INSEDIAMENTO E STRUTTURA nosciuta per l’età tardoromana, tanto in Italia quanto in Afri- TERRITORIALE NELLA VALLE DEL ca settentrionale, riferibile a parti frontali di complessi di VOLTURNO TRA VIII E XII SECOLO 1 grandi praetoria (SLIM 1995). La proposta di contestualiz- zazione che HODGES ha dato di questo edificio è che fosse di un centro di coordinamento di un insieme proprietario di proporzioni rilevanti (che potesse comprendere, ad esem- FEDERICO MARAZZI, ANTONIO SENNIS pio, l’estensione della fertile piana alluvionale di Rocchet- University of East Anglia - Norwich ta). Indagini del 1996, dirette sul campo da Oliver Gilkes e che verranno, a partire da quest’anno, condotte in coordi- namento con Daniele Manacorda ed Emanuele Papi, del- PREMESSA l’Università di Siena, hanno verificato, anche sulla riva de- stra del Volturno, la presenza di stratigrafie databili sino Il progetto di San Vincenzo al Volturno, sin dalle sue alla metà del IV secolo, in connessione a un ambiente pavi- prime battute agli inizi degli anni ‘80, è stato concepito al- mentato in terra battuta e delimitato da muri di fattura piut- l’interno di una visione integrata di approcci disciplinari. tosto rozza. Questo nuovo ritrovamento, pur nei limiti in L’evoluzione dell’indagine archeologica è andata di pari cui esso si inscrive, suggerisce una possibile estensione del passo con una rilettura di quelle scritte e la stessa indagine sito tardoromano superiore all’ettaro. Ciò adombra la pos- archeologica è consistita tanto nell’affrontare il sito dell’in- sibilità che la piana di Rocchetta, in età tardoromana ospi- sediamento monastico, quanto nel comprendere la sua inte- tasse una qualche forma di villaggio rurale, più che un razione con il territorio entro cui esso si è inserito, vale a praetorium isolato, anche se imperniato intorno ad un edi- dire, in primo luogo, l’alta valle del Volturno. Sulla base di ficio principale. Una eventualità di questo genere, se con- queste premesse, si è determinato un interesse tanto per le fermata, conferirebbe anche maggiore senso alla presenza fasi insediative precedenti alla fondazione del monastero, del complesso ecclesiastico individuato all’interno dell’area che per quelle contemporanee alla sua vita. del praetorium. Nei primi anni di attività della missione archeologica La natura dell’insediamento di San Vincenzo al Voltur- (1980-1986), le attività di indagine al di fuori del sito abba- no tra IV e VI secolo, impone di riconsiderare il problema ziale si sono concentrate principalmente nella una ricogni- dell’insediamento in età tardoromana all’interno di tutta l’al- zione globale di settori scelti del territorio dell’alta val Vol- ta valle del Volturno, connettendolo a quanto si conosce dello turno e nell’affrontare quella che, nel dibattito storiografi- sviluppo dei due centri maggiori negli immediati dintorni: co dell’epoca, appariva come un preminente nodo critico, e . La notizia secondo cui la sede episcopale vale a dire lo studio dell’origine dei villaggi di sommità di Isernia è in attività sin dal principio del V secolo, non (COCCIA c.s.; HODGES 1992; HODGES-FOSTER-MARAZZI 1995). trova però, secondo il Lanzoni (LANZONI 1927, 378-379) Gli studi di Chris Wickham (WICKHAM 1985, ripubblicato alcuna verifica. Tuttavia, gli scavi recentemente condotti in WICKHAM 1996; WICKHAM 1995) hanno posto in eviden- dalla Soprintendenza presso la cattedrale (TERZANI 1991, pp. za, ripercorrendo sulla base dei nuovi stimoli delle ricogni- 225-228 e Chiodi, comm. pers.) hanno posto in luce la pre- zioni di superficie e delle indagini di scavo i solchi tracciati senza di un sepolcreto cristiano tardoantico, così come un negli anni ‘50 dalle ricerche di Mario del Treppo, le dina- sepolcreto in attività almeno sino al IV secolo è stato iden- miche sociali e organizzative del processo di formazione tificato alla confluenza dei fiumi Sordo e Carpino, nell’im- della sequenza di villaggi di sommità che, a partire dalla mediato suburbio della città (TERZANI, cit.). Del resto la seconda metà del X secolo, sino a tutta la prima metà dell’XI, tabula Peutingeriana (CARROCCIA 1989) pone in grande evi- hanno caratterizzato sino ai giorni nostri (con poche, anche denza la rilevanza di Isernia come nodo stradale nel territo- se significative mutazioni) la distribuzione delle sedi uma- rio del Sannio pentro, preceduta, nell’itinerario provenien- ne nella alta valle del Volturno. te da Capua, dalla statio di Ad Rotas (presso l’odierna Il contributo che qui si presenta vuole essere allo stesso ), mentre non è menzionata Venafro, che ri- tempo una riconsiderazione del percorso sin qui compiuto spetto a questo itinerario rimaneva in posizione defilata. e un approfondimento delle tematiche che esso propone, e Tuttavia Venafro (LANZONI 1927, pp. 187-188) è certamen- uno sguardo d’insieme sulle nuove prospettive di ricerche te attestata come sede vescovile nel V secolo. Da un punto sul territorio che si sono aperte nel corso della seconda fase di vista archeologico, la realtà della Venafro tardoantica è del progetto di San Vincenzo, avviatasi a partire dal 1989. tuttora difficilmente decifrabile (CAPINI 1996). Gli unici ele- menti disponibili sono rappresentati dalla dedica di una sta- tua al governatore del Sannio, Autonius Iustinianus, e dagli L’ALTA VALLE DEL VOLTURNO FRA TARDA interventi sul teatro, compiuti dopo il sisma del 346. Inter- ANTICHITÀ ED ETÀ CAROLINGIA: venti che determinarono lo smontaggio della scaena del DIREZIONI DI RICERCA teatro e apparentemente aprirono il varco a surretizie occu- pazioni di ambienti dello stesso a scopo