Quante rose a coprire quell’abisso

Ritratti al femminile per rileggere la storia di fra Otto e Novecento progetto di Public History a cura di Lorena Mussini

GIUDITTA BELLERIO SIDOLI : amore d’ Italia, amore di Patria

Lezione del 10 dicembre 2017

La vita di Giuditta Bellerio intercetta le pulsioni più profonde dell’epoca in cui vive e ce le restituisce filtrate dalla sua personalità potente e anticonformista. Una donna moderna ante-litteram. Nasce in una famiglia nobile ma mette in gioco questo privilegio per un impegno appassionato e dolente per la causa italiana diventando protagonista di uno dei periodi storici fra i più travagliati ed esaltanti della storia d’Italia: il Risorgimento. L’impegno patriottico e il suo coraggio di sfidare le convenzioni sociali, il suo legame fuori dagli schemi con Mazzini e la volontà di affermare la propria libertà e le proprie idee, conciliando la vita politica coi sentimenti, caratterizzano tutta la sua vita, ben prima e per molto tempo dopo la sua relazione con Mazzini. La vita di Giuditta infatti ancora oggi ci parla di un problema antico e ricorrente nell’universo femminile: la fatica e gli ostacoli che ogni donna deve affrontare per affermare le proprie scelte.Se Giuditta infatti sceglie di gettare la propria vita sulla bilancia del destino è perché l’amore per la patria si intreccia in modo indissolubile all’amore per il marito, per i figli e poi per Mazzini e questi amori la coinvolgono totalmente e in modo disinteressato e profondo. C’è, infatti, una cifra costante nella figura di Giuditta, la dedizione totale e sincera verso gli uomini amati, il marito Giovanni Sidoli, prima, il compagno ,poi.

Nasce a Milano il 6 gennaio 1804, dal barone Andrea, ex funzionario napoleonico, e da Maria de' Sopransi. Anche il fratello della Bellerio Carlo (Milano 1800-Locarno 1866) che nel 1821 era stato tra gli studenti dell'università di Pavia accorsi nelle file dei costituzionali piemontesi, era esule politico. Emigrato in Francia, legato al Mazzini, a Parigi fu tra i fondatori del Comitato di soccorso agli esuli Contesto storico europeo: vittoria di Marengo di Napoleone 1800, nel 1802 N. dà un nuovo assetto al territorio italiano con la Seconda Repubblica Cisalpina contestuale alla Repubblica Ligure poi confluite nella Repubblica italiana di cui Milano è capitale. La città in quegli anni è animata da un grande fermento politico e intellettuale grazie al ruolo di primo piano che assume nei progetti di Napoleone Bonaparte. La famiglia Bellerio è ricca,ma non nobile; il padre Antonio serve con entusiasmo Napoleone, che lo nomina barone nel 1809, svolgendo una brillante carriera nell’amministrazione della giustizia. Con la restaurazione e il ritorno degli Austriaci non perde né la carica né il titolo, diventando Procuratore 1 Generale della Corte d’Appello. La madre Maria de’ Sopransi era una bellissima ed elegante signora, colta brillante e pittrice di talento. Quest’aria rivoluzionaria, di libertà e di creatività resterà impressa nell’indole di Giuditta che, dovunque andrà nei suoi numerosi e travagliati spostamenti, cercherà di ricostruire nel proprio salotto questo mondo vivace e variegato di condivisione culturale e politico. Nel 1815 entra nel Regio Collegio delle Fanciulle Civili, uscendone per sposare, il 20 ottobre 1820, Giovanni Sidoli, di Montecchio (Reggio Emilia), di agiata famiglia mercantile.

