madre. Dicevo: «Mamma, esco un momento». Facevo di corsa tutta la strada fino a casa loro e mangiavo le patate dolci. Nella zona dove abitavamo, a maggio c’era il cosiddetto «passo della patata». D’inverno ci nutrivamo di patate fino all’arrivo della primave- ra, quando cominciavamo a raccogliere l’orzo. Maggio poteva essere un periodo critico perché, se avessimo esaurito la riserva di patate prima d’iniziare il raccolto dell’orzo, avremmo patito la fame. Oltrepassare la stagione in cui le patate cominciavano a scarseggiare - e l’orzo non era ancora maturo - era come arrampicarsi per un ripido passo di monta- gna, così noi lo chiamavamo il «passo della patata». L’orzo che mangiavamo allora non era quello gustoso, fatto di semi piatti, che conosciamo oggi. I semi avevano una forma cilindrica ed erano duri, ma per noi andava bene lo stesso. Lo mettevamo a ba- gno per due giorni prima di cucinarlo. Quando ci sedevamo a tavola schiacciavo l’orzo con il cucchiaio, cercando di far aderire tra loro i chicchi. Ma era fatica inutile perché, quando lo tiravo su col cucchiaio, l’orzo cadeva via come sabbia. Lo mischiavo allora con del «gochujang» (un impasto a base di peperoncino) e ne prendevo un boccone. Mentre

42 Un bambino testardo che non s’arrende mai Capitolo 1 - Il cibo è amore masticavo, i semi d’orzo mi scappavano tra i denti, perciò dovevo tene- re la bocca perfettamente chiusa. Usavamo anche catturare e mangiare le rane. A quei tempi nelle cam- pagne, quando i bambini, dopo aver preso il morbillo, avevano il viso tirato per il calo di peso, i genitori davano loro da mangiare delle rane. Ne catturavamo tre o quattro di quelle grosse, con le gambe grasse e tanta carne intorno. Le arrostivamo avvolte in foglie di zucca finché diventavano tenere e gustose, come se fossero state cucinate in una marmitta per il riso. Dal punto di vista del gusto, non posso dimenticare nemmeno la carne dei passeri o dei fagiani. Cucinavamo anche le uova dal guscio ricca- mente colorato deposte dagli uccelli di montagna e di lago, che vola- vano sopra i campi lanciando sonori richiami gutturali. Vagabondando per le colline e le campagne compresi che c’era tanta abbondanza di cibo, nell’ambiente della natura, che Dio aveva messo lì per noi.

Un bambino testardo che non s’arrende mai 43 Amare la natura per imparare da lei

a mia personalità mi spingeva a conoscere ogni cosa che ri- entrasse nel mio raggio visivo. Non riuscivo proprio ad essere superficiale sulle cose. Cominciavo col pensare: «Chissà come si Lchiama quella montagna. Chissà cosa ci sarà in cima…», e poi dovevo raggiungerla. Ero ancora un bambino ed già ero salito sulle cime di tutte le monta- gne che si trovavano nel raggio di sei o sette chilometri da casa nostra. Andai dappertutto, anche al di là delle montagne. Così, quando vedevo una montagna illuminata dal sole del mattino, potevo osservarla con serenità perché avevo nella mente l’immagine di cosa ci fosse sulla vetta. Non mi piaceva guardare luoghi sconosciuti. Dovevo conoscere ogni cosa che ero in grado di vedere e anche ciò che stava oltre; altrimenti mi sarei sentito insopportabilmente inquieto. Quando andavo sulle montagne, toccavo ogni fiore e ogni albero. Non mi contentavo di guardare le cose con gli occhi; dovevo toccare i fiori, annusarli e perfino metterli in bocca e masticarli. Mi piacevano tanto il profumo, il tocco e il gusto, che non mi sarei preoccupato se qualcuno mi avesse detto di ficcare il naso negli sterpi e tenercelo per tutto il giorno. Amavo così tanto la natura che, ogni volta che uscivo, passavo la giornata a vagare per le cime dei monti e per i prati e dimenticavo di dover tornare a casa. Quando mia sorella maggiore andava per le colline in cerca di erbe selvatiche, io la precedevo nella salita e sceglievo le piante. Grazie a questo tipo di esperienze conosco una grande varietà di erbe selvatiche, che hanno un gusto gradevole e un elevato valore nutritivo. Amo particolarmente una specie della famiglia dei girasoli chiamata

44 Amare la natura per imparare da lei Capitolo 1 - Il cibo è amore sseum-ba-gwi1. Mischiata con pasta di fagioli rossi e aggiunta a un piatto di gochujang bibimbap2, ha un sapore fantastico. Quando si mangia lo sseum-ba-gwi, si deve tenerlo in bocca, trattenendo il re- spiro, per qualche secondo, così che scompaia il gusto amaro e affiori un gusto diverso e dolce. È importante mantenere il ritmo giusto per gustarne il sapore meraviglioso. Mi piaceva anche arrampicarmi sugli alberi. Salivo e scendevo soprat- tutto da un grande castagno, vecchio di duecento anni, che cresceva nel nostro giardino. Mi piaceva la vista che potevo godere dai rami più alti di quell’albero, spingendo lo sguardo fin oltre le prime case del villag- gio. Una volta lassù non volevo più scendere. A volte rimanevo sull’al- bero fino a notte fonda. L’ultima delle mie sorelle maggiori faceva un sacco di storie su quanto fosse pericoloso stare lì e cercava di farmi scendere: «Yong Myung, per piacere vieni giù» implorava, «è tardi, devi rientrare e andare a letto» «Se mi viene sonno, posso dormire qui», rispondevo. Non m’importava quello che diceva; non mi muovevo dal mio ramo sul castagno. Alla fine perdeva la pazienza e urlava: «Ehi, scimmiotto! Scendi giù subi- to!». Amavo così tanto arrampicarmi sugli alberi forse perché ero nato nell’anno della Scimmia. Quando i ricci delle castagne pendevano a grappoli dai rami, prendevo un bastone e saltavo su e giù per farli ca- dere. Ricordo che mi divertivo tantissimo. Mi dispiace per i ragazzi di oggi, che non crescono in campagna e non sperimentano questo tipo di divertimento. Anche gli uccelli che volavano liberi nel cielo erano oggetto della mia curiosità. Ogni tanto passavano uccelli particolarmente graziosi e stu- diavo tutto quel che potevo su di loro, osservando quale aspetto avesse il maschio e quale la femmina. A quei tempi non c’erano libri che de- scrivessero i vari tipi di alberi, arbusti o uccelli, così dovevo esaminarli

1 Il nome scientifico è Ixeris dentata. 2 Insalata piccante di riso con verdure.

Amare la natura per imparare da lei 45 Capitolo 1 - Il cibo è amore

tutti personalmente. Spesso saltavo il pranzo perché rimanevo a vagare per le montagne, in cerca di luoghi dove assistere al passaggio degli uccelli migratori. Ci fu un tempo in cui, per molti giorni di seguito, mi arrampicai su e giù per un albero, tutte le mattine e tutte le sere, per controllare un nido di gazza. Volevo osservare come deponesse le uova. Alla fine riuscii ad osservare la posa delle uova e divenni anche «amico» di quell’uccello. Le prime volte che mi vedeva, mentre mi avvicinavo la gazza emetteva un forte stridio e faceva una gran confusione. Più avanti, invece, riuscii a starle accanto senza che essa si muovesse. Anche gli insetti di quell’area erano miei amici. Ogni anno, sul finire dell’estate, c’era una cicala che cantava melodiosamente, dai rami più alti di una pianta di cachi che stava appena fuori della mia stanza. Tutte le estati, ero così felice quando, finiti i versi rumorosi e irritanti degli al- tri tipi di cicale, che avevano fatto baccano tutta l’estate, sentivo la voce di una cicala canterina. La sua canzone mi avvertiva che presto l’umida estate sarebbe finita, per lasciare il posto al fresco autunno. Il canto della cicala era pressappoco così: «Sulu Sulululululu!». Ogni volta che la sentivo cantare in quel modo, guardavo in alto, verso l’al- bero dei cachi e pensavo: «Naturalmente, fin quando canterà, dovrà stare in un posto alto, in modo che tutti nel paese possano sentirla e rallegrarsi. Chi la sentirebbe se andasse a cantare in un pozzo?». Mi resi conto ben presto che tanto le cicale d’estate, quanto le cicale canterine, mandavano un richiamo d’amore. Sia che cantassero: «Mem mem mem» oppure «Sulu sulu», il loro suono serviva ad atti- rare il compagno. Una volta che ebbi compreso ciò, non potei più fare a meno di ridere ogni volta che sentivo un insetto che si metteva a cantare. «Tu vuoi l’amore, non è vero? Continua a cantare, e trovati un buon compagno». Gradualmente, imparai a fare amicizia con tutti gli esseri presenti nella natura, in modo da poter condividere con essi il mio cuore.

46 Amare la natura per imparare da lei Capitolo 1 - Il cibo è amore

La costa del Mar Giallo distava soltanto quattro chilometri dalla no- stra casa. Era abbastanza vicina perché potessi vederla da qualsiasi ri- lievo nei dintorni di casa. Lungo il percorso da lì al mare c’era una serie di specchi d’acqua, collegati da un ruscello. Spesso scavavo sul ciglio di una di queste gore, odorose di acqua stagna, per catturare anguille o granchi d’acqua dolce. Mi ficcavo nei posti più improbabili, per cattu- rare diversi tipi di fauna acquatica, e così potei scoprire l’ambiente in cui ciascuna specie viveva. Le anguille, per natura, non amano farsi vedere, e per questo nascon- dono il loro lungo corpo in tane di granchi o altri posti simili. A volte, tuttavia, non riescono a infilarsi nel buco con tutto il corpo, e l’estre- mità della coda rimane fuori. Così potevo catturarle con facilità, sem- plicemente afferrandole per la coda ed estraendole dalla tana. Quando a casa nostra c’era compagnia e volevamo mangiare anguilla al vapore, facevo volentieri una corsa per quei cinque chilometri, tra andata e ritorno fino ai piccoli laghi, e riportavo a casa quattro o cinque anguil- le. Durante le vacanze estive, mi capitava spesso di pescare quaranta anguille in un solo giorno. C’era un solo compito che non mi piaceva svolgere: portare al pascolo la mucca. Il più delle volte, quando mio padre mi chiedeva di pascere la mucca, la portavo nel prato di un paese vicino, la legavo e scappavo via. Dopo un po’ però cominciavo a preoccuparmi per la mucca. Allora tornavo indietro e vedevo che era ancora lì dove l’avevo legata. Era rimasta lì, per mezza giornata e anche più, muggendo e aspettando che qualcuno venisse a darle da mangiare. Sentendo la mucca che muggiva in lontananza, ero dispiaciuto per lei e pensavo «Questa mucca! Cosa devo fare con lei?». Potete immaginare come mi sentissi, quando mi sforzavo di ignorare il muggito della mucca. Comunque, quando tornavo da lei a sera tarda, la mucca non era ar- rabbiata, né cercava di incornarmi. Al contrario, sembrava felice di ve- dermi. Compresi che la prospettiva che dovremmo avere sugli obiettivi

Amare la natura per imparare da lei 47 Capitolo 1 - Il cibo è amore

più importanti della nostra vita, dovrebbe essere simile a quella della mucca. Aspetta con pazienza il momento opportuno, e qualcosa di buono arriverà. A casa avevamo un cane che amavo tanto. Era così intelligente che mi correva sempre incontro, all’ora del mio ritorno da scuola, sebbene fossi ancora molto distante da casa. Si mostrava felice ogni volta che mi vedeva. Lo accarezzavo sempre con la destra, e se per caso si veniva a trovare alla mia sinistra, si spostava sulla destra e strofinava il muso su di me, implorando un po’ di coccole. Allora alzavo la mano destra e lo accarezzavo sulla testa e sulla schiena. Se non l’avessi fatto, avrebbe guaito e corso in cerchio attorno a me per tutta la strada. «Mascalzone che non sei altro - gli dicevo - tu sai cos’è l’amore, vero? Ti piace l’a- more?». Gli animali sanno cos’è l’amore. Avete mai visto una chioccia seduta sulle proprie uova, in attesa che si schiudano? La chioccia tiene gli occhi ben aperti, e intanto picchia la zampa sul terreno, in modo che nessuno possa avvicinarsi. Io entravo e uscivo dal pollaio, sapendo che avrei fatto arrabbiare la chioccia. Quando entravo, la chioccia drizzava il collo e cercava di spaventarmi. Invece d’indietreggiare, anch’io pren- devo una posa minacciosa. Dopo che ero andato nel pollaio un po’ di volte, la chioccia faceva finta di non vedermi, ma manteneva le piume arruffate e mostrava gli artigli lunghi e affilati. Sembrava che volesse slanciarsi in avanti e attaccarmi, ma non poteva muoversi a causa delle uova. Così rimaneva immobile ed in tensione. Io le andavo vicino e le toccavo le penne, ma lei non si spostava. Sembrava decisa a non muoversi da quella posizione fino a che le uova non si fossero schiuse, anche se ciò avesse significato dover sopportare che qualcuno le strap- passe tutte le penne dal petto. Grazie al suo irremovibile attaccamento alle uova, motivato dall’amore, la chioccia ha un’autorità che tiene alla larga anche il gallo. Esercita un’autorità suprema su tutto ciò che la circonda, come se dicesse: «Non m’importa chi sei. Farai meglio a non

48 Amare la natura per imparare da lei Capitolo 1 - Il cibo è amore disturbare queste uova!». Anche la scrofa dà dimostrazione del suo amore quando partorisce i suoi piccoli. Una volta seguii una scrofa per poter osservare la nascita della sua cucciolata. Al momento del parto, la scrofa dà una spinta, con un forte grugnito, e un porcellino scivola fuori sul terreno. Quando la scrofa lancia un altro sonoro grugnito, un secondo cucciolo nasce. Accade lo stesso con i gatti e i cani. Ero felicissimo di vedere come ve- nivano al mondo questi cuccioli che dovevano ancora aprire gli occhi. Non potevo fare a meno di ridere di gioia. Al contrario, mi addolorava tantissimo osservare la morte di un anima- le. C’era un macello poco distante dal paese. Una volta che una mucca vi veniva introdotta, il macellaio appariva dal nulla e la colpiva con una mazza di ferro grande quanto il braccio di un uomo. La mucca cadeva e veniva subito scuoiata. Poi le venivano tagliate le zampe ma, anche pri- va degli arti, la carcassa continuava a tremare, perché la vita le restava aggrappata disperatamente. Una volta vidi tutto questo procedimento, e piansi e urlai a gran voce. Fin da bambino ho sempre avuto una particolarità. Sapevo cose che gli altri non potevano sapere, come se possedessi qualche capacità para- normale. Se dicevo che sarebbe piovuto, poi pioveva veramente. Oppu- re stavo seduto in casa e dicevo: «Quell’anziano signor Tal dei Tali nel villaggio vicino non sta bene oggi». Ed avevo sempre ragione. Fin dall’età di otto anni, ero conosciuto come il campione degli «agenti matrimoniali». Mi bastava vedere le fotografie di una futura coppia per poter capire tutto di loro. Se dicevo: «Questo matrimonio non funzio- nerà», ma loro comunque fossero andati avanti e si fossero sposati, nel prosieguo inevitabilmente si sarebbero lasciati. Ho fatto questo fino a novant’anni e ora posso dire tante cose sul conto di una persona, sem- plicemente osservando il modo in cui si siede o il modo in cui sorride. Se mi concentravo, potevo dire cosa stessero facendo le mie sorelle maggiori in un particolare momento. Le mie sorelle mi volevano bene,

Amare la natura per imparare da lei 49 Capitolo 1 - Il cibo è amore

ma per quel motivo allo stesso tempo mi temevano anche. Sentiva- no che conoscevo tutti i loro segreti. Potrebbe sembrare che io abbia qualche incredibile potere paranormale, ma in realtà non c’è nulla di cui sorprendersi. Persino le formiche, che spesso consideriamo creature insignificanti, possono prevedere quando verrà la stagione delle piogge e andare dove potranno rimanere all’asciutto. Gli esseri umani, se sono in sintonia con la natura, devono essere capaci di predire cosa accadrà loro. Non è una cosa così difficile. Potete dire in che direzione soffierà il vento esaminando attentamente il nido della gazza. Questa costruisce l’entrata del nido sul lato opposto rispetto a quello dal quale viene il vento. Prende i ramoscelli col bec- co e li intreccia in un disegno complesso, poi raccoglie il fango con il becco per stuccare la cima e il fondo del nido, in modo che non entri la pioggia. Dispone le estremità dei rametti in modo che siano rivolti tutti nello stesso verso; in questo modo agiscono come una gronda sul tetto, che canalizza la pioggia in un’unica direzione. Le gazze hanno questo tipo di capacità che le aiuta a sopravvivere. Non è naturale che anche gli uomini abbiano certe capacità? Quando andavo con mio padre al mercato del bestiame, gli dicevo: «Papà, non comprare questa mucca. Una buona mucca deve avere nuca e zoccoli di bell’aspetto, natiche e schiena solide. Questa mucca non è così». Sicuramente, quella mucca non sarebbe stata venduta. Mio pa- dre rispondeva: «Che ne sai tu di queste cose?» ed io di rimando: «Lo sapevo già quando ero ancora nella pancia della mamma!». Scherzavo, naturalmente. Se amate le mucche, potete dire tante cose su di loro. La forza più potente del mondo è l’amore, e non c’è niente di più temi- bile di una mente e un corpo uniti. Se vi mettete quieti e vi concentrate, troverete un posto nel profondo, dove la vostra mente può trovare pace e riposo. Dovete lasciare che la vostra mente raggiunga quel posto. Dopo aver sistemato la mente ed essere andati a dormire, vi sveglierete con un’estrema sensibilità. Quello è il momento in cui dovete allonta-

50 Amare la natura per imparare da lei Capitolo 1 - Il cibo è amore nare tutti i pensieri estranei e mettere a fuoco la vostra coscienza. A quel punto, sarete in grado di comunicare con tutte le cose. Se non mi credete, provateci subito. Ogni forma di vita al mondo cerca di collegarsi con quella che le dà l’amore più grande. Perciò, se posse- dete qualcosa che non amate veramente, la vostra proprietà e il vostro dominio su quella cosa sono falsi, e sarete costretti a lasciarla andare.

Amare la natura per imparare da lei 51 Parlare dell’universo agli insetti

rascorrere del tempo nel bosco purifica la mente. Il suono delle foglie che frusciano nel vento, il suono della brezza che soffia tra le canne, il suono delle rane che gracidano nello stagno: non sentiteT altro che i suoni della natura, nessun pensiero estraneo disturba la mente. Se fate il vuoto nella vostra mente e ricevete la natura in tutto il vostro essere, non c’è separazione tra voi e la natura. La natura entra in voi e voi diventate una cosa sola con la natura. Nel momento in cui scompare la barriera tra voi e la natura, sentite una profonda gioia. La natura diventa voi, e voi diventate la natura. Ho sempre apprezzato tanto queste esperienze nella mia vita. Anche oggi quando chiudo gli occhi entro in uno stato in cui sono tutt’uno con la natura. Alcuni descrivono questa condizione come «anatman», o «non-sé», ma per me si tratta di più di questo, perché la natura entra e si stabilisce nel luogo che è stato liberato. Quando sono in quello stato, ascolto le sinfonie che la natura mi presenta - i suoni dei pini, i suoni degli insetti - e divento suo amico. Potrei andare in un villaggio e comprendere, senza incontrare nessuno, la disposizione mentale della gente che vi abita. Potrei fermarmi a passare la notte in un campo per ascoltare cos’hanno da dirmi le messi che vi crescono. Sentirei se le messi sono tristi o felici e ciò mi farebbe capire che tipo di gente abita in quel villaggio. La ragione per cui, mentre ero prigioniero in Corea del Sud, negli Stati Uniti e in Corea del Nord non mi sentivo solo e depresso, è che anche in cella potevo sentire il suono del vento che soffiava e parlare agli in- setti ch’erano lì con me. Potreste chiedermi: «Di cosa parlavi con gli insetti?». Anche il più mi- nuto granello di sabbia contiene i principi del mondo. Persino una

52 Parlare dell’universo agli insetti Capitolo 1 - Il cibo è amore particella di polvere che galleggia nell’aria sintetizza l’armonia dell’u- niverso. Tutte le cose che abbiamo intorno a noi sono nate da una com- binazione di forze, la cui complessità non possiamo neppure immagi- nare. Queste forze sono strettamente collegate le une alle altre. Non c’è nulla nell’universo che sia stato concepito al di fuori del Cuore di Dio. Il movimento di una foglia racchiude in sé il respiro dell’universo. Fin dall’infanzia ho avuto il dono di entrare in risonanza con i suoni della natura, mentre esploravo le colline e i prati. La natura crea un’u- nica armonia e produce un suono magnifico e affascinante. Nessuno cerca di mettersi in evidenza e nessuno è ignorato; c’è semplicemente una suprema armonia. Ogni volta che mi sono trovato in difficoltà, la natura mi ha confortato; ogni volta che sono crollato nella disperazio- ne, la natura mi ha risollevato. I bambini di oggi crescono nelle città e non hanno occasioni per fa- miliarizzarsi con la natura. In effetti, sviluppare la sensibilità verso la natura è ancor più importante che approfondire le nostre conoscenze tecniche. A cosa può servire un’istruzione universitaria a un ragazzo che non riesce a sentire la natura dentro il proprio corpo perché ha smarrito la propria sensibilità? Una persona separata dalla natura può soltanto acquisire conoscenze astratte su qualche libro, per poi diven- tare facilmente un individualista, che avrà come propri idoli soltanto i beni materiali. Abbiamo bisogno di sentire la differenza tra il suono della pioggia primaverile, che cade come un sussurro sottile, da quello della pioggia d’autunno, col suo contrappunto di schiocchi e crepiti. Si può dire che solo la persona che vive in risonanza con la natura ha un carattere vero. Un dente di leone che fiorisce sul lato della strada è più prezioso di tutto l’oro del mondo. Dobbiamo avere un cuore che sappia amare la natura e amare la gente. Chi non riesce ad amare la natura e le per- sone non è capace di amare Dio. Ogni cosa nella natura raffigura Dio a livello di simbolo, e gli uomini e le donne sono gli esseri sostanziali

Parlare dell’universo agli insetti 53 Capitolo 1 - Il cibo è amore

creati a immagine di Dio. Solo chi può amare la natura può amare Dio. Non tutto il mio tempo era dedicato alle passeggiate in collina o in campagna e al gioco. Lavoravo molto, aiutando mio fratello più grande nella fattoria. Nella fattoria ci sono tanti lavori diversi per ciascuna particolare stagione. Bisogna arare le risaie e i campi, trapiantare i ger- mogli di riso ed estirpare le erbacce. Quando si tratta di estirpare le erbacce, il lavoro più impegnativo è quello che si fa nei campi di miglio. Tra la semina e il raccolto, bisogna rimuovere la vegetazione infestante almeno tre volte, ed è un lavoro che spacca la schiena. Noi, dopo aver finito, restavamo per diverso tempo piegati, incapaci di rimetterci in posizione eretta. Le patate dolci cresciute nel terreno argilloso non sono gustose. Per ottenere il sapore migliore, le dovevamo piantare in una mistura di un terzo d’argilla e due terzi di sabbia. Gli escrementi umani sono il miglior fertilizzante per il mais, così io spezzettavo con le mie mani le feci indurite. Aiutando nella fattoria, ho appreso quale terreno fosse più adatto per la soia e quale per i fagioli rossi, e cosa servisse per far crescere bene i legumi. Sono un contadino esperto! Per trapiantare i germogli di riso, prendevamo un palo con dodici segni uniformemente distanziati, per misurare dove avremmo posizionato le file, e lo posavamo nel senso della lunghezza in mezzo alla risaia. Due persone si spostavano lungo il palo, piantando ciascuna sei file di germogli. Più tardi, quando visitai il meridione della Corea, vidi che lì tiravano un filo attraverso la risaia e dozzine di persone si davano da fare intorno a quello. Mi sembrò una modalità assai poco efficiente. Io allargavo le gambe il doppio della larghezza delle spalle, in modo da piantare i germogli più velocemente. Durante la stagione della messa a dimora delle piante di riso, riuscivo a guadagnare abbastanza da poter pagare almeno la mia retta scolastica.

54 Parlare dell’universo agli insetti Uno studente ardimentoso

uando compii dieci anni, mio padre m’iscrisse a una scuola di tipo tradizionale del nostro villaggio, dove un anziano mae- stro insegnava i classici cinesi. In quella scuola, il nostro unico compito consisteva nell’imparare a memoria un libricino ogni giorno. Io mi concentravo e completavo il mio compito in mezz’ora. Se riusci- vo a ripetere la lezione del giorno al maestro, per quella giornata avevo finito con la scuola. Se nel primo pomeriggio il maestro si assopiva, uscivo dalla scuola e andavo a camminare per le colline e i prati. Più tempo passavo in collina, più scoprivo dove trovare piante commesti- bili. Dopo qualche tempo riuscii a trovarne abbastanza da mangiarne a sazietà, e smisi di pranzare a casa. A scuola leggevamo i Dialoghi di Confucio e le opere di Mencio, ed apprendevamo i caratteri cinesi. Eccellevo nella scrittura e, quando an- cora non avevo compiuto dodici anni, il maestro mi scelse per scrivere gli esemplari dei caratteri, sui quali gli altri scolari avrebbero studiato. In realtà, avrei desiderato frequentare una scuola ufficiale, e non quella tradizionale del villaggio. Sentivo che non mi soddisfaceva imparare a memoria Confucio e Mencio, mentre altre persone costruivano aero- plani. Questo avveniva in aprile, e mio padre aveva pagato la retta anticipata per tutto l’anno. Pur essendo consapevole di questo, decisi che avrei lasciato la scuola del villaggio e mi diedi da fare per convincere mio padre, affinché mi mandasse a una scuola ufficiale. Cercai di convince- re anche il nonno e lo zio. Per essere ammesso alla scuola elementare dovevo sostenere un esame. Come preparazione per quell’esame, avrei dovuto frequentare una scuola propedeutica. Convinsi uno dei miei cugini più giovani a venire con me, e insieme andammo alla scuola

Uno studente ardimentoso 55 Capitolo 1 - Il cibo è amore

propedeutica di Wonbong, dove iniziammo il nostro corso per l’esame di ammissione alla scuola elementare. L’anno successivo, quattordicenne, superai l’esame ed entrai nella terza classe della scuola di Osan. Avevo cominciato tardi, ma studiai molto e riuscii a saltare la quinta classe. La scuola di Osan distava otto chilo- metri da casa nostra, ma non mi assentai un solo giorno né arrivai mai in ritardo alle lezioni. Tutti i giorni, dopo aver superato una collina, incontravo lungo la strada un gruppo di studenti che mi aspettavano, ma camminavo così svelto che facevano fatica a stare al mio passo. Così passavo per quella strada di montagna, sulla quale si diceva che facessero la loro comparsa, a volte, le tigri. La scuola di Osan era una scuola nazionalista fondata da Yi Sung Hun, un personaggio attivo nel movimento per l’indipendenza. Non soltanto non s’insegnava la lingua giapponese, ma agli studenti veniva del tutto vietato di parlare in giapponese. Su questo punto io avevo un’opinione diversa. Ritenevo che dovessimo conoscere il nostro nemi- co per sconfiggerlo. Sostenni un altro esame di ammissione e m’iscrissi alla quarta classe della scuola normale pubblica di Jung-ju. Nelle scuole pubbliche, tutte le lezioni erano tenute in giapponese, così io imparai a memoria sia il «katakana» che lo «hiragana»1 la notte precedente il mio primo giorno di scuola. Non sapevo nulla di giapponese, perciò presi tutti i libri, dalla prima alla quarta classe, e li studiai in due settimane. Così facen- do, potei cominciare a comprendere la lingua. Prima ancora di finire la scuola primaria ero già in grado di parlare correntemente la lingua giapponese. Il giorno del mio diploma, mi offrii volontario per presentare un di- scorso davanti a tutte le personalità più importanti di Jung-ju, riunite per l’occasione. Normalmente, in una situazione del genere, lo studente dovrebbe esprimere la propria gratitudine e parlare dell’aiuto che gli 1 Due dei tre diversi tipi di scrittura usati in Giappone.

56 Uno studente ardimentoso Capitolo 1 - Il cibo è amore era stato offerto dagli insegnanti e dalla scuola. Invece di far ciò, citai per nome ciascuno dei miei insegnanti e li criticai, evidenziando i pro- blemi causati dal modo in cui la scuola era gestita. Parlai anche del tempo storico nel quale vivevamo e del tipo di deter- minazione che avrebbero dovuto mostrare le persone in posizione di responsabilità. Pronunciai quel discorso piuttosto critico interamen- te in giapponese: «I Giapponesi devono fare le valigie al più presto e tornarsene in Giappone» dissi, «questa terra ci è stata tramandata dai nostri antenati e tutte le future generazioni della nostra gente dovran- no vivere qui». Dissi queste cose davanti al capo della polizia, al presidente della pro- vincia e al sindaco. Stavo emulando lo spirito del prozio Yun Guk Moon, e stavo dicendo cose di cui nessun altro avrebbe osato parlare. Gli astanti rimasero sbalorditi. Quando scesi dal palco, vidi quanto fossero pallidi in volto. Quel giorno non mi successe nulla, ma ci furono problemi in seguito. Da quel momento, la polizia giapponese mi segnalò come una persona da sorvegliare e cominciò a tenermi sotto controllo. Più tardi, quando cercai di andare in Giappone per continuare i miei studi, il capo della polizia rifiutò di timbrare il modulo di cui avevo bisogno, e ciò mi creò dei problemi. Mi considerava un soggetto pericoloso al quale non do- veva essere consentito di andare in Giappone, e si rifiutò di accettare la mia domanda. Avemmo un’aspra discussione e, alla fine, lo convinsi ad apporre il suo timbro sul modulo. Solo allora potei partire.

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Capitolo 2

Il mio cuore è un fiume di lacrime

Tra timore e ispirazione

uando crebbi e diventai più maturo, cominciai a pormi una domanda su un argomento che mi preoccupava molto: «Cosa farò da grande?». Mi piaceva osservare e studiare la natura, così m’immaginai una carriera da scienziato. Cambiai idea, però, dopo aver visto la tragedia della nostra gente, depredata dalle autorità colo- niali giapponesi. Il popolo soffriva tanto da non poter nemmeno nutrirsi. Mi sembrava che diventare uno scienziato, anche se fossi arrivato a ottenere un pre- mio Nobel, non mi avrebbe dato modo di eliminare la sofferenza del mio popolo. Volevo diventare qualcuno che fosse capace di consolare le persone e lenire il dolore che opprimeva i loro cuori. Mentre me ne stavo disteso nel bosco, ascoltando il canto degli uccelli, pensavo: «Il mondo deve diventare caldo e tenero come questi canti. Io devo diventare un uomo che sappia trasformare la vita della gen- te e renderla profumata come questi fiori». Non avevo le idee chiare sulla professione che avrei dovuto scegliere per realizzare ciò, ma ero convinto che dovessi diventare una persona capace di far felice il mio prossimo. Quando avevo dieci anni, la nostra famiglia si convertì al Cristianesi- mo grazie al prozio Yun Guk Moon, che era un ministro religioso e conduceva una fervida vita di fede. D’allora in poi, frequentai con rego- larità la chiesa, senza mancare mai neppure una settimana. Se arrivavo al servizio religioso appena un po’ in ritardo, mi vergognavo a tal punto da non riuscire ad alzare lo sguardo. Non so cosa potessi aver compreso, a un’età così giovane, per sentirmi ispirato a quel modo, ma Dio era già una forte presenza nella mia vita. Passavo sempre più tempo a cercare la risposta a domande che riguardavano la vita e la morte, la sofferenza

Tra timore e ispirazione 61 Capitolo 2 - Il mio cuore è un fiume di lacrime

e il dolore dell’esistenza umana. Quando avevo dodici anni, partecipai alla riesumazione delle spoglie del bisnonno. Di norma, solo gli adulti erano ammessi a partecipare a un evento del genere, ma io volevo davvero osservare con i miei occhi cosa succedesse alle persone dopo la morte. Alla fine convinsi i miei genitori a portarmi con loro. Quando la tomba fu scoperchiata e vidi i resti del bisnonno, fui sopraffatto dallo sconcerto e dalla paura. Gli adulti aprirono il sepolcro con una cerimonia solenne, ma vidi che den- tro c’era soltanto un esile scheletro. Non c’era alcuna traccia dei linea- menti del bisnonno che mio padre e mia madre mi avevano descritto. C’era solo la vista orrenda delle ossa bianche. Mi ci volle un po’ per riprendermi dallo spavento dopo aver visto quel- lo scheletro. Mi dissi: «Il bisnonno deve aver avuto un aspetto del tutto simile al nostro. Questo vuol dire che anche i miei genitori, dopo che saranno morti, si ridurranno a un mucchio di ossa bianche? È questo che mi accadrà quando sarò morto? Tutti moriamo, ma dopo la nostra morte giacciamo semplicemente lì, incapaci di pensare ad alcunché?». Non riuscivo a togliermi queste domande dalla testa. All’incirca nello stesso periodo, a casa nostra accaddero molti fenome- ni strani. Me ne ricordo assai bene uno in particolare. Ogni volta che a casa tessevamo una pezza, toglievamo dalla ruota del telaio gli spezzo- ni di filo rimasti e li conservavamo in un vaso di terracotta. Una volta che ne avevamo una certa quantità, ne facevamo un taglio di stoffa particolare. La pezza realizzata con quei resti, che chiamavamo yejang, veniva usata per realizzare gli abiti cerimoniali per il matrimonio dei figli. Una notte, scoprimmo che quei fili erano finiti in un villaggio vicino, tutti sparpagliati sui rami di un vecchio castagno. Sembrava che l’al- bero fosse diventato bianco. Non riuscivamo a capire chi avesse preso i fili dal vaso, li avesse portati fino al castagno, che era piuttosto distante da casa nostra, e li avesse sparsi su tutto l’albero. Sembrava impossibile

62 Tra timore e ispirazione Capitolo 2 - Il mio cuore è un fiume di lacrime che una mano umana potesse aver fatto una cosa del genere, e tutti nel paese ne furono terrorizzati. Quando avevo sedici anni, subimmo la tragedia della morte di cinque dei miei fratelli e sorelle più giovani, tutti nel corso di un solo anno. Non ci sono parole per descrivere il cuore spezzato dei nostri genitori per la perdita di cinque dei loro tredici figli, in un così breve volgere di tempo. La morte sembrava dilagare a macchia d’olio. Altri nostri pa- renti persero i loro animali. In un caso, la mucca di una famiglia morì all’improvviso, nonostante fosse in perfetta salute. In un altro caso, di- versi cavalli morirono uno dopo l’altro. In un altro caso ancora, sette maiali morirono nella stessa notte. La sofferenza di una singola famiglia sembrava collegata alla sofferen- za della nazione e del mondo. Ero sempre più angustiato nel vedere la terribile situazione del popolo Coreano, che soffriva sotto la tirannia sempre più dispotica del Giappone. Le persone morivano di fame. A volte erano costrette a raccogliere erba, corteccia d’albero, o qualsiasi altra cosa trovassero, e bollirla per mangiarla. Sembrava non esserci al- cun limite alle guerre nel mondo intero. Poi, un giorno, lessi in un gior- nale un articolo che parlava del suicidio di uno studente delle scuole medie, mio coetaneo. «Perché è morto?» mi chiesi. «Cosa può spingere una persona ad uc- cidersi a un’età così giovane?». Quella notizia mi distrusse, come se la cosa fosse accaduta a una persona molto vicina a me. Con il giornale aperto su quell’articolo, piansi disperatamente per tre giorni e tre notti. Continuavo a piangere senza riuscire a fermare le lacrime. Non riuscivo a comprendere la successione di tutti quegli strani av- venimenti, o il fatto che eventi tragici potessero capitare a persone di buona volontà. Vedere le ossa del bisnonno mi aveva messo nello stato d’animo di pormi domande sulla vita e la morte, e la serie di vicende anomale subite dalla nostra famiglia e da quelle dei parenti mi aveva portato ad aggrapparmi alla religione. La Parola di Dio che ascoltavo

Tra timore e ispirazione 63 Capitolo 2 - Il mio cuore è un fiume di lacrime

in chiesa, tuttavia, non era da sola sufficiente a darmi le risposte chiare che stavo cercando. Per alleviare la frustrazione che avevo nel cuore, cominciai in modo naturale a immergermi nella preghiera. «Chi sono? Da dove sono venuto? Qual è lo scopo della vita? Cosa ac- cade alle persone quando muoiono? C’è un mondo delle anime eterne? Dio esiste davvero? Dio è veramente onnipotente? Se lo è, perché se ne sta in disparte a guardare le sofferenze del mondo? Se Dio ha creato questo mondo, ha creato anche la sofferenza che lo devasta? Cosa potrà mettere fine alla tragica occupazione della Corea da parte del Giap- pone? Che significato ha la sofferenza del popolo Coreano? Perché gli uomini si odiano, lottano tra loro e fanno la guerra?». Il mio cuore era pieno di queste domande serie e basilari. Nessuno poteva rispondermi facilmente, così non mi rimaneva altro che pregare. La preghiera mi aiutava a trovare sollievo. Ogni volta che presentavo a Dio i problemi angoscianti che avevo nel cuore, la sofferenza e il dolore svanivano e il mio cuore si sentiva liberato. Cominciai a dedicare sem- pre più tempo alla preghiera, e giunsi fino a pregare per tutta la notte. Come risultato di quel travaglio ebbi un’esperienza rara e preziosa, con la quale Dio rispose alle mie preghiere. Quel giorno rimarrà per sem- pre la memoria più cara della mia vita, un giorno che non potrò mai dimenticare. Era la notte prima di Pasqua, e avevo quindici anni compiuti. Per tutta la notte avevo pregato sul monte Myodu, implorando Dio tra le lacri- me perché mi rispondesse. Perché mai aveva creato questo mondo così pieno di dolore e disperazione? Perché il Dio onnisciente e onnipo- tente aveva abbandonato il mondo in una tale sofferenza? Cosa avrei dovuto fare per la mia patria oppressa? Piangevo sconsolato, mentre ripetevo continuamente queste domande. Di prima mattina, il giorno di Pasqua, dopo che avevo trascorso tutta la notte in preghiera, Gesù apparve davanti a me. Arrivò in un istante, come una folata di vento, e mi disse, «Dio è molto addolorato per la

64 Tra timore e ispirazione Capitolo 2 - Il mio cuore è un fiume di lacrime sofferenza dell’umanità. Tu devi svolgere sulla terra una missione spe- ciale, che ha a che fare con l’opera del Cielo». Quel giorno, vidi chiaramente il volto amareggiato di Gesù. Sentii chiaramente la sua voce. L’esperienza di essere testimone della mani- festazione di Gesù scosse violentemente il mio corpo, come le foglie di un pioppo scompigliate da un forte vento. Nello stesso tempo fui sopraffatto sia da una paura tanto grande da sentire che ne sarei morto, che da una gratitudine tanto profonda da sentire che ne sarei esploso. Gesù mi parlò chiaramente del lavoro che mi aspettava. Le sue parole furono straordinarie: si trattava di salvare l’umanità dalla sua sofferenza e restituire la gioia a Dio. La mia risposta iniziale fu: «Non posso farce- la. Come potrei riuscirci? Come puoi darmi una missione di un’impor- tanza così estrema?». Ero davvero spaventato. Volevo in qualche modo rifiutare quella missione, così mi aggrappai all’orlo della sua veste e piansi inconsolabilmente.

Tra timore e ispirazione 65 Più vieni ferito, più devi amare

recipitai in uno stato di estrema confusione. Non potevo confi- darmi con i miei genitori né condividere con loro il mio immane segreto, ma neppure potevo tenerlo semplicemente per me. Ero Pindeciso su cosa dovessi fare. L’unica cosa chiara era che avevo ricevuto una missione speciale dal Cielo. Era una responsabilità assolutamente grande e tremenda. Rabbrividivo dalla paura, pensando che non sarei stato in grado di farcela da solo. Mi aggrappai alla preghiera ancora più di prima tentando di tranquil- lizzare il mio cuore confuso, ma neanche così ci riuscii. Per quanto provassi non riuscivo a liberarmi, neppure un momento, dal ricordo dell’incontro con Gesù. Quell’incontro aveva cambiato completamente la mia vita. La sua espressione addolorata era scolpita nel mio cuore come un marchio a fuoco, e non potevo pensare a nient’altro. Da quel giorno in poi m’immersi completamente nella Parola di Dio. A volte ero circondato da un’oscurità senza fine ed ero tanto preso dal dolore da non poter quasi respirare. Altre volte il mio cuore era pieno di gioia, come se stessi osservando il sole del mattino alzarsi sopra l’orizzonte. In uno dei miei tentativi di placare il mio cuore e lenire le mie lacrime, composi questa poesia:

La corona della gloria Quando dubito della gente, provo dolore. Quando giudico la gente, è insopportabile. Quando odio la gente, la mia esistenza è priva di valore.

66 Più vieni ferito, più devi amare Capitolo 2 - Il mio cuore è un fiume di lacrime

Ma se credo, sono ingannato. Se amo, sono tradito. Questa notte soffro e sono affranto, con la testa tra le mani. Sto sbagliando?

Sì, sto sbagliando. Anche se siamo ingannati, dobbiamo credere ancora. Se pure siamo traditi, dobbiamo perdonare ancora. Ama completamente, anche quelli che ti odiano.

Asciuga le tue lacrime e accogli con un sorriso Chi non conosce altro che falsità, E chi tradisce senza rimorso.

Oh Signore, il dolore dell’amore. Guarda le mie mani. Metti la mano sul mio petto. Il cuore mi sta scoppiando, che agonia!

Ma quando ho amato chi aveva agito contro di me, Ho riportato la vittoria. Se tu avrai fatto lo stesso, Io ti darò la corona della Gloria.

Sperimentai una successione di giorni di questo tipo, che mi condus- sero a una dimensione di preghiera via via più profonda. Abbracciai le nuove parole di verità che Gesù mi stava dando direttamente e mi lasciai completamente catturare da Dio. Cominciai a condurre una vita completamente diversa. Avevo molte cose su cui riflettere, e gradual- mente divenni un ragazzo di poche parole. Chiunque segua il percorso di Dio deve perseguire il proprio obiettivo

Più vieni ferito, più devi amare 67 Capitolo 2 - Il mio cuore è un fiume di lacrime

con tutto il cuore e con totale dedizione. Bisogna perseverare nello sco- po. Io sono ostinato per carattere, così ho sempre avuto grande tenacia. Ho usato questa tenacia datami da Dio per superare le difficoltà e se- guire il cammino che mi era stato tracciato. Ogni volta che cominciavo a titubare, mi facevo forza ricordando: «Ho ricevuto la parola di Dio direttamente». Non era facile scegliere quel percorso di vita, perché il farlo richiedeva che sacrificassi il resto della mia giovinezza. A volte, sentivo che avrei preferito evitare di percorrere quella strada. Un uomo saggio ripone speranza nel futuro e continua ad andare avan- ti, non importa quanto la situazione possa essere difficile. Una persona stolta, al contrario, getta via il proprio futuro in cambio della felicità immediata. Anch’io a volte ho avuto pensieri sciocchi, quando ero an- cora molto giovane, ma alla fine ho scelto la strada della saggezza. Ho offerto volentieri la mia vita per raggiungere l’obiettivo che Dio desi- derava. Del resto, anche se avessi tentato, non sarei potuto scappare da nessuna parte; quella era l’unica strada che potevo scegliere. Ma perché Dio ha chiamato me? Ancora adesso, a novant’anni d’età, me lo chiedo ogni giorno. Perché ha scelto me tra tutti gli uomini di questo mondo? Non perché avessi un aspetto particolarmente bello, un carattere eccezionale o delle profonde convinzioni. Ero soltanto un ragazzino insignificante, cocciuto e folle. Se Dio ha visto qualcosa in me, dev’essere stato il cuore sincero con cui L’ho cercato con lacrime d’amore. In qualunque momento ed in qualunque luogo l’amore è la cosa più importante. Dio cercava una persona che vivesse con un cuore di que- sto tipo e che, messa di fronte alla sofferenza, potesse interromperne il corso con l’amore. Io ero un ragazzo di campagna che non aveva nulla di cui andar fiero. Ancora adesso continuo a sacrificarmi senza com- promessi, in modo da vivere per l’amore di Dio e nient’altro. Non c’era nulla che potessi arrivare a scoprire da solo, così presentai tutti i miei interrogativi a Dio. Gli domandai: «Dio, Tu esisti davve-

68 Più vieni ferito, più devi amare Capitolo 2 - Il mio cuore è un fiume di lacrime ro?», ed è così che trovai la certezza che Dio, in realtà, esiste. Gli do- mandai: «Dio, c’è qualche desiderio che Ti sta molto a cuore?», ed è così che venni a sapere che anche Lui ha dei desideri che sono molto cari al Suo cuore. Gli domandai: «Dio, hai bisogno di me?», ed è così che scoprii che avrei potuto esserGli utile. In quei giorni, quando le mie preghiere e la mia dedizione si collegava- no con il Cielo, immancabilmente Gesù mi appariva e mi comunicava dei messaggi speciali. Se ero impaziente di sapere qualcosa, Gesù mi appariva con un’espressione gentile e mi dava risposte di verità. Le sue parole erano sempre pertinenti e mi colpivano profondamente. Le sen- tivo penetrarmi nel profondo del cuore come frecce acuminate. Non erano semplici parole; erano rivelazioni sulla creazione dell’universo, che aprivano le porte di un mondo nuovo. Le parole di Gesù sembra- vano una brezza leggera, ma le prendevo molto sul serio. Pregavo con un fervore tale da poter sradicare un albero. Progressivamente, svilup- pai una nuova consapevolezza dello scopo di Dio nel creare l’universo e del Suo principio di creazione. Durante l’estate di quell’anno, peregrinai per tutta la nazione. Non avevo denaro. Andavo nelle case e chiedevo da mangiare. Quando ero fortunato, mi davano un passaggio su un camion. In questo modo vi- sitai ogni angolo della nazione. Dovunque andavo, vedevo che la mia patria era un crogiolo di lacrime. Non c’era fine ai sospiri dolenti di chi soffriva la fame. Il loro spaventoso lamento si mutava in lacrime che scorrevano come un fiume. «Questa storia sciagurata deve finire al più presto» mi dissi; «il nostro popolo non deve essere lasciato a soffrire nel dolore e nella disperazio- ne. In qualche maniera, devo trovare il modo di andare in Giappone e in America, così da far conoscere al mondo la grandezza del popolo Coreano». Alla fine di quel pellegrinaggio, la mia determinazione per il lavoro futuro era raddoppiata. Serrando i pugni, misi a fuoco com- pletamente la mia mente e potei vedere con chiarezza il corso che avrei

Più vieni ferito, più devi amare 69 Capitolo 2 - Il mio cuore è un fiume di lacrime

dovuto seguire nella mia vita: «Assolutamente salverò il nostro popolo e porterò la pace di Dio su questa terra».

70 Più vieni ferito, più devi amare Un coltello non più affilato diventa inutile

opo aver finito la scuola primaria mi trasferii a Seul e vissi da solo nel quartiere di Heuksok Dong. Nel frattempo, fre- quentai la Scuola di Commercio e Tecnologia di Kyeongsung. DL’inverno era estremamente freddo a Seul: era normale che la tempe- ratura scendesse fino a venti gradi sotto zero. Quando ciò accadeva, la superficie del fiume Han si ghiacciava. La casa in cui vivevo era posta su un crinale e non c’era acqua corrente. Prendevamo l’acqua da un pozzo così profondo, che ci volevano dieci braccia di corda per immergere il secchio nell’acqua sottostante. Poiché la corda continuava a rompersi, la sostituii con una catena. Ogni volta che tiravo su l’acqua, però, a contatto con la catena le mani mi si gela- vano, e per scaldarle dovevo soffiarci sopra. Per combattere il freddo feci ricorso alla mia abilità con i ferri da ma- glia. Mi feci un maglione, delle calze pesanti, un cappello e dei guanti. Il cappello era così elegante che, quando lo indossavo in giro per la cit- tà, la gente pensava che fossi una donna. Non riscaldavo mai la stanza, nemmeno nei giorni più freddi dell’inverno, soprattutto perché non avevo abbastanza denaro. Inoltre, ritenevo che il solo fatto di avere un tetto sopra la testa, quando dormivo, significasse vivere nel lusso a confronto con i barboni, costretti ad escogitare qualcosa per scaldarsi in strada. Una volta, faceva tanto freddo che dormii tenendo una lampadina ac- cesa contro il corpo, sotto la coperta, a mo’ di borsa dell’acqua calda. Durante la notte, la lampadina rovente mi bruciò e mi spellai. Ancora oggi, quando qualcuno mi parla di Seul, la prima cosa che mi viene in mente è il freddo che faceva a quei tempi. Il mio pasto consisteva in una scodella di riso e al massimo un contor-

Un coltello non più affilato diventa inutile 71 Capitolo 2 - Il mio cuore è un fiume di lacrime

no1, mentre il buon pasto coreano avrebbe compreso di norma fino a dodici contorni. Prendevo sempre un solo contorno per ciascun pasto: per me era sufficiente. Ancor oggi, proprio come risultato di quell’abi- tudine, che presi quando abitavo da solo, non ho bisogno di tanti con- torni per il mio pranzo. Preferisco averne uno solo, ma ben preparato. Quando vedo un pranzo servito con tanti contorni, mi sento a disagio. Ai tempi in cui frequentavo la scuola a Seul, non mangiavo mai a mez- zogiorno. Da bambino, quando andavo a spasso per le colline, mi ero abituato a mangiare solo due volte al giorno, ed ho mantenuto questa consuetudine fin quasi ai trent’anni. Il tempo trascorso a Seul mi fece comprendere bene quanto lavoro ri- chiedesse il mantenimento di una casa. Ritornai a Heuksok Dong ne- gli anni ‘80 e rimasi sorpreso, scoprendo che la casa dove avevo vissuto tanti anni prima era ancora in piedi. La stanza dove avevo abitato e il cortile dove ero solito stendere il mio bucato erano ancora lì. Fui triste nel vedere, tuttavia, che non c’era più il pozzo, accanto al quale tante volte avevo dovuto soffiarmi sulle mani, mentre tiravo su il secchio. Durante il periodo della mia permanenza a Heuksok Dong, mi scelsi un motto: «Prima di cercare di dominare l’universo, perfeziona la tua capacità di dominare te stesso». Voleva dire che, per avere la forza di salvare la nazione e il mondo, dovevo per prima cosa addestrare il mio corpo. Mi allenai con la preghiera, con la meditazione e con program- mi di sport ed esercizio fisico. Mi abituai a non farmi influenzare dalla fame, né da qualsivoglia emozione o desiderio del corpo. Anche quan- do mangiavo dicevo tra me: «Riso, voglio farti diventare il concime per il lavoro che mi sto preparando a compiere». Appresi il pugilato, il calcio e le tecniche di autodifesa. Per questo motivo, anche adesso che non sono più giovane e ho messo su un certo peso, ho ancora la flessibilità di un giovane.

1 Nei pasti coreani la portata principale è il riso in bianco, assieme al quale vengono servite varie portate di verdure, di carne, di pesce, che vengono definite «contorni».

72 Un coltello non più affilato diventa inutile Capitolo 2 - Il mio cuore è un fiume di lacrime

Alla Scuola di Commercio e Tecnologia di Kyeongsung vigeva la rego- la che gli studenti pulissero a turno l’aula. Decisi di pulire la mia aula da solo tutti i giorni. Non lo vivevo come un castigo. Era un’espressione del desiderio, che sentivo naturale dentro di me, di amare la scuola più di chiunque altro. All’inizio, gli altri provarono ad aiutarmi, ma ben presto si resero conto che non gradivo la loro collaborazione e preferi- vo fare da solo. Alla fine i miei compagni decisero: «Continua pure. Fa’ da solo». Così la pulizia divenne compito mio. Ero uno studente insolitamente tranquillo. A differenza dei miei com- pagni, non indugiavo in chiacchiere inutili e spesso passavo intere gior- nate senza dire una sola parola. Questa può essere stata la ragione per cui, sebbene non avessi mai fatto ricorso alla violenza, i compagni mi trattavano con rispetto e stavano attenti a come si comportavano in mia presenza. Quando dovevo andare al bagno e c’era una fila di studenti in attesa del proprio turno, mi lasciavano passare immediatamente. Se qualcuno aveva un problema, il più delle volte ero io la persona cui si rivolgeva per un consiglio. Ero molto insistente nelle domande che facevo durante le lezioni, e misi in imbarazzo più di qualche docente. Per esempio, quando studia- vamo una nuova formula, nelle lezioni di matematica o fisica, chiede- vo: «Chi ha scoperto questa formula? Per favore, ce la spieghi passo per passo, perché voglio comprenderla esattamente». Non mi davo per vinto finché non avessi ottenuto risposte chiare. Ero implacabile con i miei insegnanti, e scavavo sempre ogni argomento in profondità. Non potevo accettare alcun principio o formula finché non lo avessi estrapolato e compreso da me stesso. Mi trovavo a desi- derare di essere stato io il primo scopritore di una formula così bella. Il carattere caparbio, che da piccolo mi aveva fatto piangere notti intere, faceva la sua comparsa anche nei miei studi. Proprio come avevo fatto nella preghiera, mi concentrai completamente nello studio, investendo in esso tutta la mia sincerità e dedizione.

Un coltello non più affilato diventa inutile 73 Capitolo 2 - Il mio cuore è un fiume di lacrime

Qualsiasi compito che svolgiamo richiede sincerità e dedizione, e non soltanto per un giorno o due. Dev’essere un processo continuo. Un coltello usato in passato e mai più affilato diventa inutile. Lo stesso accade con la sincerità e la dedizione. Dobbiamo impegnarci conti- nuamente, su una base quotidiana, pensando che ogni giorno stiamo affilando la nostra lama. Qualunque sia il nostro compito, alla fine, se avremo continuato a impegnarci in questo modo, raggiungeremo uno stato mistico. Se, prendendo un pennello, concentrerete nella vostra mano tutta la sincerità e la dedizione, poi direte a voi stessi: «Un grande artista verrà ad aiutarmi», e focalizzerete la vostra mente su questa convinzione, potrete creare un dipinto meraviglioso che ispirerà il mondo. Mi sono esercitato a parlare più velocemente ed in modo più appro- priato di chiunque altro. Andavo in una stanzetta dove nessuno po- teva sentirmi e pronunciavo scioglilingua ad alta voce. Mi allenavo a presentare molto velocemente quello che volevo dire. Alla fine, sono riuscito a pronunciare dieci parole nel tempo che un altro avrebbe im- piegato per dirne soltanto una. Anche adesso, sebbene sia anziano, so parlare molto velocemente. Alcuni dicono che parlo così in fretta che è difficile capirmi, ma il mio cuore sente tanta urgenza che non sopporto di parlare lentamente. Ho la testa piena di cose da dire. Come faccio a rallentare? In questo senso somiglio molto a mio nonno, che amava tanto parlare con la gente. Il nonno poteva andare avanti a parlare con gli ospiti tre o quattro ore di fila, nella sala di casa nostra, spiegando loro il suo punto di vista sugli avvenimenti del giorno. Io sono come lui. Quando sono con la gente e c’è una buona comunicazione di cuore, perdo comple- tamente la cognizione del tempo e non so più dire se sta scendendo la notte o sta sorgendo il sole. Le parole formano nel mio cuore un flusso inarrestabile. Quando mi sento così non ho voglia di mangiare, voglio soltanto parlare. È difficile per chi mi sta ad ascoltare, e vedo che sulla

74 Un coltello non più affilato diventa inutile Capitolo 2 - Il mio cuore è un fiume di lacrime fronte dei miei ascoltatori appaiono gocce di sudore. Ma anche il mio viso è rigato dal sudore mentre continuo a parlare, e nessuno ha il coraggio di salutare e andarsene. Spesso finiamo col restare insieme a parlare per tutta la notte.

Un coltello non più affilato diventa inutile 75 La chiave per svelare un grande segreto

roprio come da ragazzo avevo scalato le cime di tutte le mon- tagne attorno al mio villaggio natale, così esplorai ogni angolo di Seul. A quei tempi, c’era un tram che correva da un estremo Pall’altro della città. Il prezzo del biglietto era di appena cinque jeon1, ma non volevo spendere quei soldi e percorrevo tutta la strada a piedi, fino al centro della città. Nei giorni caldi dell’estate, mentre cammina- vo ero fradicio di sudore; nei giorni gelidi dell’inverno, correvo come se mi dovessi aprire la strada attraverso un aspro vento artico. Cammi- navo tanto velocemente da percorrere la distanza da Heuksok Dong, dall’altra parte del fiume Han, fino ai grandi magazzini Hwa Shin in soli quarantacinque minuti. Considerando che la maggior parte delle persone impiegava un’ora e mezza, potete immaginare quanto in fretta camminassi. Dopo aver risparmiato il prezzo del biglietto del tram, davo il denaro a chi ne aveva più bisogno di me. Si trattava di una somma talmente piccola che era persino imbarazzante darla, ma io la offrivo con il cuore di chi volesse donare una fortuna. Accompagnavo quel denaro con la preghiera che esso potesse essere come un seme, e che quella persona ricevesse tante benedizioni. Ogni anno, in aprile, la mia famiglia mi mandava i soldi della retta scolastica. Ma non potevo astenermi dall’intervenire, quando vedevo qualcuno intorno a me che si trovava in ristrettezze economiche, e così quel denaro non durava neppure fino a maggio. Una volta, mentre andavo a scuola, incontrai una persona che stava così male da sembrare in punto di morte. Fui così dispiaciuto per lui che non potei lasciarlo così. Lo portai in spalla fino all’ospedale, a circa 1 Centesimi di won, la valuta coreana.

76 La chiave per svelare un grande segreto Capitolo 2 - Il mio cuore è un fiume di lacrime due chilometri di distanza. Con i soldi che avrei dovuto usare per il pagamento della mia retta scolastica, pagai il conto del ricovero. Una volta pagato l’ospedale, non mi rimase nulla. Nei giorni successivi, a scuola fui ripetutamente sollecitato a pagare la mia retta. I miei amici si sentirono dispiaciuti per me e organizzarono una colletta a mio favore. Non potrò mai dimenticare gli amici che mi aiutarono a venir fuori da quella situazione. Dare e ricevere aiuto è una relazione stabilita in cielo. Potete non ren- dervene conto sul momento, ma ripensandoci, in seguito, potete com- prenderlo: «Ecco perché Dio mi ha mandato lì in quel momento!». Perciò, se una persona che ha bisogno del tuo aiuto ti capita davanti all’improvviso, devi renderti conto che è il Cielo che ti ha mandato da quella persona per aiutarla, quindi devi fare del tuo meglio. Se il Cielo vuole che tu dia a qualcuno un aiuto pari a dieci, non serve a nulla che tu gli dia soltanto cinque. Se il Cielo ti dice di dargli dieci, gli devi dare cento. Quando aiuti il prossimo, se necessario devi essere pronto a svuotare il tuo portafogli. A Seul vidi per la prima volta in vita mia un «baram ddok», il cui nome significa letteralmente «dolce di riso montato». Si tratta di un dolce di riso colorato, lavorato in una forma elegante. La prima volta che ne vidi uno fui colpito dalla sua forma meravigliosa. Ma quando lo assag- giai scoprii che non c’era ripieno, c’era soltanto aria. Mi si sbriciolò in bocca. Mi fece pensare a Seul come si presentava a quel tempo. Seul era proprio come uno di quei dolci ripieni solo d’aria. Capii perché gli abi- tanti di quella città erano spesso considerati avari dagli altri Coreani. Vista superficialmente, Seul sembrava piena di persone ricche e im- portanti, ma in realtà c’era tanta povertà. Molti mendicanti, vestiti solo di stracci, vivevano sotto il ponte sul fiume Han. Andavo a trovare quei mendicanti, tagliavo loro i capelli e condividevo con loro il mio cuore. I poveri piangono facilmente: hanno accumulato tanta sofferenza. Ba- stava che dicessi poche parole e loro scoppiavano a piangere. A volte,

La chiave per svelare un grande segreto 77 Capitolo 2 - Il mio cuore è un fiume di lacrime

qualcuno di loro mi offriva del riso che aveva avuto in elemosina. Me lo porgeva con le mani incrostate di sporco, ma non rifiutavo mai quel cibo. Lo accettavo sempre con un cuore gioioso. Nel mio villaggio andavo in chiesa tutte le domeniche, e mantenni quest’abitudine anche a Seul. Frequentavo soprattutto la chiesa di Gesù di Myungsudae, situata a Heuksok Dong, e la chiesa penteco- stale di Seobinggo, che celebrava il servizio religioso su una striscia di sabbia sulla riva opposta del fiume Han. Nei giorni freddi d’inverno, il ghiaccio scricchiolava sotto i miei piedi, mentre attraversavo il fiu- me gelato per andare a Seobinggo Dong. Nella chiesa ero impegnato come insegnante della scuola domenicale. Ai bambini piacevano le mie lezioni. Oggi non sono più tanto bravo a raccontare le barzellette come lo ero da giovane, ma a quei tempi inventavo storielle divertenti. Quando piangevo, loro piangevano con me e, quando ridevo, loro ride- vano con me. Ero così apprezzato che mi seguivano dovunque andassi. Alle spalle di Myungsudae c’è il monte Seodal, chiamato anche monte Darma. Spesso mi arrampicavo su un grosso masso sul monte Darma e passavo la notte in preghiera. Tanto col caldo che con il freddo, m’im- mergevo nella preghiera notte dopo notte. Non appena cominciavo a pregare, mi mettevo a piangere e le lacrime mi scorrevano dal naso. Pregavo per ore su certe parole che avevo ricevuto da Dio. Le Sue pa- role erano come messaggi in codice e sentivo il bisogno di immergermi sempre più profondamente nella preghiera. Ripensandoci oggi, mi rendo conto che già allora Dio mi aveva messo nelle mani la chiave con cui aprire la porta di tutti i segreti. Ma io non riuscivo ad aprire la porta, perché le mie preghiere non erano suffi- cienti. Ero così preoccupato che, quando mangiavo, non mi sembrava nemmeno di mangiare. Quando andavo a letto chiudevo gli occhi, ma non riuscivo ad addormentarmi. Gli altri studenti che abitavano nella casa non si accorgevano che an- davo sulla montagna a pregare. Devono comunque aver sentito che ero

78 La chiave per svelare un grande segreto Capitolo 2 - Il mio cuore è un fiume di lacrime in qualche modo diverso, perché mi trattavano con rispetto. In gene- rale, ci trovavamo bene insieme e ridevamo raccontandoci storie buffe. Io posso stare bene con chiunque. Se un’anziana signora viene da me, posso esserle amico. Se vengono dei bambini, posso giocare con loro. Si può avere comunicazione di cuore con chiunque, se ci si accosta agli altri con amore. La signora Gi Wan Lee si avvicinò a me perché era stata ispirata dal- le mie preghiere durante il servizio della prima mattina nella chiesa. Siamo rimasti amici per più di cinquant’anni, fino a che lei ha lasciato questo mondo, all’età di ottant’anni. Aveva una sorella più giovane, Gi Bong Lee, che pur essendo sempre indaffarata nella gestione della loro pensione, mi trattava affabilmente. Diceva che non si sarebbe sentita a suo agio, finché non avesse trovato qualcosa da poter fare per me. Cercava di darmi dei contorni in più per i miei pasti. Io parlavo poco e non ero molto divertente, perciò non riesco a immaginare perché lei mi trattasse con tanto riguardo. Più tardi, mentre ero detenuto dalla polizia coloniale giapponese nella stazione di polizia di Kyounggi, lei mi portava abiti e cibo. Ancora adesso mi si scalda il cuore se penso a ciò che ha fatto. C’era anche una certa signora Song, che aveva un negozietto vicino al mio alloggio. Lei mi aiutò tanto in quel periodo. Diceva che tutti quelli che vivono lontano da casa loro hanno sempre una gran fame, e mi portava da mangiare le cose che non era riuscita a vendere. Era un negozio modesto e a mala pena lei guadagnava abbastanza da vivere, ma si preoccupava sempre di me con un cuore premuroso. Un giorno, avevamo tenuto il servizio religioso sulla riva sabbiosa del fiume Han. Giunta l’ora di pranzo, tutti si sedettero e cominciarono a mangiare. Io avevo l’abitudine di non mangiare a mezzogiorno ed ero imbarazzato a stare lì senza far niente mentre gli altri mangiavano. Mi allontanai pian piano dal gruppo e andai a sedermi su una pila di pietre. La signora Song mi vide e mi portò due pezzi di pane e un po’

La chiave per svelare un grande segreto 79 Capitolo 2 - Il mio cuore è un fiume di lacrime

di riso aromatizzato. Quanto le fui grato! Quel cibo costava appena un jeon al pezzo, solo quattro jeon in totale, ma non ho mai dimenticato la gratitudine che provai in quel momento. Ricordo sempre quando qualcuno mi aiuta, non importa se l’aiuto sia stato piccolo o grande. Anche adesso che ho novant’anni, ricordo di- stintamente tutte le volte che le persone mi hanno aiutato e cosa cia- scuna di esse ha fatto per me. Non potrò mai dimenticare chi ha messo a repentaglio se stesso, senza esitare, per il mio bene e mi ha dato con generosità la sua benedizione. Quando ricevo un favore per me è molto importante restituirlo. Se non riesco ad incontrare la persona che mi ha aiutato, per me è importante mantenerne il ricordo nel mio cuore, e mi impegno a ricambiare ciò che ho ricevuto da quella persona aiutando qualcun altro.

80 La chiave per svelare un grande segreto Una persona dal carattere vulcanico

opo essermi diplomato alla Scuola di Commercio e Tecnolo- gia di Kyeongsung nel 1942, andai in Giappone per continua- re i miei studi. Sentivo che dovevo acquisire una precisa cono- Dscenza del Giappone. Sul treno che mi portava a Busan, non riuscivo a smettere di piangere. Mi coprii con il cappotto e piansi a dirotto. Il naso colava e il viso era gonfio, per quanto piansi. Mi angosciava il pensiero che stavo lasciando il mio paese mentre questo soffriva sotto il giogo del governo coloniale. Mentre piangevo, guardai fuori dal finestrino e mi parve che colline e fiumi piangessero ancora più amareggiati di me. Vidi coi miei occhi le lacrime che sgorgavano dall’erba e dagli alberi. Nel mezzo di questa visione dissi: «Prometto alle colline e ai ruscelli della mia patria che tornerò, portando con me la liberazione della mia terra. Perciò non piangete, ma aspettatemi». Salii sul traghetto che portava da Busan a Shimonoseki alle due della notte del 1° aprile. C’era molto vento quella notte, ma non riuscii ad allontanarmi dal ponte della nave. Rimasi lì a guardare le luci di Busan che si facevano sempre più distanti. Rimasi sul ponte fino al mattino. All’arrivo a Tokio, m’iscrissi alla Waseda Koutou Kougakko - una scuola tecnica affiliata all’università Waseda - e più precisamente al Dipartimento di Ingegneria Elettrica. Scelsi quella materia perché pensai che non sarei stato in grado di fondare una nuova filosofia reli- giosa senza conoscere la tecnica moderna. Il mondo invisibile della matematica ha qualcosa in comune con la religione. Chi vuole raggiungere grandi traguardi deve eccellere nella capacità di ragionamento. Forse a motivo della mia testa grande riusci- vo bene nella matematica, che gli altri invece trovavano difficile, e mi

Una persona dal carattere vulcanico 81 Capitolo 2 - Il mio cuore è un fiume di lacrime

piaceva studiarla. La mia testa era così grossa che avevo difficoltà a tro- vare cappelli della mia taglia. Dovetti passare due volte dalla fabbrica perché mi confezionassero un cappello su misura. La misura della mia testa potrebbe anche avere a che fare con la mia capacità di concentrar- mi su qualcosa e finire relativamente in fretta quello che qualcun altro impiegherebbe un certo tempo a completare. Durante gli studi in Giappone tempestavo di domande i miei inse- gnanti, così come avevo fatto in Corea. Quando cominciavo a fare do- mande non la smettevo più. Alcuni insegnanti facevano finta di non vedermi e semplicemente m’ignoravano, quando chiedevo: «Cosa ne pensa di questo?». Se avevo dei dubbi su un punto, non ero soddisfatto finché non avessi analizzato la questione fino alla radice. Non avevo intenzione di creare imbarazzo ai miei insegnanti; pensavo solo che, ogni volta che dovevo studiare una materia, avrei dovuto investigarla a fondo. Sulla scrivania della mia stanza tenevo sempre aperte tre Bibbie, una a fianco all’altra: una in lingua coreana, una in lingua giapponese e una in lingua inglese. Leggevo più volte lo stesso passo nelle tre lingue. Quando leggevo un passo, sottolineavo le frasi e prendevo appunti a margine. Alla fine, le pagine delle tre Bibbie erano tutte macchiate d’inchiostro nero e risultavano difficili da leggere. Poco dopo l’inizio della scuola, partecipai a un evento, che era stato organizzato dall’associazione degli studenti Coreani per dare il benve- nuto alle nuove matricole, venute dal nostro paese. In quell’occasione cantai con grande trasporto una canzone della nostra patria, mostran- do a tutti il mio amore per la mia nazione. La polizia giapponese era presente. A quel tempo, ci si aspettava che i Coreani si integrassero nella cultura giapponese. Ciononostante, cantai con orgoglio la mia canzone coreana. Duk Moon Eom, che si era iscritto quello stesso anno al Dipartimento di Ingegneria edile, si commosse profondamen- te nel sentirmi cantare. Da allora diventammo amici e lo siamo rimasti

82 Una persona dal carattere vulcanico Capitolo 2 - Il mio cuore è un fiume di lacrime per tutta la vita. A quel tempo, gli studenti Coreani che frequentavano le varie scuo- le nell’area di Tokyo avevano formato un movimento d’indipendenza clandestino. Questo era semplicemente naturale, giacché la nostra pa- tria stava soffrendo sotto il dominio giapponese. Il movimento crebbe in risposta a quella che i Giapponesi chiamarono «la grande guerra dell’Asia Orientale» (1937–1945). Quando la guerra divenne più cruenta, Tokyo cominciò a reclutare gli studenti Coreani e a mandarli al fronte, come «soldati studenti». L’attività del movimento d’indipendenza clandestino fu stimolata ancora di più da questo atto. Tenemmo approfonditi dibattiti su come dovessimo considerare la fi- gura di Hirohito, l’imperatore del Giappone. Io presi un ruolo di rilievo nel movimento. Questo comportò strette relazioni con il governo provvisorio della Repubblica di Corea, che era stato stabilito a Shanghai, sotto la guida di Kim Gu. Le mie respon- sabilità in quel contesto potevano comportare il rischio della vita. Ma non esitai perché ero sicuro che, se fossi morto, sarebbe stato per una causa giusta. C’era un commissariato di polizia accanto all’università di Waseda. Alla polizia giapponese giunse voce della mia attività, così mi tennero sotto attento controllo. La polizia sapeva sempre quando sarei torna- to in Corea per le vacanze scolastiche, e mi seguiva fino al molo per assicurarsi che io partissi. Non riesco nemmeno a ricordare il numero di volte che fui arrestato dalla polizia, picchiato, torturato, sbattuto in cella. Ma neanche sotto le peggiori torture diedi loro le informazioni che volevano. Più mi colpivano, più acquistavo coraggio. Una volta, sul ponte di Yotsugawa, ebbi uno scontro con la polizia che mi stava dando la caccia. Staccai un pezzo del parapetto del ponte e lo usai a mo’ di arma. In quel periodo ero una persona dal carattere vulcanico.

Una persona dal carattere vulcanico 83 L’amicizia con gli operai e la condivisione della loro sofferenza

roprio come avevo fatto a Seul, mi posi l’obiettivo di visitare ogni angolo di Tokyo. Quando i miei amici andavano in posti come Nikko1 ad ammirare il paesaggio, io preferivo restare in Pcittà e camminare per i quartieri di Tokyo. Scoprii che era una città molto bella in apparenza, ma in realtà piena di gente povera. Anche lì donai ai poveri tutti i soldi che avevo ricevuto da casa. A quel tempo, anche in Giappone erano tutti affamati. Tra gli studenti Coreani ce n’erano molti in difficoltà economiche. Ogni mese, quando ricevevo i miei buoni pasto, li distribuivo agli studenti che non pote- vano permettersi di comprarne e dicevo loro: «Mangia. Mangia tutto quello che vuoi». Non mi preoccupavo di come guadagnare i soldi: potevo andare dovunque, lavorare a giornata e sfamarmi. Mi piaceva guadagnare e poi usare il denaro per aiutare gli studenti che non ne avevano per pagare la loro retta. Aiutare gli altri e dar loro da mangiare mi riempiva di energia. Dopo aver regalato tutto il denaro che avevo, lavoravo come fattorino, usando un carretto tirato da una bicicletta. Con quel mezzo andai in ogni zona di Tokyo. Una volta a Ginza, il quartiere dalle luci sfavillanti, stavo trasportando sul mio carretto un palo del telefono, che si rovesciò nel mezzo di un incrocio. Tutti quelli che erano intorno corsero a met- tersi in salvo. Grazie a questo tipo di esperienze ancora oggi conosco molto bene Tokyo. Ero un operaio tra gli operai ed ero amico degli operai. Andavo a la- vorare nei cantieri e puzzavo di sudore proprio come loro. Erano i miei fratelli e io non mi preoccupavo del loro odore terribile. Condividevo con loro coperte così sporche che file di pidocchi neri le percorrevano 1 Una delle più importanti e belle città storiche del Giappone.

