Cinema italiano Stabilimenti di Cinecittà a Roma Il cinema italiano iniziò la propria vita pochi mesi dopo la prima proiezione pubblica, avvenuta a Parigi il 28 dicembre 1895. Il cinema venne portato in Italia dagli operatori Lumière nel corso del 1896. A marzo il cinematografo arrivò a Roma e a Milano, ad aprile a Napoli, a giugno a Livorno, ad agosto a Bergamo, Ravenna e Bologna, a ottobre ad Ancona[1]. A Pisa nel 1899 aprì quello che per tanti anni è stato il più antico cinema italiano e che ha chiuso i battenti il 13 febbraio 2011: il cinema Lumière[2]. I primi film (1896-1902) I primi film sono documentari, filmati di pochi secondi nei quali coraggiosi pionieri (primo fra tutti un ex-cartografo dell'Istituto Geografico Militare di Firenze, nonché inventore, operatore e regista, Filoteo Alberini) riprendevano con una semplice cinepresa a manovella fatti e personaggi del loro tempo, perlopiù regnanti, imperatori e papi. Il primo filmato del quale si conosce il titolo è del 1896, realizzato sempre da Alberini, è andato perduto, e riguardava la visita del re Umberto I d'Italia e della regina Margherita di Savoia a Firenze.[senza fonte] Il primo filmato giunto sino ai giorni nostri e tuttora visibile riguarda Papa Leone XIII che si reca in preghiera nei giardini Vaticani e si rivolge alla macchina da presa per quella che è la prima benedizione papaleche dura 2:00 minuti. Inizio dell'industria del cinema (1903-1909) Nel periodo 1903-1909 il cinema, sino allora considerato alla stregua di un fenomeno da baraccone e presentato da girovaghi in spettacoli itineranti insieme ai circhi e alle giostre, si organizzò come industria, con case di produzione nei principali capoluoghi: soprattutto Torino con la Società Anonima Ambrosio, Aquila Film e la Itala Film, Roma con la Cines, Milano con gli studi meglio attrezzati dell'epoca edificati dal produttore Luca Comerio che fondò una società di produzione con il suo nome poi denominata Milano Film, Napoli con la Partenope Film, Venezia quindi una rete sempre più capillare di sale cinematografiche nei centri urbani delle città. Questa trasformazione portò alla produzione dei film a soggetto, che per gran parte del periodo muto affiancarono il filmato documentario fino a sostituirlo quasi completamente all'inizio della prima guerra mondiale. Il primo film a soggetto venne realizzato sempre da Alberini nel 1905, lo storico agiografico La presa di Roma, ma i generi che attecchirono presso il pubblico furono i drammi, passionali e storici, seguiti dalle comiche finali, come già da decenni avveniva negli spettacoli teatrali. Il primo film sonoro italiano venne proiettato il 19 ottobre 1906 al cinema Lumière di Pisa dal professore Pietro Pierini e prodotto dalla Fabbrica Pisana di Pellicole Parlate.[3] Periodo aureo (1910-1914)

Tra il 1910 e il 1914 il cinema italiano riscosse in ogni parte del mondo un successo oltre ogni previsione, con kolossal storici e religiosi diretti da Mario Caserini (Gli ultimi giorni di Pompei, del 1913), Enrico Guazzoni (Marc'Antonio e Cleopatra sempre del 1913) e soprattutto Giovanni Pastrone, che realizzò nel 1914 il celeberrimo Cabiria che ebbe il grande onore di venire proiettato in anteprima alla Casa Bianca di fronte al Presidente degli Stati Uniti d'America e a tutto il personale. Avanguardie (1911-1919) L'Italia fu il primo paese a portare un movimento d'avanguardia nel cinema, grazie al Futurismo. Il Manifesto della Cinematografia Futurista risale al 1916 (ma alcuni esperimenti erano già avvenuti anteriormente) e fu firmato, tra gli altri, da Filippo Marinetti, Arnaldo Ginna, Bruno Corra, Giacomo Balla, ecc. Per i futuristi il cinema era l'arte ideale per i loro "meravigliosi capricci", essendo giovane, privo di passato e capace di estrema duttilità e velocità grazie al montaggio e gli effetti speciali, che divennero parte integrante di un nuovo linguaggio creativo e sovversivo (non come semplici attrazioni mostrative). Molte delle già di per sé scarse opere del cinema futurista sono andate perdute. Tra le più significative resta Thaïs di Anton Giulio Bragaglia (1917) dove le scenografie ipnotiche e simboliste di Enrico Prampolini fecero da fonte d'ispirazione per il successivo cinema espressionista tedesco. Primi divi e film di propaganda (1915-1918) Attori come Emilio Ghione e Mario Bonnard ed attrici come Lyda Borelli e Francesca Bertini furono i primi divi, soprattutto durante la prima guerra mondiale, tra il 1914 e il 1918, quando i drammi passionali presero il sopravvento nei gusti del pubblico. 1

Sempre durante questo periodo si sviluppò un filone particolare del cosiddetto film propagandistico: quello in cui un eroe, mitologico o anche delle vecchie comiche, si immerge in avventure belliche distinguendosi per coraggiosi atti di eroismo. La grande crisi e l'avvento del sonoro (1919-1930) Dopo la fine della Grande guerra, il cinema italiano attraversò un fortissimo periodo di crisi, dovuta soprattutto al proliferare di piccole case di produzione che fallivano generalmente dopo pochi film, e da alcune scelte organizzative sbagliate. Resistevano ancora i drammi passionali, perlopiù ripresi da testi letterari e teatrali classici, diretti da specialisti come Roberto Roberti (padre di Sergio Leone) e i kolossal religiosi di Giulio Antamoro. Nomi mitici del teatro come Eleonora Duse (Cenere, del 1916) e La Bella Otero apparivano sugli schermi suscitando anche qualche perplessità. L'unico filone che resse fu quello napoletano, grazie all'opera della prima regista donna del cinema nostrano, Elvira Notari, che produsse e diresse moltissime sceneggiate e canzoni filmate (eseguite direttamente nelle sale cinematografiche da orchestre e cantanti famosi in sincronia con le immagini) che ottengono un successo travolgente tra gli italiani emigrati in Sudamerica (soprattutto in Argentina, Brasile e Uruguay). Il fascismo, salito al potere tra il 1922 e il 1925, si preoccupò di rilanciare una cinematografìa in declino sempre più costante e fondò nel 1924 l'Istituto Luce. Verso la fine degli anni venti, fecero il loro esordio due futuri protagonisti dell'era dei telefoni bianchi: Alessandro Blasetti, con Sole del 1928, e Mario Camerini, con il notevole Rotaie del 1929. Nel 1930 esce il primo film sonoro italiano La canzone dell'amore di Gennaro Righelli ed interpretato da Dria Paola ed Isa Pola (che furono così le prime dive parlanti del cinema italiano): il film ottenne molto successo e diede