LA MEMORIA DEI GIORNI FELICI Il primo protagonista maschile della nostra vicenda è appunto Giovanni Sidoli, figlio di un ricchissimo commerciante e possidente, Bartolomeo, ricco commerciante di granaglie. Questa attività era molto fiorente nelle nostre zone alla fine del Settecento, quando la coltivazione del riso si era diffusa in vaste aree della nostra regione: nel fidentino e nel parmense, vicino al Po, nella bassa reggiana, nel bolognese e nel ravennate. Bartolomeo era un uomo di vecchio stampo, sanfedista, convinto sostenitore dell’alleanza trono e altare, uno dei capisaldi della Santa Alleanza e del Congresso di Vienna che darà all’Europa un assetto che, a parte i processi di unificazione dell’Italia e della Germania, resterà stabile praticamente fino allo scoppio della 1 Guerra Mondiale che sarà la prima grande frattura del ‘900 e dell’Europa dopo circa 100 anni di pace continuata a livello europeo e che germinerà i tre totalitarismi. Dei figli di Bartolomeo, Giovanni è il più inquieto, ribelle, pieno di idee libertarie, quello che gli darà le maggiori preoccupazioni. Un figlio amato e rispettato benché il padre non ne condividesse i valori e le scelte politiche, riconoscendo nel figlio l’idealismo e lo slancio generoso.

Come si vede anche dai ritratti che ci rimangono Giovanni era il prototipo dell’eroe romantico: alto, bruno, con gli occhi azzurri, di bell’aspetto, coraggioso, fiero, idealista e dal cuore ardente. Talmente ardente che abbraccia con entusiasmo la causa del patriottismo e della cospirazione, come il fratello Antonio sarà una figura di spicco nei moti del 1831, un patriota il cui figlio maggiore Domenico diventerà un grande sovvenzionatore di Garibaldi e deputato al Parlamento italiano dopo l’Unità. Il matrimonio fra Giovanni e Giuditta, pur combinato dalle rispettive famiglie sarà un matrimonio d’amore, fatto di sentimenti personali sinceri cementati dalla dedizione alla causa dell’unità d’Italia. Viene celebrato nella Cattedrale di Reggio Emilia il 20 ottobre 1820 e richiama un pubblico folto e di prestigio con i rappresentanti delle famiglie reggiane più importanti e con Francesco IV Duca di Modena in persona. La luna di miele è trascorsa nella villa padronale a San Pellegrino alle porta di Reggio, ma il loro amore nato con i migliori auspici viene subito messo a dura prova dal coinvolgimento politico di Sidoli nei moti del 1821. Infatti Giovanni, che risulta iscritto alla carboneria modenese con lo pseudonimo di "Demade", è implicato nei moti 2 del 1821 e del marzo 1822 ed è costretto a fuggire in Svizzera, evitando a stento l'arresto da parte della polizia estense. Una sentenza del 11 settembre 1822 del Tribunale Statario di Rubiera lo condanna a morte in contumacia. La Bellerio lo segue a Modena e poi, esule politico, in Svizzera.

Gli avvenimenti politici che avevano preceduto e seguito queste tristi vicende dimostravano chiaramente come fosse stata la mancanza di collegamenti tra le rivoluzioni scoppiate prima a Napoli e poi in Piemonte ad avere decretato il fallimento di queste. L’idea di unità nazionale era ancora incerta e debole, il popolo non aveva preso parte ai movimenti insurrezionali e tanto meno vi avevano partecipato le classi medie. Erano stati ufficiali e nobili ad insorgere, ma i capi stessi dell’insurrezione avevano idee troppo vaghe, mancava unità di indirizzo, organizzazione, senso pratico. A farne le spese furono molti uomini arrestati, imprigionati e giustiziati.

