Cinema Italiano
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Cinema italiano Stabilimenti di Cinecittà a Roma Il cinema italiano iniziò la propria vita pochi mesi dopo la prima proiezione pubblica, avvenuta a Parigi il 28 dicembre 1895. Il cinema venne portato in Italia dagli operatori Lumière nel corso del 1896. A marzo il cinematografo arrivò a Roma e a Milano, ad aprile a Napoli, a giugno a Livorno, ad agosto a Bergamo, Ravenna e Bologna, a ottobre ad Ancona[1]. A Pisa nel 1899 aprì quello che per tanti anni è stato il più antico cinema italiano e che ha chiuso i battenti il 13 febbraio 2011: il cinema Lumière[2]. I primi film (1896-1902) I primi film sono documentari, filmati di pochi secondi nei quali coraggiosi pionieri (primo fra tutti un ex-cartografo dell'Istituto Geografico Militare di Firenze, nonché inventore, operatore e regista, Filoteo Alberini) riprendevano con una semplice cinepresa a manovella fatti e personaggi del loro tempo, perlopiù regnanti, imperatori e papi. Il primo filmato del quale si conosce il titolo è del 1896, realizzato sempre da Alberini, è andato perduto, e riguardava la visita del re Umberto I d'Italia e della regina Margherita di Savoia a Firenze.[senza fonte] Il primo filmato giunto sino ai giorni nostri e tuttora visibile riguarda Papa Leone XIII che si reca in preghiera nei giardini Vaticani e si rivolge alla macchina da presa per quella che è la prima benedizione papaleche dura 2:00 minuti. Inizio dell'industria del cinema (1903-1909) Nel periodo 1903-1909 il cinema, sino allora considerato alla stregua di un fenomeno da baraccone e presentato da girovaghi in spettacoli itineranti insieme ai circhi e alle giostre, si organizzò come industria, con case di produzione nei principali capoluoghi: soprattutto Torino con la Società Anonima Ambrosio, Aquila Film e la Itala Film, Roma con la Cines, Milano con gli studi meglio attrezzati dell'epoca edificati dal produttore Luca Comerio che fondò una società di produzione con il suo nome poi denominata Milano Film, Napoli con la Partenope Film, Venezia quindi una rete sempre più capillare di sale cinematografiche nei centri urbani delle città. Questa trasformazione portò alla produzione dei film a soggetto, che per gran parte del periodo muto affiancarono il filmato documentario fino a sostituirlo quasi completamente all'inizio della prima guerra mondiale. Il primo film a soggetto venne realizzato sempre da Alberini nel 1905, lo storico agiografico La presa di Roma, ma i generi che attecchirono presso il pubblico furono i drammi, passionali e storici, seguiti dalle comiche finali, come già da decenni avveniva negli spettacoli teatrali. Il primo film sonoro italiano venne proiettato il 19 ottobre 1906 al cinema Lumière di Pisa dal professore Pietro Pierini e prodotto dalla Fabbrica Pisana di Pellicole Parlate.[3] Periodo aureo (1910-1914) Tra il 1910 e il 1914 il cinema italiano riscosse in ogni parte del mondo un successo oltre ogni previsione, con kolossal storici e religiosi diretti da Mario Caserini (Gli ultimi giorni di Pompei, del 1913), Enrico Guazzoni (Marc'Antonio e Cleopatra sempre del 1913) e soprattutto Giovanni Pastrone, che realizzò nel 1914 il celeberrimo Cabiria che ebbe il grande onore di venire proiettato in anteprima alla Casa Bianca di fronte al Presidente degli Stati Uniti d'America e a tutto il personale. Avanguardie (1911-1919) L'Italia fu il primo paese a portare un movimento d'avanguardia nel cinema, grazie al Futurismo. Il Manifesto della Cinematografia Futurista risale al 1916 (ma alcuni esperimenti erano già avvenuti anteriormente) e fu firmato, tra gli altri, da Filippo Marinetti, Arnaldo Ginna, Bruno Corra, Giacomo Balla, ecc. Per i futuristi il cinema era l'arte ideale per i loro "meravigliosi capricci", essendo giovane, privo di passato e capace di estrema duttilità e velocità grazie al montaggio e gli effetti speciali, che divennero parte integrante di un nuovo linguaggio creativo e sovversivo (non come semplici attrazioni mostrative). Molte delle già di per sé scarse opere del cinema futurista sono andate perdute. Tra le più significative resta Thaïs di Anton Giulio Bragaglia (1917) dove le scenografie ipnotiche e simboliste di Enrico Prampolini fecero da fonte d'ispirazione per il successivo cinema espressionista tedesco. Primi divi e film di propaganda (1915-1918) Attori come Emilio Ghione e Mario Bonnard ed attrici come Lyda Borelli e Francesca Bertini furono i primi divi, soprattutto durante la prima guerra mondiale, tra il 1914 e il 1918, quando i drammi passionali presero il sopravvento nei gusti del pubblico. 