inizio alla rinascita del cinema italiano. Così come accadduto anche ad Hollywood, con il passaggio al sonoro la maggior parte degli attori italiani del cinema muto non riesce più a trovare lavoro anche se alcuni di essi (come ad esempio Emilio Ghione e Mario Bonnard) riescono a riciclarsi come registi o produttori, facendo dunque spazio a numerosi nuovi interpreti. Cinecittà e il monopolio (1937-1939) Nello stesso periodo il fascismo istituì il Ministero della Cultura Popolare (popolarmente abbreviato in Min.Cul.Pop) il quale, dopo un disastroso incendio, avvenuto nel 1935, negli studi cinematografici della vecchia Cines (episodio avvolto nel mistero, che continua ancora oggi a far discutere storici e studiosi) suggerì la creazione di una struttura importante per rilanciare un cinema italiano altrimenti destinato all'agonia. Mussolini approvò in pieno: venne trovata un'area a sud-est della capitale e dopo due anni di lavoro, il 21 aprile 1937 il Duce stesso presenziò alla solenne inaugurazione di Cinecittà, coniando lo slogan celebre La cinematografìa è l'arma più forte. Cinecittà venne concepita alla maniera di Hollywood, con tutto quello che un cineasta poteva desiderare per la realizzazione di un film: teatri di posa, servizi tecnici ed il famoso Centro Sperimentale di Cinematografia, che si rivelò una vera e propria fucina per futuri celebri attori, registi e sceneggiatori, con annessa la Cineteca Nazionale. Due anni più tardi, il 1º gennaio 1939, entrò in vigore il cosiddetto monopolio, una legge che di fatto bloccava in gran parte l'importazione della cinematografìa estera (soprattutto quella statunitense) favorendo una più ampia produzione di film italiani. Si svilupparono così due filoni principali, le commedie dei telefoni bianchi e i film di propaganda fascista. La breve stagione dei "telefoni bianchi" (1936-1943) La stagione cinematografica dei telefoni bianchi interessò un periodo di tempo relativamente breve. Il nome proveniva dalla presenza di telefoni bianchi nelle sequenze di alcuni film prodotti in questo periodo, sintomatica di benessere sociale: uno status symbol atto a marcare la differenza dai telefoni neri, maggiormente diffusi. La critica degli ultimi anni preferisce definirla anche Commedia all'ungherese, perché, nonostante le produzioni fossero completamente italiane, i soggetti e le sceneggiature erano attinti da autori ungheresi e ivi ambientati per ragioni censorie (l'argomento preferito di queste commedie leggere, infatti, era una minaccia di adulterio o divorzio, cose impensabili per l'Italia di quegli anni): la città di Budapest infatti è molto spesso nominata, oppure altra definizione è quella di "cinema decò" per la forte presenza di oggetti di arredamento che richiamano lo stile internazionale dell'Art déco, molto in voga in quel periodo. I film di propaganda fascista Sempre durante il ventennio fascista - così come era accaduto durante la prima guerra mondiale - fiorì il più impegnato filone dei film di propaganda fascista, emblema della frase mussoliniana La cinematografia è l'arma più forte.[4] In queste pellicole venivano esaltati il regime fascista ed i suoi valori: i personaggi di queste pellicole, quasi sempre provenienti dal popolo, si distinguevano per atti eroici uniti ad uno spiccato senso dell'onore e della patria.

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Tali film risentivano del periodo storico che stava vivendo il paese (che da lì a poco sarebbe entrato nella seconda guerra mondiale a fianco della Germania nazista) ed anche durante i primi anni del conflitto furono prodotte delle pellicole che osannavano le gesta dell'esercito, degli aviatori, degli alpini o della Marina; tra i vari film di propaganda i più famosi furono Vecchia guardia (considerato il film-manifesto di tale filone), Luciano Serra pilota, Squadrone bianco, I trecento della settimana e Uomini sul fondo. Ma oltre ad osannare il regime fascista e l'eroismo dei soldati impegnati sui vari fronti di guerra, vi furono anche dei film che avevano lo scopo di demonizzare e ridicolizzare gli avversari del regime fascista: è il caso di Carmen fra i rossi, pellicola contro la rivoluzione socialista spagnola, Cose dell'altro mondo ed Harlem che invece presero di mira il modello di vita e la società degli Stati Uniti oppure Odessa in fiamme ed Orizzonte di sangue che denunciavano l'orrore del comunismo e del regime sovietico. Diverso fu il caso di Noi vivi e il seguito Addio Kira!, in cui non si denigrava il comunismo in sé bensì lo stalinismo; ciò non piacque ai dirigenti fascisti e questi film, benché inizialmente accettati dalla censura, furono in seguito ritirati da tutte le sale.[5] La stagione neorealista (1943-1955) Vittorio De Sica, uno dei padri del neorealismo cinematografico italiano Nel corso della seconda guerra mondiale, ma soprattutto negli ultimi anni del conflitto (1943-1945) l'Italia conosce lutti e distruzioni immani. In questo contesto si sviluppa il neorealismo, un movimento artistico e culturale che riguarda tutte le forme di arte, ma in particolare il cinema. Il cinema neorealista ha lo scopo principale di rappresentare la situazione reale del Paese: le trame dei film ruotano spesso attorno alle vicende, e vicissitudini, di famiglie povere; gli attori sono frequentemente non professionisti, immersi pertanto nella vita di tutti i giorni; c'è una particolare attenzione all'uso della lingua, con grande ricorso ai dialetti regionali; per quanto riguarda l'immagine i registi (tra cui Luchino Visconti, Roberto Rossellini, Vittorio De Sica, Giuseppe De Santis, Pietro Germi) si propongono di non truccare la realtà, rinunciando all'illuminazione artificiale e alle riprese in studio per privilegiare quelle all'aria aperta, con gli interni girati non negli studios ma in case di parenti o amici. In una posizione molto più defilata, "autonoma", appare in quegli anni , autore formatosi presso la grande scuola neorealista ma nel contempo alla ricerca di una dimensione estetica che gli permetta di superarla. Film come quelli viscontiani (Ossessione girato ancora in piena guerra mondiale, La terra trema e Bellissima), ma soprattutto la trilogia della guerra di Rossellini (Roma città aperta, Paisà e Germania anno zero) e la quadrilogia desichiana (Sciuscià, Ladri di biciclette, Miracolo a Milano e Umberto D.) ottengono moltissimi riconoscimenti a livello internazionale. Successivamente Roberto Rossellini sperimenta nuovi stili, sempre