residenziale. Lo scavo presso il sito abbaziale altomedievale di San Il dato importante è che, a questi dati relativi a un pos- Vincenzo al Volturno, sulla riva sinistra del fiume omoni- sibile avvio di fenomeni di degrado di edifici di uso pubbli- mo, ha delineato l’esistenza di una rilevante fase insediati- co fa’ riscontro la continuità d’uso attestata, sempre in am- va tardoantica, le cui strutture tra l’altro costituiscono l’al- bito cittadino, di complessi residenziali, come quello di via veo entro cui si inserisce e cresce la comunità monastica Carmine (CAPINI 1996, p. 74), pur se in una cornice di mi- nel corso dell’VIII secolo. Il complesso tardoantico di San nore fasto e maggiore “rusticità’ delle caratteristiche for- Vincenzo al Volturno, dotato a partire dalla metà del V se- mali degli edifici. A ciò si affianca, per il territorio imme- colo circa, di un complesso cultuale cristiano composto da diatamente circostante Venafro, la scoperta di insediamenti due chiese appaiate, è tuttora di problematica definizione, rurali che mostrano una notevole vivacità e versatilità pro- sotto il profilo funzionale e planimetrico, data la sovrappo- duttiva (si veda il caso della villa rustica in agro di sizione delle radicali ricostruzioni dell’età carolingia scavata dalla Soprintendenza, in CAPINI 1996, p. 67). Del (HODGES 1993; HODGES-MARAZZI 1995). resto, situazioni di degrado di edifici e spazi pubblici sono Tuttavia, si è percepita la presenza di un nucleo a pre- piuttosto comuni in età tardoantica (POTTER 1995; pp. 63- sumibile funzione residenziale, sovrastante le due chiese, 102) e non necessariamente sono solo l’indice di una crisi costituito da un edificio articolato in almeno due livelli e tout-court della città, quanto piuttosto di una mutazione nelle movimentato sulla parte frontale da una struttura a loggia- esigenze di carattere socio-culturale che portano al privile- to. Questo edificio sembra ricalcare una tipologia non sco- gio di determinate sedi di aggregazione (es. chiese, circhi)

©2001 Edizioni all’Insegna del Giglio - vietata la riproduzione e qualsiasi utilizzo a scopo commerciale – 1 rispetto ad altre, più tipiche del periodo classico (fori, tea- Sant’Eleuterio in Fundiliano) lungo gli assi stradali di fon- tri, ecc.). In tale prospettiva l’individuazione recente di una dovalle. In due casi la costruzione di edifici di culto cristia- produzione ceramica propria della zona venafrana, databi- no in prossimità di strade è certamente attribuibile a inizia- le, in via preliminare, allo scorcio del V secolo e alla prima tive stimolate dalla abbazia di San Vincenzo al culmine della metà del VI (la cosiddetta Venafro ware, su cui vd. PEDUTO sua potenza. Si tratta in un caso della chiesa distrutta ai pie- c.s.) costituisce un elemento per credere a una perdurante di del monte Falconara, presso , allo snodo vitalità del territorio, anche se certamente la situazione di tra la via verso le sorgenti del Volturno e quella verso Atina, diffusa ricchezza del periodo protoimperiale doveva essere la segnalazione, ad opera di D. Lucio Ragozzino2, di un’epi- in qualche misura venuta meno, nel quadro del globale re- grafe che datava la costruzione dell’edificio alla fine gresso dell’Italia dalle posizioni di predominio economico dell’VIII secolo; nell’altro caso della cappella a triconco dell’età dell’espansione (VERA 1995). datata al IX secolo per ragioni stilistiche (HODGES-GIBSON- La realtà è che comunque si conosce ancora troppo poco HANASZ 1992), tuttora esistente in elevato presso le rovine nel dettaglio la fase tardoantica in questa parte del del ponte romano sul Volturno (ponte Latrone), che marca- per poter esprimere valutazioni generali che possano fre- va probabilmente il punto d’ingresso, per chi venisse da giarsi del crisma dell’attendibilità. Ed è per questo che è Capua, nel grande e compatto blocco proprietario al centro necessario che la nuova fase della proiezione territoriale del quale si trovava San Vincenzo. A questi due può essere del progetto di San Vincenzo al Volturno tenga conto del- aggiunto, in via ancora ipotetica (scavi sono previsti per il l’esigenza di approfondire le indagini relative alle strutture 1997) presso il sito di San Vito, a metà strada circa tra Colli insediative nella fase tardoantica. Ciò anche nella prospet- a Volturno e l’abbazia di San Vincenzo, dove negli anni tiva, che era del resto stata già intravista nel passato (HOD- passati sono stati recuperati capitelli a stampella di IX se- GES 1992), di una migliore comprensione di quanto succede colo (comunicazione D. Lucio Ragozzino). Tuttavia, non si nell’alto medioevo, dopo che questo territorio entra a fare può escludere, che parte di questa geografia ecclesiastica parte, progressivamente nel corso dei decenni finali del VI abbia radici più remote, nella tarda antichità. secolo (STAFFA 1995) Il sito di Colle Sant’Angelo, presso Colli a Volturno e Un sito è recentemente preso in considerazione a que- quello di Baccaricia (Vacchereccia), presso Rocchetta a sto proposito in agro di Montaquila, ai limiti verso monte Volturno, hanno riproposto un problema che si era inizial- della fascia di fondovalle ampio e fertile che culmina nella mente presentato in sede di ricognizione: vale a dire la pos- piana alluvionale di Venafro. Si tratta del sito di Santa Ma- sibilità che già in età carolingia si stessero già formando ria degli Angeli – Castelvecchio, già individuato nel corso nuclei insediativi che, rompendo con la maglia dell’età ro- delle ricognizioni condotte nel 1980-81. La ricchezza del mana, si sviluppassero su posizioni di sommità o di