1 Sempre durante questo periodo si sviluppò un filone particolare del cosiddetto film propagandistico: quello in cui un eroe, mitologico o anche delle vecchie comiche, si immerge in avventure belliche distinguendosi per coraggiosi atti di eroismo. La grande crisi e l'avvento del sonoro (1919-1930) Dopo la fine della Grande guerra, il cinema italiano attraversò un fortissimo periodo di crisi, dovuta soprattutto al proliferare di piccole case di produzione che fallivano generalmente dopo pochi film, e da alcune scelte organizzative sbagliate. Resistevano ancora i drammi passionali, perlopiù ripresi da testi letterari e teatrali classici, diretti da specialisti come Roberto Roberti (padre di Sergio Leone) e i kolossal religiosi di Giulio Antamoro. Nomi mitici del teatro come Eleonora Duse (Cenere, del 1916) e La Bella Otero apparivano sugli schermi suscitando anche qualche perplessità. L'unico filone che resse fu quello napoletano, grazie all'opera della prima regista donna del cinema nostrano, Elvira Notari, che produsse e diresse moltissime sceneggiate e canzoni filmate (eseguite direttamente nelle sale cinematografiche da orchestre e cantanti famosi in sincronia con le immagini) che ottengono un successo travolgente tra gli italiani emigrati in Sudamerica (soprattutto in Argentina, Brasile e Uruguay). Il fascismo, salito al potere tra il 1922 e il 1925, si preoccupò di rilanciare una cinematografìa in declino sempre più costante e fondò nel 1924 l'Istituto Luce. Verso la fine degli anni venti, fecero il loro esordio due futuri protagonisti dell'era dei telefoni bianchi: Alessandro Blasetti, con Sole del 1928, e Mario Camerini, con il notevole Rotaie del 1929. Nel 1930 esce il primo film sonoro italiano La canzone dell'amore di Gennaro Righelli ed interpretato da Dria Paola ed Isa Pola (che furono così le prime dive parlanti del cinema italiano): il film ottenne molto successo e diede inizio alla rinascita del cinema italiano. Così come accadduto anche ad Hollywood, con il passaggio al sonoro la maggior parte degli attori italiani del cinema muto non riesce più a trovare lavoro anche se alcuni di essi (come ad esempio Emilio Ghione e Mario Bonnard) riescono a riciclarsi come registi o produttori, facendo dunque spazio a numerosi nuovi interpreti. Cinecittà e il monopolio (1937-1939) Nello stesso periodo il fascismo istituì il Ministero della Cultura Popolare (popolarmente abbreviato in Min.Cul.Pop) il quale, dopo un disastroso incendio, avvenuto nel 1935, negli studi cinematografici della vecchia Cines (episodio avvolto nel mistero, che continua ancora oggi a far discutere storici e studiosi) suggerì la creazione di una struttura importante per rilanciare un cinema italiano altrimenti destinato all'agonia. Mussolini approvò in pieno: venne trovata un'area a sud-est della capitale e dopo due anni di lavoro, il 21 aprile 1937 il Duce stesso presenziò alla solenne inaugurazione di Cinecittà, coniando lo slogan celebre La cinematografìa è l'arma più forte. Cinecittà venne concepita alla maniera di Hollywood, con tutto quello che un cineasta poteva desiderare per la realizzazione di un film: teatri di posa, servizi tecnici ed il famoso Centro Sperimentale di Cinematografia, che si rivelò una vera e propria fucina per futuri celebri attori, registi e sceneggiatori, con annessa la Cineteca Nazionale. Due anni più tardi, il 1º gennaio 1939, entrò in vigore il cosiddetto monopolio, una legge che di fatto bloccava in gran parte l'importazione della cinematografìa estera (soprattutto quella statunitense) favorendo una più ampia produzione di film italiani. Si svilupparono così due filoni principali, le commedie dei telefoni bianchi e i film di propaganda fascista. La breve stagione dei "telefoni bianchi" (1936-1943) La stagione cinematografica dei telefoni bianchi interessò un periodo di tempo relativamente breve. Il nome proveniva dalla presenza di telefoni bianchi nelle sequenze di alcuni film prodotti in questo periodo, sintomatica di benessere sociale: uno status symbol atto a marcare la differenza dai telefoni neri, maggiormente diffusi. La critica degli ultimi anni preferisce definirla anche Commedia all'ungherese, perché, nonostante le produzioni fossero completamente italiane, i soggetti e le sceneggiature erano attinti da autori ungheresi e ivi ambientati per ragioni censorie (l'argomento preferito di queste commedie leggere, infatti, era una minaccia di adulterio o divorzio, cose impensabili per l'Italia di quegli anni): la città di Budapest infatti è molto spesso nominata, oppure altra definizione è quella di "cinema decò" per la forte presenza di oggetti di arredamento che richiamano lo stile internazionale dell'Art déco, molto in voga in quel periodo. I film di propaganda fascista Sempre durante il ventennio fascista - così come era accaduto durante la prima guerra mondiale - fiorì il più impegnato filone dei film di propaganda fascista, emblema della frase mussoliniana La cinematografia è l'arma più forte.[4] In queste pellicole venivano esaltati il regime