ascrivibili al filone neorealista, nella celebre trilogia Stromboli terra di Dio (1949), Europa '51 (1952) e Viaggio in Italia (1953), fondendo perfettamente cinema documentaristico a scavo psicologico. Al centro di queste opere spiccano figure femminili sofferte ed alienate interpretate da Ingrid Bergman, in fuga da Hollywood e nuova moglie di Rossellini. La critica dell'epoca, con l'eccezione dei Cahiers du cinema, stroncò il trittico rosselliniano, ma il tempo ha reso giustizia a quelli che oggi appaiono film di sorprendente modernità. Fra il 1950 e il 1954 anche Fellini si fa conoscere al grande pubblico e alla critica più attenta con Luci del varietà, codiretto insieme ad Alberto Lattuada, Lo sceicco bianco, e due capolavori assoluti, I Vitelloni (1953) e La strada (1954). Da citare naturalmente Guardie e ladri del 1951, di Mario Monicelli e Steno, che richiama palesemente lo stile neorealista. Nonostante il successo ottenuto (talvolta più di critica che di pubblico) la stagione neorealista dura solo una dozzina d'anni. Con il ritrovato benessere, i toni si attenuano e, dalla metà degli anni cinquanta, si inizia a sviluppare un fortunato sottofilone, denominato del neorealismo rosa, che di fatto è il progenitore della commedia all'italiana. Il cinema d'autore degli anni cinquanta, sessanta e settanta A partire dalla metà degli anni cinquanta il cinema italiano cominciò a emanciparsi dal neorealismo affrontando le tematiche esistenziali da punti di vista differenti, più introspettivi che descrittivi. Inutile cercare di classificare il cinema profondamente autoriale che cominciò a svilupparsi in questo decennio e terminò, virtualmente, solo con la morte di Federico Fellini, a inizio anni novanta. Michelangelo Antonioni, con film quali Le amiche, Il grido e la tetralogia L'avventura (1960), La notte (1961), L'eclisse (1963) e Deserto rosso (1965), portò alla ribalta un cinema esistenziale, introspettivo, estremamente attento alle psicologie dei personaggi più che agli eventi. Fama e riconoscimento internazionale vennero consolidati da opere come Blow up (1966) e Professione: reporter (1975).

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Fellini, con capolavori come Le notti di Cabiria (1956) e La dolce vita (1960), oltre ai già citati I vitelloni e La strada, si impone come uno dei massimi punti di riferimento del cinema italiano nel mondo. Il suo stile inconfondibile viene esaltato dal fortunato sodalizio con il compositore Nino Rota, le cui colonne sonore entreranno nell'immaginario collettivo. Alcune scene dei suoi film più celebri assurgeranno a simboli di un'intera epoca, come la famosa scena di Anita Ekberg che, ne La dolce vita fa il bagno nella Fontana di Trevi divenuta, da allora, un'icona del cinema italiano nel mondo. Nel corso del decennio degli anni sessanta Fellini inizia una fase di sperimentazione col monumentale, onirico e visionario 8½ (1963), che aprirà una nuova fase della sua già luminosa carriera: opere successive come Fellini Satyricon, Amarcord, Il Casanova di Federico Fellini, E la nave va, consacrano Fellini come uno dei più grandi artisti della macchina da presa del Novecento. Se Roberto Rossellini e Vittorio De Sica (la cifra stilistica di quest'ultimo sarà enormemente tributaria del rapporto con il grande scrittore e sceneggiatore Cesare Zavattini) perseguono altre strade negli anni sessanta e settanta del Novecento, il primo come autore di nicchia televisivo e documentarista, il secondo come attore di successo, oltreché regista, Luchino Visconti, il grande esteta per definizione, continuerà a regalare al cinema italiano altre indimenticabili e prestigiose creazioni. Fra la seconda metà degli anni cinquanta e l'inizio degli anni settanta, sarà autore di un'ininterrotta serie di capolavori, fra cui Senso, Rocco e i suoi fratelli, Il Gattopardo, La caduta degli dei, Morte a Venezia e Ludwig. Altro grande protagonista nel panorama del cinema italiano d'autore è sicuramente Pier Paolo Pasolini, regista, attore e scrittore, che nelle sue opere si oppose alla morale del tempo. Personaggio di rottura, fino al suo assassinio (avvenuto nel 1975) non si stancò di combattere a tutti i livelli (letterario, cinematografico e politico) per proporre nuovi valori contrari al conformismo e al consumismo della società italiana a cavallo fra gli anni sessanta e settanta. I suoi film, dall'esordio Accattone (1961), a Mamma Roma, (1962) con Anna Magnani nel ruolo di una prostituta, Il vangelo secondo Matteo (1964), una tra le più apprezzate ricostruzioni cinematografiche della vita di Gesù, Uccellacci e uccellini, con il comico Totò nell'unica interpretazione drammatica della sua carriera, Edipo re (1967), Teorema (1968), Medea (1969) le trasposizioni cinematografiche della "trilogia" Il Decameron (1971), dei I racconti di Canterbury (1972) e Il fiore delle mille e una notte (1974) o le agghiaccianti scene di Salò o le 120 giornate di Sodoma (1975) hanno proposto chiavi di lettura alternative, scatenando spesso lunghe polemiche, talvolta con strascichi giudiziari ed episodi di censura. Pasolini, che non ha mai fatto mistero della sua omosessualità, è stato uno dei personaggi culturalmente più influenti di quegli anni a livello italiano ed europeo, malgrado le sue posizioni siano state considerate estreme e la sua opera sia spesso stata discriminata avendo a volte (perlomeno in Italia) più successo di critica che di pubblico. La grande stagione della commedia Nella seconda metà degli anni cinquanta si sviluppa anche il genere della commedia, spesso conosciuta come commedia all'italiana, una definizione che fa riferimento al titolo di un film di Pietro Germi: Divorzio all'italiana (1961) con Marcello Mastroianni e Stefania Sandrelli, due tra i più importanti attori del cinema italiano. Questo film ha vinto anche un Oscar nel 1963 per la migliore sceneggiatura originale. A tale filone si ricollegano i nomi dei principali attori italiani del tempo, da Alberto Sordi a Ugo Tognazzi, da Monica Vitti a Claudia Cardinale, da Vittorio Gassmann a Nino Manfredi, senza dimenticare Totò e Sofia Loren, oltre ai già citati Mastroianni e Sandrelli. Generalmente si ritiene sia stato Mario Monicelli capostipite e fra i massimi esponenti (con Ettore Scola, Pietro Germi, Luigi Comencini e Dino Risi) della commedia italica, ad inaugurare il nuovo genere con I soliti ignoti, del 1958, cui fecero seguito altri lungometraggi memorabili diretti dallo