versan- giacimento archeologico del sito lo segnala, per l’età al- te montuoso. Il sito di Colle Sant’Angelo, che certamente toimperiale, come possibile centro di una ricca proprietà conobbe una intensa fase di occupazione nel corso del IX agraria legata ad una famiglia, quella dei Maii, attestata in secolo, con la costruzione di una cappellina presumibilmente Atina e Isernia (PATTERSON 1986; PATTERSON c.s.). Una nuo- dedicata al culto di San Michele, potrebbe essere una rioc- va ricognizione di superficie effettuata da chi scrive con cupazione di età longobarda di un luogo, dominante su tut- Fulvia Crema nell’estate del 1996, su incarico della Soprin- ta l’alta valle del Volturno, già acro in periodo sannita. tendenza Archeologica, ha consentito di effettuare una ag- Vacchereccia, invece (HODGES et al. 1984; revisione in HO- giornata valutazione del giacimento archeologico, che pre- DGES 1992), prima di configurarsi come sito accentrato e senta un orizzonte di grande rilevanza anche per la fase tar- fortificato sulla sommità di una collina (a partire dal X se- doantica. La presenza di una piccola chiesa sul sito, ancora colo), ha conosciuto una fase di occupazione altomedieva- visibile in elevato negli anni ‘30, come da note redatte dal le – di cui si individuato un pozzo e un focolare e peraltro Maiuri (PATTERSON 1986; l’esistenza dell’edificio è stata caratterizzata da estrema povertà di reperti – localizzata sul nuovamente riscontrata mediante una pulitura dei crolli in versante di questa stessa collina, che si configura comun- superficie condotta sempre nell’estate del 1996) propone que come la scelta di un sito alternativo alla piccola fattoria un interessantissimo caso di possibile raffronto con la si- tardoromana individuata ai piedi della collina stessa. E’ dif- tuazione rilevata a San Vincenzo al Volturno, sia per quanto ficile cogliere le ragioni di questo spostamento. Tuttavia, concerne il momento dell’innesto della presenza cristiana sia Colle Sant’Angelo che Vacchereccia certamente rivela- che dal fatto che essa può costituire un elemento-guida per no uno sconcertante contrasto, per ciò che concerne la cul- comprendere l’evoluzione del sito nel passaggio all’età lon- tura materiale da essi restituita, con il sito dell’abbazia, sul- gobarda, similmente a quanto avvenuto in casi, sempre di la cui eccezionalità in termini di varietà e qualità delle clas- ambito molisano, come quello di Santa Maria di Canneto, si di reperti rinvenute non è qui il caso di soffermarsi (San studiato da Angela Di Niro, e di Santa Maria di Casalpiano Vincenzo al Volturno. The finds, c.s.). a Morrone del Sannio, studiato da Gianfranco De Benedittis Dunque, restano ancora molte questioni aperte. Una più (sebbene per quest’ultimo l’innesto della chiesa sul sito di certa attribuzione cronologica per gli edifici di culto può una villa romana sia fenomeno più tardivo e non in conti- costituire, a sua volta, una chiave importante, come si dice- nuità con la fase tardoantica). La possibilità di una breve va, per chiarire l’evoluzione della rete insediativa nel pas- indagine di scavo, programmata per l’estate del 1997, potrà saggio tra antichità e medioevo, ma anche per meglio com- dare risposta a questi interrogativi. prendere i riflessi sul territorio in immediata prossimità della La possibilità di una continuità di vita sullo stesso sito spettacolare crescita del monastero in età carolingia, e sul- tra tarda antichità e alto medioevo, plausibile per Santa Maria l’uso di questo territorio nel medesimo periodo, quando, degli Angeli riapre una serie di questioni inerenti l’evolu- stando alle indicazioni del Chronicon apparentemente esso zione dell’insediamento nell’alta val Volturno in questo stes- non riveste una posizione di preminenza nella costruzione so periodo. La continuità di Santa Maria degli Angeli può delle fortune economiche di San Vincenzo al suo zenit, ri- collegarsi alla collocazione topografica di questo sito nei spetto ad altri blocchi proprietari (in Abruzzo, in Campa- pressi della congiunzione tra la strada di fondovalle che nia, in Puglia – vedi WICKHAM 1995 e MARAZZI 1996). collegava Venafro alle sorgenti del Volturno e un itinerario Il quadro ancora difficilmente comprensibile, per molti trasversale che, guardando il fiume, congiungeva questa stra- versi, dell’orizzonte archeologico compreso tra V e IX se- da con la via per Isernia, dipartendosi da quest’ultima al- colo contrasta con l’eccezionalmente ricca mese di dati of- l’altezza di Ad Rotas. Altre chiese sono note attraverso il ferta dalle ricognizioni di superficie e dalle indagini di sca- Chronicon Vulturnense come già esistenti nel IX secolo. Le vo, relative al periodo compreso tra X e XI secolo, quando ricognizioni dei primi anni ’80 (HODGES 1992) hanno con- la valle del Volturno è oggetto di una sistematica azione di sentito di localizzare alcune di esse (es. San Pietro ad Itrias, intervento da parte dell’Abbazia, finalizzata alla fondazio-