84 L’amicizia con gli operai e la condivisione della loro sofferenza Capitolo 2 - Il mio cuore è un fiume di lacrime in formazione. Non esitavo a stringere mani incrostate di sporco. Il sudore mischiato alla sporcizia era controbilanciato però da un irresi- stibile calore umano. Mi colpiva e mi coinvolgeva il loro caldo cuore. All’inizio lavorai come operaio alle fonderie ed ai cantieri navali Ka- wasaki. C’erano delle chiatte che venivano usate per trasportare il car- bone. Formavamo squadre di tre operai e, lavorando fino all’una di notte, le caricavamo di carbone. Noi Coreani riuscivamo a completare in una notte il lavoro che i Giapponesi avrebbero finito in tre giorni. In certi luoghi di lavoro c’erano persone che sfruttavano il lavoro degli operai, e spesso si trattava dei loro stessi capisquadra. Tenevano per sé il trenta percento del salario guadagnato dai lavoratori sotto il loro comando. Di fronte a loro gli operai erano impotenti. I capisquadra sfruttavano i più deboli e favorivano i più forti. Mi arrabbiai così tanto con un caposquadra che andai a trovarlo insieme a due amici e pretesi che pagasse agli operai tutto il loro salario: «Se fai lavorare qualcuno - gli dissi - gli devi dare esattamente quanto gli è dovuto». Egli rifiutò, così noi andammo a parlargli un secondo giorno e poi un terzo. Eravamo decisi a tenerlo sotto pressione finché non si fosse ar- reso. Alla fine gli diedi un calcio e lo feci cadere a terra. Normalmente sono una persona quieta e paziente ma, quando mi arrabbio, riemerge il carattere testardo della mia gioventù. La fonderia Kawasaki aveva delle vasche utilizzate per conservare l’a- cido solforico. Gli operai le pulivano facendone defluire il contenuto e calandosi all’interno. Poiché i vapori dell’acido solforico sono estre- mamente tossici, una persona non poteva trattenersi lì dentro per più di un quarto d’ora. In quelle deplorevoli condizioni di lavoro, gli operai rischiavano la vita per guadagnarsi da mangiare. Il cibo era davvero prezioso. Avevo sempre fame, ma facevo attenzione a non mangiare mai, nean- che un solo pasto, esclusivamente per me stesso. Sentivo che doveva esserci un motivo specifico per mangiare quel determinato pasto. Così,

L’amicizia con gli operai e la condivisione della loro sofferenza 85 Capitolo 2 - Il mio cuore è un fiume di lacrime

ogni volta che mi sedevo a mangiare, mi domandavo quali fossero le ragioni della mia fame: «Ho lavorato abbastanza? Ho lavorato per me stesso o per uno scopo pubblico?». Mi mettevo davanti alla scodella di riso e dicevo: «Ora ti mangerò in modo da poter assolvere compiti più importanti e più utili per il bene pubblico rispetto a quelli di ieri». Allora, il riso mi sorrideva in segno di approvazione e il tempo che trascorrevo a consumare il pasto diventava mistico e gioioso. Se non mi sentivo qualificato a parlare in questo modo, saltavo il pasto, non im- porta quanto fossi affamato. Di conseguenza non erano molti i giorni in cui mangiavo due volte. Non mi limitavo a due pasti al giorno per mancanza di appetito. In realtà, quando cominciavo a mangiare, non c’era limite alla quantità di cibo che potevo ingerire. Una volta, mangiai undici grandi tazze di spaghetti di soia tutte insieme. Un’altra volta, mangiai sette piatti di una pietanza fatta di riso, pollo e uova fritte. Malgrado il mio appetito, mantenni l’abitudine di non mangiare a pranzo e mi limitai a un mas- simo di due pasti al giorno, fino a dopo i trent’anni. La sensazione della fame è una sorta di nostalgia. Conoscevo molto bene la nostalgia data dalla fame, ma reputavo che il sacrificio di un pasto al giorno fosse il minimo che potessi fare per il bene del mondo. Oltre a questo, evitavo di indossare abiti nuovi e, per quanto facesse freddo, non riscaldavo mai la mia stanza. Quando la temperatura era estremamente rigida, usavo un giornale per coprirmi: mi teneva caldo come una coperta di seta. Ho ben presente il valore che può avere un foglio di giornale. A volte andavo a vivere per un po’ di tempo in una zona di Shinaga- wa dove vivevano dei poveri. Dormivo con loro, usando degli stracci come coperte. Nei giorni caldi e soleggiati, toglievo loro i pidocchi dai capelli e mangiavamo insieme. C’erano tante prostitute nelle strade del quartiere. Le ascoltavo mentre mi raccontavano le loro storie. Di- venni il loro migliore amico, ma non bevvi mai neanche una goccia di

86 L’amicizia con gli operai e la condivisione della loro sofferenza Capitolo 2 - Il mio cuore è un fiume di lacrime liquore: alcuni dicono che, per parlare sinceramente, bisogna essere un po’ ubriachi, ma si tratta solo di un pretesto. Quando quelle donne si rendevano conto che la mia simpatia per loro era sincera, anche se non avevo affatto bevuto, mi aprivano il loro cuore e mi parlavano dei loro affanni. Ho fatto tanti diversi lavori durante il periodo dei miei studi in Giap- pone. Ho fatto le pulizie in un palazzo di uffici. Ho scritto lettere per gli analfabeti. Ho lavorato in tanti posti diversi e sono stato un capo- squadra. Ho predetto il destino. Quando dovevo fare soldi alla svelta, scrivevo calligrafie e le vendevo. Tuttavia, non sono mai rimasto indie- tro con gli studi. Pensavo che tutte queste cose dovessero essere parte del mio addestramento. Feci ogni tipo di lavoro e incontrai ogni tipo di persona. Nel frattempo, imparavo tante cose sulla gente. Poiché ho avuto queste esperienze, ora mi basta dare un’occhiata a qualcuno per farmi un’idea di cosa faccia per vivere e se sia o meno una brava perso- na. Non ho bisogno di valutare nella mia testa tanti pensieri, perché il mio corpo mi dà immediatamente la risposta. Credo tuttora che per sviluppare un buon carattere sia necessario spe- rimentare tante difficoltà prima di compiere i trent’anni. La gente deve scendere nell’agonia della disperazione, toccare il fondo dell’esistenza umana e constatare cosa si provi in quelle condizioni. Le persone de- vono scoprire le nuove possibilità che possono emergere nel mezzo dell’inferno. Solo risalendo dagli abissi della disperazione, e ridetermi- nandoci con motivazioni più grandi, possiamo rinascere come pionieri di un nuovo futuro. Non dobbiamo guardare in una sola direzione. Dobbiamo osservare sia quelli che sono in una posizione più elevata della nostra, sia quelli che sono sotto di noi. Dobbiamo saper guardare a est, ovest, sud e nord. La possibilità di condurre una vita di successo dipende da quanto sono acuti i nostri occhi della mente. Per vedere bene con gli occhi della mente, dobbiamo vivere tante diverse esperienze e conservarne dentro

L’amicizia con gli operai e la condivisione della loro sofferenza 87 Capitolo 2 - Il mio cuore è un fiume di lacrime

di noi il ricordo. Anche nelle situazioni più difficili dobbiamo man- tenerci calmi, manifestare agli altri il nostro calore, fare conto su noi stessi e adattarci in fretta a qualsiasi circostanza. Una persona di buon carattere deve essere abituata a salire fino a una posizione prestigiosa e poi, rapidamente, precipitare in una posizione infima. Molti temono di cadere dalla loro posizione elevata e fanno qualsiasi cosa per mantenerla. Tuttavia, l’acqua che non scorre diventa putrida. Chi giunge fino ad occupare una posizione elevata deve essere in grado di ridiscendere e attendere che il suo momento ritorni. Quan- do si presenterà l’occasione giusta, potrà elevarsi ad uno stato ancora più elevato del precedente. Questo è il tipo di persona che può diven- tare davvero grande ed essere ammirato da tante persone, e diventare così un grande leader. Queste sono le esperienze che una persona deve maturare prima dei trent’anni. Oggi dico ai giovani di provare davvero tutto quello che è possibile al mondo. I giovani devono sperimentare, direttamente o indirettamente, tutte le opportunità che il mondo offre loro, come se divorassero un’en- ciclopedia. Solo così possono formarsi una loro identità. La consapevolezza di sé è la chiara natura soggettiva di ciascun uomo. Chi ha il coraggio di dire: «Posso viaggiare per tutto il Paese, e non incontrerò mai nessuno capace di sconfiggermi», sarà pronto ad affron- tare qualsiasi impegno, con la fiducia che potrà assolverlo con successo. Chi vive in questo modo sarà vittorioso. Il successo sarà assicurato. Questa è la conclusione cui sono giunto quando vivevo come un men- dicante a Tokyo. A Tokyo ho mangiato e dormito insieme con i manovali, ho condiviso il supplizio della fame con i mendicanti, ho conosciuto la durezza della vita e mi sono laureato nella filosofia della sofferenza. Solo così sono stato in grado di comprendere la volontà di Dio, nel Suo lavoro per portare la salvezza all’umanità. È importante diventare un «re della sofferenza» prima dei trent’anni d’età. La strada per arrivare alla gloria

88 L’amicizia con gli operai e la condivisione della loro sofferenza Capitolo 2 - Il mio cuore è un fiume di lacrime del Regno dei Cieli è diventare un tale «re», una persona capace di sopportare qualsiasi sofferenza.

L’amicizia con gli operai e la condivisione della loro sofferenza 89 Il mare calmo del cuore

el corso della guerra, la situazione del Giappone si fece sem- pre più disperata. Spinti dalla necessità di reintegrare i ranghi assottigliati delle forze armate, i Giapponesi cominciarono a Ndiplomare gli studenti anticipatamente e ad inviarli subito dopo sul fronte di guerra. Per questo motivo anch’io conseguii il mio diploma con sei mesi di anticipo. Dopo aver appreso che la data del mio diploma era stata fissata al 30 settembre del 1943, mandai un telegramma alla mia famiglia con cui li informai che sarei giunto a Busan con la nave Konron Maru in parten- za da Shimonoseki. Tuttavia, il giorno in cui dovevo lasciare Tokyo per intraprendere il viaggio di ritorno in Corea, ebbi una strana esperienza: sentii come se avessi i piedi incollati al terreno e non riuscivo a muo- vermi. Per quanto provassi, non riuscivo a sollevare le scarpe da terra e andare a prendere il treno alla stazione di Tokyo. Mi dissi: «Dev’essere il Cielo che non vuole farmi imbarcare su quella nave». Così decisi di restare un po’ più a lungo in Giappone e andai a fare una camminata con gli amici sul monte Fuji. Quando tornai a Tokyo, qualche giorno dopo, trovai la città in trambusto per la notizia che la Konron Maru1, la nave che avrei dovuto prendere, era stata affondata durante la tra- versata verso Busan. Mi dissero che più di cinquecento persone, tra cui molti studenti universitari, erano rimaste uccise. Era un grande piroscafo, di cui il Giappone andava molto fiero, ed era stato affondato da un siluro americano. Mia madre, non appena sentita la notizia che la nave sulla quale suo

1 La Konron Maru fu affondata dal sommergibile americano USS Wahoo il 5 ottobre 1943. Trasportava 616 persone tra passeggeri ed equipaggio; il mare era in tempesta e si salvarono solo in 72.

90 Il mare calmo del cuore Capitolo 2 - Il mio cuore è un fiume di lacrime figlio aveva programmato di viaggiare era stata affondata, era corsa im- mediatamente fuori di casa, senza neppure pensare a mettere le scarpe. Aveva corso a piedi nudi per otto chilometri, fino alla stazione ferro- viaria, ed era andata direttamente a Busan. Quando arrivò alla Polizia Marittima di Busan, scoprì che il mio nome non era sulla lista dei passeggeri. Al mio alloggio di Tokyo, d’altra parte, le dissero che avevo fatto i bagagli ed ero partito. Questo la mise in uno stato di confusione e ansietà totali. Continuò a chiamare il mio nome, senza neanche ac- corgersi che aveva grosse schegge conficcate nei piedi nudi. Potevo facilmente immaginare come dovesse essere fuori di sé, per la preoccupazione di quello che poteva essere accaduto a suo figlio. Po- tevo capire il cuore di mia madre ma, dal giorno che avevo scelto di seguire la strada di Dio, ero diventato un figlio terribile. Non potevo lasciarmi bloccare dai sentimenti personali. Così non mi feci sentire e non feci cenno del fatto che non avevo preso quella nave, anche se sapevo che lei sarebbe stata terribilmente preoccupata per la mia in- columità. Quando finalmente ritornai in Corea, trovai che nulla era cambiato. Il governo dittatoriale del Giappone era peggiorato col tempo, e tutta la nazione soffriva terribilmente. Tornai a Heuksok Dong, a Seul, e fre- quentai la chiesa di Myungsudae. Tenevo un diario particolareggiato di quello che andavo scoprendo giorno per giorno. A volte, quando avevo tante rivelazioni, riempivo un intero diario in un sol giorno. Ricevevo risposta a tanti degli interrogativi sui quali mi ero arrovellato nel corso degli anni. Era come se tutti i miei anni di preghiera e di ricerca rice- vessero una risposta proprio in quel periodo. Quelle rivelazioni avve- nivano subitaneamente, era come se fossi attraversato da una sfera di fuoco. Durante quel periodo ebbi un’intuizione: «La relazione tra Dio e l’u- manità è quella di padre e figlio, e Dio soffre profondamente nel vedere la sofferenza degli uomini». In quel momento tutti i segreti dell’univer-

Il mare calmo del cuore 91 Capitolo 2 - Il mio cuore è un fiume di lacrime

so mi apparvero risolti nella mente. Fu come se qualcuno all’improvvi- so avesse acceso un proiettore cinematografico. Tutto ciò che era acca- duto dal momento in cui l’umanità aveva infranto il comandamento di Dio in avanti, mi apparve chiaramente davanti agli occhi. Lacrime cocenti sgorgavano senza interruzione dai miei occhi. Caddi in ginocchio e chinai la testa sul pavimento. Per un tempo lunghissimo non potei rialzarmi. Proprio com’era accaduto quando mio padre mi portava a casa sulle spalle, da bambino, abbandonai il mio corpo nelle braccia di Dio e mi lasciai andare al pianto. Nove anni dopo il mio incontro con Gesù, i miei occhi si erano infine aperti al vero amore di Dio. Dio aveva creato Adamo ed Eva in questo mondo perché diventassero fecondi, si moltiplicassero e realizzassero un mondo nel quale vivere in pace. Purtroppo i nostri progenitori non avevano saputo aspettare il tempo pianificato da Dio. Avevano commesso fornicazione e avevano generato due figli, Caino e Abele. Questi due figli nati dalla caduta però non si fidavano uno dell’altro; ciò generò una situazione confusa, e Caino uccise Abele. La pace di questo mondo fu sconvolta, il peccato ricoprì la terra ed ebbe inizio la sofferenza di Dio. Poi, l’umanità com- mise un altro terribile peccato uccidendo Gesù, il Messia. Perciò, la sofferenza che l’umanità prova ancor oggi è un processo di espiazione che essa deve percorrere, finché continua il dolore di Dio. Gesù mi era apparso, quando ero un ragazzo sedicenne, perché voleva che conoscessi la radice del peccato originale commesso dall’umanità e costruissi un mondo di pace, nel quale non esistessero più il peccato e la caduta. Avevo ricevuto le chiare e gravi istruzioni di Dio, la traccia del corso per l’espiazione dei peccati dell’umanità e per la realizzazione del mondo di pace, che Dio intendeva creare in origine. Il mondo di pace che Dio desidera non è un luogo nel quale andiamo dopo la morte. Dio vuole che questo mondo, in cui noi viviamo adesso, sia il mondo completamente pacifico e felice che Egli aveva creato

92 Il mare calmo del cuore Capitolo 2 - Il mio cuore è un fiume di lacrime all’inizio. Dio certamente non aveva messo al mondo Adamo ed Eva perché soffrissero. Io dovevo far conoscere al mondo questa incredibile verità. Avendo scoperto i segreti della creazione dell’universo, sentii che il mio cuore diventava come un mare calmo. Il mio cuore era pieno della parola di Dio. Era come se potesse esplodere da un momento all’altro, e il mio volto era sempre splendente di gioia.

Il mare calmo del cuore 93 «Ti prego, non morire»

ontinuai a dedicarmi alla preghiera, e ad un certo punto ebbi l’intuizione che era venuto il tempo di sposarmi. Poiché avevo deciso di seguire la strada di Dio, ogni aspetto della mia vita Cdoveva compiersi secondo la volontà di Dio. Ogni volta che giungevo a comprendere qualcosa attraverso la preghiera, non avevo altra scelta se non quella di metterla fedelmente in pratica. Così, andai da una delle mie zie, che aveva molta esperienza nel combinare i matrimoni1, e le chiesi di presentarmi una possibile moglie. È così che incontrai Seon Gil Choi, appartenente ad una famiglia cristiana piuttosto in vista di Jung-ju. Era una ragazza beneducata che veniva da una famiglia di grande ret- titudine. Aveva fatto solo le scuole elementari, ma il suo carattere era così forte e la sua fede cristiana così profonda, che a sedici anni era sta- ta imprigionata: si era rifiutata di sottostare alle pretese delle autorità giapponesi, le quali imponevano a tutti i Coreani di partecipare al culto nei templi scintoisti. Mi dissero che ero il ventiquattresimo uomo che le veniva proposto come sposo, così compresi che doveva essere molto selettiva su chi sposare. Ma, una volta tornato a Seul, dimenticai persi- no di aver incontrato quella ragazza. Avevo in programma, dopo aver completato i miei studi in Giappo- ne, di andare a Hailar, una città cinese al confine tra Cina, Russia e Mongolia. La mia scuola di Tokyo mi aveva trovato un lavoro con la Società Elettrica della Manciuria, ed avevo pianificato di lavorare ad Hailar per circa tre anni. Nel frattempo, avrei imparato il russo, il cine-

1 A quel tempo, ma spesso anche oggi, i matrimoni in Corea erano combinati dai ge- nitori degli sposi, talvolta con la cooperazione di persone che svolgevano l’attività di intermediari tra le famiglie o i giovani.

94 «Ti prego, non morire» Capitolo 2 - Il mio cuore è un fiume di lacrime se e il mongolo. Proprio come in precedenza avevo cercato una scuola dove m’insegnassero la lingua giapponese, così da poter combattere i Giapponesi, allo stesso modo volevo andare in questa città di confine e imparare diverse lingue straniere, in modo da prepararmi per il futuro. Diventava sempre più chiaro, comunque, che il Giappone si avviava verso la sconfitta; decisi perciò che sarebbe stato meglio non andare in Manciuria. Così, feci tappa presso una succursale della Società Elet- trica della Manciuria ad Andung (l’odierna Dandong) e presentai una dichiarazione di rinuncia all’assunzione in quel lavoro. Mi diressi poi verso il mio paese natale. Quando arrivai scoprii che la zia, alla quale avevo chiesto di combinare il mio matrimonio, era terribilmente angosciata. Sembrava proprio che la ragazza che avevo incontrato si rifiutasse di prendere in considera- zione come suo compagno qualunque altro uomo al di fuori di me, e stava creando tanti problemi alla sua famiglia. La zia mi prese sotto- braccio e mi condusse a casa della famiglia Choi. Spiegai chiaramente a Seon Gil Choi che tipo di vita intendevo con- durre: «Anche se ci sposassimo adesso, tu dovresti essere pronta a vive- re senza di me per almeno sette anni» le dissi. «Perché dovrei farlo?» mi rispose. Ed io: «Perché in questo momento ho un compito più importante che semplicemente formare una famiglia. In effetti, il motivo per cui desi- dero sposarmi ha a che fare con la mia capacità di sviluppare il lavoro di salvezza di Dio. Il nostro matrimonio deve svilupparsi oltre la fami- glia, fino al punto in cui possiamo amare la nazione e tutta l’umanità. Ora che conosci le mie intenzioni, vuoi davvero sposarmi?». M rispose con voce ferma: «Questo non ha importanza per me. Dopo che ti ho incontrato, ho sognato un prato fiorito sotto la luce della luna. Sono sicura che tu sei il marito che mi manda il Cielo. Posso affrontare qualsiasi difficoltà». Ero ancora preoccupato e insistetti varie volte. Ogni volta lei cercò di

«Ti prego, non morire» 95 Capitolo 2 - Il mio cuore è un fiume di lacrime

tranquillizzarmi dicendo: «Sono pronta a fare qualsiasi cosa pur di po- terti sposare. Non preoccuparti di nulla». Il mio futuro suocero mancò una settimana prima della data che avevamo scelto per le nozze, così il nostro matrimonio fu rimandato. Alla fine, la nostra cerimonia di nozze si poté tenere il 4 maggio 1944. Solitamente, maggio è un periodo caratterizzato da belle giornate pri- maverili, ma il giorno del nostro matrimonio piovve a dirotto. La ce- rimonia fu officiata dal reverendo Ho Bin Lee della Chiesa di Gesù. Più tardi, dopo la liberazione della Corea dal Giappone, il reverendo Lee andò in Corea del Sud e fondò un seminario ecumenico chiamato Jungang. Mia moglie e io cominciammo la nostra vita coniugale nella pensione di Heuksok Dong, dove alloggiavo. Io l’amavo tanto e ne avevo così tanta cura che la padrona della casa mi diceva: «Devi amarla davvero: la tratti con la delicatezza con cui si maneggerebbe un uovo». Per mantenere la famiglia, presi un lavoro a Yongsan, nella sede di Kyongsong della società di costruzioni Kashima Gumi, mentre allo stesso tempo sviluppavo l’attività della chiesa. Poi, un giorno di otto- bre, la polizia giapponese improvvisamente fece irruzione nella nostra casa: «Conosci Tizio e Caio dell’università di Waseda?» mi doman- darono. Senza neppure darmi la possibilità di rispondere, mi trasci- narono fuori di casa e mi portarono al commissariato provinciale di Kyeounggi. Ero stato prelevato perché uno dei miei amici, arrestato con l’accusa di essere un comunista, aveva fatto il mio nome nel corso degli interrogatori. Non appena arrivato al posto di polizia cominciai ad essere torturato: «Sei un membro del partito comunista, non è così? Collaboravi con quel mascalzone quando studiavi in Giappone? Non provare nemme- no a negarlo. Tutto ciò che dobbiamo fare è chiamare al telefono gli uffici della polizia di Tokyo e loro ci diranno tutto. Puoi darci l’elenco dei membri del partito o morire come un cane». Mi percossero con un tavolo e ne spezzarono tutte e quattro le gambe

96 «Ti prego, non morire» Capitolo 2 - Il mio cuore è un fiume di lacrime contro il mio corpo, ma rifiutai di dire loro i nomi di coloro che aveva- no lavorato con me in Giappone. Poi la polizia giapponese andò dove abitavo con mia moglie, mise sot- tosopra tutta la casa e scoprì i miei diari. Mi portarono i diari e li sfo- gliarono pagina per pagina, esigendo che spiegassi loro chi fossero le persone di cui avevo riportato i nomi. Io continuai a negare ogni adde- bito, sebbene sapessi che avrebbero potuto uccidermi per il mio silen- zio. I poliziotti saltarono senza pietà sul mio corpo, con i loro scarponi chiodati, finché divenni floscio come un cadavere. Mi agganciarono al soffitto e mi dondolarono avanti e indietro. Come un quarto di carne appeso in una macelleria, oscillavo di qua e di là mentre mi spingevano con un bastone. Ben presto la mia bocca si riempì di sangue, che co- minciò a gocciolare sul pavimento di cemento sotto di me. Ogni volta che perdevo conoscenza, mi gettavano addosso un secchio d’acqua. Quando mi risvegliavo, la tortura riprendeva. Mi tapparono il naso e m’infilarono in bocca il beccuccio di un bollitore, costringen- domi a bere. Quando il mio stomaco fu gonfio d’acqua, mi distesero supino sul pavimento e presero a saltare sulla mia pancia con i loro sti- valetti anfibi. Vomitai quell’acqua, spinta su per l’esofago, finché il mio sguardo si oscurò e tutto divenne nero. Nei giorni successivi a quella tortura mi sembrò di avere la gola in fiamme. Il dolore era così forte che non riuscii a deglutire neppure un solo cucchiaio di zuppa. Privo di energie, giacqui a faccia in giù sull’impiantito, incapace di compiere qualsiasi movimento. La guerra stava per finire e i poliziotti giapponesi erano disperati. M’inflissero torture che non si possono descrivere a parole. Non feci mai però il nome di nessuno dei miei amici. Anche mentre passavo dalla coscienza all’incoscienza, feci attenzione a non dare loro quello che volevano. Alla fine, stanchi di torturarmi, mandarono a cercare mia madre. Quando lei arrivò, le mie gambe erano talmente gonfie che non riuscivo a mantenermi in piedi. Con le braccia attorno alle spalle di due

«Ti prego, non morire» 97 Capitolo 2 - Il mio cuore è un fiume di lacrime

poliziotti riuscii ad arrivare fino alla stanza delle visite. Mia madre aveva gli occhi pieni di lacrime, prima ancora di posare lo sguardo su di me. «Resisti ancora un po’» disse, «tua madre ti troverà un avvocato. Per favore, resisti e non morire». Mia madre mi vide con il viso coperto di sangue e mi supplicò: «Non ha importanza quanto bene tu stia cercando di fare, è più importante che tu rimanga vivo. Non importa cosa accada, non morire». Fui addolorato per lei. Avrei desiderato chiamarla «Mamma», abbracciarla e piangere a dirotto con lei. Ma non potevo farlo, perché comprendevo perfettamente bene il motivo per cui la polizia giapponese l’aveva portata lì. Mia madre con- tinuò a supplicarmi di non morire, ma tutto quello che potevo fare era chiudere ed aprire gli occhi terribilmente gonfi ed insanguinati. Durante la mia detenzione nel commissariato provinciale di Kyeonggi, fu la signora Gi Bong Lee, la padrona del mio alloggio, che mi rifornì di cibo e vestiti. Ogni volta che veniva a trovarmi piangeva. Io la con- fortavo dicendo: «Pazienti ancora un po’. Questo tempo sta per finire. Presto il Giappone sarà sconfitto. Non deve piangere». Le mie non erano parole vuote. Dio mi aveva dato questa fiducia. Non appena la polizia mi liberò, nel febbraio dell’anno successivo, portai tutti i diari, che erano stati ammucchiati nel mio alloggio, sulla riva del fiume Han e li bruciai, in modo che non potessero causare altri guai ai miei amici. Sapevo che, se non lo avessi fatto, quei diari sarebbero stati utilizzati dalla polizia per colpire altre persone. La mia convalescenza dalla tortura non fu facile. Per un lungo periodo le mie feci furono intrise di sangue. La signora Lee e sua sorella mi aiutarono a rimettermi in salute con grande e sincera dedizione. Infine il 15 agosto del 1945 la Corea fu liberata dal Giappone. Fu il giorno che tutti i Coreani avevano tanto atteso, un giorno d’incredi- bile emozione. Tutta la penisola si riempì di urla di «Mansei!2» e di

2 Letteralmente: «Diecimila anni!». Corrisponde al giapponese «Banzai!» ed è un augu- rio di lunga vita, in questo caso rivolto alla nazione.

98 «Ti prego, non morire» Capitolo 2 - Il mio cuore è un fiume di lacrime folle che sventolavano bandiere coreane. Io però non riuscii ad unirmi ai festeggiamenti. Il mio cuore era mortalmente preoccupato, perché presentivo la terribile calamità che stava per abbattersi sulla penisola coreana. Mi ritirai da solo in una stanzetta e m’immersi nella preghie- ra. Poco più tardi, le mie paure presero corpo. Benché fossimo stati liberati dal dominio giapponese, la nostra patria fu divisa in due lungo il 38° parallelo. Al Nord salì al potere un regime comunista che negava l’esistenza di Dio.

«Ti prego, non morire» 99 Un ordine che deve essere eseguito

mmediatamente dopo la liberazione, il nostro paese si trovò in un caos indescrivibile. Era difficile far fronte alle necessità quotidiane, anche per le persone ricche. A casa nostra rimanemmo senza riso, Icosì partii per Paekchon, una cittadina nella provincia di Hwanghae, a Nord di Seul, appena a sud del 38° parallelo. Andavo a prendere del riso che avevamo già acquistato. Durante il viaggio, però, ricevetti una rivelazione che diceva: «Attraversa il 38° parallelo! Trova le persone di Dio che stanno al Nord». Passai immediatamente il 38° parallelo e mi diressi verso Pyongyang. Il nostro primo figlio era nato da appena un mese. Ero preoccupato per mia moglie. Sapevo che mi avrebbe atteso ansiosamente, ma non ave- vo il tempo di ritornare a casa prima di andare al Nord. Gli ordini di Dio sono molto seri, e vanno eseguiti senza riserve né esitazioni. Non presi con me nulla se non la Bibbia, che avevo letto dozzine di volte e avevo riempito di annotazioni, scritte in lettere minuscole come semi di sesamo. I profughi stavano già riversandosi verso Sud per sfuggire al dominio comunista. In particolare, il rifiuto della religione da parte del Partito Comunista spingeva molti Cristiani a dirigersi verso il Sud, in cerca della libertà di praticare la loro fede. I comunisti avevano etichettato la religione come l’oppio dei popoli e sostenevano che nessuno dovesse avere una religione. Quello era il luogo in cui andai, seguendo la chia- mata del Cielo. Nessun ministro religioso sarebbe voluto andare in un posto simile, ma io mi diressi lì di mia spontanea volontà. Poiché il numero dei profughi diretti al Sud aumentava, il Nord iniziò a rafforzare le misure di sicurezza ai propri confini. Non mi fu facile superare il 38° parallelo. Per tutto il tempo che impiegai per percorrere

100 Un ordine che deve essere eseguito Capitolo 2 - Il mio cuore è un fiume di lacrime i quaranta chilometri che mi separavano dal confine, e poi per arrivare a Pyongyang, non mi posi alcuna domanda sul perché dovessi prendere un corso tanto difficile. Arrivai a Pyongyang il 6 giugno. Il cristianesimo si era radicato tan- to profondamente in quella città che era conosciuta ormai come la «Gerusalemme dell’Est». Durante la loro occupazione, i Giapponesi avevano cercato in tanti modi di soffocare il cristianesimo; constrin- gevano i coreani a partecipare ai riti nei templi scintoisti, e li facevano inchinare nella direzione del palazzo imperiale di Tokyo. Dopo essere arrivato a Pyongyang, iniziai la mia attività di evangelizzazione nella casa di Choi Seob Rah, che viveva nel quartiere di Kyongchang Ri, nelle vicinanze della Porta Ovest di Pyongyang. Cominciai con l’occuparmi dei bambini del quartiere. Raccontavo loro storie che illustravano i passi biblici. Sebbene fossero bambini, mi rivolgevo a loro con il linguaggio rispettoso normalmente riservato agli adulti1 e profondevo il mio miglior impegno per curarmi di loro. Allo stesso tempo, serbavo la speranza che qualcuno sarebbe venuto ad ascoltare il nuovo messaggio che portavo. C’erano giorni in cui tenevo d’occhio il cancello per tutto il tempo, sperando che qualcuno venisse. Ben presto, cominciarono a venirmi a trovare persone di fede sincera. Parlavo loro per tutta la notte, insegnando il nuovo messaggio. Non importava chi venisse. Avrebbe potuto essere un bambino di tre anni o una vecchia cieca con la schiena piegata: li trattavo tutti con amore e rispetto. Mi inchinavo davanti a loro e li servivo come se fossero stati mandati dal cielo. Anche quando i miei ospiti erano molto anziani, parlavo con loro fino a tarda notte. Non mi sono mai detto: «Oh, non sopporto quando vengono queste persone anziane». Tutti sono pre- ziosi. Che sia uomo o donna, giovane o vecchio, ognuno ha lo stesso

1 La lingua coreana prevede varie forme di rispetto: esiste un modo per rivolgersi alle persone socialmente inferiori o superiori, ai propri fratelli e sorelle, ai genitori, alle per- sone anziane...

Un ordine che deve essere eseguito 101 Capitolo 2 - Il mio cuore è un fiume di lacrime

prezioso valore. La gente ascoltava quel giovane ventiseienne che parlava loro dell’E- pistola ai Romani e del Libro dell’Apocalisse. Ciò che ascoltavano era differente da quanto avessero mai sentito altrove, così gradualmente cominciarono a radunarsi persone assetate di verità. Un giovane veniva ogni giorno ad ascoltarmi, ma poi andava via senza dire una parola. Era Won Pil Kim. Questi divenne il primo membro della mia famiglia spirituale. Si era diplomato alla scuola normale di Pyongyang e lavorava come insegnante. Facevamo a turno per cucinare il riso e in questo modo costruimmo la relazione spirituale di maestro e discepolo. Quando cominciavo a spiegare la Bibbia, mi fermavo solo quando i presenti mi salutavano scusandosi perché dovevano andare da qualche parte. Predicavo con tanta passione che il mio corpo era tutto sudato. A volte facevo una pausa e andavo in un’altra stanza, dove rimanevo solo, mi toglievo la camicia e strizzavo il sudore. Era così non soltanto in estate, ma anche nel freddo dell’inverno. Questa era l’energia che mettevo nel mio insegnamento. Per il servizio della domenica, tutti mettevano abiti bianchi puliti. Ri- petevamo dozzine di volte gli stessi canti, e diventava una celebrazione molto appassionata. Tra i membri della congregazione c’era così tanta commozione e ispirazione che tutti cominciavano a piangere. La gente ci chiamava «la chiesa del pianto». Quando finiva il servizio religioso, i presenti rendevano testimonianza della grazia che avevano ricevuto durante la celebrazione. Attraverso queste testimonianze ci sentivamo inebriati dalla grazia. Era come se i nostri corpi fluttuassero nel cielo. Molti avevano esperienze spirituali nella nostra chiesa. Alcuni cadeva- no in trance, altri profetizzavano, alcuni parlavano lingue sconosciute, altri interpretavano. A volte si univa alla congregazione qualcuno che non apparteneva alla nostra chiesa. Uno dei fedeli andava da lui con gli occhi chiusi e lo toccava sulla spalla. All’improvviso, quella persona

102 Un ordine che deve essere eseguito Capitolo 2 - Il mio cuore è un fiume di lacrime iniziava una commossa preghiera di pentimento. In tutti questi modi, il fuoco dello Spirito Santo pervadeva i nostri incontri. Quando lo Spirito Santo compiva le sue opere, le persone guarivano dalle malattie croniche, in modo così completo che era come se non le avessero mai patite. Si sparse la diceria che qualcuno avesse mangiato gli avanzi del mio riso e fosse guarito da una malattia digestiva. La gente cominciò a dire: «Il cibo in quella chiesa ha proprietà medicinali» e molti aspet- tavano che io finissi di mangiare, sperando che lasciassi del riso nella scodella per poterlo prendere. Man mano che la conoscenza di quei fenomeni spirituali si diffonde- va, la nostra congregazione cresceva; ben presto venne talmente tanta gente che non si riusciva a chiudere le porte. Le nonne Sung Do Ji e Se Hyun Ok arrivarono alla nostra chiesa perché ciascuna di loro aveva avuto un sogno, nel quale era stato loro detto: «Un giovane maestro spirituale è venuto dal Sud e adesso è nella zona di Mansudae2. Và a in- contrarlo». Nessuno aveva testimoniato loro. Si erano semplicemente presentate all’indirizzo che avevano avuto in sogno. Quando arrivaro- no, furono felici di constatare che io ero la persona di cui avevano sen- tito dire in sogno. Mi bastò vedere i loro visi per capire perché fossero venute. Quando risposi alle loro domande, prima ancora di chiedere loro cosa volessero sapere, furono fuori di sé per la gioia e la sorpresa. Insegnavo la parola di Dio utilizzando storie tratte dalla mia esperien- za. Forse era per questa ragione che molti riuscivano a trovare risposte chiare alle questioni che non avevano potuto risolvere fino ad allora. Alcuni dei fedeli delle maggiori Chiese della città, dopo aver ascoltato la mia predicazione, si unirono alla nostra chiesa. Ad esempio, quindici membri della chiesa Jangsujae, la più seguita di Pyongyang, si unirono alla nostra chiesa tutti insieme. Il fatto provocò dure proteste nei nostri confronti da parte del consiglio degli anziani di quella chiesa. Il suocero della signora In Ju Kim era ben conosciuto a Pyongyang. 2 La piazza centrale di Pyongyang.

Un ordine che deve essere eseguito 103 Capitolo 2 - Il mio cuore è un fiume di lacrime

La casa della sua famiglia era adiacente alla chiesa che lui frequentava. Tuttavia, invece di andare in quella chiesa, lei veniva segretamente alla nostra. Per uscire di casa senza farlo sapere ai suoceri, andava sul retro della casa, si arrampicava su una grossa giara di terracotta e poi sca- valcava la recinzione. Fece queste cose mentre era incinta, sebbene la recinzione che doveva oltrepassare fosse due o tre volte l’altezza di una persona normale. Dovette avere molto coraggio. Alla fine, fu duramen- te perseguitata dal suocero. Io sapevo quando accadevano queste cose. Certi giorni sentivo un forte dolore al cuore; allora mandavo qualcuno a casa della signora Kim. Dall’esterno della casa sentivano che il suocero la stava picchiando du- ramente; ci disse che arrivava a piangere lacrime di sangue. Più tardi, comunque, la signora Kim ci disse che il sapere che dei membri della nostra chiesa erano fuori dal cancello e pregavano per lei la sollevava dalla sua sofferenza. «Maestro, come facevi a sapere che mi stava picchiando?» mi chiese in seguito, e aggiunse: «Quando i membri erano nei pressi della casa, il dolore scompariva e mio suocero aveva bisogno di molta più energia per picchiarmi. Perché?». I suoi parenti la malmenarono e giunsero al punto di legarla a un palo, ma non riuscirono a impedirle di frequen- tare la nostra chiesa. Alla fine, i suoi familiari vennero alla chiesa e co- minciarono ad aggredire me. Mi strapparono i vestiti e mi picchiarono tanto da gonfiarmi il viso, ma non reagii. Sapevo che se l’avessi fatto avrei soltanto reso la situazione della signora Kim ancora più difficile. Dal momento che un numero crescente di fedeli delle grandi chiese di Pyongyang cominciava a venire ai nostri servizi religiosi, i ministri religiosi di quelle chiese s’ingelosirono e ci denunciarono alla polizia. Le autorità comuniste consideravano la religione una spina nel fianco ed erano alla ricerca di qualsiasi motivazione per metterla al bando. Colsero al volo l’occasione data loro da quei ministri religiosi e mi arre- starono. Il giorno 11 agosto 1946 fui condotto negli uffici della polizia

104 Un ordine che deve essere eseguito Capitolo 2 - Il mio cuore è un fiume di lacrime di Dae-dong, con l’accusa di essere giunto dal Sud come una spia. Mi accusarono falsamente di essere stato mandato al Nord dal Presidente sudcoreano Syngman Rhee, per operare nel quadro di un tentativo di colpo di stato. Mi fecero anche interrogare da un esperto sovietico, ma non furono in grado di provare che avessi commesso un qualsiasi reato. Alla fine, dopo tre mesi, fui dichiarato non colpevole e rilasciato, ma nel frattem- po ero stato ridotto in condizioni fisiche terribili. Durante le torture avevo perso talmente tanto sangue che la mia vita era in grave pericolo. I membri della mia chiesa mi portarono a casa e mi curarono. Rischia- rono la vita per me, senza aspettarsi nulla in cambio. Una volta guarito, ripresi il mio lavoro evangelico. Nel giro di un anno la nostra congre- gazione era diventata piuttosto grande. Le chiese ufficiali, però, non ci lasciavano tranquilli. Sempre più membri delle loro congregazioni venivano a seguire le nostre celebrazioni. Alla fine, circa ottanta mini- stri religiosi decisero di fermarmi, e scrissero alla polizia delle lettere di accusa contro di me. Il 22 febbraio 1948 fui nuovamente posto in arresto dalle autorità co- muniste. Fui accusato di essere una spia di Syngman Rhee e un di- sturbatore dell’ordine sociale. Fui portato via in manette. Tre giorni dopo mi rasarono la testa e mi rinchiusero in cella. Ricordo ancora la sensazione che provai osservando i capelli, che avevo lasciato crescere durante il periodo in cui avevo guidato la chiesa, cadere sul pavimento. Ricordo anche il viso della persona, un tale signor Lee, che mi tagliò i capelli. In prigione, i miei carcerieri mi picchiavano incessantemente e preten- devano che confessassi i miei crimini. Anche se vomitavo sangue ed ero a un passo dalla morte, riuscii a non svenire. A volte, il dolore era così intenso da piegarmi in due. Senza pensarci mi trovavo a pregare: «Dio, salvami!». Il momento dopo però, riprendevo il controllo e pre- gavo con fede: «Dio, non ti preoccupare di me. Sun Myung Moon non

Un ordine che deve essere eseguito 105 Capitolo 2 - Il mio cuore è un fiume di lacrime

è ancora morto. Non mi lascerò morire in un modo così miserabile». Avevo ragione. Il tempo della mia morte non era ancora giunto. C’era davanti a me una montagna di compiti che dovevo portare a termine. Avevo una missione. Non ero un uomo così debole da essere forzato alla sottomissione da qualcosa di così banale come la tortura. Ogni volta che crollavo sotto i colpi, resistevo dicendo a me stesso: «Sto ricevendo queste percosse per il bene del popolo coreano. Sto versando lacrime per confortare il dolore del nostro popolo». Quando le torture erano così dure che arrivavo al punto di svenire, immanca- bilmente sentivo la voce di Dio. Nei momenti in cui sembrava che la vita stesse per lasciarmi, Dio mi appariva. Il mio corpo porta ancora molte cicatrici delle ferite che mi furono inferte allora. La carne che mi fu strappata dal corpo e il sangue che persi sono stati reintegrati, ma le sofferenze di quell’esperienza sono rimaste con me in quelle ferite. Spesso ho guardato quei segni e mi sono detto: «Poiché porti queste cicatrici, dovrai avere successo». Il mio processo era programmato per il 3 aprile, il quarantesimo gior- no successivo al mio arresto. Ci fu però un rinvio di quattro giorni e l’udienza si tenne il 7 aprile. Molti dei più noti ministri religiosi della Corea del Nord vennero in Tribunale e mi accusarono di ogni tipo di reato. Anche il Partito comunista si unì al coro, ripetendo la tesi se- condo la quale la religione è l’oppio dei popoli. I membri della nostra congregazione stavano da una parte e piangevano mestamente, come se avessero perso un congiunto. Io però non piangevo. La partecipa- zione dei membri della mia chiesa alle prove che stavo affrontando mi aiutava a non sentirmi solo mentre percorrevo la strada del Cielo. Non stavo subendo una disgrazia, così sentii che non dovevo piangere. Quando lasciai il Tribunale, dopo che era stata emessa la sentenza, alzai le mani incatenate e le agitai per salutare i nostri membri. Le manette emisero un suono metallico che mi sembrò fosse di campane. Quel giorno fui portato alla prigione di Pyongyang.

106 Un ordine che deve essere eseguito Capitolo 2 - Il mio cuore è un fiume di lacrime

La vita in prigione non mi spaventava. Non era la prima volta che la af- frontavo. Esisteva una gerarchia tra i prigionieri in ogni cella, ed io era abbastanza bravo a fare amicizia con il prigioniero che era al vertice di quella gerarchia. Mi sarebbe stato sufficiente scambiare poche parole, e sarei diventato presto amico del «capo» dei prigionieri. Quando si ha un cuore d’amore, si può aprire il cuore di qualunque persona. Dopo alcuni giorni di permanenza in cella, seduto nell’angolo più lon- tano dalla porta, il capo dei prigionieri mi spostò in una posizione migliore. Io volevo rimanere nell’angolo vicino alla latrina, ma lui con- tinuò a insistere che dovevo spostarmi in un posto migliore. Per quanto rifiutassi lui continuò ad insistere. Dopo aver fatto amicizia con il capo, osservai attentamente il volto di tutti quelli che erano nella cella. I tratti del volto dicono tutto sulla persona, rivelano il suo carattere. I prigionieri furono molto sorpresi nello scoprire quanto potevo dire di loro leggendo i lineamenti del viso. Intimamente non erano contenti che una persona che vedevano per la prima volta fosse in grado di dire tante cose su di loro, ma dove- vano riconoscere che li descrivevo in modo appropriato. Sapevo come aprire il mio cuore e parlare profondamente con chiunque, così anche in prigione ebbi tanti amici: divenni amico anche di un assassino. La mia prigionia era ingiusta, ma da quel periodo trassi degli insegnamen- ti significativi. Ogni periodo di difficoltà che attraversiamo in questo mondo ha un significato importante. In prigione anche i pidocchi diventano amici. La prigione era estre- mamente fredda; i pidocchi marciavano in fila lungo le cuciture dei nostri abiti da carcerati. Quando li prendevamo e li mettevamo vicini, si attaccavano gli uni agli altri per formare minuscole palline. Noi le facevamo rotolare, allo stesso modo in cui gli scarafaggi fanno rotola- re le pallottole di sterco di cavallo, e i pidocchi facevano di tutto per rimanere insieme: hanno l’istinto di nascondersi, perciò infilavano nel gruppo le loro teste, così che rimanesse fuori soltanto il fondo della

Un ordine che deve essere eseguito 107 Capitolo 2 - Il mio cuore è un fiume di lacrime

loro schiena nera. In cella ci divertivamo anche osservando queste cose. A nessuno piacciono i pidocchi e le pulci. Ma in prigione anche cimici e pulci diventano importanti compagni di conversazione. Nell’attimo in cui fissate lo sguardo su una cimice, la mente può avere un’ispirazio- ne improvvisa, ed è importante che non lasciate passare quel momento inconsapevolmente. Non si può mai sapere quando, o in quale maniera, Dio ci parlerà. Perciò dobbiamo prestare attenzione ed esaminare con cura anche cose come le cimici e le pulci.

108 Un ordine che deve essere eseguito Un chicco di riso è più grande della terra

l 20 maggio, dopo tre mesi di detenzione nel carcere di Pyongyang, fui trasferito nel campo di prigionia di Heungnam. Provai indi- gnazione, ma anche vergogna davanti al Cielo. Fui legato a un la- Idro in modo che non potessi fuggire. Fummo trasportati da un veicolo che impiegò diciassette ore per arrivare a destinazione. Mentre guarda- vo fuori dal finestrino, cresceva dentro di me un potente sentimento di dolore. Mi sembrava incredibile che dovessi percorrere da prigioniero quella strada tortuosa, costeggiando fiumi e attraversando vallate. La prigione di Heungnam era un campo di lavoro forzato per pri- gionieri sottoposti a regime speciale; il lavoro si svolgeva nella vicina fabbrica di concime chimico azotato. Fui sottoposto a quel regime per due anni e cinque mesi. Il lavoro forzato era una pratica che la Corea del Nord aveva appre- so dall’Unione Sovietica. Il governo sovietico non poteva semplice- mente uccidere i «borghesi» e gli altri cittadini non comunisti, perché il mondo lo stava osservando e occorreva tenere conto dell’opinione pubblica mondiale; ideò così la pena dei lavori forzati. Le persone che venivano sfruttate in questo modo erano costrette a lavorare a ritmi sostenuti finché morivano per il progressivo deperimento. I comunisti nordcoreani avevano copiato il sistema sovietico e condannavano tutti i prigionieri a tre anni di lavori forzati. In realtà, i prigionieri normal- mente morivano nel campo di prigionia ben prima che avessero finito di scontare la loro pena. La nostra giornata cominciava alle 4,30 del mattino. Ci facevano met- tere in fila, inquadrati nel piazzale, e ci ispezionavano il corpo e gli abiti, per verificare se avessimo indosso materiali non autorizzati. Dovevamo togliere tutti gli indumenti e ciascun capo di vestiario veniva esaminato

Un chicco di riso è più grande della terra 109 Capitolo 2 - Il mio cuore è un fiume di lacrime

accuratamente. Tutti gli abiti venivano sbattuti tanto a lungo che non sarebbe potuto restarci attaccato neanche il più minuscolo granello di polvere. Tutta l’operazione prendeva almeno due ore. Heungnam si trova sulla costa e in inverno il vento colpiva i nostri corpi nudi come un coltello affilato. Dopo la conclusione dell’ispezione ci davano da mangiare un pasto disgustoso. Poi marciavamo per circa quattro chilometri fino alla fab- brica di fertilizzante. Marciavano fianco a fianco in gruppi di quattro, dovevamo tenere per mano la persona accanto a noi e non potevamo alzare la testa. Eravamo circondati da guardie armate di fucili e pistole. Se qualcuno ritardava il cammino del proprio gruppetto o lasciava la mano di chi gli stava vicino, veniva percosso duramente per aver ten- tato di fuggire. D’inverno la neve era più alta delle persone. Nelle gelide mattine d’in- verno, quando marciavamo in mezzo alla neve più alta di noi, la testa cominciava a girarmi. La strada gelata era estremamente scivolosa e il vento freddo soffiava ferocemente. Eravamo senza energia, anche se avevamo appena consumato la colazione, e le ginocchia cedevano. In ogni caso dovevamo arrivare fino al luogo di lavoro, anche se questo significava trascinare le gambe esauste per tutto il percorso. Mentre percorrevo quella strada ad ogni passo mi sembrava di perdere conoscenza, e continuavo a ricordare a me stesso che appartenevo al Cielo. Nella fabbrica c’era una collinetta, formata con l’accumulo di una so- stanza che chiamavamo per brevità «ammoniaca». In realtà si trattava probabilmente di solfato d’ammonio, un tipo di fertilizzante alquanto comune. Arrivava con un nastro trasportatore e somigliava a una ca- scata bianca, quando cadeva sulla collinetta di fertilizzante sottostante. Il prodotto che veniva scaricato dal nastro era ancora bollente e i fumi salivano alti, anche nel pieno dell’inverno. Rapidamente si raffredda- va e diventava duro come ghiaccio. Il nostro lavoro consisteva nello scavare il fertilizzante dalla collinetta e riempire con le pale dei sacchi

110 Un chicco di riso è più grande della terra Capitolo 2 - Il mio cuore è un fiume di lacrime di paglia. Chiamavamo quella collinetta, alta più di venti metri, «la montagna del fertilizzante». C’erano tra le ottocento e le novecento persone che spalavano il fertilizzante in un ampio spazio, e sembrava che stessimo tagliando la montagna a metà. Eravamo organizzati in squadre di dieci uomini, e ogni squadra aveva la responsabilità di riempire e caricare milletrecento sacchi al giorno. Così, ognuno doveva riempirne centotrenta. La squadra che non avesse realizzato la sua quota avrebbe avuto la sua razione di cibo dimezzata. Tutti lavoravano con la consapevolezza che la loro vita sarebbe dipesa dal completamento della quota. Per aiutarci a trasportare nel modo più efficiente possibile i sacchi di fertilizzante, facevamo degli aghi con del filo d’acciaio e li usavamo per legare i sacchi dopo che erano stati riempiti. Mettevamo un pez- zo di cavo sulla rotaia che correva sul pavimento della fabbrica. Ap- piattivamo il cavo facendoci passare sopra uno dei vagoncini adibiti al trasporto dei materiali, così potevamo usarlo come ago. Per fare buchi nei sacchi usavamo schegge di vetro che ricavavamo infrangendo le fi- nestre della fabbrica. Le guardie dovevano essere dispiaciute nel vedere i loro prigionieri lavorare in quelle condizioni estreme, perché non ci dicevano mai nulla quando rompevamo le finestre della fabbrica. Una volta mi spezzai un incisivo mentre cercavo di staccare un pezzo di cavo. Ancora oggi quel dente è spezzato, e mi resta come un ricordo indelebile della prigione di Heungnam. Tutti dimagrivano sotto la pressione dei lavori forzati. Io facevo ec- cezione. Riuscii a mantenere il mio peso di circa 72 chili, cosa che suscitò l’invidia degli altri prigionieri. Ho sempre avuto un’eccellente forza fisica; in un’occasione, però, mi ammalai gravemente, con sintomi simili a quelli della tubercolosi. Stetti male per circa un mese, tuttavia, non saltai neppure un giorno di lavoro nella fabbrica. Sapevo che, se fossi stato assente, gli altri prigionieri avrebbero avuto la responsabilità della mia parte del lavoro. Per la mia forza, le persone mi chiamavano

Un chicco di riso è più grande della terra 111 Capitolo 2 - Il mio cuore è un fiume di lacrime

con un’espressione che significa «l’uomo che è come una verga d’accia- io». Potevo sopportare anche il lavoro più duro. La prigione e i lavori forzati non erano un problema insormontabile per me. Un uomo può resistere, non importa quanto ferocemente sia percosso o quanto terri- bile sia il suo ambiente, se porta nel cuore uno scopo ben preciso. I prigionieri erano anche esposti all’acido solforico, che veniva usato nella produzione del solfato di ammonio. Quando lavoravo nelle fon- derie Kawasaki, in Giappone, ero stato testimone, in diversi casi, della morte per avvelenamento delle persone che stavano pulendo le cister- ne, usate per conservare l’acido solforico. La situazione a Heungnam era di gran lunga peggiore. L’esposizione all’acido solforico era talmen- te dannosa da provocare la caduta dei capelli e da produrre sulla pelle grandi vesciche, dalle quali colava un liquido purulento. La maggior parte dei lavoratori della fabbrica cominciava a vomitare sangue e mo- riva nell’arco di circa sei mesi. Ci coprivamo le dita con pezzi di gom- ma, ma l’acido corrodeva in fretta queste protezioni. Anche i vapori acidi consumavano gli abiti, rendendoli inutili, e la pelle si spaccava e sanguinava. In certi casi la carne si consumava ed apparivano le ossa. Dovevamo continuare a lavorare senza neanche un giorno di riposo, anche quando le ferite sanguinavano e rilasciavano pus. Il nostro pasto consisteva dell’equivalente di due piccole ciotole di riso. Non c’erano contorni, ma ci veniva data una zuppa di foglie di rafano in brodo. La zuppa era tanto salata da bruciare la gola, ma il riso era così duro che non lo si poteva mangiare senza intingerlo nel brodo. Nessuno ha mai lasciato una sola goccia di zuppa. Quando ricevevano la loro porzione di riso, i prigionieri la ingoiavano in un solo boccone. Dopo aver mangiato il proprio riso, si guardavano intorno, a volte al- lungando il collo per osservare come gli altri mangiavano. Di tanto in tanto, qualcuno metteva il cucchiaio nella scodella di un altro e scop- piava una lite. Un ministro religioso che era con me a Heungnam mi disse una volta: «Dammi soltanto un fagiolo e io ti darò due mucche

112 Un chicco di riso è più grande della terra Capitolo 2 - Il mio cuore è un fiume di lacrime quando saremo fuori di qua». I prigionieri erano tanto disperati che, quando qualcuno moriva all’ora di pranzo, gli altri prendevano e man- giavano il riso che fosse rimasto nella bocca del morto. Solo chi l’ha provata può comprendere la sofferenza della fame. Quando una persona è affamata, un singolo granello di riso diventa preziosissimo. Ancora adesso mi sento in tensione al solo pensare a Heungnam. È difficile credere che un solo chicco di riso possa stimolare certe re- azioni, ma quando avete fame il desiderio del cibo diventa così forte che urlereste. A chi ha lo stomaco pieno il mondo appare grande, ma per un uomo affamato un chicco di grano è più grande della terra. Un chicco di grano assume un valore enorme per chi ha fame. A cominciare dal mio primo giorno in prigione, mi abituai a tenere per me soltanto metà della mia razione di riso e a dare l’altra metà ai miei compagni di prigionia. Mi allenai in questo modo per tre settimane e poi mangiai l’intera porzione. Questo mi mise in condizione di pensa- re che stessi mangiando riso sufficiente per due persone, e mi rese più facile sopportare la fame. La vita in quella prigione era così terribile che chi non l’abbia speri- mentata non può neppure immaginarla. Metà dei prigionieri morivano entro il primo anno, così ogni giorno passavano sotto i nostri occhi i cadaveri che venivano portati fuori dal cancello posteriore in conteni- tori di legno. Lavoravamo molto duramente e la nostra unica speranza di andar via di là era da morti, in una di quelle bare. Anche per un regi- me spietato e crudele, il modo in cui ci trattavano andava chiaramente oltre i confini dell’umanità. Tutti quei sacchi di fertilizzante, riempiti con le lacrime e la sofferenza dei prigionieri, venivano stivati nelle navi e portati in Russia1.

1 Un certo quantitativo di quei sacchi veniva chiuso in un modo particolare; in base a ciò che si sussurrava nel campo quei sacchi venivano esportati in Russia. Costituivano una parte del pagamento degli armamenti necessari per un attacco che sarebbe stato scatenato contro il Sud, come in effetti avvenne di lì a poco (Mike Breen, Sun Myung Moon: i primi anni).

Un chicco di riso è più grande della terra 113 La prigione di Heungnam nella neve

opo il cibo, il bene più prezioso nella prigione erano l’ago e il filo. I nostri abiti logori si strappavano durante le fatiche del la- Dvoro, ed era difficile trovare un ago e del filo per rammendarli. Dopo un po’ i prigionieri cominciavano a sembrare dei mendicanti stracciati. Era estremamente importante richiudere i buchi negli abiti per proteg- gersi, almeno in parte, dal vento freddo dell’inverno. Un frammento di tessuto trovato abbandonato lungo la strada era molto prezioso. Poteva anche essere coperto di sterco di vacca, i prigionieri lottavano tra loro per impossessarsi di quel pezzo di stoffa. Una volta, mentre trasportavo dei sacchi di fertilizzante, scoprii un ago conficcato in uno di quei sac- chi. Qualcuno doveva avercelo lasciato accidentalmente, quando aveva confezionato il sacco. D’allora in poi, divenni il sarto della prigione di Heungnam. Fu una tale gioia trovare quell’ago. Tutti i giorni rammen- davo pantaloni lunghi o calzoncini per gli altri prigionieri. All’interno della fabbrica di fertilizzante faceva tanto caldo che su- davamo anche nel bel mezzo dell’inverno; si può perciò immaginare quanto la temperatura fosse insopportabile durante l’estate. Nonostan- te ciò, mai una volta rimboccai i pantaloni esponendo le mie gambe. Anche nella stagione più calda tenevo i miei pantaloni legati al fondo, secondo la tradizione coreana. Altri prigionieri toglievano i pantaloni e lavoravano in mutande, ma io rimanevo sempre vestito correttamente. Quando finivamo di lavorare, i nostri corpi erano coperti di sudore e polvere di fertilizzante. Molti prigionieri si svestivano e si lavavano nell’acqua sporca che defluiva dagli scarichi della fabbrica. Io, invece, non mi lavavo mai dove gli altri potevano vedere il mio corpo. Con- servavo la metà dell’unica ciotola d’acqua che ricevevamo come razio-

114 La prigione di Heungnam nella neve Capitolo 2 - Il mio cuore è un fiume di lacrime ne giornaliera e mi alzavo presto la mattina. Mentre gli altri ancora dormivano, mi pulivo con un piccola pezza imbevuta in quella mezza ciotola d’acqua. Avevo rispetto del valore del mio corpo e non volevo mostrarlo disinvoltamente agli altri. Quei primi momenti della mat- tina mi erano utili anche per concentrarmi spiritualmente e pregare. Ciascuna cella della prigione alloggiava trentasei persone. Io mi siste- mai in un angolo vicino alla latrina, perché in quel luogo nessuno mi avrebbe calpestato. Nessuno voleva quel posto. Quella che chiamava- mo latrina era in realtà soltanto una piccola giara di terracotta, senza neppure un coperchio. Il liquame traboccava dalla latrina in estate e gelava in inverno. Non si può descrivere il puzzo nauseabondo che ne usciva. I prigionieri spesso soffrivano di diarrea, a causa della zuppa salata e del riso duro che mangiavano tutti i giorni. Mentre me ne stavo ac- canto alla latrina, a un certo punto sentivo qualcuno che diceva: «Oh, il mio stomaco», si avvicinava alla latrina a piccoli passi veloci e si sco- priva le parti basse, facendo esplodere la diarrea. Io, che ero vicino alla latrina, ne venivo spesso spruzzato. Anche di notte, a volte, mentre tutti dormivano, c’era qualcuno che soffriva di dolori addominali. Le proteste dei prigionieri che si lamentavano di essere stati calpestati nel sonno, mi preavvisavano che qualcuno si stava facendo strada verso la latrina. Mi alzavo di scatto e mi raggomitolavo nell’angolo. Se fossi rimasto addormentato e non l’avessi sentito arrivare, ne avrei subito le conseguenze. Per riuscire a sopportare quella situazione impossibile, cercai addirit- tura di pensare a quella vista e a quei suoni come ad una qualche forma d’arte. Comunque per tutto quel tempo continuai a restare accanto alla latrina. Gli altri prigionieri mi chiedevano: «Perché hai scelto questo posto?». Ed io rispondevo: «Qui mi trovo più comodo». Non era solo un modo di dire. Quello era davvero il posto dove il mio cuore mi fa- ceva sentire più a mio agio.

La prigione di Heungnam nella neve 115 Capitolo 2 - Il mio cuore è un fiume di lacrime

Il mio numero di matricola era il 596. Le persone mi chiamavano «Numero cinque nove sei». Certe notti in cui non riuscivo a dormire, fissavo il soffitto e ripetevo tra me e me questo numero all’infinito. Se lo pronunciavo velocemente, aveva un suono simile a «eo-gul», la parola coreana usata per descrivere la sensazione dell’ingiustizia. Ed io davvero ero stato imprigionato ingiustamente. Il partito comunista ordinò di fare i dok-bo-hoi, riunioni in cui si leg- gevano ad alta voce giornali e altro materiale di propaganda e si studia- va il comunismo. Dovevamo anche scrivere lettere di gratitudine a Kim Il Sung. Il dipartimento della sicurezza osservava attentamente ogni nostra mossa. Tutti i giorni ci dicevano che dovevamo scrivere lettere di ringraziamento, descrivendo cosa avessimo imparato. Io però non ne scrissi mai neppure una pagina. Si aspettavano che scrivessimo cose del tipo: «Nostro padre Kim Il Sung, per amore nostro, ci dà cibo da mangiare tutti i giorni, ci dà pranzi ricchi di carne e ci fa condurre questa vita meravigliosa. Sono così riconoscente». Non avrei potuto mai scrivere niente del genere. Anche se fossi stato costretto a guardare la morte negli occhi, mai avrei presentato questo tipo di lettere a quegli atei comunisti. Per sopravvi- vere nella prigione, invece di scrivere lettere, lavoravo dieci volte più duramente degli altri. In effetti, l’unico modo per evitare di scrivere quelle falsità era farmi riconoscere come il miglior prigioniero. Con questa determinazione diventai effettivamente il miglior prigioniero e ricevetti persino un premio da un funzionario del partito comunista1. Mia madre venne a visitarmi molte volte mentre ero in prigione. Non c’era un mezzo di trasporto diretto da Jungju a Heungnam. Doveva prendere un treno per Seul, e lì salire su un altro diretto a Wonsan. Era un viaggio estenuante, che richiedeva più di venti ore. Prima di partire, preparava sempre del «mi-sut-karu», e cioè della farina di riso,

1 I premi venivano assegnati, due volte all’anno, dalla direzione del campo ai prigionieri con la migliore produttività.

116 La prigione di Heungnam nella neve Capitolo 2 - Il mio cuore è un fiume di lacrime perché suo figlio, che stava trascorrendo in carcere i suoi anni migliori, avesse qualcosa da mangiare. Per confezionare quella farina si faceva dare del riso da tutti i familiari, inclusi quelli più distanti, i parenti dei mariti delle mie sorelle maggiori. Bastava che entrasse nella sala delle visite della prigione e mi vedesse in piedi dall’altro lato del vetro, che cominciava subito a piangere. Era una donna forte, ma la vista di suo figlio sottoposto a tanta sofferenza la distruggeva. Mia madre mi portò i pantaloni di seta che avevo indossato il gior- no del mio matrimonio. L’uniforme della prigione, con cui ero vesti- to, era completamente lisa e attraverso il tessuto s’intravedeva la pelle. Tuttavia, invece di indossare quei pantaloni di seta, li diedi a un altro prigioniero. Quanto al mi-sut-karu, che mi preparava indebitandosi, lo distribuivo tutto ai miei compagni di prigionia in quello stesso mo- mento, sotto i suoi occhi. Nel preparare i vestiti e il cibo per suo figlio, mia madre aveva investito tutto il suo cuore e la sua dedizione. Le si spezzò il cuore nel vedermi dar via queste cose, senza tenere nulla per me. «Mamma - le dissi - io non sono semplicemente il figlio di un tale di nome Moon. Prima ancora di essere un figlio della casata dei Moon, sono un figlio della Repubblica di Corea. E, ancora prima di tutto questo, sono un figlio del mondo e un figlio del cielo e della terra. Ri- tengo giusto amare queste cose per prime e, soltanto dopo, seguire le tue parole e amare te. Io non sono il figlio di qualche persona di vedute ristrette. Per favore, tieni un comportamento consono al carattere di questo tuo figlio». Le parole che le rivolsi furono fredde come il ghiaccio, e vederla pian- gere mi addolorò tanto, da avere la sensazione che il cuore mi andasse in pezzi. Lei mi mancava tanto; a volte mi svegliavo nel mezzo della notte pensando a lei, ma questa era una ragione in più per non finire preda delle mie emozioni. Ero una persona che stava lavorando all’o- pera di Dio. Per me era più importante vestire anche una sola persona

La prigione di Heungnam nella neve 117 Capitolo 2 - Il mio cuore è un fiume di lacrime

con abiti un po’ più caldi, oppure riempire con un po’ più di cibo lo sto- maco di qualcun altro, piuttosto che preoccuparmi della mia relazione personale con mia madre. Anche in prigione mi piaceva dedicare quanto più tempo possibile a parlare con gli altri. C’erano sempre attorno a me persone desiderose di ascoltare quel che avevo da dire. Nonostante la fame e il freddo della vita da recluso, sentivo tanto calo- re nella conversazione con quelle persone, con le quali avevo un’affinità di cuore. Di quelle relazioni, allacciate a Heungnam, rimasero dodici uomini, che sentivo vicini come compatrioti, ma allo stesso tempo sen- tivo che mi erano vicini come se fossero stati la mia famiglia. Con loro avrei potuto passare il resto della mia vita. Tra loro c’era un famoso mi- nistro religioso, che era stato presidente dell’associazione delle chiese cristiane delle cinque province settentrionali della Corea. Con quelle persone condivisi emozioni intense, in situazioni nelle quali erano in gioco le nostre vite. Per questo le sentii più vicine della mia stessa car- ne e del mio stesso sangue. La loro presenza diede significato alla mia prigionia. Pregavo tre volte al giorno per coloro che mi avevano aiutato e per i membri della mia congregazione a Pyongyang, chiamando ciascuno di loro per nome. Ogni volta che pregavo per loro, sentivo che avrei dovuto ripagare mille volte di più chi mi aveva offerto anche una sola manciata di sut-karu, conservata per me nascosta nella giacca.

118 La prigione di Heungnam nella neve Le forze dell’ONU portano la libertà

entre ero recluso a Heungnam, era scoppiata la guerra di Corea. Dopo i primi tre giorni, l’esercito della Corea del Sud abbandonò la capitale Seul e si ritirò più a sud. A quel Mpunto sedici nazioni, con in prima fila gli Stati Uniti, costituirono una forza internazionale sotto l’egida delle Nazioni Unite e intervennero nella guerra. I militari statunitensi sbarcarono a Incheon e puntarono verso Wonsan, un’importante città industriale della Corea del Nord. Era naturale che la fabbrica e la prigione di Heungnam costituisse- ro, per le forze aeree statunitensi, uno degli obiettivi da bombardare. Quando cominciarono gli attacchi, le guardie della prigione abbando- narono i prigionieri e corsero nei rifugi antiaerei. A loro non importa- va se fossimo sopravvissuti o meno. Un giorno Gesù apparve proprio davanti a me con il volto piangente; questo fatto costituì per me una chiara premonizione, così gridai: «State tutti entro il raggio di dodici metri da me!». Poco dopo, una bomba esplose a dodici metri da dove mi trovavo. I prigionieri che mi erano rimasti vicini sopravvissero. Quando i bombardamenti si fecero più intensi, le guardie cominciaro- no le esecuzioni dei prigionieri. Chiamavano i numeri dei prigionieri e dicevano loro di prepararsi a partire, prendendo con sé razioni di cibo per tre giorni e una vanga. I prigionieri immaginavano che sarebbero stati trasferiti in un’altra prigione, ma in realtà venivano condotti sulle montagne, dove erano costretti a scavare le buche in cui sarebbero sta- ti sepolti subito dopo la loro esecuzione. La chiamata dei prigionieri seguiva l’ordine della durata delle rispettive condanne, e quelli che ave- vano le pene più lunghe da scontare erano chiamati per primi. Mi resi conto che il giorno successivo sarebbe venuto il mio turno. La notte precedente, le bombe caddero come la pioggia nella stagio-

Le forze dell’ONU portano la libertà 119 Capitolo 2 - Il mio cuore è un fiume di lacrime

ne dei monsoni. Era il 13 ottobre 1950 e le forze statunitensi, dopo lo sbarco vittorioso ad Incheon, avevano risalito la penisola, avevano liberato Pyongyang e stavano spingendosi verso Heungnam. Quella notte, i soldati americani attaccarono Heungnam con tutte le forze, precedute dai bombardieri B-29. Il bombardamento fu così intenso da far sembrare che tutta la città fosse diventata un mare di fuoco. Le alte mura che circondavano la prigione cominciarono a crollare e le guardie corsero a mettersi in salvo. Alla fine, il cancello della prigione dove eravamo rinchiusi si aprì. Verso le due della mattina, camminando di- gnitosamente, uscii tranquillo dalla prigione di Heungnam. Ero rimasto prigioniero per due anni e otto mesi, e avevo un aspetto terribile. Sia la mia biancheria che i miei abiti erano ridotti a brandelli. Vestito con quegli stracci, invece di andare verso il mio paese mi diressi a Pyongyang, insieme a un gruppo di persone che erano diventate miei seguaci nella prigione. Alcuni scelsero di venire con me piuttosto che mettersi in cerca delle mogli e dei figli. Potevo facilmente immaginare come mia madre stesse piangendo tutti i giorni, preoccupata per la mia salute, ma era più importante che io m’interessassi dei membri della mia congregazione a Pyongyang. Lungo la strada verso Pyongyang potemmo vedere chiaramente come la Corea del Nord si fosse preparata per quella guerra. Tutte le città principali erano collegate da strade a due corsie, da usare per scopi militari in caso di emergenza. Molti dei ponti erano stati costruiti in modo da permettere il transito di carri armati da trenta tonnellate. Il fertilizzante che i prigionieri di Heungnam avevano confezionato nei sacchi, a rischio della loro vita, era stato spedito in Russia e barattato con armamenti, obsoleti ma pur sempre efficienti, che furono poi im- piegati nel dispiegamento lungo il 38° parallelo. Non appena arrivato a Pyongyang, andai in cerca dei membri che era- no stati con me prima che fossi incarcerato. Dovevo scoprire dove si trovassero e verificare quale fosse la loro situazione. A causa della guer-

120 Le forze dell’ONU portano la libertà Capitolo 2 - Il mio cuore è un fiume di lacrime ra si erano dispersi, ma sentivo la responsabilità di riunirli e aiutarli in quella drammatica situazione. Non avevo idea di dove abitassero, perciò non avevo altra scelta che perlustrare la città di Pyongyang da un estremo all’altro. Dopo una settimana di ricerche avevo trovato soltanto tre o quat- tro persone. Avevo conservato della farina di riso, che avevo ricevuto quando ero ancora in prigione, e la mischiai con acqua per farne dei dolci di riso da condividere con loro. Durante il viaggio da Heungnam a Pyongyang avevo combattuto la fame con una o due patate comple- tamente gelate e non avevo neanche toccato la polvere di riso. Al solo osservarli, mentre mangiavano avidamente quei dolci di riso, mi sentii completamente sazio. Rimasi a Pyongyang per quaranta giorni cercando tutti quelli che mi tornavano in mente, giovani e anziani. Per la maggior parte di loro, non fui in grado neppure di appurare che cosa fosse accaduto, ma non li ho mai cancellati dal mio cuore. Infine, la notte del 2 dicembre mi misi in viaggio verso Sud. Insieme ai membri della chiesa, tra i quali c’era Won Pil Kim, ci unimmo a una lunga fila di profughi che si estendeva per una dozzina di chilometri. Portammo con noi anche un membro che non riusciva a camminare. Era stato uno dei miei seguaci nella prigione di Heungnam. Il suo cognome era Pak. Era stato liberato prima di me; quando lo andai a visitare, a casa sua, scoprii che tutti i suoi familiari erano partiti per il Sud. Era solo in casa e aveva una gamba rotta. Lo feci montare su una bicicletta e lo portai con me. L’esercito nordcoreano aveva requi- sito le strade di pianura per il transito dei militari, perciò viaggiammo attraverso le risaie ghiacciate, dirigendoci verso Sud più in fretta che potevamo. L’esercito cinese non era molto indietro rispetto a noi, ma era difficile procedere speditamente, dal momento che uno di noi non poteva camminare. Almeno per metà del percorso la strada era pessima; dovetti quindi

Le forze dell’ONU portano la libertà 121 Capitolo 2 - Il mio cuore è un fiume di lacrime

portare Pak sulle spalle, mentre Kim spingeva la bicicletta vuota. Pak continuava a dire che non voleva esserci di peso e cercò diverse volte di togliersi la vita. Lo convinsi a proseguire, rimproverandolo più volte, e restammo insieme fino alla fine. Eravamo profughi e con noi non avevamo nulla da mangiare. Entra- vamo nelle case i cui abitanti erano partiti per il Sud prima di noi, in cerca di riso o di qualunque altro cibo che potesse essere rimasto. Bol- livamo tutto ciò che trovavamo, che si trattasse di riso, orzo o patate. In questo modo riuscimmo a malapena a sopravvivere. Non c’erano scodelle per il riso e dovevamo usare legnetti al posto dei bastoncini, ma il cibo aveva un buon sapore. La Bibbia dice: «Beati i poveri», non è vero? Mangiavamo qualsiasi cosa il nostro stomaco potesse accettare. Anche un semplice pezzo di torta d’orzo era così saporito, che non avremmo invidiato nemmeno il pasto di un re. Per quanto fossi affamato smettevo sempre di mangiare prima degli altri. In questo modo loro avrebbero potuto mangiare un po’ di più. Dopo un lungo cammino ci eravamo avvicinati alla sponda settentrio- nale del fiume Imjin. Per qualche motivo che non conoscevo, sentii che era importante attraversare il fiume rapidamente, non c’era un solo momento da perdere. Percepii fortemente che dovevamo oltrepassare quell’ostacolo, perché era in gioco la nostra sopravvivenza. Spinsi Won Pil Kim senza pietà. Lui era giovane e si addormentava anche mentre camminavamo, ma io continuavo a spronarlo, e nel frattempo spingevo la bicicletta con Pak. Quella notte, percorremmo più di trenta chilometri e arrivammo sulla riva del fiume Imjin. Per fortuna il fiume era completamente ghiaccia- to. Seguimmo alcuni fuggitivi, che procedevano davanti a noi e attra- versammo il fiume. Una lunga fila di profughi si snodava dietro di noi ma, non appena fummo passati, i soldati delle Nazioni Unite chiusero il transito. Se fossimo arrivati al fiume solo qualche minuto più tar-

122 Le forze dell’ONU portano la libertà Capitolo 2 - Il mio cuore è un fiume di lacrime di, non avremmo potuto oltrepassarlo. Quando fummo sull’altra riva, Won Pil Kim si voltò a guardare la strada da dove eravamo venuti e mi domandò: «Come sapevi che stavano per chiudere il passaggio attra- verso il fiume?». «Per forza che lo sapevo» risposi, «cose di questo tipo succedono di frequente a chi prende la strada del Cielo. La gente spesso non sa che la salvezza è appena oltre il prossimo ostacolo. Non avevamo un solo momento da perdere e, se ce ne fosse stato bisogno, ti avrei preso per il collo e ti avrei trascinato fin qua!». Kim sembrò colpito dalle mie parole, ma il mio cuore era molto turbato. Quando arrivammo al punto dove il 38° parallelo divideva la penisola in due, misi un piede in Corea del Sud e uno in Corea del Nord e cominciai a pregare: «Per ora ve- niamo cacciati verso sud in questo modo, ma tornerò presto al Nord». Continuai a pregare così per tutto il resto del nostro viaggio insieme ai profughi.