stesso regista come La grande guerra, L'armata Brancaleone, Amici miei e Un borghese piccolo piccolo. Gli anni sessanta sono il periodo del boom economico e anche il cinema risente dei cambiamenti che modificano radicalmente la società italiana. Fra i tanti film di questo decennio è importante ricordare Il sorpasso di Dino Risi, un lungometraggio che riesce a mischiare bene la comicità e la serietà del soggetto, con Vittorio Gassman nel ruolo del protagonista. Il finale drammatico della pellicola e la colonna sonora, con brani di Edoardo Vianello (con Guarda come dondolo) e Domenico Modugno (con Vecchio frack) sono altri due elementi che contribuiscono a rendere questo film una delle grandi creazioni di quegli anni. Tra gli ultimi capolavori della commedia italiana "classica" è doveroso segnalare Lo scopone scientifico di Luigi Comencini, C'eravamo tanto amati e La terrazza di Ettore Scola, che, uscito nel 1980, è, secondo taluni, l'ultimo film ancora ascrivibile al genere. In effetti sul finire degli anni settanta il tono delle commedie si fa sempre più cupo ed esistenziale: l'ottimismo del dopoguerra appare, anno dopo anno, solo un lontano ricordo. In questo periodo il genere declina rapidamente fino ad esaurirsi, salvo rare eccezioni (fra cui, forse, Amici miei atto II) all'inizio del decennio successivo. 4

Nel frattempo si impongono sempre più le commedie a sfondo (più o meno) erotico. Prodotte fin dai primi anni settanta, conosceranno un periodo di grande popolarità fra la metà di quello stesso decennio e l'inizio degli anni ottanta (commedia sexy all'italiana). Va infine messo in evidenza che spesso gli elementi costitutivi della commedia sono stati mescolati ad arte con generi diversi, dando vita a pellicole inclassificabili. Luigi Comencini è stato un maestro di tale tecnica: dopo aver raggiunto la celebrità negli anni cinquanta con alcune commediole rosa (tra tutte la celebre Pane, amore e fantasia del 1953 a cui seguirono due sequel altrettanto riusciti), ha regalato al cinema italiano opere come Tutti a casa, il già citato Scopone scientifico, lo sceneggiato Le avventure di Pinocchio, Il gatto in cui si fondono perfettamente e magistralmente generi e stili differenti. Il cinema sociale e politico I movimenti studenteschi ed operai della fine degli anni sessanta e quelli del decennio successivo influenzano anche il cinema, che, oltre al filone della commedia, si sviluppa anche in un genere più impegnato socialmente e politicamente. In questo contesto nuovi registi continuano e potenziano l'opera iniziata già anni prima tra gli altri da Francesco Rosi (Salvatore Giuliano, il film che narra la storia del famoso bandito siciliano, è del 1961). Tra i film più importanti si ricordano Indagine su un cittadino al di sopra di ogni sospetto (1970) e La classe operaia va in paradiso (1971) di Elio Petri, con la notevole interpretazione di Gian Maria Volontè l'interprete-simbolo del cinema d'impegno civile, la trasposizione cinematografica del romanzo di Leonardo Sciascia Il giorno della civetta (1967) e il successivo Confessione di un commissario di polizia al procuratore della repubblica (1971), entrambi di Damiano Damiani. Ma forse il punto d'arrivo del filone di "denuncia" fu Il caso Mattei (1972), un film inchiesta in cui il regista Francesco Rosi cerca di far luce sulla misteriosa scomparsa di Enrico Mattei, manager del più importante gruppo statale italiano, l'ENI. La pellicola di Rosi, sempre con Gian Maria Volontè come protagonista, vinse la Palma d'oro al festival di Cannes e divenne un modello per analoghi film d'inchiesta prodotti nei decenni successivi (a partire dal celebre JFK - Un caso ancora aperto di Oliver Stone). Anche se non strettamente legato alla realtà italiana è doveroso ricordare La battaglia di Algeri di Gillo Pontecorvo (1966), potente ricostruzione degli eventi civili e militari che portarono l'Algeria all'indipendenza dal colonialismo francese. Il film di Pontecorvo, Leone d'oro a Venezia, è divenuto nel tempo una delle opere italiane più conosciute e celebrate nel mondo. Il cinema commerciale o "di genere" italiano Accanto al cinema neorealista, degli autori, della commedia all'italiana, politico e di denuncia sociale a partire dal secondo dopoguerra nacque anche un cinema italiano più popolare e d'evasione che se da una parte verrà snobbato ed osteggiato dalla critica da un altro sarà invece apprezzato dal pubblico di tutto il mondo facendo rientrare di diritto anche questi film nella storia della cinematografia italiana. I generi cinematografici proposti saranno diversi a seconda dell'epoca e dei gusti e molte volte si mischieranno tra loro; ecco una breve lista dei generi di maggior successo. Melodrammi "strappalacrime" Tra la fine degli anni quaranta e l'inizio degli anni cinquanta, accanto al neorealismo vero e proprio, fiorì anche un neorealismo d'appendice ovvero dei film melodrammatici comunemente detti "strappalacrime", un genere più popolare, già molto in voga in Italia ai tempi del cinema muto. Tale tipologia di film narrava le vicissitudini di coppie unite dall'amore ma divise dai ceti sociali di appartenenza, soffermandosi soprattutto sulle sofferenze, le vessazioni e le rinunce che subivano le protagoniste femminili ma arrivando (quasi sempre), anche se dopo molte tragiche vicende, ad un lieto fine con i buoni che hanno la meglio sui cattivi (che in alcuni casi si redimono) e con l'amore della coppia protagonista che trionfa (per alcuni aspetti questi film possono essere considerati antesignani delle odierne telenovelas sudamericane). I melodrammi strappalacrime saranno poco apprezzati dalla critica, che li considererà alla stregua di fotoromanzi cinematografici (solo a partire dagli anni settanta inizieranno ad essere rivalutati), ma ebbero invece una grande presa tra il pubblico italiano dell'epoca che ne decretò il successo per tutto il decennio. Il maestro di tale filone fu Raffaello Matarazzo, già regista delle commedie dei telefoni bianchi negli anni trenta e nei primi anni quaranta, che fu l'autore di una serie di film realizzati tra il 1949 ed il 1958, interpretati da Amedeo Nazzari ed Yvonne Sanson, considerati la coppia-simbolo dei melodrammi strappalacrime: tutti questi film ovvero Catene (film campione d'incasso in Italia della stagione 1949-50), Tormento, I figli di nessuno, Chi è senza peccato..., Torna!, L'angelo bianco, Malinconico autunno furono premiati da un'enorme successo commerciale.