La Bellerio, che condivideva le idee politiche del marito, poté seguirlo in Svizzera soltanto nel luglio del 1822, a causa della nascita della secondo genita, Corinna; l'altra, Maria, rimase affidata alla famiglia paterna. La coppia dalla Svizzera è costretta a fuggire successivamente in Francia, a Montpellier, dove Giovanni muore per una grave malattia ai polmoni, nel 1828. Durante l’esilio, erano nati altri due figli: Elvira e Achille. La notizia del ritorno di Giuditta a Reggio Emilia fa subito rapidamente il giro della città. Quella giovane e bella vedova che in lutto strettissimo passeggia per le vie della città con il suocero e i figli destava compassione e rispetto perché era la moglie di Giovanni Sidoli e in quanto tale emblema dei sentimenti e delle idee di rifiuto del dominio straniero condiviso da molti. Nel palazzo di Reggio Giuditta e i suoi figli trovano affetto e cure, ma mentre i bambini si adattano subito alla nuova vita Giuditta è inquieta, il ricordo del sacrificio di Giovanni la tormenta non voleva e non poteva dimenticare che quell’uomo tanto amato aveva lottato per la causa della libertà. La tranquillità che i suoceri le garantiscono non fa per lei: Giuditta vuole agire, vuole adoperarsi per il progetto in cui Giovanni aveva creduto fin dall’inizio e che adesso diventa il suo. UN LEGAME PER LA VITA: GIUSEPPE MAZZINI

Giuditta non deve aspettare a lungo per trovarsi di nuovo coinvolta in tentativi di insurrezione. Nel luglio 1830 la rivoluzione che a Parigi depose i Borboni ridiede fiducia anche a coloro che l’avevano perduta! Le organizzazioni segrete ripresero vigore e a Roma nell’autunno dello stesso anno alcuni cospiratori tentarono di far sollevare il popolo. Il movimento insurrezionale in un primo momento fu soffocato, ma morto Papa Pio VIII, mentre la Sede era ancora vacante, la ribellione divampò di nuovo e questa 3 volta si estese anche alle province. Il 26 febbraio 1831 rappresentanti delle Romagne divenute libere si riunirono in Congresso a Bologna e dichiararono cessato il potere temporale dei pontefici eleggendo un governo provvisorio in cui entrarono Giovanni Vicini, il conte Terenzio Mamiani della Rovere, Francesco Orioli e altri. Segno tangibile del grande cambiamento avvenuto fu la composizione da parte di Giovanni Berchet dell’inno del nuovo Stato. Nel Ducato di Modena la situazione era molto più difficile per i patrioti. Francesco IV è un principe avido, crudele e gretto, domina ancora il panorama politico. Non disdegnava di praticare il contrabbando di merci a danno del vicino stato pontificio come il principe di Chateaubriand scrive“ I l Principe di Modena stabilì nel suo ducato (luogo di franchigia di tutti gli antichi abusi) magazzini di merci proibite che nottetempo fa entrare nella legazione di Bologna.”

Nel 1831 a Modena vi fu un tentativo di insurrezione capeggiato da . Menotti e i compagni fra cui il fratello Celeste avevano in un primo tempo stabilito che la sommossa sarebbe scoppiata il 4 febbraio ma, all’ultimo, per motivi di prudenza decisero di anticipare la data. Nonostante le precauzioni prese vi fu qualcuno che denunciò i cospiratori e nella notte fra il 2 e il 3 febbraio la casa di Menotti fu circondata dai gendarmi. La resistenza dei cospiratori fu debole, solo qualche colpo sparato in direzione del duca che comandava la spedizione, ma senza risultato. I congiuratifurono tutti arrestati con somma soddisfazione di Francesco IV. Modena 3 febbraio 1831 “ Questa notte è scoppiata contro di me una terribile congiura. I cospiratori sono nelle mie mani. Mandatemi il boia. Francesco.” Francesco IV d’Este governa con pugno di ferro ma è crudele, spia i propri sudditi, li opprime con controlli polizieschi asfissianti, con una rete di spie imponente. Anche nel 1821 i tentativi di insurrezione erano stati soffocati nel sangue, molti cospiratori arrestati, condannati a morte e giustiziati. Giovanni Sidoli riuscì a mettersi in salvo appena in tempo. Infatti un giorno nella villa dei Sidoli, appena fuori Porta Castello, arrivò la notizia che la polizia stava indagando anche su Giovanni. Giuditta è sicuramente in contatto con i fratelli Menotti e manteneva una corrispondenza segreta con Carlo e Nicola Fabrizi, Leopoldo Nobili, e il generale Zucchi. Fu lei a consegnare alla neo-costituita “Guardia Civica” la bandiera tricolore, poi esposta sul palazzo del municipio e oggi conservata al cittadino Museo del Tricolore. Con l’aiuto di patrioti locali si adoperò per costituire a Reggio una Guardia nazionale che sostituisse il presidio urbano in caso di caduta del ducato e di insediamento del governo provvisorio. Quando giunse notizia che Francesco IV era fuggito da Modena tutti i patrioti di Reggio uscirono per le strade invitando i cittadini a innalzare la