©2001 Edizioni all’Insegna del Giglio - vietata la riproduzione e qualsiasi utilizzo a scopo commerciale – 2 ne di nuclei insediativi di sommità, accentrati e fortificati. I dalla prima metà del secolo VIII costituì la base del potere casi delle fasi relative a questo periodo identificate in monastico, si accompagnò così la concessione di diritti e Vacchereccia e in Colle Castellano (presso Montaquila) pro- immunità che funsero da elemento distintivo di quel pote- pongono la sequenza di un’ascesa verso strutture edilizie in re. Essi legittimavano del resto, in maniera inequivocabile, pietra sempre più complesse, per quanto concerne l’edili- le relazioni del monastero con l’autorità pubblica, privile- zia sia civile che militare, fenomeno noto da indagini su siti giate rispetto a quelle che potevano vantare altre forze in analoghi nel Lazio e in Toscana. Ciò che più colpisce è tut- gioco (SENNIS 1996). Molti dei primi diplomi emanati da tavia il profondo cambiamento nella disponibilità di beni di autorità pubbliche in favore di San Vincenzo sono stati giu- consumo – la ceramica in particolare – che sembra confi- dicati falsi o, tutt’al più, frutto di rimaneggiamenti poste- gurare un vero e proprio balzo in avanti nelle condizioni di riori. È pertanto problematico definire con chiarezza la qua- vita delle popolazioni residenti. Queste risultanze dell’in- lità dei legami che attraverso queste donazioni si instaurava dagine archeologica, oltre ad aver stimolato in primo luogo tra il monastero e i suoi patroni. Si può tuttavia notare come una rilettura dei libelli del Chronicon Vulturnense relativi i beni acquisiti in territorio beneventano, frutto della muni- alla fondazione di tali insediamenti incentrata sul problema ficenza dei duchi, non dovettero essere accompagnati dal- della articolazione sociale delle popolazioni che li abitava- l’acquisizione di particolari prerogative giuridiche o fiscali no (WICKHAM 1996), ha obbligato a riconsiderare quali fos- (SENNIS 1996). Di qualità formale non molto diversa appa- sero le implicazioni politiche sottese al rilancio delle terre iono del resto i legami con il publicum se si volge l’atten- prossime all’abbazia. Su questo sfondo si staglia poi la pro- zione al territorio spoletino. A prescindere dalla genuinità o blematica della vicenda stessa della comunità monastica che, meno della documentazione, infatti, anche i diplomi di re nonostante il ritorno a San Vincenzo del 916 dopo il tren- longobardi e del duca di Spoleto Ildebrando non contengo- tennale “esilio” capuano seguito al sacco dell’881, sembra no significative allusioni a deleghe di potestà pubbliche; abbia per lungo tempo (almeno sino alla metà dell’XI seco- anche la subiectio dovuta al monastero da parte degli lo) continuato a mantenere un forte radicamento nella città homines della valle Trita, in territorio abruzzese, si riferisce campana. Fatto, questo, che sottende un ancor più diretto agli obblighi legati alla coltivazione della terra (CV 13, pp. coinvolgimento degli abati vulturnensi nel confronto tra i 156-158). Tuttavia occorre dire che anche il conferimento poteri territoriali presenti nella Langobardia Minor. È su della semplice possessio poteva creare una relazione ambi- questi temi che si sofferma SENNIS nella seconda parte del gua tra il monastero e l’autorità pubblica, soprattutto per il presente contributo. fatto che i beni concessi, in particolar modo quelli di matri- F.M. ce fiscale, venivano garantiti dalle impugnazioni di agenti statali. Infatti una nota disposizione di Liutprando (Liut. 78) prevedeva che chi avesse goduto di un bene pubblico SAN VINCENZO AL VOLTURNO E I POTERI per 60 anni avrebbe potuto tenerlo e possederlo in futuro TERRITORIALI FRA ETÀ CAROLINGIA ED ETÀ come proprio, a patto che l’usufrutto sessantennale fosse NORMANNA (SECOLI IX-XII) avvenuto in regime di quieta possessio, cioè in assenza di contestazioni. Si vedrà in seguito che proprio su questa sot- La particolare collocazione geografica del monastero tile ambiguità dovettero far leva in qualche caso gli abati vulturnense e le ragioni indubbiamente politiche che sug- quando intrapresero l’opera di restaurazione del patrimo- gerirono la sua fondazione sono già state oggetto di analisi, nio vulturnense. sia in passato sia nell’ambito del recente volume San Vin- Se i contatti con la società longobarda consentirono al cenzo al Volturno. Cultura, istituzioni, economia. Di San monastero di acquisire prestigio e guadagnarsi favori e do- Vincenzo è stato così messo in evidenza, a seconda dei casi, nazioni, fu l’entrata in scena dei Franchi a determinare un il ruolo di avamposto (romano-spoletino prima, carolingio decisivo ampliamento degli spazi di manovra del monaste- poi) in territorio meridionale o, viceversa, quello di simbo- ro, soprattutto in conseguenza della concessione dell’im- lo di un’identità longobarda che sostenesse le mire espan- munità da parte di Carlo Magno. Egli infatti nel 787 vietò sionistiche beneventane compensando, nello stesso tempo, agli ufficiali pubblici di entrare nelle proprietà vulturnensi la pressione politico-culturale proveniente da nord. È op- per tenervi placiti, per esigervi multe o dazi, per prendervi portuno sottolineare che il problema della connotazione fideiussori ed esercitare atti di giurisdizione sugli homines originaria del monastero fu percepito come centrale dalla del monastero (CV 27, Vol. I pp. 212-215). La documenta- tradizione stessa di San Vincenzo al Volturno, confluita a zione non consente di definire con precisione portata e li- vari livelli nella sua cronaca. Il carattere indubbiamente miti di questa immunità abbaziale. Si sa che essa non signi- beneventano, e aristocratico, della fondazione del mona- ficò, automaticamente, una rinuncia da parte dello stato a stero, fu infatti bilanciato dal cronista con una serie di allu- esercitare poteri costitutivi dell’autorità pubblica. La sioni a rapporti privilegiati con le autorità franche. In più defensio consentiva infatti al potere centrale di ingerirsi occasioni il Chronicon Vulturnense pone infatti l’accento fortemente nelle questioni dell’abbazia, e ciò anche grazie sull’attitudine del monastero a stabilire legami solidi con i al ruolo che doveva svolgere, almeno