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Altri film ascrivibili al genere sono Menzogna, Vortice, Noi peccatori, Guai ai vinti, L'intrusa, L'ultima violenza e La risaia. Anche Alberto Lattuada si cimento con questo filone popolare con il film Anna del 1951 interpretato da Silvana Mangano, ed anch'esso ottenne un successo clamoroso: Anna fu infatti il primo film italiano a raggiungere il miliardo di lire d'incassi e ad essere doppiato in lingua inglese. Il successo di questi film durò per tutti gli anni cinquanta; in seguito nei primi anni sessanta il favore del pubblico nei confronti del filone strappalacrime iniziò ad affievolirsi in favore di nuovi generi cinematografici, tant'è che lo stesso scomparve del tutto a metà dello stesso decennio. Peplum e Cappa e spada Un altro genere di successo degli anni cinquanta e sessanta fu sicuramente il "Peplum", ovvero quei film ambientati nell'antichità narranti fatti mitologici o biblici, nati sulla scia del successo di kolossal hollywoodiani come Quo Vadis? e Ben Hur. Questi film narravano anche le gesta di potenti eroi mitologici, come Ercole, Maciste, Sansone o Ursus, in lotta per liberare interi popoli da mostri o sovrani malvagi oppure con la missione di salvare fanciulle in pericolo. Tali personaggi forzuti entrarono nell'immaginario collettivo ed erano interpretati da attori americani che avevano avuto in passato esperienze da body-builder come Gordon Scott, Steve Reeves e Brad Harris. Dalla metà degli anni sessanta tale genere iniziò a mescolarsi ad altri come ad esempio l'horror e queste commistioni erano dovute ad un iniziale stancamento del pubblico nei confronti di queste pellicole, che finirono la propria produzione alla fine del decennio dopo anni di successi a livello internazionale. Genere analogo al peplum fu il cappa e spada in cui si inseriscono quei film avventurosi o storici ambientati però nel Medioevo o nel Rinascimento. Tali film narravano le gesta di uomini e donne realmente esistiti, come Caterina Sforza o Giovanni dalle Bande Nere, oppure vedevano protagonisti i personaggi della letteratura d'avventura. La critica dell'epoca però giudicherà questi due generi come immensi spettacoloni di cartapesta senza pretese e dallo scopo meramente commerciale. Nello stesso periodo anche un altro genere ottiene un grande successo, non solo a livello nazionale, ma anche e soprattutto a livello internazionale: il western all'italiana. Con questa definizione s'intendono tutta una serie di film italiani d'ambientazione western (spesso girati in Spagna), non solo con attori italiani, ma anche americani ancora non conosciuti, come Clint Eastwood. Sergio Leone è il precursore di questo filone, con la cosiddetta trilogia del dollaro: Per un pugno di dollari (1964), Per qualche dollaro in più (1965) e Il buono, il brutto, il cattivo (1966). Lo stile leoniano, coadiuvato dalle eccezionali colonne sonore di Ennio Morricone, è di programmatica rottura con l'enfasi patriottarda e romantica dei classici statunitensi: crea un universo iperbolico, dominato da violenza e sopraffazione e dipinto con un incessante umorismo nero. La qualità filmica della trilogia raggiunge l'apice con l'ultimo capitolo: una sorta di la grande guerra ambientato durante il conflitto di secessione (1860-1865) e raccontato mescolando felicemente toni picareschi a momenti di grande lirismo. Leggendario il finale: raro capolavoro di montaggio e combinazione tra musica e immagine. A questo trittico seguiranno lo straordinario kolossal epico C'era una volta il West (1968), girato in parte nella Monument Valley americana, e Giù la testa (1971). Sergio Leone, snobbato all'epoca da buona parte della critica, viene oggi celebrato come uno dei registi italiani più noti e amati internazionalmente. Il successo mondiale dei film di Leone aprì la strada a una moltitudine d'imitazioni made in (circa cinquecento pellicole in dieci anni): quasi tutte di scarsa qualità, pur con valide eccezioni. Da ricordare a tal proposito Il grande silenzio (1969) di Sergio Corbucci, La resa dei conti (1967) e Faccia a faccia (1967) di Sergio Sollima, Quien sabe? (1966) di Damiano Damiani, Keoma (1976) di Enzo G. Castellari, Le colt cantarono la morte e fu... tempo di massacro e I quattro dell'apocalisse di Lucio Fulci. Altro genere fra gli spaghetti-western sono state le commedie western vicine al genere del film comico, scritte e dirette dal regista Enzo Barboni (che si firmava con lo pseudonimo di E.B. Clucher) e con gli attori Bud Spencer e Terence Hill (nomi d'arte degli italiani Carlo Pedersoli e Mario Girotti). Tra i suoi film ricordiamo Lo chiamavano Trinità... (1970) e il seguito ...continuavano a chiamarlo Trinità (1972) quest'ultimo campione d'incasso in Italia nel 1971-1972. Del 1973 è Il mio nome è Nessuno: celebre, curiosa pellicola che unisce l'epicità (e il coprotagonista Henry Fonda) di C'era una volta il west con la comicità demenziale dei western-comici.