4 bandiera nazionale. Il giorno seguente il Consiglio Municipale richiamò in attività la Guardia Civica nelle forme che aveva ai tempi del Regno d’Italia e sul Municipio fu issata la bandiera. Circa 200 modenesi male armati si scontrarono con 1.400 austriaci e dopo una strenua quanto inutile resistenza si ritirarono lasciando sul campo 40 morti e 64 prigionieri. Giuditta risultò coinvolta in prima persona e la sua vita fu salva solo perché il suocero era un duchista convinto. Per riguardo a lui non fu né imprigionata né processata, ma ricevette l’ordine di lasciare il ducato che doveva essere immediatamente eseguito. Giuditta lascia i figli a Bartolomeo Sidoli e parte per la Svizzera, prima Lugano poi Ginevra. Ma è inquieta, scrive al dottor Prospero Pirondi che era stato condannato a morte in contumacia con Giovanni Sidoli.. Nel febbraio 1832 Giuditta si trasferisce a Marsiglia, trovando, tra gli esuli italiani, molte antiche conoscenze e al cugino Carlo Pisani Dossi e trova alloggio in una casa di Rue Saint Ferrèol al n. 57 di un modesto ma decoroso appartamento e divenne ben presto meta di tanti patrioti. Una sera a quella porta bussa per la prima volta alla porta un giovane magro, con gli occhi e i capelli scuri. A quell’uomo, Giuseppe Mazzini, alla sua vita ai suoi dolori Giuditta si sarebbe legata per sempre. A Marsiglia conosce Mazzini, e tra i due nacque ben presto una relazione. Mazzini decide di fondare a Marsiglia una società segreta la Giovine Italia una federazione che aveva per fine la creazione di una Repubblica e il territorio italiano libero e unito, l’abolizione dell’alta gerarchia del clero e l’introduzione in un semplice sistema parrocchiale, l’eliminazione di ogni aristocrazia e di ogni privilegio e l’esplicita dichiarazione dei diritti dell’uomo e del cittadino. La casa di Giuditta è il rifugio principali di tutti i patrioti in esilio. Nasce un grande amore che malgrado le vicende drammatiche che nel corso degli anni divideranno i due, durò fino alla morte di lei, e forse anche dopo, perché Mazzini non si sposò mai e morì solo poco tempo dopo Giuditta. Un segno questo che il dolore per la perdita della donna amata potè piegare l’animo di colui per il quale il Principe di Metternich scrisse: “Ebbi a lottare contro il più grande dei soldati, giunsi a mettere d’accordo imperatori e re, uno Zar, un Sultano, un Papa, principati e repubbliche; avviluppai e sciolsi venti volte intrighi di corte ma nessuno mi diede mai maggiori fastidi al mondo di un piccolo brigante italiano, magro, pallido, cencioso ma eloquente, ardente come un apostolo, astuto come un ladro, disinvolto come un commediante, infaticabile come un innamorato, il quale ha nome Giuseppe Mazzini” Nonostante l’amore e la comunanza degli ideali politici Mazzini e Giuditta non si trovarono d’accordo sul modo di vedere la vita e di valutarne il significato. Il dissidio verteva su uno dei cardini della dottrina mazziniana: mentre Mazzini credeva nella Provvidenza divina nella vita come missione e 5 nell’al di là come compimento del destino dell’uomo Giuditta non aveva in sé il germe della fede e affidava la sua vita a quella che lei considerava “la fatalità”. In molte lettere che si scambiano negli anni emerge questo dissidio. In Mazzini l’amore viene sempre al secondo posto anche se è un amore grande e puro quello per Giuditta, ma la natura del suo carattere lo rese fermo nella convinzione che a quell’ideale si dovesse sacrificare tutto. Cosa che lui fa fino alla fine. Quando, bandito dalla Francia, Mazzini si rifugiò in casa di Démosthène Ollivier, la Bellerio gli fece da tramite coi suoi seguaci; lo seguì a Ginevra quando fu costretto a fuggire. In Svizzera, tuttavia, la Bellerio non rimase a lungo; il 29 giugno tornava a Montpellier,dove restava tutta l'estate del 1833 cercando un mezzo per tornare in Italia e ricongiungersi ai figli. Con l'aiuto dell'Ollivier