Le forze dell’ONU portano la libertà 123

Capitolo 3

Un tesoro interiore attraverso lotte e sofferenze

«Tu sei il mio maestro spirituale»

opo aver attraversato il fiume Imjin, passammo per Seul, Wonju, e Kyungju, e alla fine arrivammo a Busan il 27 gen- naio 1951. Busan era piena di rifugiati provenienti dal Nord. DSembrava che tutta la nazione si fosse radunata lì. Qualsiasi posto uti- lizzabile come abitazione era già stato occupato. Nel nostro piccolo riparo c’era a malapena lo spazio per metterci seduti. Non avevamo altra possibilità che passare la notte nel bosco, cercando di scaldarci in qualche modo, e ritornare in città, in cerca di cibo durante il giorno. I capelli, che durante la prigionia avevo dovuto tenere sempre rasati, erano di nuovo cresciuti. I miei pantaloni, rammendati internamente con del cotone ricavato da un lenzuolo, erano completamente lisi. Gli abiti erano talmente impregnati di sporcizia grassa che le gocce di pioggia non bagnavano il tessuto e semplicemente, scivolavano via. Le scarpe invece erano ormai quasi prive delle suole, anche se le to- maie erano ancora abbastanza integre. Poco sarebbe cambiato se avessi camminato scalzo. Il fatto era, semplicemente, che ero un infimo tra gli infimi, un mendicante tra i mendicanti. Era impossibile trovare un lavoro e non avevamo un soldo in tasca. Per mangiare, non avevamo altra scelta se non mendicare. In ogni caso, anche quando elemosinavo il cibo, conservavo la mia di- gnità. Se qualcuno rifiutava di aiutarmi, io gli dicevo con voce chiara e decisa: «Ascolta. Se non aiuti la gente che come noi ha bisogno, tro- verai grandi difficoltà quando vorrai ricevere benedizioni in futuro!». Quando erano messe di fronte a questo tipo di pensieri le persone davano qualcosa. Portavamo il cibo che avevamo raccolto in uno spiazzo, dove sedevamo tutti insieme. Dozzine di persone come noi mangiavano in posti del

«Tu sei il mio maestro spirituale» 127 Capitolo 3 - Un tesoro interiore attraverso lotte e sofferenze

genere. Non avevamo nulla e dovevamo elemosinare il nostro cibo, ma tra noi fluiva sempre una calorosa amicizia. Una volta, nel mezzo di una giornata così, all’improvviso sentii qualcu- no gridare: «Guarda qua! Quanto tempo è passato?». Mi voltai e vidi davanti a me Dok Mun Eom, un amico del mio periodo in Giappone. In quel periodo, Dok Mun Eom era diventato mio amico per la vita, perché era rimasto molto commosso da una canzone che mi aveva sen- tito cantare. Oggi, Eom è uno dei più prestigiosi architetti coreani, avendo progettato il Centro Culturale Sejong e l’Hotel Lotte. «Andiamo!» disse, abbracciandomi nei miei panni miserabili, «andia- mo a casa mia». A quell’epoca, Dok Mun Eom era già sposato e viveva con la famiglia in un monolocale. Per fare un po’ di spazio per me, divise la stanza appendendo una coperta nel mezzo. A me diede un lato, mentre dall’altra parte dormì lui, con la moglie e i due figli piccoli. Mi chiese: «Adesso raccontami cos’hai fatto di recente. Mi sono sem- pre domandato dove fossi e che cosa facessi. Siamo stati grandi amici, ma tu sei sempre stato più di un amico per me. Sai che ti ho sempre portato profondo rispetto?». Fino a quel momento, non avevo mai aperto sinceramente il mio cuo- re con nessuno dei miei amici. In Giappone, ero arrivato al punto di nascondere il fatto che leggevo spesso la Bibbia. Quando qualcuno entrava nella mia stanza mentre stavo leggendo, mettevo subito via la Bibbia. A casa di Duk Mun Eom, per la prima volta condivisi la mia storia. Parlai tutta la notte. Gli raccontai di come avevo incontrato Dio, di quando avevo oltrepassato il 38° parallelo, di come avevo iniziato una chiesa ed ero sopravvissuto nella prigione di Heungnam. Per raccon- tare la mia storia ci vollero tre giorni interi. Quando ebbi finito, Duk Mun Eom si alzò e si prostrò davanti a me, offrendomi un inchino ce-

128 «Tu sei il mio maestro spirituale» Capitolo 3 - Un tesoro interiore attraverso lotte e sofferenze rimoniale completo1. «Che cosa fai?» gli chiesi, stupito e sorpreso. Gli presi la mano e cercai di fermarlo, ma fu inutile. «Da questo momento in avanti - disse Duk Mun Eom - tu sarai il mio grande maestro spiri- tuale. Questo inchino è il saluto che ti porgo come mio maestro, perciò ti prego di accettarlo». Da allora è sempre stato con me, come amico e come discepolo. Qualche tempo dopo, trovai un lavoro nel porto di Busan, al molo quattro. Lavoravo solo di notte. Con la paga compravo una farinata di fagioli alla stazione di Cho-ryang. La vendevano calda e il recipien- te era avvolto in uno straccio, perché non si raffreddasse. Ogni volta, prima di mangiare la farinata, tenevo il contenitore premuto contro il corpo per più di un’ora. Così recuperavo un po’ di calore, dopo essermi congelato nel corso della lunga e fredda notte di lavoro. Trovai sistemazione in un alloggio di operai, situato nel quartiere di Cho-ryang. La mia stanza era così piccola che non potevo stender- mi, neppure in diagonale, senza che i piedi premessero contro il muro. Quella però fu la stanza dove scrissi con solennità, con la mia matita ben temperata, la prima bozza del Wolli Wonbon (il testo originale del Principio Divino). Il fatto che fossi nullatenente non aveva per me la minima importanza. Non c’è nulla che un’anima determinata non possa fare, anche se vive in mezzo alla spazzatura. Tutto quello che serve è la volontà. Won Pil Kim aveva appena compiuto vent’anni. Faceva tutti i tipi di lavoro. Lavorava in un ristorante; portava a casa il riso che non poteva essere servito ai clienti2 e lo mangiavamo insieme. Poi, grazie al suo talento per il disegno, trovò un lavoro come ritrattista per i militari statunitensi.

1 Nella cultura coreana tradizionale ci si inchinava fino a terra di fronte ai propri geni- tori, ai propri insegnanti, alle autorità di rango elevato (ai tempi della monarchia), e di fronte alle persone che si consideravano maestri spirituali. 2 Il riso che resta attaccato al fondo della pentola con il metodo di cottura orientale.

«Tu sei il mio maestro spirituale» 129 Capitolo 3 - Un tesoro interiore attraverso lotte e sofferenze

Ad un certo punto decidemmo di costruire una casa sull’altura di Be- om-net-gol, nella zona di Beom-il Dong. Nelle vicinanze c’era un ci- mitero e null’altro, all’infuori di un burrone roccioso. Non avevamo una terra che potessimo considerare nostra, perciò spianammo una parte del ripido pendio e ci costruimmo una casa. Non avevamo neppure una pala! Prendevamo a prestito una piccola pala dalla cucina di qualcuno e la restituivamo prima che il padrone si accorgesse della sua mancanza. Won Pil Kim e io spaccammo le pietre, scavammo la terra e traspor- tammo la ghiaia. Mischiammo fango e paglia per farne dei mattoni, che poi impilammo per realizzare i muri. Con degli scatoloni di car- tone presi presso la base americana costruimmo il tetto, dopo averli appiattiti. Come pavimento posammo un foglio di plastica nera. Anche la più semplice delle capanne sarebbe stata una costruzione mi- gliore di quella. La nostra casetta era collocata contro un macigno, e un grosso spuntone di roccia sporgeva al centro della stanza. Le no- stre sole proprietà erano il piccolo tavolo sistemato dietro la roccia e il cavalletto da pittore di Won Pil Kim. Nei giorni di pioggia, dentro la nostra stanza sgorgava una sorgente. Quant’era romantico, mentre ce ne stavamo seduti, sentire il suono dell’acqua che scorreva sotto di noi! La mattina, dopo che avevamo dormito in quella stanza senza riscal- damento, con il tetto che lasciava filtrare la pioggia e il rivolo d’acqua che scorreva sotto di noi, ci alzavamo col raffreddore. Nonostante ciò eravamo felici per quel piccolo spazio, dove potevamo coricarci e dove riuscivamo a rilassare la mente. L’ambiente intorno a noi era miserabi- le, ma eravamo pieni di speranza perché vivevamo seguendo la strada della volontà di Dio. Tutte le mattine, quando Won Pil Kim andava a lavorare alla base americana, lo accompagnavo fino ai piedi della collina. Quando tor- nava a casa la sera, lo aspettavo fuori per salutarlo e dargli il benvenu- to. Passavo il resto del mio tempo scrivendo il Wolli Wonbon. Nella nostra stanza c’era sempre una gran quantità di matite ben temperate.

130 «Tu sei il mio maestro spirituale» Capitolo 3 - Un tesoro interiore attraverso lotte e sofferenze

Magari non c’era riso nella giara, ma avevamo tante matite. Won Pil Kim mi aiutò in svariati modi, sia materialmente che spiri- tualmente. Grazie al suo aiuto, fui in grado di concentrarmi nella scrit- tura del libro. Anche se tornava esausto, alla fine di un giorno di lavoro intenso, cominciava a girarmi intorno per scoprire in che modo aiutar- mi. A quei tempi dormivo così poco che avrei potuto addormentarmi dappertutto. A volte, mi addormentavo anche nel gabinetto. Won Pil Kim mi veniva a cercare anche lì, per assicurarsi che andasse tutto bene. Ma questo non era tutto: desiderava tanto contribuire almeno un po’ al libro che stavo scrivendo; cominciò a disegnare ritratti per i soldati americani e in questo modo guadagnò abbastanza da potermi rifornire continuamente di matite. A quei tempi, tra i soldati americani andava di moda farsi dipingere un ritratto della moglie, o della fidanzata, pri- ma di tornare in America3. Won Pil Kim incollava un tessuto su una cornice di legno, vi dipingeva il ritratto e lo vendeva per quattro dollari. Ero grato per la sua dedizione. Gli stavo seduto a fianco, mentre di- pingeva, e facevo tutto quello che potevo per aiutarlo. Mentre lui era al lavoro alla base americana, io spalmavo la colla sulla seta, tagliavo il legno per le cornici e mettevo le parti insieme. Prima che ritornasse, lavavo i pennelli e compravo i colori che gli servivano. Una volta giunto a casa, lui prendeva una matita 4B e disegnava un ritratto. All’inizio ne faceva solo uno o due al giorno; ben presto, però, tra i soldati si sparse la voce, e Kim divenne così famoso, che gli davano da fare venti o trenta ritratti alla volta. Arrivò il momento in cui la nostra casa fu così piena di ritratti che non trovavamo neppure lo spazio per dormire la notte. Quando il carico di lavoro aumentò, cominciai a fare qualcosa di più che aiutarlo soltanto con i dettagli. Won Pil disegnava il contorno dei visi, mentre io coloravo le labbra e i vestiti. Col denaro che guadagna- vamo insieme, compravamo matite e materiale da disegno; il resto lo

3 I soldati fornivano a Kim la foto, spesso in bianco e nero, della moglie o della fidanzata. Con la foto come guida il Rev. Moon e Kim eseguivano il ritratto a colori.

«Tu sei il mio maestro spirituale» 131 Capitolo 3 - Un tesoro interiore attraverso lotte e sofferenze

spendevamo per la nostra testimonianza. È importante registrare per iscritto le parole di Dio, ma è ancora più importante trasmettere alla gente la Sua volontà.

132 «Tu sei il mio maestro spirituale» Quel giovane bello e matto vicino al pozzo

uando costruimmo la casa dai muri di fango e fondammo la chiesa di Beom-net-gol, c’erano tre sole persone ad ascoltare il mio messaggio. Dal mio punto di vista, tuttavia, io non pen- savo che stavo parlando a tre persone. Sentivo dentro di me: «Anche se non sono visibili, mi sto rivolgendo a migliaia, se non a decine di migliaia, di persone». Mentre parlavo, immaginavo che tutta l’umanità fosse in ascolto. Mentre quelle tre persone stavano sedute di fronte a me, io annunciavo le parole del Principio con voce alta e stentorea. Davanti alla nostra casa c’era un pozzo. Cominciò presto a spargersi la voce, tra coloro che venivano ad attingere l’acqua dal pozzo, che un matto vivesse nella casa dai muri di fango. Mentre prendevano l’acqua, sbirciavano dentro la sgangherata casa di fango e vedevano un uomo vestito come un miserabile, che parlava come se stesse urlando i suoi ordini al mondo intero. Era semplicemente naturale che la gente co- minciasse a mormorare. Io annunciavo che il cielo e la terra sarebbero stati ribaltati e che la Corea avrebbe unito il mondo. Ben presto si sparsero voci su di me, da coloro che venivano al pozzo fino a quelli che abitavano ai piedi della collina. Magari furono proprio quelle voci ad attirare alcune persone, spinte dalla curiosità, a vedere il matto che viveva accanto al pozzo. Tra loro c’erano gli studenti di un vicino seminario protestante, come pure un gruppo di professoresse della prestigiosa università femminile Ewha. I pettegolezzi si arricchi- rono di dettagli, che mi descrivevano come un bell’uomo dal fisico at- letico, così delle donne di mezza età cominciarono a salire sulla collina per incontrarmi, a mo’ di passatempo. Il giorno che finii di scrivere il libro del Principio Divino, posai la matita e pregai Dio: «È venuto il tempo che io cominci a evangelizza-

Quel giovane bello e matto vicino al pozzo 133 Capitolo 3 - Un tesoro interiore attraverso lotte e sofferenze

re. Per favore, mandami i santi ai quali io possa dare testimonianza». Dopo aver pregato, uscii e andai al pozzo. Era il 10 maggio, un giorno di tarda primavera. Indossavo dei pantalo- ni tradizionali coreani, foderati di cotone, e una vecchia giacca. Sudavo nella calura. A un certo punto, scorsi una giovane donna che si tergeva il sudore dalla fronte, mentre si arrampicava su per la collina nella di- rezione del pozzo. Le dissi: «Dio le ha dato tantissimo amore negli ultimi sette anni». Lei fece un balzo all’indietro per la sorpresa: proprio da sette anni aveva deciso di dedicare la sua vita a Dio. «Mi chiamo Hyun Shil Kang, - disse - sono un’evangelista della chiesa di Beom Cheon, che si trova nel quartiere ai piedi di questa collina. Ho sentito dire che qua vive un matto, così sono venuta a testimoniargli». Questo fu il suo saluto. La invitai in casa. Lei osservò la stanza squallida, e fu chiaro che le sembrò molto strana. Alla fine, fissò lo sguardo sul mio tavolo e chiese: «Perché ha tante matite?». «Fino a questa mattina - risposi - sono stato occupato a scrivere un libro che rivela i principi dell’universo. Penso che Dio ti abbia mandata qui perché tu possa apprendere da me questi principi». Lei replicò: «Cosa? Io sono venuta perché ho sentito che c’è un matto che vive qui e ha bisogno che gli testimoni della verità». Le diedi un cuscino per sedersi e mi sedetti anch’io. L’acqua della sorgente risuonava goccio- lando, mentre scorreva sotto di noi. «Nel futuro, la Corea avrà il ruolo all’apice nel mondo», le dissi. «Gli altri popoli si rammaricheranno di non essere nati Coreani». Chiara- mente, lei pensò che stessi vaneggiando. «Proprio come Elia apparve nella persona di Giovanni Battista - con- tinuai - Gesù verrà nella carne in Corea». Lei si alterò: «Sono sicura che Gesù avrà luoghi migliori in cui venire, piuttosto che un paese disgraziato come la Corea», replicò. Poi mi chiese: «Ha mai letto il libro dell’Apocalisse? Io …». La interruppi a metà della frase: «Vuole

134 Quel giovane bello e matto vicino al pozzo Capitolo 3 - Un tesoro interiore attraverso lotte e sofferenze dirmi che ha studiato al seminario teologico di Goryo?». Lei sorpresa rispose: «Come fa a saperlo?», ed io: «Pensa che l’avrei aspettata senza sapere neppure questo di lei? Ha detto che è venuta qua per testimoni- armi. Allora, per favore, mi insegni ciò che sa». Chiaramente, Hyun Shil Kang era molto preparata in teologia. Citò passi della Bibbia uno dopo l’altro, cercando di confutare la mia visio- ne. Continuò a sfidarmi con decisione, mentre io replicavo a ognuna delle sue contestazioni, rispondendo con voce forte e chiara. La discussione continuò tanto a lungo che cominciò a fare buio, e io mi alzai per preparare la cena. L’unica cosa che avevamo, a parte il riso, era un po’ di vecchio kimchi1. Ciononostante, ci sedemmo al suono dell’acqua che gocciolava sotto di noi e condividemmo quel cibo, prima di riprendere la nostra discussione. Lei ritornò il giorno successivo e quello dopo ancora, sempre per con- tinuare il nostro dibattito. Alla fine, scelse di dedicare la sua vita al principio che insegnavo. Più tardi quell’anno, un giorno ventoso di novembre, mia moglie si presentò alla porta della baracca di Beom-net-gol. In piedi accanto a lei c’era un bambino di sette anni, mio figlio, che era nato dopo la mia partenza. Quel giorno ero partito semplicemente per andare a prende- re del riso, e invece ero andato a Pyongyang. Gli anni erano passati, e adesso il bambino era diventato un ragazzo. Non potevo guardarlo ne- gli occhi né potevo andargli incontro, carezzargli il viso e abbracciarlo gioiosamente. Rimasi immobile come una statua, raggelato, senza dire una parola. Non c’era davvero bisogno che mia moglie parlasse. Sentivo il dolore e la sofferenza che quella povera mamma e suo figlio avevano dovuto af- frontare nel mezzo della guerra. Sebbene sapessi, anche prima che ve- nissero a trovarmi, dove abitassero e quale fosse la loro situazione, non ero ancora arrivato al punto di potermi occupare della mia famiglia. 1 Uno dei piatti tradizionali coreani, a base di verdure fermentate e peperoncino.

Quel giovane bello e matto vicino al pozzo 135 Capitolo 3 - Un tesoro interiore attraverso lotte e sofferenze

Consapevole di questo, avevo chiesto a mia moglie tante volte, prima ancora del nostro matrimonio: «Ti prego, fidati di me e aspetta ancora un poco». Avevo in programma di andarli a prendere, quando fosse venuto il momento giusto. Ma in quella situazione, mentre mi stava- no davanti sulla soglia, il momento giusto non era ancora arrivato. La capanna, la nostra chiesa, era piccola e malmessa. Vari membri della chiesa mangiavano e vivevano lì con me per studiare la parola di Dio. Non potevo portare lì la mia famiglia. Mia moglie diede un’occhiata in giro per la baracca, espresse la sua grande delusione, si voltò e se ne andò lungo il sentiero scosceso.

136 Quel giovane bello e matto vicino al pozzo Una chiesa senza denominazione

econdo un detto che abbiamo in Corea, chi è insultato vive più a lungo. Se la mia vita dovesse durare in proporzione alla quanti- tà d’insulti che ho ricevuto, potrei vivere altri cent’anni. Inoltre, Spoiché il mio stomaco non è stato saziato di cibo, ma d’insulti, si può affermare che io ho lo stomaco più pieno di quello di chiunque altro. Le chiese ufficiali, che mi avevano tanto contestato, quasi fino a lapi- darmi, quando avevo costituito la mia chiesa a Pyongyang, ripresero a perseguitarmi, questa volta a Busan. Presero a contrastarci ancor prima che avessimo effettivamente fondato la nostra chiesa. Termini quali eretico e pseudo-qualcosa, furono anteposti al mio nome così spesso che sembrò ne fossero diventati parte. In effetti, le parole Sun Myung Moon divennero sinonimo di eresia e di pseudo religione. Era persino difficile sentire il mio nome non accompagnato da questi attributi. Verso il 1953, la persecuzione raggiunse il culmine. Chiudemmo la baracca di Busan e ci spostammo prima a Daegu e poi a Seul. A mag- gio dell’anno seguente, affittammo una casa a Seul, nel quartiere di Bukhak Dong, situata presso il parco di Jang-choong-dang, ed espo- nemmo un’insegna dove si leggeva: «Associazione dello Spirito Santo per l’Unificazione del Cristianesimo Mondiale». Scegliemmo questo nome per esprimere che non appartenevamo ad alcuna denominazio- ne, e per certo non avevamo in programma di crearne una nuova. Le parole «Cristianesimo Mondiale» sono riferite a tutti i cristiani del mondo, sia del passato che del presente. «Unificazione» rivela il no- stro scopo di unità e «Spirito Santo» denota l’armonia tra il mondo spirituale e quello fisico, costruita con l’amore della relazione di padre e figlio al suo centro. Il nostro nome vuole dire che «il mondo dello spirito, incentrato su Dio, è con noi».

Una chiesa senza denominazione 137 Capitolo 3 - Un tesoro interiore attraverso lotte e sofferenze

In particolare, l’unificazione rappresenta il mio scopo, inteso a stabilire il mondo ideale di Dio. L’unificazione è diversa dall’unione. L’unione avviene quando due cose s’incontrano, mentre l’unificazione si realizza quando due cose diventano una sola. «Chiesa dell’Unificazione» di- venne più tardi il nostro nome più comunemente noto, ma ci fu dato da altri. All’inizio, gli studenti universitari ci chiamavano «la Chiesa di Seul». A me non piace usare la parola «kyo-hoi»1 nella sua accezione usuale di «chiesa», ma preferisco invece il significato che le proviene dai caratteri cinesi2 originali. «Kyo» significa «insegnare» e «hoi» significa «riunio- ne». La parola coreana vuol dire letteralmente «riunione per insegna- re». Il termine utilizzato per religione, «jong-kyo», è composto di due caratteri cinesi che significano rispettivamente «centrale» e «insegna- mento». Quando con la parola «chiesa» s’intende una riunione nella quale vengono insegnati i fondamenti della spiritualità, il significato è buono. Ma il contenuto della parola «kyo-hoi» non fornisce alla gente alcuna ragione per motivarla alla condivisione. In generale, la parola «kyo-hoi» non è stata usata in questo senso. Io non volevo collocare il nostro gruppo in questa categorizzazione, di tipo separatista. Avevo la speranza che sorgesse una chiesa senza una denominazione. La vera religione cerca di salvare la nazione, anche quando deve sacrificare la propria stessa struttura religiosa per quell’o- biettivo; cerca di salvare il mondo, anche a costo di sacrificare la pro- pria nazione; cerca di salvare l’umanità a prezzo di sacrificare il mondo. Con questo tipo di interpretazione di quella parola, non può mai es- serci un solo momento in cui la denominazione abbia la precedenza. Era necessario appendere un’insegna con la scritta «chiesa», ma nel mio cuore ero pronto a tirarla giù in qualsiasi momento. Chi espone una targa che dice «chiesa», pone immediatamente, per ciò stesso, una

1 Pronuncia: kyo-hè. 2 Si riferisce all’uso di molti caratteri cinesi nella lingua scritta coreana.

138 Una chiesa senza denominazione Capitolo 3 - Un tesoro interiore attraverso lotte e sofferenze distinzione tra chiesa e non-chiesa. Prendere ciò che è unito e dividerlo in due non è la cosa giusta da fare. Non era quello il mio sogno. Non era quello il percorso che volevo intraprendere. Se fosse stato necessa- rio togliere quell’insegna per salvare la nazione o il mondo, sarei stato pronto a farlo in qualsiasi momento. La nostra insegna era appesa accanto all’ingresso principale. Sarebbe stato meglio se l’avessimo collocata più in alto, ma la gronda del tetto era molto bassa e non c’era nessun altro posto adatto per appenderla. Alla fine, la sistemammo più o meno ad altezza di bambino. Ed in effetti, alcuni bimbi del vicinato tirarono giù l’insegna, ci giocarono e la spezzarono in due. A causa del suo significato storico non potevamo buttarla via. Rimettemmo insieme i due pezzi con fil di ferro e li assi- curammo con dei chiodi, meglio che potemmo, alla facciata. Forse proprio come la nostra insegna era stata trattata in modo tanto umiliante, anche la nostra chiesa ricevette umiliazioni indescrivibili. La gronda del tetto era talmente bassa che le persone dovevano piegare la testa per passare dalla porta. La stanza era così angusta che quando ci riunivamo in sei e ci disponevamo in cerchio per pregare, chinando la testa rischiavamo di picchiare la fronte uno contro l’altro. Le per- sone del vicinato ridevano della nostra insegna. Se la spassavano, do- mandando che genere di unificazione mondiale sognassimo in quella minuscola casetta per entrare nella quale «bisognava mettersi carponi ». Non cercavano di scoprire perché avessimo scelto quel nome. Sem- plicemente ci guardavano come se fossimo pazzi. Ma questo, in ogni caso, non ci disturbava. A Busan avevamo elemosinato il cibo per sopravvivere, mentre ora avevamo una stanza per celebrare i nostri servizi religiosi. Non ave- vamo nulla da temere. Come abbigliamento presi due tute da lavoro dell’esercito americano e le tinsi di nero. Le indossavo insieme a delle scarpe di gomma nere. Anche se gli altri cercavano di sminuirci, nel nostro cuore ci sentivamo più dignitosi di chiunque altro.

Una chiesa senza denominazione 139 Capitolo 3 - Un tesoro interiore attraverso lotte e sofferenze

Le persone che frequentavano la nostra chiesa si chiamavano tra loro shik-ku, ovvero membri della famiglia. Eravamo inebriati dall’amore. Chiunque veniva lì poteva vedere cosa stessi facendo e sentire cosa stessi dicendo. Eravamo legati da un filo interiore d’amore che ci met- teva in comunicazione con Dio. Poteva avvenire che, una donna che si trovava in casa a preparare il cibo, all’improvviso lasciasse tutto per correre alla nostra chiesa. Un’altra magari diceva che andava a cam- biarsi d’abito e poi correva da noi con il vestito vecchio. I parenti di un’altra ancora le radevano il capo, per impedirle di venire alla chiesa, e lei veniva lo stesso con la testa rasata3. Con l’aumentare dei nostri membri, cominciammo a evangelizzare nelle università. Negli anni ‘50, gli studenti universitari godevano di grande reputazione quali intellettuali della società coreana. Comin- ciammo a testimoniare4 nelle vicinanze dell’università femminile di Ewha e dell’università di Yonsei. Presto avemmo un considerevole nu- mero di studenti che frequentavano la nostra chiesa. La professoressa Yoon Young Yang, che insegnava musica a Ewha, e la professoressa Choong Hwa Han, che era la direttrice della casa degli studenti, vennero da noi. Venivano anche molti studenti, e non uno o due alla volta: venivano a dozzine e il loro numero cresceva in progres- sione geometrica. Questo sorprese le chiese ufficiali, ma anche noi. Due mesi dopo l’inizio della nostra attività evangelica nelle università, la nostra congregazione era esplosa quantitativamente, specialmente con gli studenti di Ewha e Yonsei. Il tasso di crescita era incredibile. Era come se spirasse un vento di primavera, capace di cambiare il cuo- re degli studenti in un solo momento. Decine di studentesse di Ewha raccolsero le loro cose e lasciarono gli alloggi universitari. Questo acca- 3 Nella famiglia coreana rigidamente patriarcale di allora le donne potevano subire an- che questo tipo di trattamento, considerato umiliante, per essere costrette a fare la volontà del marito o del padre. 4 In questo contesto la parola «testimoniare» viene usata nel significato cristiano di «es- sere testimoni della verità», «evangelizzare».

140 Una chiesa senza denominazione Capitolo 3 - Un tesoro interiore attraverso lotte e sofferenze deva da un giorno all’altro. Se qualcuno cercava di fermarle risponde- vano: «Perché? Perché stai cercando di fermarmi? Per fermarmi dovrai uccidermi. Uccidimi!». Alcune uscirono arrampicandosi su per il muro di cinta dell’università. Io cercai di fermarle, ma non c’era niente da fare. Non volevano restare nella loro bella scuola pulita; volevano ve- nire nella nostra piccola chiesa che puzzava di piedi sporchi. Non c’era nessuno che potesse fare alcunché al riguardo. Alla fine la preside Hwal Ran Kim (Helen Kim) mandò in visita alla nostra chiesa la professoressa Young Oon Kim del dipartimento di so- ciologia religiosa. La professoressa Kim aveva studiato teologia in Ca- nada ed era un’esperta nella quale l’università di Ewha riponeva grandi speranze per il futuro. La preside aveva scelto la professoressa Kim perché supponeva che, grazie alla sua competenza teologica, avrebbe sviluppato un’analisi critica risolutiva, circa la nostra teologia, da po- ter utilizzare per mettere fine all’influenza che il nostro insegnamento esercitava sulle studentesse. Ma questo inviato speciale, la professores- sa Kim, si unì alla nostra chiesa una settimana dopo avermi incontrato, e divenne uno dei suoi membri più entusiasti. Questo fatto accrebbe la nostra credibilità tra gli altri professori e studentesse di Ewha. Il numero dei nostri membri crebbe a valanga. La situazione sfuggì al nostro controllo e le chiese ufficiali comincia- rono ad accusarci di rubare i loro membri. Tutto ciò mi sembrava asso- lutamente ingiusto. Io non avevo mai obbligato nessuno ad ascoltare i miei sermoni o frequentare la nostra chiesa. Se mandavo via qualcuno dalla porta davanti, questi rientrava dalla porta di dietro. Se chiudevo le porte, rientravano dalle finestre. Non avevo nessuna possibilità di fermarli. Le persone più sconcertate da tutto questo erano gli ammi- nistratori di Yonsei ed Ewha, università sostenute economicamente da fondazioni cristiane. Non potevano starsene lì a far niente, mentre i loro studenti e professori aderivano a frotte ad un altro gruppo religioso.

Una chiesa senza denominazione 141 Due università espellono studenti e professori

’università di Yonsei e l’università femminile di Ewha si tro- vavano in una situazione critica. Alla fine presero una misura che non era mai stata adottata prima, né mai lo fu successiva- Lmente. Ewha licenziò cinque professoresse, compresa la professoressa Young Oon Kim, ed espulse quattordici studentesse. Tra queste ce n’e- rano cinque dell’ultimo anno. Anche Yonsei licenziò un professore ed espulse due studenti. Il cappellano di Ewha cercò di consigliare alle studentesse: «Potrete frequentare quella chiesa dopo la vostra laurea. In questo modo, non produrrete alcun danno alla scuola», ma non servì a niente. Si produsse l’effetto contrario. Le studentesse espulse protestarono vibratamente: «Ci sono molti atei nella nostra scuola» affermarono; «abbiamo anche figli di sciamani tradizionali che la frequentano. Come può la scuola giustificare la nostra espulsione e giustificare l’ipocrisia di questa di- sparità di trattamento?». Ma la scuola rimase sulle sue posizioni: «Sia- mo una scuola privata e una scuola cristiana. Abbiamo il diritto di espellere qualsiasi studente che riteniamo opportuno». Quando si venne a sapere dell’accaduto, un giornale pubblicò un edito- riale intitolato: «L’espulsione è un errore in un paese dove vige la libertà di religione». La situazione divenne presto un argomento di dibattito pubblico. Nell’università di Ewha, che era sostenuta da una fondazione cristia- na canadese, si temeva che quel supporto economico sarebbe venu- to meno, se si fosse saputo in giro che un consistente gruppo di sue studentesse frequentava una chiesa accusata di essere eretica. A quei tempi, a Ewha il servizio religioso veniva svolto tre volte la settimana, si registravano le presenze e i dati venivano presentati alla sede della

142 Due università espellono studenti e professori Capitolo 3 - Un tesoro interiore attraverso lotte e sofferenze missione cristiana. Dopo l’espulsione delle studentesse e il licenziamento delle profes- soresse, l’opinione pubblica cominciò a volgersi in nostro favore. L’u- niversità di Ewha, nel tentativo di contrastare questi sviluppi, iniziò una campagna di falsi pettegolezzi, perfino troppo volgari da ripetere. Disgraziatamente, come spesso accade, più disgustose erano le dicerie, più la gente le ascoltava e le ripeteva come se fossero vere. Queste voci infamanti cominciarono ad autoalimentarsi e presto presero vita per proprio conto. La nostra chiesa ne soffrì le conseguenze per più di un anno. Non volevo che la situazione sfuggisse di controllo in questo modo, non volevo creare problemi a nessuno. Cercai di convincere le studen- tesse e le professoresse a condurre una vita di fede semplice e quieta. Spiegai loro che non era necessario che lasciassero i loro alloggi all’u- niversità e dessero adito a tanto turbamento pubblico. Ma loro furono categoriche: «Perché ci chiede di non venire qua? Desideriamo ricevere la stessa grazia che chiunque altro può ricevere». Alla fine, furono co- strette a lasciare le loro scuole. Quella situazione mi metteva a disagio, ma non potevo intervenire in alcun modo. Dopo essere state allontanate dalla scuola, le studentesse si recarono in gruppo in una sala di preghiera sul monte Samgak, alle porte di Seul. Andarono a cercare consolazione al loro cuore ferito. Erano state cacciate dalla scuola, le loro famiglie erano adirate e le loro amiche non volevano più incontrarle. Non avevano più un posto dove andare. Di- giunarono e passarono tutto il tempo a pregare profondamente; presto alcune cominciarono anche a parlare in lingue. È proprio vero che Dio compare quando siamo sull’orlo della dispera- zione e dell’angoscia. Le studentesse, che erano state espulse dalla loro scuola ed emargi- nate dalle famiglie e dalla società, trovarono Dio nella sala sul monte Samgak. Andai a visitarle e portai loro cibo e conforto, perché erano

Due università espellono studenti e professori 143 Capitolo 3 - Un tesoro interiore attraverso lotte e sofferenze

molto deperite per il digiuno: «È già un grosso danno che siate sta- te ingiustamente espulse» spiegai loro, «per favore non digiunate per giunta. Se pensando a ciò che avete fatto la vostra coscienza è serena, essere insultate per questo non è disonorevole. Non scoraggiatevi, ma aspettate che venga il vostro momento». Cinque di quelle studentesse, che erano più avanti negli studi, si tra- sferirono più tardi all’università femminile di Sookmyung. Ma il dan- no era già stato fatto. Quanto era accaduto svolse un ruolo decisivo nell’attribuirmi una reputazione profondamente negativa. I resoconti giornalistici cominciarono ad attribuire a noi tutte le azioni malvagie commesse da membri delle varie religioni. La gente che, sulle prime, aveva reagito alle dicerie con «Può mai essere vero?», ora cominciava a dire «È vero». Fa male essere sottoposti a un trattamento tanto ingiusto. L’ingiustizia era tanto acuta da rendermi furioso. Volevo urlare la mia smentita a quelle voci, ma non parlai né provai a combattere. Avevamo così tante altre cose da realizzare e non avevamo tempo da sprecare nella lotta. Credevo che l’incomprensione e l’odio sarebbero svaniti col tempo e che non dovessimo disperdere le nostre energie, preoccupandocene eccessivamente. Facevo finta di non sentire la gente che diceva: «Sun Myung Moon deve morire colpito da un fulmine», o i ministri religiosi cristiani che pregavano per la mia morte. Però, invece di spegnersi, pettegolezzi ancora più inquietanti si diffusero col passare dei giorni. Sembrava che tutto il mondo si fosse unito nel puntarmi il dito in tono accusatorio. Anche nella calura della fabbrica di fertilizzante di Heungnam, avevo evitato di farmi vedere dagli altri perfino i polpacci. Ma ora girava la voce che io danzassi nudo nella nostra chiesa. Le persone che venivano per la prima volta mi guardavano con occhi che sembravano dire: «Sei tu quello che si toglie i vestiti e danza?». Io sa- pevo meglio di chiunque altro che ci sarebbe voluto del tempo perché quei malintesi scomparissero, così non cercai mai di polemizzare con

144 Due università espellono studenti e professori Capitolo 3 - Un tesoro interiore attraverso lotte e sofferenze loro dicendo: «Io non sono così». Non possiamo conoscere una persona senza incontrarla, ma c’erano tanti che non esitavano a maledirmi senza neanche avermi mai incon- trato. Sapevo che sarebbe stato inutile battagliare contro queste perso- ne, così sopportai in silenzio. Gli avvenimenti di Yonsei ed Ewha spinsero la nostra chiesa sull’orlo della distruzione. L’idea di «pseudo religione» o di «setta» furono inse- parabilmente collegate al mio nome. Tutte le chiese ufficiali si allearo- no e chiesero al governo di mettermi sotto accusa. Il 4 luglio 1955 la polizia fece irruzione nella nostra chiesa e arrestò me e quattro membri: Won Pil Kim, Hyu Young Eu, Hyo Min Eu e Hyo Won Eu. Ministri religiosi e responsabili delle chiese ufficiali opera- rono d’intesa con le autorità civili e scrissero petizioni, chiedendo la chiusura della nostra chiesa. Quei quattro membri, che erano stati con me fin dall’inizio, furono costretti a rimanere in prigione con me. La questione non finì così. La polizia fece ricerche sui miei precedenti e formulò un’accusa di renitenza alla leva. Anche quest’accusa era frutto di un marchiano errore: all’epoca in cui ero fuggito dal campo di morte nordcoreano avevo già passato l’età del servizio militare obbligatorio; nonostante ciò, mi accusarono di essermi sottratto alla leva.

Due università espellono studenti e professori 145 Nuove gemme crescono sui rami bruciati

li investigatori della Sezione Speciale Informazioni dell’Uf- ficio per l’Ordine Pubblico, che avevano perquisito la nostra chiesa e mi avevano tratto in arresto, mi portarono al commis- Gsariato di Chung Bu. Ero indignato per la mia incriminazione come renitente, ma non dissi nulla. Avevo la bocca per parlare, ma non mi fu mai data la possibilità di dire una parola. Alcuni, vedendo il mio silen- zio di fronte a quel trattamento ingiusto, mi diedero dello smidollato. Sopportai in silenzio anche quel tipo di epiteti, nella convinzione che anche tutto ciò facesse parte del percorso che mi era stato assegnato. Se quello era il cammino che avrei dovuto seguire per raggiungere il mio obiettivo, non potevo fare niente al riguardo. Dal momento che segui- vo un percorso chiaro, non avrei potuto mai essere sconfitto. Quanto più venivo attaccato, tanto più m’impegnavo ad agire più onorevol- mente di chiunque altro. Una volta che ebbi preso questa decisione nel mio cuore, la polizia non poté più avere alcun controllo su di me. Mentre l’ispettore scriveva il suo rapporto, gli dettavo quello che doveva scrivere. «Perché non inclu- de quest’aspetto?» gli suggerivo, oppure: «Qui deve scrivere in questo modo». L’investigatore scriveva ciò che gli dettavo, e ciascuna delle fra- si che gli dettavo era esatta, ma quando mise insieme il tutto, si accorse che il suo rapporto portava alla conclusione opposta rispetto a quella che si era prefisso di dimostrare, così si arrabbiò e lo strappò. Il 13 luglio 1955, dopo sei giorni di detenzione nel commissariato di Chung Bu, fui condotto nuovamente in prigione. Questa volta, si trattava del carcere di Seodaemun, a Seul. Fui ammanettato, ma non provavo né vergogna né dispiacere. Vivere in prigione non era un pro- blema per me. Può aver alimentato una gran collera nel mio cuore, ma

146 Nuove gemme crescono sui rami bruciati Capitolo 3 - Un tesoro interiore attraverso lotte e sofferenze non ha mai costituito un ostacolo sul mio percorso. Per me, è stato un modo per raccogliere un capitale aggiuntivo per le mie attività future. Affrontai la vita in prigione dicendo a me stesso: «Non sono uno che morirà in prigione. Io non posso morire. Questo è solo il trampolino che userò per fare un grande salto verso il mondo della liberazione». È la regola del mondo - e la legge del cielo - che ciò che è malvagio declini e ciò che è buono si espanda. Anche se per compiere la mia missione dovessi finire in un mucchio di letame, se manterrò un cuore puro non fallirò. Mentre venivo condotto via incatenato, alcune donne mi passarono accanto, mi guardarono di traverso e scossero la testa in segno di disapprovazione. Esprimevano il sentimento che fossi addi- rittura grottesco da vedere, perché m’immaginavano come il capo di una setta che praticava riti sessuali. Ma non mi sentivo né impaurito, né vergognoso. Nonostante le parole sporche usate per tormentare me e la nostra chiesa, non mi sarei fatto intimidire. Naturalmente, avevo dei sentimenti normali. Esternamente mantene- vo la mia dignità, ma molto spesso mi sentivo soffocato e amareggiato fin nel profondo. Ogni volta che sentivo il cuore fiaccato, reagivo di- cendo a me stesso: «Non sono uno che finirà col morire in prigione. Mi risolleverò. Ne sono certo». Raddoppiai la mia determinazione dicen- do: «Sto prendendo tutta la sofferenza su me stesso. Sto sopportando tutto questo peso per la nostra chiesa». Ci si sarebbe potuto aspettare che il mio arresto avrebbe significato la fine della nostra chiesa, che tutti i membri se ne sarebbero andati ciascuno per la propria strada. Al contrario, i membri vennero a visi- tarmi tutti i giorni. In certi casi, addirittura litigarono per stabilire chi dovesse venire a vedermi per primo. Le visite erano consentite soltanto dopo le 8 del mattino, ma i membri si mettevano in fila e aspettavano fuori della porta della prigione fin dall’alba. Più la gente mi malediceva, più la mia situazione si faceva solitaria, più persone si mettevano in fila per venirmi a trovare, inco-

Nuove gemme crescono sui rami bruciati 147 Capitolo 3 - Un tesoro interiore attraverso lotte e sofferenze

raggiarmi e piangere per me. Io neppure li salutavo con tanto sentimento. In realtà li rimproveravo, dicendo cose del tipo: «Perché siete venuti a fare tanta confusione?». Nonostante ciò, mi restavano vicini piangendo. Era il loro modo di esprimere fede e amore. Non mi erano affezionati perché io sapessi parlare con chiarezza o eloquenza. Mi amavano perché comprende- vano l’amore che nutrivo per loro dal profondo del mio cuore. I nostri membri riconoscevano il mio cuore vero. Dovessi anche morire, non potrò mai dimenticare i membri che mi sono rimasti accanto nono- stante mi abbiano visto incatenato in tribunale. Ricorderò sempre la loro espressione mentre singhiozzavano, vedendomi seduto al banco degli imputati. Le guardie della prigione erano stupite: «Com’è possibile che quest’uo- mo faccia tanto impazzire questa gente?» si domandarono vedendo i nostri membri radunarsi nella prigione. «Non è il loro marito, e loro non sono le sue mogli. Non è loro figlio. Come possono essergli tan- to dedicati?». In un caso almeno, una guardia commentò: «Avevamo sentito dire che Moon fosse un dittatore e sfruttasse le persone, ma è assolutamente chiaro che questo non è vero». Quella guardia divenne un membro e seguì la nostra strada. Alla fine, dopo tre mesi di reclusione, il tribunale mi dichiarò innocen- te e fui rilasciato. Il giorno della mia liberazione, il capo delle guardie e i comandanti di tutte le sezioni mi tributarono un saluto formale. Nel giro di tre mesi divennero tutti membri della nostra famiglia uni- ficazionista. La ragione per cui avevano cambiato i loro sentimenti era semplice. Osservandomi da vicino, avevano potuto rendersi conto che non ero per nulla la persona raffigurata nelle dicerie che avevano ascol- tato. Risultò così che le falsità che circolavano nella società aiutavano, in realtà, i nostri sforzi nella testimonianza. Il giorno che ero stato portato via dalla polizia, tutti i mezzi d’in- formazione e tutta l’opinione pubblica erano stati in subbuglio. Ma

148 Nuove gemme crescono sui rami bruciati Capitolo 3 - Un tesoro interiore attraverso lotte e sofferenze quando fui riconosciuto innocente e rimesso in libertà, rimasero in silenzio. L’unico resoconto del mio verdetto d’innocenza e della mia scarcerazione fu un trafiletto di tre righe in un angolo nascosto del giornale, che diceva: «Il Reverendo Moon non colpevole, rilasciato». Le ripugnanti accuse che avevano messo in agitazione tutta la nazione si erano dimostrate del tutto false, ma il fatto che venissi scagionato fu accuratamente insabbiato. I nostri membri protestarono, dicendo: «Reverendo Moon, questo è ingiusto. Ci fa tanto arrabbiare, non pos- siamo sopportarlo». Piansero davanti a me, ma io rimasi in silenzio e li tranquillizzai. Non ho mai dimenticato il dolore che ho provato quando sono stato maltrattato e assoggettato a tutte quelle false accuse. Ho perseverato, anche quando così tante persone erano contro di me, che mi sentivo di non avere neanche un centimetro quadrato di spazio per me in tutta la Corea. La tristezza che sentii in quel tempo è rimasta con me, in un angolo del mio cuore. Posso essere come un albero che è stato squassato dal vento e dalla pioggia e bruciato dal fuoco, ma non sarò mai un albero che si secca e muore. Anche i rami bruciati porteranno nuovi germogli quando verrà la primavera. Se continuerò lungo la mia strada con umiltà e forte con- vinzione, verrà sicuramente il giorno in cui il mondo capirà il valore di ciò che faccio.

Nuove gemme crescono sui rami bruciati 149 Siamo temprati dalle nostre ferite

a gente respingeva la nuova espressione di verità che io predica- vo, definendola un’eresia. Anche Gesù, nato nella patria dell’E- braismo, fu accusato di eresia e crocefisso; la mia persecuzione Lcomunque non si avvicinò neppure, in quanto a sofferenza e ingiusti- zia, alla sua. Io potevo sopportare tutto il dolore che veniva inflitto al mio corpo, ma l’accusa di eresia contro la nostra chiesa mi risultò più ingiusta e più difficile da sopportare. Alcuni teologi, che avevano studiato la nostra chiesa nei primi giorni, dissero che i nostri insegnamenti erano originali e sistematici. Alcuni di loro erano pronti ad accettarli. Questo significa che le intense con- troversie, che avevano coinvolto la nostra chiesa, non avevano moti- vazioni teologiche; avevano piuttosto a che fare con degli interessi di potere. I nostri membri, per la maggior parte, avevano frequentato altre chiese prima di unirsi alla nostra. Questa era la ragione determinante a mo- tivo della quale la nostra chiesa era trattata come nemica dalle chiese ufficiali. Dopo aver aderito alla nostra chiesa, la professoressa Yoon Young Yang, docente all’università di Ewha, fu condotta al commissariato per essere interrogata. In quell’occasione scoprì che circa ottanta ministri religiosi cristiani avevano scritto delle lettere alle autorità per criticare la nostra chiesa. Chiaramente non avevamo fatto nulla di sbagliato; la vera mo- tivazione di quelle lettere era che eravamo visti come una minaccia al potere di certe persone e istituzioni. Furono le loro confuse sensazioni di paura e la loro estrema faziosità che li motivarono a tentare di sop- primere la nostra chiesa. Tante persone, provenienti da vari gruppi religiosi, furono attratte dal-

150 Siamo temprati dalle nostre ferite Capitolo 3 - Un tesoro interiore attraverso lotte e sofferenze la nostra chiesa e dai suoi nuovi insegnamenti. Dicevo loro: «Perché siete venuti qua? Ritornate alle vostre chiese», e quasi li minacciavo per cercare di cacciarli. Ma loro poco dopo ritornavano. Coloro che si raccoglievano intorno a me non ascoltavano nessuno. Non ascoltavano gli insegnanti o i genitori. Volevano sentirmi parlare. Io non li pagavo né davo loro da mangiare, ma loro credevano in quello che insegnavo e continuavano a venire da me. Il fatto è che io mostravo loro il modo per risolvere le loro frustrazioni. Anch’io, prima di conoscere la verità, ero frustrato. Lo ero quando guardavo il cielo e guardavo le persone intorno a me. Per questa ragio- ne, potevo comprendere la frustrazione delle persone che venivano alla nostra chiesa; avevano domande sulla vita e non riuscivano a trovare risposte. La parola di Dio che trasmettevo loro rispondeva chiaramen- te alle loro domande. I giovani che mi cercavano trovavano risposte nei concetti che esprimevo. Volevano venire alla nostra chiesa per condivi- dere il mio percorso spirituale, non importa quanto esso potesse essere difficile. Io sono la persona che trova la strada e la apre; guido le persone lungo il cammino per risanare le famiglie distrutte e ricostituire la società, la nazione e il mondo, così da poter alla fine ritornare a Dio. Coloro che vengono da me comprendono questo. Vogliono accompagnarmi nella ricerca di Dio. Che colpa si può trovare in tutto ciò? Tutto quello che facevamo era andare in cerca di Dio, e per questo siamo stati sottoposti a ogni genere di persecuzione e critica. Purtroppo, durante quel periodo in cui la nostra chiesa era impegnata nelle discussioni sull’eresia, mia moglie rese la mia situazione ancora più difficile. Dopo il nostro incontro a Busan lei, insieme ai suoi pa- renti, cominciò a pretendere che lasciassi immediatamente la chiesa e andassi a vivere con lei e con nostro figlio, oppure consentissi al di- vorzio. Vennero anche in carcere a Seodaemun, nel periodo della mia prigionia, e mi presentarono i documenti per il divorzio perché li fir-

Siamo temprati dalle nostre ferite 151 Capitolo 3 - Un tesoro interiore attraverso lotte e sofferenze

massi. Sapendo quanto il matrimonio sia importante nel quadro della realizzazione del mondo di pace di Dio, mi sottrassi alle loro richieste rimanendo in silenzio. Anche i membri della nostra chiesa dovettero subire da lei orribili af- fronti. Per quanto mi riguardava, potevo farmene una ragione e non mi preoccupavo dei suoi insulti e dei suoi sconsiderati maltrattamenti. Avevo difficoltà, invece, a restare da parte e osservare il suo comporta- mento offensivo verso i nostri membri. Faceva irruzione nella nostra chiesa a qualsiasi ora per maledire i membri, distruggere le nostre cose e portare via oggetti che appartenevano alla chiesa. Arrivò a gettare letteralmente acqua contenente feci umane addosso ai membri. Quan- do lei veniva, non potevamo tenere il nostro servizio religioso. Alla fine, poco dopo essere uscito dalla prigione di Seodaemun, accettai le richieste della sua famiglia e sottoscrissi i documenti del divorzio. Fui costretto a quel divorzio contro i miei principi. Quando penso alla mia prima moglie oggi, mi si stringe il cuore. L’in- fluenza della sua famiglia, che era profondamente cristiana, e le in- dicazioni delle chiese ufficiali coreane furono le cause principali nel determinarla a comportarsi in quel modo. Lei era stata così chiara e ferma nella promessa che mi aveva fatto prima del nostro matrimonio. Il modo in cui lei cambiò atteggiamento ci dà una lezione su quanto siano temibili le forze del pregiudizio sociale e della superstizione dif- fusa. Sperimentai simultaneamente l’amarezza del divorzio e la sofferenza di essere etichettato come eretico, ma non mi piegai. Erano cose che dovevo subire nel mio corso per redimere il peccato originale dell’uma- nità, cose che dovevo superare per proseguire nel mio cammino verso il regno di Dio. Il momento più buio è quello che precede l’alba. Uscii dall’oscurità aggrappandomi a Dio e pregando. Al di fuori del breve tempo dedicato al sonno, tutto il tempo che avevo disponibile lo dedi- cavo alla preghiera.

152 Siamo temprati dalle nostre ferite Un cuore sincero è estremamente importante

itornai nel mondo dopo tre mesi in prigione, perché alla fine mi avevano giudicato non colpevole. Mi resi conto più che mai che ero tremendamente indebitato con Dio e, per ripagare il Rmio debito, cercai un posto dove la nostra chiesa potesse ricominciare dall’inizio. Comunque, non pregai chiedendo: «Dio, costruiscici una chiesa». Non mi ero mai lamentato, né mi ero mai vergognato, del pic- colo e umile edificio che avevamo usato per la nostra chiesa sin allora. Ero grato di avere un posto per pregare. Non avevo mai desiderato uno spazio grande e comodo. Nondimeno, ci serviva un luogo dove i nostri membri potessero riunir- si e tenere le celebrazioni religiose, così prendemmo un prestito di due milioni di won e acquistammo una casa in condizioni malconce sulla collina di Cheongpa Dong. Era una delle tante case classificate come «proprietà nemica»: voleva dire che era rimasta vuota da quando, all’e- poca della liberazione della nostra nazione, i Giapponesi erano partiti e l’avevano abbandonata. Era una piccola casa di appena 65 metri quadrati. Si trovava alla fine di un vicolo lungo e stretto. Avvicinarsi alla casa era come attraversare una galleria lunga e oscura. I pilastri e i muri erano coperti di sporco, e ci domandammo cosa potesse essere successo lì prima del nostro ar- rivo. Lavorai quattro giorni, insieme ai giovani della nostra chiesa, per scrostare tutta la sporcizia con una soluzione di soda. Dopo il nostro trasloco nella chiesa di Cheongpa Dong, dormii po- chissimo. Rimanevo seduto sul pavimento della stanza da letto princi- pale, accovacciato in preghiera fino alle tre o alle quattro del mattino. Facevo un breve riposo fino alle cinque, ma poi mi alzavo per comin- ciare le attività della giornata. Mantenni questo stile di vita per sette

Un cuore sincero è estremamente importante 153 Capitolo 3 - Un tesoro interiore attraverso lotte e sofferenze

anni. Pur dormendo solo una o due ore per notte, non mi sentivo mai insonnolito durante il giorno. I miei occhi risplendevano, come la stella del mattino. Non ero mai stanco. La mia testa era talmente piena di cose da fare che non volevo neanche sprecare il tempo per mangiare. Piuttosto che avere qualcuno che mi apparecchiasse la tavola per il pasto, preferivo mangiare sul pavimento e mi chinavo sul cibo per mangiare. «Profondi la tua devozione! Profondila, anche se sei addormentato! Profondila finché non sarai esausto». Continuavo a ripetermi queste frasi. Pregavo nel mezzo dell’incessante opposizione e delle false accuse, pensando che stavo piantando semi che un giorno avrebbero prodotto un raccol- to copioso. Se quella messe non si fosse potuta mietere in Corea, ero fiducioso che sarebbe stata raccolta da qualche altra parte nel mondo. Un anno dopo la mia liberazione dalla prigione, la nostra chiesa con- tava quattrocento membri. Quando pregavo, chiamavo i loro nomi ad uno ad uno. Anche prima che li chiamassi per nome, i loro visi mi passavano nella mente. Alcuni erano piangenti, altri sorridenti. Nelle mie preghiere, potevo sentire come stava ciascuno di loro, ed anche chi era ammalato. A volte, ricevevo l’ispirazione che una particolare persona sarebbe ve- nuta quel giorno alla chiesa, mentre nella preghiera ne pronunciavo il nome. Quella persona arrivava immancabilmente. Quando andavo da qualcuno che mi era apparso malato nella preghiera e gli chiedevo: «Sei malato?», quella persona me lo confermava. I membri erano me- ravigliati che io sapessi quando erano malati, senza che me lo avessero detto. Ogni volta mi chiedevano: «Ma come fa?», ed io rispondevo con un semplice sorriso. Ricordo un episodio che accadde mentre stavamo preparando una ce- rimonia di benedizione in matrimonio. Prima della cerimonia, chie- devo a tutti gli sposi e le spose se avessero mantenuto la loro castità. Quando rivolsi la domanda a un certo candidato, questi rispose a voce

154 Un cuore sincero è estremamente importante Capitolo 3 - Un tesoro interiore attraverso lotte e sofferenze alta che era rimasto puro. Glielo chiesi una seconda volta, e di nuovo lui mi assicurò che lo era. Glielo chiesi una terza volta, e ancora mi diede la stessa risposta. Lo guardai dritto negli occhi e gli dissi: «Tu hai fatto il servizio militare a Hwacheon, nella provincia di Kangwon, non è così?». Questa volta lui rispose «Sì» con la voce piena di paura. «Ti diedero una licenza e, sulla strada per venire a Seul, ti fermasti in una locanda, non è vero? Quella notte hai avuto un rapporto sessuale con una donna che indossava una gonna rossa. Io so esattamente quel- lo che hai fatto. Perché mi racconti bugie?». Mi arrabbiai con quell’uo- mo e lo cacciai via dalla sala della cerimonia di benedizione. Chi tiene aperti gli occhi del suo cuore, può vedere anche quello che è nascosto. Alcuni erano attirati dalla nostra chiesa più per questi fenomeni pa- ranormali che per l’insegnamento. Molti attribuiscono importanza ai poteri spirituali. Tuttavia, quei fenomeni, che spesso chiamiamo mi- racoli, tendono a confondere la società in generale. Una fede che si appoggia a eventi inspiegabili o miracolosi non è una fede sana. Tutti i peccati devono essere restaurati attraverso la redenzione e non si può farlo affidandosi ai poteri spirituali. Quando la nostra chiesa cominciò a maturare, smisi di parlare ai membri delle cose che vedevo con gli occhi del mio cuore. Il numero dei membri continuava a crescere. Che avessi di fronte de- cine o centinaia di persone, mi comportavo allo stesso modo, come se ci fosse una persona sola. Ascoltavo tutto quello che volessero dirmi circa le loro situazioni personali. Tanto che fosse una vecchia signora, quanto un ragazzo, ascoltavo con attenzione, come se quella fosse l’u- nica persona con cui dovevo avere a che fare. Tutti i membri dicevano: «Non c’è nessuno in tutta la Corea che ascolta quello che ho da dire come il reverendo Moon». Una nonna avrebbe cominciato a raccon- tarmi come si era sposata e alla fine mi avrebbe detto delle malattie di suo marito.

Un cuore sincero è estremamente importante 155 Capitolo 3 - Un tesoro interiore attraverso lotte e sofferenze

A me piace ascoltare gli altri che parlano di sé. Quando qualcuno si apre con me e parla di sé, non mi rendo neanche conto del tempo che passa e ascolto per dieci o anche venti ore. Le persone che vogliono parlare hanno un senso di urgenza. Stanno cercando una soluzione ai loro problemi. Così, sento che devo ascoltarli con tutta la mia atten- zione. Questo è il modo in cui io amo la loro vita e ripago il mio debito per la mia stessa vita. La cosa più importante è riconoscere quanto la vita sia preziosa. Allo stesso modo in cui io ascoltavo con sincerità quello che gli altri avevano da dire, anch’io condividevo con loro il mio cuore, sinceramente e fervidamente, e pregavo per loro in lacrime. Quante volte ho pianto e pregavo per tutta la notte! Le tavole del pa- vimento dove pregavo erano sature di lacrime, e non c’era modo che si asciugassero. Alcuni anni dopo, quando ero negli Stati Uniti, venni a sapere che i membri della chiesa stavano programmando di ristrut- turare l’edificio di Cheongpa Dong. Mandai un telegramma urgente perché interrompessero immediatamente quei lavori. Sì, quell’edificio racchiude i ricordi di un periodo irripetibile della mia storia personale ma, soprattutto, costituisce una testimonianza diretta della storia della nostra chiesa. Per quanto si desiderasse decorarla in modo meraviglioso, a cosa sareb- be servito se la nostra storia fosse stata distrutta? Quello che ha impor- tanza non è la sua bellezza esteriore, ma la vita segreta fatta di lacrime racchiusa in quell’edificio. Magari quella chiesa non sarà straordinaria sotto il profilo architettonico, ma contiene una tradizione, e in quella tradizione sta il suo valore. Chi non sa rispettare la propria tradizione è destinato al fallimento. C’è la storia incisa in ogni colonna della chiesa di Cheongpa Dong. Quando guardo una specifica colonna, mi ricordo di quella volta che mi ci appoggiai e piansi per una particolare questione. Vedere quella colonna, accanto alla quale piansi, mi fa piangere di nuovo. Vedere lo stipite di una porta un po’ storto mi ricorda il passato. Oramai però il

156 Un cuore sincero è estremamente importante Capitolo 3 - Un tesoro interiore attraverso lotte e sofferenze pavimento originale in legno non c’è più. Non ci sono più quegli im- piantiti, sui quali ero rimasto inginocchiato in preghiera, su cui avevo sparso tante lacrime, e non ci sono più neppure le tracce di quelle la- crime. Io sento il bisogno del ricordo di quella sofferenza. Non ha im- portanza se lo stile esteriore o l’aspetto sono antiquati. È passato tanto tempo, e adesso abbiamo tante chiese ben costruite. Ma per quanto mi riguarda, preferisco andare a pregare nella piccola casa sulla collina di Cheongpa Dong. È lì che mi sento più a mio agio. Ho vissuto tutta la vita pregando e predicando, ma ancora adesso mi tremano le ginocchia quando mi trovo di fronte a un gruppo di per- sone. Questo mi accade perché stare in quella posizione e parlare di temi d’interesse pubblico implica che tante vite saranno salvate o al- trettante saranno perdute. È una questione di estrema importanza per me riuscire a guidare sulla strada della vita le persone che ascoltano le mie parole. Quelli sono i momenti in cui io traccio una linea netta di demarcazione tra la vita e la morte. Ancora oggi non preparo mai i miei sermoni in anticipo. Ho pau- ra che, se facessi così, i miei obiettivi personali potrebbero trasferirsi nei contenuti. Con un’adeguata preparazione potrei magari dimostrare quanta conoscenza abbia accumulato, ma non riuscirei a esprimere il mio cuore serio e appassionato. In quel periodo, prima di parlare in pubblico, offrivo sempre la mia devozione trascorrendo almeno dieci ore in preghiera. Questo è il modo in cui io spingo le mie radici in profondità. Un albero imponente, anche se ha le foglie un po’ mangiate dagli insetti, rimane in buona salute se le radici sono profonde. Il mio discorso potrà essere a volte un po’ impacciato, ma tutto andrà bene finché ci sarà un cuore sincero. Nei primi tempi della nostra chiesa, indossavo una vecchia tuta e un giubbino dell’esercito statunitense tinti di nero, e predicavo con tanto fervore, fino a grondare di sudore e di lacrime. Non passava giorno che non piangessi disperatamente. Il mio cuore era pieno di sentimento, e

Un cuore sincero è estremamente importante 157 Capitolo 3 - Un tesoro interiore attraverso lotte e sofferenze

le lacrime mi sgorgavano dagli occhi e mi rigavano il viso. Erano mo- menti in cui il mio spirito sembrava sul punto di abbandonare il corpo e mi sentivo come se fossi a un passo dalla morte. I miei abiti erano fra- dici per la traspirazione e perle di sudore mi scendevano dalla fronte. Ai tempi della chiesa di Cheongpa Dong, tutti attraversammo mo- menti critici, ma Hyo Won Eu sopportò difficoltà particolarmente dure. Era affetto da una malattia polmonare che gli dava seri problemi, ma nonostante ciò, insegnò la dottrina della nostra chiesa per diciotto ore al giorno, lungo l’arco di tre anni e otto mesi. Non potevamo permetterci di nutrirci bene. Mangiavamo orzo al po- sto del riso e ci sostentavamo con due soli pasti al giorno. Il nostro uni- co contorno era del kimchi, che lasciavamo a fermentare per una sola notte1. A Hyo Won Eu piaceva un certo tipo di gamberetti salati. Ne metteva alcuni in un recipiente, che lasciava in un angolo della stanza, e ogni tanto andava lì con un paio di bastoncini e ne mangiava qualcuno. In questo modo, poteva superare quei giorni difficili. Mi si stringeva il cuore nel vedere Hyo Won Eu disteso esausto sul pavimento, affamato e stanco. Avrei voluto dargli del pesce salato, ma era troppo costoso per noi a quei tempi. Mi addolora ancora il pensare quanto duramente lui si sia impegnato, sebbene fosse malato, nel cercare di trascrivere le mie parole che scorrevano rapide come una cascata. Grazie al duro lavoro e al sacrificio dei membri, la chiesa continuò a crescere costantemente. Formammo l’associazione Sunghwa per gli studenti delle scuole medie e superiori. Questi ragazzi si sentirono ispirati a donare il pranzo, che era stato loro preparato dalle mamme, in modo che i nostri missionari pionieri potessero sfamarsi. Di propria iniziativa gli studenti crearono una lista, fissando i turni per offrire il loro proprio pasto. I missionari mangiavano quel cibo tra le lacrime, sapendo che quel giorno gli studenti sarebbero rimasti a digiuno. L’e- spressione della dedizione degli studenti era ancor più significativa del 1 La preparazione normale richiede tre giorni completi.

158 Un cuore sincero è estremamente importante Capitolo 3 - Un tesoro interiore attraverso lotte e sofferenze pranzo stesso, e tutti raddoppiavamo la nostra determinazione a com- piere la volontà di Dio, a costo del sacrificio della nostra vita. Anche se i tempi erano difficili, mandammo missionari in molte regio- ni della nazione. Nonostante il loro desiderio sincero, i membri ave- vano difficoltà perché erano sommersi dalle spregevoli dicerie di cui ho parlato, e non si sentivano liberi di dire che venivano dalla Chiesa dell’Unificazione. Visitavano il vicinato, pulendo le strade e offrendo aiuto nelle case dei più bisognosi. La sera tenevano scuole di alfabetiz- zazione e parlavano alla gente della parola di Dio. Servivano le persone in questo modo per molti mesi e costruivano un rapporto di fiducia. Come risultato, la nostra chiesa continuò a crescere. Non ho mai di- menticato quei membri che, sebbene avessero tanto desiderato andare all’università, scelsero invece di rimanere con me e dedicarsi al lavoro della chiesa.

Un cuore sincero è estremamente importante 159

Capitolo 4

Il lancio della nostra missione globale

Seguo la strada di Dio senza pensare alla mia vita

ubito dopo essere stato rilasciato dalla prigione di Seodaemun, andai al tempio buddista di Gabsa sul monte Gyeroung, nella provincia di Choongcheong. Dovevo curare le ferite delle tor- Sture subite nella prigione di Seodaemun. Inoltre, mi serviva un bosco dove potessi pregare e riflettere sul futuro della nostra chiesa. Non era passato tanto tempo dalla fine della guerra di Corea, e semplicemente trovare cibo sufficiente per sopravvivere era spesso arduo. Tuttavia, nonostante queste difficoltà nell’immediato, era importante che preparassi programmi a lungo termine. Ancora non avevamo una chiesa abbastanza grande da accogliere tutti i nostri membri per le ce- lebrazioni, ma sentivo che era essenziale dedicare del tempo a guardare oltre, nel futuro più lontano. Dopo il crollo del dominio coloniale giapponese e la liberazione della Corea nel 1945, i due paesi non avevano ancora stabilito relazioni di- plomatiche. Il Giappone non aveva riconosciuto il governo di Seul e la Corea considerava il Giappone una nazione nemica. Ero convinto, considerando la situazione mondiale, che i due Paesi dovessero ripren- dere contatto. Facemmo vari tentativi per mandare un missionario in Giappone, ma senza fortuna. Alla fine, fu Bong Choon Choi a portare a termine questo compito. Nel 1958 chiamai Bong Choon Choi e lo incontrai sul monte alle spalle del tempio di Gabsa. Gli dissi: «Devi andare immediatamente in Giappone. Non potrai tornare in Corea finché non sarai stato vit- torioso». Egli rispose «Sì» senza alcuna esitazione. Insieme cantammo l’inno cristiano coreano che comincia con le parole: Chiamati da Dio, onoriamo la chiamata; Signore, noi andremo dovunque ci dirai.

Seguo la strada di Dio senza pensare alla mia vita 163 Capitolo 4 - Il lancio della nostra missione globale

Scendemmo dal monte insieme, con il morale altissimo. Non mi chie- se neppure come si sarebbe mantenuto in Giappone o come avrebbe dovuto cominciare la sua attività lì. Bong Choon Choi era un uomo coraggioso. Alla maggior parte dei Coreani non era permesso recarsi in Giappone. La sua unica possibilità di entrare in Giappone era come clandestino, senza un visto d’ingresso. Avrebbe dovuto superare tante difficoltà. Bong Choon Choi non aveva la minima idea di come avrebbe fatto a entrare in Giappone ma era pronto, se fosse stato necessario, a dare la propria vita. Finché non seppi che aveva traversato sano e salvo il tratto di mare fino al Giappone, misi da parte qualsiasi altro impegno e rimasi a pregare in una piccola stanza della chiesa, senza mangiare né dormire. Avevamo dovuto chiedere un prestito di 1.500.000 won per il suo viaggio. Molti dei nostri membri non avevano da mangiare, ma evangelizzare il Giappone era così importante che tutto il resto doveva essere messo in secondo piano. Sfortunatamente, Bong Choon Choi fu arrestato non appena ebbe messo piede in Giappone. Fu condotto in prigione, prima a Hiroshima e poi a Yamaguchi, in attesa di essere espulso. In prigione decise che sa- rebbe morto piuttosto che essere rimandato in Corea, e cominciò a di- giunare. Durante il digiuno si ammalò. Le autorità giapponesi decisero di ricoverarlo in ospedale e rinviare la sua espulsione fino a quando non si fosse rimesso in salute. In ospedale riuscì a sfuggire alla sorveglianza. Dopo tanti sforzi, compiuti a rischio della sua vita per un anno e mez- zo, Bong Choon Choi fondò la chiesa in Giappone nell’ottobre del 1959. Corea e Giappone non avrebbero intrattenuto relazioni diplo- matiche per altri sei anni. In effetti la Corea, avendo ancora fresco il ri- cordo doloroso della sofferenza sotto il dominio coloniale giapponese, respingeva qualsiasi invito ad avviare contatti con il Giappone. Io mandai il nostro missionario come un infiltrato, in quella nazione nemica, per il bene del futuro della Corea. Invece di rifiutare ogni con-

164 Seguo la strada di Dio senza pensare alla mia vita Capitolo 4 - Il lancio della nostra missione globale tatto, la Corea avrebbe dovuto evangelizzare il Giappone, in modo da acquisire, nelle future relazioni bilaterali, il ruolo preminente. La Corea era povera da un punto di vista materiale, quindi aveva la necessità di aprire un canale di comunicazione con il governo giapponese, portare il Giappone dalla propria parte e poi collegarsi con gli Stati Uniti. Così la Corea sarebbe potuta sopravvivere. Come frutto di quel tentativo vittorioso, grazie al sacrificio di Bong Choon Choi, che aveva avviato la sua attività missionaria in Giappone, si unì alla chiesa un eccezionale leader giovanile di nome Osamu Ku- boki, insieme a un gruppo di giovani che lo seguirono. Il risultato del loro lavoro fu la salda fondazione della chiesa giapponese. L’anno successivo mandammo missionari in America. Questa volta non ci furono problemi, e riuscirono ad avere i passaporti e i visti pri- ma della partenza. Fummo aiutati nell’ottenimento dei passaporti da alcuni ministri del partito liberale, che avevano contribuito a farmi im- prigionare nel carcere di Seodaemun. In precedenza, si erano opposti a noi, ma in quella fase ci stavano aiutando. A quei tempi, gli Stati Uniti ci sembravano una nazione lontanissima. Alcuni membri della nostra chiesa si opposero all’idea di mandare là i nostri missionari, sostenendo che fosse più importante rafforzare pri- ma la nostra fondazione in Corea. Tuttavia li convinsi dell’importanza di quel progetto, spiegando che, se non fosse stata risolta la crisi dell’A- merica, anche la Corea sarebbe stata distrutta. Nel gennaio del 1959 mandammo Young Oon Kim, una delle profes- soresse che erano state licenziate dall’università femminile di Ewha. Poi, nel settembre dello stesso anno, mandammo anche David S.C. Kim. Il lavoro che iniziarono in America aveva come obiettivo il mon- do intero.