nelle intenzioni dei diversi detentori del potere pubblico, e sulla sua capacità di sovrani, l’advocatus, la cui presenza e coinvolgimento nei tessere una rete di rapporti che trascendesse ogni frontiera negozi giuridici era un obbligo (e non un privilegio) per politica (SENNIS 1996). l’ente. Tale ufficiale, che in origine veniva nominato dal La contraddittoria connotazione etnico-culturale di San conte, costituiva infatti un raccordo fondamentale tra le Vincenzo veniva quindi utilizzata dai monaci che redassero comunità locali e il monastero, e tra queste e l’autorità pub- il Chronicon per affermare la grandezza per così dire so- blica. In virtù dell’immunità franca l’advocatus del mona- vranazionale dell’ideale monastico vulturnense, onorato e stero portava davanti al giudice pubblico i dipendenti, per favorito da autorità diverse. E ciò avveniva proprio quando la risoluzione delle controversie e la punizione degli even- l’inserimento della comunità in un contesto politico-socia- tuali reati, esercitava entro l’ambito del territorio immune le così diverso rispetto al passato, quale quello normanno, poteri di polizia, catturava i rei, eseguiva sentenze, seque- creava in loro giustificate apprensioni riguardo alle possi- stri e altri atti giudiziari. Egli inoltre rappresentava il mona- bilità di convivenza con un apparato statale che mostrava stero e i dipendenti davanti al giudice pubblico (KROELL un atteggiamento assai meno favorevole (SENNIS 1996). 1910). È probabile in ogni caso che il monastero fosse Alla formazione del patrimonio fondiario vulturnense dotato sin da tempi piuttosto precoci della facoltà intrapren- contribuirono, in misura diversa ma egualmente significa- dere azioni repressive nei confronti di suoi contadini. Ciò tiva, la munificenza privata e quella pubblica (WICKHAM doveva però avvenire solo nel caso che il reo fosse di con- 1995; MARAZZI 1996). Al flusso di donazioni che a partire dizione servile, come attesta un esempio dell’854, nel qua-

©2001 Edizioni all’Insegna del Giglio - vietata la riproduzione e qualsiasi utilizzo a scopo commerciale – 3 le la facoltà di agire coercitivamente da parte del preposito bitat rurale, grazie anche alla fondazione di siti nuovi, che della cella vulturnense di Trita, in territorio abruzzese, ri- preludevano al dissodamento e alla riorganizzazione socio- sulta discriminante per la definizione dello status giuridico economica di vaste aree del territorio (DEL TREPPO 1956). di alcuni homines (CV I, p. 339). Essi furono d’altra parte sempre percepiti come luoghi di In sostanza, la concessione dell’immunità non rappre- qualità pubblica; la dialettica tra poteri in ambito rurale fu sentò automaticamente una consapevole e razionale delega così molto condizionata dall’incastellamento e dalla capa- di attività pubbliche da parte del regno. Essa determinava cità del castrum – in quanto centro nello stesso tempo di piuttosto un collegamento – mutevole e gestibile in manie- protezione e di esercizio di un potere – di caratterizzare la ra diversa a seconda delle circostanze da coloro che ne era- transizione fra ordinamento pubblico e sviluppo signorile. no coinvolti – tra l’autorità regia e la potenza patrimoniale Il monastero vulturnense in sostanza, almeno nei terri- delle grandi abbazie (TABACCO 1993). tori più vicini all’antica sede, si allineò alle altre forze loca- L’esilio capuano della comunità vulturnense durò più li nel tentativo di sviluppare poteri di dominatus loci. È pro- dei trentatré anni che la tradizione monastica, espressa dal- babile che questa strategia trovasse fondamento, e parziale l’autore del Chronicon, ci ha tramandato. È vero infatti che giustificazione, in quei diritti di immunità che i sovrani del San Vincenzo risulta di nuovo sito alle sorgenti del Voltur- secolo precedente avevano concesso al monastero, ma il no in un documento del 916 (CV 86, Vol. I pp. 37-39), ma contesto in cui ciò avveniva era del tutto nuovo. A ben guar- per lungo tempo gli abati continuarono a risiedere nella sede dare, infatti, se gli abati vulturnensi continuavano da un lato cittadina, e i primi restauri dell’abbazia non sono anteriori a ricercare collegamenti di alto livello formale con il potere alla fine del secolo. Tuttavia con la prima metà del secolo pubblico, dall’altro essi, fin dai decenni immediatamente ebbe inizio l’opera di riacquisizione delle terre monastiche. successivi all’attacco saraceno, operarono in modo da sot- Lo scenario politico-sociale che i monaci si trovarono ad trarre cospicue porzioni di territorio al controllo dello stato. affrontare era, però, notevolmente cambiato rispetto al se- Mentre acquisivano prerogative sempre più ampie in mate- colo precedente, e la crisi dell’autorità pubblica tendeva a ria giurisdizionale e fiscale, gli abati si impegnarono nella risolversi nella formazione del sistema signorile. È quindi definizione di rapporti sociali che li qualificassero come necessario tentare di capire che ruolo abbiano avuto i mo- domini in grado di amministrare un territorio. E per rag- nasteri – San Vincenzo al Volturno in questo caso – nella giungere questo scopo essi fecero leva, in molti casi, pro- dialettica tra un potere centrale che tentava ancora di affer- prio sull’ambigua connotazione giuridica del loro patrimo- mare la propria autorità, e delle aristocrazie locali che sem- nio. Le aree in cui la tradizione del possesso era più conso- pre più vedevano in quell’autorità un semplice elemento di lidata furono riorganizzate, accuratamente e con prospetti- raccordo tra forze emergenti, le loro, di origine e natura ve del tutto nuove. Le