poté finalmente, il 10 ottobre, imbarcarsi a Marsiglia sul piroscafo "Sully", che la portò a Livorno. È controversa la nascita di un figlio dalla relazione tra la B. e il Mazzini. In una lettera scritta al De Gubematis nel 1872 E. Ollivier, figlio di Démosthène, dice: "C'est chez nous qui est mort l'enfant qu'il [Mazzini] a eu d'une dame modenaise" (in S. Mastellone, p. 124); e ripete ancora, tale affermazione nel vol. 1 deL'Empire libéral(Paris 1895, p. 258). Sono stati ritrovati a Marsiglia gli atti anagrafici di un Joseph Démosthène Adolphe Aristide, di genitori ignoti, nato l'11 agosto 1832 e morto il 21 febbraio 1835. Si è pensato trattarsi del figlio di Mazzini, e si spiegherebbero, in tal modo, le numerose allusioni che, tra il 1832 e il 1835, compaiono nella corrispondenza tra Mazzini e la Bellerio. relativamente ad un certo A... Ad..., per il quale i due sembrano nutrire vivo affetto. Comincia per Giuditta un periodo avventuroso e travagliato connotato da una serie di convulsi spostamenti attraverso i vari Stati italiani per avvicinarsi il più possibile ai figli, terminata nel 1837 col permesso di risiedere a Parma. La relazione col Mazzini, ben nota a tutte le polizie, la rendeva estremamente sospetta, poiché si riteneva, a torto, che essa fosse stata mandata dal Mazzini stesso con una missione politica. È un calvario quello di Giuditta che ha per teatro un’Italia ancora divisa e infiammata da odi e delazioni, alla ricerca di un modo per riabbracciare i suoi bambini. Un calvario che non avrà fine che molti anni dopo. Episodio dell’incontro con i figli nel gennaio 1836: Maria ha 14 anni, Elvira, Corinna, Achille. Bartolomeo non ebbe il coraggio di dividerli di rimproverare, di dire nulla. La Bellerio si rifugia a Parma nel 1837, e qui finalmente si stabilisce ottenendo anche il permesso di recarsi a Reggio due volte all'anno per vedere i figli, che, dopo il 1842, contravvenendo alle disposizioni 6 testamentarie del suocero, poté tenere presso di sé, ad eccezione della figlia maggiore Maria. La Bellerio aveva dovuto interrompere, nel frattempo, ogni corrispondenza diretta con Mazzini, di cui però ricevette notizie sino al 1843 dalla madre, inseguito dal Lamberti; poté rivederlo soltanto nel febbraio 1849 a Firenze, dove si era rifugiata in seguito all'occupazione di Parma da parte degli Austriaci. Giuditta Sidoli venne arrestata e incarcerata a Modena, nel dicembre1849, e trasferita a Milano nel febbraio1850 su ordine del generale Radetzky. Riuscì a scampare al carcere grazie alla minore severità verso i nobili del generale Ferencz Gyulaiche sostituì Radetzky, messo a riposo dall'imperatore d'Austria il 28 febbraio 1850, al comando della 2ª Imperiale e Regia Armata Austriaca. Tornata a Parma, la Bellerio riprese attivamente la corrispondenza col Lamberti, allora a Reggio Emilia, e con Mazzini stesso, diffondendo anche il prestito nazionale da questo lanciato e aprendo il suo salotto ai più noti liberali; la polizia, messa sull'avviso, operò una prima perquisizione in casa sua il 28 novembre 1851 ed essendo questa risultata inutile, ne operò una seconda la sera del 5 gennaio 1852. I risultati furono insignificanti, ma tali da permettere l'arresto della Sidoli, trasferita nelle carceri di S. Francesco e di qui, il 12 febbraio, in quelle di S. Margherita a Milano, dove venne trattenuta qualche giorno e quindi accompagnata, come cittadina svizzera, al confine elvetico. Dalla Svizzera, ove rimase poco tempo, Giuditta si trasferì a Torino, dove la raggiunsero le figlie Corinna ed Elvira. Anche dopo l'unificazione dell’Italia,, la Bellerio conservò la sua fede repubblicana; restò tuttavia lontana da ogni eccesso demagogico e dette al suo salotto un 'impronta di grande moderazione, aprendolo anche a quanti si erano distaccati dagli ideali mazziniani. La Bellerio muore a Torino il 28 marzo 1871. Con una lettera in mano di Mazzini.