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Giallo, thriller e horror Per quanto riguarda il cinema di genere un'importante rilevanza va data all'horror e al thriller per i seguenti anni fonte per registi di fama internazionale (autori decisamente influenzati sono stati Quentin Tarantino, come Brian De Palma o Tim Burton). I due nomi fondamentali di questa fase sono stati Mario Bava e Dario Argento. Il primo, direttore della fotografia passato alla regia, ha non solo creato un vero presupposto per un horror di qualità in Italia, ma si è rivelato soprattutto un notevole narratore, colto e raffinato. Titoli fondamentali della sua filmografia sono gioielli come La maschera del demonio (1960), La frusta e il corpo (1962), Operazione paura (1966), I tre volti della paura (1965), il postumo Cani arrabbiati o l'antesignano del moderno slasher Reazione a catena (1971). Dario Argento, ideale continuatore di certe atmosfere baviane, ha decisamente fatto diventare l'horror italiano una forma di cinema più popolare, oscillando dal thriller puro all'horror di natura più fantastica, con pellicole che sono tuttora prese a modello sia dal punto di vista formale ed estetico che da quello narrativo. Pur avendo attinto a piene mani a pellicole come La ragazza che sapeva troppo e Sei donne per l'assassino di Bava, Argento nelle sue opere migliori ha saputo emanciparsi dal maestro grazie a un uso incalzante del montaggio in combinazione a colonne sonore di grande fascino, virtuosistiche e insinuanti (fondamentale, nel suo periodo d'oro, la collaborazione con il gruppo musicale dei Goblin). Titoli da ricordare L'uccello dalle piume di cristallo (1970), Quattro mosche di velluto grigio (1971), Profondo rosso (1975), Phenomena (1985) e il suo capolavoro Suspiria (1977). Nell'ambito di questi due generi tuttavia, intorno agli anni sessanta e in particolare nel decennio seguente si è sviluppata un'ondata di registi che hanno reinventato diverse forme di cinema horror lasciando contributi memorabili: tra i molti è possibile ricordare Antonio Margheriti (Danza macabra, Contronatura), Riccardo Freda (L'orribile segreto del dr. Hichcock, Lo spettro), Lucio Fulci (Non si sevizia un paperino, ...E tu vivrai nel terrore! L'aldilà), Pupi Avati (La casa dalle finestre che ridono, Zeder), Ubaldo Ragona (L'ultimo uomo della Terra), Francesco Barilli (Il profumo della signora in nero), Sergio Martino (Lo strano vizio della signora Wardh, I corpi presentano tracce di violenza carnale), Ruggero Deodato (La casa sperduta nel parco), Pasquale Festa Campanile (Autostop rosso sangue), Aldo Lado (La corta notte delle bambole di vetro, Chi l'ha vista morire? ), Massimo Dallamano (Il medaglione insanguinato, Cosa avete fatto a Solange?) e perfino Federico Fellini, che si concesse un'intrigante divagazione horror nell'episodio Toby Dammit del film Tre passi nel delirio. il sotto-genere Splatter Nel corso degli anni settanta il cinema horror italiano sconfinò più volte nello splatter e nel gore, dando vita a un filone esecrato dalla critica dell'epoca ma che, in alcuni casi, fu in seguito rivalutato e comunque lasciò un segno nell'immaginario cinematografico italiano. Suscitò interesse internazionale soprattutto il genere "cannibalistico", avviato da Umberto Lenzi nel 1972 con Il paese del sesso selvaggio. L'idea di ambientare storie horror/avventurose in scenari esotici e solari si rivelò vincente sotto il profilo commerciale e negli anni successivi ne nacque un vero e proprio filone. Esempi celebri sono La montagna del dio cannibale (1978) di Sergio Martino, Mangiati vivi! (1979) e Cannibal Ferox (1980) di Umberto Lenzi, Emanuelle e gli ultimi cannibali (1977) e Antropophagus (1980) di Joe D'Amato e soprattutto Cannibal Holocaust di Ruggero Deodato uscito nel 1980 che ebbe molti strascichi polemici per via della estrema violenza di molte scene. Anche altri simili film furono accompagnati all'uscita da grandi polemiche e divieti da parte della censura per la crudeltà e la violenza esposte. Nel corso degli anni ottanta si può affermare che le eccezioni del decennio precedente divennero quasi regola: furono prodotte decine di pellicole thriller/horror di infima qualità (all'epoca si preferiva usare la definizione "Serie Z", analoga al B-movie), spesso seguiti apocrifi di film cult d'oltreoceano. Il concentrato di cattivo gusto, dilettantismo, ridicolo involontario di quelle pellicole, ha tuttavia finito per conquistare nel tempo un'ampia schiera d'estimatori. Commedia sexy e commedia trash Negli anni settanta l'allentarsi dei confini della censura, la degenerazione del gusto, e soprattutto la ricerca del successo commerciale mediante investimenti di modesta entità, permisero lo sviluppo, accanto alla commedia all'italiana, della commedia erotica all'italiana. Trame, sceneggiature e dialoghi, generalmente risibili, fecero da pretesto per sviluppare pellicole (più o meno) erotiche: a questo genere di film legarono la propria popolarità (almeno inizialmente) attori come Lino Banfi, Massimo Boldi, Diego Abatantuono, Gloria Guida, Barbara Bouchet, Edwige Fenech e Serena Grandi. Accanto a queste, sempre negli anni settanta ed ottanta, s'inseriscono anche moltissime commedie a carattere non erotico che però per via di un uso molto diffuso di parolacce, gestacci e di gag secondo alcuni volgari ed alla ricerca 7 della risata facile vengono comunemente dette trash (ovvero commedie-spazzatura); all'interno di tale filone vengono annoverati ad esempio i film aventi come protagonista la figura di Pierino (interpretato da vari attori tra i quali il più ricordato è sicuramente Alvaro Vitali) o quella del commissario Nico Giraldi, interpretato da Tomas Milian. Secondo alcuni nel filone trash andrebbero incluse le numerose pellicole della saga di Fantozzi, scritta e interpretata da Paolo Villaggio. Ovviamente sia la commedia sexy che la commedia trash furono due generi apertamente disprezzati dalla critica di allora ma, per contrappasso così come per quasi tutti i generi cinematografici commerciali, furono popolarissimi tra il pubblico dell'epoca ottenendo quasi sempre altissimi incassi al box office. Negli ultimi anni tali film sono stati oggetto di una rivisitazione ed in alcuni casi di rivalutazione grazie anche a trasmissioni televisive come Stracult in onda su Rai 2 ideata dal critico cinematografico Marco Giusti. Lacrima-movie Un altro genere di successo sviluppatosi sul finire degli anni sessanta è il genere del Lacrima-movie (rilancio del genere melodrammatico strappalacrime in voga negli anni cinquanta, ma a differenza di quest'ultimo in cui vi era sempre un lieto fine, questi film puntavano invece su finali altamente tragici): queste pellicole in genere mostravano storie drammatiche soprattutto su figli (interpretati da attori bambini come Renato Cestiè, interprete simbolo di questo filone cinematografico) con genitori troppo distaccati o severi oppure in procinto di separarsi, destinati a morire alla fine della storia per una disgrazia od una malattia oppure narrava di coppie in crisi che riescono a ritrovare l'amore per poi essere separate inesorabilmente da un destino avverso (anche qui sotto forma di malattia).[6] Il capostipite di questo genere è Incompreso di Luigi Comencini: altri esempi sono Voltati Eugenio sempre di Comencini, L'ultimo sapore dell'aria di Ruggero Deodato, L'albero dalle foglie rosa di Armando Nannuzzi, Il venditore di palloncini di Mario Gariazzo o Bianchi cavalli d'agosto e L'ultima neve di primavera di Raimondo Del Balzo nonché un remake realizzato nel 1974 da Bruno Gaburro del celebre strappalacrime I figli di nessuno di Raffaello Matarazzo.