Seguo la strada di Dio senza pensare alla mia vita 165 Denaro guadagnato onorevolmente, speso con tanta preghiera

e risorse accumulate attraverso gli affari sono sacre. Tuttavia, perché i proventi degli affari possano essere sacri, è fondamen- tale non mentire e non realizzare utili eccessivi sul singolo pro- Ldotto. Nel condurre gli affari, dobbiamo essere sempre onesti e non dobbiamo mai applicare un margine di profitto superiore al 30%. Il denaro guadagnato in questa maniera onorevole deve, naturalmente, essere speso con tanta preghiera. Deve essere utilizzato per uno scopo, e con un intento, assolutamente chiari. Questo è il principio d’impren- ditoria commerciale che ho promosso per tutta la vita. Io credo che lo scopo dell’economia non consista soltanto nell’accumulare ricchezza; essa deve anche sostenere l’attività missionaria, che è il lavoro di Dio. Una ragione per la quale mi adoperai a reperire i fondi per le attività missionarie attraverso imprese commerciali era che non volevo pren- dere il denaro dei nostri membri per questo scopo. Non importa quan- to la motivazione fosse elevata, non si potevano mandare missionari oltremare soltanto col desiderio. C’era bisogno di fondi e questi fondi dovevano essere raccolti nel nome della chiesa. Il denaro per le mis- sioni doveva essere guadagnato in modo onorevole. Solo così saremmo potuti essere fieri di tutto quello che avremmo fatto. Quando analizzai le varie modalità per fare soldi, la mia attenzione fu attratta dai francobolli. A quei tempi, suggerivo ai membri di scriversi lettere tra loro almeno tre volte al mese. Impostare una lettera costava 40 won, ma suggerii di non applicare sulla busta semplicemente un francobollo da 40 won e di usare, invece, quaranta francobolli da 1 won. Prendemmo i francobolli annullati dalle lettere, li vendemmo e riuscimmo a raccogliere un milione di won nel primo anno. Veden- do che quei francobolli usati, apparentemente insignificanti, potevano

166 Denaro guadagnato onorevolmente, speso con tanta preghiera Capitolo 4 - Il lancio della nostra missione globale produrre tanto denaro, i membri continuarono quell’attività per sette anni. Vendemmo anche fotografie in bianco e nero di luoghi celebri o di personaggi famosi dello spettacolo, che avevamo colorato a mano. Anche questo commercio contribuì in modo significativo a finanziare le attività della nostra chiesa. Con la crescita della chiesa, i francobolli e le fotografie colorate non furono più sufficienti per produrre le risorse necessarie per il nostro la- voro missionario. Dovevamo portare i nostri affari a un livello più alto, se volevamo mandare missionari in tutto il mondo. Nel 1962, prima che il governo coreano rivalutasse la moneta, com- prammo per 720.000 won un tornio, che era stato utilizzato dai Giap- ponesi e poi abbandonato. Dopo la rivalutazione, il tornio valeva 72.000 won. Il valore della valuta coreana fu agganciato a quello del dollaro, per un valore, all’epoca, di 125 won per dollaro, così il valore ufficiale del nostro investimento era di 576 dollari. Sistemammo il tornio nel deposito della carbonella della casa di «proprietà nemica» che usavamo come chiesa e lo chiamammo «Industrie Tongil»1. «A voi questo tornio potrà sembrare insignificante – spiegai – e vi domanderete che genere di affari potremo fare installando questo mac- chinario vecchio e usato. Tuttavia, questa macchina che vedete si mol- tiplicherà in breve tempo, diventerà 7.000, o anche 70.000 torni, e la nostra società si svilupperà insieme con l’industria automobilistica e militare della Corea. Questo macchinario che abbiamo installato oggi sarà sicuramente la pietra angolare per lo sviluppo dell’industria auto- mobilistica del nostro paese. Abbiate fede. Abbiate la convinzione che ciò sicuramente accadrà». Questo è ciò che dissi alle persone riunite davanti al deposito della carbonella. Fu un umile inizio, ma il nostro scopo era alto e grandioso. I membri raccolsero il mio appello e lavorarono con dedizione. Come

1 La «Tongil Industries» in seguito si è sviluppata fino a diventare un protagonista di primo piano nell’economia sudcoreana.

Denaro guadagnato onorevolmente, speso con tanta preghiera 167 Capitolo 4 - Il lancio della nostra missione globale

risultato, nel 1963 fummo in condizioni di iniziare una nuova impresa, su una scala in qualche modo più ampia. Questo progetto riguardava la costruzione di un’imbarcazione da pesca, che varammo presso il molo di Manseok Dong, nel porto di Incheon, e battezzammo Cheon Seung Ho, che vuol dire «Vittoria del Cielo». Circa duecento persone parte- ciparono alla cerimonia. L’acqua è la sorgente della vita. Tutti noi siamo nati dal grembo di nostra madre. Nel grembo c’è l’acqua, così noi siamo nati dall’acqua. Io varai la barca con la fede che, in analogia a come riceviamo la vita dall’acqua, dobbiamo andare in mare e superare lì una serie di prove, per diventare capaci di sopravvivere alle prove che affronteremo sulla terra. La Cheon Seung Ho era una barca eccezionale. Navigò per tutto il Mar Giallo e prese tanto pesce. Tuttavia, la reazione di molti fu che avevamo abbastanza da fare sulla terra e non c’era bisogno che uscis- simo in mare e andassimo a pescare. Sentivo, però, che il mondo stava per entrare in un’era oceanica. Il varo della Cheon Seung Ho era stato un piccolo, ma prezioso, primo passo verso l’inaugurazione di quell’era. Stavo già immaginando nella mia mente la vastità dell’oceano a bordo di imbarcazioni più grandi e più veloci della Cheon Seung Ho.

168 Denaro guadagnato onorevolmente, speso con tanta preghiera La forza della danza muove il mondo

a nostra non era una chiesa ricca. Al contrario era povera, ini- ziata da persone che non potevano permettersi cibo sufficiente per nutrirsi bene. Non avevamo gli edifici eleganti che avevano Laltre chiese, ci nutrivamo di orzo mentre gli altri mangiavano riso, e ri- sparmiavamo i soldi un poco alla volta. Poi, condividevamo quel dena- ro con chi era più povero di noi. I nostri missionari dormivano in locali senza riscaldamento e stendevano i loro sacchi a pelo sul pavimento di nudo cemento. Quando veniva l’ora di pranzo, era per loro pratica comune combattere la fame con qualche patata bollita. In ogni caso, facemmo del nostro meglio per non spendere soldi per noi stessi. Nel 1963, usammo il denaro che avevamo risparmiato in questo modo per scegliere diciassette bambine della scuola Seonghwa e formare un corpo di ballo, che chiamammo i «Piccoli Angeli». La Corea, a quel tempo, era assai povera di spettacoli culturali. Non ave- vamo nulla cui noi stessi potessimo assistere e appassionarci, e meno che mai spettacoli da mostrare alla gente di altri Paesi. Eravamo tutti troppo occupati a cercare di sopravvivere, per ricordarci di cosa fosse la danza coreana o anche semplicemente del fatto che avevamo un patri- monio culturale che risaliva fino a cinquemila anni addietro. Il mio programma consisteva nel far sì che quelle diciassette bambine imparassero la danza e poi andassero nel mondo. Molti stranieri cono- scevano la Corea soltanto come un paese povero che aveva combattuto una guerra terribile. Io volevo mostrare loro la bellezza della danza coreana, così che potessero rendersi conto che la Corea è un paese di grande cultura. Avremmo potuto a lungo insistere nell’affermare che eravamo un popolo ricco di cultura con una tradizione di cinquemila anni: nessuno ci avrebbe creduto se non avessimo avuto nulla da mo-

La forza della danza muove il mondo 169 Capitolo 4 - Il lancio della nostra missione globale

strare loro. Le nostre danze - con ballerine vestite di bellissimi hanbok1 lunghi fino a terra, che roteavano tutt’intorno - sono una meravigliosa eredi- tà culturale, che può trasmettere un’esperienza nuova agli occidentali, abituati a vedere ballerine che saltano qua e là con le gambe nude. Le nostre danze sono imbevute della storia dolorosa del popolo coreano. Le movenze della danza coreana - in cui le ballerine tengono la testa leggermente chinata, e si muovono con la cura di non attirare l’atten- zione su se stesse - sono state create dal popolo coreano la cui storia, lunga cinquemila anni, è stata piena di sofferenza. Quando la ballerina alza il piede avvolto nella beoseon, la calzamaglia bianca tradizionale, e lo spinge avanti per fare un singolo passo, volta gentilmente la testa e alza la mano. Quando osservo questo movimen- to, la sua lieve gentilezza sembra sciogliere tutte le ansie e le frustra- zioni del mio cuore. Non c’è il tentativo di coinvolgere il pubblico con una quantità di paro- le declamate ad alta voce. Ciascun passo della danza è invece compiuto con una gentilezza e levità che muovono il cuore del pubblico. Questo è il potere dell’arte: permettere la comunicazione tra persone che non capiscono l’una la lingua dell’altra. Essa fa sì che persone che non co- noscono l’una la storia dell’altra ne comprendano il cuore. In particolare, l’espressione innocente del viso e il sorriso luminoso del- le bambine avrebbero di certo riabilitato definitivamente l’immagine oscura di un paese che era da poco uscito dalla guerra. Creai questo corpo di danza per presentare il balletto, ereditato dai nostri cinquemi- la anni di storia, alla gente degli Stati Uniti, il paese più progredito del mondo in quel tempo. L’opinione pubblica, invece, ci coprì di critiche. Prima ancora di aver visto danzare i Piccoli Angeli, cominciarono ad esprimere la loro disapprovazione: «Le donne della Chiesa dell’Uni- ficazione danzano giorno e notte - dissero per schernirci - e adesso 1 Il tradizionale abito femminile coreano.

170 La forza della danza muove il mondo Capitolo 4 - Il lancio della nostra missione globale sembra che abbiano partorito bambine che danzano a loro volta». Questi pettegolezzi, comunque, non riuscirono a scuotere la mia de- terminazione. Ero fiducioso di poter mostrare al mondo cosa fosse la danza coreana. Volevo che la gente che ci accusava di aver danzato nudi vedesse i movimenti belli e gentili delle ballerine che correvano leggere, vestite con la beoseon. Non erano danze selvagge, fatte di con- torcimenti e giravolte senza ritmo. Erano le danze gentili delle balleri- ne abbigliate nei costumi tradizionali della nostra nazione.

La forza della danza muove il mondo 171 Gli angeli aprono un sentiero attraverso la foresta buia

ono due le cose che dovremo lasciare ai nostri discendenti quan- do moriremo. Una è la tradizione1, l’altra è l’istruzione. Un po- polo senza tradizione è un fallimento. La tradizione è l’anima Sche consente a un popolo di esistere; un popolo senz’anima non può sopravvivere. La seconda cosa importante è l’istruzione. Un popolo che non tramanda un’istruzione ai suoi discendenti è anch’esso un falli- mento. L’istruzione ci dà la forza di vivere con nuove conoscenze e nuovi obiettivi. Tramite l’istruzione, la gente acquisisce la capacità di discernere necessaria per la vita. Chi non sa leggere è ignorante ma, una volta istruito, saprà come usare la propria conoscenza nel mondo per dare una direzione alla propria vita. L’istruzione ci aiuta a com- prendere i principi secondo i quali il mondo opera. Per aprire nuove prospettive per il futuro, dobbiamo, da una parte, tra- smettere ai nostri discendenti la tradizione che ci è stata tramandata attraverso i millenni e, dall’altra parte, impartire loro l’istruzione con- cernente le cose nuove. Quando la tradizione e le nuove conoscen- ze sono adeguatamente integrate nella nostra vita, da esse nasce una cultura originale. Tradizione e istruzione sono entrambe importanti ed è impossibile stabilire quale delle due abbia la priorità sull’altra. La saggezza che serve per integrare l’una con l’altra ci viene anch’essa attraverso l’istruzione. Contemporaneamente alla fondazione del corpo di danza, creai anche la Scuola delle Arti dei Piccoli Angeli (più tardi ribattezzata Scuola delle Arti Sunhwa). Lo scopo della fondazione della scuola era quello

1 Non si riferisce naturalmente alle tradizioni «esteriori», che fanno parte della cultura in senso lato di un popolo. Si riferisce invece alle tradizioni «interiori», e cioè alla trasmissio- ne dei valori fondamentali, a livello di popolo e di famiglia.

172 Gli angeli aprono un sentiero attraverso la foresta buia Capitolo 4 - Il lancio della nostra missione globale di divulgare nel mondo i nostri ideali attraverso le arti. La questione della nostra idoneità a gestire una scuola era di secondaria importanza. Per prima cosa misi in atto il mio piano: quando uno scopo è chiaro e buono deve essere messo in atto rapidamente. Volevo educare quelle bambine ad amare il Cielo, amare la propria nazione e amare l’umanità. Scrissi il mio motto per la scuola con una calligrafia che esprimeva, in caratteri cinesi: «Ama il Cielo, ama l’Umanità, ama la Nazione». Qualcuno mi chiese: «Perché hai scritto “Ama la Nazione” alla fine, se hai detto che il tuo scopo è mostrare al mondo la cultura unica della Corea?». Gli risposi: «Un uomo che ama il Cielo e ama l’umanità ha già amato la sua nazione. L’amore per la nazione è già maturato lungo il percorso». Un coreano, che riesce a farsi rispettare nel mondo, ha già raggiunto lo scopo di far conoscere al mondo la Corea. I Piccoli Angeli sono andati in tanti paesi e hanno dimostrato l’eccellenza della cultura coreana, ma non hanno mai fatto alcuna dichiarazione di tono nazionalistico sul loro paese. L’immagine della Corea come una nazione di grande cultu- ra e tradizione è stata saldamente impiantata nella mente del pubblico che ha assistito ai loro spettacoli e li ha applauditi. In questo senso, i Piccoli Angeli hanno fatto più di chiunque altro per la promozione della Corea nel mondo e per la pratica dell’amore verso la loro nazione. Provo un’enorme soddisfazione ogni volta che vedo Su Mi Jo e Young Ok Shin esibirsi: dopo essersi diplomate alla Scuola delle Arti Sunhwa sono diventate cantanti di fama mondiale; ed anche quando vedo e Sue Jin Kang, che sono tra le migliori ballerine del mondo. Sin dal 1965, quando misero in scena il loro primo spettacolo all’e- stero, negli Stati Uniti, i Piccoli Angeli hanno presentato la bellez- za della tradizione coreana in tutto il mondo. Queste bambine sono state invitate dalla famiglia reale britannica e si sono esibite davanti alla regina Elisabetta II. Sono state invitate a prendere parte alle ce- lebrazioni del bicentenario degli Stati Uniti, e hanno offerto il loro

Gli angeli aprono un sentiero attraverso la foresta buia 173 Capitolo 4 - Il lancio della nostra missione globale

spettacolo al John F. Kennedy Center for the Performing Arts. Hanno offerto una rappresentazione speciale all’allora presidente degli Stati Uniti Richard Nixon ed hanno partecipato al festival di cultura e arte svoltosi nell’ambito dei Giochi Olimpici di Seul. I Piccoli Angeli sono conosciuti in tutto il mondo come ambasciatori di cultura per la pace. Nel 1990, quando visitai la Russia, i Piccoli Angeli avevano dato uno spettacolo la sera prima che lasciassi il paese, dopo il mio incontro con il presidente Mikhail Gorbachev. Le bambine coreane erano state al centro di Mosca, la capitale del comunismo. I Piccoli Angeli, dopo essersi esibiti nelle danze coreane vestendo i loro hanbok, cantarono con le loro bellissime voci delle canzoni tradizionali russe. Le ripetute richieste di bis da parte del pubblico impedirono loro di lasciare il palcoscenico. Alla fine, esaurirono completamente il loro repertorio di canzoni. La moglie del presidente, Raisa Gorbacheva, era nel pubblico. A quel tempo, la Corea del Sud e la Russia non avevano ancora stabilito re- lazioni diplomatiche ed era insolito che la consorte del presidente as- sistesse a un evento culturale di un paese del genere. Ciononostante, la signora Gorbachev era seduta in prima fila e applaudì entusiastica- mente per tutto il programma. Dopo lo spettacolo andò dietro le quin- te e offrì dei fiori alla troupe. Elogiò a lungo la meraviglia della cultura coreana, dicendo: «I Piccoli Angeli sono davvero angeli di pace. Non sapevo che la Corea avesse questa bella cultura tradizionale. Durante tutto lo spettacolo, era come se stessi sognando la mia infanzia». La signora Gorbachev le abbracciò tutte e le baciò sulle guance, dicendo: «I miei piccoli angeli!». Nel 1998, i Piccoli Angeli visitarono Pyongyang, in quello che fu il primo programma di scambio culturale completamente privato, non organizzato dal governo. Diedero tre spettacoli e danzarono la graziosa «danza del piccolo sposo» e la «danza dei ventagli», piena di colori. Gli occhi degli spettatori nordcoreani erano pieni di lacrime. L’obiettivo di

174 Gli angeli aprono un sentiero attraverso la foresta buia Capitolo 4 - Il lancio della nostra missione globale un reporter catturò l’immagine di una donna che singhiozzava senza controllo. Yong Soon Kim, presidente della commissione nordcoreana per la pace nel Pacifico asiatico, elogiò i Piccoli Angeli dopo la loro esibizione con le parole: «Hanno aperto uno stretto sentiero attraverso la foresta buia». Era esattamente quello che avevano fatto i Piccoli Angeli. Avevano dimostrato per la prima volta che i Coreani del Nord e del Sud, che per tanto tempo si erano voltati le spalle, erano capaci di incontrarsi in un luogo comune e assistere agli spettacoli offerti dagli uni agli altri. La gente pensa spesso che è la politica a muovere il mondo, ma non è così. Sono l’arte e la cultura che muovono il mondo. È il sentimento, non il ragionamento, a colpire le persone nella parte più riposta del cuore. Quando il cuore cambia e riesce a ricevere cose nuove, le ideologie e i regimi sociali cambiano di conseguenza. I Piccoli Angeli fecero ben più che promuovere la nostra cultura tradizionale nel mondo. Crearo- no dei sentieri, sia pur stretti, tra mondi completamente diversi uno dall’altro. Ogni volta che incontro i Piccoli Angeli, dico loro: «Dovete avere cuori belli per esibirvi in danze belle. Dovete avere cuori belli per avere visi belli». La vera bellezza scaturisce da dentro di noi. I Piccoli Angeli sono stati capaci di aprire il cuore della gente di tutto il mondo, perché sono belle la tradizione e la cultura spirituale della Corea, di cui sono permeate le loro danze. Così, un applauso ai Piccoli Angeli è, in effetti, un applauso alla cultura tradizionale della Corea.

Gli angeli aprono un sentiero attraverso la foresta buia 175 Il giro del mondo

in dall’infanzia ho sempre sognato di viaggiare in paesi lontani. Nel mio paese natale salivo sulla collina e cercavo di vedere il mare. Dopo essere arrivato a Seul, desiderai andare in Giappone. FHo sempre sognato di andare in posti più grandi di quello dove mi trovavo al momento. Nel 1965, partii per il mio primo viaggio intorno al mondo. La mia va- ligia era piena di terra e pietre della Corea. Avevo in animo di lasciare in ciascuna nazione, mentre giravo il mondo, della terra e delle pietre della Corea, a significare il collegamento della Corea con il mondo. In dieci mesi viaggiai in quaranta nazioni, compresi il Giappone, gli Stati Uniti e le nazioni europee. Il giorno che lasciai Seul, centinaia di membri arrivarono in autobus per salutarmi, riempiendo la sala partenze dell’aeroporto di Kimpo. A quei tempi, andare all’estero era un avvenimento speciale. I membri si accalcarono all’aeroporto quel giorno di gennaio, con un forte vento freddo che soffiava da Nord Ovest. Nessuno gliel’aveva chiesto. Aveva- no fatto ciò che il cuore aveva detto loro di fare. Ricevetti l’espressione del loro cuore con profonda gratitudine. In quel periodo, avevamo attività missionarie in dieci paesi e avevo in programma di espanderle a quaranta nazioni entro due anni. È per porre la fondazione a questo progetto che decisi di visitare quaran- ta nazioni nel mio viaggio. La prima tappa fu il Giappone. Ricevetti un’accoglienza incredibile, lì dove Bong Choon Choi aveva rischiato la vita per avviare la nostra missione. Domandai ai membri giapponesi: «Siete “del Giappone” o avete tra- sceso la condizione di essere “del Giappone”? Dio non vuole quello che è “del Giappone”. Non ha bisogno di ciò che è “del Giappone”. Ha

176 Il giro del mondo Capitolo 4 - Il lancio della nostra missione globale bisogno di persone che trascendano il Giappone. Voi dovete andare ol- tre le limitazioni del vostro Paese per diventare giapponesi che amano il mondo, se dovete essere persone che possano essere usate da Dio». Poteva non essere facile per loro ascoltare questo, ma io mi espressi molto chiaramente. La mia seconda destinazione fu costituita dagli Stati Uniti. Entrai nel Paese dall’aeroporto di San Francisco, dove vennero a incontrarmi i miei missionari. Partendo da lì, girai tutto il paese. In quel tempo in cui viaggiai per l’America, sentii profondamente nel mio cuore: «Questa è la nazione che guida tutto il mondo. La nuova cultura che sarà creata nel futuro deve sorgere avendo l’America come sua fondazione». Defi- nii così un piano per acquistare un complesso che potesse ospitare corsi di studio per cinquecento persone. Naturalmente, non sarebbe stato riservato ai Coreani. Sarebbe dovuto divenire un centro internazionale per accogliere persone di oltre cento nazioni. Fortunatamente questa speranza fu presto realizzata. Molti Paesi in- viarono in questa struttura educativa gente che studiava e discuteva della pace nel mondo per corsi di studio di sei mesi. Razza, nazionalità e religione non erano importanti. Io sono certo che nel mondo si svi- lupperà una società migliore, quando persone che trascendano la razza, la nazionalità e la religione e coltivino un’ampia varietà di opinioni si riuniranno e discuteranno con spirito sincero della pace mondiale. Durante il mio giro degli Stati Uniti visitai tutti gli stati, eccetto l’Ala- ska e le Hawaii. Noleggiammo una station wagon e viaggiammo gior- no e notte. A volte l’autista era davvero stanco. «Ascolta - gli dicevo - non sono venuto qua per fare il turista. Sono qui per compiere un lavoro importante. Dobbiamo procedere con attenzione». Non perdevamo tempo per mangiare seduti a tavola. Due fette di pane, un pezzo di salame e qualche sottaceto erano cibo più che sufficiente per un pasto. Facevamo colazione, pranzo e cena in questo modo. Dor- mivamo anche in auto. La macchina era il nostro alloggio, il nostro

Il giro del mondo 177 Capitolo 4 - Il lancio della nostra missione globale

letto e il nostro ristorante. Mangiavamo, dormivamo e pregavamo in quella piccola macchina. Non c’era niente che non potessimo fare lì. Io avevo uno scopo specifico da assolvere, così mi riusciva facile ignorare quei piccoli disagi. Dopo aver visitato gli Stati Uniti e il Canada, andai in America centra- le e meridionale, e poi in Europa. Ai miei occhi, l’Europa apparteneva alla sfera culturale del Vaticano. Mi sembrava che non avremmo mai potuto avere successo in Europa se non avessimo compreso il Vaticano. Anche le Alpi, che si mostravano così difficili da scalare, apparivano poco significative al suo confronto. Andai in Vaticano, dove i cattolici europei s’incontrano per pregare, e pregai tanto fervidamente che perle di sudore corsero giù per il mio viso. Pregai perché la religione, che era stata divisa in tante confessioni e gruppi diversi, potesse essere presto unificata. Dio ha creato un solo mondo, ma gli uomini l’hanno diviso in base alla loro convenienza. Quella visita mi convinse ancora di più che queste divisioni devono essere cancellate ed il mondo deve essere unificato. Dall’Europa, passai in Egitto e in Medio Oriente e portai a termine il mio viaggio dopo dieci mesi. Quando tornai a Seul, la mia valigia era piena di terra e sassi, raccolti da centoventi luoghi in quaranta nazioni. Là dove avevo depositato la terra e le pietre che avevo portato dalla Corea, avevo raccolto terra e pietre da riportare in Corea. In questo modo, collegai la Corea a quelle quaranta nazioni in modo da preparare il giorno futuro in cui il mondo di pace sarebbe stato realizzato. Cominciai così i preparativi per man- dare missionari in quelle quaranta nazioni.

178 Il giro del mondo L’ultimo aereo per l’America

erso la fine del 1971 tornai negli Stati Uniti. Avevo determi- nati compiti che dovevano essere assolutamente realizzati in quel Paese, ma non mi fu facile arrivare lì. Non era la prima Vvolta che andavo negli Stati Uniti, tuttavia l’attesa per ottenere il visto era stranamente lunga. Alcuni membri mi suggerirono di rimandare la partenza, ma non potevo farlo. Era difficile da spiegare, ma era impor- tante che lasciassi la Corea nella data stabilita. Così, decisi di andare intanto in Giappone e richiedere lì il visto per gli Stati Uniti. Avevo fretta di lasciare la Corea. Il giorno della mia partenza era piuttosto freddo, ma vennero a salutar- mi così tanti membri che non tutti riuscirono ad entrare nel terminal. Quando venne il momento di presentarmi per il controllo del passa- porto, si scoprì però che mancava il timbro del direttore della sezione passaporti del Ministero degli Esteri. Quel timbro era richiesto come prova che il governo mi avesse autorizzato a lasciare il paese. Per quel motivo persi il volo sul quale avevo in programma d’imbarcarmi. I membri che avevano curato i preparativi per la mia partenza si pro- fusero in mille scuse e mi suggerirono di ritornare a casa e aspettare finché non avessero rintracciato il direttore e ottenuto il suo timbro sul mio passaporto. «No» risposi. «Aspetterò qui all’aeroporto. Fate presto e procuratemi quel timbro». Sentivo un’estrema urgenza. Era domenica, quindi il direttore non era nel suo ufficio. Ma non potevo lasciarmi frenare da certe questioni. Alla fine, i membri andarono a casa del direttore della sezione e si fece- ro rilasciare il timbro sul mio passaporto. Così potei prendere l’ultimo aereo del giorno in partenza dalla Corea. Quella sera stessa, il gover- no dichiarò lo stato d’emergenza nazionale e impose rigide restrizioni

L’ultimo aereo per l’America 179 Capitolo 4 - Il lancio della nostra missione globale

ai privati che avessero voluto viaggiare all’estero. Io mi ero imbarcato sull’ultimo volo possibile per andare in America. In Giappone feci nuovamente richiesta del visto per l’America, che mi fu ancora rifiutato. Scoprii più tardi quale fosse il problema. Il governo coreano aveva ancora un fascicolo sul mio arresto ad opera della polizia coloniale giapponese, appena prima della liberazione, con l’accusa di essere un comunista. Nei primi anni ‘70 il comunismo si stava diffon- dendo con grande virulenza. Entro il 1975 avremmo inviato missionari in 127 nazioni, ma quelli mandati in quattro paesi comunisti sarebbero stati espulsi. Evangelizzare nelle nazioni comuniste, in quegli anni, po- teva costare la vita. Io comunque non mi arresi e continuai a mandare missionari nell’Unione Sovietica e negli altri Paesi con lo stesso regime. Il nostro primo missionario in Cecoslovacchia arrivò nel 1968. Intorno al 1980, cominciammo a chiamare le nostre attività missionarie nel- le nazioni comuniste dell’Europa orientale come «Missione Farfalla». Una larva deve attraversare un lungo periodo di sofferenza prima di mettere le ali e diventare una farfalla, così paragonammo la sofferenza dei nostri missionari che operavano sotto copertura nei paesi comuni- sti alla sofferenza di una larva. Anche se uscire dal bozzolo è difficile la farfalla, una volta che ha le ali, può volare dove vuole. Inoltre sapeva- mo che, una volta che il comunismo fosse crollato, i nostri missionari avrebbero messo le ali e avrebbero cominciato a volare. La missionaria Young Oon Kim, che era andata negli Stati Uniti all’i- nizio del 1959, visitò le maggiori università di quel paese per divul- gare la parola di Dio. Facendo ciò, incontrò Peter Koch, uno studente tedesco che frequentava l’Università di Berkeley, in ; quel giovane decise di interrompere i suoi studi, prendere una nave per Rot- terdam e iniziare a lavorare come missionario in Germania. Dal Giap- pone partirono missionari per i paesi comunisti dell’Asia. Dovettero essere mandati in luoghi dove le loro vite sarebbero state messe in pe- ricolo, senza null’altro che una speciale celebrazione religiosa a segnare

180 L’ultimo aereo per l’America Capitolo 4 - Il lancio della nostra missione globale la loro partenza. Questo mi addolorò come se avessi dovuto di nuovo convincere Bong Choon Choi a infiltrarsi in Giappone, analogamente a quanto avevo fatto durante il nostro incontro finale, nella pineta alle spalle del tempio di Gabsa. Un genitore che deve assistere alla sofferenza dei suoi figli preferirebbe certamente avere la possibilità di prendere quella sofferenza su di sé. Avrei preferito andare missionario io stesso. Il mio cuore era gonfio di lacrime quando mandavo quei membri in luoghi dove sarebbero stati sorvegliati e magari assassinati per le loro attività religiose. Dopo la partenza dei missionari, passavo quasi tutto il mio tempo in preghiera. Quelle preghiere profondamente serie erano quanto di meglio potessi fare per contribuire a proteggere le loro vite. L’opera di evangelizzazio- ne nei paesi comunisti era pericolosa. Un missionario non poteva mai sapere se e quando i comunisti l’avrebbero catturato. Coloro che andavano in missione nelle nazioni comuniste non pote- vano dire neppure ai loro genitori dove stessero andando. I genitori si sarebbero resi ben conto del pericolo che i loro figli avrebbero corso in quei paesi e non avrebbero mai accordato loro il permesso. Günther Werzer fu scoperto dal KGB ed espulso. In Romania, dove la dittatura di Nicolae Ceausescu era al culmine del suo potere, la polizia segreta seguiva e intercettava continuamente le telefonate dei nostri missiona- ri. Era come se i nostri missionari fossero andati nella fossa dei leoni. Tuttavia il numero di coloro che andavano nelle nazioni comuniste continuò a crescere. Poi, nel 1973, ci fu un terribile avvenimento in Cecoslovacchia: trenta dei nostri membri furono arrestati. Un membro, Marie Zivna, perse la vita in prigione all’età di ventiquattro anni. Fu la prima martire che morì mentre conduceva la sua opera missionaria in un paese comuni- sta. L’anno seguente, un’altra persona morì in prigione. Ogni volta che sentivo che uno dei nostri membri era stato ucciso in prigione, tutto il mio corpo diventava di ghiaccio. Non potevo parlare né mangiare.

L’ultimo aereo per l’America 181 Capitolo 4 - Il lancio della nostra missione globale

Non riuscivo nemmeno a pregare. Restavo seduto a lungo, immobile, incapace di fare qualsiasi cosa. Era come se il mio corpo si fosse tra- sformato in pietra. Se quelle persone non mi avessero mai incontrato, o non avessero mai ascoltato il mio insegnamento, non si sarebbero mai trovate in una cella fredda e solitaria, e non sarebbero mai morte in quel modo. Mo- rendo, avevano sofferto al posto mio. Mi chiesi: «La mia vita vale ab- bastanza da poter essere scambiata con la loro? Come posso prendere la responsabilità per l’evangelizzazione del blocco comunista, che loro hanno assunto al posto mio?». Non potevo parlare. Caddi in una disperazione che sembrava non ave- re fine, come se fossi stato scaraventato in acque profonde. Vidi Marie Zivna davanti a me, nelle sembianze di una farfalla gialla. La farfalla gialla fuggita dalla prigione della Cecoslovacchia batteva le ali come per dirmi di essere forte e non abbattermi. Perseverando nel suo lavoro missionario a rischio della sua vita, Marie si era davvero trasformata da bruco in una bellissima farfalla. I missionari che vivevano in quelle circostanze estreme spesso riceve- vano comunicazioni spirituali attraverso sogni e visioni. Erano isolati e non potevano comunicare liberamente con l’esterno, perciò Dio dava loro tanti messaggi spirituali per mostrare loro il cammino da percorrere. Ac- cadeva spesso che un missionario che si era disteso a dormire brevemente avesse un sogno in cui gli veniva detto: «Alzati subito e vai da qualche altra parte». Faceva come gli era stato detto nel sogno, e più tardi scopriva che i servizi segreti avevano perquisito il posto dove stava riposando. In un altro caso, un membro ebbe un sogno in cui una persona che non aveva mai visto prima gli disse come avrebbe dovuto condurre il suo lavoro. Più avanti, quando m’incontrò per la prima volta, esclamò: «Sei tu la persona che ho visto in sogno». Alla fine in Canada, dopo aver presentato la documentazione che suf- fragava la mia dichiarazione di essere anticomunista, riuscii a ricevere

182 L’ultimo aereo per l’America Capitolo 4 - Il lancio della nostra missione globale il visto per gli Stati Uniti. La ragione per cui affrontai tutte queste dif- ficoltà per andare in America era che volevo combattere le forze oscure che avevano prodotto il degrado morale di quel Paese. Lasciai la Corea per dichiarare guerra alle forze del male. In quel tempo, tutti i problemi fondamentali del mondo - il comunismo, la droga e la decadenza mo- rale - erano mescolati tra loro in un miscuglio infernale. Dichiarai: «Sono venuto in America come pompiere e come medi- co. Se la casa prende fuoco, deve venire un pompiere e, se qualcuno è malato, c’è bisogno di un dottore». Io ero come un pompiere giunto in America per spegnere l’incendio dell’immoralità e come un dottore venuto a curare l’America della malattia che le aveva fatto perdere la grazia di Dio e l’aveva portata sull’orlo della distruzione. L’America nei primi anni ’70 del secolo scorso era impegnata nella guerra del Vietnam e gli attivisti inscenavano manifestazioni di prote- sta. Era un paese seriamente diviso. I giovani alla ricerca del senso della vita sperimentavano i superalcolici, le droghe e il sesso libero, dimen- ticando la loro anima eterna. Le principali religioni, che avrebbero do- vuto guidare quei giovani, non svolgevano il loro ruolo; non riuscivano ad aiutarli a mettere fine al loro vagare senza meta ed a tornare a stili di vita appropriati. La cultura edonista e materialista trascinava a fondo tanti giovani, che non trovavano nulla a cui dedicare il loro cuore. Poco dopo essere arrivato in America, cominciai a girare il Paese, par- lando sui temi «Il nuovo futuro del Cristianesimo» e «La speranza di Dio per l’America». Davanti a vaste platee, criticai i difetti dell’Ame- rica come nessun altro avrebbe fatto. Parlai di come l’America fosse stata fondata sullo spirito puritano1 e fosse cresciuta fino a diventare la

1 Oggi la parola «puritano» è usata spesso con un significato spregiativo, e viene attri- buita da alcuni a coloro che, a loro giudizio, praticano o predicano un’esagerata morige- ratezza nei costumi sessuali. In realtà il puritanesimo, nato nell’Inghilterra nella metà del 16° secolo, promuoveva il ritorno alla purezza dell’insegnamento del vangelo, lo studio personale della Bibbia, il sacerdozio universale, ed in generale una profonda riforma della struttura ecclesiastica.

L’ultimo aereo per l’America 183 Capitolo 4 - Il lancio della nostra missione globale

nazione più forte del mondo in appena duecento anni, perché aveva ricevuto amore e benedizione sconfinati da parte di Dio. Ricordai ai miei ascoltatori che la libertà dell’America veniva da Dio, ma l’Ame- rica aveva ormai messo da parte Dio. «L’America ha una grande tradi- zione - affermavo - tutto quello che dovete fare è resuscitarla». Andai in America per risvegliarne lo spirito, per salvarla dalla distruzione, per spronare la gente a pentirsi e ritornare a Dio.

184 L’ultimo aereo per l’America Il nostro futuro è nell’oceano

entre viaggiavo nel mondo, nessuno sapeva dei progetti che stavamo studiando per sviluppare una fondazione econo- mica a livello mondiale. Dal momento che la chiesa cresce- Mva, ed il numero delle missioni aumentava, la quantità di denaro ne- cessaria per sostenere queste attività aumentava in modo vertiginoso. Avevamo bisogno di entrate. Mentre visitavo quarantotto degli Stati che compongono gli USA, pensavo continuamente al tipo d’imprese commerciali che avrebbero potuto sostenere le attività che avevamo programmato. Pensai al fatto che gli Americani mangiavano carne tutti i giorni. Mi informai sui prezzi delle mucche e vidi che un capo di bestiame che si vendeva per pochi soldi in Florida poteva costare diverse centinaia di dollari nello stato di New York. Ma quando mi informai sui prezzi dei tonni, scoprii che un solo esemplare di tonno rosso1 valeva, allora, più di quattromila dollari. I tonni depongono un milione e mezzo di uova per volta, mentre la mucca partorisce un solo vitello alla volta. Era chiaro che la pesca dei tonni sarebbe stata un’attività molto più redditizia che l’allevamento del bestiame. Il problema era che gli Americani non mangiavano molto pesce. I Giapponesi, invece, andavano matti per il tonno. C’erano allora molti Giapponesi residenti negli Stati Uniti e ristoranti di alto livello, gestiti da Giapponesi, che vendevano il tonno crudo a caro prezzo. Inoltre, alcuni Americani stavano imparando a gustare il pesce crudo e apprez- zavano il tonno. Il pianeta sul quale viviamo è coperto dal mare più che dalla terra. Gli

1 Al tempo in cui quest’attività fu avviata non esistevano ancora le attuali norme restrit- tive sulla pesca del tonno rosso.

Il nostro futuro è nell’oceano 185 Capitolo 4 - Il lancio della nostra missione globale

Stati Uniti si affacciano su due oceani e perciò hanno abbondanza di pesce. Peraltro, oltre il limite di duecento miglia (trecentosettanta chi- lometri) dalla costa, nessun paese può avanzare rivendicazioni territo- riali sull’oceano. Chiunque può andarci a pesca. Per avviare una fattoria o un allevamento, dobbiamo comprare del terreno, ma questo non è necessario nell’oceano. Tutto ciò di cui avevamo bisogno era un’imbar- cazione con la quale potessimo allontanarci quanto fosse necessario per pescare. L’oceano è pieno di cose da mangiare; inoltre, sulla superficie dell’o- ceano si svolge una fiorente attività di trasporto. Le navi trasportano i prodotti di tutte le nazioni del mondo perché siano venduti altrove. L’oceano è un forziere di tesori, che garantisce all’umanità un futuro splendido. Per questo motivo insegno a coloro che s’interessano del fu- turo dell’umanità a preoccuparsi degli oceani. Amando ed ereditando gli oceani, possiamo ereditare il futuro. Acquistammo diverse imbarcazioni negli Stati Uniti. Non erano le grandi navi che si vedono a volte nelle pubblicità delle agenzie di viag- gio, ma barche da pesca di lunghezza tra i dieci e gli undici metri. Erano barche da pesca della grandezza di uno yacht, che non avevano subito gravi incidenti. Queste barche erano stazionate a San Francisco, a Tampa, in Washington e in Alaska. Comprammo anche un cantiere per la riparazione delle barche. Facemmo molte ricerche. Misurammo la temperatura dell’acqua con una barca in ciascuna regione. Andammo a vedere quanti tonni veni- vano catturati ogni giorno e inserimmo i dati in un diagramma. Non ci limitammo a utilizzare i dati creati in precedenza dagli esperti: i nostri membri andarono in acqua loro stessi per raccogliere le informazio- ni. Come riferimento usammo i risultati degli studi condotti nell’area dai ricercatori universitari. Inoltre andai personalmente in quelle zone, vissi lì, verificai quei dati. Non esistevano dati più accurati dei nostri. Affrontammo tante difficoltà per condurre quelle ricerche, ma non le

186 Il nostro futuro è nell’oceano Capitolo 4 - Il lancio della nostra missione globale tenemmo per noi stessi. Al contrario, le condividemmo con l’industria della pesca. Sviluppammo anche nuove zone di pesca. Se la pesca in un’area è troppo intensa, la popolazione ittica viene depauperata. È importante sfruttare nuovi specchi di mare. In breve tempo generam- mo un forte impatto sull’industria peschereccia statunitense. Svilup- pammo l’attività della pesca d’altura. La nostra idea era che una barca d’altura sarebbe andata in mare aperto e avrebbe pescato per almeno sei mesi senza rientrare in porto. Quando la barca avesse completato il suo carico di pesce, un’imbarcazione da trasporto l’avrebbe raggiunta, ne avrebbe prelevato il pesce e l’avrebbe rifornita di vettovaglie e car- burante. La nave avrebbe avuto celle frigorifere dove immagazzinare il pescato per lunghi periodi. Il nome della nostra barca era «New Hope» ed era ben conosciuta per la sua pesca abbondante. Salii anch’io su quella barca per pescare ton- ni. La gente ha spesso paura di salire su una barca. Quando offrivo ai giovani di venire in mare, la loro prima reazione era spesso di timore: «Soffro il mal di mare» mi rispondevano, oppure: «Mi basta salire su una barca che comincio a provare nausea e mi sento come se stessi per morire». Così, salii io per primo sulla barca. Da quella volta, andai a pesca quasi tutti i giorni per sette anni. Ancora adesso che ho novant’anni mi piace andare in mare ogni volta che ne ho il tempo. Ora, sono sempre più numerosi i giovani che dicono di voler uscire con le barche. Anche le donne hanno sviluppato questa passione. Di qualsiasi compito si tratti, se il capo lo fa per primo, gli altri seguono. Il risultato è che sono di- ventato famoso come pescatore di tonni. Non sarebbe comunque stato molto utile limitarci a catturare i tonni. Dovevamo anche riuscire a venderli al giusto prezzo. Creammo un impianto per la lavorazione del tonno e io stesso mi occupai della loro vendita. Conservavamo i pesci in camion frigoriferi e andavamo in giro a venderli. Dove la commercializzazione risultava difficile, apri-

Il nostro futuro è nell’oceano 187 Capitolo 4 - Il lancio della nostra missione globale

vamo ristoranti specializzati in pesce, che vendevamo direttamente ai consumatori. Creata la nostra catena di ristoranti, la gente non poteva più ignorarci. Gli Stati Uniti hanno tre delle quattro aree di pesca più grandi del mondo. I tre quarti della popolazione ittica mondiale vivono in acque vicine agli Stati Uniti. Ciononostante, negli Stati Uniti c’è un nume- ro relativamente limitato di pescatori e l’industria ittica è assai poco sviluppata. Il governo ha adottato varie misure, intese a promuovere l’attività della pesca, senza ottenere alcun risultato di rilievo. Il governo aveva offerto in vendita barche a prezzi abbondantemente scontati, a condizione che gli acquirenti le utilizzassero per almeno due anni e mezzo, ma pochi avevano approfittato di quell’opportunità. La situa- zione era davvero frustrante. Ma quando noi cominciammo a investire capitali nell’attività della pesca, facemmo scalpore in tutti i porti nei quali ci stabilimmo. Ciò non è sorprendente: dovunque ci stabiliva- mo portando i nostri investimenti, le comunità prosperavano. Il nostro compito, in definitiva, era quello di essere pionieri di nuovi mondi. Quant’è emozionante aprire nuove strade! L’oceano cambia continuamente. Si dice che la mente umana muti mattina e sera, ma il mare cambia momento per momento. È questo il motivo per cui il mare è, allo stesso tempo, misterioso e bello. L’o- ceano abbraccia tutto quello che sta in cielo e in terra. Il vapore può addensarsi in un luogo specifico e formare nuvole o diventare pioggia e ricadere giù. Io sono innamoratissimo della natura, perché non tradisce mai. Ciò che è in alto scende e ciò che in basso sale. Tutto cambia alla ricer- ca dell’equilibrio. Quando sto seduto tenendo una canna da pesca mi sembra di avere a disposizione tutto il tempo del mondo. Cosa c’è mai nell’oceano a frapporsi sulla nostra strada? Chi è lì a metterci fretta? Abbiamo tanto tempo per noi stessi. Tutto quello che dobbiamo fare è guardare il mare e parlargli. Più tempo un uomo tra-

188 Il nostro futuro è nell’oceano Capitolo 4 - Il lancio della nostra missione globale scorrerà sul mare, più ricchi diventeranno gli aspetti spirituali della sua vita. Il mare, però, può essere calmo un minuto, per poi cambiare rapidamente aspetto e scatenarsi in violente tempeste. Onde alte molte volte più di un uomo si levano davanti alla barca, come se volessero di- vorarla. Un vento forte strappa le vele, producendo un suono terribile. Pensate, comunque, a questo. Anche quando le onde si sollevano e il vento soffia in modo terrificante, i pesci nell’acqua dormono senza pro- blemi. Si lasciano andare alle onde senza opporre resistenza. È quello che ho imparato dai pesci. Ho deciso di non avere paura, non importa quanto le onde possano essere forti. Mi lascio trasportare dalle onde. Divento un tutt’uno con la barca e ci solleviamo al ritmo delle onde. Dopo aver cominciato a fare così, il mio cuore non è stato più agitato, e non ha avuto più importanza che tipo di onde mi venissero incontro. Il mare è stato per me un tale meraviglioso maestro nella vita, che ho creato il programma «Ocean Challenge», la Sfida dell’Oceano, perché i giovani ricevano quella formazione alla leadership che solo l’oceano può dare.

Il nostro futuro è nell’oceano 189 Una nuova rivoluzione americana

l caldo benvenuto iniziale che mi era stato offerto dagli america- ni cominciò a raffreddarsi, fino a trasformarsi in ostilità. Si do- mandarono cinicamente come potesse un leader religioso venuto Idalla Corea, un paese insignificante a malapena sfuggito alla fame e alla guerra, permettersi di esortare gli Americani a pentirsi. Ma gli Americani non furono i soli ad opporsi alle mie parole. La reazio- ne dell’Armata Rossa giapponese1, alleata con i comunisti in ambito internazionale, fu particolarmente forte. Furono anche scoperti, dagli agenti dell’FBI, dei terroristi che cercavano di introdursi nel nostro Centro studi di Boston dove spesso mi trattenevo. Ci furono così tanti attentati contro di me che i miei figli non potevano andare a scuola senza essere accompagnati da una guardia del corpo. A causa delle continue minacce di morte, per un certo periodo parlai riparato da un vetro antiproiettile. Nonostante tanta opposizione, quelle serie di lezioni, tenute dall’uomo con gli occhi minuti che veniva dall’Oriente, incontrarono sempre più interesse. La gente prese ad ascoltare quegli insegnamenti, che erano completamente diversi da tutto quanto aveva ascoltato fin allora. Il contenuto di quelle lezioni, che trattavano dei principi fondamentali dell’universo e cercavano di risvegliare lo spirito dei fondatori dell’A- merica, era una boccata d’aria fresca per gli Americani sprofondati nell’inferno dell’immoralità e dell’indolenza. Attraverso le mie lezioni, gli Americani sperimentarono una rivolu- zione delle coscienze. I giovani iniziarono a seguirmi, chiamandomi «Padre Moon» o «Reverendo Moon» e tagliando i capelli lunghi fino

1 Una formazione terrorista giapponese di ispirazione comunista attiva fino ai primi anni ‘70.

190 Una nuova rivoluzione americana Capitolo 4 - Il lancio della nostra missione globale alle spalle e le barbe incolte. Quando cambiano le apparenze, cambia anche la mente. Così Dio cominciò a entrare nel cuore di giovani che erano stati sino ad allora schiavi dell’alcolismo e delle droghe. Le mie lezioni erano seguite da tanti di giovani, che trascendevano le diverse confessioni. Quando interrompevo i miei sermoni per chiede- re: «C’è qui qualche Presbiteriano?», molti giovani alzavano la mano dicendo «Eccomi!». Se chiedevo: «C’è qualche Cattolico?», altre mani si alzavano. Quando chiedevo: «Ci sono Battisti?», molti rispondevano a loro volta: «Sono qui!». Dicevo loro: «Perché siete venuti qui invece che andare ad ascoltare un sermone della vostra religione? Andate a casa, andate nella vostra chiesa ad ascoltare la parola di Dio». Quando parlavo in questo modo, il pubblico rispondeva: «Vogliamo sentire il Reverendo Moon!». Veni- vano sempre più persone, e si unirono a noi anche alcuni ministri delle chiese presbiteriane e battiste, che portarono con sé i giovani delle loro congregazioni. Con l’andar del tempo, il Reverendo Moon divenne un mito, che rappresentava la rivoluzione delle coscienze nella società americana. Insegnavo ai giovani americani come sopportare le difficoltà. Spiegavo loro diffusamente il principio secondo cui un uomo dev’essere capa- ce di dominare se stesso prima di poter governare l’universo. I miei insegnamenti diedero nuova ispirazione alla gioventù americana che viveva in un tempo di confusione. Si proclamarono d’accordo con i miei messaggi sulla purezza sessuale e la vera famiglia. L’accoglienza era così entusiasta che anch’io ero profondamente emozionato. «Volete portare la croce?» chiedevo loro. «Nessuno vuole prendere la strada della croce. Magari il vostro cuore vuole andare da quella parte, ma il vostro corpo dice no! Il fatto che qualcosa sia gradevole all’occhio non significa necessariamente che sia buono per il cuore. Tante cose si mostrano buone, ma un esame del loro aspetto interiore dimostra che sono cattive.

Una nuova rivoluzione americana 191 Capitolo 4 - Il lancio della nostra missione globale

Se vi accorgete che state cercando sempre e solo cose piacevoli all’oc- chio, dovete immediatamente fermarvi e dirvi: “Mascalzone!”. Allo stesso modo, se sentite il desiderio di mangiare soltanto cose gradevoli al palato, dovete rimproverare il vostro corpo, dirgli: “Mascalzone!” e non farlo. Voi giovani sentite attrazione per l’altro sesso, non è vero? Anche in questo caso, dovete prendere una posizione forte contro que- sti desideri. Un uomo che non sa controllare se stesso non è capace di fare niente in questo mondo. Pensate che se crollate voi crolla l’intero universo». Insegnavo loro il motto che avevo seguito da giovane: «Pri- ma di cercare di comandare l’universo, perfeziona la tua capacità di guidare te stesso». L’America godeva di tanta ricchezza ed era ossessionata dal benessere materiale. Io stavo nel mezzo di quella civiltà materialista e parlavo dei temi della mente e del cuore. La mente non può essere vista con gli occhi né presa nelle mani, e comunque, chiaramente, noi siamo diretti dalla nostra mente. Senza la mente, non siamo nulla. Poi, io parlavo dell’amore vero, dell’amore incentrato in Dio, che deve guidare la mente. Dicevo che la libertà vera può essere gustata soltanto quando abbiamo una chiara comprensione di noi stessi, su una base di amore vero, e siamo in grado di esercitare l’autocontrollo. Insegnavo loro il valore della fatica. La fatica non è sofferenza, ma creazione. La ragione per cui un uomo può lavorare tutta la vita ed essere felice sta nel fatto che la fatica è collegata al mondo di Dio. L’impegno degli uomini non consiste in altro, se non prendere le cose che Dio ha creato e modellarle in maniere differenti. Se pensate che state facendo qualcosa per offrirla come un regalo a Dio, allora la fatica non è qualcosa da valutare negativamente. Molti giovani americani erano talmente dipendenti dalla vita di agi, offerta loro dalla società materialista, da non saper riconoscere la gioia del lavoro. Così insegnai loro a lavorare con gioia. Inoltre, risvegliai in loro la gioia di amare la natura. I giovani erano

192 Una nuova rivoluzione americana Capitolo 4 - Il lancio della nostra missione globale prigionieri della cultura immorale, prevalente nelle città, resi schiavi dalla loro vita di egoismo, così io parlai del valore della natura. La na- tura ci è stata data da Dio. Dio ci parla attraverso la natura. È peccato distruggere la natura per un attimo di gratificazione o per un’insigni- ficante somma di denaro. La natura che distruggiamo ritornerà da noi alla fine come veleno e renderà la vita difficile per i nostri discendenti. Dobbiamo ritornare alla natura e ascoltare ciò che essa ci dice. Spiegai ai giovani americani che, quando apriamo il nostro cuore e ascoltiamo quello che la natura ci dice, possiamo sentire la parola di Dio. Nel settembre del 1975 fondammo lo «Unification Theological Semi- nary» in Barrytown, nello Stato di New York, situato a nord dell’omo- nima città. Il corpo insegnante fu formato su base interreligiosa: ade- rirono professori di religione ebraica, protestante, cattolica, ortodossa e di varie religioni orientali. Quando spiegavano le loro religioni, i nostri studenti ponevano loro domande molto difficili. Le lezioni divenivano sempre dei momenti di intenso dibattito. Quando tutte le religioni si riuniscono e discutono, cominciano ad abbattere i concetti errati che ciascuna ha delle altre e cominciano a comprendersi meglio. Tanti giovani brillanti hanno por- tato a termine i loro corsi di laurea nel nostro seminario per entrare poi in corsi di dottorato ad Harvard, Yale ed altre importanti università americane. Oggi sono in grado di diventare dei leader in campo reli- gioso a livello globale.

Una nuova rivoluzione americana 193 Manifestazione davanti al monumento a Washington, 1976

el 1974 e nel 1975 fui invitato a parlare al Campidoglio di Washington. Parlai ai membri della Camera dei Rappresen- tanti sul tema «Un’unica nazione sotto Dio». Mi rivolsi ai par- Nlamentari nello stesso modo in cui avevo parlato ai giovani nelle strade, dicendo: «L’America è nata dalla benedizione di Dio. Questa benedi- zione, tuttavia, non è destinata solamente agli americani. Si tratta della benedizione di Dio per il mondo, data attraverso l’America. L’America deve capire il principio che sta alla base di questa benedizione e sacri- ficarsi per la salvezza del mondo. Perché questo si realizzi, deve esserci un risveglio che riconduca questo Paese allo spirito della sua fondazio- ne. Il Cristianesimo, che è stato diviso in dozzine di confessioni diverse, deve essere riunificato, deve abbracciare tutte le altre religioni e deve aprire un futuro nuovo per la civiltà mondiale». Fui il primo capo reli- gioso estero invitato a parlare al Congresso degli Stati Uniti. Dopo il secondo invito, molte più persone si mostrarono interessate a scoprire chi fosse quest’uomo, il Reverendo Moon, venuto dalla Corea. L’anno seguente, il 1° giugno 1976, organizzammo una festa a New York City, nello stadio della squadra di baseball degli Yankees, per ce- lebrare il duecentesimo anniversario dell’indipendenza dell’America. In quel tempo il Paese non si sentiva abbastanza in pace, non aveva lo spirito giusto per festeggiare il proprio anniversario. Incombeva la minaccia del comunismo e i giovani americani, presi da cose come la droga e il sesso libero, conducevano una vita molto distante dai deside- ri di Dio. Sentivo che l’America era seriamente malata. Andai a quella celebrazione con la sensazione di essere come un chirurgo che dovesse aprire il cuore di una New York che giaceva inferma. Quel giorno cadde una pioggia torrenziale e un vento di bufera strappò

194 Manifestazione davanti al monumento a Washington, 1976 Capitolo 4 - Il lancio della nostra missione globale tutte le decorazioni che avevamo sistemato intorno al campo, ma nessu- no pensò di scappare via dalla pioggia. La banda cominciò a suonare «Tu sei il mio sole» e tutti nello stadio cominciarono a cantare all’unisono. Cantavano una canzone sul sole, anche se erano fradici di pioggia. A un certo punto, pioggia e lacrime cominciarono a mischiarsi insieme. Poi, incredibilmente, quando salii sul palco per parlare, il sole fece la sua comparsa tra le nuvole. Fu come se Dio avesse ascoltato quella canzone. Avevo praticato un po’ di pugilato ai tempi della scuola. Un buon pu- gile, anche dopo esser stato colpito da una serie di ganci, continua a combattere senza problemi. Ma anche il pugile più forte comincia a barcollare, quando gli assestate un solido montante. Io stavo cercando di infliggere un montante all’America. Sentivo che c’era bisogno di una manifestazione molto più grande, rispetto a quelle che avevamo orga- nizzato sino ad allora, perché il nome «Sun Myung Moon» rimanesse indelebilmente scolpito nella mente degli Americani. Il Monumento a Washington si trova nel National Mall, nel centro della capitale degli Stati Uniti. Ha la forma di un obelisco ed è alto centoottantatre metri. Un vasto prato si estende dal monumento fino al lago artificiale, posto davanti al Lincoln Memorial. Programmai di tenere una grande manifestazione proprio in quel luogo, il cuore sim- bolico dell’America. Per organizzare un incontro lì, tuttavia, dovevamo avere il permesso del governo e della polizia nazionale dei parchi degli Stati Uniti. A molti funzionari americani ero poco simpatico. In precedenza, avevo messo delle inserzioni sui giornali, in cui avevo consigliato al popolo ame- ricano di perdonare il presidente Richard Nixon, nell’occasione della crisi scoppiata in seguito allo scandalo Watergate1. La mia proposta era

1 Con quell’invito, che all’epoca fece scalpore, il Rev. Moon non appoggiava incondizio- natamente il Presidente Nixon: lo invitava anzi a chiedere perdono al Paese per l’errore politico e morale che aveva commesso; nel contempo invitava gli americani a perdonare il Presidente e ad unirsi a lui. Lo scopo era non indebolire politicamente l’America a livello internazionale in un momento particolarmente duro della guerra fredda.

Manifestazione davanti al monumento a Washington, 1976 195 Capitolo 4 - Il lancio della nostra missione globale

stata davvero malvista. Così, il governo americano continuò a negarci il permesso di usare quell’area. Riuscimmo ad ottenerlo soltanto qua- ranta giorni prima dell’evento. Anche i nostri membri mi dissero che il progetto era troppo ambizioso e avremmo dovuto rinunciare. Il National Mall, che si estende tutt’in- torno al Monumento a Washington, è un parco all’aperto nel centro dell’area urbana. Non ci sono tanti alberi, ma solo un’ampia distesa d’erba. Se il numero dei partecipanti fosse risultato modesto la cosa non sarebbe passata inosservata. Per riempire un’area tanto grande ci sarebbero volute centinaia di migliaia di persone. I nostri membri si domandavano come sarebbe stata possibile una cosa del genere. Prima d’allora, soltanto due persone avevano organizzato grandi in- contri al National Mall. Martin Luther King aveva tenuto una mani- festazione per i diritti umani sulle scalinate del Lincoln Memorial e il Reverendo Billy Graham vi aveva radunato una grande assemblea. Perciò, si trattava di un posto con una forte valenza simbolica. Era quello il posto che stavo sfidando. Pregai senza sosta per quella manifestazione. Riscrissi quattro volte il discorso che avrei dovuto pronunciare. Una settimana prima dell’even- to ero ancora indeciso su cosa avrei dovuto dire. Alla fine, tre giorni prima della manifestazione, completai il testo. Generalmente non leg- go discorsi preparati in anticipo. In quel caso feci un’eccezione, perché volevo che l’evento andasse bene. Sapevo che si sarebbe rivelato un passaggio particolarmente importante, anche se non avevo del tutto chiaro in che modo lo sarebbe stato. Non dimenticherò mai quello che accadde quel giorno, il 18 settembre 1976. La gente cominciò ad arrivare al Monumento di Washington sin dalla prima mattina. Si riunirono circa trecentomila persone. Era impossibile dire da dove fossero arrivate: avevano pelle e capelli di tutti i colori. Tutte le razze che Dio ha sparso sulla terra si erano radunate lì quel giorno: era una manifestazione su scala mondiale che non aveva

196 Manifestazione davanti al monumento a Washington, 1976 Capitolo 4 - Il lancio della nostra missione globale bisogno di nessuna ulteriore descrizione. Di fronte a quella folla dichiarai: «Dio ha preparato l’America per due- cento anni. Questo è il momento del risveglio. L’America deve accet- tare la propria responsabilità globale. Armata del “Godism”2, l’America deve liberare il mondo comunista e costruire infine il regno di Dio qui sulla terra». Il mio discorso fu interrotto molte volte da acclamazioni e applausi. Newsweek, nella rassegna fotografica di fine anno degli av- venimenti salienti del 1976, incluse una mia fotografia e mi citò come parte del revival degli anni ‘70. Dall’altro lato, un numero crescente di persone cominciava a guardar- mi con sospetto e paura. Per loro non ero altro che uno strano mago venuto dall’Est. Non ero un bianco in cui potessero riporre fiducia o che potessero seguire. Il fatto che stessi dicendo cose in qualche modo diverse da quanto ave- vano ascoltato nelle loro chiese li faceva sentire estremamente insicuri. In particolare, non potevano tollerare una situazione in cui dei giovani di pelle bianca rispettavano e seguivano un Asiatico dagli occhi sottili come due fessure. Cominciarono a spargere la diceria che stessi manipolando il cervello di bianchi giovani ed innocenti. Il gruppo che mi si opponeva si riunì in fondo al prato, alle spalle di coloro che mi urlavano il loro soste- gno. Sapevo che un altro momento critico stava per abbattersi su di me, ma non avevo paura perché stavo chiaramente facendo ciò che era giusto. L’America è ben conosciuta come un paese di libertà e uguaglianza, dove persone di tutte le razze vengono per realizzare il sogno ameri- cano. In realtà però vi sono dure lotte causate dalla discriminazione razziale e religiosa. Si tratta di malattie croniche che sono radicate profondamente nella storia americana, e perciò sono molto più difficili da curare rispetto alle patologie sociali, quali l’immoralità e il materia- lismo, emerse con l’opulenza degli anni ‘70.

2 Sinteticamente, il modo di vita che pone Dio al centro di ogni nostra azione. Abbiamo lasciato l’espressione inglese in quanto comprensibile ma mal traducibile.

Manifestazione davanti al monumento a Washington, 1976 197 Capitolo 4 - Il lancio della nostra missione globale

In quel periodo visitai spesso le chiese afroamericane, impegnandomi nella promozione dell’armonia ecumenica. Tra i capi religiosi di colore ce n’erano alcuni che, alla maniera di Martin Luther King, operavano per mettere fine alla discriminazione razziale e stabilire il mondo di pace di Dio. Alcuni di quei ministri religiosi avevano appeso alle pareti dei loro uffici immagini dei mercati di schiavi, che erano esistiti per anni ed anni prima di essere dichiarati illegali. Una di quelle immagini raffigurava un uomo di colore che veniva arso vivo appeso a un albe- ro. In un’altra, c’erano uomini e donne negri spogliati dei loro abiti, che venivano esaminati come merci da potenziali acquirenti. In un’al- tra ancora si vedeva un bimbo di colore che piangeva mentre veniva strappato alla madre. È difficile credere che degli esseri umani abbiano potuto essere capaci di compiere gli atti di barbarie rappresentati così chiaramente in quelle immagini. «Aspettate e vedrete» dissi il 24 ottobre 1975 nel corso di una riunione a Chicago. «Entro i prossimi trent’anni ci sarà un presidente degli Stati Uniti mulatto, nato da una famiglia interrazziale». La profezia che feci quel giorno è diventata realtà con l’elezione del presidente Barak Obama, che ha trascorso buona parte della sua vita a Chicago. Quella profezia non si è realizzata automaticamente. Molti hanno versato sangue e sudore per risolvere il conflitto tra le razze e il loro impegno ha dato finalmente i suoi frutti. Sorprendentemente, un gran numero di ministri religiosi delle chiese ufficiali vennero con le loro congregazioni alla manifestazione del Mo- numento a Washington. Avevano riconosciuto che il mio messaggio trascendeva le confessioni e ispirava le giovani generazioni. Avevo in- vitato la gente a superare le divisioni tra le confessioni e le religioni, e quelle parole si erano realizzate con quell’adunata. La manifestazione del Monumento a Washington fu un miracolo. Le centinaia di miglia- ia di persone che vi parteciparono ne fecero uno degli incontri con più partecipanti mai tenuti sul prato del National Mall.

198 Manifestazione davanti al monumento a Washington, 1976 «Piangete per il mondo, non per me»

l bene è spesso seguito dal male. Alcuni dipinsero i baffi sul mio ritratto, cercando di paragonarmi a Hitler. Mi definirono antisemi- ta e sostennero che i miei insegnamenti erano contro gli Ebrei. Ci Ifurono problemi anche con i cristiani. Con l’aumentare dei giovani che mi seguivano e dei ministri religiosi che volevano apprendere il Princi- pio, le chiese ufficiali americane cominciarono a perseguitarmi. Infine, degli esponenti delle sinistre mi attaccarono quando affermai che l’A- merica aveva la responsabilità di fermare la diffusione del comunismo nel mondo. Anche loro cominciarono a cercare qualche maniera per bloccare le mie attività. Man mano che la nostra popolarità cresceva, cominciavano a sorgere perplessità e dubbi di ogni genere sul mio conto. I giovani che si sen- tivano ispirati a divulgare i miei insegnamenti lasciavano le università o si licenziavano dal lavoro e viaggiavano in lungo e in largo nel paese, per diffondere il nostro messaggio e raccogliere fondi per le nostre at- tività. Comprensibilmente, i loro genitori cominciarono a preoccuparsi per il loro benessere. Nello stesso periodo gli Stati Uniti erano invischiati nella crisi del Wa- tergate. Incontrai il presidente Richard Nixon e gli raccomandai di guidare la nazione cercando di capire quale fosse la volontà di Dio per l’America. Rivolsi al popolo americano un appello a «perdonare, amare e unirsi» attorno alla posizione del presidente. Questo accese l’oppo- sizione dei mezzi di comunicazione di sinistra. Questioni che fino ad allora non avevano creato alcun problema mi piombarono improvvi- samente addosso. Nello stesso tempo, i conservatori affermavano che ero troppo liberale e i miei insegnamenti avrebbero demolito i valori tradizionali.

«Piangete per il mondo, non per me» 199 Capitolo 4 - Il lancio della nostra missione globale

Molti cristiani erano scontenti della spiegazione della croce che io presentavo: Gesù era venuto come Messia, e la crocifissione non era predestinata da Dio. Con l’uccisione di Gesù, il piano di Dio per la fondazione del regno della pace non poté essere realizzato. Se Israele lo avesse ricevuto come il Messia, Gesù avrebbe stabilito un mondo di pace, unendo le culture e le religioni dell’Est e dell’Ovest. Gesù, invece, morì sulla croce e la provvidenza di Dio per il completamento della salvezza fu ritardata fino al Secondo Avvento. Questa interpretazione della croce suscitò una forte opposizione. Fui considerato un nemico sia dalle chiese ufficiali che dalle comunità ebraiche. Cercarono in tutti i modi di mandarmi via dall’America, ciascuna in base alle proprie motivazioni. Alla fine, fui rinchiuso ancora una volta in prigione. Non avevo fatto altro che lavorare alla ricostituzione della moralità dell’America, per riportarla nella posizione di nazione rispet- tosa della volontà di Dio, ma fui accusato di aver evaso le tasse. A quell’epoca, avevo abbondantemente passato i sessanta anni. Duran- te i primi tre anni che avevo trascorso in America, il denaro pervenuto come offerta da tutto il mondo era stato depositato presso una banca di New York su un conto a mio nome, e io avevo operato come fiduciario, secondo una prassi comune a diverse chiese. In quegli anni, i fondi giacenti nel conto avevano prodotto degli interessi, e mi fu imputato di non aver pagato le tasse, per un importo di circa 7.500 dollari, su quegli interessi. Normalmente sarebbe stata applicata una multa; io, invece, fui processato nel 1982 ed incarcerato nel penitenziario federa- le di Danbury, in Connecticut, il 20 luglio 1984. Il giorno prima di presentarmi in prigione, tenni un incontro con i membri presso il nostro Centro studi «Belvedere» di Tarrytown, nello stato di New York. Fu un incontro molto commovente. L’edificio ed il prato erano gremiti delle migliaia di membri che pregavano e piange- vano per me. Dissi loro con fermezza di non scoraggiarsi: «Sono inno- cente e non ho fatto niente di sbagliato. Vedo una viva luce di speranza

200 «Piangete per il mondo, non per me» Capitolo 4 - Il lancio della nostra missione globale sorgere oltre Danbury. Non piangete per me, piangete per l’America. Amate l’America e pregate per l’America». Di fronte ai giovani op- pressi dalla tristezza, sollevai le braccia in segno di speranza. La dichiarazione che avevo fatto prima di entrare in prigione fece mol- to scalpore tra le persone di religione. Si costituì una «Fraternità della sofferenza comune» e ci fu una grande iniziativa di preghiera in mio aiuto. La Fraternità costituì un grande movimento di sostegno da parte dei ministri di tutte le confessioni e le religioni, preoccupati per l’attac- co alla libertà di religione in America. Il giorno in cui entrai in prigione non avevo alcuna paura. Avevo espe- rienza della vita in prigione. Non era così, invece, per la gente intorno a me. Erano preoccupati che qualche mio irriducibile oppositore potesse attentare alla mia vita. Mi diressi verso la prigione a testa alta.

«Piangete per il mondo, non per me» 201 «Perché mio padre deve andare in prigione?»

nche nella prigione di Danbury tenni fede al mio principio di vivere per gli altri. Mi svegliavo presto la mattina per pulire i posti che erano sporchi. Alla mensa, gli altri si chinavano sui piatti,A si addormentavano o chiacchieravano tra loro; io sedevo con di- gnità mantenendo la schiena dritta. Quando mi veniva dato un lavoro da fare, m’impegnavo più degli altri e mi interessavo a come stavano gli altri. Nel tempo libero leggevo la Bibbia. Un prigioniero, vedendo che leggevo la Bibbia giorno e notte, mi disse: «Quella è la tua Bibbia? Ecco la mia. Dacci un’occhiata!» e mi lanciò un giornale. Era la rivista pornografica Hustler. In prigione ero conosciuto come una persona che lavorava in silen- zio. Leggevo libri e meditavo. Dopo aver trascorso tre mesi in questo modo, feci amicizia con i prigionieri e con le guardie. Divenni amico di un tossicodipendente e del prigioniero che aveva definito la rivista pornografica la sua bibbia. Dopo un mese o due, i compagni di prigio- nia cominciarono a condividere con me le cose che ricevevano da fuori. Quando giungemmo a condividere le cose che avevamo nel cuore, fu come se la primavera fosse arrivata dentro la prigione. In effetti, gli Stati Uniti non volevano veramente mettermi in galera. Avevano iniziato il processo contro di me mentre ero all’estero, durante un viaggio in Germania, ed a loro sarebbe bastato che non tornassi nel Paese. Non volevano arrestarmi, ma solo farmi andare via. Stavo diventando molto famoso in America e il numero delle persone che mi seguivano era in costante crescita. Così, decisero di porre degli osta- coli sul mio percorso. Proprio come in Corea, costituivo una spina nel fianco delle chiese ufficiali. Sapendo quale fosse il loro scopo, scelsi di ritornare in America e andare in prigione. Avevo ancora tanto da fare

202 «Perché mio padre deve andare in prigione?» Capitolo 4 - Il lancio della nostra missione globale in quel Paese. Penso che andare in prigione non sia una cosa completamente cattiva. Se devo convincere la gente che abita nella valle delle lacrime a pen- tirsi, io per primo devo versare lacrime. Se io per primo non provo la stessa disperazione nel cuore, non posso portare altre persone a seguire Dio. Il Cielo lavora in modi davvero misteriosi. Durante la mia detenzione, settemila tra ministri religiosi e responsa- bili di associazioni religiose, accusarono il governo degli Stati Uniti di aver violato la libertà di religione e lottarono per la mia liberazione. Tra questi, il conservatore Rev. Jerry Falwell, dell’Associazione delle Chie- se Battiste del Sud, e il liberale dott. Joseph E. Lowery, che anni dopo avrebbe pregato nel corso della cerimonia d’investitura del presiden- te Obama. Essi s’impegnarono in prima linea per la mia liberazione. Anche mia figlia In Jin, allora adolescente, marciò con loro. Di fronte a circa settemila ministri religiosi lesse tra le lacrime una lettera che aveva scritto al giudice che mi aveva condannato: «La vita di mio padre è stata segnata dalle lacrime e dal dolore perché ha cercato di compiere la volontà di Dio. Adesso ha sessantaquattro anni. Il suo unico crimine è stato quello di amare l’America. Eppure in questo momento sta lavando i piatti o sta pulendo il pavimento della mensa della prigione. La settimana scorsa, sono andata a trovarlo e l’ho visto per la prima volta con l’uniforme da detenuto. Ho pianto a lungo. Mio padre ha detto che, invece di piangere per lui, dovevo pregare per l’America. Mi ha suggerito di trasformare la mia rabbia e il mio dolore in una forza potente, con la quale fare degli Stati Uniti un paese vera- mente libero. Mi ha spiegato che in prigione lui è capace di superare qualsiasi dif- ficoltà, sopportare qualsiasi ingiustizia e portare qualsiasi croce. La li- bertà di fede è la base di tutte le libertà. Io sono davvero grata a tutti voi qui per il vostro impegno a favore della libertà religiosa». La mia pena fu ridotta di sei mesi per buona condotta e fui rilascia-

«Perché mio padre deve andare in prigione?» 203 Capitolo 4 - Il lancio della nostra missione globale

to dopo tredici mesi di detenzione. Il giorno della mia liberazione, a Washington, D.C. si tenne un banchetto di festeggiamento. Milleset- tecento tra ministri cristiani e rabbini ebrei erano riuniti per darmi il benvenuto. Nel mio saluto ai convenuti, ribadii la mia posizione a sostegno del superamento delle religioni e delle confessioni. Parlai con forza al mondo intero, sentendo che non avevo motivo di preoccupar- mi della reazione dei miei oppositori: «Dio non appartiene ad una confessione religiosa. Dio non s’invischia in marginali discussioni dottrinarie. Non ci sono distinzioni di nazio- nalità o di razza nel cuore di genitore di Dio. E neppure ci sono mu- raglie a separare i paesi e le culture. Anche oggi, Dio continua a fare quanto Gli è possibile, per abbracciare tutta la gente del mondo come Suoi figli e figlie. L’America oggi è afflitta da problemi razziali, da problemi derivanti dalla confusione dei valori e dal degrado morale, da sterilità spirituale, conseguenti al declino della fede cristiana, e dal pro- blema del comunismo ateo. Queste sono le ragioni per cui ho risposto alla chiamata di Dio e sono venuto in questo paese. Il Cristianesimo oggi ha bisogno di un grande movimento di risveglio e deve riunirsi come un unico corpo. Anche i ministri religiosi devono riesaminare il ruolo che hanno svolto fino ad oggi e pentirsi. La situazione che si creò duemila anni fa, quando Gesù venne e predi- cò il pentimento, si sta ripetendo oggi. Noi dobbiamo realizzare l’im- portante missione che Dio ha dato all’America. Le cose non possono continuare in questo modo. C’è bisogno di una nuova riforma». Una volta rilasciato dalla prigione nulla più poté trattenermi. Conti- nuai a parlare con ancora più forza di prima, per trasmettere un mes- saggio di avvertimento a un’America decaduta. Affermai ripetutamen- te, con parole forti, che il ritorno all’amore e alla moralità di Dio è l’unico modo per ridare vita all’America. Ero stato imprigionato senza aver fatto nulla di sbagliato, ma anche lì era all’opera la volontà di Dio. Dopo la mia liberazione, le persone

204 «Perché mio padre deve andare in prigione?» Capitolo 4 - Il lancio della nostra missione globale che avevano lavorato per il mio rilascio vennero a gruppi in Corea per apprendere di più sul mio lavoro. Vennero per scoprire cosa c’era nello spirito del Reverendo Moon che aveva attratto così tanti giovani ame- ricani. Al loro ritorno negli Stati Uniti, centoventi di questi ministri cristiani organizzarono la American Clergy Leadership Conference1.