Lettura: “Amica , voi soffrite...” “Amica voi soffrite e siete gravemente inferma. Vi conosco forte, rassegnata e credente. Non di meno anche il sapere che il pensiero di un antico amico veglia intorno al vostro letto può esservi caro e darvi un minuto di sollievo. In quel caso sappia telo. Non ho mai cessato di pensare a voi, di stimarvi ed amarvi come una delle migliori anime che io abbia incontrato sulla mia via. Voi guarirete, spero, ma se anche dovesse allontanarvi da noi, voi non dovete temere di quello che gli uomini chiamano morte, e non è che trasformazione. Rivedrete un giorno quelli che amate e che vi amano. Fidate in Dio, nella sua legge e nella vostra coscienza. Date un pensiero anche a me e benedice temi. Io non oso farlo, mal’anima mai è con voi.”

7 Giuseppe Mazzini Con Mazzini, nel 1832, Giuditta fondò il giornale politico La Giovine Italia, assumendone il ruolo di responsabile e contabile. Saputo dell'imminente arresto di Mazzini, a quel tempo gravemente malato, da parte delle autorità francesi, lo seguì nell'esilio di Ginevra per accudirlo. Anche dopo aver concluso la loro relazione sentimentale, Mazzini e la Bellerio restarono lungamente in contatto epistolare.

« Sorridimi sempre! È il solo sorriso che mi venga dalla vita. » (da una lettera diGiuseppe Mazzinia Giuditta Bellerio) Trasferitasi definitivamente a Torino sul finire del 1852, la nobildonna diede vita ad un salotto politico frequentato dalle maggiori personalità risorgimentali dell'epoca, contribuendo a preparare il terreno culturale per la seconda guerra d'indipendenza. Nel1868 Giuditta Bellerio si ammalò gravemente di tubercolosi e, il 28 marzo1871, si spense a Torino, stroncata da una polmonite, dopo aver rifiutati i sacramenti religiosi, coerentemente con la sua dichiarazione di « credere liberamente nel Dio degli esuli e dei vinti, non in quello imposto dalla Chiesa ».[2]È sepolta nel Cimitero monumentale di Torino. Sulla lapide molto semplicemente “In questa donna lo spirito mazziniano della cospirazione era trasfuso nell’animo: senza aver bisogno alcuno degli stimoli del suo Giuseppe, al quale in forza d’animo e di assennatezza cospiratoria dava dei buoni punti. “Se Giuditta Sidoli fosse stata un uomo, il Duca di Modena e tutti i Sovrani legittimi d’Italia non avrebbero avuto un nemico più formidabile in tutta la forza della parola.”

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