[7] Altri titoli del filone del Lacrima-movie furono: Anonimo veneziano, La bellissima estate, Per amore, Stringimi forte papà, Ancora una volta... a Venezia, Eutanasia di un amore, Questo si che è amore, Il maestro di violino, Piange... il telefono, Dedicato a una stella e Profumi e balocchi. Tali film ebbero successo in tutto il mondo (in particolar modo in Giappone) e la produzione di tale filone continuò con successo fino alla metà degli anni ottanta fino a che non si arrivò ad una saturazione e dunque iniziò un lento declino di questo genere, fino a che lo stesso scomparve alla fine del decennio dopo un ultimo film Le ultime foglie d'autunno del 1988. Erotico Un caso a parte è quello del regista , che durante gli anni settanta diresse alcune eccentriche grandi produzioni (Salon Kitty, Io, Caligola) e ottenne un buon successo nel 1983 con La chiave, dramma erotico con Stefania Sandrelli in veste inedita, continuando negli anni successivi la produzione di film di vario genere (comici, drammatici e storici) sempre però con uno sfondo altamente erotico (Miranda, Paprika, , Senso 45) ed alcuni prettamente erotici (Capriccio, Così fan tutte, Monella, Fallo!, ). Poliziottesco Altro genere di successo negli anni settanta fu il cosiddetto "poliziesco all'italiana" ribattezzato "poliziottesco", in cui vengono trattate storie di poliziotti duri dai metodi spicci, talvolta non tanto differenti da quelli dei loro antagonisti, alle prese con delinquenti, terroristi ed organizzazioni criminali spietate sullo sfondo delle principali metropoli italiane (Roma, Milano, Napoli, Torino, Palermo e Genova). Protagonisti potevano essere anche normali cittadini vittime di episodi criminosi che, di fronte all'inefficienza ed alla lentezza della legge, decidono di farsi giustizia da soli, divenendo una specie di giustizieri in lotta contro il crimine. Tali film, carichi di azione, inseguimenti e scene molto violente, avevano anche dei richiami sia a fatti di cronaca nera realmente accaduti nell'Italia di quell'epoca sia alla realtà sociale delle città italiane negli anni settanta (si era nel pieno dei cosiddetti "anni di piombo" e del boom della criminalità organizzata e non e del traffico e consumo di droga) e contenevano anche degli attacchi più o meno espliciti al sistema giudiziario italiano di allora, considerato troppo arrendevole ed inefficiente. Tali film furono poco amati dalla critica dell'epoca, che li definì molto negativamente etichettandoli come fascisti, qualunquisti e giustizialisti e accusandoli di essere tutti uguali nelle trame così come nei personaggi, ma furono molto apprezzati dal pubblico italiano ed internazionale. Anche in questo genere si trovano registi ed attori "tipici", molti dei quali provenienti dallo spaghetti-western, di cui il poliziottesco si proponeva come genere "erede" perché le atmosfere, le situazioni e le figure dei fuorilegge e degli sceriffi del genere western venivano trasferiti nei contesti metropolitani dell'Italia di allora. I principali registi del 8 poliziottesco furono Umberto Lenzi, Stelvio Massi, Fernando Di Leo ed Enzo G. Castellari mentre nella maggior parte di questi film venivano impiegati attori come Maurizio Merli, Franco Nero, Gastone Moschin, Tomas Milian, Ray Lovelock, John Saxon. I capolavori del poliziottesco come Milano calibro 9, La mala ordina, Il boss, Il cittadino si ribella, La polizia incrimina, la legge assolve, Roma violenta e Napoli violenta sono stati di recente oggetto di rivalutazione da parte della stessa critica che tanto li aveva bistrattati, anche grazie al regista Quentin Tarantino, che si è detto grande appassionato di questi film. Così come nello spaghetti-western anche il poliziottesco vedrà sviluppare successivamente un filone comico, le cui pellicole fungeranno da autoparodia degli stessi molte volte realizzate dagli stessi registi ed interpretate dagli stessi attori del genere, come la saga del commissario romano Nico Giraldi, interpretato da Tomas Milian che già aveva preso parte in molti poliziotteschi drammatici nel ruolo del criminale spietato (anche se secondo alcuni i film del commissario Giraldi sono più ascrivibili al genere della commedia trash invece che al poliziottesco comico). In questo filone comico rientra anche la saga del poliziotto napoletano Piedone, interpretato da Bud Spencer. Il successo del poliziottesco fu tanto intenso quanto di breve durata perché la produzione di tali film durò poco più di un decennio per poi scomparire a metà degli anni ottanta, anche se si riscontrano alcuni poliziotteschi "tardi" realizzati tra la fine degli anni ottanta ed i primi anni novanta. Fantascienza Per quanto non molto ricordato, il cinema italiano ha avuto anche un proprio filone di fantascienza, sebbene realizzato in modo molto più artigianale e povero rispetto a quello hollywoodiano, di cui è rimasto prevalentemente al traino. Escludendo alcune pellicole del periodo del muto[8] e film farseschi come Baracca e burattini, Mille chilometri al minuto o Totò nella luna (nei quali gli elementi fantascientifici sono utilizzati in funzione della commedia), la fantascienza cinematografica made in Italy si sviluppò a partire dalla fine degli anni cinquanta grazie a registi come Paolo Heusch (La morte viene dallo spazio del 1958), Riccardo Freda (Caltiki, il mostro immortale del 1959) e soprattutto Antonio Margheriti, realizzatore di film tra i quali Space Men del 1960 e I diafanoidi vengono da Marte del 1965; nonostante il livello degli effetti speciali di tali film fosse piuttosto modesto, riuscirono ad avere un certo successo ed essere esportati anche all'estero, dando il via alla produzione di una miriade di film di genere diretti da vari registi specialisti come Ubaldo Ragona, Pietro Francisci e il maestro dell'orrore Mario Bava (Terrore nello spazio, 1965): in effetti la cinematografia fantascientifica italiana fu piena di commistioni con l'horror. Vi furono anche autori più impegnati che si concessero divagazioni fantascientifiche,[9] come ad esempio Elio Petri, con il film del 1965 La decima vittima, interpretato da Marcello Mastroianni ed Ursula Andress, e Marco Ferreri con Il seme dell'uomo (1969). In particolare negli anni sessanta e settanta il filone fantascientifico si è incrociato con quello della satira e della critica sociale. Tra le opere più note del filone cinematografico fantascientifico italiano è spesso citato Scontri stellari oltre la terza dimensione (Star Crash) del 1978 di Luigi Cozzi, uscito a poca distanza dal primo episodio di Guerre stellari di George Lucas e pubblicizzato come risposta italiana a tale film, nonostante fosse chiaramente un per gli standard hollywoodiani. Dagli anni novanta in poi il filone fantascientifico è quasi scomparso dalla cinematografia italiana, con pochissimi titoli prodotti rispetto ai tre decenni precedenti. Eccezione rilevante è Nirvana del 1997 di Gabriele Salvatores, che costituisce la produzione fantascientifica per il cinema più costosa in Italia e quella di maggiore successo commerciale[10][11] (escludendo le semplici commedie come A spasso nel tempo). Spionistico Il genere spionistico fu presente nel cinema italiano tra la metà degli anni anni sessanta e la metà dei settanta, esplodendo in particolare tra il 1965 e il 1967 con una cinquantina di film fanta-spionistici di poche pretese realizzati sull'onda del successo mondiale conseguito dalle pellicole di James Bond, l'agente 007, all'epoca interpretato da Sean Connery, poi da George Lazenby ed infine da Roger Moore. Film realizzati quasi sempre in tempi brevissimi, a basso costo e di scarsa qualità, le imitazioni italiane narravano le gesta di agenti segreti in lotta contro organizzazioni terroristiche internazionali e scienziati pazzi per il controllo di armi apocalittiche; i protagonisti portavano nomi che richiamavano la figura di Bond (077, 008 ed altri ancora), mentre non erano rari i casi in cui venivano ingaggiate, come protagoniste femminili, attrici che avevano in precedenza partecipato agli 007 ufficiali come Bond-girls. Proprio come lo spaghetti-western e il poliziottesco, anche questo genere aveva generato un filone comico che ne faceva la parodia, come ad esempio ne Le spie vengono dal semifreddo del 1966 di Mario Bava, una coproduzione Italia-USA in cui recita la coppia comica Franco e Ciccio assieme a Vincent Price.