risorse che nei due secoli precedenti tanto diverse. Tradizionalmente il monastero vulturnense è avevano consentito prosperità economica e radicamento stato considerato come punto d’appoggio per l’autorità pub- fondiario rappresentavano, del resto, un sostegno formida- blica in contrasto con le nascenti autonomie locali. A soste- bile per avviare quel processo di ricomposizione territoria- nere tale ipotesi vi sono, come è noto, i celebri privilegi che le indispensabile allo sviluppo di forme di egemonia loca- nel 967 Pandolfo Capodiferro indirizzò alle due maggiori le. Va rilevato che talvolta l’instaurarsi di rapporti forma- abbazie meridionali, San Vincenzo al Volturno e lizzati tra il monastero e i suoi dipendenti, a prescindere Montecassino, conferendo loro il diritto di fondare castelli ormai dallo status giuridico di questi ultimi, precedeva il sulle terre di proprietà. In quest’atto è stato visto l’estremo riconoscimento degli stessi da parte dell’autorità pubblica. tentativo da parte del potere centrale di coinvolgere gli enti È questo il caso ad esempio del diploma ottoniano che con- monastici nel gioco politico, bilanciando così la forza di- feriva all’abate il diritto di giudicare da sé gli homines del sgregante delle aristocrazie locali. Le considerazioni fatte a monastero (a. 962). La concessione prendeva atto di una proposito del privilegio di Pandolfo Capodiferro hanno tut- situazione già esistente, come dimostra la clausola posta a tavia, a quanto sembra, trascurato di dare adeguato rilievo a un livello del 950, che disponeva che la risoluzione delle un particolare che ebbe invece un’importanza decisiva nel- dispute dovesse avere luogo all’interno della comunità (CV lo sviluppo della signoria di San Vincenzo. L’attenzione si 95, Vol. II, pp. 71-73). Inoltre i contadini riconoscevano è infatti concentrata solo su parte della disposizione conte- ormai il diritto del monastero di catturare e procedere a nuta nel privilegio, quella appunto che attribuiva all’abate pignoramenti (CV 92, Vol. II, pp. 61-63). Nelle aree che la facoltà di erigere fortificazioni. In realtà, però, non era risultavano più promettenti dal punto di vista dello svilup- per ottenere questo che l’abate Paolo – destinatario del do- po di un dominato territoriale è da rilevare il fatto che gli cumento – si era rivolto all’autorità. La sua petitio – espli- abati, lungi dal fungere da puntelli all’evanescente autorità citata per il tramite del vescovo di Isernia Arderico – mira- pubblica, si inserivano in una rete di rapporti dai chiari con- va infatti a vedere sancita la rinuncia da parte del potere notati signorili, volgendola a proprio vantaggio. La presen- pubblico a ogni pretesa sulle fortezze costruite per iniziati- za, nel novero dei livellari del monastero, di esponenti di va degli abati (CV 124, Vol. II, pp. 162-164). Egli infatti un’aristocrazia locale certamente non di origine chiese, e ottenne, che torri e castelli ricadessero sempre, in funzionariale – i filii Anserii ad esempio – o di rappresen- futuro, sotto l’autorità e il dominio esclusivi del monastero tanti di gruppi consortili, provvisti a loro volta di persone vulturnense. Il conferimento del diritto alla costruzione fu commendate, testimonia poi che la qualità degli interlocu- un’iniziativa del principe che intendeva così, ovviamente, tori era ricercata dal monastero anche tra personaggi di estra- collegare a sé quel nucleo di potere, senza che venisse in- zione non bassa. In questo caso il rapporto che si instaurava taccata l’idea della propria suprema autorità. È giusto natu- era di coordinamento più che di sfruttamento, e prevedeva ralmente soffermarsi sul fatto che la maggior parte delle una più ampia libertà di gestione dei beni da parte del con- nuove fondazioni castrali vulturnensi siano posteriori al 967 cessionario (SENNIS 1996). (FIGLIUOLO 1995; WICKHAM 1996). Ciò significa che i rap- In questa progressiva messa a punto di strategie di con- porti politici con i detentori del potere centrale erano perce- trollo territoriale è possibile isolare due momenti dai quali piti come di vitale importanza, da parte vulturnense, per la “coscienza signorile” del monastero appare, nel corso l’esercizio di diritti che consentissero alla signoria mona- della seconda metà del X secolo, notevolmente maturata. stica di funzionare. Gli abati però, è bene ribadirlo, dove- Si tratta di due controversie che opposero San Vincenzo a vano considerare quei diritti talmente acquisiti da non pre- esponenti dell’aristocrazia locale: il conte di Venafro in un occuparsi nemmeno di farne richiesta. caso, quello di Isernia nell’altro In entrambe le circostanze È quasi superfluo ricordare l’importanza che in questo il monastero vide riconosciuti i propri diritti sui beni conte- contesto va attribuita alle fondazioni castrali. I castra erano si. Ciò che però importa notare è il fatto che i due conti infatti fondamentali nel processo di trasformazione dell’ha- pretendessero di essere nel giusto in quanto i beni ricadeva-