1 Associazione formata da ministri religiosi di varie fedi.

«Perché mio padre deve andare in prigione?» 205

Fotografie di momenti essenziali della mia vita

La casa in cui sono nato, e che oggi si trova nella Corea del Nord. In origine aveva due piccole ali, ciascuna ad ogni lato. Oggi ne resta solo l’edificio prin- cipale.

All’alba del giorno di Pasqua del 1935 - era il 17 aprile - Gesù mi apparve mentre ero in preghiera e mi affidò la mia missione celeste. Avevo sedici anni, secondo il metodo coreano di calcolare l’età. Mi piace questo dipinto del 1982 di Shigeyoshi Watanabe che coglie bene lo spirito di quel momento.

Fotografie di momenti essenziali della mia vita 209 Mio nonno Chi Guk Il mio prozio Yoon Guk Un ritratto di mia ma- Moon, che patrocinò l’al- Moon, noto ministro reli- dre, dipinto nel 1988, fabetizzazione dei giovani gioso e patriota coreano. sulla base di vecchie del villaggio. foto.

Una mia foto di quando ero studente, Mentre preparo il riso con mio cugino, scattata nel 1941, l’anno in cui mi Seung Ryong Moon (secondo da sini- sono diplomato presso la Scuo- stra), ed altri amici, alla fine degli anni la Tecnica di Waseda in Ingegneria ’30. Io sono quello a destra. Elettrica.

210 Fotografie di momenti essenziali della mia vita Ho insegnato alla scuola domenicale della chiesa di Gesù di Myungsudae, agli inizi degli anni ’40. Sono nella fila posteriore, indicato dalla freccia.

Foto dell’8 marzo 1941. Cerimonia di inizio dell’anno scolastico della Scuola di com- mercio e tecnologia di Kyeongsung. Sono nella fila posteriore, quarto da sinistra, indi- cato dalla freccia.

Fotografie di momenti essenziali della mia vita 211 Questa nave da battaglia ha partecipato al bombardamento di Heungnam, dove ero detenuto da quasi tre anni. Le forze dell’ONU, tra le quali si trovava il futuro generale americano Alexander Haig, bombardarono il campo di prigionia liberandomi. Era il 14 ottobre del 1950.

La capanna di fango e cartoni provenienti dalla base americana, costruita da me e da Won Pil Kim all’inizio del 1951. Si trovava a Busan, su una collina solitaria, nei pressi di un cimitero.

Mentre vengo salutato dai membri dopo essere stato rilasciato dalla prigione di Se- odaemun, in Seul, il 4 ottobre 1955. Ero stato accusato di renitenza alla leva, mentre in realtà durante la guerra di Corea ero detenuto ad Heungnam. Fui riconosciuto innocente dopo tre mesi di prigione.

212 Fotografie di momenti essenziali della mia vita Mentre insegno ai membri nella nostra chiesa di Cheongpa-Dong, subito dopo aver lasciato la prigione di Seodaemun.

1° Novembre 1958. Foto di me con studentesse dell’Università Femminile Ewha e con la Professoressa Won Bok Choi (all’estrema destra), tutte arbitra- riamente espulse a motivo della loro fede.

Fotografie di momenti essenziali della mia vita 213 Inizio della primavera del 1959 a Yamok, provincia di Kyeonggi. Avevo por- tato i membri ad aiutare a piantare il riso. I contadini ne trassero beneficio, e per noi fu un utile addestramento.

Ci incontravamo spesso all’aperto nella zona si Seul, e parlavo ai membri del piano di Dio per l’uomo.

214 Fotografie di momenti essenziali della mia vita L’11 aprile 1960 Hak Ja Han Un piacevole intermezzo con mia moglie sul lago di ed io ci sposammo. Lei e sua Cheongpyeong. madre, una tra i miei primi discepoli, erano fuggite dal Nord durante la guerra.

Nemmeno questa foto, scattata il 1° gennaio 2009 in Corea, include tutti i membri della mia famiglia. Abbiamo quattordici figli, che vivono in varie parti del mondo, ed un numero sempre crescente di nipoti e pronipoti.

Fotografie di momenti essenziali della mia vita 215 Il 1° maggio 1966, 12° anniversario della fondazione della Chiesa di Unificazione: sto firmando delle copie della seconda edizione in lingua coreana del mio insegnamento, il «Principio Divino». Io sono sulla sinistra.

Foto scattata nel 1969 durante il mio secondo tour mondiale. Il movimento in Giap- pone cresceva in modo esponenziale, ed i nostri incontri dovevano essere tenuti all’a- perto; come in questo caso, che riprende un incontro tenuto in un parco alla periferia di Tokyo.

216 Fotografie di momenti essenziali della mia vita Il 1° febbraio 1974 ho incon- trato il Presidente Richard Nixon alla Casa Bianca, al culmine dello scandalo Wa- tergate. Nell’interesse di un’America forte ed unita chiesti agli americani ed ai mezzi d’informazione, attra- verso inserzioni sui giornali, di «perdonare, amare, unirsi».

Conferenza alla Carnegie Hall, il 1° ottobre 1973: la prima tappa di un ciclo di discorsi in ventuno città degli Stati Uniti, che terminò il 29 gennaio 1974.

Fotografie di momenti essenziali della mia vita 217 Più di 1.200.000 persone hanno partecipato, il 7 giugno 1975, alla Manifestazione Mondiale per la Libertà sulla piazza dell’isola di Yoido.

Manifestazione al Monumento a Washington, il 18 settembre 1976. Nell’ambito dei nostri festeggiamenti per il bicentenario degli Stati Uniti, pronunciai il discorso «La speranza di Dio per l’America» di fronte a circa 300.000 persone. Nel riquadro: Bo Hi Pak, il mio interprete, accanto a me.

218 Fotografie di momenti essenziali della mia vita Il Dottor Morton Kaplan, presidente della conferenza, mi presenta le congratulazioni dei partecipanti alla conclusione del 12° Convegno In- ternazionale sull’Unità delle Scienze (ICUS) svoltosi a Chicago, dal 24 al 27 novembre 1983. Ho patrocinato in totale 21 convegni annuali ICUS. Questi incontri vertevano sul rapporto tra scienza e valori assoluti.

Rimasi nella prigione di Danbury, in Connecticut (USA) dal 20 luglio 1984 al 20 agosto 1985. Ero stato accusato di non aver pagato tasse per 7.500 dollari su interessi bancari, sebbene avessi investito milioni di dollari per il rinnovamento morale degli Stati Uniti. In questa foto io (a destra) passeggio nel cortile della prigione con Takeru Kamiyama, uno dei miei discepoli.

Fotografie di momenti essenziali della mia vita 219 Mia moglie ed io mentre celebriamo la Santa Benedizione in matrimonio al Jamsil Gymnasium di Seul, il 14 ottobre 1982. La benedizione in matrimonio e la ricerca della «Pace mondiale attraverso famiglie ideali» sono il nucleo centrale del mio ministero. A partire dal 1960, e contando fino all’inizio del 2010, ho benedetto in matrimonio più di quattro milioni di persone, tramite cerimonie condotte con collegamenti satellitari in diretta in tutto il mondo.

Il 22 dicembre del 2003 dei leader religiosi cristiani, musulmani, ebrei e di altre fedi, partecipanti all’Iniziativa di Pace per il Medio Oriente, riuniti a Gerusalemme, davanti al Tempio della Roccia. Centinaia di leader religiosi e civili hanno preso parte ad oltre quaranta pellegrinaggi intesi a promuovere la pace nella Terra Santa.

220 Fotografie di momenti essenziali della mia vita Nel 1975 ho acquistato questo seminario cattolico dismesso presso il fiume Hudson, nello Stato di New York, e vi ho fondato il Seminario Teologico dell’Unificazione (UTS), aperto a tutte le religioni. Vi insegnano studiosi pro- venienti da molte delle religioni del mondo.

Qui visito la nostra officina per macchine utensili in Germania, nel 1989. Ho sempre sostenuto che le tecnologie avanzate debbano essere condivise tra tutte le nazioni, per promuovere la libertà ed il benessere.

Fotografie di momenti essenziali della mia vita 221 Agosto 1998, a pesca di salmoni a Kodiak, Alaska. Io sono il quarto da sinistra, accanto a mia moglie. Su entrambi i lati alcuni leader della Chiesa d’Unifi- cazione.

Il 4 giugno del 2002 il grande calciatore Pelé è venuto a trovarmi nella mia re- sidenza di Hannam-Dong. Qui mia moglie gli espone il progetto della World . In quell’occasione ho condiviso con Pelé l’idea di promuovere il calcio quale mezzo per realizzare ponti di pace tra le nazioni.

222 Fotografie di momenti essenziali della mia vita Il 6 dicembre 1991 mia moglie ed io abbiamo raggiunto Pyongyang, nella Corea del Nord, su invito del Presidente Kim Il Sung, che abbiamo incontrato nel Palazzo Presidenziale di Majeon, in Heungnam.

Il 24 marzo 1994 ho ospitato il Presidente Mikhail Gorbachev e la First Lady Raisa al Summit Council for World Peace in Corea. Ho fondato il Summit Council per riunire a convegno degli ex capi di stato perché studiassero delle soluzioni per le situazioni di conflitto.

Fotografie di momenti essenziali della mia vita 223 Il Presidente dell’Ucraina, Leonard Kravchuk, mentre mi accoglie, il 20 ottobre 2005, durante il mio tour di 120 nazioni per inaugurare altret- tante Sezioni nazionali della Universal Peace Federation.

Il 1° dicembre 2005 mia moglie ed io siamo stati ricevuti dalla presidentessa delle Filippine, Gloria Macapagal Ar- royo, nel palazzo presidenziale di Malacañang, a Manila. Avevo sollecitato più volte le Nazioni Unite ad intensificare il loro impegno per la cooperazione tra le fedi, e per me ha costituito una grande soddisfazione vedere che, sotto la guida della presidentessa Arroyo, il governo filippino ha presentato all’ONU delle proposte di risoluzione in tal sen- so. Anche l’allora presidente del Parlamento delle Filippine, José de Venecia, mi ha incoraggiato nella speranza di veder stabilito nelle Nazioni Unite un organismo deliberativo composto da rappresentanti di tutte le fedi.

Al di New York, il 23 settembre 2007, ho chiesto ai delegati di 194 Paesi di promettermi che avrebbero posto la fondazione per le nuove Nazioni Unite di tipo «Abele», o «di pace», con lo scopo di realizzare gli ideali delle Nazioni Unite in una struttura che sottolinei il pensiero di vivere per il bene del prossimo.

224 Fotografie di momenti essenziali della mia vita Capitolo 5

L’amoreL’AMORE della DELLA FAMIGLIAfamiglia puòPUO’ cambiare CAMBIARE ILil MONDO mondo

Mia moglie, Hak Ja Han Moon

a prima volta che la vidi, mia moglie era una ragazza di quat- tordici anni che aveva appena finito il sesto anno della scuola primaria. Era una ragazza tranquilla, che non alzava mai la voce Lné mai cercava di attirare l’attenzione su di sé. Per andare e tornare dalla chiesa prendeva sempre la stessa strada. La prima volta che me la presentarono, mi dissero che era la figlia di un membro della nostra chiesa, la signora Soon Ae Hong. «Come ti chiami?» le chiesi. «Mi chiamo Hak Ja Han» rispose scanden- do le parole. In quel momento, senza che mi rendessi conto di cosa stesse accadendo, dissi: «Così Hak Ja Han è nata in Corea!». Ripetei questa frase tre volte di fila, poi pregai dicendo: «Dio! Grazie per aver mandato in Corea una donna meravigliosa come Hak Ja Han». Poi la guardai e aggiunsi: «Hak Ja Han, temo che tu debba andare incontro a tanti sa- crifici». Tutte queste parole uscirono dalle mie labbra spontaneamente. In seguito, la signora Hong mi disse che le era parso strano che dicessi la stessa cosa tre volte, dopo aver incontrato sua figlia per la prima vol- ta. Anche mia moglie mi disse che le era rimasto molto impresso quel primo, breve incontro. Ricordava tutte le mie parole, come se avessi pronunciato un sermone soltanto per lei, e le serbò nel suo cuore. Disse che si era sentita come se avesse ricevuto una rivelazione importante sul suo futuro che non avrebbe potuto più dimenticare. Sua madre veniva da una famiglia di devoti presbiteriani; era cresciuta quindi in una famiglia cristiana. Era originaria di Jungju, a pochi chi- lometri dal mio villaggio, ma era vissuta ad Anju1, fino a quando si era trasferita in Corea del Sud, al tempo della guerra di Corea. All’epoca in cui cominciò a frequentare la nostra chiesa, la signora Hong viveva 1 A circa 40 chilometri ad est di Jungju.

Mia moglie, Hak Ja Han Moon 227 Capitolo 5 - L’amore della famiglia può cambiare il mondo

molto devotamente a Chuncheon2 ed educava sua figlia con severità. Mia moglie frequentò una scuola per infermiere diretta da suore catto- liche. Mi dissero che la regola di quella scuola era così rigida che sem- brava di vivere in un convento. Lei aveva un carattere gentile e, durante il periodo in cui viveva con sua madre, non andò mai altrove, se non a scuola e alla nostra chiesa. A quel tempo io avevo quarant’anni, e sentivo che era giunto il mo- mento che mi sposassi. Tutto ciò che dovevo fare era attendere che Dio mi dicesse: «Il momento è venuto, perciò sposati» e io avrei fatto quel che mi fosse stato comandato. Seung Do Ji, un’anziana donna della no- stra chiesa, cominciò i preparativi per il mio fidanzamento, nell’ottobre del 1959, anche se non c’era ancora nessuna fidanzata in vista. Un altro membro, che aveva pregato sette anni perché io trovassi una moglie, mi raccontò un giorno che aveva fatto un sogno, nel quale aveva visto che Hak Ja Han sarebbe stata mia moglie. La signora Ji, anche lei membro della chiesa, mi parlò di un suo strano sogno: «Che sogno è mai questo? - esclamò - Ho visto centinaia di gru giungere in volo. Ho cercato di scacciarle agitando le braccia, ma quelle continuavano a venire e alla fine ti hanno coperto con le loro piume bianche. Si tratta di un presagio per il futuro?». La sillaba «Hak» di Hak Ja Han corrisponde al carattere cinese, usato anche in coreano, che indica la gru. In seguito, anche Hak Ja Han ebbe un sogno in cui io le apparvi e le dissi: «Il giorno è vicino, preparati». Più oltre mia moglie aggiunse che, in quel sogno, mi aveva risposto umilmente: «Ho vissuto fino ad oggi secondo la volontà di Dio. Nel futuro, allo stesso modo, seguirò la vo- lontà di Dio come sua serva, non importa cosa possa avvenire». Pochi giorni dopo che la mia futura moglie aveva fatto questo sogno, chiesi alla signora Hong di portare sua figlia da me. Era il primo in- contro da quando mi era stata presentata per la prima volta, all’età di 2 Città a circa 75 chilometri a nord-est di Seul.

228 Mia moglie, Hak Ja Han Moon Capitolo 5 - L’amore della famiglia può cambiare il mondo quattordici anni. Quel giorno feci molte domande alla giovane. A tutte lei rispose con compostezza e chiarezza. Durante il nostro incontro, le chiesi di fare un disegno. Senza alcuna esitazione, lei prese una matita e cominciò a disegnare su un foglio di carta. Quando mi mise davanti il disegno finito, fui molto colpito da ciò che vidi. La guardai in viso e la sua espressione timida era bellissima. Il suo cuore era meraviglioso, come la figura che aveva disegnato. Il nostro fidanzamento fu celebrato il 27 marzo 1960, e la cerimo- nia di matrimonio si tenne appena due settimane dopo, l’11 aprile. Dopo il fidanzamento non avevo fissato una data per il matrimonio, ma quando diversi giorni dopo chiamai la signorina Han e le dissi: «Domani mattina avremo il nostro matrimonio», lei rispose semplice- mente: «Davvero?» e non fece nessuna domanda né si oppose in alcun modo. Lei sembrava completamente obbediente al Cielo. Era così pura e gentile. Allora come adesso, quando si tratta della volontà di Dio, lei dimostra una grande determinazione. Io indossai un samo-kwandae, l’abito formale dei funzionari di corte che si usa comunemente nelle cerimonie di nozze tradizionali coreane, e lei vestì un costume tipico del nostro Paese che includeva uno jok- dori, cioè un diadema da sposa. La mia sposa, che aveva diciassette anni ed era di oltre venti più giovane di me, appariva sicura e raggiante, con le labbra serrate e il volto aggraziato. Durante la cerimonia le dissi che stava per intraprendere un corso dif- ficile: «Penso che tu ti sia già resa conto che sposarmi non sarà un matrimonio come qualsiasi altro. Noi diventiamo marito e moglie per completare la missione, dataci da Dio, di essere Veri Genitori, e non soltanto per la felicità della nostra coppia, come fanno le altre persone di questo mondo. Dio vuole costruire il Regno dei Cieli sulla terra attraverso una vera famiglia. Tu ed io percorreremo una strada difficile, per diventare i Veri Genitori che apriranno agli altri le porte del Regno dei Cieli. È un cammino sul quale nessun altro si è addentrato nella

Mia moglie, Hak Ja Han Moon 229 Capitolo 5 - L’amore della famiglia può cambiare il mondo

storia, così che neanch’io so bene tutto quello che implicherà. Durante i prossimi sette anni troverai tante cose difficili da sopportare. Non dimenticare, neppure per un istante, che la vita che noi condurremo sarà diversa da quella degli altri. Non farai mai nulla, per quanto banale possa apparire, senza averne prima parlato con me, e obbedirai a tutto ciò che ti dirò». Lei rispose: «Il mio cuore è già pronto. Ti prego, non preoccuparti». Potei vedere dalla sua espressione che aveva preso una forte risoluzione. Le sue prove cominciarono il giorno dopo il nostro matrimonio. La prima difficoltà che affrontò fu quella di non poter vedere sua madre. Poiché mia moglie, sua madre e sua nonna materna erano tutte figlie uniche, la relazione madre-figlia era particolarmente forte. Per assumere la sua missione pubblica e sviluppare la giusta concentrazione, le chiesi di vivere per tre anni una vita di tipo ascetico. Questo significò che lei non poté vedere sua madre né alcuno dei suoi parenti per tre anni. Andò ad abitare in una stanza concessa in affitto da un membro del- la chiesa. Veniva alla chiesa non più di una volta al giorno, di solito la sera e, per non dare disturbo, usciva dalla porta di servizio. Io ero spesso impegnato nel servizio religioso, oppure pregavo tutta la notte ed ero raramente a casa, ma la nostra separazione non aveva motivazio- ni pratiche. La separazione doveva stabilire una condizione spirituale di devozione incondizionata alla sua missione. Dal momento che le chiacchiere volgari sul mio conto continuavano a circolare, questa se- parazione dai suoi parenti e da me per la mia giovane moglie fu ancora più difficile da sostenere. Al tempo del nostro matrimonio, la Chiesa di Unificazione era già stata costituita in centoventi comunità, nelle varie regioni della Corea. Anche nella nostra chiesa, comunque, c’erano quelli che criticavano il nostro matrimonio. Alcune donne la invidiavano, altre la odiavano. Giravano tante storie e, come se tutto questo non fosse abbastanza, lei viveva in casa di qualcun altro. Altre donne più anziane della nostra

230 Mia moglie, Hak Ja Han Moon Capitolo 5 - L’amore della famiglia può cambiare il mondo chiesa mi seguivano dovunque andassi. Alla fine, il trattamento appa- rentemente freddo che riservavo a mia moglie pose fine alle critiche e all’invidia nei suoi confronti. In effetti, la gente cominciava a simpa- tizzare per lei. Per esempio, molti membri mi biasimarono perché non andai a trovare mia moglie neanche quando era sofferente e infreddolita, in una stanza senza riscaldamento, alle prese con i dolori susseguenti al parto, dopo la nascita della nostra prima figlia. Alcuni di loro dissero: «Con questo comportamento, come può anche solo pensare di definirsi un marito?». Altri mi dissero: «Reverendo Moon, lei sta esagerando. Se l’ha sposata, deve vivere con lei. Le sta rendendo difficile anche il solo incontrarla». Coloro che avevano criticato mia moglie cominciarono, uno dopo l’al- tro, a schierarsi al suo fianco. Era necessario che, nonostante la sua giovane età, mia moglie rice- vesse un duro addestramento. Nel tempo che passavamo insieme, la sua situazione era impietosa. Non aveva neppure un minuto libero per sé. Era costantemente allo stremo, come se stesse camminando sul ghiaccio sottile, domandandosi: «Avrò pace oggi? Avrò pace domani?». Poiché doveva raggiungere il livello dell’amore materno di Dio, io la correggevo anche per una sola parola sbagliata. A volte anche le sue espressioni di affetto per me dovevano essere troncate, per il bene della sua missione eterna. Tutto ciò era indispensabile perché lei diventasse la Vera Madre, ma so con certezza quanto ciò addolorasse il suo cuore. A me poteva, di tanto in tanto, scappare qualche parola, senza troppo riflettere. Lei, invece, doveva armonizzarsi con ogni mia parola, così la sua sofferenza è stata davvero grande. Ci vollero sette anni per ade- guarci l’uno all’altra. Vi racconto queste storie perché la cosa più im- portante in una relazione coniugale è la fiducia. Ed è quella che rende possibile che due persone diventino una cosa sola.

Mia moglie, Hak Ja Han Moon 231 Un’incomparabile bellezza interiore

ia moglie ed io ci scambiammo una promessa dopo esserci sposati: fummo d’accordo nel decidere che, per quanto uno dei due potesse essere seccato o infuriato, avremmo sempre Mevitato che qualcuno potesse pensare: «Sembra che il Reverendo e la signora Moon abbiano avuto una discussione». Fummo d’accordo che non importava quanti figli avessimo avuto, non avremmo mai dato loro alcun motivo di pensare che avessimo litigato. I figli sono Dio. I figli sono Dio con un cuore molto piccolo. Così, quando un figlio chiama «Mamma», bisogna rispondere sempre «Cosa c’è?» con un sorriso. Dopo aver attraversato questo duro corso per sette anni, mia moglie divenne una madre meravigliosa. Tutti i pettegolezzi sul suo conto sva- nirono e la nostra famiglia ebbe pace e felicità. Mia moglie ha partorito quattordici figli e si è presa cura di ciascuno di loro con tanto amore. Quando è lontana da casa, a motivo della nostra vita, piena di incontri pubblici e dedicata alla missione, manda ogni giorno lettere e cartoline ai nostri figli. Sebbene sia stato difficile crescere quattordici figli nell’arco di oltre quarant’anni, lei non si è mai lamentata. Molte volte, quando mia moglie stava per partorire, mi sono trovato all’estero. Ella ha dovuto affrontare quei momenti da sola. Ci sono stati giorni in cui non ho potuto fare nulla per lei. Una volta un membro mi scrisse una lettera sulle ristrettezze economiche di mia moglie, preoccupato addirittura che non avesse abbastanza da mangiare. Neanche allora lei si dolse delle sue difficoltà. Poiché io dormo soltanto due o tre ore per notte, lei si è sentita obbli- gata a fare lo stesso, per tutto il corso della nostra vita insieme. Questo genere di cose mi fa soffrire ancor oggi.

232 Un’incomparabile bellezza interiore Capitolo 5 - L’amore della famiglia può cambiare il mondo

Mia moglie ha un tale incredibile cuore d’amore e attenzione, che è arrivata al punto di regalare un anello speciale, che le avevo donato, a una persona che versava nel bisogno. Quando vede qualcuno che ha bisogno di vestiti, lei gliene compra o gliene dà dei nostri. Quando incontra qualcuno che ha fame, lei gli compra da mangiare. È successo più volte che, dopo aver ricevuto dei regali, li abbia offerti a qualcun altro che secondo lei ne aveva più bisogno di noi. Una volta, eravamo in viaggio in Olanda e visitammo un laboratorio dove lavoravano i diamanti. Volendo esprimere a mia moglie il mio rammarico per tutti i suoi sacrifici, le comprai un anello con un dia- mante. Non avevo tanti soldi, così non potei comprarne uno grande. Ne scelsi uno che mi piaceva e glielo regalai. In seguito, lei a sua volta lo regalò a qualcuno. Quando vidi che non era più al suo dito le chiesi: «Dov’è finito l’anello?» mi rispose: «Lo sai che non riesco a tenere una cosa del genere se qualcuno ha bisogno». Una volta la vidi stendere un’ampia carta da imballaggio, nella quale stava sistemando tranquillamente degli abiti. «Che cosa stai facendo con quei vestiti?» le chiesi. «Ho una certa idea…» rispose. Confezionò diversi pacchi di vestiti senza dirmi cosa avesse intenzione di farne. Quando ebbe finito, mi disse che si accingeva a mandare quegli abiti ai nostri missionari che lavoravano all’estero: «Questo è per la Mon- golia, questo per qualcuno in Africa e questo per il Paraguay». Aveva un sorriso leggermente imbarazzato che la rendeva così dolce quando mi disse quella frase. Ancora oggi lei si occupa personalmente delle necessità dei nostri missionari all’estero. Nel 1979 mia moglie costituì la Fondazione Internazionale per l’Assi- stenza e l’Amicizia, che ha realizzato progetti di servizio in numerosi paesi, tra i quali lo Zaire, il Senegal e la Costa d’Avorio. La Fondazione offre cibo per i bambini poveri, medicine per i malati e abiti per i biso- gnosi. In Corea, nel 1994, ha creato l’organizzazione benefica Aewon, che ha tra le sue attività una mensa che distribuisce gratuitamente

Un’incomparabile bellezza interiore 233 Capitolo 5 - L’amore della famiglia può cambiare il mondo

pasti ai poveri, aiuta famiglie a basso reddito, disabili, minorenni che hanno responsabilità di capofamiglia, eccetera, e invia aiuti umanitari agli abitanti della Corea del Nord. Per diverso tempo mia moglie è stata attiva nelle associazioni femmi- nili. La Federazione delle Donne per la Pace nel Mondo, che lei stessa ha fondato nel 1992, ha aperto sedi in circa ottanta nazioni ed è rico- nosciuta quale organizzazione con «general consultative status» all’in- terno del Consiglio Economico e Sociale delle Nazioni Unite quale Organizzazione Non Governativa. Lungo tutta la storia le donne sono state perseguitate, ma io predico un radicale cambiamento. Il mondo che verrà porterà riconciliazione e pace, sulla base del carattere materno, dell’amore e della socievolezza delle donne. Sta per arrivare il tempo in cui la forza delle donne salverà il mondo. Disgraziatamente, oggi molte organizzazioni femminili pensano che il modo giusto per dimostrare la forza delle donne sia assumere una posizione di contrapposizione agli uomini. Il risultato è un ambiente di competizione e conflitto. Le organizzazioni femminili guidate da mia moglie, da parte loro, cercano di promuovere la pace sulla base del principio che le donne devono collaborare tra loro, prendere iniziative e sostenersi vicendevolmente, superando i limiti tradizionali di razza, cultura e religione, per creare famiglie sane che siano le pietre angolari della cultura della pace. Le associazioni con le quali lei opera non reclamano la liberazione del- le donne dagli uomini e dalle famiglie. Al contrario, esse incoraggiano le donne a sviluppare e mantenere famiglie piene d’amore. Il sogno di mia moglie è vedere tutte le donne allevate come vere figlie, con un cuore di devozione filiale capace di creare pace nelle case, nelle comu- nità, nelle nazioni e nel mondo. Il movimento femminile condotto da mia moglie ha come meta delle vere famiglie che siano la radice della pace in tutti i campi della vita.

234 Un’incomparabile bellezza interiore Capitolo 5 - L’amore della famiglia può cambiare il mondo

Durante uno dei periodi più intensi della mia attività pubblica, i no- stri figli dovettero rimanere quasi sei mesi lontano dai propri genitori. Rimasero a casa senza di noi, e di loro si occuparono dei membri della nostra chiesa. La nostra casa è sempre stata piena di membri. Per ogni pasto c’erano a tavola degli ospiti, che avevano la precedenza rispetto ai nostri figli. A causa di queste circostanze, i nostri ragazzi sono cresciuti con un senso di solitudine che i figli di altre famiglie non hanno sperimen- tato. Ancora peggiore è stata la sofferenza che hanno patito a causa del loro padre. Dovunque andassero venivano additati come i «figli di Sun Myung Moon, il capo della famosa setta». Questa sofferenza li ha condotti attraverso periodi di confusione e ribellione, ma sono sempre ritornati a casa. Non siamo stati nelle condizioni di sostenerli adegua- tamente come genitori, ma cinque di loro si sono laureati all’università di Harvard. Non potrei essere più riconoscente per il loro coraggio e i loro risultati. Adesso sono abbastanza maturi da aiutarmi nel mio la- voro, ma tuttora io sono per loro un padre severo. Ancora insegno loro come diventare persone che facciano più di me per servire il Cielo e vivere per il bene dell’umanità. Mia moglie è una donna incredibilmente forte, ma la morte del no- stro secondogenito, Heung Jin, è stata molto difficile. È successo nel dicembre del 1983. Lei era con me a Kwangju, in Corea, dove si stava svolgendo una manifestazione del programma «Vittoria sul comuni- smo». Fummo informati da una chiamata telefonica internazionale che Heung Jin era rimasto coinvolto in un incidente stradale ed era stato trasportato in ospedale. Prendemmo un volo il giorno successivo e andammo direttamente a New York. Trovammo Heung Jin in coma all’ospedale. Un camion che viaggiava a velocità eccessiva, lungo una strada in discesa, aveva tentato una frenata e aveva invaso la corsia di marcia opposta, dove stava procedendo la macchina guidata da mio figlio. Due dei suoi migliori amici erano nell’auto con lui. Heung Jin

Un’incomparabile bellezza interiore 235 Capitolo 5 - L’amore della famiglia può cambiare il mondo

sterzò verso destra, così da presentare all’impatto con il camion il lato del conducente. In questo modo, salvò la vita ai suoi due amici. Visitai il luogo, nei dintorni di casa nostra dove era avvenuto l’incidente e le strisce nere lasciate dagli pneumatici che scartavano sulla destra erano ancora visibili. Alla fine, Heung Jin andò in cielo il 2 gennaio, di prima mattina. Aveva compiuto diciassette anni il mese precedente. Non ci sono parole per descrivere il dolore di mia moglie nel dover lasciare che un figlio che aveva cresciuto con tanto amore andasse in cielo prima di lei. Nono- stante tutto, non poteva piangere. Era importante, anzi, che non ver- sasse neppure una lacrima. Noi siamo persone che conoscono il mondo dello spirito eterno. Lo spirito di un uomo non scompare come se fosse polvere solo perché finisce la vita fisica. L’anima ascende al mondo del- lo spirito. Come genitori, la sofferenza di sapere che non saremmo mai più stati in grado di vedere o toccare il nostro amato figlio in questo mondo era quasi insostenibile. Nonostante ciò, mia moglie non poteva piangere; poteva solo posare amorevolmente la mano sul carro funebre che portava il corpo di Heung Jin. Poco prima dell’incidente, avevamo fidanzato Heung Jin con Hoon Sook Pak, una studentessa di danza. Dovetti parlare con Hoon Sook della dipartita di Heung Jin da questo mondo e chiederle cosa volesse fare. Le dissi che non sarebbe stato facile né equo nei confronti dei suoi genitori, se lei avesse scelto di vivere da sola. Le suggerii di dimenticare la promessa che si erano scambiati. Ma Hoon Sook fu categorica: «So che il mondo dello spirito esiste - disse - per favore, lasciatemi vivere la mia vita con Heung Jin». Alla fine, Hoon Sook divenne la nostra nuora, cinquanta giorni dopo la dipartita di Heung Jin. Mia moglie e io non dimenticheremo mai la luminosità del suo sorriso mentre sorreggeva una foto di Heung Jin, per tutto il tempo della cerimonia di matrimonio. Si sarebbe potuto pensare che mia moglie sarebbe uscita distrutta dalle

236 Un’incomparabile bellezza interiore Capitolo 5 - L’amore della famiglia può cambiare il mondo difficili situazioni che ha dovuto fronteggiare, ma ha sempre saputo re- stare padrona di sé. Anche nelle circostanze più dure e insopportabili, mia moglie non ha mai perso il suo sorriso sereno. Ha superato sempre con successo le difficoltà più grandi della vita. Quando i membri della nostra chiesa chiedono il suo consiglio su come crescere i propri figli, lei dice: «Siate pazienti e aspettate. Le sbandate dei ragazzi sono solo temporanee. Non importa cosa stiano facendo, abbracciateli, amateli e aspettateli. I figli ritornano sempre all’amore dei loro genitori». Non ho mai alzato la voce con mia moglie. Non è stato per il mio carattere, ma perché lei non me ne ha mai dato motivo. Lungo tutto il corso della nostra vita insieme, lei si è impegnata per prendersi cura di me con devozione amorevole e totale. Lei si occupa anche dei miei capelli: quindi questa grande santa, sempre alle prese con tante im- portanti questioni mondiali, è anche il miglior barbiere del mondo. Ora che sono vecchio, le pongo tante nuove richieste e lei le esaudisce sempre. Se le chiedo di tagliarmi le unghie dei piedi lo fa con gioia. Le unghie sono le mie, ma io non ci vedo un granché e lei, invece, ci vede perfettamente. È una cosa curiosa. Più io divento vecchio, più mia moglie mi è preziosa.

Un’incomparabile bellezza interiore 237 Promesse che non devono mai essere infrante

urante le cerimonie di fidanzamento e di matrimonio chiedo agli sposi di farsi delle promesse che non dovranno mai es- sere infrante. Per prima cosa, marito e moglie devono sempre Davere fiducia l’uno nell’altra e amarsi. Secondo, non devono ferire il cuore del proprio compagno. Terzo, devono educare figli e nipoti a mantenere la purezza sessuale. Quarto, tutti i membri della famiglia devono aiutarsi e incoraggiarsi vicendevolmente a diventare una vera famiglia ideale. L’astinenza sessuale prima del matrimonio, così come la fedeltà nel matrimonio, sono estremamente importanti. Questo è l’insegnamento che io impartisco, affinché le persone vivano all’altezza del loro massimo potenziale di esseri umani, creando e mantenendo famiglie sane. Il matrimonio è ben più del semplice incontro di un uomo e una don- na. È una cerimonia preziosa, in cui gli sposi promettono di comple- tare l’opera di creazione di Dio. Il matrimonio è il percorso lungo il quale un uomo e una donna diventano un tutt’uno, creano nuova vita e realizzano il vero amore. Tramite il matrimonio si crea il mondo fu- turo: si formano le società, si costruiscono le nazioni. Il mondo di pace di Dio si realizza con le famiglie unite al centro. È nella famiglia che viene realizzato il Regno dei Cieli. Quindi mariti e mogli devono es- sere centri di pace. Non soltanto dev’esserci amore tra marito e moglie, ma la coppia dev’essere capace di portare armonia nella famiglia estesa. Non è sufficiente che marito e moglie vivano bene insieme nell’amore. Anche tutti i parenti devono amarsi tra loro. Io consiglio agli sposi di avere tanti figli. Mettere al mondo e far cre- scere tanti figli è la benedizione di Dio. È impensabile che gli esseri umani, applicando i propri criteri di giudizio, decidano arbitrariamente

238 Promesse che non devono mai essere infrante Capitolo 5 - L’amore della famiglia può cambiare il mondo di abortire vite preziose, affidate loro da Dio. Tutta la vita che nasce in questo mondo è l’incarnazione della volontà di Dio. Tutta la vita è nobile e preziosa, e perciò dev’essere curata e protetta. Naturalmente, la coppia sposata deve mantenere la fiducia reciproca e sviluppare l’amore. La promessa che sottolineo maggiormente, per le persone che si preparano al matrimonio, è l’impegno ad insegnare ai propri figli a mantenere la purezza sessuale. È una promessa ovvia, ma è diventata difficile da mantenere nella società d’oggi. Tuttavia, quanto peggiore diventa il mondo, tanto più è importante osservare stretta- mente la promessa della purezza sessuale. La perfezione degli esseri umani e la pace nel mondo si realizzano at- traverso la famiglia. La religione si pone l’obiettivo che tutti diventino persone buone, capaci di costituire un mondo ideale di pace. Per quan- to i politici possano ragionarne insieme, non saranno loro a costruire la pace. Un formidabile potenziale militare non porterà la pace. Il punto di partenza per la pace è la famiglia. Quando giunsi per la prima volta in America, nel 1971, il paese era spazzato dal vento del sesso libero e immorale e tutta la società era in preda alla confusione. Giovani cui era stata impartita una meravigliosa educazione venivano distrutti uno ad uno. La corruzione dei costu- mi sessuali era così profonda che stava diventando la norma. Il tasso d’incremento delle malattie trasmesse per via sessuale era alle stelle. I politici, i professori ed i ministri religiosi minimizzavano la gravità del problema. Ne erano a conoscenza, ma in gran parte lo ignoravano. Cercavano di distogliere lo sguardo da quella brutta realtà, perché loro stessi non avevano mantenuto la propria purezza sessuale. La gente che non pratica la purezza non può incitare i propri figli a viverla. Il degrado della moralità sessuale tra gli adulti distrugge le famiglie e conduce alla rovina i figli. L’immoralità e l’adulterio nella vita perso- nale degli adulti, alla fine, danneggiano la vita dei figli. Il motivo per cui la società di oggi non ha un livello di felicità consono alle attuali

Promesse che non devono mai essere infrante 239 Capitolo 5 - L’amore della famiglia può cambiare il mondo

disponibilità materiali è che le famiglie sono in via di dissoluzione. Per salvare le famiglie, gli adulti per primi devono vivere in modo appro- priato. Su questa base possono poi educare i figli alla purezza sessuale. La madre è la fortezza che protegge la famiglia. Non importa quanto la società possa cambiare, la famiglia rimane sana e armoniosa solamente se la madre ha un cuore di sacrificio e servizio. In una tale famiglia pos- sono crescere bellissimi figli. La parte più importante dell’educazione dei ragazzi è costituita da ciò che essi vedono e apprendono nella fa- miglia. Un granchio che si muove di lato non può dire ai suoi piccoli di camminare diritto. I genitori devono dare il buon esempio. I figli veri vengono da famiglie vere. La verità è sempre molto semplice. L’aspetto più difficile della vita familiare è la buona crescita dei figli. Li mettiamo al mondo e li alleviamo con tanto amore, ma non neces- sariamente loro crescono secondo le aspettative dei genitori. Quel che è peggio, è che la civiltà materialista di oggi devasta le menti innocen- ti dei ragazzi. Giovani che dovrebbero crescere in modo da diventare adulti capaci di fare cose straordinarie, si perdono con la droga. Lo stato psichico indotto dalle droghe induce chi le usa a perdere contatto con il proprio stesso spirito. I giovani che smarriscono il proprio spirito non possono far altro che precipitare, alla fine, nella criminalità e nella depravazione sessuale. Durante l’adolescenza, i figli ritengono che tutto debba essere incen- trato su loro stessi, perciò tendono a ribellarsi alle cose che vengono dette loro dai genitori. Se il genitore non risponde con un atteggia- mento comprensivo, c’è la possibilità che il figlio possa assumere un egocentrismo estremo. Sotto un altro profilo, un adolescente può essere profondamente in- fluenzato dalle cose che sembrano rivolgersi al suo cuore. Magari, in un giorno d’autunno, un ragazzo vede un frutto cadere da un albero che ha già perduto tutte le foglie e, senza che se lo sappia spiegare, avverte qualcosa che gli tocca il cuore, sorride e si sente felice. Questo è il se-

240 Promesse che non devono mai essere infrante Capitolo 5 - L’amore della famiglia può cambiare il mondo gno che il carattere originale di Dio abita nel suo cuore. Però, se i ragazzi sono coinvolti nei sentimenti dell’amore durante l’a- dolescenza, le loro percezioni potrebbero essere ottenebrate e le loro capacità di giudizio potrebbero diminuire. Quando un ragazzo ed una ragazza adolescenti s’incontrano e si mettono a parlare tra loro, il viso arrossisce e il battito del cuore cambia. Se in quel momento la loro mente non è in armonia con il modello di Dio, sicuramente devieranno nella direzione dell’egocentrismo e smarriranno gli strumenti necessari per controllare il loro corpo. Durante l’adolescenza, le cellule spalancano tutte le porte dell’amore, sia nel fisico che nello spirito. I desideri della nostra mente e quelli del nostro corpo sono strutturati per diventare un tutt’uno e operare di concerto tra loro. Quando acquisiamo il naso dell’amore, comincia- mo ad amare odori che prima odiavamo. Quando acquisiamo la bocca dell’amore, cominciamo ad amare i gusti che prima odiavamo. Voglia- mo ascoltare storie d’amore per tutta la notte. Vogliamo continuare a toccare la persona che amiamo. Gli adolescenti iniziano a credere che saranno felici semplicemente tuffandosi in una relazione d’amore. Le porte dell’amore, però, sono state fatte da Dio e non devono esse- re aperte prima del momento giusto. I ragazzi devono comprendere che occorre aspettare il tempo appropriato. I genitori devono insegna- re queste cose ai figli adolescenti con grande attenzione. L’amore è il processo attraverso il quale cresciamo fino a rassomigliare a Dio. Non importa ciò che il mondo dice, l’amore non può essere colto in qualun- que momento vogliamo. Durante l’adolescenza, un ragazzo può desiderare con tutte le forze di imitare quello che ha visto fare in un film d’avventura. Qualcu- no potrebbe chiedere: «Cosa c’è di sbagliato?». È sbagliato perché i comportamenti irresponsabili portano alla distruzione. I giovani pos- sono controllare ed esercitare in piena libertà le loro esperienze sociali e interpersonali solo una volta che siano divenuti maturi e abbiano

Promesse che non devono mai essere infrante 241 Capitolo 5 - L’amore della famiglia può cambiare il mondo

acquisito una saggezza e una conoscenza sufficienti, ma non durante l’adolescenza. Perché diciamo che non bisogna dare un coltello a un bambino? Per- ché un bambino giocherebbe con il coltello. Magari lui capisce come si usa il coltello per tagliare, ma non ne ha il controllo. Potrebbe finire per tagliare il dito della madre. Poiché i bambini non comprendono piena- mente le conseguenze di certe azioni non diamo loro i coltelli. La combinazione di genitori che non istruiscono i loro figli sul valore della purezza e figli che si ribellano ai loro genitori, produce famiglie spezzate. A causa di ciò, vengono infranti i legami sociali. A causa di ciò, le nazioni vanno in pezzi. A causa di ciò, l’umanità va in pezzi.

242 Promesse che non devono mai essere infrante Amare è dare e dimenticare

a famiglia è l’unica istituzione creata da Dio. È la scuola d’amo- re, dove la gente impara ad amare gli altri ed a vivere insieme in pace, ed è il centro d’addestramento in cui ci alleniamo a Lcostruire la pace che trasmetteremo al mondo. È nella famiglia che apprendiamo a diventare un marito o una moglie che vive per la felicità del coniuge, a diventare un marito o una moglie che cammina sul sen- tiero eterno dell’amore. La famiglia è il punto di partenza per giungere alla pace mondiale, e deve regnarvi un’armonia tale che i figli devono poter dire: «Non abbiamo mai visto mamma e papà litigare». Nella vita affrontiamo cose di ogni genere. Anche nella coppia che si ama di più ci possono essere momenti in cui si litiga, ci si arrabbia, si alza la voce. Quando i figli entrano nella stanza, però, tutto questo deve finire immediatamente. Per quanto uno dei coniugi possa essere infu- riato, deve rivolgersi all’altro tranquillamente quando sono presenti i figli. I bambini devono crescere nella convinzione che la loro famiglia trabocca di gioia e i loro genitori si amano sempre. I genitori sono per i figli come un secondo Dio. Se chiedete ai vostri bimbi: «A chi vuoi più bene: a Dio, o a mamma e papà?» e la risposta è che vogliono più bene a mamma e papà, vuol dire che vogliono bene anche a Dio. L’educazione più preziosa è quella che si riceve nella fa- miglia. Non troverete felicità e pace in qualche altro posto. La famiglia deve essere il Regno dei Cieli. Non ha importanza se una persona sia incredibilmente ricca e famosa o addirittura possieda il mondo intero, perché non potrà essere felice fin quando ci saranno problemi nella sua famiglia. Il Regno dei Cieli comincia nella famiglia. Un marito e una moglie uniti insieme nell’amore vero, che costruisco- no una famiglia ideale, saranno collegati direttamente con il mondo.

Amare è dare e dimenticare 243 Capitolo 5 - L’amore della famiglia può cambiare il mondo

Nel periodo in cui ero in prigione a Danbury vidi una cosa interes- sante. Stavamo utilizzando una ruspa per livellare una scarpata, dove avremmo ricavato un campo da tennis. Quando pioveva aspettavamo che smettesse e ricominciavamo col ritorno del sole. Quest’alternanza di lavori e di pause andò avanti per vari mesi. Avemmo un periodo di piogge, che durò venti giorni consecutivi, durante il quale non potem- mo lavorare. Quando la pioggia finì e uscimmo per riprendere l’opera, trovammo un uccello acquatico che aveva fatto il nido vicino a un ciuf- fo di piante acquatiche. Quel luogo distava pochi metri dal sentiero lungo il quale i prigionieri passeggiavano per sgranchirsi i muscoli. In un primo tempo non c’eravamo neppure accorti della presenza dell’uccello. Il mimetismo era perfetto e le piume del volatile poteva- no facilmente essere confuse con le piante acquatiche. Una volta però che ebbe deposto le uova, potemmo vedere l’uccello in mezzo all’erba accovacciato sulle sue uova, che avevano l’aspetto di ghiaia nera. Dopo la nascita dei pulcini, la madre andava in cerca di cibo, lo riportava al nido e lo infilava nel becco dei piccoli. Quando tornava con il cibo, però, la madre non volava mai direttamen- te verso il nido. Atterrava un po’ più distante e camminava per il resto del suo percorso. Ogni volta giungeva al nido da una direzione diversa. Si comportava saggiamente in questo modo per rendere più difficile agli estranei l’individuazione del punto dove si trovava la nidiata. Mangiando il cibo procurato dalla madre i pulcini si fecero grandi. A volte, quando un prigioniero si avvicinava al nido, la madre si alzava in volo e lo scacciava a colpi di becco. Aveva paura che quel prigioniero potesse fare del male ai suoi piccoli. Quell’uccello comprendeva il vero amore dei genitori. Nell’amore vero si è pronti a offrire la propria vita, senza fare alcun calcolo. Il cuore di quell’uccello, disposto a sacrificare la propria vita, se fosse stato neces- sario, per proteggere i suoi piccoli, era un cuore di amore vero. Un geni- tore è pronto, se c’è bisogno, a morire per amore, e questo è amore vero.

244 Amare è dare e dimenticare Capitolo 5 - L’amore della famiglia può cambiare il mondo

L’essenza dell’amore sta nel mettere da parte qualsiasi pensiero di pro- fittare degli altri; sta nel vivere per gli altri e donarsi per il bene col- lettivo. L’amore dà, ma poi dimentica persino di aver dato e continua a dare senza fermarsi mai. Questo è l’amore che dona con gioia. È il cuore che prova una madre, quando prende in braccio il suo bebè e lo allatta al seno. I genitori soffrono per i propri figli, fino al punto in cui sembra che consumino anche le proprie ossa, ma non pensano mai che il loro sia un compito ingrato. Questo è il grado del loro amore per i figli. L’amo- re vero comincia con Dio e ci arriva da Dio. Così, se i genitori dicono ai figli sposati: «Se vi piacete, è per la grazia dei vostri genitori», i figli devono poter rispondere: «Se voi non mi aveste trovato un coniuge così, non so come avrei fatto!1». La famiglia è un dono d’amore. Quando andiamo nel regno dei cieli e scartiamo quel dono, saltano fuori un padre e una madre meravigliosi. Saltano fuori dei figli bellissimi. Saltano fuori un nonno e una nonna benevoli. Questo è il dono d’amore. La famiglia è lo spazio in cui si realizza l’ideale di Dio e il posto dove assistiamo al compimento dell’o- pera di Dio. La volontà di Dio è realizzare un mondo in cui l’amore diventa realtà, e la famiglia è il luogo dove trabocca l’amore di Dio. Ci basta sentire la parola «famiglia» e già cominciamo a sorridere. Questo succede perché la famiglia è piena dell’amore vero, che vive veramente per il bene di tutti i suoi membri. L’amore vero dà amore, poi dimentica anche di aver dato, e poi dà ancora. L’amore dei genitori che vivono per i figli e dei nonni che vivono per i nipoti è amore vero. L’amore di una persona che offre la vita per il suo paese è amore vero.

1 Si riferisce all’usanza coreana secondo la quale i genitori scelgono i coniugi dei propri figli.

Amare è dare e dimenticare 245 Le famiglie di pace sono i mattoni con cui è costruito il Regno dei Cieli

olta gente, in Occidente, ha una vita davvero solitaria. I fi- gli vanno via di casa quando compiono diciotto anni e i genitori rivedono il loro viso solamente per il giorno del MRingraziamento o a Natale. Molti figli non fanno mai visita ai genitori, foss’anche soltanto per sapere come stanno. Una volta sposati, vivono con il proprio coniuge, separati dalla famiglia d’origine. Nel frattempo, i genitori invecchiano fino a non essere più autosufficienti e, a quel punto, si trasferiscono in una casa di riposo. È comprensibile, perciò, che alcuni Occidentali provino invidia per la cultura dell’Est. Molti anziani, all’Ovest, pensano: «In Oriente, i nonni vivono in casa come i membri più anziani della famiglia. È una cosa meravigliosa. I figli rispettano i loro vecchi genitori. La gente dovrebbe vivere in questo modo. Che senso ha essere abbandonato in un ospizio, non poter vedere i miei figli, non sapere neppure che giorno è, essere semplicemente mantenuto in vita?». Purtroppo, anche la struttura familiare dell’Est si sta gradualmente de- teriorando. Anche noi stiamo abbandonando tradizioni che ci sono state tramandate per migliaia di anni. Abbiamo buttato via il nostro abbigliamento tradizionale, la nostra cucina e la nostra struttura fa- miliare. Il numero dei pensionati che vivono soli in Corea sta aumen- tando. Ogni volta che leggo sui giornali storie di anziani che vivono soli, mi sento triste. Nella famiglia le generazioni dovrebbero vivere insieme. Se i membri della famiglia sono sparpagliati e i genitori sono lasciati soli, non c’è più una famiglia. Il sistema della famiglia estesa è una bella tradizione coreana. Io raccomando che tre generazioni vivano insieme come una sola fa- miglia. Faccio questo non semplicemente come modo per mantenere

246 Le famiglie di pace sono i mattoni con cui è costruito il Regno dei Cieli Capitolo 5 - L’amore della famiglia può cambiare il mondo la tradizione del nostro paese. Quando marito e moglie hanno un fi- glio, gli mettono a disposizione tutto quello che possono. C’è un limite, tuttavia, a quello che i genitori possono trasmettere ai figli. I genitori rappresentano il presente, i figli il futuro, i nonni il passato. Solo quan- do nonni, genitori e figli vivono insieme, i figli possono ereditare tutta la fortuna del passato e del presente. Amare e rispettare il nonno equivale a ereditare la storia del passato e imparare dal mondo del passato. I figli acquisiscono dai loro genitori la preziosa saggezza su come vivere nel presente, mentre i genitori si preparano al futuro amando i propri figli. I nonni sono nella posizione di rappresentare Dio. Un giovane, non importa quanto possa essere intelligente, non può conoscere tutti gli arcani di questo grande mondo. I giovani non possono conoscere tutti i diversi segreti della vita, che ci si svelano col passare degli anni. Que- sto è il motivo per cui il nonno rappresenta la storia della famiglia. Il nonno è un maestro prezioso che trasmette ai nipoti tutta la saggezza che ha acquisito attraverso le sue esperienze, accumulate nel corso della sua vita. Il nonno più vecchio del mondo è Dio. Così, una vita dedicata a ri- cevere l’amore del nonno e spesa per dare gioia al nonno, porta alla comprensione dell’amore di Dio e ispira al servizio di Dio. Abbiamo bisogno di mantenere questa tradizione, per aprire il deposito segreto del Regno di Dio e ricevere il Suo tesoro d’amore. Un popolo che ignorasse i suoi anziani rinnegherebbe il proprio carattere nazionale e ignorerebbe le proprie radici. Quando viene l’autunno, il castagno perde a poco a poco il suo umore e le foglie cominciano a ingiallire. Il riccio che protegge le castagne cade a terra ed anche il guscio che avvolge la castagna stessa si secca. Questo è il ciclo della vita. Lo stesso accade agli esseri umani. Nasciamo come bambini, cresciamo grazie all’amore dei nostri genitori, incontriamo un compagno meraviglioso e ci sposiamo. Tutto questo accade nella

Le famiglie di pace sono i mattoni con cui è costruito il Regno dei Cieli 247 Capitolo 5 - L’amore della famiglia può cambiare il mondo

catena della vita sulla base dell’amore. Alla fine, diventiamo come le castagne secche d’autunno: la natura segue il suo corso, ma mantiene il suo valore. Gli anziani non sono una categoria distinta di persone. Tut- ti diventiamo anziani. Non dobbiamo mancare di rispetto agli anziani, non importa quanto possano diventare svampiti. Dice un proverbio: «Quando c’è armonia nella famiglia si può fare qualsiasi cosa». Quando c’è pace nella famiglia, tutto va bene. Le fa- miglie di pace sono i mattoni con cui è costruito il Regno dei Cieli. La famiglia è mossa dalla forza dell’amore. Quando amiamo l’universo come amiamo le nostre famiglie, non c’è nulla che possa impedirci di arrivare dove vorremo. Dio esiste al centro dell’amore, come il Genito- re dell’intero universo. Questo è il motivo per cui l’amore nella famiglia si deve collegare direttamente a Dio. Quando la famiglia sarà completa nell’amore, sarà completo anche l’universo.

248 Le famiglie di pace sono i mattoni con cui è costruito il Regno dei Cieli Dieci anni di lacrime sciolgono il cuore di un suocero

on molto tempo fa, i giornali coreani riportarono la storia di una donna giapponese che viveva a Milyang, in Corea, che aveva ricevuto un riconoscimento come esempio di servizio Ne devozione alla famiglia. Gli articoli dicevano che quella donna era arrivata nel paese dopo aver sposato un coreano, che le era stato pre- sentato da un certo gruppo religioso, nonostante l’opposizione della famiglia di lui. La moglie giapponese si era presa cura con grande dedizione dei suoi suoceri coreani, l’uno molto anziano, l’altra disabile. La popolazione del luogo l’aveva segnalata perché il suo atteggiamento filiale fosse pre- miato, diceva l’articolo. La suocera era paralizzata dalla vita in giù ed era stata dichiarata dalle autorità sanitarie coreane invalida del secondo livello di gravità. Fin dal primo giorno di matrimonio, la nuora l’aveva trasportata in spalla, portandola in diversi ospedali per farla curare. Avendo dedicato così tanto tempo ai suoi suoceri, raramente aveva avuto l’occasione di andare a far visita alla propria famiglia in Giap- pone. Quando sentì dire che le sue azioni sarebbero state premiate, protestò, dicendo che stava facendo solamente ciò che era giusto. Questa nuora giapponese nelle cronache è Kazuko Yashima. È giunta in Corea a motivo di un matrimonio internazionale e interculturale della nostra chiesa. Nei nostri matrimoni, uomini e donne superano le differenze religiose, nazionali o razziali. Ci sono tanti giovani nelle campagne coreane che non riescono a trovare una sposa. Le donne che vengono in Corea con questi matrimoni internazionali e interculturali non pongono condizioni. Curano gli anziani suoceri, ispirano i mariti ad avere forza e speranza, crescono ed educano i figli. Vanno ad abitare nelle comunità rurali che i coreani hanno abbandonato a causa della

Dieci anni di lacrime sciolgono il cuore di un suocero 249 Capitolo 5 - L’amore della famiglia può cambiare il mondo

vita difficile che vi si conduce. Stanno facendo qualcosa di meraviglio- so e prezioso! Questo programma va avanti da più di trenta anni. Migliaia di donne di altri paesi si sono stabilite in Corea scegliendo questi matrimoni internazionali e interculturali. Nelle campagne coreane, dove i giovani sono partiti per le città e da tanto tempo non si è più sentito il pianto di un bambino, i vecchi sono entusiasti di vedere la nascita dei figli di queste coppie e trattano questi bambini come se fossero i loro nipoti. In una sola scuola elementare, nella provincia di Choong-cheong, più della metà degli ottanta scolari sono figli di coppie internazionali e interculturali sposatesi nella nostra chiesa. Il direttore ha detto che la scuola dovrà chiudere, se il numero degli studenti dovesse diminuire ancora. Così, egli prega tutti i giorni che i membri della nostra chie- sa non lascino la comunità. Oggi in Corea circa ventimila bambini di famiglie internazionali e interculturali sono iscritti alle varie scuole elementari sparse nella nazione. Tutti gli anni, con l’approssimarsi della data dell’anniversario dell’in- dipendenza della Corea dal Giappone, i notiziari televisivi riportano storie di qualche ospite giapponese, che davanti alle telecamere chiede scusa per gli atti esecrabili, compiuti dai suoi connazionali in Corea durante il periodo dell’occupazione1. Queste persone non hanno com- messo alcuno di quei crimini, ma si rammaricano per il comportamen- to dei loro antenati. La maggior parte di loro sono membri della nostra chiesa, che hanno demolito le barriere che separano le nazioni attra- verso i matrimoni internazionali e interculturali. Grazie alla loro ope-

1 L’occupazione giapponese, durata quaranta anni, fu segnata da episodi di crudeltà sen- za pari. Ciò può spiegare il risentimento dei coreani nei confronti dei giapponesi nei primi decenni dopo la seconda guerra mondiale, ma per noi occidentali può sembrare eccessivo il perdurare di questo sentimento a distanza di sessantacinque anni. Questo fatto può essere capito solo comprendendo la continuità che gli orientali sentono con i propri antenati: le ferite inferte al proprio padre o al proprio nonno sono ferite che un coreano sente sulla propria pelle.

250 Dieci anni di lacrime sciolgono il cuore di un suocero Capitolo 5 - L’amore della famiglia può cambiare il mondo ra, i muri nel cuore dei Coreani, che considerano i Giapponesi come nemici, stanno crollando sempre più rapidamente. Nel 1988, un uomo giovane e beneducato che si era unito alla nostra chiesa voleva sposarsi e fu fidanzato con una donna giapponese. Il pa- dre di quel giovane reagì molto negativamente al fidanzamento: «Di tutte le donne che ci sono al mondo, devi sposare proprio una Giappo- nese?» gli disse. Durante l’occupazione nipponica, suo padre era stato uno di quei Coreani precettati per i lavori forzati. Era stato condotto in una miniera di carbone nella prefettura di Iwate, nel Giappone nord- orientale, ma era evaso dalla miniera rischiando la vita, ed era fuggito a piedi per più di un mese, finché era arrivato a Shimonoseki; da lì si era imbarcato su una nave per la Corea. Serbava un odio tremendo per il Giappone. Alla notizia del fidanzamento di suo figlio con una donna giapponese aveva minacciato di rinnegarlo. «Tu tradisci la tua famiglia – gli disse – e cancellerò il tuo nome dal nostro registro2. Nessuna donna di quel paese nemico metterà mai piede in questa casa, così prendila e vattene. Lei non va bene per te, perciò non m’importa dove andrai o se morirai». Il padre era irremovi- bile, ma il giovane andò avanti nel suo proposito e fece quello che gli sembrava giusto. Sposò la donna giapponese e la portò nel suo paese natale, a Nagan. Suo padre rifiutò di riceverli. Qualche tempo dopo, accettò con riluttanza il matrimonio, ma continuò a perseguitare la nuora. Ogniqualvolta gli sembrava che lei avesse qualche difficoltà, le diceva: «Questo è niente, a confronto di ciò che il tuo popolo mi ha fatto. Avresti dovuto aspettartelo, quando hai deciso di sposarti con uno della nostra famiglia». Tutte le volte che i parenti si riunivano per una festa, il suocero la fa- ceva sedere accanto a lui e le raccontava tutto quello che aveva patito nella miniera di carbone di Iwate. Tutte le volte, la nuora gli risponde-

2 Si riferisce alla tradizione coreana di trascrivere e tramandare di generazione in gene- razione, come cosa preziosa, l’albero genealogico della propria famiglia.

Dieci anni di lacrime sciolgono il cuore di un suocero 251 Capitolo 5 - L’amore della famiglia può cambiare il mondo

va: «Papà, ti chiedo scusa da parte del Giappone. Mi dispiace». Pian- geva e chiedeva il suo perdono. Per tutto il tempo che lui si sfogava, lei lo ascoltava ripetere le stesse storie, più e più volte, fino alla fine, e continuava a chiedere scusa. Questa situazione andò avanti per circa dieci anni, poi finì. I familiari notarono che aveva abbandonato la sua freddezza nei confronti della nuora. Sembrava, addirittura, che gli fos- se quasi diventata simpatica. Così gli chiesero: «Perché sei così gentile con la tua nuora? È una donna giapponese. Non la odi più?». L’uomo rispose: «No, non la odio più. Tutto l’odio che era accumulato nel mio cuore è sparito». «In realtà non l’ho mai odiata – aggiunse – ma ho sfogato su di lei tutto l’odio che avevo nutrito per essere stato costretto a lavorare nella miniera. Grazie a lei, tutto quell’odio è scomparso. Da ora in poi sarò sempre gentile con lei, perché è la mia nuora». L’atteggiamento della donna aveva sciolto il suo risentimento contro i Giapponesi. Questo è un esempio del corso di redenzione che porterà l’umanità a vivere in un mondo di pace.

252 Dieci anni di lacrime sciolgono il cuore di un suocero Il vero significato del matrimonio

matrimoni internazionali e interculturali costituiscono il modo più veloce per costruire un mondo ideale di pace. Tramite questo tipo di matrimoni, dei cambiamenti che sembrerebbero richiedere un’e- Iternità possono compiersi in appena due o tre generazioni. Le persone dovrebbero cercare il proprio coniuge oltre i propri confini nazionali e culturali, e sposare qualcuno che provenga da un paese che considerano nemico, in modo che il mondo della pace possa realizzarsi molto più in fretta. Qualcuno potrebbe odiare la gente di un certo paese o di una certa cultura al punto di non volerla nemmeno guardare; scegliendo però qualcuno di quel paese come proprio coniuge, quella persona è già a metà del cammino per diventare un cittadino del nuovo paese. Tutto l’odio quindi si scioglie. Se questo passaggio si ripete per due o tre ge- nerazioni, si possono eliminare le radici dell’odio. Bianchi e neri si sposeranno tra loro; dei giapponesi sposeranno dei coreani e degli africani. Molti milioni di persone stanno partecipando a questi matrimoni internazionali e interculturali. Come risultato, si sta creando una stirpe completamente nuova. Sta nascendo un nuovo tipo di essere umano che trascende il bianco, il nero e il giallo. Non mi riferisco soltanto ai matrimoni che scavalcano i confini inter- nazionali. Lo stesso accade quando si sposano persone di diverse reli- gioni o confessioni. In effetti, le unioni tra persone di religioni diverse sono anche più difficili di quelle internazionali. Due gruppi religiosi che si sono combattuti per secoli possono trovare armonia attraverso i matrimoni tra i seguaci dell’uno e dell’altro. In una coppia del genere, un coniuge non si chiuderà verso l’altro solamente perché è stato edu- cato in una tradizione culturale differente.

Il vero significato del matrimonio 253 Capitolo 5 - L’amore della famiglia può cambiare il mondo

È estremamente importante far capire ai giovani la santità e il valore del matrimonio. La Corea oggi ha un tasso di natalità tra i più bassi del mondo. Non avere figli è pericoloso. Non c’è futuro per un paese che non ha discendenti. Io insegno ai giovani a restare puri durante la gio- vinezza, a ricevere la benedizione in matrimonio e poi ad avere almeno tre figli. I figli sono benedizioni dateci da Dio. Quando generiamo ed educhiamo i figli, formiamo dei cittadini del Regno dei Cieli. Per questo motivo è un grave peccato vivere nell’immoralità ed abortire dei figli concepiti in questo stile di vita. Tutti noi ci sposiamo per il bene del nostro partner e non per noi stessi. Quando cerchiamo il nostro coniuge, è sbagliato cercare soltanto una persona bella o benestante. Gli esseri umani devono vivere ciascuno per il bene degli altri. Dobbiamo applicare questo principio anche al matrimonio. Non importa quanto il vostro futuro coniuge sia bruttino e poco istruito, dovete sposarlo con il cuore di amarlo più di quanto lo amereste se fosse bello e istruito. L’amore di Dio è la più preziosa di tutte le benedizioni. Nel matri- monio, riceviamo quella benedizione d’amore e la mettiamo in pra- tica nella nostra vita. Dobbiamo comprendere il significato prezioso dell’amore, mantenere la nostra vita matrimoniale nel contesto del vero amore e stabilire famiglie vere. Se guardiamo le cose da questo punto di vista, la realizzazione della pace mondiale non è un impegno così impossibile: la pace mondiale inizia da famiglie di pace che creano delle società pacifiche ed elimi- nano i conflitti tra le nazioni; è questo che porterà la pace mondia- le. Questo esempio dimostra l’importanza di avere famiglie integre e l’immensa responsabilità che quelle famiglie hanno su di sé. Il pensiero del tipo «a me basta che io e la mia famiglia viviamo bene» mi è com- pletamente estraneo. Il matrimonio non è una cosa che coinvolge soltanto gli sposi. Il ma- trimonio crea una relazione tra due famiglie e porta riconciliazione

254 Il vero significato del matrimonio Capitolo 5 - L’amore della famiglia può cambiare il mondo tra clan e Paesi. Ciascuno dei due accetta la cultura diversa dell’altro e supera il risentimento e l’odio accumulati nei secoli. I matrimoni tra Coreani e Giapponesi contribuiscono alla riconciliazione tra queste due nazioni; i matrimoni tra bianchi e neri contribuiscono alla ricon- ciliazione tra le razze. I figli che nascono da questi matrimoni rap- presentano l’armonia, perché ereditano la discendenza di due razze; rappresentano l’inizio di un’umanità che trascende le razze. Se questo processo continuerà per alcune generazioni, la divisione e l’ostilità tra nazioni, razze e religioni scompariranno e l’umanità diventerà un’unica famiglia che vivrà in un mondo pacifico. Negli anni più recenti, sempre più coreani stanno sposando degli stra- nieri e vediamo più famiglie formate da persone di nazionalità e reli- gione diversa. I coreani hanno anche coniato una frase apposita, che sta a indicare le famiglie multiculturali. Non è facile, per un uomo e una donna vissuti in culture diverse, creare una famiglia e amarsi l’un l’altra. Specialmente in Corea, dove tradizionalmente c’è sempre stata una cultura omogenea, le persone unite in questi matrimoni devono fare maggiori sforzi per comprendersi e amarsi l’un l’altra. La ragione del successo dei nostri membri che formano matrimoni internazionali e interculturali sta nel loro vivere insieme con Dio al centro. Vari istituti di assistenza sociale coreani cercano di agevolare il succes- so delle famiglie multiculturali, offrendo programmi d’insegnamento di lingua e cultura coreana. Tutto questo risulta inutile, però, finché non cambia il nostro concetto di matrimonio. Chiunque pensi: «Per- ché ho sposato questa persona? Se non lo avessi fatto, avrei avuto una vita migliore», sta ponendo le basi per un matrimonio che diventerà infernale. Giungere a una corretta comprensione del matrimonio è più importante che apprendere la lingua e la cultura della Corea. Il matrimonio non è la questione banale di un uomo e una donna in età da matrimonio che s’incontrano e cominciano a vivere insieme. Il matrimonio si costruisce sulla fondazione del sacrificio. L’uomo deve

Il vero significato del matrimonio 255 Capitolo 5 - L’amore della famiglia può cambiare il mondo

vivere per la donna e la donna per l’uomo. Continuando a vivere per il bene del vostro coniuge, la vostra mente egoista scomparirà comple- tamente. Il cuore che si sacrifica in questo modo è il cuore dell’amore. L’amore non è quello di un uomo e una donna che stanno bene e se la spassano insieme. Amare significa offrire la propria vita. Quando vi sposate, dovete farlo sulla base della determinazione che la vostra vita sarà dedicata al vostro coniuge.

256 Il vero significato del matrimonio L’amore vero si trova nelle famiglie vere

er quanto un uomo e una donna possano amarsi, una famiglia completa e felice deve avere dei genitori che facciano da scudo protettivo al nucleo familiare, e dev’esserci almeno un figlio che Pi genitori possano amare. Una famiglia protetta diventa un nido di felicità. Anche una persona di grande successo nella società avrà una famiglia infelice, se verrà a mancare questa protezione. La base dell’amore è il cuore che sacrifica ogni cosa per il bene dell’al- tro. L’amore dei genitori è un amore vero, perché i genitori sono pronti a offrire tutto ai propri figli e, quando hanno dato tutto, vogliono dare ancora di più. I genitori che amano i propri figli non ricordano nem- meno quello che hanno dato. Nessun genitore tiene una nota delle scarpe o dei vestiti comprati ai figli, per dire: «Mi sei costato questi soldi». Al contrario, un genitore dà tutto quello che ha e dice: «Avrei voluto fare di più per te, e mi dispiace perché non ho potuto». Da bambino, seguivo mio padre quando andava ad accudire le sue ar- nie e osservavo con attenzione il comportamento delle api. Quando un’ape, volando sopra un giardino fiorito individua un fiore fragrante, vi si posa fermamente con le zampe. Subito dopo, vi pianta il «naso» in profondità, cosicché mentre ne succhia il nettare il suo addome punta verso l’alto. Se prendete l’ape dall’addome, quella non molla la presa. A rischio della sua vita, l’ape resta attaccata al fiore. L’amore dei genitori che si occupano della propria famiglia ricorda l’ape aggrappata al fiore. Dovesse anche rimetterci la vita, un genitore non spezzerà mai il legame d’amore che lo lega al figlio. I genitori dedicano la propria esistenza al bene del figlio per poi dimenticare di averlo fatto. Questo è l’amore vero dei genitori. Non importa quanto il cammino possa essere lungo e pericoloso, il genitore sarà felice di

L’amore vero si trova nelle famiglie vere 257 Capitolo 5 - L’amore della famiglia può cambiare il mondo

percorrerlo. L’amore dei genitori è il più grande che ci sia al mondo. Un uomo potrebbe vivere in una casa meravigliosa e mangiare specia- lità di monti lontani e di mari esotici, ma se non avesse i genitori ci sarebbe un buco enorme nel suo cuore. Una persona cresciuta senza ricevere l’amore dei genitori ha nel cuore una solitudine e un vuoto che non possono essere riempiti da nient’altro. La famiglia è il luogo dove riceviamo e apprendiamo l’amore vero. I figli che da giovani non ricevono amore vero, trascorrono tutta la vita affamati d’amore e sofferenti nei sentimenti. Inoltre, non hanno la pos- sibilità di imparare quali siano gli imperativi morali più elevati cui de- vono adempiere per il bene della famiglia e della società. L’amore vero è un valore che non può essere assimilato in nessun altro posto, se non nella famiglia. Una famiglia vera è un luogo dove marito e moglie si amano e vivono uno per il bene dell’altra, come se il coniuge fosse la madre, il padre, il fratello o la sorella. È un luogo dove il marito ama la moglie allo stesso modo in cui ama Dio e la moglie rispetta il marito allo stesso modo in cui rispetta Dio. Non possiamo abbandonare i nostri fratelli, non importa quali difficoltà possiamo incontrare. Allo stesso modo, non possiamo abbandonare nostra madre. Il termine «divorzio» non dovrebbe neanche esistere. Il marito è nella posizione di un padre o di un fratello maggiore nei confronti della moglie. Proprio come non abbandonerebbe mai il padre o il fratello, la moglie non può abbandonare suo marito. Ugualmente, il marito non può abbandonare sua moglie. La famiglia vera è il posto in cui ciascuno dei coniugi è consapevole del valore assoluto dell’altro. Non ha impor- tanza se il marito e la moglie provengono da razze o tradizioni culturali diverse. Una volta che avranno formato una famiglia basata sull’amore ricevuto da Dio, non potranno esserci conflitti culturali tra i figli nati in quella famiglia. Quei figli ameranno e apprezzeranno la cultura e la tradizione del pa-

258 L’amore vero si trova nelle famiglie vere Capitolo 5 - L’amore della famiglia può cambiare il mondo ese della madre e di quello del padre, con lo stesso amore che nutrono per ciascuno dei genitori. Per risolvere i conflitti nelle famiglie multi- culturali, non c’è bisogno di acquisire conoscenze particolari. L’impor- tante, invece, è che in queste famiglie i genitori allevino i figli nell’amo- re vero. L’amore dei genitori imbeve la carne e le ossa dei figli e diventa il fertilizzante che mette in condizione i figli di accettare il paese della madre e quello del padre come un tutt’uno e diventare meravigliosi cittadini del mondo. La famiglia è la scuola dove s’insegna e s’impara l’amore per l’umanità. Quando i figli che sono stati cresciuti nel calore dell’amore dei loro ge- nitori vanno nel mondo, si preoccupano della gente che è nel bisogno, come hanno imparato a fare nella loro casa. Coloro che sono cresciuti in una relazione amorevole con i fratelli e le sorelle, vanno nella società e condividono il loro cuore amorevole con il proprio prossimo. Coloro che sono cresciuti nell’amore vedono in ogni persona che incontrano nel mondo un membro della propria famiglia. Il punto di partenza per una famiglia vera è il cuore d’amore che considera ed accoglie in casa degli estranei come se fossero persone di famiglia. Un’altra ragione per cui la famiglia è importante, è che essa si espande per diventare il mondo. Una famiglia vera è la base per la formazione di una società vera, di una nazione vera e di un mondo vero. È la base di partenza verso un mondo di pace, che è il regno di Dio. I genitori s’impegneranno per i loro figli finché le proprie ossa non si saranno consumate. Non si limiteranno, comunque, a dare da mangiare ai loro figli. Chi ha un cuore che trabocca d’amore è capace di lavorare per gli altri e per Dio. È nella famiglia che riceviamo così tanto amore, che questo traboc- ca dal nostro cuore. La famiglia protegge nel suo abbraccio i propri membri, ma non impedisce che l’amore si propaghi al di fuori di essa. In effetti, l’amore che fluisce nella famiglia deve trasmettersi alla co- munità circostante. Non importa quanto ne possa traboccare, l’amore

L’amore vero si trova nelle famiglie vere 259 Capitolo 5 - L’amore della famiglia può cambiare il mondo

nella famiglia non s’inaridisce mai perché proviene da Dio. L’amore che riceviamo da Dio è fatto in modo che, per quanto continuiamo ad attingervi, non arriviamo mai al fondo. Al contrario, più vi attingiamo, più l’amore sgorga come pura acqua di sorgente. Chiunque sia cresciu- to in quest’amore può condurre una vita vera.