©2001 Edizioni all’Insegna del Giglio - vietata la riproduzione e qualsiasi utilizzo a scopo commerciale – 4 Tav. 1 no nel distretto di loro competenza, su cui esercitavano proprie ragioni, ma è significativo che anche in questo caso un’autorità pro parte palacii. Al conte di Venafro il mona- il conte ritenesse i suoi diritti del tutto giustificati dall’ap- stero non contestò questo, ma sostenne che il possesso tren- partenenza fisica di quei beni al comitatus. Da notare poi tennale da parte sua svincolava automaticamente quelle ter- che Landolfo, che ricordiamo destinatario di quella con- re dalla giurisdizione pubblica (CV 93, vol. II pp. 64-68). Il cessione principesca dall’apparenza, e dal tenore, marcata- caso di Landolfo conte di Isernia (CV 151, Vol. II pp. 271- mente privatistica, sosteneva di esercitare un pubblico uffi- 275) costituisce invece uno splendido esempio di interfe- cio, su incarico del palazzo principesco, e che pertanto quelle renza tra due poteri – quello comitale e quello del monaste- terre gli pertinevano in quanto pubbliche. È evidente che il ro – di origine e legittimità diverse ma animati da aspirazio- richiamo del conte al proprio ruolo di rappresentante del- ni di supremazia territoriale ugualmente forti. Il comitatus l’autorità pubblica avveniva in un contesto che già si pre- di Isernia era stato conferito a Landolfo da Pandolfo sentava come marcatamente signorile, e nel quale il deten- Capodiferro nel maggio del 954, su intercessione del ve- tore di un ufficio cominciava a qualificarsi come detentore scovo della medesima città Arderico, lo stesso che tre anni di una potenza dinastica autonoma (TABACCO 1993). I dirit- dopo sarebbe intervenuto nel già menzionato diploma in ti del monastero furono invece rivendicati dall’abate sulla favore di San Vincenzo al Volturno. Il formulario utilizzato base di diplomi imperiali, principeschi e ducali, segno quindi dal diploma ricorda quello di una donazione di beni, com- che proprio sull’ambiguità di quelle concessioni San Vin- presi gli accenni a diritti perpetui e alla piena proprietà ere- cenzo contava per vedere riconosciuta la non pertinenza al ditaria (MARTIN 1980). Ai confini del principato si era quin- publicum di quel territorio. di creata una rete di interessi locali la cui convergenza do- La perdita di quasi tutta la documentazione rende del veva avere avuto come risultato l’avvicinamento reciproco tutto oscure le vicende del monastero a partire dai primi delle tre maggiori forze in campo nella regione: il monaste- decenni dell’XI secolo. Come è noto il Chronicon ro, il conte, il vescovo. Agli abati interessava però sottrarre Vulturnense risulta infatti frammentario già in corrispon- all’ordinamento pubblico la porzione di territorio circostante denza dell’abbaziato di Ilario (1011-1045), restituendo una il monastero, che sin dai tempi di Ludovico II costituiva il ventina di atti per il periodo 994-1045, e solo tre per gli complesso più importante tra quelli pertinenti all’abbazia, anni 1064-1070. Ci sfuggono, così, continuità e mutamenti vasto ma soprattutto coerente: il vero “nucleo storico” del nel flusso delle donazioni, oltre ai rapporti che intercorsero potere vulturnense (CV 70 Vol. I pp. 325-328). Per fare ciò tra l’abbazia e i suoi (eventuali) benefattori. Allo stesso modo essi si premurarono anzitutto di farsi confermare da Pan- non è possibile definire, con chiarezza, quali siano stati gli dolfo Capodiferro il precetto ludoviciano, e poi, alla morte esiti istituzionali dello sviluppo signorile di cui San Vin- del principe, chiamarono in giudizio il conte di Isernia ac- cenzo al Volturno era stato protagonista nella fase prece- cusandolo di usurpazione. Il monastero vide riconosciute le dente. L’esistenza di un territorium del monastero, con ogni

©2001 Edizioni all’Insegna del Giglio - vietata la riproduzione e qualsiasi utilizzo a scopo commerciale – 5 probabilità dotato di un proprio iudex, è attestata nei primi DEL TREPPO M. 1956, La vita economica e sociale in una grande decenni dell’XI secolo. È tuttavia dubbio che a ciò abbia abbazia del mezzogiorno: San Vincenzo al Volturno nell’alto fatto seguito la definizione di un distretto che, anche dal medioevo, «Arch. Storico Prov. Napoletane», 75, pp. 31-110. punto di vista terminologico, inquadrasse e legittimasse con FIGLIUOLO B. 1995, La struttura patrimoniale dell’abbazia nei secoli VIII-XI, in San Vincenzo al Volturno, dal Chronicon alla storia, chiarezza il potere monastico sul territorio circostante. La a cura di G. De Benedittis, Campobasso-Isernia, pp. 97-122. menzione di un actus sancti Vincentii, presente nella data- HODGES R. 1992, Villaggi altomedievali nell’alta Val Volturno, zione topica di un atto rogato nel castello di Samnia (loca- «Almanacco del Molise», 24/2, pp. 71-96. lizzabile nelle immediate vicinanze degli edifici monasti- HODGES R. (a cura di) 1993, San Vincenzo al Volturno 1. The 1980- ci), è del resto piuttosto sospetta. È assai più plausibile, in- 1986 excavations, I, London, Archaeological Monographs of fatti, che tale espressione vada attribuita a un lapsus calami the British School at Rome, 7. del copista, occorso nel riportare la datazione topica (actum) HODGES R. et al. 1984, Excavations at Vacchereccia (Rocchetta del documento (CV 202, Vol. III pp. 82-84). Nuova): a later roman and early mediaeval settlement in the Le sontuose ricostruzioni che interessarono il monaste- Volturno Valley, Molise, «Papers British School Rome», 52, pp. ro nel corso dell’XI secolo – e che culminarono nel 1115 148-94. con la consacrazione della nuova chiesa abbaziale a opera HODGES R., FOSTER P., MARAZZI F. 1995, La seconda fase del progetto di papa Pasquale II – sono l’indubbio segnale che San Vin- di scavo all’abazia di San Vincenzo al Volturno e nella sua “ter- cenzo al Volturno gestiva un patrimonio che garantiva an- ra”, «Quaderni di Archeologia Medievale», 1, pp. 63-84. HODGES R., GIBSON S., HANASZ A. 1992, Campo La Fontana: a cora un notevole afflusso di ricchezze. È verosimile, pur se late eighth-century triconch and the Ponte Latrone at the non documentato, che i tentativi degli abati proseguissero entrance to the territory of San Vincenzo al