260 L’amore vero si trova nelle famiglie vere Lasciare un’eredità d’amore

a vita vera è quella in cui abbandoniamo i nostri desideri perso- nali e viviamo per il bene degli altri. Questa è una verità inse- gnata da tutti i maggiori fondatori delle religioni del passato e Ldel presente, a cominciare da Gesù, Buddha o dal profeta Maometto. È una verità generalmente riconosciuta ma che, purtroppo, sembra es- sersi svalutata. Il passare del tempo o i cambiamenti nel mondo non possono sminuire il valore di questa verità, perché l’essenza della vita umana non cambia mai, neppure nel mezzo della rapida trasformazio- ne che coinvolge tutta l’umanità. Il maestro col quale abbiamo la relazione più stretta è il nostro cuore. Quest’ultimo è quindi più prezioso dei nostri amici più cari e anche più prezioso dei nostri genitori. Così, nel corso della nostra vita, dob- biamo di volta in volta chiedere al nostro cuore: «Sto vivendo una buo- na vita adesso?»; chiunque può sentire la sua voce. Chi si rende conto che il cuore è il suo signore, lo «lustra» e mantiene per tutta la vita una stretta relazione con lui. Se qualcuno sente il proprio cuore che piange e si dispera, deve interrompere immediatamente qualsiasi cosa stia fa- cendo: tutto ciò che fa soffrire il suo cuore lo porterà alla rovina; tutto ciò che lo fa intristire alla fine lo farà precipitare nella tristezza. Per lustrare il nostro cuore fino a farlo diventare terso come un dia- mante, dobbiamo assolutamente passare del tempo a conversare di- rettamente con lui, in un ambiente nel quale ci separiamo dal mondo e restiamo soli con lui. Quello sarà un tempo di profonda solitudine, ma il momento in cui ci accostiamo al nostro cuore è il tempo della preghiera e della meditazione. È un tempo in cui ne acquisiamo la padronanza. Quando ci isoliamo dal rumore che ci circonda e lasciamo calmare i nostri pensieri, possiamo vedere nei suoi recessi più profondi.

Lasciare un’eredità d’amore 261 Capitolo 5 - L’amore della famiglia può cambiare il mondo

Ci vorrà tanto tempo e fatica per arrivare tanto in profondità; non ci arriveremo in un giorno solo. Proprio come l’amore non è destinato a noi stessi, così la felicità e la pace non sono per noi stessi. Proprio come non può mai esserci amore senza un compagno, felicità e pace non possono esistere senza un compagno. Tutte queste cose possono esistere soltanto nel contesto della relazione con una controparte. Non si può fare nulla amando da soli. Non possiamo essere felici da soli o parlare di pace da soli. Poiché il nostro partner ci mette nelle condizioni di avere felicità e pace, il nostro partner è più importante di noi stessi. Immaginate una mamma col suo bambino in braccio, che vende spun- tini fatti in casa alla gente che passa, ad un ingresso della metropolitana di Seul. Per essere in quella postazione per l’ora di punta del matti- no, ha passato tutta la notte a preparare gli spuntini, poi si è caricata in spalla il bambino ancora addormentato per giungere in tempo alla stazione. Le persone di passaggio potrebbero dire: «Te la passeresti meglio se solo non avessi quel bambino di cui curarti», ma è per amore di quel bambino che la mamma vive la sua vita. L’aspettativa di vita delle persone è oggi di circa ottanta anni. Ottanta anni di gioia, rabbia, dolore, felicità, con tutte le altre emozioni mesco- late insieme, possono sembrare tanti. Ma una volta che sottraiamo il tempo trascorso a dormire, lavorare e mangiare, e poi quello che si pas- sa parlando, ridendo, divertendosi con i parenti e gli amici, assistendo a matrimoni e funerali, e anche quello che trascorriamo a letto ammalati, resta soltanto qualcosa come sette anni. Una persona può vivere ot- tant’anni, ma ne passerà solo sette a vivere per il bene degli altri. La vita è come un elastico. Gli stessi sette anni, dati a due persone di- verse, possono essere spesi come sette o come settanta anni. Il tempo, di per sé, è vuoto. Dobbiamo riempirlo di cose. Lo stesso accade con la vita della gente. Ciascuno desidera avere un posto comodo per dor- mire e del buon cibo da mangiare. Tuttavia, mangiare e dormire sono

262 Lasciare un’eredità d’amore Capitolo 5 - L’amore della famiglia può cambiare il mondo semplicemente dei modi per lasciar sfuggire il tempo. Una volta che l’uomo ha concluso la sua vita e il suo corpo è messo a riposare sotto terra, tutta la ricchezza e la gloria scompaiono in un attimo, come una bolla di sapone. Solo i sette anni vissuti per il bene degli altri rimarran- no e saranno ricordati dai posteri. Quei sette anni sono l’impronta che rimane nel mondo di una vita durata ottant’anni. Noi non veniamo in questo mondo, né ce ne andiamo, per nostra de- cisione. Non abbiamo la capacità di fare alcuna scelta, quando si tratta del nostro fato. Nasciamo, anche se non abbiamo scelto noi di nascere. Viviamo, anche se non abbiamo scelto noi di vivere. Moriamo, anche se non abbiamo scelto noi di morire. Non abbiamo autorità su questi aspetti della nostra vita, perciò come possiamo vantarci di essere in qualche modo migliori degli altri? Non possiamo nascere per nostra volontà, possedere cose che saranno nostre per sempre, o sfuggire alla morte. Così, qualsiasi vanagloria da parte nostra risulta semplicemente patetica. Anche se ci eleviamo in una posizione più alta rispetto agli altri, si tratta di un onore temporaneo. Anche se mettiamo insieme proprietà più ampie rispetto agli altri, dobbiamo lasciarcele alle spalle quando varchiamo il cancello della morte. Denaro, onore e conoscenza ci sfug- giranno via col tempo e tutto scomparirà col passare degli anni. Per quanto un uomo possa essere nobile e grande, la sua non è altro che una vita miserabile, destinata a concludersi nel momento in cui gli verranno meno le forze. Gli uomini si sono sempre sforzati di comprendere chi fossero e per- ché vivessero. Dobbiamo renderci conto che, così come non siamo nati per nostra decisione, allo stesso modo non siamo destinati a vivere per noi stessi. La risposta all’interrogativo su come dobbiamo condurre la nostra vita, è semplice. Siamo nati dall’amore, così dobbiamo vivere percorrendo la strada dell’amore. La nostra vita è stata creata quando abbiamo ricevuto l’amore infinito dei nostri genitori, perciò dobbiamo

Lasciare un’eredità d’amore 263 Capitolo 5 - L’amore della famiglia può cambiare il mondo

dedicare tutta la vita a ripagare quell’amore. Questo è l’unico valore, nel nostro percorso, che possiamo liberamente scegliere. Il successo o il fallimento delle nostre vite dipenderà da quanto amore saremo in grado di condensare in quegli ottant’anni che ci sono stati concessi. Ad un certo punto, ciascuno di noi abbandonerà il proprio corpo fisico come un vestito vecchio e morirà. In lingua coreana, un’espressione usata comunemente per indicare la morte è «ritornare». Ritornare si- gnifica andare indietro fino al punto da cui siamo partiti, cioè riandare alle nostre radici primarie. Nell’universo ogni cosa si muove in cicli. La neve bianca che si de- posita sulle montagne si scioglie e scorre giù per i pendii, formando dapprima ruscelli che poi confluiscono in un fiume e alla fine arrivano al mare. L’acqua raccolta nell’oceano assorbe il calore dei raggi solari, si trasforma in vapore acqueo, sale in cielo e si prepara a trasformarsi in fiocchi di neve o gocce di pioggia. Ritornare al nostro luogo d’origine in questo modo è quello che chiamiamo morte. Insomma, dov’è che ritorniamo, come esseri umani, quando moriamo? Il corpo e il cuore1 si uniscono per dare inizio alla vita umana, mentre la morte è l’atto di abbandonare il nostro corpo. Così, ritorniamo al posto da cui è venuto il cuore. Non si può parlare della vita senza parlare anche della morte. Dobbia- mo comprendere esattamente cosa sia la morte, anche se lo facciamo soltanto per comprendere lo scopo della vita. Il tipo di vita che ha veramente valore può essere compreso soltanto da chi si trovi in una situazione tanto difficile che la morte gli sembri imminente, e implori disperatamente il Cielo perché gli sia concesso di vivere anche soltanto un giorno in più. Se i nostri giorni sono così preziosi, come dobbiamo viverli? Quali sono le cose che dobbiamo completare prima di attraversare la linea

1 In questo caso «cuore» ha ovviamente il significato di «spirito». Nella visione del Rev. Moon il «cuore» è il sentimento, l’aspetto centrale del nostro spirito.

264 Lasciare un’eredità d’amore Capitolo 5 - L’amore della famiglia può cambiare il mondo di confine della morte? La più importante è non commettere peccato e vivere una vita priva di ombre. Ci sono tante discussioni religiose e filosofiche su cosa costituisca peccato, ma ciò che è chiaro è che non dobbiamo compiere azioni che ci provochino rimorsi di coscienza. Quando facciamo qualcosa che ci procura rimorso, rimane sempre un’ombra nel nostro cuore. La seconda, in ordine d’importanza, è determinarsi a fare più di quanto abbiano fatto altri. La nostra vita è limitata, che si tratti di sessant’anni, settant’anni o un diverso arco temporale. A seconda di come usiamo il nostro tempo, possiamo avere una vita due o tre volte più abbondante di quella degli altri. Se suddividete il vostro tempo in segmenti e vivete significativamen- te ognuno di essi, la vostra vita diventa davvero preziosa. Vivete con un atteggiamento di devozione e diligenza, dicendo a voi stessi, per esempio, che pianterete due o tre alberi nello stesso tempo che gli altri impiegano per piantarne uno. Non vivete per voi stessi. Non dovete vivere per voi stessi ma per gli altri; per la comunità più che per la vostra famiglia; per il mondo più che per la vostra nazione. Tutto il peccato del mondo viene commesso quando l’individuo è messo al primo posto. I desideri e le ambizioni personali danneggiano chi sta vicino a quella persona e rovinano la società in generale. Tutto ciò che abbiamo al mondo, alla fine, passerà. I genitori che amia- mo, il marito o la moglie che amiamo, i figli che amiamo, tutti se ne an- dranno. Quello che ci resterà, alla fine della nostra vita, sarà solamente la morte. Quando un uomo muore, resta solo ciò che lascia in eredità. Per favore, riflettete un momento su ciò che potete fare per dimostrare che la vostra è stata una vita di valore. Le proprietà e la posizione so- ciale che avrete accumulato durante la vostra vita svaniranno. Una volta che passerete il guado della morte, queste cose non avranno significato. Poiché siamo nati nell’amore e abbiamo vissuto nell’amore, l’amore

Lasciare un’eredità d’amore 265 Capitolo 5 - L’amore della famiglia può cambiare il mondo

stesso è l’unica cosa che rimarrà con noi quando saremo nella tomba. Noi riceviamo la vita nell’amore, viviamo condividendo l’amore e ri- torniamo nel mezzo dell’amore. È importante che viviamo in modo da poter lasciare dietro di noi un’eredità d’amore.

266 Lasciare un’eredità d’amore Capitolo 6

È l’amore che porterà l’unificazione

La forza della religione volge la gente verso il bene

l 2 agosto 1990, il presidente iracheno Saddam Hussein invase il Kuwait, facendo scoppiare la guerra nel Golfo Persico. Da tempo quell’area era una polveriera e sentivo che il mondo stava andando Iverso una guerra. Giunsi alla conclusione che i leader cristiani e musul- mani avrebbero dovuto incontrarsi per porre fine al conflitto. Mi misi rapidamente in azione per fare tutto quello che era nelle mie possibili- tà, per fermare una guerra in cui sicuramente sarebbero morte persone innocenti. Il 2 ottobre convocai con brevissimo preavviso una riunione d’emer- genza del Consiglio delle Religioni del Mondo al Cairo, in Egitto, per presentare il mio urgente messaggio di pace alle più alte autorità spirituali del Medio Oriente e del mondo islamico. Molti si chiesero perché proprio io, una persona senza alcun apparente legame con il Medio Oriente, avessi organizzato un simile incontro. Per me la que- stione è semplice: credo che tutte le religioni debbano contribuire alla pace mondiale. Un conflitto tra il Cristianesimo e l’Islam sarebbe deci- samente peggiore di quello tra la democrazia e il comunismo. Non c’è niente di più spaventoso della guerra di religione. Mandai un messaggio, supplicando il presidente George H. W. Bush, che stava già cercando di circoscrivere il conflitto, affinché evitasse un’azione di guerra nel mondo arabo e operasse invece per ottenere la ritirata di Saddam Hussein con mezzi diplomatici. Il Presidente Bush magari pensava di fare guerra al solo Iraq, ma la cosa non sarebbe stata interpretata in questo modo nel mondo islamico. Per i Musulmani, la religione è in una posizione più elevata rispetto alla nazione o allo stato. Ero veramente preoccupato che, se l’Iraq fosse stato attaccato, il mondo arabo si sarebbe potuto coalizzare per contrastare gli Stati

La forza della religione volge la gente verso il bene 269 Capitolo 6 - È l’amore che porterà l’unificazione

Uniti e il mondo cristiano. La nostra riunione d’emergenza al Cairo coinvolse importanti capi islamici di nove paesi, e tra essi i gran muftì di Siria e Yemen. Il fulcro della riunione era il mio appello disperato al mondo arabo e islamico perché respingesse la tesi di Saddam Hussein, secondo il quale ci si trovava di fronte a una guerra santa. Sia che avessero prevalso gli Stati Uniti, sia che avesse prevalso l’Iraq, cosa ne sarebbe venuto di buono? A che sarebbe valso, se ciò avesse implicato una pioggia di bombe e la distruzione di case, scuole e preziose, innocenti vite umane? La conferenza del Cairo è stata una soltanto delle tante nostre attività di pace. Ogni volta che è insorta una crisi nel Medio Oriente, i nostri membri hanno lavorato senza paura, rischiando la vita nel teatro degli scontri. Per anni, in mezzo alla violenza e al terrorismo in Israele e Palestina, i nostri membri, attivandosi tempestivamente, hanno colla- borato con le principali organizzazioni operanti per la pace. Sono sempre a disagio quando devo inviare i nostri membri in luoghi dove la loro vita è in pericolo, ma questo è inevitabile quando si lavora per la causa della pace. Posso trovarmi in Brasile a dissodare il terreno sotto un sole cocente, oppure in Africa a parlare in luoghi remoti, ma il mio cuore è rivolto costantemente a quei membri che continuano a operare nell’ambiente rischioso del Medio Oriente. Prego che la pace possa venire presto nel mondo, così che non avrò più bisogno di chie- dere ai nostri membri di andare in quei luoghi di morte. L’11 settembre 2001 siamo rimasti tutti inorriditi quando le torri ge- melle del World Trade Center di New York City sono state distrutte dai terroristi. Secondo alcuni commentatori, si sarebbe trattato dell’i- nevitabile scontro di civiltà tra l’Islam e il Cristianesimo. Il mio punto di vista, però, è diverso. Nella loro forma più pura, Islam e Cristianesi- mo non sono religioni di conflitto e scontro. Entrambe attribuiscono grande importanza alla pace. Secondo me, è frutto di fanatismo ritene- re che tutti i Musulmani siano radicali, così com’è frutto di fanatismo

270 La forza della religione volge la gente verso il bene Capitolo 6 - È l’amore che porterà l’unificazione considerare fondamentalmente differenti l’Islam e il Cristianesimo. Tutte le religioni condividono la stessa essenza. Come prima risposta, subito dopo il crollo delle torri, organizzai la preghiera e l’assistenza alle vittime ed ai soccorritori al Ground Zero da parte dei capi religiosi di New York e di tutta la nazione. Successi- vamente, in ottobre, convocai una grande conferenza interreligiosa per la pace a New York City. Il nostro fu il primo incontro internazionale dopo la tragedia. Questi eccezionali contributi alla pace, offerti nei periodi di guerra, non sorgono dal nulla. Nel corso dei decenni precedenti, ho investito molto nella promozione dell’armonia interreligiosa. È sulla fondazione di questi investimenti che abbiamo conquistato la fiducia dei maggiori capi religiosi, i quali sono venuti in Israele durante l’Intifada e a New York City sulla scia degli attacchi dell’11 settembre. Nel 1984, ho riunito quaranta studiosi di religione, incaricandoli di confrontare gli insegnamenti impartiti nei testi sacri del Cristianesimo, dell’Islam, del Buddismo e delle altre principali religioni del mondo. Il libro che è nato dalla loro ricerca è «World Scripture: A Comparative Anthology of Sacred Texts», pubblicato nel 1991. Questo libro confer- ma che i testi sacri delle religioni tramandano insegnamenti del tutto identici, o molto simili, in più del 70% dei casi. Il rimanente 30% è costituito da insegnamenti che esprimono aspetti specifici di ciascuna religione. Ciò significa che i contenuti delle principali religioni del mon- do sono in gran parte uguali nella loro essenza. Lo stesso si può dire della pratica religiosa. Se guardiamo all’aspetto esteriore, vediamo che alcuni fedeli indossano turbanti, alcuni mettono al collo dei rosari, altri porta- no una croce; interiormente però tutti ricercano le verità fondamentali dell’universo e cercano di comprendere la volontà dell’unico Dio. Spesso, gli uomini diventano amici anche se tutto quel che hanno in comune è un medesimo, particolare hobby. Quando due estranei s’in- contrano e scoprono di essere nati nella stessa città, possono subito

La forza della religione volge la gente verso il bene 271 Capitolo 6 - È l’amore che porterà l’unificazione

rapportarsi tra loro, come se si conoscessero da decenni. Perciò è dav- vero tragico che le religioni, pur condividendo gli stessi insegnamenti in più del 70% dei casi, stiano ancora lottando per comprendersi e co- municare felicemente tra loro. Potrebbero parlare delle cose che han- no in comune e prendersi per mano; invece sottolineano le rispettive differenze e si criticano a vicenda. Tutte le religioni del mondo parlano di pace e d’amore, eppure si com- battono tra loro per la pace e l’amore. Israeliani e Palestinesi parlano di pace e giustizia, ma da tutte e due le parti praticano la violenza, così che i loro figli soffrono e muoiono. L’Ebraismo, la religione d’Israele, è una religione di pace e lo stesso è vero per l’Islam. La nostra esperienza nella redazione dell’opera «World Scripture», ci porta a credere che non sono le religioni ed essere in errore, ma che è inappropriato il modo in cui le fedi sono insegnate. Una spiegazione sbagliata della fede porta al pregiudizio e il pregiudizio porta al conflit- to. Dopo l’attentato dell’11 settembre i Musulmani sono stati etichet- tati come terroristi, ma la maggior parte di loro è costituita da famiglie semplici e devote e da persone che amano la pace, proprio come noi. Lo scomparso Yasser Arafat ha guidato per molto tempo i palestinesi. Come tutti i leader politici, ha espresso speranze di pace, ma è stato allo stesso tempo ritenuto responsabile del conflitto in quella regione. Come presidente dell’Organizzazione per la Liberazione della Palestina, Arafat ha dato voce alla determinazione delle popolazioni della striscia di Gaza e della Cisgiordania, di dar vita a uno stato palestinese indipen- dente. Molti pensano che egli avesse cambiato la propria posizione, co- minciando a contrastare le organizzazioni estremiste, dopo essere stato eletto presidente dell’Autorità Nazionale Palestinese nel 1996. Nell’interesse della ricerca della pace in Medio Oriente, ho preso con- tatto con Arafat in dodici diverse occasioni. Naturalmente, le parole che gli ho rivolto non sono mai state esitanti. La strada di Dio è sem- pre quella dell’armonia, alla ricerca della pace. Il percorso per arrivare

272 La forza della religione volge la gente verso il bene Capitolo 6 - È l’amore che porterà l’unificazione all’ufficio di Arafat era davvero arduo. Chi voleva incontrarlo doveva passare tra guardie armate fino ai denti e sottoporsi a non meno di tre successive perquisizioni; ogni volta però, all’arrivo dei nostri membri, Arafat, con in testa l’immancabile, tradizionale kefiah, ha sempre of- ferto loro un caldo benvenuto. Relazioni di questo tipo non possono essere costruite in un giorno o due. Sono il risultato degli anni in cui ci siamo dedicati con sincerità e devozione alla causa della pace nel Medio Oriente. Sono stati i no- stri ardui sforzi e la costante disponibilità a rischiare la vita in aree di conflitto, infestate dal terrorismo, ad aprirci la strada ed a permetterci di essere ben accolti nelle relazioni con i capi politici e religiosi a quei livelli. Abbiamo dovuto investire tante risorse. Alla fine, abbiamo po- tuto conquistare la fiducia sia di Arafat, sia degli esponenti di vertice d’Israele, i quali ci hanno consentito di svolgere un ruolo di mediazio- ne in occasione delle recrudescenze del conflitto in Medio Oriente. Visitai per la prima volta Gerusalemme nel 1965, prima della guerra dei Sei Giorni. Gerusalemme faceva ancora parte del territorio della Giordania. Andai sul Monte degli Olivi, dove Gesù aveva pregato e versato lacrime di sangue, appena prima di essere condotto al palazzo di Ponzio Pilato. Poggiai la mano su un olivo vecchio di duemila anni, che avrebbe potuto essere un testimone della preghiera di Gesù quella notte. Piantai tre chiodi in quell’albero, uno per l’Ebraismo, uno per il Cristianesimo e uno per l’Islam. Pregai perché giungesse presto il giorno in cui quelle tre famiglie di fede sarebbero diventate una sola. La pace non può venire nel mondo se Ebraismo, Cristianesimo e Islam non diventano un tutt’uno. Quei tre chiodi sono ancora lì. L’Ebraismo, il Cristianesimo e l’Islam sono aspramente divisi tra loro nel mondo d’oggi, ma vengono da una radice comune. Il tema che li divide è la loro interpretazione di Gesù. Per ovviare a questo problema, il 19 maggio 2003 chiesi ai Cristiani di moderare l’esaltazione della croce, nelle relazioni tra le religioni abramitiche. Così, tenemmo una

La forza della religione volge la gente verso il bene 273 Capitolo 6 - È l’amore che porterà l’unificazione

cerimonia per la dismissione della croce. Portammo una croce dall’A- merica, un paese di cultura prevalentemente cristiana, e la sotterrammo in Israele, nel Campo del Sangue, il terreno comprato coi trenta pezzi d’argento che Giuda aveva ricevuto in ricompensa per il tradimento, che aveva reso possibile la crocifissione di Gesù1. Più avanti quello stesso anno, il 23 dicembre, circa tremila Ambascia- tori di Pace2, in rappresentanza di tutte le religioni e provenienti da tutto il mondo, s’incontrarono a Gerusalemme, nel Parco dell’Indi- pendenza, con diciassettemila tra Israeliani e Palestinesi, per togliere simbolicamente dal capo di Gesù la corona di spine e sostituirla con una corona di pace. Ci fu poi una marcia per la pace attraverso le vie di Gerusalemme. Le autorità locali autorizzarono la manifestazione e protessero il nostro progetto, mentre le famiglie ebree e palestinesi sostennero la nostra marcia ponendo una candela accesa al davanzale delle loro finestre. Con quella marcia, trasmessa in diretta tramite Internet in tutto il mondo, proclamai che era stata restituita a Gesù l’autorità di re della pace. Dopo secoli d’incomprensioni e divisioni, si era creata un’oppor- tunità per la riconciliazione tra Cristianesimo, Ebraismo e Islam. La moschea di Al Aqsa, il terzo più sacro tempio musulmano, dopo quelli della Mecca e di Medina, si trova a Gerusalemme. È costruita

1 Questa cerimonia non implica alcuna svalutazione di Gesù. In sintesi, nell’interpreta- zione che il Rev. Moon offre della venuta di Gesù, la crocifissione non era la volontà di Dio. Il Cristo avrebbe dovuto realizzare il Regno dei Cieli in terra, ma la sua crocifissione, voluta dagli uomini e non da Dio, impedì a Gesù di realizzare la parte fisica della propria missione. Egli ha portato quindi ai cristiani la salvezza spirituale, ma non il Regno dei Cieli in terra. La croce è quindi un segno, se non di sconfitta, di «vittoria parziale». Il Rev. Moon afferma, come molti cristiani, che la vittoria di Gesù consiste nella Resurrezione e non nella crocifissione. Per questo invita i cristiani a sostituire il crocifisso con una statua di Gesù risorto o con una corona che simboleggi la sua vittoria spirituale. 2 Persone aderenti alla Universal Peace Federation, organizzazione fondata dal Rev. Moon, che hanno ricevuto il titolo di Ambasciatore di Pace per le loro attività nella promozione della pace.

274 La forza della religione volge la gente verso il bene Capitolo 6 - È l’amore che porterà l’unificazione nel punto dal quale si dice che il profeta Maometto sia asceso al cielo. Il nostro fu l’unico gruppo religioso misto ad essere ammesso in tutti i settori di quel luogo di culto. Gli imam della moschea accompagnarono nei suoi luoghi sacri i mini- stri religiosi cristiani ed ebrei, che avevano partecipato alla marcia della pace. Potemmo aprire una porta che era stata tenuta rigorosamente chiusa; preparammo così le condizioni per cui degli esponenti di spicco dell’Islam potessero comunicare a un livello nuovo con i loro fratelli e sorelle cristiani ed ebrei. Gli uomini amano la pace, ma a loro piace anche il conflitto. Sono ca- paci di prendere anche gli animali più gentili e farli combattere gli uni contro gli altri. Assistono alla lotta dei galli, che si attaccano a beccate finché cominciano a volare brandelli di carne. Poi, quelle stesse persone si voltano a dire ai loro figli: «Non litigate con i vostri amici. Giocate tranquillamente». La ragione fondamentale per cui scoppiano le guerre non è la religione o la razza. La vera ragione è collegata a qualcosa che sta in profondità nell’animo umano. La gente tende ad attribuire le cause dei conflitti armati a fattori quali la scienza o l’economia, ma il problema vero, fon- damentale, sta negli uomini stessi. Il ruolo della religione è quello di orientare l’uomo alla bontà ed eli- minare la natura malvagia che prova soddisfazione nella lotta. Esa- miniamo le maggiori religioni del mondo. Coltivano tutte l’ideale di un mondo di pace. Vogliono tutte vedere un regno dei cieli, un’utopia, un paradiso. Le religioni usano nomi diversi per definire questo idea- le, ma tutte desiderano un mondo di questo tipo. Nel mondo ci sono tante religioni e ciascuna di esse è suddivisa in innumerevoli fazioni e confessioni. La speranza essenziale però è la stessa per tutte: ricercare il Regno dei Cieli e il mondo della pace. Il cuore dell’uomo è stato ridotto in pezzi dalla violenza e dall’inimicizia che sono dentro di noi. Il regno dell’amore lo guarirà.

La forza della religione volge la gente verso il bene 275 Il fiume non rifiuta le acque dei suoi affluenti

’egoismo dilaga nel mondo. Tuttavia, ironicamente, l’individuo viene distrutto dall’egoismo, e non solo l’individuo, ma anche coloro che gli stanno intorno e la nazione nel suo complesso. LL’ostacolo più grande che si frappone alla pace nel mondo è la cupidi- gia che è nel cuore degli uomini. Essa parte dagli individui e si espande alle nazioni. I cuori preda della cupidigia causano divisione e conflitto a tutti i livelli. Innumerevoli persone, lungo tutto il corso della storia, hanno versato il sangue e sono morte in conflitti causati dalla cupidi- gia. Per eliminare questi conflitti, abbiamo bisogno di una grande rivo- luzione, capace di cambiare i valori e i pensieri errati così diffusi nel mondo di oggi. I complessi problemi che la nostra società ha di fronte potranno essere risolti velocemente se ci sarà una rivoluzione nel modo di pensare della gente. Se ogni persona ed ogni nazione cominciassero a prendersi cura prima delle altre che di se stessa, lavorando insieme con l’altra, i problemi della società moderna saranno risolti. Per tutto il corso della mia vita, mi sono dedicato all’impegno per la pace. Ogni volta che si parla di pace, io mi emoziono. Le lacrime mi spuntano dagli occhi, perdo la voce e non riesco a deglutire. Sono pro- fondamente commosso al solo immaginare il giorno in cui il mondo diventerà un tutt’uno e inizierà ad assaporare la pace. Questa è la na- tura della pace; essa mette in relazione persone che la pensano diversa- mente, appartengono a razze diverse e parlano lingue diverse. Il nostro cuore aspira a quel mondo e coltiva la speranza che un giorno lo si veda realizzato. In ogni caso, la pace viene dalle azioni concrete e non basta averne un sogno vago. Costruire un movimento per la pace però non è sempre

276 Il fiume non rifiuta le acque dei suoi affluenti Capitolo 6 - È l’amore che porterà l’unificazione stato facile. Si sono presentate tante difficoltà e c’è stato bisogno d’in- vestire tanti soldi. Non l’ho fatto per la mia reputazione personale, o per ricavarne un profitto. Tutto ciò che ho fatto è stato dedicare tutti i miei sforzi perché potessimo avere un mondo in cui si radicasse una pace forte e vera. Per tutto il tempo che ho fatto questo, non sono mai stato solo. In definitiva, la pace è il desiderio di tutti gli uomini del mondo. Che strano! Tutti vogliono la pace, ma quella ancora non arriva. È facile parlare di pace, ma non è facile stabilirla. Questo accade per- ché la gente mette da parte il principio più elementare, indispensa- bile per realizzare un mondo di pace. La gente fa finta di non sapere neppure dell’esistenza di questa verità. Prima di parlare della pace tra gli uomini o tra le nazioni, dobbiamo parlare della pace tra noi stessi e Dio. Oggi ciascuna religione si considera la più elevata, e respinge e disprezza le altre, ma non è giusto innalzare steccati contro le altre religioni e confessioni. La religione è come un ampio fiume che scorre verso un mondo ideale e pacifico. Il fiume percorre lunghe distanze prima di giungere al vasto oceano della pace. Sul suo percorso riceve tanti affluenti, che cessa- no di essere tali dal punto in cui incontrano il fiume principale. Da quel punto in avanti, anch’essi diventano parte di quel fiume. In questo modo diventano un tutt’uno. Il fiume non rifiuta nessuno degli altri corsi d’acqua che vi si gettano. Li accetta tutti. Accoglie tutti i torrenti e forma un’unica corrente, che continua il suo viaggio fino al mare. La gente d’oggi non comprende questa semplice verità. Gli affluenti che si accostano al fiume e vi riversano le loro acque sono le numerose reli- gioni e confessioni odierne. Ciascun rigagnolo ha la propria origine da una sorgente diversa, ma tutti si dirigono verso la stessa destinazione. Questa terra non avrà mai pace finché non avremo abbattuto i muri tra le religioni. Per migliaia di anni, le religioni sono cresciute in simbiosi con specifici gruppi etnici, e per questo sono circondate da alte mura-

Il fiume non rifiuta le acque dei suoi affluenti 277 Capitolo 6 - È l’amore che porterà l’unificazione

glie culturali, la cui demolizione è un compito estremamente difficile. Per migliaia di anni, ciascuna religione si è circondata di queste alte mura, pretendendo di essere l’unica religione veritiera. In taluni casi, le religioni hanno espanso la propria influenza e hanno intrapreso con- flitti e lotte con le altre religioni, usando il nome di Dio in attività che non avevano nulla a che fare con la Sua volontà. La volontà di Dio è diretta alla pace. Un mondo frammentato da dif- ferenze di nazionalità, razza e religione, dove i popoli si aggrediscono, lottano tra loro e versano invano il loro sangue, non è quello che Dio vuole. Quando spargiamo sangue e combattiamo tra noi nel Suo nome, gli causiamo solo tanta sofferenza. Un mondo ridotto in brandelli è il risultato del desiderio dei popoli di perseguire la propria esclusiva ricchezza e gloria. Tutto ciò non riflette la volontà di Dio. Dio me l’ha detto chiaramente. Io sono soltanto il Suo garzone, che riceve la Sua parola e la diffonde sulla terra. Il percorso per realizzare un mondo di pace, nel quale le religioni e le razze si uniscano tra loro, è stato estenuante. Molte volte la gente mi ha rifiutato, e altre volte non sono stato all’altezza del compito, ma non ho mai potuto abbandonare questa missione. Quando i membri e i colleghi che lavoravano con me piangevano di disperazione per le dif- ficoltà del loro compito, giungevo ad invidiarli: «Se decidete che questa strada non fa per voi, potete scegliere di fermarvi e tornare indietro – dicevo loro – altrimenti, se continuate a provare e non ci riuscite, avete comunque la possibilità di morire provando. Ma di me dovete avere compassione: io non ho questa libertà di scelta». Ci sono poco meno di duecento nazioni nel mondo. Perché tutte que- ste nazioni possano avere la pace, è assolutamente necessaria la forza della religione. La forza della religione sta nell’amore che trabocca da essa. Io sono un uomo di religione il cui ruolo è comunicare amore, così è naturale che io operi per la pace mondiale. Non c’è differenza tra l’Islam e il Cristianesimo, nel loro impegno volto a realizzare un

278 Il fiume non rifiuta le acque dei suoi affluenti Capitolo 6 - È l’amore che porterà l’unificazione mondo di pace. In America, guido un movimento per la pace che raccoglie migliaia di ministri religiosi e va oltre le singole confessioni. In questo movimento discutiamo di come le genti di tutte le religioni (Cristiani, Musulmani, Ebrei, Buddisti, etc.) possano incontrarsi. Dedichiamo tutti i nostri sforzi a cambiare il cuore indurito della gente. Il mio scopo oggi è lo stesso che avevo anche ieri. È quello di creare un unico mondo con Dio al centro, un mondo riunificato in una sola nazione, senza confini. Tutti gli esseri umani saranno cittadini di que- sto mondo e condivideranno una cultura d’amore. In quel mondo non saranno possibili divisioni e conflitti. Da lì prenderà inizio un vero mondo di pace.

Il fiume non rifiuta le acque dei suoi affluenti 279 «Consenta la libertà di religione nell’Unione Sovietica»

i sono svariate teorie, elaborate su basi materialiste, molto po- polari ma non verificate. Una di queste è la teoria dell’evoluzio- ne di Darwin. Un’altra deriva dagli scritti di Karl Marx. L’idea Vche lo spirito sia originato dalla materia è sbagliata alla radice. Gli uomini sono stati creati da Dio e tutti gli esseri esistenti sono corpi unificati, che possiedono aspetti sia materiali che spirituali. Per farla breve, l’essenza della teoria filosofica sulla quale si fonda il comunismo è sbagliata. Al tempo dei miei studi in Giappone, ho lavorato insieme a dei co- munisti per la liberazione della nostra patria. Questi erano miei buoni amici, pronti a dare le loro vite, se necessario, per la liberazione della Corea; il nostro modo di pensare, tuttavia, era fondamentalmente di- verso. Così, una volta ottenuta l’indipendenza, le nostre strade si sepa- rarono. Io sono contrario al materialismo storico dei comunisti. Ho fondato e condotto un movimento, attivo in tutto il mondo, per la vittoria sul comunismo. Ho consigliato, ai presidenti che si sono avvicendati al governo degli Stati Uniti, di proteggere il mondo libero, contrastando la strategia comunista che voleva far diventare rosso tutto il mondo. Le nazioni comuniste non hanno gradito le mie attività ed hanno cer- cato di eliminarmi con la violenza, ma non serbo odio verso di loro e neppure le considero mie nemiche. Sono contrario alla filosofia e all’ideologia del comunismo, ma non ho mai odiato le persone che le seguono. Dio vuole ricondurre all’unità con lui tutti gli uomini, com- presi i comunisti. In questo senso, il mio viaggio a Mosca nell’aprile del 1990, per incon- trare il presidente Mikhail Gorbachev, e il mio viaggio a Pyongyang

280 «Consenta la libertà di religione nell’Unione Sovietica» Capitolo 6 - È l’amore che porterà l’unificazione l’anno successivo, per incontrare il presidente Kim Il Sung, non furono semplici gite turistiche; andai lì mettendo a rischio la mia vita. Era mio destino compiere quei viaggi per comunicare a quegli uomini la volontà del Cielo. Scherzavo solo per metà, quella volta che dissi che Moscow, il nome della città di Mosca in inglese, suona simile a «must go» (devo andare), e perciò dovevo andarci. Avevo sul comunismo delle convinzioni radicate da tempo. Avevo pre- visto che i primi segni del crollo del comunismo avrebbero cominciato a mostrarsi circa sessant’anni dopo la rivoluzione bolscevica, e la strut- tura sovietica sarebbe crollata nel 1987, il settantesimo anniversario della rivoluzione. Così, fui particolarmente entusiasta quando sentii dire che il professor Morton Kaplan, un eminente studioso di politica dell’Università di Chicago, aveva proposto di tenere una conferenza internazionale intitolata «La caduta dell’impero sovietico». Gli chiesi di venirmi a trovare nella prigione di Danbury in modo che potessimo discuterne dettagliatamente. La prima cosa che gli dissi, quando c’in- contrammo, fu che avrei voluto sentirgli dichiarare «la fine del comu- nismo sovietico» prima del 15 agosto di quell’anno. Il professor Kaplan mi rispose: «Dichiarare la fine del comunismo so- vietico? Come posso sostenere una tesi così rischiosa?» ed affermò di non essere disposto a farlo. Nel 1985, l’anno in cui si sarebbe svolta la conferenza, l’autorità dell’Unione Sovietica a livello mondiale era in espansione e non c’erano segni visibili del suo declino. È proprio la fiamma finale, però, quella che bruciando dà più luce. D’altronde, era naturale che il prof. Kaplan fosse riluttante. Se avesse rilasciato una dichiarazione che avesse previsto quello specifico avvenimento, ed essa si fosse rivelata falsa, la sua reputazione in ambito scientifico sarebbe stata distrutta dall’oggi al domani. «Reverendo Moon - mi disse - io le credo quando mi dice che il co- munismo sovietico crollerà. Ma non credo che questo accadrà nel bre- ve termine. Che ne dice se, invece di annunciare “la fine del comuni-

«Consenta la libertà di religione nell’Unione Sovietica» 281 Capitolo 6 - È l’amore che porterà l’unificazione

smo sovietico”, parlassimo del “declino del comunismo sovietico?”». Io esplosi di collera, quando sentii che mi proponeva di ammorbidire il titolo in toni diversi rispetto a «la fine dell’Impero Sovietico». Era un compromesso che non potevo accettare. Sentivo con forza che un uomo, quando nutre una convinzione, deve avere coraggio e investire tutta la sua energia nella lotta, anche se è spaventato. «Professor Kaplan - risposi - che cosa vuol dire? Se le chiedo di dichia- rare la fine del comunismo, ho un motivo. Il giorno in cui lei dichiara la fine del comunismo, quella stessa dichiarazione toglierà energia al comunismo e contribuirà a determinarne il crollo pacifico. Perché sta esitando?». Alla fine, il professor Kaplan dichiarò effettivamente «la fine del co- munismo sovietico» alla conferenza dell’Accademia dei professori per la pace mondiale (PWPA) che si tenne a Ginevra sul tema «La caduta dell’impero sovietico: prospettive per la transizione a un mondo post- sovietico». Era qualcosa che nessuno aveva osato prendere in conside- razione sino a quel momento. Dal momento che la Svizzera era un paese neutrale, Ginevra era un’importante base operativa per il Comitato Sovietico per la Sicurez- za Statale (KGB) e molti agenti del KGB lavoravano da lì per condurre azioni di spionaggio e terrorismo in tutto il mondo. L’Intercontinental Hotel, dove si teneva la conferenza della PWPA, si trovava di fronte all’ambasciata sovietica, così posso ben immaginare quanto il professor Kaplan dovesse sentirsi nervoso. Qualche anno dopo, però, divenne famoso come lo studioso che per primo aveva predetto la fine del co- munismo sovietico. Nell’aprile del 1990 convocai la World Media Conference (la Confe- renza mondiale dei mezzi d’informazione) a Mosca. Inaspettatamente, il governo sovietico mi tributò un’accoglienza da capo di stato, fin dal mio arrivo all’aeroporto. Fummo accompagnati a Mosca con un cor- teo scortato dalla polizia. La vettura sulla quale ero salito percorreva

282 «Consenta la libertà di religione nell’Unione Sovietica» Capitolo 6 - È l’amore che porterà l’unificazione la corsia gialla, che veniva utilizzata solamente dal presidente e dagli ospiti di stato. Ciò accadde prima del crollo dell’Unione Sovietica. Il governo sovietico concesse questo trattamento eccezionale a me, un anticomunista. Alla conferenza, io diedi un discorso che elogiava il cambiamento ver- so la perestrojka. Dissi che quella rivoluzione doveva compiersi senza spargimento di sangue e doveva essere una rivoluzione della mente e dello spirito. Lo scopo della mia visita era quello di presenziare alla Conferenza mondiale dei mezzi d’informazione, ma la mia mente era concentrata sull’incontro che volevo avere con il presidente Gorbachev. A quell’epoca, il presidente Gorbachev era molto popolare nell’Unio- ne Sovietica, in seguito al successo della sua politica della perestrojka. Nel corso degli anni, ho potuto incontrare molti presidenti degli Stati Uniti, ma incontrare il presidente Gorbachev fu molto più difficile. Temevo che sarebbe stato difficile ottenere anche un solo breve incon- tro. Dovevo affidargli un messaggio, ed era importante che glielo dessi personalmente. Egli stava riformando l’Unione Sovietica, dando vigo- re alle speranze di libertà, ma con il trascorrere del tempo incontrava sempre più opposizione. Se la situazione fosse rimasta senza controllo, si sarebbe trovato in grave pericolo. Spiegai: «Se non m’incontra, non ha modo di cogliere l’onda della for- tuna celeste e, se non fa questo, non durerà a lungo». Forse il presiden- te Gorbachev sentì l’espressione della mia preoccupazione. Il giorno successivo m’invitò al Cremlino. Viaggiai in una limousine messami a disposizione dal governo sovietico ed entrai nell’area più riservata del Cremlino. Al nostro ingresso nell’ufficio presidenziale, mia moglie ed io ci met- temmo seduti, e i ministri dell’Unione Sovietica si sedettero accanto a noi. Il presidente Gorbachev ci offrì un largo sorriso e ci presentò un’ap- passionata spiegazione dei successi della sua politica della perestrojka. Mi portò poi in un salottino, dove c’incontrammo a quattr’occhi. Colsi

«Consenta la libertà di religione nell’Unione Sovietica» 283 Capitolo 6 - È l’amore che porterà l’unificazione

quell’opportunità per dargli il mio messaggio: «Signor presidente, lei ha già avuto molto successo con la perestrojka, ma questa non sarà da sola sufficiente per completare le riforme. Lei deve immediatamente introdurre la libertà di religione nell’Unione Sovietica. Se lei cercherà di riformare soltanto il mondo materiale, senza coinvolgere Dio, la pe- restrojka sarà destinata a fallire. Il comunismo è finito. L’unica strada per salvare questa nazione è riconoscere la libertà di religione. Adesso è tempo che lei agisca con il coraggio che ha dimostrato nel riformare l’Unione Sovietica e divenga un presidente dedicato alla costruzione di un mondo di pace». Il viso del presidente Gorbachev s’irrigidì quando menzionai la libertà religiosa, come se non si fosse aspettato che toccassimo quell’argomen- to. Tuttavia, com’era giusto attendersi dall’uomo che pochi mesi prima aveva acconsentito alla riunificazione della Germania, la sua espressio- ne si fece subito più rilassata, mentre recepiva seriamente le mie parole. Continuai dicendo: «La Corea del Sud e l’Unione Sovietica devono stabilire relazioni diplomatiche. In quel contesto, inviti per una visita il presidente sudcoreano Roh Tae Woo». Gli illustrai anche una serie di ragioni per le quali sarebbe stato buono che i due paesi stabilissero rapporti diplomatici. Dopo che ebbi esaurito tutto quello che avevo da dire, il presidente Gorbachev mi fece una promessa, con una sicurezza che non aveva espresso fino a quel punto: «Sono fiducioso - dichiarò - che le relazioni tra la Corea del Sud e l’Unione Sovietica si svilupperanno senza pro- blemi. Anch’io credo che siano necessari la stabilità politica e l’allenta- mento delle tensioni nella penisola coreana. L’apertura delle relazioni diplomatiche con la Corea del Sud è solo una questione di tempo; non ci sono ostacoli. Come lei ha suggerito, io incontrerò il presidente Roh Tae Woo». Quel giorno, quando fui sul punto di salutare il presidente Gorbachev, mi tolsi l’orologio e glielo misi al polso. Lui sembrò un po’ sconcertato

284 «Consenta la libertà di religione nell’Unione Sovietica» Capitolo 6 - È l’amore che porterà l’unificazione che io lo trattassi come se fossimo stati vecchi amici. Così, gli dissi con decisione: «Ogni volta che le sue riforme si scontreranno con delle dif- ficoltà, guardi quest’orologio e ricordi la promessa che mi ha fatto. Se lei farà questo, sicuramente il Cielo le aprirà una strada». Come mi aveva promesso, il presidente Gorbachev incontrò il presi- dente Roh in un vertice bilaterale, tenutosi a San Francisco nel giugno di quell’anno. Poco dopo, il 30 settembre 1990, la Corea del Sud e l’Unione Sovietica firmarono un trattato storico e avviarono rapporti diplomatici per la prima volta dopo ottantasei anni. Naturalmente, la politica è il lavoro dei politici e la diplomazia è il lavoro dei diplomati- ci. A volte, tuttavia, quando una porta è rimasta chiusa per tanto tem- po, un uomo di religione, che non ha in gioco interessi personali, può risultare più efficace nel portare a termine un certo compito. Quattro anni dopo, il presidente e la signora Gorbachev visitarono Seul, e mia moglie e io li ospitammo nella nostra residenza di Han- nam-Dong. Era già stato rimosso dalla sua carica a seguito di un col- po di stato. A seguito di una sommossa da parte delle forze contrarie alle riforme e alla perestrojka, si era dimesso dall’incarico di segretario generale del partito comunista sovietico e aveva sciolto il partito. Da comunista, aveva cancellato il partito sovietico. L’ex presidente e sua moglie usarono i bastoncini per mangiare il «bul- gogi» (un piatto delizioso a base di carne bovina marinata e grigliata) e il «jabchae» (una pietanza di spaghetti e verdure) che avevamo prepa- rato per loro con grande cura. Quando fu loro servito come dessert il «sujeonggwa» (una bevanda fredda, dolce e rinfrescante, fatta con i ca- chi) Gorbachev ripeté varie volte: «La Corea ha squisite ricette tradi- zionali». Entrambi apparvero rilassati e molto diversi rispetto ai giorni tesi in cui il marito ricopriva la carica di presidente. La signora Gor- bachev, che era stata in precedenza un’irriducibile marxista-leninista e aveva insegnato all’università statale di Mosca, portava una collana con un crocefisso.

«Consenta la libertà di religione nell’Unione Sovietica» 285 Capitolo 6 - È l’amore che porterà l’unificazione

«Signor presidente, lei ha fatto una cosa grande» gli dissi; «ha lasciato la posizione di segretario generale del partito comunista, ma ora è il presidente della pace. Grazie alla sua saggezza e al suo coraggio, ab- biamo adesso la possibilità di portare la pace al mondo. Lei ha fatto la cosa più importante, più imperitura e più bella: lei è un eroe della pace, che ha compiuto l’opera di Dio. Nella storia della Russia, il nome che sarà ricordato e onorato per sempre non sarà quello di Marx, Lenin o Stalin, sarà quello di Mikhail Gorbachev». Tributai l’elogio più alto alla scelta di Gorbachev, che aveva deciso di sciogliere l’Unione Sovietica, il paese natale del comunismo, senza spargimento di sangue. Gorbachev mi rispose: «Reverendo Moon, le sue parole mi hanno molto confortato. Il suo apprezzamento mi dà grande energia. Dedicherò il resto della mia vita a progetti al servizio della pace mondiale». E mi strinse con forza la mano.

286 «Consenta la libertà di religione nell’Unione Sovietica» L’unificazione della Corea porterà all’unificazione del mondo

scendo dal Cremlino, dopo aver incontrato Gorbachev, mi volsi a Bo Hi Pak, che mi aveva accompagnato fin lì, e gli affi- dai un incarico speciale: «Devo incontrare il presidente Kim Il USung prima della fine del 1991». Gli spiegai: «Non c’è tempo. L’Unione Sovietica scomparirà nel volgere di un anno o due. Il problema adesso è la nostra nazione. Devo a tutti i costi incontrare il presidente Kim e impedire che scoppi una guerra nella penisola coreana». Sapevo che, quando fosse crollata l’Unione Sovietica, sarebbero caduti insieme ad essa gran parte degli altri regimi comunisti in giro per il mondo. La Corea del Nord si sarebbe sentita stretta in un angolo, e non era prevedibile quale azione provocatoria avrebbe potuto attuare. L’ossessione della Corea del Nord per le armi nucleari rendeva la situa- zione ancor più preoccupante. Per scongiurare una guerra con la Corea del Nord ci serviva un canale per dialogare con il suo governo, ma in quella fase non ne avevamo alcuno. In una qualche maniera dovevo in- contrare il presidente Kim e farmi promettere che non avrebbe sferrato il primo colpo contro la Corea del Sud. La penisola coreana è un microcosmo del mondo. Se si fosse versato del sangue in Corea, lo spargimento di sangue si sarebbe esteso al mondo. Se si fosse raggiunta una riconciliazione nella penisola, ci sarebbe stata riconciliazione nel mondo. Se avessimo unificato la penisola, questo avrebbe prodotto l’unificazione a livello mondiale. Tuttavia, a partire dalla fine degli anni ‘80, la Corea del Nord aveva lavorato alacremente per munirsi di un arsenale nucleare. I paesi occidentali avevano prean- nunciato che avrebbero mosso un attacco contro la Corea del Nord, se ciò fosse risultato necessario. Se la situazione avesse continuato a estre- mizzarsi, la Corea del Nord avrebbe potuto tentare un’imponderabile

L’unificazione della Corea porterà all’unificazione del mondo 287 Capitolo 6 - È l’amore che porterà l’unificazione

mossa disperata. Sapevo, perciò, che dovevo aprire un canale di comunicazione con la Corea del Nord. Non si trattava di un compito facile. Bo Hi Pak prese contatto con il vice primo ministro nordcoreano Kim Dal Hyun, ma la risposta fu irrefutabilmente negativa. «Il popolo nordcoreano cono- sce il presidente Moon solamente come il capobanda del movimento internazionale per la vittoria sul comunismo», disse il vice primo mi- nistro. «Perché mai dovremmo dare il benvenuto al capo di un gruppo conservatore e anticomunista? Una visita in Corea del Nord, da parte del presidente Moon, non può assolutamente essere permessa». Bo Hi Pak non si arrese: «Il presidente degli Stati Uniti Nixon era un convinto anticomunista - ricordò al funzionario nordcoreano - ma nonostante ciò ha visitato la Cina, ha incontrato il presidente Mao Tse Tung, ed ha inaugurato rapporti diplomatici tra quei due Paesi. È stata la Cina a trarre profitto da questo. Fino ad allora, la Cina era stata etichettata come una nazione aggressiva, ma adesso sta assumendo un ruolo centrale sul palcoscenico mondiale. Anche la Corea del Nord, per acquistare credibilità internazionale, dovrebbe stabilire legami d’a- micizia con un anticomunista di caratura mondiale come il presidente Moon». Alla fine, il presidente Kim Il Sung invitò mia moglie e me il 30 novem- bre 1991. A quel tempo ci trovavamo nelle Hawaii, così potemmo ar- rivare velocemente a Pechino. Mentre aspettavamo nella sala delle per- sonalità dell’aeroporto internazionale Capital di Pechino, che il governo cinese aveva preparato per noi, venne a trovarci un rappresentante del governo nordcoreano che ci consegnò gli inviti ufficiali. Sui documenti era chiaramente visibile il sigillo ufficiale del governo di Pyongyang. «La Repubblica Democratica Popolare di Corea ha il piacere d’invitare il presidente Moon Sun Myung1 della Federation for World Peace, la

1 In Corea normalmente il cognome (in questo caso Moon) precede il nome (Sun- Myung).

288 L’unificazione della Corea porterà all’unificazione del mondo Capitolo 6 - È l’amore che porterà l’unificazione sua signora e il suo seguito, a visitare la repubblica. La loro sicurezza è garantita durante il loro periodo di permanenza nel Nord». Era firma- to: «Kim Dal Hyun, vice primo ministro, Consiglio dei Ministri della Repubblica Democratica Popolare di Corea, 30 novembre 1991». Il nostro gruppo s’imbarcò su un volo speciale, identificato come Air Koryo 215, preparato per noi dal presidente Kim. Nessun capo di stato estero era mai salito su un volo speciale offerto dal presidente Kim, perciò quel trattamento risultò davvero eccezionale. L’aereo sorvolò il Mar Giallo fino a Sineuiju, passò sopra Jeongju, la città vicina al mio villaggio, poi si diresse verso Pyongyang. Mi dissero che quell’itinerario era stato appositamente tracciato perché potessi vedere i miei luoghi d’origine. Il cuore cominciò a battermi forte, men- tre guardavo in basso il mio villaggio, tinto di rosso dalla luce del sole al tramonto. Mi sentii impietrito nel profondo del mio essere e mi do- mandai: «Può mai essere vero che quella sia la mia terra natale?». Avrei voluto saltare subito giù e mettermi a correre per le colline e le vallate. All’aeroporto internazionale Sunan di Pyongyang erano venuti a sa- lutarmi i miei familiari, che non vedevo da ben quarantotto anni. Le mie sorelle minori, che erano state belle come fiori, erano diventate nonnine e si avviavano verso gli anni della vecchiaia. Mi presero le mani, aggrottarono le ciglia e cominciarono a piangere disperatamente. Mia sorella maggiore, che aveva passato i settant’anni, mi abbracciò stretto e pianse. Io invece non mi lasciai andare. «Vi prego» dissi loro, «non fate così. È molto importante per me incontrare la mia famiglia, ma io sono venuto per compiere il lavoro di Dio. Per piacere, non fate così. Mantenete il controllo». Nel mio cuore, io stavo versando lacrime come una cascata. Era la prima volta che vedevo le mie sorelle dopo più di quarant’anni, ma non potei abbracciarle e piangere con loro. Frenai il mio cuore e mi avviai verso il nostro alloggio. La mattina successiva, com’è sempre stata mia abitudine per tutta la vita, mi svegliai presto e cominciai a pregare. Non saprei dire con cer-

L’unificazione della Corea porterà all’unificazione del mondo 289 Capitolo 6 - È l’amore che porterà l’unificazione

tezza se ci fosse un impianto di sorveglianza nell’albergo, ma in quel caso la mia preghiera accorata per l’unificazione della penisola coreana sarà stata registrata integralmente. Quel giorno, visitammo la città di Pyongyang, tappezzata di striscioni rossi che riportavano gli slogan dell’ideologia dello Juche2 di Kim Il Sung. Il terzo giorno prendemmo un aereo per visitare il monte Kum-gang. Nonostante fosse inverno, le cascate del Kuryong non erano ghiacciate e il flusso d’acqua era ancora robusto. Dopo aver visitato diverse loca- lità attorno al monte Kumgang, il sesto giorno salimmo sull’elicottero che ci avrebbe trasportato fino al mio villaggio natale. Nei miei sogni, avevo avuto così tanta nostalgia della casa della mia infanzia, da sentire che sarei potuto arrivare lì in un solo salto. E adesso eccola lì, che appariva davanti a me. Non potevo credere ai miei occhi. Era realtà o stavo sognando? Per quello che mi sembrò un tempo lun- ghissimo, non potei far altro che starmene lì, fermo come una statua, davanti alla mia casa. Dopo vari minuti, m’incamminai verso l’interno. In passato aveva la forma di un quadrilatero, con l’appartamento prin- cipale, l’appartamento degli ospiti, il deposito e il granaio costruiti in- torno a un cortile centrale. Era rimasto soltanto l’appartamento prin- cipale. Entrai nella stanza grande, dove ero stato partorito, e mi sedetti sul pavimento con le gambe incrociate. I ricordi di ciò che era stato quel posto, al tempo della mia fanciullezza, ritornarono tanto chiari, da farmi sembrare che tutto fosse successo appena ieri. Aprii la porticina che collegava la stanza grande con la cucina e guardai fuori nella corte. Il castagno sul quale usavo arrampicarmi era stato tagliato e non c’era più. Mi sembrò di sentire mia madre che mi chiamava dolcemente: «Ha fame il mio Piccoli occhi?». Il suo abito tradizionale in panno di

2 L’ideologia elaborata da Kim Il Sung è un misto di stalinismo, di confucianesimo e di tradizioni coreane. Mescola ad esempio alcuni aspetti classici del comunismo con altri totalmente estranei ad esso, come il culto dell’autorità (confucianesimo) e degli antenati (tradizione coreana). Il tutto finalizzato al potere assoluto del leader.

290 L’unificazione della Corea porterà all’unificazione del mondo Capitolo 6 - È l’amore che porterà l’unificazione cotone mi passò velocemente davanti agli occhi. Visitai la tomba dei miei genitori e offrii un mazzo di fiori. Avevo visto per l’ultima volta mia madre quando era venuta a trovarmi nella pri- gione di Heungnam e aveva tanto pianto. La sua tomba era coperta da un leggero strato di neve caduta la notte precedente. La scostai con il palmo della mano e carezzai delicatamente l’erba che era cresciuta sulla sua sepoltura. Il tocco ruvido di quell’erba mi ricordò le increspature della pelle, sul dorso delle mani di mia madre.

L’unificazione della Corea porterà all’unificazione del mondo 291 Il mio incontro con il presidente Kim Il Sung

on ero andato in Corea del Nord perché volessi vedere i miei luoghi natii, né perché volessi visitare il monte Kumgang. Volevo incontrare il presidente Kim Il Sung e discutere se- Nriamente del futuro della nostra terra. Ciononostante, sei giorni dopo l’inizio del viaggio, non si era ancora parlato della possibilità di orga- nizzare un incontro con il presidente Kim. Però, quando tornammo in elicottero all’aeroporto Sunan di Pyongyang, dopo aver visitato il mio villaggio natale, trovai che il vice primo ministro Kim Dal Hyun era inaspettatamente lì per incontrarmi. «Il Grande Leader Kim Il Sung la riceverà domani» mi disse. «L’in- contro si svolgerà presso la residenza presidenziale di Majeon a Heungnam, perciò lei deve salire immediatamente su un volo spe- ciale e andare a Heungnam». Dentro di me pensai: «Si dice che lui abbia molte residenze presidenziali. Perché, tra tanti posti, proprio Heungnam?». Lungo la strada, notai un grosso cartello che indicava la fabbrica di concimi azotati di Heungnam, dove ero stato costretto ai lavori forzati. Mi ricordai del tempo passato in prigione e provai una sensazione di disagio. Passai la notte in un albergo e il giorno seguente andai a trovare il presidente. Mentre mi dirigevo verso la residenza ufficiale, scoprii che il presidente Kim era sulla soglia, in attesa di salutarmi. Entrambi ci abbracciammo simultaneamente. Io ero un anticomunista e lui il capo di un partito comunista, ma le ideologie e le filosofie non avevano im- portanza nel contesto del nostro incontro. Eravamo come fratelli che s’incontravano per la prima volta dopo una lunga separazione. Questo è ciò che può l’appartenenza allo stesso popolo e la condivi- sione dello stesso sangue. Per prima cosa, gli dissi: «Signor presidente,

292 Il mio incontro con il presidente Kim Il Sung Capitolo 6 - È l’amore che porterà l’unificazione grazie alla cordiale considerazione riservatami, ho potuto incontrare la mia famiglia. Ci sono, però, dieci milioni di Coreani che appartengo- no a famiglie separate tra Nord e Sud, e non sanno neppure se i loro parenti dall’altra parte sono vivi o morti. Vorrei chiederle di concedere loro la possibilità d’incontrarsi». Passai ancora un po’ di tempo a raccontargli della visita al mio paese natale e feci appello al suo amore per il popolo coreano. Lui e io par- lavamo lo stesso dialetto, per cui eravamo a nostro agio uno con l’altro. Il presidente Kim rispose: «La penso anch’io così. A partire dall’anno prossimo, daremo vita un’organizzazione che permetterà ai compatrioti del Nord e del Sud d’incontrarsi». Il suo consenso alla mia proposta parve naturale come la neve che si scioglie in primavera. Dopo aver parlato della mia visita a Jeongju, cominciai ad esporre le mie opinioni sugli armamenti nucleari. Rispettosamente consigliai che la Corea del Nord aderisse a un protocollo sulla denuclearizzazione della penisola coreana e firmasse un accordo di salvaguardia con l’A- genzia Internazionale per l’Energia Atomica. Egli rispose candidamente: «Ci pensi un attimo. Chi è che dovrei ster- minare producendo delle armi atomiche? Il mio stesso popolo? Sem- bro quel tipo di persona? Io ritengo che l’energia nucleare debba essere usata soltanto per scopi pacifici. Ho prestato grande attenzione a quel- lo che lei ha voluto dirmi e prevedo che andrà tutto bene». In quell’epoca, le relazioni tra Nord e Sud si trovavano in una fase critica, a causa delle polemiche sulle ispezioni nucleari in Corea del Nord, così avevo formulato la mia proposta con una certa riluttanza. Tutti i presenti furono sorpresi dalla risposta cortese del presidente Kim. A quel punto, ci spostammo in sala da pranzo, dove iniziammo a mangiare in anticipo rispetto all’ora usuale. «Le piacciono gli spaghetti di patate gelate?» mi chiese. «È un piatto che mangiavo spesso, quando ero partigiano sul monte Baekdu. Ne assaggi un po’, la prego». «Beh, naturalmente li conosco» risposi con

Il mio incontro con il presidente Kim Il Sung 293 Capitolo 6 - È l’amore che porterà l’unificazione

entusiasmo. «Gustavamo spesso questo piatto nel mio villaggio». «Sono sicuro che nel suo villaggio lo apprezzavate come una speciali- tà» continuò. «Noi invece lo mangiavamo per sopravvivere. La polizia giapponese setacciava il monte Baekdu fino alla cima dandoci la caccia. Non avevamo la possibilità di sederci e consumare un pasto decoroso. Cos’altro si può mangiare in cima al monte Baekdu se non delle pata- te? Cominciavamo a bollire qualche patata, e se la polizia giapponese si avvicinava, seppellivamo le patate sotto terra e scappavamo via. Faceva tanto freddo che, prima che potessimo tornare, le patate si erano ghiac- ciate nel terreno. Non potevamo fare altro che scavare, estrarre le pa- tate, scongelarle e ridurle in farina, in modo da farne degli spaghetti». «Signor presidente» osservai, «lei dev’essere un esperto di spaghetti di patate gelate». «È vero. Sono molto buoni mischiati nella zuppa di fagioli e sono an- che squisiti da mangiare nella zuppa di sesamo. È un piatto facile da digerire. Le patate tendono ad amalgamarsi tra loro, e per questo mo- tivo ci davano un grande senso di sazietà. Inoltre, presidente Moon - continuò - è molto appetitosa la ricetta della provincia di Hamgyung, dove prendono una foglia di kimchi alla senape, come questa, e la met- tono sugli spaghetti. Deve provare anche lei». Feci come mi aveva suggerito e mangiai i miei spaghetti di patate ghiacciate con sopra qualche foglia di kimchi alla senape. Il sapore delicato degli spaghetti si combinava bene con il gusto piccante del kimchi. Sentivo lo stomaco leggero. «Ci sono tante prelibatezze nel mondo - disse il presidente Kim - ma a me non interessano. Non c’è niente di meglio della torta di patate, del granturco e delle patate dolci che mangiavo al mio villaggio». «Lei e io abbiamo gusti simili» risposi. «È un piacere incontrarsi tra persone che condividono la stessa terra d’origine». «Com’è andata la visita al suo paese?» mi chiese. «Ho provato tante emozioni. La casa dove ho vissuto era ancora lì, e mi

294 Il mio incontro con il presidente Kim Il Sung Capitolo 6 - È l’amore che porterà l’unificazione sono messo a sedere nella sala grande, pensando al passato. Mi aspet- tavo di sentire da un momento all’altro la voce della mia mamma, che non c’è più, che mi chiamava. È stato molto emozionante». «Capisco» osservò. «Questo dimostra che il nostro paese dev’essere unificato immediatamente. Ho sentito dire che lei è stato un bambino piuttosto birichino. Ha potuto correre in giro, quando è stato lì questa volta?». Tutti i commensali risero alla battuta del presidente. «Avrei voluto arrampicarmi su un albero e andare a pescare - risposi - ma ho sentito dire che lei mi stava aspettando, così sono venuto subito qui. Spero che m’inviterà a venire ancora, una volta o l’altra». «Naturalmente! Lo farò di sicuro. Presidente Moon, lei ama cacciare? A me piace tantissimo. Penso che gradirebbe molto andare a caccia di orsi sul monte Baekdu. Gli orsi sono corpulenti e paiono scoordinati, ma in realtà sono assai agili. Una volta, mi trovai faccia a faccia con un orso» continuò. «L’orso mi osservava senza muovere un muscolo. Se fossi fuggito, lei può immaginare cosa sarebbe successo, non è vero? Cosa avrei dovuto fare, allora? Lo fissai a mia volta e rimasi immobile. Passò un’ora, poi due, poi tre. Ma l’orso continuava a squadrarmi. Lei sa che il monte Baekdu è famoso per il clima freddo. Ho temuto di morire congelato prima ancora che l’orso mi sbranasse». «Come andò a finire?» chiesi. «Beh, presidente Moon, vede un orso seduto qui, o vede me?». Risi con gusto, e il presidente Kim immedia- tamente fece una proposta: «Presidente Moon, la prossima volta che viene, dobbiamo andare a caccia insieme sul monte Baekdu». Risposi anch’io subito con un invito: «A lei piace pescare, non è vero? Intorno all’isola di Kodiak, in Alaska, si possono prendere halibut grandi come orsi. Facciamo un’uscita insieme qualche volta». «Halibut grandi come orsi? Bene, devo proprio venire!». Noi due potevamo comunicare bene, parlando dei passatempi preferiti, la caccia e la pesca, che entrambi condividevamo. Ad un certo punto, sentimmo che avevamo così tante cose da dirci e cominciammo a con-

Il mio incontro con il presidente Kim Il Sung 295 Capitolo 6 - È l’amore che porterà l’unificazione

versare come due vecchi amici, che si fossero incontrati dopo una lunga separazione. Le nostre risate echeggiarono nella sala da pranzo. Parlai anche del monte Kumgang: «Sono stato sul monte Kumgang, che è davvero una bella montagna. Dev’essere valorizzato come desti- nazione turistica per il nostro popolo». «Il monte Kumgang sarà un patrimonio per la nostra patria unita» rispose. «Per questo motivo devo assicurarmi che solo certe persone possano metterci mano. Se fosse sfruttato in modo sbagliato, potrebbe essere rovinato. Lei ha una visuale internazionale e potrei affidarmi a qualcuno come lei, per occuparsene e svilupparlo per noi». Il presiden- te Kim si era spinto fino a chiedermi di ragionare sulla prospettiva di promuovere il monte Kumgang insieme. «Signor presidente» gli dissi, «lei è più anziano di me, così lei è come mio fratello maggiore». Mi rispose: «Presidente Moon, da ora in avanti consideriamoci come fratello maggiore e fratello minore» e mi prese saldamente la mano1. Ci tenemmo per mano, ci avviammo lungo il corridoio e posammo per qualche fotografia ricordo. Poi lasciai la re- sidenza. Mi hanno raccontato che, dopo ch’ero andato via, il presidente Kim avrebbe detto a suo figlio Kim Jong Il: «Il presidente Moon è un grand’uomo. Ho incontrato tante persone nella mia vita, ma nessuno come lui. Pensa in grande ed ha un grande cuore. Mi sento vicino a lui. Mi sono sentito bene con lui e avrei voluto che rimanesse più a lungo. Voglio incontrarlo ancora. Dopo che sarò morto, se ci saranno que- stioni da discutere, per quanto riguarda le relazioni Nord-Sud, dovrai sempre chiedere consiglio al presidente Moon». Così, sembra che il nostro scambio d’idee sia andato molto bene. Poco

1 Nella cultura confuciana e coreana in particolare, i rapporti di parentela e di gerarchia tra le persone vengono espressi - come già detto in precedenza - anche con il linguaggio. Inoltre anche le persone dello stesso sesso, ed indipendentemente dall’età, esprimono il loro affetto reciproco tenendosi per mano.

296 Il mio incontro con il presidente Kim Il Sung Capitolo 6 - È l’amore che porterà l’unificazione dopo la fine della mia settimana di soggiorno e la mia partenza da Pyongyang, il primo ministro Hyung Muk Yeon guidò una delega- zione nordcoreana a Seul. Il primo ministro Yeon firmò un’intesa per la denuclearizzazione della penisola coreana. Il 30 gennaio dell’anno seguente, la Corea del Nord sottoscrisse un accordo di salvaguardia nucleare con l’Agenzia Internazionale per l’Energia Atomica, man- tenendo così le promesse che il presidente Kim mi aveva fatto. C’è ancora tanto lavoro da fare, ma questi furono i risultati che ottenni, andando a Pyongyang a rischio della mia vita.

Il mio incontro con il presidente Kim Il Sung 297 La terra può essere divisa, non la gente

a penisola coreana è una delle ultime nazioni divise rimaste sul- la Terra. Noi abbiamo la responsabilità di unificare la penisola. Non possiamo tramandare ai nostri discendenti una patria se- Lparata. È inammissibile che un medesimo popolo debba essere diviso e che persone amanti della pace non possano vedere i propri genitori o familiari. La linea che divide il Nord dal Sud della Corea è stata trac- ciata dagli uomini. La terra può essere divisa in quel modo, ma non la gente. Il fatto che non ci dimentichiamo gli uni degli altri e continu- iamo a cercarci anche dopo circa sessant’anni di separazione, dimostra che siamo un solo popolo. I coreani sono tradizionalmente conosciuti come il «popolo vestito di bianco», per il colore dei nostri abiti tradizionali. Il bianco simboleggia la pace e la nostra gente è pacifica. Durante il periodo dell’occupazione giapponese, alcuni coreani, cinesi e giapponesi vivevano in Manciuria e in Siberia, a volte aiutandosi, altre volte uccidendosi tra loro. In tutto quel tempo, i coreani non portarono mai spade o coltelli, come faceva- no giapponesi e cinesi. Noi portavamo, invece, pietre focaie. Accendere il fuoco nelle terre gelide della Manciuria e della Siberia era un modo per tutelare la vita. Noi siamo questo tipo di popolo. Rispettiamo il Cielo, osserviamo i principi morali e amiamo la pace. La nostra gente versò tanto sangue durante il tempo della dominazione giapponese e durante la guerra di Corea. Tutto questo, però, non condusse all’unifi- cazione della nostra patria né alla fondazione di una sovranità di pace. Il nostro paese fu spezzato alla cintola in due parti, e la metà di esso di- venne un oscuro regno comunista. Abbiamo bisogno dell’unificazione per restaurare la sovranità del nostro popolo. Dobbiamo porre fine alla divisione tra Nord e Sud, affinché possiamo avere pace. Soltanto dopo

298 La terra può essere divisa, non la gente Capitolo 6 - È l’amore che porterà l’unificazione aver compiuto la riunificazione pacifica e restaurato la nostra sovranità, potremo portare la pace nel mondo. Il popolo coreano è stato creato per portare la pace nel mondo. Ogni cosa ha un nome, e ogni nome ha il suo significato. I nostri costumi bianchi tradizionali sono facili da vedere, sia di giorno che di notte. Il bianco si presta bene per le segnalazioni durante la notte, perché è fa- cile da distinguere al buio. Allo stesso modo, la nostra gente è destinata a portare messaggi di pace per il mondo, sia di giorno che di notte. Nord e Sud sono divisi dalla linea dell’armistizio, ma non è questo il problema. Una volta che avremo cancellato quella linea, troveremo una barriera ancora più grande tra noi: la Russia e la Cina. Perché il nostro popolo possa godere la vera pace, dobbiamo eliminare anche quelle linee di confine. Sarà difficile, ma non impossibile. Quello che conta è il nostro atteggiamento. Io credo che un uomo che suda, debba sudare fino all’ultima goccia che ha dentro di sé. In questo modo, non avrà rimpianti e tutto rimarrà pulito e in ordine. La stessa cosa accade quando ci cimentiamo in un compito impegnativo. Le difficoltà scompariranno solamente quando avremo conquistato la vittoria a tutti i livelli e tutto sarà stato chiarito. Tutto quello di cui vi state occupando dev’essere messo completamen- te in ordine, poi potrà produrre frutto. Non riusciremo a restaurare la piena sovranità del nostro popolo, senza prima superare tali dolorose difficoltà. Oggi tanti parlano di unificazione pacifica. Io, invece, ne parlavo in un’epoca nella quale la gente neppure osava pronunciare la frase «uni- ficazione pacifica», per timore di venir accusata d’infrangere la leg- ge contro il comunismo o di attentare alla sicurezza nazionale. Oggi, quando mi chiedono cosa occorra fare per giungere all’unificazione, ripeto le stesse cose che ho sempre detto sull’argomento: «Se i sudco- reani amassero la Corea del Nord più di quanto amino il Sud, e se i nordcoreani amassero la Corea del Sud più di quanto amino il Nord,

La terra può essere divisa, non la gente 299 Capitolo 6 - È l’amore che porterà l’unificazione

potremmo unificare la penisola oggi stesso». Ho potuto rischiare la vita andando in Corea del Nord a incontrare il presidente Kim nel 1991, perché avevo questa fondazione d’amore dentro di me. In quell’occasione, discussi con lui sugli incontri delle famiglie separate, sulla cooperazione economica tra Nord e Sud, sullo sviluppo turistico del monte Kumgang, sulla denuclearizzazione della penisola coreana e sulla preparazione di un vertice Nord-Sud. Nessuno pensava che un anticomunista potesse andare in una nazione comuni- sta ed aprire le paratie dell’unificazione, ma io sorpresi il mondo. Prima dell’incontro col presidente Kim, parlai per due ore sul tema: «Il legame di sangue del nostro popolo» nella Sala dell’Assemblea di Mansudae, sede del Congresso Supremo del Popolo, il parlamento della Corea del Nord. Quel giorno parlai ai dirigenti nordcoreani sul modo di unificare Nord e Sud con l’amore. Mi presentai alla classe politica nordcoreana, armata della filosofia di Kim Il Sung, e dissi loro esattamente le cose in cui credevo. «Nord e Sud devono essere unificati» affermai, «ma le armi non ci faranno diventare una cosa sola. L’unificazione tra Nord e Sud non avverrà grazie alla forza degli eserciti. Neanche la guerra di Corea è riuscita in quello scopo e sarebbe folle pensare di ripetere il tentativo con mezzi militari. L’unificazione non avverrà neppure con l’ideologia dello Juche che voi abbracciate. Che cosa potrà avere successo, allora? Il mondo non è mosso solamente dall’energia degli uomini. Poiché Dio esiste, niente può compiersi per virtù dei soli sforzi umani. Anche nelle situazioni peggiori, come le guerre, Dio conduce la Sua provvidenza. Per questo motivo, Nord e Sud non possono essere uniti sulla base dell’ideologia dello Juche, che mette l’uomo al centro». Continuai: «La realizzazione di una patria unita può venire solo con il Godism. Dio ci protegge e il tempo dell’unificazione è vicino. L’uni- ficazione è il destino, è lo scopo che dev’essere adempiuto nella nostra epoca. Se non sapremo assolvere al sacro compito di unificare la patria

300 La terra può essere divisa, non la gente Capitolo 6 - È l’amore che porterà l’unificazione nel nostro tempo, non potremo tenere alta la testa alla presenza dei nostri antenati o dei nostri discendenti per il resto dell’eternità». Spiegai ancora: «Cos’è il Godism? È la pratica dell’amore perfetto di Dio. Né la destra, né la sinistra possono unificare Nord e Sud. Questa possibilità ci sarà solo quando verrà un pensiero headwing1 capace di armonizzarli. Per iniziare il percorso dell’amore, dovrete chiedere scusa davanti al mondo per aver invaso il Sud. Sono al corrente del fatto che la Corea del Nord ha dislocato al Sud ventimila agenti segreti. Man- date immediatamente a tutti loro l’ordine di consegnarsi alle autorità sudcoreane. Se lo farete, io darò loro l’educazione appropriata per cor- reggere la loro ideologia e trasformarli in patrioti, che contribuiranno all’unificazione pacifica tra Nord e Sud». Picchiai più volte il pugno sul tavolo davanti a me, mentre parlavo. L’e- spressione sui visi del presidente Yun Ki Bok e del vice primo ministro Kim Dal Hyun divenne sempre più tesa. Mi rendevo conto dei pericoli cui mi esponevo facendo certe affermazioni, ma dovevo assolutamente dire quello che ero venuto a dire. Non stavo semplicemente cercando di scioccare i miei ascoltatori; sapevo che il mio discorso sarebbe stato riportato immediatamente, parola per parola, al presidente Kim e a suo figlio Kim Jong Il, perciò volevo illustrare chiaramente il mio scopo. Quando ebbi finito, alcuni dei presenti protestarono, e vollero sapere come avessi potuto permettermi di parlare a quel modo. Guardai i miei accompagnatori e vidi che erano sbiancati in volto. I membri che erano con me dissero: «Il discorso aveva un tono molto duro e l’atmosfera nel pubblico non era buona». Risposi in modo cate- gorico: «Perché sono venuto qui? Non sono venuto a visitare la Corea del Nord. Se fossi andato via senza dire ciò che doveva essere detto, il

1 Termine coniato negli anni 80 dal Rev. Moon per sottolineare la necessità di un pen- siero che superi la destra (right wing, ala destra, in inglese) e la sinistra (left wing): un pensiero head-wing, letteralmente «ala di testa», «ala più elevata», è in sostanza un pen- siero che supera, inglobandole, la visione della destra e della sinistra.

La terra può essere divisa, non la gente 301 Capitolo 6 - È l’amore che porterà l’unificazione

Cielo mi avrebbe punito. Anche se il discorso di oggi verrà utilizzato come pretesto per negarmi un incontro con il presidente Kim ed espel- lermi dal Paese, io comunque dovevo dire quello che ero venuto a dire». L’8 luglio 1994, il presidente Kim improvvisamente morì. La sua mor- te avvenne in un momento in cui l’andamento delle relazioni Nord- Sud era al minimo storico. I missili Patriot erano stati dispiegati sul territorio sudcoreano e i «falchi» statunitensi propugnavano la distru- zione degli impianti nucleari di Yeongbyon. Sembrava che la guerra dovesse scoppiare da un momento all’altro. La Corea del Nord aveva annunciato che non sarebbe stato ammesso alcun ospite internazionale alle esequie, ma sentii che era importante mandare qualcuno. Volevo fare il mio dovere, perché avevo creato una relazione di fratellanza col presidente Kim. Chiamai subito Bo Hi Pak: «Vai immediatamente in Corea del Nord, come mio rappresentante ai funerali del presidente Kim», gli dissi. «Nessuno può entrare in Corea del Nord adesso», rispose. «Lo so che è difficile, ma in un modo o nell’altro devi andare. Non m’interessa se dovrai attraversare il fiume Yalu a nuoto. Vai e porta le mie condoglianze». Per prima cosa, Bo Hi Pak andò a Pechino, dove rischiò la vita per mettersi in contatto con la Corea del Nord. Poi, il presidente Kim Jong Il ordinò: «Per il rappresentante del presidente Moon si farà un’ecce- zione. Scortatelo a Pyongyang». Dopo aver ricevuto le condoglianze, il presidente Kim Jong Il incontrò Bo Hi Pak e lo salutò cortesemente, dicendo: «Mio padre ha sempre detto che il presidente Moon sta lavo- rando duramente per l’unificazione della nostra patria. Le sono grato per essere venuto». Nel 1994 la penisola coreana attraversava una tale congiuntura, che la guerra avrebbe potuto esplodere da un momento all’altro. In quel frangente potemmo risolvere la crisi nucleare grazie alla relazione che io avevo costruito col presidente Kim Il Sung. L’invio di un rappresen-

302 La terra può essere divisa, non la gente Capitolo 6 - È l’amore che porterà l’unificazione tante per esprimere le mie condoglianze non era soltanto questione di partecipazione a un funerale. Ho descritto il mio incontro col presidente Kim in ampi dettagli, per spiegare il mio punto di vista, circa l’importanza della fede e della lealtà tra due persone. La motivazione dell’incontro era nel mio interessa- mento all’unificazione pacifica della nostra patria. Riuscii a trasmet- tergli con fede e lealtà la mia preoccupazione per il destino del nostro popolo. Come risultato, dopo la sua morte il figlio, il presidente Kim Jong Il, accolse il nostro rappresentante al funerale. Non c’è muro che non possa essere superato e non c’è sogno che non possa essere realiz- zato, quando condividiamo il nostro amore con un cuore sincero. Quando andai in Corea del Nord, la consideravo la mia patria e la casa di mio fratello. Non andai lì con il desiderio di ottenere qualcosa da loro. Il mio scopo era condividere con loro il mio cuore d’amore. Il po- tere dell’amore toccò non soltanto il presidente Kim Il Sung, ma anche suo figlio, il presidente Kim Jong Il. D’allora in poi, e fino a tutt’og- gi, abbiamo mantenuto una relazione speciale con la Corea del Nord. Ogni volta che le relazioni Nord-Sud si sono fatte difficili, abbiamo avuto un ruolo nell’aprire le porte del dialogo. Tutto ciò sulla base del mio incontro con il presidente Kim Il Sung, del fatto di avergli aperto sinceramente il mio cuore e di aver costruito con lui una relazione di fiducia. Questa è l’importanza della fiducia. Sulla fondazione del mio incontro con il presidente Kim, noi oggi ge- stiamo gli stabilimenti della , il Potonggang Hotel e il World Peace Center in Corea del Nord. I manifesti pubblicitari della Pyeonghwa Motors sono visibili in tutta Pyongyang. Quando il presidente sudcoreano visitò la Corea del Nord, i funzionari nordco- reani lo portarono a visitare gli stabilimenti della Pyeonghwa Motors. Gli uomini d’affari sudcoreani che accompagnarono il presidente al- loggiarono al Potonggang Hotel. I membri non-nordcoreani della no- stra chiesa, che lavorano in Corea del Nord, s’incontrano ogni dome-

La terra può essere divisa, non la gente 303 Capitolo 6 - È l’amore che porterà l’unificazione

nica al World Peace Center per il servizio religioso. Tutti questi progetti costituiscono altrettanti sforzi, intesi allo scambio pacifico e all’unificazione tra Nord e Sud. Non sono diretti all’otteni- mento di profitti. Sono impegni volti a contribuire all’unificazione tra Nord e Sud, come espressione d’amore per il popolo coreano.

304 La terra può essere divisa, non la gente Non con le armi, ma col vero amore

on c’è soltanto la linea dell’armistizio a dividere la nostra gen- te. Anche le regioni di Youngnam e Honam1 sono separate da un confine invisibile. Inoltre, i coreani che vivono in Giappone Nsono divisi tra l’Unione dei coreani residenti in Giappone, o Mindan, che appoggia la Corea del Sud, e l’Associazione Generale dei coreani residenti in Giappone, o Chongryon, che sostiene la Corea del Nord. Il contrasto tra queste due organizzazioni che operano in Giappone è basato sui luoghi natali dei rispettivi membri. I coreani di seconda e terza generazione, che non hanno mai visitato i paesi di provenien- za dei propri padri, sono tuttora in conflitto tra loro, e restano chiusi dentro le barriere tracciate dai loro stessi genitori. I membri delle due organizzazioni parlano lingue leggermente diverse, mandano i figli in scuole differenti e non consentono che si sposino tra loro. Nel 2005 misi in atto un progetto, che da tanto tempo avevo a cuore, per creare unità tra i coreani in Giappone, così come tra i coreani delle regioni Youngnam e Honam. Ho invitato a Seul mille membri dell’As- sociazione Mindan e mille membri dell’Associazione Chongryon e li ho abbinati in un gemellaggio con mille persone della regione di Youngnam e mille persone della regione di Honam. È pressoché impossibile che in Giappone dei membri di Chongryon e di Mindan siedano a uno stesso tavolo, per parlare dell’unificazione pacifica del Nord e del Sud. È stato un grosso impegno riunire quelle persone, ma sono rimasto profondamente commosso nel vederli stare insieme e abbracciarsi.

1 Due regioni coreane tradizionalmente nemiche. I motivi affondano le loro radici nella storia lontana (si sono originati attorno all’anno 1000 d. C.), e sono stati rinfocolati da alcune scelte politiche infelici negli anni ’60 e ’70 del ’900.

Non con le armi, ma col vero amore 305 Capitolo 6 - È l’amore che porterà l’unificazione

Un funzionario di Chongryon che partecipava all’evento non era mai stato a Seul prima d’allora. Parlò tra le lacrime, commentando il suo rimpianto per i tanti anni che aveva passato combattendo una guerra che non era la sua, soprattutto perché non sapeva nemmeno con cer- tezza da quale parte della penisola provenisse effettivamente suo padre. Disse che sentiva infinita vergogna per aver vissuto portando segnata nel cuore quella linea divisoria priva di significato. Per comprendere appieno la divisione della penisola coreana e il con- fitto tra i due lati, dobbiamo guardare complessivamente al passato, al presente e al futuro. Ogni avvenimento ha una propria causa. La divisione della penisola coreana è il frutto della storia della lotta tra bene e male. Con lo scoppio della guerra di Corea, l’Unione Sovietica, la Cina ed altri paesi comunisti vennero in aiuto della Corea del Nord. Analogamente sedici nazioni, guidate dagli Stati Uniti, inviarono le loro forze armate in soccorso della Corea del Sud. Altre cinque nazioni inviarono i loro medici e venti offrirono armamenti e munizioni. Qua- le altra guerra, nel corso della storia, ha coinvolto tante nazioni nella lotta? Il mondo intero fu coinvolto nello scontro, svoltosi in quel pic- colo Paese, perché si trattava di un conflitto emblematico, in cui erano rappresentate le forze del comunismo e quelle della libertà. Si può dire che la Corea divenne la rappresentazione del mondo e che il bene ed il male combatterono aspramente sul suo suolo. L’ex Segretario di Stato americano e generale in pensione Alexander Haig fece un’inattesa dichiarazione, durante il suo discorso di felicita- zioni per il decimo anniversario del Washington Times2, celebrato nel 1992. «Io sono un veterano della guerra di Corea», disse. «Fui incaricato del comando dell’attacco contro Heungnam, che sferrammo col massimo delle forze di cui disponevamo. Sono profondamente commosso dal sentire che il reverendo Moon era tenuto prigioniero dai comunisti 2 Quotidiano fondato dal Rev. Moon a Washington.

306 Non con le armi, ma col vero amore Capitolo 6 - È l’amore che porterà l’unificazione e fu liberato grazie all’attacco che conducemmo quel giorno. Sembra proprio che io sia stato mandato lì per liberare il reverendo Moon. Adesso, il reverendo Moon è qui per salvare l’America. Il Washington Times è un giornale che salverà il popolo americano. Ci presenta una visione della storia equilibrata, che non è né di destra, né di sinistra, e ci mostra la strada giusta. Come si può vedere, non esistono coincidenze nella storia». Alcuni anni fa, in Corea, era insorta una polemica sulla famosa statua del generale Douglas MacArthur, nel parco di Incheon3, che qualcuno avrebbe voluto rimuovere. Si sosteneva che la Corea non sarebbe stata divisa tra Nord e Sud, com’è oggi, se le forze delle Nazioni Unite non fossero scese in campo. Sono rimasto sbalordito da questa tesi, e l’ho contestata con forza. Una teoria del genere non può che assecondare le posizioni del partito comunista coreano. Sono stati fatti grandi sacrifici a livello globale, e ancora la nostra peni- sola rimane divisa. Non conosciamo la data esatta in cui avverrà l’uni- ficazione, ma è chiaro che stiamo facendo grandi passi avanti in quella direzione. Tanti ostacoli rimangono da superare sulla strada verso l’u- nificazione. Ogni volta che ci troviamo davanti a uno di tali ostacoli, dobbiamo darci da fare per abbatterlo e procedere oltre. Anche se oc- corre un lungo tempo e possa risultare difficile, otterremo assoluta- mente l’unificazione; perché ciò avvenga, però, dobbiamo impegnarci con la stessa determinazione che profonderemmo se dovessimo attra- versare a nuoto il fiume Yalu. Dopo il crollo dell’Unione Sovietica, la Romania resistette ai cambia- menti più a lungo degli altri paesi comunisti dell’Europa centrale e orientale. Poi, alla fine del 1989, in Romania si ebbe una rivolta popo- lare sanguinosa. Non appena il regime fu deposto, Nicolae Ceaucescu, che aveva governato la nazione per ventiquattro anni, fu giustiziato

3 La città sulle cui coste sbarcò il Generale Mac Arthur alla guida delle forze ONU, all’inizio della guerra di Corea.

Non con le armi, ma col vero amore 307 Capitolo 6 - È l’amore che porterà l’unificazione

insieme alla moglie. Era stato un feroce dittatore, che aveva massacrato senza pietà chiunque gli si era opposto. In tutti i Paesi totalitari, uno dei motivi per cui i tiranni tendono a esa- cerbare la loro dittatura è perché temono per la propria vita, nell’ipotesi che perdano il potere. Io penso che nessun dittatore, se fosse certo di non correre alcun pericolo, si spingerebbe fino in fondo ad un vicolo cieco, alla maniera di Ceausescu. Anche il nostro Paese sarà unificato tra non molto, in un modo o nell’altro. Perciò, i politici e gli economisti devono sviluppare i neces- sari preparativi, nei rispettivi campi d’azione. Come uomo di religione, lavorerò duramente per accogliere una Corea unita, nella quale potre- mo abbracciare i nordcoreani con amore e vivere insieme in pace. Ho studiato a lungo l’unificazione della Germania. Ho ascoltato le esperienze dei protagonisti di quella storia, per capire com’è stato pos- sibile compiere l’unificazione senza sparare un solo proiettile e senza versare una sola goccia di sangue. Nel compiere questa ricerca, ho spe- rato di trovare una modalità appropriata per realizzare l’unificazione della Corea. Ho appreso che la ragione principale per cui la Germania è stata ri- unita pacificamente è consistita nell’accortezza di far comprendere ai capi del regime della Germania dell’Est che la loro vita non sarebbe stata messa a repentaglio dall’unificazione. Se i capi della Repubblica Democratica Tedesca non fossero stati sicuri di ciò, non avrebbero per- messo che l’unificazione avvenisse tanto facilmente. Mi sono convinto che anche noi dobbiamo essere indulgenti allo stes- so modo, verso i governanti della Corea del Nord. In Giappone è stato pubblicato un romanzo, che tratta di una storia ambientata nella Corea del Nord. Nel racconto, i capi del regime guardano ripetutamente il video dell’esecuzione di Ceausescu e gemono: «Ecco cosa ci capiterà se perderemo il potere. Non dobbiamo mai allentare la repressione, per nessun motivo al mondo!».

308 Non con le armi, ma col vero amore Capitolo 6 - È l’amore che porterà l’unificazione

Naturalmente, si tratta solo di un romanzo pubblicato in Giappone. Comunque, dobbiamo prestare attenzione a questo problema reale e trovare una soluzione per i despoti della Corea del Nord, affinché si possa ottenere speditamente la riunificazione della Corea. Portare la pace nella penisola coreana non è difficile come si potrebbe pensare. Quando la Corea del Sud vivrà pienamente per il bene della Corea del Nord, allora il Nord non cercherà più di attaccare il Sud e la pace verrà in modo naturale. La forza che può convincere un ragazzo ribelle non è la violenza bru- tale dei pugni. È la forza dell’amore, che sgorga naturalmente da den- tro il cuore. Più che riso o fertilizzanti, è importante che alla Corea del Nord diamo amore. Non dobbiamo mai dimenticare che soltanto quando avremo comprensione per la situazione della Corea del Nord e ci adopereremo per il suo benessere, con cuore amorevole e sincero, essa a sua volta aprirà il suo cuore a noi e al mondo.

Non con le armi, ma col vero amore 309

Capitolo 7

Il futuro della Corea è il futuro del mondo

L’armonia globale inizia dalla penisola coreana

i manca così tanto il mio villaggio natale che spesso lo visito nei miei sogni. Il posto da dove vengo è ben oltre Seul; si trova in Jeongju, nella Corea del Nord. È una regione tra le Mmontagne e il mare. Dovunque io sia, qualunque ora del giorno possa essere, il mio cuore desidera sempre ritornare in quel luogo, dove c’è amore e vita. Tutti noi siamo nati nella stirpe dei nostri genitori e, nel corso della no- stra crescita, siamo stati nutriti dal loro amore. Non possiamo dimen- ticare il nostro luogo d’origine, perché lì la terra stessa è intrisa dell’a- more dei nostri genitori; perciò, più diventiamo vecchi, più ci manca il nostro paese natale. Lì sono le nostre radici e lì dobbiamo ritornare. È difficile separarci da quelle cose che sono per noi fondamentalmente importanti. Nel 2004, conclusi trentaquattro anni di attività negli Stati Uniti e feci ritorno nella penisola coreana, dove abita la fortuna celeste. Non siamo consapevoli del momento esatto in cui la mattina cede al mezzogiorno. Neppure siamo consapevoli del momento esatto in cui la sera diventa notte. Analogamente, gli uomini non hanno alcun modo di riconoscere il momento in cui il Cielo compie la sua opera. E que- sto è vero anche per le nostre vite: i nostri momenti di successo o di disfatta si compiono tutti senza che ci rendiamo pienamente conto di quando esattamente abbiano cominciato a prendere quella piega. La stessa cosa accade alle nazioni. Non è possibile conoscere in an- ticipo il momento in cui a una nazione sorriderà la buona sorte o si presenterà la sorte avversa. La fortuna celeste è la forza che muove il mondo, è il principio che fa funzionare l’universo. Anche se non la conosciamo, c’è chiaramente questa cosa, chiamata fortuna celeste, che quell’Uno, che creò il mondo, usa per condurre la Sua provvidenza.

L’armonia globale inizia dalla penisola coreana 313 Capitolo 7 - Il futuro della Corea è il futuro del mondo

L’universo si muove in perfetta sintonia col suo stesso ordine. Nel mondo, tutti gli esseri portano dentro di sé un certo principio, che è stato posto in essi ancor prima della loro stessa esistenza. Quando nasce un bambino, nessuno deve insegnargli come respirare o aprire gli occhi. Lo fa senza esservi costretto. Le cose che avvengono spontane- amente serbano al loro interno chiavi importanti, che aprono le porte dei segreti dell’universo. Molti fenomeni naturali sembrano prodursi automaticamente. In re- altà, non è così. Nascosta nei fenomeni dell’universo, c’è una forza di- rezionale, di cui noi non siamo coscienti e che non comprendiamo. Lo stesso può dirsi per le forze della fortuna nell’universo, ovvero la fortuna celeste. Osservando i cicli dell’universo, possiamo essere certi che sta per arri- vare un periodo di grande fortuna. Se comprendiamo il principio uni- versale, per cui la primavera segue l’inverno ed è seguita a sua volta dall’estate, possiamo prevedere per la Corea un brillante futuro, dopo il lungo inverno di disgrazia che ha dovuto affrontare. L’uomo saggio si adegua alle leggi e ai ritmi dell’universo. Quando ero in America, spesso andavo a pescare nel fiume Hudson, non lontano da casa. Sin da quando ero ragazzo, sono sempre stato un pescatore molto esperto, e tuttavia c’erano giorni in cui, nell’Hudson, non riusci- vo a prendere altro che un pesciolino minuscolo e dovevo tornarmene a casa sconsolato. I pesci hanno dei percorsi particolari lungo i quali si muovono, e certi periodi specifici in cui li utilizzano. Se non abbiamo idea di dove si trovino quei percorsi e di quando i pesci passeranno di là, non pren- deremo niente. Solo perché c’è dell’acqua, questo non vuol dire che ci saranno sempre dei pesci in transito. Chi non comprende questo punto fondamentale, può tenere la lenza in acqua tutto il giorno e tutta la notte senza combinare nulla. Lo stesso accade con la fortuna celeste. Senza un occhio particolare, capace di predire il futuro, non vedremo

314 L’armonia globale inizia dalla penisola coreana Capitolo 7 - Il futuro della Corea è il futuro del mondo mai la fortuna celeste, neppure quando l’avremo davanti agli occhi. Per questo motivo, è importante avere una comprensione nitida della fortuna celeste e la capacità di cogliere i suoi movimenti. In tutto il corso della storia, la civiltà umana si è sviluppata in direzione dell’occidente. La civiltà continentale dell’Egitto ha ceduto il passo alle civiltà peninsulari della Grecia e di Roma; si è poi sviluppata la civiltà insulare della Gran Bretagna, prima dello spostamento verso un’altra civiltà continentale, questa volta in America. La civiltà ha proseguito nel suo movimento verso Ovest, attraversando l’Oceano Pacifico per giungere in Giappone. Il movimento della civiltà non si è fermato lì. La forza che ha innalza- to il Giappone a una posizione così importante si sta ora trasferendo alla penisola coreana, dove la civiltà sta per raggiungere il suo apice. Per collegarsi con il continente, la civiltà insulare del Giappone deve passare attraverso una penisola. L’Asia, naturalmente, ha altre penisole, ma solo la Corea ha una fondazione sufficiente per ereditare la civiltà contemporanea. La penisola coreana si trova in una posizione geopo- litica estremamente favorevole. Ha di fronte il Giappone e, dall’altra parte dell’Oceano Pacifico, gli Stati Uniti. È anche collegata alla massa continentale eurasiatica ed ha confini comuni con la Cina e la Russia. Questa è la ragione per cui la Corea è stata al centro delle lotte di potere tra le grandi potenze mondiali e, come conseguenza, ha patito tante sofferenze. Durante la Guerra Fredda, abbiamo combattuto contro il comunismo una guerra per la nostra stessa esistenza. Ancor oggi, le preoccupazioni e gli interessi delle grandi potenze mondiali continuano a ripercuotersi sulla penisola coreana, così che la Corea rimane una nazione divisa, impossibilitata a vivere in completa pace. È venuto il tempo in cui la nostra penisola, fatta terreno di scontro degli interessi delle grandi potenze mondiali, assumerà un ruolo importante nella prevenzione dei conflitti tra quelle nazioni e, di conseguenza, si troverà nella posizione

L’armonia globale inizia dalla penisola coreana 315 Capitolo 7 - Il futuro della Corea è il futuro del mondo

di guidare il resto del mondo verso la prosperità e la pace. La fortuna celeste è accompagnata da una responsabilità tremenda. Adesso che è entrata nel periodo della sua fortuna celeste, la penisola coreana deve svolgere un ruolo simile a quello di un cuscinetto a sfere, assicurando che le diverse nazioni non soltanto non entrino in conflit- to tra loro, ma al contrario cooperino strettamente nel perseguimento della prosperità e della pace mondiali. Il cuscinetto a sfere ha la duplice funzione di mantenere in posizione l’asse del meccanismo, e allo stesso tempo consentire all’asse di ruotare liberamente. La Corea deve man- tenere buone relazioni con le grandi potenze mondiali e diventare, così, un cuscinetto a sfere, che consenta alla pace di ruotare liberamente in tutto il mondo. Per tanto tempo ho condotto preparativi serrati perché la Corea as- sumesse questo ruolo. Ho sostenuto la politica della glasnost1 del pre- sidente Gorbachev e mi sono adoperato per il miglioramento delle relazioni con l’Unione Sovietica. Ho sostenuto anche le riforme e la politica di apertura di Deng Xiao Ping, in Cina, a partire dalla fine de- gli anni ‘80. Ho cominciato il mio lavoro in Cina aiutando l’università di Yanbian a realizzare il college del corso di studi d’ingegneria. Anche dopo gli eventi di piazza Tienanmen, quando gli operatori stranieri si sono ritirati dalla Cina, noi siamo rimasti e abbiamo investito decine di milioni di dollari a Huizhou, nella provincia di Kwangtung. Le mie motivazioni non sono state meramente economiche. Io sono un uomo di religione, non un uomo d’affari. L’uomo di religione è colui che vede nel futuro e prepara al futuro. Russia, Cina, Giappone e Stati Uniti devono imparare a collaborare tra loro, facendo buon uso del fulcro spirituale costituito dalla penisola coreana. Quest’ultima è destinata a diventare l’asse della pace mondiale.

1 «Trasparenza» in russo. Termine usato da Gorbachev per definire la politica di traspa- renza del suo governo ed in generale della vita pubblica in Russia, in contrapposizione alla politica «nascosta» del regime precedente.

316 L’armonia globale inizia dalla penisola coreana Capitolo 7 - Il futuro della Corea è il futuro del mondo

Quando cominciai a operare per il miglioramento delle relazioni tra la Corea da un lato e l’Unione Sovietica e la Cina dall’altro, scoprii che la Corea mancava persino di una cosa così basilare come un dizionario russo o cinese. Ben poco sarebbe stato fatto, finché non avessimo po- tuto comprendere l’uno la lingua dell’altro. Quando sentii che c’erano due gruppi di studiosi, che avevano avuto la lungimiranza di comincia- re a lavorare uno a un dizionario cinese-coreano, e l’altro a un diziona- rio russo-coreano, sostenni questi due progetti. Il progetto del dizionario cinese-coreano era guidato dal professor Il Shik Hong, dell’Istituto di Cultura Coreana dell’Università di Corea; diversi professori del Dipartimento di Studi sulla Russia, nella stessa università, erano impegnati nella compilazione di un dizionario russo- coreano. Questi dizionari stanno assolvendo un compito cruciale negli scambi tra le due Coree, la Cina e la Russia. La pietra che sta sulla cima della montagna più alta, una volta che comincia a cadere, rotola giù fino al fondo della valle. Quest’immagine descrive il cambiamento di fortuna della civiltà occidentale. Tutti sap- piamo che l’Occidente ha conseguito, grazie alla scienza, un progresso incredibile, ma ora il decadimento morale lo sta facendo precipitare verso la parte più profonda della vallata. Il fondo della vallata è l’Orien- te, dove per migliaia di anni è stata sviluppata una cultura spirituale. In particolare, la penisola coreana è il luogo dove s’incontreranno le culture dell’Oriente e dell’Occidente, come pure s’incontreranno le ci- viltà continentali e marittime. Lo storico e filosofo Oswald Spengler2 ha elaborato una teoria ciclica sulla nascita e il declino delle civiltà ed ha delineato una visione pessimistica della democrazia, vista come la forma di governo che sta sospingendo la civiltà occidentale verso il declino. Spengler sostiene che la democrazia è mossa dal denaro; la forza corruttiva della democrazia e le sue manifestazioni di degrado morale costituiscono la base per l’avvento del materialismo e del culto 2 Storico e filosofo Tedesco (1880-1936).

L’armonia globale inizia dalla penisola coreana 317 Capitolo 7 - Il futuro della Corea è il futuro del mondo

della scienza. Osservando la cultura occidentale di oggi, notiamo che alcune delle riflessioni di Spengler sono state profetiche. La civiltà atlantica, che ha prosperato fino ad oggi, sta andando chiaramente incontro a una nuova era, l’era dell’emergente civiltà pan-pacifica. L’Asia, con la Corea designata ad assumere in essa un ruolo centrale, sta diventando l’attore principale nella nuova storia mondiale. Due terzi della popolazione mondiale vivono in Asia e tutte le maggiori religioni del mondo sono nate in Asia. Questo continente ha lungamente servito da radice spi- rituale dell’umanità. È inevitabile che le civiltà dell’Occidente e dell’Oriente si uniscano armoniosamente nella penisola coreana. Mentre il mondo cambia ra- pidamente, la fortuna celeste si sta muovendo a velocità crescente in direzione della Corea. Tuttavia, la penisola coreana, per svolgere ade- guatamente il suo importante ruolo nel condurre il mondo all’armonia e alla pace durante un’era di caos, deve assolutamente prepararsi. Deve liberarsi di un passato, contrassegnato dal pregiudizio e dall’egoismo, e salutare la nuova era con uno sguardo limpido e un cuore nuovo.

318 L’armonia globale inizia dalla penisola coreana Dalla sofferenza e dalle lacrime alla pace e all’amore

a storia tragica che il popolo Coreano ha subito fino ad oggi, ha un significato profondo. La Corea ha sofferto tanto, perché da essa è destinata a svilupparsi la fondazione sulla quale sarà Ledificata la pace mondiale. Avendo sopportato sofferenze e difficoltà per così tanto tempo, la Corea può diventare ora la nazione centrale, dalla quale Dio può espandere la pace a tutto il mondo. I Coreani, sebbene abbiano incontrato innumerevoli difficoltà, non hanno mai coltivato inimicizia o provato odio per chicchessia. Taluni popoli vicini hanno causato loro delle difficoltà, ma non per questo i Coreani li hanno considerati come irriducibili nemici. La gente di Corea ha sviluppato una cultura del cuore, che l’ha mes- sa in condizione di perdonare i propri nemici. La capacità di amare i nemici viene soltanto dopo aver ottenuto la vittoria sui propri conflitti interiori. Chi è perseguitato è più vicino a Dio. Per comprendere il cuore di Dio, bisogna aver sperimentato il Suo corso di lacrime. Anche un uomo che non avesse mai pianto prima, se all’improvviso dovesse perdere la sua famiglia o il suo paese, non potrebbe non abbandonarsi alla la- crime e, singhiozzando, supplicare disperatamente Dio. Le difficoltà conducono l’uomo a sviluppare nel cuore la propensione al dolore e al pianto, ma anche a ricevere, proprio attraverso questo tipo di cuore, la benedizione di Dio. Dio visita i cuori inondati di lacrime. La Corea è diventata il paese della fortuna celeste perché nel cuore della sua gente ci sono tante lacrime. Noi Coreani onoriamo gli antenati. Per quanto possiamo essere ridotti alla fame, non venderemmo mai la terra, dove sono sepolti i nostri an- tenati, per comprarci da mangiare. Abbiamo mantenuto, attraverso il

Dalla sofferenza e dalle lacrime alla pace e all’amore 319 Capitolo 7 - Il futuro della Corea è il futuro del mondo

corso della storia, un modo di pensare che rispetta il Cielo. Siamo una nazione moderna e civilizzata, che ancora onora il mondo dello spiri- to. Quando accettammo il Buddismo e il Confucianesimo, da queste religioni ebbe origine una bella cultura religiosa. Più di recente, hanno cominciato a prosperare anche la tradizione cristiana e quella musul- mana. In Corea, tutte queste religioni vivono senza scontrarsi tra loro, si mescolano insieme e coesistono pacificamente. Cos’è che ha fatto di noi un popolo così singolare? Fin dall’antichità, abbiamo sempre avuto una mente religiosa e il no- stro cuore è sempre stato aperto a ricevere la Parola di Dio. Inoltre, noi Coreani abbiamo sempre dato grande importanza all’istruzione e all’eccellenza. Come risultato, abbiamo la lingua coreana e l’alfabeto Hangeul1, che consideriamo come dei tesori, offertici dal Cielo. La nostra lingua è ricca di aggettivi e avverbi che possiamo utilizzare per esprimere i sentimenti umani. Mi piace l’alfabeto coreano. Sono innamorato del termine Hunminje- ongeum, che vuol dire «suoni corretti per l’istruzione del popolo» ed è l’idea che sta alla base dell’Hangeul. Ha un bellissimo significato. L’ec- cellenza dell’Hangeul si è perpetuata nei secoli e continua a dare pregio alla comunicazione umana, anche in quest’era digitale. Trovo davvero meraviglioso che, attraverso una semplice combinazione di consonanti e vocali, gli uomini possano comunicare tra loro e imitare tutti i suoni della creazione. Da più di trent’anni, sto consigliando ai membri della nostra chiesa, che vivono nelle altre nazioni, di prepararsi al futuro studiando la lingua coreana. Di recente, i giornalisti cinesi hanno coniato la parola hallyu, ovve- ro «onda coreana», per descrivere la repentina diffusione della cultura popolare coreana in tutta l’Asia. La popolarità della musica pop, de- gli sceneggiati televisivi, dei film, provenienti dalla Corea, ha indotto un sensibile aumento del numero di persone che studiano la lingua 1 Si legge «».

320 Dalla sofferenza e dalle lacrime alla pace e all’amore Capitolo 7 - Il futuro della Corea è il futuro del mondo coreana. C’è gente in Giappone, in Mongolia, in Vietnam e persino in Africa che parla il coreano. Questa non è certo una coincidenza. Nella lingua è custodita l’anima. Lo scopo per cui i Giapponesi hanno cercato con tanto accanimento di reprimere l’uso della lingua coreana, durante la loro occupazione militare, era quello di distruggere l’anima del popolo Coreano. Il fatto che persone di ogni parte del pianeta, oggi, parlino il coreano è segno del prosperare del cuore e dell’anima del no- stro popolo nel mondo di oggi. Grazie alla fortuna celeste, l’influenza culturale della Corea continua a crescere. I Coreani non vogliono mai essere di peso agli altri. Nel tempo in cui ho vissuto in America, ho potuto constatare il carattere testardo dei Coreani. Gli Stati Uniti sono una nazione che ha vari strumenti di sicurezza sociale, ma i Coreani ne approfittano molto raramente. Piuttosto che beneficiare del sostegno del governo, i Coreani cercano sempre modi nuovi per guadagnarsi i mezzi economici, di cui hanno bisogno per far crescere i loro figli e per prendersi cura dei loro anziani genitori. Questo modo di fare dimostra la fiducia in se stessi che hanno i Coreani. Noto questo stesso tratto caratteriale nei missionari che abbiamo in- viato in tutto il mondo. Non hanno paura di recarsi in un paese a loro sconosciuto. Questo accade non soltanto ai missionari, ma anche agli uomini d’affari. Una volta che viene affidata loro una missione, non importa in quale angolo del mondo quella missione possa portarli, la- sciano tutto e vanno. Non sono mai indecisi o riluttanti. I Coreani hanno uno spirito imprenditoriale che li aiuta, dovunque nel mondo, a condurre una vita produttiva. La nostra storia di sofferenza ci ha insegnato che nessun ostacolo è insuperabile. Abbiamo imparato come si fa ad affrontare le situazioni peggiori e venirne fuori vittorio- samente. Quando c’è una festa nel quartiere, la gente solitamente fa a gara per occupare il posto migliore dal quale assistere alla manifestazione. Que-

Dalla sofferenza e dalle lacrime alla pace e all’amore 321 Capitolo 7 - Il futuro della Corea è il futuro del mondo

sto è un tipo di comportamento assolutamente egocentrico. Chi, in- vece, rimane seduto tranquillamente nel posto peggiore, sarà la guida della nuova epoca. Colui che si preoccupa, per prima cosa, di procurarsi da mangiare sarà un fallimento nell’era che verrà. Anche quando ab- biamo da mangiare un solo cucchiaio di minestra, dobbiamo pensare prima agli altri. Per essere in grado di ricevere la fortuna celeste, che sta venendo verso la penisola coreana, dobbiamo essere consapevoli nel più profondo del nostro cuore che gli «altri» hanno più valore di «me». Nel passato, ci è stato tolto tutto quello che amavamo. Durante l’oc- cupazione armata giapponese ci è stata tolta la nostra nazione. Poi, il nostro Paese è stato diviso in due e siamo stati separati con la forza dai nostri cari genitori e familiari. La Corea è diventata una terra di lacrime. D’ora in poi, però, dovremo piangere per il mondo, piuttosto che per noi stessi. Dovremo versare le nostre lacrime più sincere e di- sperate per il bene del mondo. È questo che dovremo fare, in tutta la penisola coreana, se vorremo continuare a ricevere la fortuna celeste. Così, la fortuna celeste si diffonderà dalla penisola coreana al mondo. I Coreani adesso hanno l’opportunità storica di porsi al centro di un’era di pace globale.

322 Dalla sofferenza e dalle lacrime alla pace e all’amore La meta della religione del ventunesimo secolo

l ventesimo secolo è stato un tempo di straordinari cambiamenti. Ce ne sono stati di più in quel periodo di cent’anni, che nel corso dei duemila anni precedenti. È stato il secolo in cui si sono com- Ibattute due guerre mondiali e durante il quale il comunismo è cresciu- to, fino a detenere un potere grandissimo, e poi è scomparso. È stato anche il secolo in cui l’umanità ha voltato le spalle a Dio e si è immersa nel materialismo. Cosa dobbiamo aspettarci, ora, dal ventunesimo secolo? Secondo al- cuni, le scoperte scientifiche avrebbero dimostrato che molte creden- ze religiose sono mere superstizioni, prive di significato per il mondo moderno. Io sostengo, invece, che il ruolo della religione continuerà a essere essenziale, fino a quando, rimanendo una realtà l’aspetto spiri- tuale dell’uomo, non sarà stato stabilito un mondo di pace. Qual è lo scopo della religione? È quello di costruire il mondo ideale di Dio. Le religioni diffondono il loro messaggio di fede perché desi- derano accrescere il numero di coloro che si pongono sotto la sovranità di Dio. Se tutti dovessero vivere sotto la sovranità di Dio, avremmo un mondo di pace, nel quale non ci sarebbero guerre né divisioni. La de- stinazione finale del percorso seguito dalle religioni deve essere la pace. Dio creò questo mondo mosso da un desiderio di amore e pace. Se noi creiamo divisioni, sostenendo che la nostra religione sia l’unica strada per la salvezza, andiamo contro il desiderio di Dio. Dio vuole che tutti gli uomini s’impegnino per la pace, la riconciliazione e la coesistenza. Se qualcuno mi dice che il venire alla chiesa crea divisione nella sua fa- miglia, io non ho esitazioni a dirgli che deve mettere la sua famiglia al primo posto. La religione è soltanto un mezzo per costruire il mondo perfetto di Dio, e non un fine in sé.

La meta della religione del ventunesimo secolo 323 Capitolo 7 - Il futuro della Corea è il futuro del mondo

Il desiderio dell’umanità è quello di riunire tutti i punti di vista, che sono adesso discordi tra loro. La filosofia che guiderà l’umanità nel futuro dovrà essere in grado di riunire tutte le religioni e le filosofie. Sono finiti i tempi in cui un solo paese aveva la supremazia e guidava l’umanità. È finita anche l’era del nazionalismo. Se andremo avanti con le vecchie abitudini, riunendoci solamente tra persone della stessa reli- gione o della stessa razza, l’umanità non potrà evitare il ripetersi delle guerre. L’era della pace non potrà mai venire, se non trascenderemo le abitudini e le tradizioni culturali. Nessuna ideologia, filosofia o reli- gione, che abbia ispirato l’umanità nel passato, è capace di realizzare la pace e l’unificazione di cui abbiamo bisogno per il futuro. Ci serve una nuova ideologia e filosofia che vada oltre il Buddismo, il Cristianesimo e l’Islam. Per tutta la vita, ho ripetuto fino a sgolarmi che le persone devono andare oltre le affiliazioni religiose e le religioni stesse. Ci sono circa duecento nazioni nel mondo, ognuna delle quali ha i propri confini statali, che separano una nazione da un’altra. Questa separazione non può durare in eterno. Solo le religioni sono in grado di oltrepassare i confini nazionali. Tuttavia, proprio le religioni, che do- vrebbero unire le persone, si sono esse stesse divise in tante confessioni, occupate a combattere l’una contro l’altra. Sono cadute in una logica egoistica, che mette al primo posto la propria religione o confessione, e sono ignare del fatto che il mondo è cambiato e sta sorgendo una nuova era di altruismo. Non sarà facile abbattere le barriere tra le religioni, barriere che esi- stono da migliaia d’anni; tuttavia perché si possa entrare in un mondo di pace queste barriere devono cadere. Le religioni e le loro fazioni interne devono smetterla con le loro lotte insensate e devono trovare un terreno d’incontro per le opinioni differenti, sviluppando modalità concrete per preparare il mondo della pace. La mera opulenza ma- teriale non sarà da sola sufficiente per la felicità futura dell’umanità. Dobbiamo superare con urgenza le lotte tra le ideologie moderne, le

324 La meta della religione del ventunesimo secolo Capitolo 7 - Il futuro della Corea è il futuro del mondo culture e le razze, attraverso la comprensione interreligiosa e l’armonia spirituale. Per tutta la vita, non ho fatto altro che rivolgere, all’ampia varietà di uomini di religione che ho incontrato in giro per il mondo, questi ap- pelli: prima di tutto, rispettare le tradizioni delle altre religioni e fare tutto quanto è possibile per prevenire il conflitto e la discordia tra le religioni; secondo, far sì che tutte le comunità religiose cooperino tra loro nel servire il mondo; terzo, che i leader di tutte le religioni coope- rino per sviluppare una struttura, che ci permetta di assolvere la nostra missione comune di stabilire la pace mondiale. L’occhio destro è fatto per l’occhio sinistro, e il sinistro per il destro. I due occhi insieme esistono per il bene di tutto l’organismo. Lo stesso può dirsi per ogni altra parte del corpo. Nessuna cosa esiste per se stessa. Anche le religioni, perciò, non sono state fondate per se stesse, ma per lo scopo dell’amore e della pace. Una volta che il mondo della pace sarà stato stabilito, non ci sarà più bisogno delle religioni. Lo sco- po finale delle religioni è quello di costruire nella concreta realtà una comunità umana piena di amore e di pace. Questa è la volontà di Dio. Non è facile creare l’ambiente, in cui il cuore della gente sia motivato dalla voglia di pace. L’unica soluzione è l’educazione continuativa. È questa la ragione per cui mi sono impegnato in tanti progetti educativi. Ancor prima che la nostra chiesa si fosse sviluppata abbastanza da te- nersi in piedi da sé, abbiamo fondato la Scuola delle Arti Sunhwa. Le scuole sono luoghi sacri dove s’insegna la verità. Quali sono le verità più importanti che dovrebbero essere insegnate nelle scuole? La prima è comprendere Dio e riconoscere la Sua esistenza nel mondo intorno a noi. La seconda è comprendere la nostra origine fondamentale, come esseri umani, le nostre responsabilità ed il modo in cui adempierle per il bene del mondo. La terza è comprendere lo scopo dell’esistenza dell’uomo, per poi creare un mondo ideale, nel quale potersi dedicare al persegui-

La meta della religione del ventunesimo secolo 325 Capitolo 7 - Il futuro della Corea è il futuro del mondo

mento di quella ragione d’esistenza. Questi temi possono essere assi- milati soltanto dopo che siano stati insegnati, con sincerità e abnega- zione, per un lungo periodo di tempo. Oggi, invece, l’istruzione è concentrata sulla creazione di una società basata sul principio del «chi vince piglia tutto», dove coloro che ar- rivano primi sono ricompensati con il monopolio sulla felicità. Non è questo il modo giusto di educare i nostri figli. L’educazione deve approntare i mezzi, con i quali creare un mondo in cui tutta l’umanità possa vivere bene insieme. Le filosofie e i metodi dell’educazione che ci hanno dominato finora devono essere cambiati, perché possano contribuire al raggiungimen- to delle mete comuni dell’umanità. Se l’educazione degli Stati Uniti dovesse servire soltanto agli Stati Uniti, e quella della Gran Bretagna soltanto alla Gran Bretagna, il futuro dell’umanità sarebbe oscuro. Gli educatori non devono insegnare a vivere egoisticamente; al contrario, devono impartire la saggezza necessaria per risolvere la miriade di pro- blemi sociali che oggi fronteggiamo. Il ruolo dei teologi è ancora più importante. Piuttosto che esporre teo- rie complicate e affermare la superiorità della propria fede, devono in- fondere nei propri studenti la saggezza che li porti ad amare l’umanità e ad edificare un mondo di pace. Devono insegnare il principio dell’al- truismo. Non possiamo aspettarci un futuro di felicità per il genere umano, se i teologi non si impegnano in prima linea nell’insegnare ai nostri discendenti i principi della pace. L’umanità è fatta tutta di fra- telli e sorelle e il mondo è un’unica famiglia. La saggezza più importante di cui ha bisogno l’umanità proviene dalla conoscenza del cuore di Dio e del Suo ideale. Per questo motivo il ruolo della religione continua a rivestire un’importanza fondamentale, specialmente ora, che siamo nel ventunesimo secolo; oggi, infatti, la scienza e la tecnologia sembrano aver soppiantato la religione, nel ruo- lo di spiegare il funzionamento dell’universo.

326 La meta della religione del ventunesimo secolo Capitolo 7 - Il futuro della Corea è il futuro del mondo

Le religioni di tutto il mondo devono comprendere quale sia la desti- nazione del viaggio dell’uomo e abbandonare immediatamente tutte le loro lotte, grandi o piccole che siano. Non devono combattere per la salvaguardia dei propri privilegi, ma mettere in comune i loro patri- moni di saggezza, combinare le loro energie e operare diligentemente per costruire il mondo ideale. Devono dimenticare le lotte del passato e l’odio che le animava, e mettere in atto soluzioni pacifiche. Non ha importanza quanto possiamo aver fatto per la causa della pace mondiale, c’è ancora bisogno di fare molto di più. Gli uomini di reli- gione, il cui compito non è altro che quello di condurre l’umanità nel mondo ideale, non devono dimenticare, neanche per un momento, che davvero la loro unica missione è quella di essere apostoli di pace.

La meta della religione del ventunesimo secolo 327 Progetti culturali per esprimere la creatività di Dio

el 1988 Seul ha ospitato i Giochi Olimpici. Io li ho conside- rati come un’opportunità per avere un festival della pace a casa mia, e molti dei nostri membri sono venuti a Seul, da ogni Nparte del mondo, per essere partecipi dell’avvenimento. I membri han- no prestato assistenza agli atleti e ai funzionari delle rappresentanze straniere, hanno applaudito le competizioni, hanno ristorato gli sporti- vi e hanno offerto loro bei ricordi di quella visita in Corea. Ho considerato, inoltre, la partecipazione della Cina e dell’Unione So- vietica un evento che avrebbe potuto avere un impatto decisivo sul corso della Guerra Fredda. La visione delle Olimpiadi come un festival della pace conferì ai Giochi stessi il potenziale appropriato, per costru- ire armonia tra il blocco comunista e il mondo libero. Il giorno della cerimonia di apertura mi sedetti in tribuna con il pubblico, allo stadio Chamshil, e osservai lo spettacolo con grande gioia. Dopo le Olimpiadi incanalai quell’energia, che era stata portata dai Giochi, nella fondazione di una squadra di calcio professionistico, l’Ilhwa Chunma, in Corea. D’allora in avanti, questa squadra ha vinto diversi campionati coreani e gode di una vasta base di tifosi. Più oltre fondammo le squadre, a tutt’oggi attive, del Clube Atlético Sorocaba e del Centro Esportivo Nova Esperança (CENE), in Brasile, la patria del calcio-samba. Perché ho deciso di costituire delle società di calcio? Perché mi piace lo sport. Ho amato la pratica sportiva fin da quando ero giovane, e per qualche tempo ho praticato il pugilato e le arti marziali tradizionali. Il calcio, comunque, è l’unico sport che continuo a seguire, ancora alla mia età. Quando ancora andavo a scuola, mi divertivo a giocare nel campo scolastico calciando con entusiasmo il pallone, ma oggi mi li-

328 Progetti culturali per esprimere la creatività di Dio Capitolo 7 - Il futuro della Corea è il futuro del mondo mito a osservare gli altri. Quando si tenne a Seul la Coppa del Mondo di calcio, installai tre schermi televisivi uno a fianco all’altro, in modo da poter osservare tutte le partite. Non ho mai perso una partita della Corea. Il calcio è un microcosmo della vita. Per quanto io possa essere bravo a dribblare la palla per il campo, se un giocatore della squadra avver- saria, più veloce ed esperto di me, mi affronta e mi toglie la palla, in un attimo diventa inutile tutto quello che ho fatto fin allora. Se anche riesco a percorrere tutto il campo, palla al piede, e tirare in porta, ma la palla colpisce la traversa e ritorna in campo, non ho concluso niente. Io posso manovrare la palla, ma ci vuole più di una persona per portare la palla in rete. Ho bisogno di avere dei compagni di squadra come Ji Sung Park, che mi assista nel momento critico, o come Young Pyo Lee, che abilmente mi smarchi dagli avversari. La persona più importante della squadra è l’allenatore, che osserva tut- ta la squadra dal bordo del campo. L’allenatore non corre né segna reti, ma il suo potere è maggiore di quello di tutti i giocatori messi insieme. Come un allenatore che vede quello che i giocatori non riescono a vedere e dà loro le opportune indicazioni, Dio vede quello che noi non riusciamo a vedere e ci dà le giuste indicazioni. I giocatori che seguono con attenzione le istruzioni dell’allenatore, quasi sicuramente vincono la partita. Ma quando l’allenatore impartisce dei compiti e i giocatori, stupidamente, non li comprendono o li ignorano, e giocano secondo le proprie idee, la squadra non potrà che finire sconfitta. Il calcio è uno sport competitivo, in cui c’è chi vince e c’è chi perde, ma possiede anche il potenziale adatto per influenzare significativa- mente le nazioni e incoraggiare la loro cooperazione nella direzione della pace. Mi è stato detto che gli spettatori della Coppa del Mondo sono stati circa il doppio di quelli delle Olimpiadi. Questo ci dà un’i- dea di quanta gente nel mondo ama il calcio. Perciò, proprio come le Olimpiadi, il calcio può diventare una forza creatrice di armonia tra le

Progetti culturali per esprimere la creatività di Dio 329 Capitolo 7 - Il futuro della Corea è il futuro del mondo

nazioni, le razze, le religioni e le culture. Io vedo il calcio e la pace tra le nazioni come potenziali grandi alleati. Pelé, l’ex calciatore che nel 1995 fu nominato ministro straordinario per lo sport del Brasile, visitò la Corea e trascorse qualche tempo nel quartiere di Hannam Dong, a Seul. La gente lo ricorda come il più grande calciatore della storia, ma il Pelé che io incontrai era un pro- motore di pace. Voleva portare la pace nel mondo attraverso il calcio. Quando c’incontrammo, Pelé mi raccontò ridendo la storia di una par- tita in Africa. Mi disse: «Una volta giocai in Nigeria, mentre la nazione era in guerra. Come pensa che siamo riusciti a giocare in un posto dove tutt’intorno esplodevano le bombe? Fortunatamente fu stipulata una breve tregua, in modo che si potesse svolgere la partita. Fu quella la volta in cui compresi profondamente come il calcio sia più che un semplice sport. Il calcio è uno strumento, condiviso da tutta la gente del mondo, per creare la pace mondiale. Dopo quella partita, decisi che dovevo fondare un movimento per promuovere la pace attraverso il calcio». Fui tanto impressionato da Pelé in quell’occasione che gli strinsi con forza la mano. Noi viviamo in una società competitiva, dove c’è tanto stress. Lo stress porta tensione nella nostra vita e ci toglie la pace della mente. Quan- do lo stress si accumula, la gente diventa irascibile e, a volte, entra in contrasto con gli altri. Lo sport e l’arte sono tra le cose migliori che possono aiutarci ad abbassare il livello dello stress. Entrambe ci per- mettono di esprimere le nostre aspirazioni represse e portano unità tra le persone. Il motivo del mio interesse per le squadre di calcio, le orchestre sinfoniche e le compagnie di danza sta nel fatto che queste attività sono strumenti per la pace mondiale. Pelé condivide questo modo di pensare. Essendoci trovati in sintonia, Pelé e io abbiamo creato una nuova competizione a livello interna- zionale, che abbiamo chiamato «Coppa della Pace» e che si è tenuta ogni due anni, a partire dal 2003. Abbiamo ospitato in Corea celebri

330 Progetti culturali per esprimere la creatività di Dio Capitolo 7 - Il futuro della Corea è il futuro del mondo squadre di calcio di tutto il mondo. Una corrispondente competizione femminile, denominata «Coppa della Regina della Pace», si tiene ad anni alterni rispetto a quella maschile. Nell’estate del 2009, abbiamo organizzato il primo torneo maschile al di fuori della Corea, nella regione spagnola dell’Andalusia. Tutto il ricavato delle competizioni è stato usato per sostenere manifestazioni calcistiche dedicate ai bambini e ai giovani nei paesi in via di sviluppo. In particolare, usiamo il calcio per aiutare i bambini fisicamente disa- bili, affinché non rinuncino a tenere vivi i loro sogni. Operando di concerto con l’ufficio dell’Alto Commissario per i Rifu- giati presso le Nazioni Unite, abbiamo organizzato un torneo di calcio giovanile in Liberia. Si tratta di un paese dissanguato da quindici anni di guerra tribale. Alla Liberia è stata offerta una speciale protezione, da parte delle Nazioni Unite, a seguito del rapido crollo degli indici demografici. I bimbi di questo paese devastato dalla guerra si sono in- contrati per giocare a calcio e cantare inni di pace. Mentre tiravano la palla da una parte all’altra del campo, hanno appreso quei concetti, del lavoro di squadra e della lealtà, che sono necessari per creare armonia tra le tribù. L’organizzazione della Coppa della Pace si è posta anche l’obiettivo di costruire uno stadio della pace nella regione israelo-palestinese-gior- dana, il più vicino possibile al confine tra ebrei e arabi. Lo stadio sarà messo liberamente a disposizione di tutte le parti, come struttura volta alla promozione della pace. Vogliamo portare dall’Europa allenatori di fama e iniziare un’accademia calcistica per i ragazzi della regione. Gli adulti potranno anche preferire di puntarsi addosso i fucili, ma i bambini sceglieranno di andare allo stadio e giocare al calcio. Anche se la gente dice che è un’idea irrealistica, e scuote la testa, noi la realiz- zeremo lo stesso. Un membro del governo israeliano ha già dichiarato che lo stadio dovrà essere costruito in territorio israeliano, mentre un membro del governo

Progetti culturali per esprimere la creatività di Dio 331 Capitolo 7 - Il futuro della Corea è il futuro del mondo

palestinese afferma che dev’essere fatto in un’area palestinese. In ogni caso, io sono determinato a far sì che il progetto metta d’accordo le due parti. Non sono tipo da farmi schiacciare dalle situazioni, e meno che mai da rinunciare ai miei sogni. Ho una forza di volontà taurina, che uso per tradurre in realtà i sogni che condurranno il mondo alla pace. La creazione della nostra compagnia di danza è un altro esempio della stessa forza di volontà. La gente diceva che sarebbe stato impossibile. Fondammo lo «» nel 1984. Oggi come non mai, i Co- reani apprezzano la danza. Quando creammo la nostra compagnia, la Corea era un deserto, dal punto di vista della danza classica, ma adesso ha addirittura delle ballerine di fama mondiale. Ogni volta che osservo la danza, sento che essa è l’esempio tipico di quello che sarà l’arte nel Regno dei Cieli. Quando una ballerina sta ritta sulla punta dei piedi e volge la testa verso il cielo, la sua posizione mi colpisce, come la posa perfetta nella quale dovremmo dimostrare la nostra reverenza verso Dio. È un’espressione di desiderio ardente. Nel- la danza, gli esseri umani possono usare la bellezza del corpo, dato loro da Dio, per esprimerGli il loro amore. È la forma artistica più elevata. Lo «Universal Ballet» cominciò col mettere in scena Il lago dei cigni e Lo schiaccianoci. Ha poi aggiunto Don Chisciotte, Giselle e le proprie cre- azioni originali Shim Chung e L’amore di Choonhyang. Nel frattempo, è cresciuto fino al punto di essere acclamato sullo scenario internazio- nale. Lo «Universal Ballet» riceve inviti dalle istituzioni più famose del mondo. Il suo corpo di ballo è apprezzato per la capacità di abbinare una bellezza squisitamente coreana alle movenze energiche proprie della danza occidentale, e quindi per il modo in cui armonizza nelle esibizioni stili orientali e occidentali. Abbiamo anche aperto, a Wa- shington D.C., una scuola dello «Universal Ballet». In campo artistico ho creato anche la «New York City Symphony Orchestra» e i «New Hope Singers». L’arte mette l’uomo nelle condizioni di riflettere gli alti ideali, infusi

332 Progetti culturali per esprimere la creatività di Dio Capitolo 7 - Il futuro della Corea è il futuro del mondo nella stessa opera creativa di Dio. Dio ha investito tutto il Suo cuore nell’uomo e nel mondo che ha creato, proprio come gli artisti inve- stono il loro intero essere nelle proprie opere. Leggendo il Libro della Genesi, può sembrare che le varie cose siano venute a esistere sempli- cemente perché Dio ha pronunciato una parola, ma non è andata as- solutamente così. Dio ha investito tutta la Sua energia nella creazione delle acque e delle terre. Allo stesso modo, i movimenti delle ballerine sul palco sono il frutto di un processo creativo che richiede dedizione totale. La stessa cosa vale per il calcio. Una squadra di calcio di successo profonde tutte le proprie energie nei novanta minuti della partita. In una singola discesa a rete, il giocatore spende ogni stilla di energia alla quale può attingere, come se ne dipendesse la sua stessa vita. Tutto questo rassomiglia da vicino a ciò che Dio ha provato nel creare questo mondo. Investire tutto quello che abbiamo e offrirci completamente per la gioia di un solo momento: questo è il modo in cui l’essere umano attinge alla grandezza e giunge a somigliare a Dio.

Progetti culturali per esprimere la creatività di Dio 333 Il signore dei mari e il futuro del mondo

a storia ha dimostrato che il paese che ha il controllo dei mari diventa la principale potenza mondiale. Prendiamo, per esem- pio, la Gran Bretagna. Il suo territorio era stato invaso anche Ldai Vichinghi, provenienti dalla Norvegia e dalla Svezia. Nel sedice- simo secolo Elisabetta I, non appena incoronata regina, si rese conto che il suo paese avrebbe perso tutto, se non avesse avuto il controllo dei mari. Elisabetta consolidò la politica marinara del suo paese e, grazie al suo impegno convinto, la Gran Bretagna divenne una potente nazione marinara. Mobilitò capitali e tecnologie per far costruire navi possenti, le equipaggiò con marinai coraggiosi e le pose a guardia dei mari. I Britannici non sapevano cosa li aspettasse al di là del mare, ma misero in gioco la loro vita e partirono. Come risultato la Gran Bretagna, una piccola nazione insulare nell’Atlantico, arrivò a possedere colonie in tutti i continenti e gli oceani e a costruire un impero. La civiltà occidentale, centrata sulla Gran Bretagna, realizzò un gran- dioso sviluppo scientifico e tecnologico. Con l’ausilio della bussola, le navi britanniche raggiunsero tante diverse località del mondo. Grazie all’elevato livello delle sue conoscenze pratiche e della sua tecnologia, la nazione si spinse alla conquista del mondo intero. La Corea, insieme a gran parte dell’Est, ha adottato un approccio dif- ferente. Il mondo orientale non tralascia lo spirito, nella sua ricerca del progresso materiale. Ogniqualvolta dovesse sorgere un conflitto tra la materia e lo spirito, l’Oriente è più propenso a rinunciare alla materia. Perciò, generalmente, la vita in Oriente è stata più difficile che in Oc- cidente, a causa del minore benessere materiale. All’Ovest, comunque, il dominio della materia sullo spirito non durerà per sempre. Di fronte al degrado, prodotto da una cultura totalmente materialista, si presen-

334 Il signore dei mari e il futuro del mondo Capitolo 7 - Il futuro della Corea è il futuro del mondo ta l’opportunità di imparare dall’Oriente, maggiormente orientato allo spirito. La culla della civiltà si è trasferita dall’Egitto alla Grecia e a Roma, quindi alla Gran Bretagna e agli Stati Uniti, e ora si sta spostando verso la regione del Pacifico, che circonda la penisola coreana. Si sta aprendo l’era di una civiltà del Pacifico, che legherà tra loro la scienza occidentale e la spiritualità orientale. Le nazioni guida in questa nuo- va era saranno la Corea e le nazioni asiatiche sue vicine. Non è una coincidenza che la Corea e il Giappone siano stati capaci di porsi in tanta evidenza, sulla scena mondiale, in così breve tempo. Questi svi- luppi geopolitici hanno costituito una necessità storica, nella direzione dell’era asiatica. Gli Stati Uniti e la Russia, comunque, non resteranno a guardare la no- stra nazione mentre questa si eleva a un ruolo di preminenza mondiale. È possibile che si generi un grande conflitto, che potrebbe interessare gli Stati Uniti, il Giappone, la Russia e la Cina, e che potrebbe essere combattuto nelle vicinanze della Corea. Dobbiamo prepararci a questa eventualità in due modi. Per prima cosa, per proteggere la Corea, dobbiamo creare un forte legame tra il Giap- pone e gli Stati Uniti, ed espanderlo poi alla Russia e alla Cina. Come possiamo riuscire in questo intento? Con una filosofia e un cuore che creino unità. L’unica filosofia in grado di prevenire le guerre tra le reli- gioni e aprire la strada a un mondo di pace è quella in cui si proclama che l’umanità è un tutt’uno, che trascende la razza, la nazionalità e la religione. Per proteggersi dai pericoli della guerra, la Corea deve divul- gare nel mondo una filosofia dell’unità. Come seconda cosa, dobbiamo prepararci per la nuova era oceanica. L’era del Pacifico è alle porte. Il leader dell’era del Pacifico non potrà essere qualcuno che non sia in grado di governare l’oceano. Se la for- tuna celeste che viene ci troverà impreparati, non potremo approfittare dell’occasione. Se, invece, siamo consapevoli che sta per iniziare un’era

Il signore dei mari e il futuro del mondo 335 Capitolo 7 - Il futuro della Corea è il futuro del mondo

oceanica, e la Corea vuole porsi alla guida di questa transizione, allora la nostra nazione deve mettere in atto i preparativi necessari. Nel mare, ci sono più risorse che pesci. Un grandissimo tesoro è costi- tuito dalla sua capacità di produrre energia. Col diminuire delle riserve di petrolio, cresce giorno per giorno il senso della crisi riguardante le fonti d’energia. Se nel mondo si esaurisse il petrolio, l’umanità si tro- verebbe immediatamente al buio. Ci sono tentativi diretti a ricavare energia alternativa dal granturco, ma quest’opzione non appare rea- listica, quando si consideri che non c’è neppure cibo a sufficienza per sfamare l’attuale popolazione mondiale. La vera fonte di energia alternativa è il mare. L’energia ricavabile dall’i- drogeno, contenuto nell’acqua, rappresenta il futuro dell’umanità. Due terzi della superficie della Terra sono coperti d’acqua. Ciò significa che due terzi delle materie prime, di cui l’umanità ha bisogno per il futuro, sono contenuti negli oceani. Non si può immaginare un nuovo futuro per l’umanità senza le risorse dei mari. I paesi più progrediti stanno già estraendo dal mare petrolio e gas naturali, che vendono a caro prezzo. Il mondo ha appena iniziato a scoprire le risorse degli oceani, ed è vici- no il giorno in cui l’umanità si troverà a dipendere dal mare. L’era marittima non potrà iniziare senza il necessario impegno di ener- gie umane. Dobbiamo innanzitutto andare in mare. Dobbiamo uscire sulle barche ed affrontare le onde. Se non avremo questo coraggio, non potremo essere pronti per quell’era. Il Paese che conquisterà gli oceani diventerà la potenza dominante, e il mondo sarà desideroso di studiare la sua cultura e la sua lingua. La Corea deve eccellere nell’esplorazione dell’Oceano Pacifico, deve comprendere la volontà del Creatore e fare buon uso delle risorse da Lui offerte.

336 Il signore dei mari e il futuro del mondo La grande opportunità dell’era dell’oceano

mari possono diventare un punto centrale per unire il mondo. Per dominare i mari, dobbiamo essere allenati a vivere a nostro agio tanto in mare quanto sulla terra. Quando addestro la gente alla Ipesca, mando via dieci barche piccole e una grande. Quando lasciano il porto, le barche piccole sono guidate dalla grande ma, una volta che giungono in mare aperto, devono essere responsabili ognuna per sé stessa. Devono conoscere quale sia la direzione del vento, cosa si trovi sul fondale e quali siano i percorsi seguiti dai pesci. Devono appren- dere da sé tutte queste cose. Mi piace usare la frase «spirito dell’Ala- ska». Con questo intendo l’abitudine di alzarsi alle cinque della mattina, uscire in barca, e non fare ritorno se non dopo la mezzanotte, quando d’estate c’è ancora luce. L’uomo con lo «spirito dell’Alaska» resta in mare finché non abbia preso la quantità giornaliera di pesce prevista. Non si diventa veri pescatori se non s’impara a perseverare in questo modo. Pescare non è come fare una crociera di piacere. Per quanto possa es- sercene intorno, il pesce non salta da solo nella barca. Ci vuole cono- scenza specialistica e tanta esperienza. Bisogna sapere come riparare una rete e come legare un’ancora alla sua fune. Chi ha ricevuto il duro addestramento necessario per diventare un pescatore, può andare in qualunque posto del mondo e diventare una guida di persone. Impara- re a pescare è un buon allenamento per diventare un leader. Il dominio del mare richiede navi e sottomarini che possano andare dovunque. La Corea è già il primo paese produttore di navi al mondo e ha la possibilità di diventare una grande potenza marinara. Ciò di cui ha bisogno la Corea oggi è un maggior numero di persone con il desiderio di andare per i mari. I Coreani sono i discendenti di Chang Bo Go, il magnate del nono secolo che gestì il commercio marittimo

La grande opportunità dell’era dell’oceano 337 Capitolo 7 - Il futuro della Corea è il futuro del mondo

internazionale e fu chiamato «Re dell’Oceano». Abbiamo una lunga tradizione di naviganti, che hanno lottato in mezzo alle onde e sono tornati vittoriosi dalle battaglie. È naturale che la gente abbia paura del mare. Quando le onde sono sostenute dal vento, il mare si agita. Onde e marosi sono assoluta- mente necessari, per mescolare l’ossigeno con l’acqua del mare. Se il mare dovesse rimanere calmo per troppo tempo, senza vento né onde, comincerebbe a morire. Quando ci rendiamo conto del valore delle onde, esse non sono più qualcosa da temere. Quando il vento soffia forte e le onde si fanno terribili, dobbiamo comprendere che questo serve a far sopravvivere i pesci. A quel punto, le onde diventano parte dell’attrattiva del mare. Trenta metri sotto la superficie del mare non ci sono onde. Se guidas- simo un sottomarino fino al fondo dell’oceano, ci sarebbe tanto fresco che non avremmo bisogno dell’aria condizionata. I pesci scelgono la profondità in cui trovano la loro temperatura giusta, e poi eseguono danze meravigliose, nuotando in branco nelle loro ac- que predilette. Proprio come le ballerine dei Piccoli Angeli con i loro ventagli, i pesci hanno livree colorate e muovono gentilmente le pinne. L’ambiente in cui vivono è bello e pacifico. Anche il mondo sarà, molto presto, altrettanto pacifico. Il fatto che si stia avvicinando un’era oceanica implica che la Corea avrà presto l’opportunità di cambiare il mondo. I popoli che hanno vissuto in territori peninsulari hanno dovuto fare fronte a invasioni, provenienti sia dalla terra che dal mare, per tutta la loro storia. Per sopravvivere, hanno dovuto essere coraggiosi e sviluppare un ferreo carattere nazionale. Non è una coincidenza che la civiltà sia fiorita particolarmente in paesi peninsulari come la Grecia e l’Italia. La civil- tà ha potuto svilupparsi in quei paesi perché la gente aveva lo spirito intraprendente, forte e avventuroso, necessario per allargare la propria influenza attraverso i continenti e i mari.

338 La grande opportunità dell’era dell’oceano Capitolo 7 - Il futuro della Corea è il futuro del mondo

Avete sentito parlare della Corrente Nera, che scorre lungo le coste della parte nordoccidentale dell’Oceano Pacifico? Percorre più di sei- mila chilometri l’anno, spinta dall’attrazione gravitazionale della Luna. È parte di un flusso marino che gira tutt’intorno all’Oceano Pacifico. Descriverla semplicemente come «spettacolare» non è abbastanza. Tutti i mari del mondo sono mossi dalla stessa forza che muove la Corrente Nera e tutte le altre correnti marine. Se non esistessero que- ste correnti, le acque sarebbero immobili e morirebbero. Proprio come i fiumi, anche i più grandi e possenti, devono riversarsi nel mare, così anche gli oceani più ampi devono muoversi attraverso correnti come la Corrente Nera. Il popolo Coreano deve diventare come la Corrente Nera e far sì che il flusso della sua cultura, amante della pace, possa propagarsi al mondo intero. Dobbiamo diventare un punto di forza per il mondo, il luogo dove tutte le energie del mondo possano convergere in una concentrazione pacifica. Ho visitato molte volte la costa meridionale della Corea, per trovare il luogo che potesse diventare il centro della civiltà del Pacifico, e credo che Yeosu e Sooncheon siano adatte allo scopo. Il mare che costeggia Yeosu è tranquillo e chiaro come uno specchio. È lì che l’ammiraglio Yi Soon Shin, verso la fine del XVII secolo, inflisse ai Giapponesi una pesante sconfitta ed è anche lì che morì in battaglia. Yeosu ha una lun- ga storia di battaglie navali ed è anche il punto in cui s’incontrano le regioni di Youngnam e Honam. È alle pendici del monte Jiri che i so- stenitori della sinistra e della destra combatterono alla fine della guerra di Corea. In questo senso, Yeosu è una terra imbevuta della sofferenza del nostro popolo. La baia di Sooncheon, famosa per i suoi canneti, ha una bella costa, rinomata in tutto il mondo. Il mare circostante, con le sue acque chiare che luccicano al sole, è ricco di diverse specie di pesci. Nel mare tran- quillo della baia si trovano orecchie di mare1 e alghe brune. Gli ampi 1 Conchiglia conosciuta anche come «orecchia di San Pietro», «patella», ecc.