Volturno, «Pa- nella costruzione di dominatus loci nelle aree di presenza pers British School Rome», 58, pp. 273-297. patrimoniale più solida e coerente. Queste, però, si HODGES R., MARAZZI F. 1995, San Vincenzo al Volturno. Sintesi di restingevano sempre più, decurtate dall’aggressiva intra- storia e archeologia, Roma. prendenza dei potenti locali e dei nuovi dominatori nor- KROELL M. 1910, L’immunité franque, Paris. manni, che con l’andar del tempo avrebbero sottratto al LANZONI 1927, Le diocesi d’Italia dalle origini al principio del monastero gran parte della sua terra. secolo VII, Città del Vaticano. Gli abati vulturnensi furono quindi costretti a cercare LOUD G.A. 1996, Continuity and change in Norman : the forme di convivenza con elementi di potere diversi: fami- ampania during the eleventh and twelwfth centuries, «Jour- glie che avevano ormai rivalutato le proprie originarie pre- nal of Mediaeval History», 22/4, pp. 313-344. rogative funzionariali secondo un’ottica chiaramente signo- MARAZZI F. 1996, San Vincenzo al Volturno fra VIII e IX secolo: il rile, nuove forze militari che disegnavano per sé ulteriori percorso della grande crescita, in San Vincenzo al Volturno. Cultura, istituzioni, economia, a cura di F. Marazzi, ambiti di egemonia. Non sappiamo nulla del modo in cui il Montecassino, Miscellanea Vulturnense, 3, pp. 41-92. monastero gestiva ora la base socio-economica del proprio MARTIN J.M. 1980, Élements préféodaux dans les principautés de potere, ormai limitata a un ristretto numero di villaggi posti Bénévent et de Capoue (fin du VIIIe siècle-début du XIe siè- nei pressi dell’abbazia. Quel che è certo è che la nascita cle: modalités de privatisation du pouvoir, in Structures féo- della monarchia degli Altavilla, alla metà del XII secolo dales et féodalisme dans l’Occident Méditerranéen (Xe-XIII (vedi, per l’impatto sul territorio campano settentrionale, siècle). Bilan et perspectives de recherche, Paris-Rome, pp. LOUD 1996), avrebbe inferto un altro durissimo colpo alle 553-586, Collection de l’École Française de Rome, 44. aspirazioni di dominio territoriale degli abati di San Vin- PATTERSON J.R. 1986, Due epigrafi dell’alta valle del Volturno, cenzo al Volturno, con la conseguente perdita di gran parte «Conoscenze», 3, pp. 63-65. di quelle immunità giuridiche che i loro predecessori erano PATTERSON J.R. c.s., The Uppero Volturno valley in Roman times, stati in grado di acquisire in passato. in San Vincenzo al Volturno 4, a cura di R. Hodges. Lo iato nella disponibilità di fonti scritte concernenti la PEDUTO P. c.s., Salerno, in Colloquio in onore di J. Hayes, a cura Val Volturno, che sembra determinarsi successivamente al di L. Saguì e E. Fentress, American Academy at Rome. terzo decennio del XII secolo e per tutta l’età normanna e POTTER T.W. 1995, Towns in late antiquity: Iol Caesarea and its context, Oxford. sveva, obbliga a pensare a un rinnovato sforzo di indagine San Vincenzo al Volturno, c.s. = San Vincenzo al Volturno. The sul campo che consenta di valutare con maggiore precisio- finds from the 1980-1986 excavations, a cura di J. Mitchell e ne le ripercussioni della disgregazione del controllo centra- I.L. Hansen, Spoleto. lizzato di questo territorio. SENNIS A. 1996, I caratteri della signoria vulturnense: un proble- A.S. ma da (ri)aprire, in San Vincenzo al Volturno. Cultura, isti- tuzioni, economia, a cura di F. Marazzi, Montecassino, Mi- NOTE scellanea Vulturnense, 3, pp. 93-102. SLIM H. 1995, L’architettura, in I mosaici romani di Tunisia, a cura di M.H. Fantar, Milano, pp. 126-155. 1 Il presente contributo, concepito e discusso unitariamente fra i due autori, è stato individualmente redatto da ciascuno di STAFFA A.R. 1995, Una terra di frontiera: Abruzzo e Molise tra VI essi nelle sue parti, secondo quanto indicato in apertura dei sin- e VII secolo, in Atti del V seminario sull’insediamento tardo- goli paragrafi (FM = Federico MARAZZI; AS = Antonio SENNIS). antico e altomedievale in Italia centromeridionale, a cura di 2 Vorremmo cogliere l’occasione di questo contributo per ri- G.P. Brogiolo, Mantova, pp. 187-238. cordare ancora una volta la cara memoria di Don Lucio Ragozzino, TABACCO G. 1993, Il volto ecclesiastico del potere nell’età caro- grande conoscitore dell’archeologia e delle tradizioni della alta lingia, in G. Tabacco, Sperimentazioni del potere nell’Alto valle del Volturno, amico e sostenitore da sempre della missione Medioevo, Torino, pp. 165-208. archeologica di San Vincenzo, tragicamente e prematuramente TERZANI C. 1991, Aesernia, in Samnium. Archeologia del Molise, scomparso nel dicembre 1995. Roma, pp. 225-228. VERA D. 1995, Dalla villa perfecta alla villa di Palladio: sulle trasformazioni del sistema agrario italiano fra principato e BIBLIOGRAFIA dominato, 1a parte, «Athenæum», 83/1, pp. 189-211; 2a par- te, «Athenæum», 83/2, pp. 331-356. CAPINI S. 1996, Da insediamento sannitico a colonia di Augusto, WICKHAM C.J. 1995, Monastic lands and monastic patrons, in San in S. CAPINI, D. CATALANO, G. MORRA, Venafro, Isernia. Vincenzo al Volturno 2, pp. 138-152. COCCIA S. c.s., Excavations at Colle Castellano, in San Vincenzo WICKHAM C.J. 1996, Il problema dell’incastellamento nell’Italia al Volturno 4. centrale. L’esempio di San Vincenzo al Volturno, Firenze 1985 CARROCCIA M. 1989, Strade ed insediamenti nel Sannio in epoca (ried. in San Vincenzo al Volturno. Cultura, istituzioni, eco- romana nel V segmento della Tabula Peutingeriana, Campo- nomia, a cura di F. Marazzi, Montecassino, Miscellanea basso. Vulturnense, 3, pp. 103-153.

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