La grande opportunità dell’era dell’oceano 339 Capitolo 7 - Il futuro della Corea è il futuro del mondo

bacini di marea sono pieni di conchiglie di vari tipi e di piccoli polipi. Sono stato in mare ed ho anche scalato le montagne di quell’area. È chiaro che si tratta di una bella terra, fornita di tutto quello che è ne- cessario per l’imminente era del Pacifico. Mi sto occupando adesso dello sviluppo della costa meridionale della Corea, con un’attenzione particolare a Yeosu. Come preparazione, ho visitato Geomun e le altre isole della zona e vi ho abitato per diversi mesi. Ho adottato come miei maestri le persone del luogo, che hanno coltivato quella terra e pescato in quel mare negli scorsi decenni. Ho mangiato e dormito in semplici locande e ho studiato tutto nei dettagli. Non mi sono accontentato di apprendere dai libri. Ho girato dappertutto, usando i miei stessi occhi e piedi per verificare ogni cosa. Così, ora so che tipi di pesci si possono trovare in ciascuna zona di mare, che tipo di rete bisogna usare per prenderli, che tipi di alberi crescono sui monti e in quale casa dell’isola vive un anziano solo che ha subito un ictus. Il giorno che completai i miei studi sulla costa meridionale della Co- rea, invitai il sindaco del paese, che mi aveva aiutato nelle ricerche, a salire con me su un aereo, diretto in Alaska. Lui mi aveva insegnato tutto quello che sapeva, così volli restituirgli il favore, insegnandogli quello che sapevo sull’Alaska. Andai a pesca con lui in Alaska e gli spiegai dei diversi tipi di pesci e dei relativi modi per catturarli. Anche se so soltanto un poco di un certo argomento, non mi sento a mio agio se non lo condivido con altri. Poco dopo che ebbi cominciato a occuparmi dello sviluppo di quei luoghi, Yeosu fu scelta come sede di un’esposizione nautica internazio- nale, che dovrà tenersi nel 2012. Insieme con le Olimpiadi e la Coppa del Mondo, le esposizioni internazionali sono le tre migliori occasioni d’incontro globale. Durante i sei mesi in cui l’Expo 2012 si terrà a Yeosu, le centocinquantaquattro nazioni aderenti all’ufficio fieristico internazionale organizzeranno diverse mostre. L’attenzione del mondo

340 La grande opportunità dell’era dell’oceano Capitolo 7 - Il futuro della Corea è il futuro del mondo si concentrerà su Yeosu, e nel contempo la cultura e la tecnologia dei paesi più progrediti approderanno lì. Avete mai osservato il cielo d’estate, quando le nuvole scorrono a una velocità incredibile? Spinte dal vento, le nuvole passano veloci sopra montagne e oceani. Non è questo il momento per esitare. Proprio come quelle nuvole, la fortuna celeste soffierà il mondo verso Yeosu e la penisola coreana. Ho progettato di collegare con ponti tutte le isole disposte lungo la costa meridionale e di costruire residenze, dove la gente amante del mare possa venire a soggiornare da ogni parte del mondo. Non saranno luoghi soltanto di svago. Americani, Tedeschi, Giapponesi, Brasiliani, tutti verranno. Potranno usare diverse barche per andare a pesca, ma io li incoraggerò a incontrarsi sotto lo stesso tetto, per dimostrare che l’umanità è un’unica famiglia. Nell’era che verrà, saranno sviluppati anche l’aeronautica e i trasporti spaziali. Arriverà il tempo in cui sarà una necessità assoluta possedere una tecnologia aeronautica ben sviluppata. Se non comincerà subito a munirsi di una propria industria aerospaziale, la Corea si troverà in ri- tardo. Per questo motivo, sto preparando un parco industriale aeronau- tico a Gimpo, nella provincia di Kyeonggi. Ho in programma la pro- duzione di elicotteri della stessa qualità dei famosi Sikorsky. Giungerà presto il giorno, in cui elicotteri con l’emblema del Taeguk2 voleranno nei cieli di tutto il mondo.

2 Il simbolo tondo rosso e blu presente nella bandiera coreana.

La grande opportunità dell’era dell’oceano 341 Un semplice dente di leone è più prezioso dell’oro

isolvere i problemi dell’inquinamento, creare una consapevo- lezza nei confronti della protezione dell’ambiente e aumentare la produzione alimentare sono tre delle più grandi sfide che la Rsocietà moderna deve affrontare. La Terra è stata già pesantemente danneggiata. La nostra infinita avidità di beni materiali ha prodotto l’attuale grave inquinamento dell’aria e dell’acqua, che minaccia di distruggere la na- tura, compreso lo strato di ozono che ci protegge. Se la tendenza attua- le dovesse continuare, l’umanità si troverà nell’impossibilità di sfuggire alle conseguenze insidiose della sfrenata passione per i beni materiali. Negli ultimi vent’anni, ho lavorato a sostenere e conservare la regione del Pantanal in Brasile. Il Pantanal, una regione posta sul confine tra il Brasile, la Bolivia e il Paraguay, è la zona umida più ampia del pianeta. È stata inclusa dall’UNESCO nell’elenco dei siti del Patrimonio Mon- diale. Io sto promuovendo un movimento ambientalista mondiale, per preservare le creature viventi del Pantanal nella condizione di purezza naturale, che Dio aveva loro impresso al tempo della creazione. Il Pantanal, dove acqua, terra, animali e piante esistono in armonia, è un posto davvero magnifico. Parole semplici come «bello» e «fantasti- co» non sono in grado di descriverne il valore. Le foto dell’area prese dal cielo sono così belle, che ne è stata messa insieme una serie, che costituisce una delle raccolte d’immagini della natura più vendute al mondo. Il Pantanal è uno dei tesori nascosti dell’umanità, e in esso vivono specie rare come il cappuccino dal petto bianco, l’aluatta rossa, l’ara, il giaguaro, l’anaconda, il nandù e il caimano. La flora e la fauna di quella regione e del bacino delle Amazzoni sem- brano essere le stesse del primo mattino della creazione. Il Pantanal è

342 Un semplice dente di leone è più prezioso dell’oro Capitolo 7 - Il futuro della Corea è il futuro del mondo come un moderno paradiso terrestre. Gli uomini hanno distrutto molti degli esseri creati da Dio. Troppe specie di piante e di animali si sono estinte per colpa dell’avidità umana. Nel Pantanal, invece, rimangono tuttora le forme originali create da Dio. Ho in programma la creazione in quell’area di una riserva per gli uccelli e una per gli insetti, per sal- vare dall’estinzione alcune di queste specie uniche. Oltre a essere l’habitat di tante piante e tanti animali, il Pantanal è anche un’importante fonte di ossigeno per tutta la Terra e un luogo nel quale vengono assorbiti i gas che causano l’effetto serra. Esso pur- troppo sta cambiando rapidamente, a causa dello sviluppo industriale. Se fosse distrutto il Pantanal, che assieme alle Amazzoni fornisce al pianeta un’importantissima quantità di ossigeno, il futuro dell’umanità intera sarebbe a rischio. Nel Pantanal vivono centinaia di specie di pesci. Ce n’è uno di colore dorato, che si chiama, appunto, dorado e arriva a pesare oltre venticin- que chilogrammi. La prima volta che un dorado abboccò al mio amo, sentii come se il mio corpo venisse risucchiato nel fiume. Mentre tiravo la lenza con tutte le mie forze, il dorado saltò fuori dell’acqua ripetuta- mente. Dopo aver saltato più volte, aveva ancora a disposizione energie sovrabbondanti per continuare a lottare. Era tanto forte da sembrare un orso o una tigre, piuttosto che un pesce. I laghi del Pantanal sono quasi sempre puliti. Non importa cosa vi venga gettato, l’acqua ritorna rapidamente limpida, perché l’ambiente umido filtra i sedimenti e gli elementi inquinanti. Questa è la ragione per cui tante diverse specie di pesci vivono in quelle acque. Ciascuna specie ha un regime alimentare diverso. Vivono insieme in un ecosiste- ma molto complesso e divorano anche le scorie che guastano l’acqua. Anche la loro nutrizione contribuisce al mantenimento della pulizia dell’acqua. Da questo punto di vista, i pesci sono molto diversi dagli uomini, perché non vivono per il proprio esclusivo interesse, ma sono parte di un sistema più ampio e bilanciato: contribuiscono a mantenere

Un semplice dente di leone è più prezioso dell’oro 343 Capitolo 7 - Il futuro della Corea è il futuro del mondo

pulito l’ambiente ed a migliorarlo. Nel Pantanal, il dorso delle foglie del giacinto acquatico è nero d’in- setti. Se tutti quegli insetti rimanessero lì, il giacinto non potrebbe so- pravvivere, ma ci sono dei pesci che mangiano quegli insetti. In questo modo, vivono gli insetti, vive il giacinto e vivono i pesci. La natura è fatta in questo modo. Nessuna creatura vive per se stessa. Ognuna vive per l’altra. La natura c’impartisce questa straordinaria lezione. Per quanto abbondanti possano essere i pesci nel Pantanal, se chiun- que fosse autorizzato a pescare in quelle acque, la popolazione ittica diminuirebbe inesorabilmente. Per proteggere i pesci dobbiamo svi- luppare degli allevamenti ittici. Poiché i pesci di quella regione sono così preziosi, dobbiamo realizzarne tanti. Ci vogliono anche strutture simili per proteggere gli insetti, gli uccelli e i mammiferi. L’allevamen- to degli insetti contribuirà ad aumentare la popolazione degli uccelli. Il Pantanal offre un ambiente perfetto per tutte queste creature e gli uomini, concentrandosi sulle modalità per accrescerne la popolazione, potranno continuare a giovarsene per i secoli a venire. Non sono soltanto i pesci ad abbondare in quella regione. Sulle sponde dei fiumi crescono ananas, banane e manghi. Il riso cresce così bene che si possono fare tre raccolti l’anno, senza neppure doversi preoccu- pare di irrigare i campi. Il terreno è così ricco! Piante come i fagioli e il granturco possono essere coltivate semplicemente spargendo i semi sul terreno. Il tutto con un intervento umano ridotto al minimo. Una volta, mentre discendevamo in barca lungo il fiume Paraguay, ci fermammo accanto a una casa, costruita vicino alla riva. Il contadino che viveva lì si rese conto che eravamo affamati, così andò nel suo campo e scavò una patata dolce. Era grande come un’anguria! Ci rac- contò che, finché lui avesse lasciato la radice nel campo, quella avrebbe continuato a produrre patate per parecchi anni. Il pensiero che le pata- te si potessero raccogliere senza doverle piantare ogni anno, mi lasciò con un grande desiderio di portare quelle patate nei paesi dove il cibo

344 Un semplice dente di leone è più prezioso dell’oro Capitolo 7 - Il futuro della Corea è il futuro del mondo scarseggia. Coloro che propongono lo sviluppo delle aree umide ne sottolineano i benefici economici. Ma il Pantanal offre tanti benefici economici pro- prio restando un’area umida. Ci sono ampi tratti di foresta vergine e la gente del posto assicura che anche se si piantasse un punteruolo in un albero, quello continuerebbe a vivere per più di cento anni. Da questi alberi maestosi si ricavano legni come l’ebano bruno, del quale si dice che non marcisca mai e duri più a lungo dell’acciaio. Immaginate quale possa essere la vista di un bosco pieno di questi alberi pregiati. Ne ho fatto seminare un arboreto di quattrocento ettari nella regione. Gli alberi piantati dai nostri membri hanno reso il Pan- tanal ancora più bello. L’egoismo umano sta distruggendo la natura e la competizione, incentrata sulla ricerca della via più breve al successo economico, è la ragione principale per cui l’ambiente naturale è stato rovinato. Non possiamo permettere che il pianeta sia danneggiato ul- teriormente. Gli uomini di fede devono porsi in prima linea, nell’impegno rivolto a salvare la natura. La natura è la creazione di Dio e il Suo dono all’u- manità. Dobbiamo attivarci alla svelta per risvegliare la gente, affinché comprenda quanto la natura sia preziosa e quanto urgente sia la neces- sità di riportarla allo stato di ricchezza e libertà, di cui godeva al tempo della creazione. Ormai, da quando si è ampiamente risaputo che il Pantanal è uno scrigno di tesori, è cominciata la lotta per il suo futuro. Il posto che dobbiamo proteggere sta per diventare un campo di battaglia tra gente avida. Negli ultimi dieci anni, ho portato in quella regione leader di paesi di tutto il mondo, per avviare una seria discussione sulle decisioni da assumere per proteggere la regione e il resto dell’ambiente mondia- le. Sto chiamando a raccolta esperti e studiosi dell’ambiente da tutto il mondo e li sto incoraggiando a interessarsi della conservazione di quell’area. Sto operando per fermare la distruzione del Pantanal, messa

Un semplice dente di leone è più prezioso dell’oro 345 Capitolo 7 - Il futuro della Corea è il futuro del mondo

in moto dai desideri materiali di alcuni uomini privi di scrupoli. Di fronte alle questioni ambientali sempre più pressanti, sono sorti tanti gruppi ecologisti. Il miglior movimento per l’ambiente, comun- que, è quello che diffonde l’amore. Le persone, in genere, hanno cura delle cose che appartengono a loro stesse o ai loro cari, ma non si pre- occupano, invece, né amano l’ambiente naturale creato da Dio. Dio ha donato questo ambiente all’umanità. Secondo la Sua volontà, possiamo usare l’ambiente naturale per ricavarne nutrimento, per apprezzarne l’abbondanza e per sperimentare la gioia di vivere nella bellezza della natura. La natura non è qualcosa da usare una volta sola e poi gettare via. Tante generazioni dei nostri discendenti dovranno essere in grado di contare su di essa, come facciamo noi. La via più breve per proteggerla è quella che ci porta a sviluppare un cuore d’amore per la natura. Dobbiamo essere capaci di piangere per- sino alla vista di un filo d’erba che notiamo sul cammino. Dobbiamo essere capaci di stringerci a un albero e piangere. Dobbiamo capire che lo spirito di Dio è nascosto in ogni sasso e in ogni soffio di vento. Curare e amare l’ambiente è come amare Dio. Dobbiamo arrivare a vedere in ogni creatura fatta da Dio un oggetto del nostro amore. Con gli occhi spirituali aperti, potremmo vedere che un singolo dente di leo- ne sul bordo della nostra strada è più prezioso delle corone d’oro dei re.

346 Un semplice dente di leone è più prezioso dell’oro La soluzione alla povertà e alla fame

e non siete mai stati affamati, non potete conoscere Dio. I mo- menti in cui avete fame sono le occasioni per essere più vicini a Dio. Quando siete affamati e riuscite a guardare umilmente ogni Suomo che vi viene incontro, e desiderate aiutarlo, come se fosse un vostro stretto parente, allora ci sono maggiori probabilità che veniate sfamati. In simili situazioni, è importante mantenere un cuore di bontà e di compassione. La fame non è una questione relegata alle aree del mondo sottosvilup- pate. Anche negli Stati Uniti, dove pure si gode di un tenore di vita tra i più elevati del mondo, ci sono milioni di persone sottonutrite e affamate. Quando arrivai negli Stati Uniti, uno dei miei primi progetti fu quello di comprare dei camion, da usare per la distribuzione di cibo ai poveri. La situazione nei paesi poveri è assai peggiore. Quando considero la situazione del mondo, sento che il problema più pressante è quello di assicurare disponibilità di cibo sufficienti. La soluzione del problema del cibo non può essere ritardata neppure un momento. Anche adesso, qualcosa come ventimila persone nel mondo muoiono ogni giorno per cause legate alla fame. Non possiamo permetterci di rimanere indiffe- renti, soltanto perché noi e i nostri familiari più prossimi non abbiamo il problema della fame. La semplice distribuzione del cibo, tuttavia, non risolverà da sola il problema della fame. Bisogna accostarsi al problema in maniera più ra- dicale. Sto prendendo in considerazione due metodi concreti e fonda- mentali. Il primo è quello di fornire loro grandi quantità di cibo a basso costo; il secondo è quello di diffondere le tecnologie, che la gente possa usare per risolvere la fame per proprio conto. La questione alimentare

La soluzione alla povertà e alla fame 347 Capitolo 7 - Il futuro della Corea è il futuro del mondo

porrà all’umanità un grave dilemma per il futuro. Non potremo costru- ire un mondo di pace senza prima aver risolto il problema della fame. Non è possibile produrre quantità di cibo sufficienti per tutta la popo- lazione mondiale utilizzando i limitati spazi di terreno disponibili per l’agricoltura. Dobbiamo cercare una soluzione nell’oceano. Nei mari sta la chiave per la soluzione della crisi alimentare del futuro. Questa è la ragione per cui, nei decenni scorsi, ho fatto da pioniere degli oceani. In Alaska, i merluzzi gialli lunghi meno di quaranta centimetri sono usati come concime. Ci si potrebbero confezionare pietanze squisite, ma la gente non sa cosa farne, perciò vengono convertiti in fertilizzante. Non più addietro di venti o trenta anni fa, chiedevamo agli Occidentali le code dei manzi e loro ce le davano gratuitamente. I Coreani sono ghiotti dei cibi preparati con le ossa o l’intestino dei bovini, ma alcuni Occidentali non sanno neanche che quelle parti sono commestibili. La stessa cosa capita con il pesce. Il venti percento del ricavato della pesca, a livello mondiale, viene buttato via. Ogni volta che vedo questo, penso alle persone che stanno morendo di fame e ne soffro. Il pesce è una fonte di proteine migliore della carne. Sarebbe meraviglioso se potessimo fare dolci di pesce o salumi di pesce, da dare alla gente dei paesi poveri! A seguito di questa riflessione, ho avviato delle imprese per la lavo- razione e la conservazione di grandi quantità di pesce. Non serve a niente prendere tanto pesce se, successivamente alla pesca, non lo si può trattare in modo adeguato. Anche il pesce migliore non può essere conservato per più di otto mesi. Abbiamo ritirato del pesce destinato a essere gettato via, e abbiamo studiato come trasformarlo in farina di pesce. Abbiamo cercato di fare qualcosa che non era stato mai sperimentato, neppure in nazioni pro- gredite come la Francia o la Germania. Il pesce trasformato in farina potrebbe essere trasportato e immagazzinato facilmente, anche in cli- mi caldi e umidi. La farina di pesce ha un contenuto di proteine pari al

348 La soluzione alla povertà e alla fame Capitolo 7 - Il futuro della Corea è il futuro del mondo novantotto per cento, tra i più alti a confronto con ogni altro prodotto alimentare: per questo motivo può essere usata per salvare le persone dalla morte per fame. Può essere usata anche per fare un tipo di pane. Stiamo cercando ancora altri modi per metterla a disposizione dei pa- esi poveri del mondo. I mari contengono riserve di cibo illimitate, ma il metodo migliore per salvare l’umanità dal problema della fame è l’allevamento del pesce. Prevedo che ci saranno costruzioni, simili ai grattacieli che vediamo oggi nelle nostre città, destinate alla coltura del pesce. Usando siste- mi di condotte d’acqua, potremmo realizzare vasche d’allevamento in grandi edifici o anche sulla cima delle montagne. Con l’allevamento del pesce possiamo produrre cibo più che sufficiente a nutrire tutta la gente del mondo. L’oceano è una benedizione dataci da Dio. Quando esco in mare, mi concentro totalmente nella pesca. Ho catturato tutti i tipi di pesce in diversi paesi. Una motivazione per la quale pesco è quella di insegnare come si fa a coloro che non sanno pescare. In America del Sud, ho trascorso diversi mesi mostrando alla gente del posto i miei metodi di pesca. Ho portato con me reti aggrovigliate e poi ho passato tre o quattro ore a mostrare loro come districarle. Per ottenere adeguate scorte di cibo a costi contenuti, gli uomini do- vranno interessarsi degli oceani. Questi, assieme alle grandi praterie, ancora rimaste allo stato preistorico, sono i nostri ultimi scrigni di ric- chezze. Non si tratterà però di un compito agevole. Dovremo recarci in posti estremamente caldi e umidi, in cui sarà difficile andare in giro e lavorare alacremente, mantenendo un forte senso di dedizione. La col- tivazione delle grandi praterie nelle regioni tropicali è un impegno che non può essere mantenuto, se non sulla base di un amore appassionato e devoto per l’umanità. Jardim, in Brasile, è un posto del genere. È piuttosto difficile viverci. Il clima è caldo e ci sono insetti che ancora non sono stati neanche

La soluzione alla povertà e alla fame 349 Capitolo 7 - Il futuro della Corea è il futuro del mondo

classificati, ma pungono continuamente. Io ho vissuto in quel posto e ho fatto amicizia con tutte le sue varie creature. Passeggiavo scalzo, sentendo la terra rossa di Jardim sotto i piedi, così da sembrare un vero contadino. Quando andavo al fiume, sembravo un pescatore dei dintorni. Soltanto quando la gente del luogo ti vede e dice: «Sei davvero un contadino», oppure: «Sei davvero un pescatore», sei qualificato per ri- cevere la loro sapienza e condividere con loro la tua. Chi ha bisogno di dormire otto ore per notte, mangiare tre pasti completi al giorno e fare il riposino pomeridiano all’ombra di un albero non potrà mai arrivare a quel punto. Per svolgere un programma in Paraguay, un gruppo di nostri membri e io abitammo in una minuscola baracca a Olimpo, vicino al fiume Para- guay. C’era un solo gabinetto e tutte le mattine dovevamo fare a turno per usarlo. Io mi svegliavo ogni giorno alle tre, facevo un po’ di esercizio fisico e poi andavo a pesca. In quel periodo, i membri che erano con me patirono tante difficoltà. Non erano abituati a preparare le esche di pri- ma mattina, senza neppure essere riusciti a svegliarsi completamente. Quando uscivamo con le barche, dovevamo attraversare diverse altre proprietà, prima di arrivare al nostro ormeggio. Era difficile aprire i cancelli di quelle proprietà nel buio pesto. Una volta, vedendo che i membri trafficavano con un chiavistello e non erano in grado di aprirlo, urlai: «Che state facendo?». Strillai con un tono così forte e aggressivo, che me ne meravigliai io stesso. Sono sicuro che per loro dev’essere sta- to davvero difficile. Sento però che non posso permettermi di perdere neanche un solo secondo. Non ho tempo per starmene in panciolle. Ho chiaro davanti agli occhi l’elenco delle cose che devo ancora fare, prima che possa esserci un mondo di pace, e per questo vivo costantemente con un senso di urgenza. Mentre pescavo sul fiume, prima dell’alba, le zanzare mi sciamavano intorno come una nuvola nera. I loro aculei erano tanto appuntiti da

350 La soluzione alla povertà e alla fame Capitolo 7 - Il futuro della Corea è il futuro del mondo trapassare facilmente i miei jeans. Nell’oscurità, che precedeva l’aurora, non potevamo vedere i galleggianti delle nostre lenze, così legavamo attorno ad essi delle buste di plastica bianche. Non potevo aspettare che spuntasse il sole. Avevo troppa fretta. Mi manca molto Jardim. Ho nostalgia di tutto quello che c’era lì. Se chiudo gli occhi, posso ancora sentire il calore dell’aria di Jardim pre- mere sul mio viso. I piccoli inconvenienti per il mio corpo erano niente. La sofferenza fisica passa in fretta. Ciò che ha importanza è la consa- pevolezza che quel posto potrà svolgere, un giorno, un ruolo significa- tivo al servizio del mondo. Vivere a Jardim mi ha riempito il cuore di felicità.

La soluzione alla povertà e alla fame 351 Andare oltre la carità per mettere fine alla fame

er risolvere il problema della fame, dobbiamo avere il cuore pa- ziente del seminatore. Dopo essere stati piantati, i semi aspet- tano nascosti sotto il suolo, finché riescono a germogliare, spac- Pcando il proprio rivestimento. Analogamente è molto meglio, a lungo termine, insegnare a un uomo come piantare e raccogliere il grano per poi cuocersi il pane, piuttosto che offrire un tozzo di cibo a una perso- na che sta per morire. La prima delle due strade può essere più difficile, e magari non otterrà molta riconoscenza pubblica, ma è l’unica percor- ribile, se vogliamo arrivare a una soluzione completa e sostenibile per la fame nel mondo. Dobbiamo cominciare con lo studio del clima, del terreno e del carattere delle persone, nelle aree dove la gente patisce la fame. C’è una specie di albero, che cresce in Congo, che si chiama moringa. Le foglie di quest’albero, che sono ricche di elementi nutritivi, ven- gono raccolte per darle da mangiare ai bambini. Vengono nutriti con queste foglie anche gli animali, così da ingrassarli prima di portarli al mercato. Gli indigeni pestano le foglie di quest’albero in un mortaio di pietra, aggiungono un po’ d’olio e le friggono in una pastella. Potrebbe essere una buona idea coltivare molti alberi di moringa, ri- durre poi l’intera pianta in polvere (dopo aver tolto le radici, che sono velenose) e usarne la farina per fare del pane. Molti paesi potrebbero seguire quest’esempio e piantare alberi di moringa. Anche i carciofi di Gerusalemme1, che assomigliano alle patate dolci, una volta piantati crescono molto rapidamente. La quantità che può essere raccolta è tre volte superiore alle altre specie vegetali usate per soccorrere le vittime

1 I «carciofi di Gerusalemme», come dice il testo, sono dei tuberi. Sono meglio conosciu- ti come rape tedesche o topinambur.

352 Andare oltre la carità per mettere fine alla fame Capitolo 7 - Il futuro della Corea è il futuro del mondo delle carestie. Piantare tanti carciofi di Gerusalemme è un altro modo per contribuire alla soluzione del problema della fame. A Jardim, si usano nei campi grandi lombrichi, che rendono il terreno particolarmente fertile. Sono lombrichi che esistono solo nell’America meridionale ma forse, studiandone l’habitat, potremmo utilizzarli per aiutare l’agricoltura in altre regioni. I Coreani stanno lavorando nell’a- rea del Mato Grosso a uno studio sui bachi da seta. Se l’allevamento dei bachi avrà successo, sarà possibile produrre seta a buon mercato e venderla per acquistare cibo. Non c’è una soluzione facile e rapida al problema della fame. In ogni paese, le persone hanno gusti e abitudini alimentari diversi, e anche le piante e gli animali sono diversi. Il punto importante è la preoccu- pazione per il nostro prossimo. Dobbiamo per prima cosa sviluppare la sensibilità per cui, una volta che abbiamo riempito a sufficienza il nostro stomaco, pensiamo agli altri che hanno fame e ci preoccupiamo di come poterli aiutare. La vera pace non verrà, finché l’umanità non avrà risolto questo problema. Se la persona accanto a me sta morendo di fame, la pace è un lusso inutile. Insegnare le tecniche necessarie, per raggiungere l’autosufficienza nella produzione del cibo, è altrettanto importante che distribuire diretta- mente da mangiare a chi ne ha bisogno. Per insegnare queste tecniche, dobbiamo costruire scuole nelle aree più remote e combattere l’anal- fabetismo. Dobbiamo istituire scuole tecniche, per dare alle persone la capacità di mantenersi da sé. Gli Occidentali che conquistarono l’Africa e l’America del Sud non fecero abbastanza per condividere la loro tecnologia con gli uomini che erano già lì. Li usarono soltanto come lavoratori, nell’opera di estrazio- ne ed esportazione delle risorse sepolte nel sottosuolo. Non insegnaro- no loro come coltivare la terra o come allestire una fabbrica. Questo è stato un comportamento ingiusto. La nostra chiesa, sin dai primi tem- pi delle proprie attività missionarie estere, ha fondato scuole in posti

Andare oltre la carità per mettere fine alla fame 353 Capitolo 7 - Il futuro della Corea è il futuro del mondo

come il Congo, per insegnare l’agricoltura e la tecnologia industriale. Un altro problema, che affligge le persone indigenti, è quello di non potersi permettere le cure mediche appropriate, quando cadono malate. Da un lato del mondo, nei paesi progrediti, si assiste a un uso eccessivo di farmaci, mentre tra le popolazioni povere, spesso, si muore soltanto perché non è disponibile una semplice medicina per la diarrea. Per- ciò, mentre ci adoperiamo per debellare la fame, dobbiamo allo stesso tempo offrire le necessarie cure mediche. Dobbiamo aprire ospedali e curare coloro che soffrono di malattie croniche. Ad esempio, sulla base della fondazione che avevamo posto con la Fat- toria Nuova Speranza in Jardim, ho donato ambulanze e apparecchia- ture mediche a più di trenta cittadine dei dintorni. Ho creato la Fatto- ria Nuova Speranza come un modello, per dimostrare come gli uomini possano vivere insieme in pace. Abbiamo dissodato una vasta area per farne terreno agricolo e in una posizione rialzata abbiamo realizzato un ranch per gli animali. Sebbene si trovi in Brasile, quella fattoria non appartiene soltanto alla gente del Brasile. Chiunque abbia fame può recarvisi ed essere sfama- to. Circa duemila persone di varie razze, provenienti da tutte le nazio- ni del mondo, mangiano e dormono stabilmente lì. Apriremo scuole di ogni livello, dalle elementari fino all’università. Insegneremo come coltivare la terra e come allevare il bestiame. Insegneremo anche come piantare e far crescere gli alberi e come pescare, conservare e rivendere il pesce. Non abbiamo soltanto la fattoria. Usiamo anche i numerosi laghi, ubicati nelle vicinanze del fiume, per creare allevamenti ittici e bacini di pesca. La regione del Chaco, che pure occupa il 60% dell’estensione del Pa- raguay, è stata sempre trascurata. Quel territorio si formò quando il livello del mare salì fino a coprire la terra. Ancora oggi, quando si sca- va il terreno, sgorga acqua salata. Avevo passato i settant’anni quando andai per la prima volta in Paraguay, e mi addolorò molto il vedere

354 Andare oltre la carità per mettere fine alla fame Capitolo 7 - Il futuro della Corea è il futuro del mondo le condizioni di indescrivibile povertà della vita della gente, che abita quella regione abbandonata. Volevo sinceramente aiutarli, ma loro non erano preparati ad accettare con facilità una persona, come me, che aveva un altro colore di pelle e parlava un’altra lingua. Non mi diedi però per vinto. Viaggiai sul fiume Paraguay per tre mesi, mangiando e dormendo con la gente del posto. Nonostante i miei settant’anni, m’impegnai in un compito che la gente riteneva impossibile. Insegnai alla gente quello che sapevo della pesca e loro m’insegnarono la loro lingua. Passammo tre mesi insieme sulla barca e diventammo amici. Una volta che ebbero cominciato ad aprirmi il loro cuore, parlai loro insistentemente del perché il mondo debba diventare un tutt’uno. Sul- le prime, la loro risposta fu improntata all’indifferenza ma, anno dopo anno, cominciarono a cambiare. Dieci anni dopo, il cambiamento era stato tanto profondo, che organizzarono con grande entusiasmo un festival globale per la pace. La soluzione della questione della fame non comporterà immediata- mente la pacificazione mondiale. Dopo che sarà stato sistemato il pro- blema alimentare, sarà importante condurre programmi educativi sulla pace e l’amore. Ho costruito scuole in posti come Jardim e il Chaco ma, all’inizio, le famiglie non mandavano i loro figli a scuola, preferendo tenerli con sé a pascere gli animali. Non fu facile convincerli della necessità di impartire un’educazione ai bambini e ai giovani, ma ora abbiamo tanti studenti. Abbiamo costru- ito anche una piccola fabbrica, dove si possono produrre oggetti tec- nologicamente semplici, e in questo modo gli studenti hanno acquisito maggior interesse alla frequenza della scuola, in vista del successivo lavoro nella fabbrica. Siamo tutti responsabili per le persone che muoiono di fame nel mon- do. Dobbiamo mobilitarci per aiutarli. Dobbiamo sentire un forte sen- so di responsabilità e trovare la maniera di nutrirli e salvarli. I popoli

Andare oltre la carità per mettere fine alla fame 355 Capitolo 7 - Il futuro della Corea è il futuro del mondo

che vivono in condizioni migliori devono scendere a un livello legger- mente più basso, e tirare su quelli che versano nel bisogno, in modo da costruire un mondo nel quale tutti vivano dignitosamente.

356 Andare oltre la carità per mettere fine alla fame Capitolo 8

Una nuova visione per i giovani

Trovate il vostro scopo, cambiate la vostra vita

uando incontriamo una persona nuova, siamo sempre curiosi di scoprire chi sia. Dio ha la stessa curiosità per ciascun essere umano. Lo incuriosiscono soprattutto i giovani. Quando riesce a conoscerli in profondità, Dio prova tanta gioia. Per- ché? Perché la gioventù è il periodo più importante e bello della nostra vita. Gli anni della gioventù dovrebbero essere un periodo di tranquil- lità, perché ci si prepara per il futuro. Il processo della crescita fino alla maturità è un passaggio fondamentale, che apre le porte a una nuova età. È difficile oggi trovare dei giovani appassionati alla vita. Ne troviamo tanti, invece, che sono privi di una meta o di un fine e non fanno altro che vagare smarriti. Tutti i grandi personaggi della storia hanno avuto una precisa con- sapevolezza dello scopo della loro vita, fin da quando erano bambini. Hanno custodito quello scopo nel cuore già dall’infanzia, e hanno pro- fuso tante energie per realizzarlo. Sia che stessero dormendo, sia che stessero giocando con i loro amici, quelle grandi figure hanno orientato tutte le attività della loro gioventù alla preparazione dello scenario, sul quale intendevano cimentarsi nel futuro. State vivendo anche voi in questo modo? Tutti noi siamo stati creati per essere grandi uomini e donne. Dio non ci ha mandati in questo mondo senza uno scopo. Quando ci ha creati, Dio ha investito in ciascuno di noi il Suo completo amore. Perciò, tutti noi siamo stati creati per la grandezza. Poiché Dio esiste, noi possiamo realizzare le cose più grandiose. Io, quando ho iniziato ad amare Dio, sono diventato una persona com- pletamente diversa. Ho amato l’umanità più di me stesso e mi sono

Trovate il vostro scopo, cambiate la vostra vita 359 Capitolo 8 - Una nuova visione per i giovani

occupato dei problemi degli altri più che di quelli della mia famiglia. Ho amato tutto quello che Dio ha creato. Ho amato profondamente gli alberi sulle colline e i pesci nei mari. I miei sensi spirituali si sono sviluppati, così che ho potuto discernere la mano di Dio in tutte le cose della creazione. Mentre cambiavo il mio cuore per conformarmi all’amore di Dio, al- lenavo il mio corpo in modo da poterlo utilizzare per la mia missione. Volevo essere preparato per andare dovunque, in qualsiasi momento Dio mi avesse chiamato. Ho giocato a calcio e ho praticato il pugilato, ho studiato le arti marziali della tradizione coreana e il wonhwado1, una disciplina di arti marziali sviluppata da me. Nel wonhwado, l’atleta muove il corpo con fluide movenze circolari, come se stesse danzando. Il wonhwado è basato sul principio che la forza generata dal movimen- to circolare è maggiore di quella prodotta dal moto rettilineo. Ancora adesso, comincio ogni giorno con esercizi di stretching per i muscoli e le articolazioni ed esercizi di respirazione, che io stesso ho ideato. A volte, se sono in viaggio per il mondo per un ciclo di discorsi, può capitare che la mattina non abbia il tempo per questi esercizi, ma trovo comunque l’occasione più tardi, magari mentre sono seduto in gabinetto. Non salto mai un giorno i miei esercizi. Quando ero giova- ne, trenta minuti erano più che sufficienti, ma ora che sono anziano li ho portati a un’ora al giorno. Nel 2008 rimasi coinvolto in un incidente di volo. Delle nuvole nere di pioggia avevano circondato all’improvviso l’elicottero sul quale mi trovavo, che in un attimo precipitò su una montagna, ribaltandosi. Mi ritrovai appeso a testa in giù, trattenuto dalla cintura di sicurezza. Istintivamente, mi aggrappai con tutte le forze ai braccioli, su entrambi i lati del sedile. Se non fossi stato così diligente nei miei esercizi, penso che nel momento in cui finii a testa in giù mi sarei fratturato il bacino.

1 Wonhwado significa «Creare una via circolare di vita armoniosa», o «Via dell’armonia circolare». Won significa cerchio, hwa significa armonia, do significa la via.

360 Trovate il vostro scopo, cambiate la vostra vita Capitolo 8 - Una nuova visione per i giovani

Il corpo è il contenitore che deve custodire uno spirito sano, perciò è importante che lo teniamo costantemente in forma. Sono pochi gli studenti che vanno a scuola perché amano lo studio. Di solito vanno alle lezioni perché glielo chiedono i genitori, non perché sono desiderosi di apprendere. Tuttavia, con il procedere negli studi, gradualmente imparano ad apprezzare la cultura che acquisiscono. Da quel punto in poi, cominciano a studiare di propria volontà e scoprono la propria strada. L’interesse per lo studio è un segno di maturità. I genitori non possono aspettare che i figli maturino abbastanza da studiare di loro iniziativa, perciò dicono: «Devi studiare! Per favore, convinciti che devi studiare!», e li spronano a impegnarsi. I genitori sanno che i figli hanno bisogno di studiare per prepararsi al futuro. Si preoccupano perché, se i figli non studiano quello che è loro richiesto in base all’età, affronteranno la vita impreparati. Comunque, c’è un’altra cosa, ancora più importante della scuola, che è necessaria per prepararsi al futuro. Prima di concentrarsi incondizio- natamente sugli studi, i giovani devono decidere quello che vorranno fare nella propria vita. Devono decidere di mettere a frutto i loro ta- lenti per aiutare il mondo, piuttosto che per badare semplicemente a se stessi. Molti giovani, oggi, sembrano studiare solamente per il proprio interesse. A meno che non abbiano uno scopo nella vita, i loro studi mancheranno della passione che serve per essere felici. Una volta incontrai uno studente coreano, seriamente concentrato sui suoi compiti d’inglese. Gli chiesi: «Perché studi così seriamente l’in- glese?». Mi rispose: «Per essere ammesso all’università». Come si può essere così poco lungimiranti? Iscriversi all’università non è uno scopo. L’università è il luogo dove si studiano argomenti specifici, finalizzati al raggiungimento di un obiettivo più vasto. L’università non può essere l’obiettivo stesso. Evitate anche di definire le mete della vostra vita nell’ottica del reddito che volete ricavare. Io non ho mai ricevuto uno stipendio, ma sono ri-

Trovate il vostro scopo, cambiate la vostra vita 361 Capitolo 8 - Una nuova visione per i giovani

uscito lo stesso a mangiare e mantenermi in vita. Il denaro è un mezzo per realizzare qualcosa, non lo scopo. Prima di fare soldi, pianificate come spenderli. I soldi che guadagniamo senza esserci posti prima un obiettivo, saranno subito dilapidati. La scelta della vostra professione non dev’essere basata solamente sulle vostre capacità e i vostri interessi. Sta a voi decidere se diventare un pompiere, un contadino o un calciatore; io mi riferisco a qualcosa che va al di là del vostro lavoro. Che tipo di vita vivrete come calciatore? Come vivrete da contadino? Quale sarà il vostro obiettivo nella vita? Fissare il proprio obiettivo è dare significato alla vita che condurrete. Se sarete un agricoltore, dovrete porre la vostra meta nella sperimenta- zione di nuovi metodi di coltivazione, nello sviluppo di nuove specie di colture, nel contributo allo sradicamento della fame mondiale. Se sarete un calciatore, dovrete fissarvi un obiettivo significativo come l’innalzamento dell’immagine del vostro paese nel mondo o la fonda- zione di scuole di calcio, che nutriranno i sogni di bambini svantaggiati economicamente. Diventare un calciatore di caratura mondiale richiede un impegno incredibile. Se non avrete una motivazione precisa nel vostro cuore, non riuscirete a superare il duro allenamento richiesto per arrivare al vertice. Solo se avrete un obiettivo troverete la forza per proseguire nel vostro corso, e condurre una vita una spanna sopra quella degli altri intorno a voi.

362 Trovate il vostro scopo, cambiate la vostra vita Abbracciate il mondo

orsi una meta nella vita è come piantare un albero. Se nel giar- dino davanti casa vostra pianterete un albero di giuggiolo, avrete giuggioli da mangiare; se pianterete dei meli sulla collina dietro Pcasa vostra, quelli produrranno mele. Valutate attentamente prima di scegliere le vostre mete e di decidere dove intendete localizzarle. A se- conda della meta che sceglierete e di dove la stabilirete, potreste diven- tare un albero di giuggiolo in Corea o un melo in Africa. Oppure po- treste diventare una palma nel Sud dell’Oceano Pacifico. La meta che vi prefiggerete produrrà frutto in futuro. Considerate con cura quale sia il posto migliore per stabilire la vostra meta, in modo che possa dare il frutto migliore. Quando scegliete la vostra meta, fate attenzione a includere tutto il mondo. Prendete in considerazione l’Africa, che continua a soffrire per la povertà e le malattie. Ragionate su Israele e la Palestina, dove la gente continua a puntarsi le armi e combattere per questioni religiose. Valutate l’Afghanistan, dove la gente sopravvive a malapena coltivando papaveri, dai quali si estraggono pericolose droghe. Esaminate gli Stati Uniti, da cui provengono l’avidità e l’egoismo estremi che hanno de- terminato la crisi economica globale. Pensate a Indonesia, Haiti e Cile, che hanno subito terremoti e maremoti. Immaginatevi nel contesto di questi paesi, e scegliete la nazione e la situazione più appropriate per voi. Magari siete più adatti per l’India, dove potrebbe scoppiare un nuovo conflitto religioso. Oppure potrebbe essere meglio il Ruanda, che langue nella siccità e nella carestia. Nel determinare una meta, gli studenti non devono essere così sprovve- duti da pensare che una nazione piccola, come la Corea, non meriti at- tenzione. A seconda di quello che farete, non c’è limite a quanto grande

Abbracciate il mondo 363 Capitolo 8 - Una nuova visione per i giovani

possa diventare una piccola nazione. I suoi confini statali potrebbero anche scomparire. Che facciate un buon lavoro nel grande continente africano o nella piccola nazione coreana, la vostra meta non dev’essere limitata dalla misura. Il vostro obiettivo deve collocarsi laddove i vostri talenti possono avere il massimo impatto. Pensate al mondo come al vostro palcoscenico, quando decidete cosa volete fare nella vita. Così facendo, troverete probabilmente molte più cose da fare di quelle che sognavate all’inizio. Avete una sola vita da spendere, perciò usatela per fare qualcosa di cui il mondo ha bisogno. Non potrete arrivare al tesoro nascosto sull’isola senza un po’ d’avven- tura. Nel fissare la vostra meta, guardate oltre il vostro paese e pensate al mondo come al vostro palcoscenico. Negli anni ‘80, ho mandato molti studenti universitari Coreani in Giappone e negli Stati Uniti. Volevo che uscissero dalla Corea, dove scoppiavano bombe lacrimogene quasi tutti i giorni1, e vedessero un mondo più grande e più vario. La rana che vive in fondo al pozzo non si rende conto che c’è un mondo più grande, fuori dal pozzo. Io pensavo in termini globali prima ancora che quella parola stessa en- trasse nella lingua coreana. La ragione per la quale andai a studiare in Giappone era quella di vedere un mondo più ampio. La ragione per la quale programmai di lavorare per la Società Elettrica della Manciuria a Hailar, in Cina, e imparare il Cinese, il Russo e il Mongolo, prima ancora che la Corea fosse liberata, era quella di pormi in condizioni di vivere come un cittadino globale. Ancora oggi mi reco in aereo in molti paesi del mondo. Se dovessi visitare una nazione diversa ogni giorno, ci vorrebbero più di sei mesi per girarle tutte. La gente vive in tanti paesi e le situazioni sono tutte differenti tra loro. Ci sono posti dove manca l’acqua per cuocere il riso, mentre altri ne hanno troppa. Alcuni paesi non hanno energia elettrica, mentre altri

1 Si riferisce agli scontri tra studenti e polizia che avvenivano con notevole frequenza in quegli anni, per motivi politici.

364 Abbracciate il mondo Capitolo 8 - Una nuova visione per i giovani non riescono a consumare tutta l’energia che producono. Ci sono tanti esempi di cose che mancano da una parte e sono sovrabbondanti da un’altra. Il problema è che non ci sono abbastanza persone attente a uniformare la distribuzione. Lo stesso accade con le materie prime. Alcune nazioni hanno abbon- danza di carbone e ferro in giacimenti facilmente accessibili: non de- vono neanche scavare sotto terra. Tutto quello che hanno da fare è prelevare il materiale grezzo. La Corea, invece, ha un’estrema penuria di riserve di carbone e ferro. Per estrarre l’antracite, i nostri minatori devono rischiare la vita a centinaia di metri di profondità. L’Africa ha tante regioni in cui le banane crescono in abbondanza spontaneamente, e potrebbero sfamare la popolazione. Ma è carente in tecnologia e non c’è accesso alla terra fertile, così che non vengono cre- ate sufficienti piantagioni di banane. Il clima della Corea non è adatto alla coltivazione delle banane, ma ne produciamo ugualmente. La tec- nologia sviluppata in Corea potrebbe risultare molto utile per risolvere il problema della povertà in Africa. Qualcosa di simile è già accaduto quando la Corea del Sud, con la sua tecnologia applicata alla coltiva- zione del mais, ha aiutato la Corea del Nord colpita dalla carestia. Ora in Corea va di moda il termine «leader globale». Le persone di- cono che vogliono imparare a parlare correntemente l’inglese e diven- tare leader globali. Per diventare tali, tuttavia, non basta la conoscenza della lingua inglese. La capacità di comunicare in Inglese non è altro che uno strumento. Un vero leader globale è qualcuno che è capace di accogliere il mondo nelle proprie braccia. Una persona che non s’inte- ressa ai problemi del mondo non potrà mai diventare un leader globale, non importa quanto bene conosca la lingua inglese. Chi vuol essere un leader globale deve sentire i problemi del pianeta come propri e avere lo spirito da pioniere che serve per trovare le solu- zioni difficili. Un uomo attaccato allo stipendio fisso e sicuro, che so- gna la pensione e una vita confortevole nel proprio ambiente familiare,

Abbracciate il mondo 365 Capitolo 8 - Una nuova visione per i giovani

non può essere un leader globale. Diventare tale significa considerare tutto il mondo come il proprio Paese e tutta l’umanità come i propri fratelli e sorelle, e non essere eccessivamente preoccupato di ciò che il futuro possa riservargli. Chi sono i nostri familiari? Perché Dio ci ha dato fratelli e sorelle? Questi rappresentano tutta l’umanità disseminata sulla terra. L’espe- rienza di amare i nostri fratelli e sorelle nella famiglia c’insegna come amare i nostri concittadini e l’umanità. L’amore per i nostri fratelli e sorelle si espande in questo modo. La famiglia i cui membri si amano tra loro, è il modello di come l’umanità possa vivere insieme in armo- nia. L’amore tra fratelli e sorelle implica che ciascuno di loro è disposto a saltare il pasto, se necessario, perché l’altro possa mangiare. Il leader globale è colui che ama l’umanità come ama la propria famiglia. È passato un po’ di tempo da quando abbiamo sentito per la prima volta la frase «villaggio globale». La terra, tuttavia, è sempre stata un’u- nica comunità. Il successo di un uomo che si ponga come scopo di vita quello di ottenere una laurea, essere assunto in una ditta che gli paghi un alto stipendio e avere una vita tranquilla, sarà paragonabile a quello di un cagnolino. Chi, invece, dedicherà la vita ad aiutare i profughi in Africa, avrà il successo di un leone. Il corso che si sceglie dipende dal cuore che ciascuno ha dentro di sé. Anche a novant’anni d’età, io continuo a girare il mondo e rifiuto di ritirarmi dalla mia missione. Il mondo è come un organismo vivente in continuo cambiamento. Sorgono continuamente nuovi problemi. Io vado negli angoli bui del mondo, dove esistono quei problemi. Non sono località amene né luoghi panoramici. Io però mi sento a mio agio in posti oscuri, difficili, solitari, perché è lì che posso realizzare la mia missione, il mio scopo e le mie mete. La mia speranza è che la Corea possa produrre leader globali nel vero senso del termine. Spero di vedere più statisti e politici che conducano le Nazioni Unite a realizzare il loro scopo. Spero di vedere più diplo-

366 Abbracciate il mondo Capitolo 8 - Una nuova visione per i giovani matici che mettano fine ai combattimenti nelle aree di conflitto. Spero di vedere qualcuno come Madre Teresa di Calcutta, che si occupi di coloro che vagano alla cieca e muoiono nelle strade. Spero di vedere leader della pace, che ereditino la mia missione di esplorare nuove so- luzioni sulle terre e nei mari. Il punto di partenza è avere un sogno e una meta. Abbiate uno spirito avventuroso e pionieristico. Concepite sogni che gli altri non osano neppure immaginare. Ponetevi mete che abbiano significato e diventa- te leader globali, che recheranno beneficio all’umanità.

Abbracciate il mondo 367 Tutto ciò che abbiamo ci è dato a prestito dal cielo

a gente dice che io sia uno degli uomini più ricchi del mondo, ma non sa di cosa sta parlando. Ho lavorato duramente tutta la vita, ma non ho neppure una casa intestata a mio nome. Tutto è destinato allo scopo pubblico. Praticamente ogni Coreano maggioren- L 1 ne ha il proprio timbro ufficiale , registrato presso gli uffici governativi, col quale firma i propri atti legali, ma io non ho quel timbro. Potreste domandarvi, allora, a cosa mi sia giovato lavorare tanto e non aver mangiato né dormito, mentre gli altri mangiavano e dormivano. Non ho lavorato per diventare ricco. I soldi non significano nulla per me. I soldi che non sono usati per l’umanità, o per il mio prossimo che sta morendo di stenti, non sono altro che pezzi di carta. Il denaro guadagnato attraverso il duro lavoro dev’essere sempre usato per amare il mondo e realizzare progetti a beneficio del mondo. Quando invio i nostri missionari all’estero, non do loro molti soldi. I missionari però sopravvivono ovunque vadano. A noi basta pochissimo per sostentarci. Un sacco a pelo è sufficiente per dormire in qualsiasi posto. Non è importante come viviamo, ma il tipo di vita che conducia- mo. Il benessere materiale non è un requisito per la felicità. Mi dispiace che l’espressione «vivere bene» venga usata per definire la ricchezza esteriore. Vivere bene vuol dire vivere una vita che abbia un significato. Io indosso la cravatta solo per il servizio religioso o per occasioni spe- ciali. Neppure indosso spesso la giacca. Generalmente, quando sono a casa, porto un maglioncino. A volte immagino quanti soldi si spen- dono in cravatte nelle società occidentali. Le camicie di sartoria, i fer-

1 Si riferisce ad un piccolo timbro che i Coreani portano sempre con sé assieme ad un inchiostratore altrettanto piccolo. Questo timbro viene usato come firma con valore legale.

368 Tutto ciò che abbiamo ci è dato a prestito dal cielo Capitolo 8 - Una nuova visione per i giovani macravatta e i gemelli per i polsini sono articoli molto costosi. Se tutti smettessero di comprare cravatte e usassero quei soldi per il prossimo che soffre la fame, il mondo sarebbe un posto leggermente migliore in cui vivere. Le cose costose non sono necessariamente le più confortevoli da in- dossare. Immaginate cosa succederebbe se l’edificio in cui mi trovo an- dasse a fuoco. Chi sarebbe il primo a uscire, io con il mio maglioncino o qualcun altro con la cravatta? Io sono sempre pronto a uscire. Alcuni pensano che io sia un risparmiatore esagerato. In effetti, a me non sembra appropriato fare il bagno tutti i giorni: una volta ogni tre è sufficiente. Inoltre, invece di lavare ogni volta i calzini, la sera li tolgo e li metto nella tasca posteriore dei pantaloni, così da poterli rimettere il giorno successivo. Quando sono in albergo, uso soltanto il più piccolo degli asciugamani appesi nel bagno. Tiro l’acqua soltanto dopo che ho orinato tre volte e uso un solo strappo di carta igienica, dopo averlo piegato tre volte a metà. Non m’importa se mi considerate un incivile o un barbaro per questo. Ho lo stesso desiderio di economizzare anche a tavola. Non m’inte- ressano i cibi elaborati. Potrei avere davanti ogni sorta di cibi esotici e diversi tipi di dessert, ma non mi attirerebbero. Non riempio mai la mia ciotola di riso fino all’orlo. È sufficiente che sia piena per tre quinti. Le mie scarpe preferite le compro in Corea a 49.000 won (25 Euro) in un grande supermercato. I pantaloni che indosso tutti i giorni hanno più di cinque anni. Il ristorante che mi piace di più in America è il McDonald’s. Qualcuno chiama quel cibo spazzatura e non lo mangia, ma a me piace pranzare lì per due motivi: costa poco e si fa presto. Quando porto i figli a mangiare fuori, di frequente andiamo al McDo- nald’s. Non so come si sia sparsa la voce che ci vado spesso, ma il presi- dente della McDonald’s Corporation mi manda un biglietto di auguri per ogni Capodanno. Il messaggio che passo ai nostri membri ogni anno è: «Spendete i soldi

Tutto ciò che abbiamo ci è dato a prestito dal cielo 369 Capitolo 8 - Una nuova visione per i giovani

con attenzione e risparmiate su tutto». Non dico questo perché metta- no i soldi da parte e diventino ricchi. Voglio che abbiano la coscienza di risparmiare per aiutare il paese e salvare l’umanità. Non porteremo nulla con noi quando lasceremo questo mondo. Tutti lo sappiamo, ma per qualche motivo la gente si dispera per mettere le mani su quante più cose è possibile. Io ho programmato di disfarmi di tutto quello che ho costruito nel corso della vita, prima di lasciare questo mondo. Nel Regno dei Cieli ci sono tanti tesori e non abbiamo bisogno di portarci lì nulla dalla Terra. Se comprendiamo che il posto dove andremo è migliore di quello dove siamo ora, capiamo che non è necessario sentire attaccamento per le cose di questo mondo. C’è una canzone che mi è sempre piaciuto cantare. È una vecchia can- zone popolare che molti Coreani conoscono. Ogni volta che la canto, il cuore mi si scioglie e gli occhi mi si riempiono di lacrime. Mi ricorda di quando ero ragazzo e usavo sdraiarmi sui prati vicino casa.

Puoi dire che mi darai una corona di platino e gioielli, ma una camicia che puzza dallo sporco e gocciola di sudore vale di più. Un cuore puro batte nel mio petto, Posso fare un flauto con una foglia di salice, Ed il passero canta la mia melodia.

Puoi dire che mi darai tanto oro da comprare il mondo, ma un bue che dissoda il terreno in un campo d’orzo vale di più. I germogli della speranza spuntano nel mio petto, Posso parlare liberamente con i conigli, Ed i giorni passano mentre suono la mia melodia.

La felicità sta sempre ad aspettarci. Il motivo per cui non riusciamo a trovarla è che il nostro stesso desiderio ci blocca la strada. Finché i no- stri occhi restano fissi sui nostri desideri, non siamo capaci di vedere la

370 Tutto ciò che abbiamo ci è dato a prestito dal cielo Capitolo 8 - Una nuova visione per i giovani via che dobbiamo prendere. Saremo così intenti a raccogliere i granelli d’oro che sono per terra intorno a noi, da non vedere l’enorme monta- gna d’oro che sta poco distante, lungo la strada. Saremo così occupati a metterci roba nelle tasche, da non renderci conto che queste tasche sono bucate. Non ho dimenticato cosa sia stato vivere nella prigione di Heungnam. Anche il posto più terribile che ci sia al mondo è più comodo e ricco di quel campo di prigionia. Ogni cosa appartiene al Cielo. Noi siamo soltanto i suoi assistenti.

Tutto ciò che abbiamo ci è dato a prestito dal cielo 371 La felicità è una vita spesa per gli altri

figli nascono dalla carne e dal sangue dei genitori. Senza i geni- tori non ci sarebbero i figli. Tuttavia, le persone a questo mondo proclamano l’individualismo, come se fossero venute alla luce da Isé. Solo chi non avesse ricevuto alcun aiuto da chicchessia, avrebbe il diritto di parlare di individualismo. Niente al mondo viene ad esistere per il proprio vantaggio. Tutti gli esseri sono stati creati uno per l’altro. Io esisto per te e tu esisti per me. Nessuno è più folle dell’egocentrico, che vive solo per se stesso. Potreb- be sembrare che una vita egoista avvantaggi l’individuo, ma si tratta, in definitiva, di una scelta autodistruttiva. L’individuo deve vivere per la famiglia, la famiglia per il popolo, il popolo per il mondo e il mondo per Dio. Tutte le scuole che ho fondato hanno un triplice motto. Il primo è: «Vivi una vita che non proietti ombre, come se ti trovassi sotto il sole di mezzogiorno». La vita senza ombre è quella vissuta con la coscienza pulita. Quando concluderemo la nostra vita sulla terra e andremo nel mondo dello spirito, tutta la nostra vita si ripresenterà davanti a noi, come se fosse riprodotta da un videoregistratore. Il modo in cui vivre- mo determinerà se andremo in cielo o all’inferno; perciò, dobbiamo condurre vite immacolate, senza proiettare neppure la minima ombra. Il secondo motto è: «Vivi versando sudore per la terra, lacrime per l’umanità e sangue per il cielo». Non c’è menzogna nel sangue, nel su- dore e nelle lacrime che la gente sparge, c’è solo verità. Non c’è grande significato né valore, invece, nel sangue, nel sudore o nelle lacrime, che un uomo versa per se stesso. Questo estremo investimento dev’esser fatto per il bene degli altri. Il motto conclusivo è: «Un’unica famiglia con Dio al centro». C’è un

372 La felicità è una vita spesa per gli altri Capitolo 8 - Una nuova visione per i giovani solo Dio e tutti gli esseri umani sono fratelli e sorelle. Le differenze di lingua, razza e cultura contano meno dell’un per cento. Come esseri umani, noi siamo uguali per oltre il novantanove per cento. Ci sono quattordici nazioni insulari nel Pacifico meridionale. Quando visitai le Isole Marshall, chiesi al presidente: «Questa è una bella terra, ma dev’essere comunque difficile governare la nazione, non è vero?». Il presidente sospirò e rispose: «La nostra popolazione è di appena 60.000 persone e il territorio è in media solo due metri sopra il livello del mare. Quindi in caso di onde alte, o di innalzamento del livello del mare anche di un solo metro, il nostro paese verrebbe in gran parte sommerso. Il nostro problema più grave però è l’educazione. I ragazzi delle famiglie ricche vanno a studiare in America o in Europa e non fanno più ritorno qui. I figli delle famiglie povere non hanno scuole nelle quali ricevere una formazione adeguata. Così neanche i più bril- lanti tra loro possono essere istruiti convenientemente, per assumere posizioni di responsabilità. Il problema di una nazione insulare come la nostra è che non siamo in grado di far emergere i leader che ci possano governare nel futuro». Dopo aver ascoltato quelle sue osservazioni, fondai per i ragazzi di queste nazioni dell’oceano la Scuola Superiore del Pacifico a Kona, nel- le Hawaii. La scuola offre istruzione secondaria ai giovani che vengono dai vari stati, sparsi in tutto il Pacifico, e li aiuta nella preparazione per l’università. Abbiamo messo a disposizione il viaggio aereo di andata e ritorno per le Hawaii, la retta, il vitto e anche i computer, in modo che potessero ricevere l’istruzione migliore. Abbiamo posto una sola con- dizione a chi vuole usufruire di questa scuola: alla fine del corso, de- vono ritornare nel loro paese e servire la loro nazione e il loro popolo. Vivere per gli altri richiede di tanto in tanto qualche sacrificio. Alcuni anni fa, un missionario della nostra chiesa era in viaggio nell’America del Sud, quando il luogo che stava visitando fu colpito da uno spaven- toso terremoto. Sua moglie corse da me con il viso bianco come un

La felicità è una vita spesa per gli altri 373 Capitolo 8 - Una nuova visione per i giovani

lenzuolo: «Cosa devo fare?» mi chiese con le lacrime agli occhi. «Sono tanto preoccupata, non so cosa fare». Magari sarete sorpresi dal sentire la mia risposta! Invece di confortarla e darle pacche sulle spalle, le urlai: «Sei più in pena per la sicurezza di tuo marito, o ti stai preoccupando di quante vite lui potrà salvare in quella situazione di calamità?». Era naturale che lei fosse preoccupata per la sicurezza di suo marito. Ma poiché era la moglie di un missionario, i suoi pensieri avrebbero dovuto essere di un livello più elevato. Piuttosto che pregare solamente per il marito, avrebbe dovuto pregare perché suo marito potesse salvare il maggior numero di vite possibile. Nessuna cosa esiste per se stessa. Non è quello il modo in cui Dio ha creato il mondo. L’uomo esiste per la donna e la donna esiste per l’uomo. La natura esiste per l’umanità e l’umanità esiste per la natura. Tutte le creature di questo mondo esistono per la propria controparte. È un assioma del Cielo che ogni essere viva per il bene del proprio partner. La felicità è possibile solamente nella relazione con un partner. Im- maginate che un uomo, che ha fatto il cantante professionista, vada ad abitare su un’isola deserta e si metta a cantare a squarciagola. Se non c’è nessuno ad ascoltarlo, non può sentirsi felice. Renderci conto che esistiamo a beneficio degli altri è il più grande suc- cesso, nel percorso per cambiare la nostra vita. Quando comprendiamo che la nostra vita non è nostra soltanto, ma è destinata al servizio del prossimo, cominciamo a seguire una strada diversa da quella sulla quale ci trovavamo. Cantare per voi stessi non vi fa felici, perché non c’è gioia senza un partner. Ma anche la cosa più piccola e banale può darvi la felicità, quando la fate per qualcun altro.

374 La felicità è una vita spesa per gli altri Sognare un mondo di pace

er tanti anni ho fatto appello a tutte le religioni del mondo per- ché coesistano come una sola religione, a tutte le razze, perché vivano unite come una sola razza, e a tutte le nazioni, perché Psi relazionino tra loro come se fossero una sola nazione. Tuttavia, per migliaia di anni, la storia ha visto il continuo acuirsi delle divisioni. Ogni volta che è stata adottata una nuova religione o è salito al potere un nuovo regime, sono stati tracciati ulteriori confini e sono state com- battute nuove guerre. Oggi però viviamo in un’era di globalizzazione. Nell’interesse del futuro, dobbiamo trovare l’unità. Uno strumento che ho suggerito per facilitare tutto questo è l’Auto- strada Internazionale della Pace, un’impresa immensa. Essa collegherà la Corea al Giappone con un tunnel sottomarino e si avvarrà di un ponte o di un tunnel per attraversare lo stretto di Bering, che separa la Russia dall’America del Nord. Questi grandi collegamenti posso- no unificare il mondo. Quando l’autostrada sarà completata, si potrà viaggiare in automobile dal Capo di Buona Speranza, in Africa, fino a Santiago, in Cile, e da Londra a New York. Non ci saranno blocchi stradali e tutto il mondo sarà interconnesso, in modo analogo a quanto accade con i vasi sanguigni nel corpo umano, il mondo diventerà un’unica comunità integrata e tutti saranno in grado di viaggiare liberamente attraverso i confini internazionali. Questi ul- timi, una volta che consentiranno il libero transito a tutti, perderanno il loro significato di confini. Qualcosa di simile avverrà per la religione. Con l’aumentare della fre- quenza degli scambi tra le religioni, si diffonderà una maggiore com- prensione reciproca, i conflitti scompariranno e i muri delle divisioni crolleranno.

Sognare un mondo di pace 375 Capitolo 8 - Una nuova visione per i giovani

Quando diversi tipi di persone vivranno insieme in un’unica comunità globale, le barriere tra le razze svaniranno. Ci sarà interazione tra le razze, a prescindere dalle diversità delle sembianze e delle lingue. Que- sta rivoluzione culturale farà del mondo una cosa sola. L’antica Via della Seta non costituì solo una rotta commerciale usa- ta dai commercianti per andare a vendere seta e comprare spezie. Fu anche uno strumento che permise ai popoli dell’Est e dell’Ovest di incontrare il Buddismo, l’Islam e il Cristianesimo. Quelle culture di- verse si mescolarono tra loro e diedero origine a una cultura nuova. L’Autostrada Internazionale della Pace svolgerà un ruolo simile nel ventunesimo secolo. Roma poté prosperare perché tutte le strade portavano a Roma. I Ro- mani ci diedero un’efficace dimostrazione dell’importanza delle strade. Quando si realizza una strada, la gente la usa per viaggiare e per trasfe- rire cultura e ideologie. Per questo motivo, una strada può cambiare il corso della storia. Quando l’Autostrada Internazionale della Pace sarà completata, il mondo sarà interconnesso fisicamente come un’unica entità. Quest’autostrada renderà possibile tutto ciò. Non sottolineerò mai abbastanza quanto sia importante unire il mon- do. Alcuni pensano che si tratti di un’idea prematura. Gli uomini di religione, comunque, prevedono il futuro e vi si preparano. Perciò, è semplicemente naturale che noi ci troviamo avanti rispetto al nostro tempo. Anche se il mondo non ci comprende e ci fa soffrire, noi cre- denti dobbiamo perseverare, per aprire la strada del futuro. Il completamento dell’Autostrada della Pace richiederà la collabora- zione di tante nazioni. La Cina, che è stata vittima dell’aggressione dei Giapponesi, potrebbe non gradire l’idea di essere collegata al Giappo- ne tramite un’autostrada. Giappone e Corea, comunque, non possono collegarsi al resto del mondo senza passare dalla Cina, perciò devono sforzarsi di conquistare la fiducia di quella nazione. Chi lo farà? Coloro che nel ventunesimo secolo spiritualmente faranno

376 Sognare un mondo di pace Capitolo 8 - Una nuova visione per i giovani loro l’idea dell’Autostrada Internazionale della Pace dovranno affron- tare in prima persona questo impegno. E che dire del passaggio del- lo stretto di Bering? Costerà tantissimo, ma questo non dev’essere un motivo di preoccupazione. Il denaro che gli Stati Uniti hanno speso in Iraq sarebbe stato più che sufficiente per costruire quel ponte. Dobbia- mo smetterla di fare le guerre e costringere i popoli a soffrire. È una perversione dilapidare centinaia di miliardi di dollari in armi e com- battimenti. È venuta l’ora che con le nostre spade costruiamo aratri, e falci con le nostre lance. L’Autostrada Internazionale della Pace è un progetto per unire il mon- do. Rendere unito il mondo è ben altro che il semplice collegamento dei continenti con gallerie e ponti. Implica la parificazione della qua- lità della vita nel mondo. Quando qualcuno monopolizza una tecno- logia e la sfrutta a proprio esclusivo beneficio, l’equilibrio del mondo viene offeso. L’Autostrada Internazionale della Pace ripianerà le attuali disugua- glianze, dando accesso alle esistenti risorse naturali e umane. Questo produrrà un livellamento della ricchezza. Livellare vuol dire prendere qualcosa da un luogo più elevato ed aggiungerlo in luoghi meno elevati. Alla fine, entrambi i luoghi avranno la stessa altezza. Ci vorrà sacrificio da parte di chi ha le disponibilità materiali e le conoscenze maggiori. La costruzione di un mondo di pace non potrà compiersi con singole azioni caritatevoli o offerte: solo l’amore sincero e il sacrificio continuo saranno capaci di creare un mondo pacifico. Dobbiamo essere pronti a offrire tutto quello che abbiamo. La costruzione dell’Autostrada Internazionale della Pace offrirà al mondo ben più di una via fisica di comunicazione. Gli esseri umani sono stati creati perché la loro mente e il loro corpo diventassero un tutt’uno. Anche il mondo in cui viviamo funziona allo stesso modo. Il mondo potrà essere completamente unito solo quando ci saranno sia la comunicazione fisica che la comunicazione del cuore.

Sognare un mondo di pace 377 Capitolo 8 - Una nuova visione per i giovani

Per questo motivo mi sono adoperato tanto a lungo per la riforma e il rinnovamento delle Nazioni Unite. Naturalmente, le Nazioni Unite hanno fatto molto per la pace mondiale. Tutti noi Coreani siamo grati per quanto esse hanno fatto, preservando la nostra libertà, durante la guerra di Corea. Tuttavia oggi, a sessant’anni di distanza dalla fonda- zione, le Nazioni Unite sembrano aver perso di vista il loro scopo origi- nale e rischiano di diventare un’organizzazione che opera nell’interesse esclusivo di poche, potenti nazioni. Nel 2005, ho fondato a New York City la Federazione Universale della Pace e subito dopo ho intrapreso un giro del mondo per portare in cento città un messaggio di pace, riguardante un nuovo futuro per le Nazioni Unite e il mondo. Le Nazioni Unite sono state create per ri- solvere i conflitti che insorgono nel mondo, e così devono anteporre gli interessi del mondo a quelli di un lato o dell’altro. Quando una nazione potente insiste nelle proprie convinzioni e usa la forza per imporle alle altre non può che prodursi ulteriore conflitto. Sfortunatamente le Nazioni Unite, oggi, non sono capaci di fare un granché in queste situazioni. In questa prospettiva, ho proposto di ri- strutturare le Nazioni Unite, facendone un’istituzione bicamerale. In aggiunta all’Assemblea Generale, dev’esserci un’assemblea o un con- siglio religioso o culturale. Quest’organo deve comprendere rappre- sentanti spirituali, qualificati in campi come la religione, la cultura e l’istruzione. I membri di quest’assemblea interreligiosa dovranno dimostrare la ca- pacità di trascendere gli interessi delle specifiche religioni e culture e parlare in favore degli scopi spirituali e morali di tutta l’umanità. Io ritengo che le due camere, lavorando insieme con rispetto e collabora- zione reciproci, saranno in grado di fare grandi progressi nella direzio- ne della pace mondiale. Qualcuno potrebbe contestare questo progetto, chiedendo: «Perché gli uomini di religione dovrebbero occuparsi degli affari terreni?». Io

378 Sognare un mondo di pace Capitolo 8 - Una nuova visione per i giovani risponderei che il mondo si trova oggi in un periodo in cui la par- tecipazione delle persone religiose è fondamentale. L’opera di chi ha raggiunto una profonda consapevolezza di sé, attraverso la pratica reli- giosa, è ora più necessaria che mai. Solamente gli uomini veramente religiosi possono fronteggiare l’in- giustizia e la malvagità del mondo e praticare l’amore vero. Soltanto quando le conoscenze e l’esperienza dei capi politici saranno combi- nate con la saggezza dei rappresentanti interreligiosi, il mondo potrà trovare la strada per una pace vera. Ogni giorno, io mi metto in moto con determinazione sempre nuova, per raggiungere questa meta. La mia preghiera è che ogni essere umano sulla terra possa rinascere come un cittadino globale amante della pace, trascendendo le barriere della religione, dell’ideologia e della razza.

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Indice

Presentazione 7 Premessa 9 Cartina della Corea 13 Capitolo 1 - Il cibo è amore 15 Ciò che ho compreso sulla pace quando mio padre mi portava in spalla 17 La gioia di nutrire il prossimo 23 Essere amico di tutti 27 Una bussola sicura per la mia vita 31 Un bambino testardo che non s’arrende mai 38 Amare la natura per imparare da lei 44 Parlare dell’universo agli insetti 52 Uno studente ardimentoso 55 Capitolo 2 - Il mio cuore è un fiume di lacrime 59 Tra timore e ispirazione 61 Più vieni ferito, più devi amare 66 Un coltello non più affilato diventa inutile 71 La chiave per svelare un grande segreto 76 Una persona dal carattere vulcanico 81 L’amicizia con gli operai e la condivisione della loro sofferenza 84 Il mare calmo del cuore 90 «Ti prego, non morire» 94 Un ordine che deve essere eseguito 100 Un chicco di riso è più grande della terra 109 La prigione di Heungnam nella neve 114 Le forze dell’ONU portano la libertà 119 Capitolo 3 - Un tesoro interiore attraverso lotte e sofferenze 125 «Tu sei il mio maestro spirituale» 127 Quel giovane bello e matto vicino al pozzo 133 Una chiesa senza denominazione 137 Due università espellono studenti e professori 142 Nuove gemme crescono sui rami bruciati 146 Siamo temprati dalle nostre ferite 150 Un cuore sincero è estremamente importante 153 Capitolo 4 - Il lancio della nostra missione globale 161 Seguo la strada di Dio senza pensare alla mia vita 163 Denaro guadagnato onorevolmente, speso con tanta preghiera 166 La forza della danza muove il mondo 169 Gli angeli aprono un sentiero attraverso la foresta buia 172

Indice 381 Il giro del mondo 176 L’ultimo aereo per l’America 179 Il nostro futuro è nell’oceano 185 Una nuova rivoluzione americana 190 Manifestazione davanti al monumento a Washington, 1976 194 «Piangete per il mondo, non per me» 199 «Perché mio padre deve andare in prigione?» 202 Fotografie di momenti essenziali della mia vita 207 Capitolo 5 - L’amore della famiglia può cambiare il mondo 225 Mia moglie, Hak Ja Han Moon 227 Un’incomparabile bellezza interiore 232 Promesse che non devono mai essere infrante 238 Amare è dare e dimenticare 243 Le famiglie di pace sono i mattoni con cui è costruito il Regno dei Cieli 246 Dieci anni di lacrime sciolgono il cuore di un suocero 249 Il vero significato del matrimonio 253 L’amore vero si trova nelle famiglie vere 257 Lasciare un’eredità d’amore 261 Capitolo 6 - È l’amore che porterà l’unificazione 267 La forza della religione volge la gente verso il bene 269 Il fiume non rifiuta le acque dei suoi affluenti 276 «Consenta la libertà di religione nell’Unione Sovietica» 280 L’unificazione della Corea porterà all’unificazione del mondo 287 Il mio incontro con il presidente Kim Il Sung 292 La terra può essere divisa, non la gente 298 Non con le armi, ma col vero amore 305 Capitolo 7 - Il futuro della Corea è il futuro del mondo 311 L’armonia globale inizia dalla penisola coreana 313 Dalla sofferenza e dalle lacrime alla pace e all’amore 319 La meta della religione del ventunesimo secolo 323 Progetti culturali per esprimere la creatività di Dio 328 Il signore dei mari e il futuro del mondo 334 La grande opportunità dell’era dell’oceano 337 Un semplice dente di leone è più prezioso dell’oro 342 La soluzione alla povertà e alla fame 347 Andare oltre la carità per mettere fine alla fame 352 Capitolo 8 - Una nuova visione per i giovani 357 Trovate il vostro scopo, cambiate la vostra vita 359 Abbracciate il mondo 363 Tutto ciò che abbiamo ci è dato a prestito dal cielo 368 La felicità è una vita spesa per gli altri 372 Sognare un mondo di pace 375 Indice 381

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Finito di stampare nel mese di dicembre 2011 da Prontostampa Srl Fara Gera d’Adda (BG)

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