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Oltre che in Italia anche in altri paesi europei si svilupparono dei filoni d'imitazione dei film di James Bond (come ad esempio in Francia con la serie dell'agente segreto Francis Coplan), quindi la critica americana dell'epoca etichettò tutti questi film europei (inclusi quelli italiani) sotto il nome di Eurospy. Musicarelli La cinematografia nostrana non ha (quasi) mai investito nel genere del musical (l'unico film italiano ascrivibile al genere è Carosello napoletano del 1953 interpretato tra gli altri da Sophia Loren). A partire dalla fine degli anni cinquanta e fino a tutti gli anni settanta però molto successo ebbero i cosiddetti Musicarelli ovvero quei film (quasi sempre commedie a carattere sentimentale) che avevano come protagonisti i cantanti italiani più in voga di quegli anni (Little Tony, Rita Pavone, Gianni Morandi, Caterina Caselli, Domenico Modugno, Claudio Villa, Bobby Solo, Iva Zanicchi, Al Bano, Adriano Celentano, Mina e molti altri) i quali, tra una scena e l'altra, cantavano i loro successi del momento (molte volte questi film erano le trasposizioni cinematografiche delle loro canzoni). Tra i titoli più famosi si ricordano In ginocchio da te con Gianni Morandi e Rita la zanzara con Rita Pavone. Gli attori italiani Accanto ai registi ed ai generi cinematografici altro elemento che ha fatto la fortuna del cinema italiano nel '900 sono stati sicuramente i vari divi nostrani; il fenomeno del divismo italiano si sviluppò negli anni dieci grazie ad attori come Mario Bonnard ed Emilio Ghione ed attrici come Francesca Bertini e Lyda Borelli; alla fine degli anni venti con la crisi che l'opprimeva, il nostro cinema non seppe produrre nuovi divi che soppiantassero quelli del muto (ormai surclassati dall'avvento del sonoro) ed il divismo nostrano riprese quota soltanto nel decennio successivo: a partire dal 1939 per via del regime fascista che di fatto bloccò la distribuzione dei film americani in Italia, si dovettero non solo produrre più film ma anche lanciare nuovi volti che sostituissero nell'immaginario collettivo le star hollywoodiane e che avessero caratteristiche che esaltassero la bellezza, la virilità e la superiorità d'animo della razza italiana (secondo i dettami fascisti): ecco che così tra gli uomini conobbero successo Massimo Girotti, Amedeo Nazzari, Gino Cervi, Mario Ferrari, Rossano Brazzi, Raf Vallone ed Osvaldo Valenti mentre tra le donne si fecero notare Isa Miranda, Clara Calamai, Alida Valli, Valentina Cortese, Elsa Merlini, Doris Duranti, Maria Denis, Anna Magnani e Luisa Ferida. Alcuni di questi (Isa Miranda, Alida Valli, Valentina Cortese, Rossano Brazzi) furono notati anche all'estero ed ebbero anche parentesi hollywoodiane tutte di breve durata e poco fortunate. È dalla fine degli anni quaranta e soprattutto negli anni cinquanta che gli attori italiani vivono un fortunatissimo periodo di gloria internazionale: tra le donne oltre alla Magnani, la Cortese e la Valli (le uniche che continuano a lavorare con continuità anche dopo la fine del cinema di regime fascista) si fanno spazio le nuove dive "maggiorate" (così chiamate per via delle loro forme prorompenti) come Gina Lollobrigida, Silvana Mangano, Silvana Pampanini, Lucia Bosè, Eleonora Rossi Drago e soprattutto Sophia Loren che conoscono successo ed allori sia in Italia che all'estero (anche se tra tutte queste solo la Loren e la Lollobrigida riusciranno ad avere un successo duraturo anche a livello internazionale), arrivando addirittura ad oscurare le dive hollywoodiane a loro contemporanee mentre tra gli uomini oltre a Brazzi ottengono fama oltre i confini nazionali anche Vittorio Gassman, Marcello Mastroianni, Nino Manfredi. Arrivano anche i primi riconoscimenti; nel 1955 Anna Magnani vince l'Oscar come migliore attrice protagonista per il film La rosa tatuata e sette anni dopo nel 1962 anche Sophia Loren si aggiudica la statuetta per la sua interpretazione nel film La ciociara (il premio Oscar dato alla Loren fu storico perché per la prima volta venne premiata un'interpretazione che non fosse in inglese). Negli anni sessanta alle maggiorate si aggiungono Claudia Cardinale e Virna Lisi e tra gli uomini attori più impegnati come Gian Maria Volontè e Franco Nero e negli anni settanta si fanno conoscere anche Giancarlo Giannini, Mariangela Melato ed Ornella Muti; accanto a questi trovano successo attori di genere ovvero tutti quegli attori che erano legati ad un preciso genere commerciale (horror, commedia sexy, poliziesco, western ed altri). A partire dagli anni ottanta e per tutti gli anni novanta il nostro cinema non è stato più capace di lanciare nuovi attori che si siano distinti anche fuori dall'Italia per via della crisi dell'industria cinematografica che non consentiva più una facile distribuzione dei film nostrani all'estero fatta eccezione per Roberto Benigni (vincitore nel 1998 dell'Oscar come migliore attore protagonista per La vita è bella) e Massimo Troisi (candidato all'Oscar postumo nel 1996 per il film Il postino). Solo ultimamente con la ripresa dell'industria cinematografica italiana nuovi attori italiani si stanno facendo notare anche a livello internazionale un esempio è Elio Germano vincitore della palma d'oro a Cannes nel 2010 come migliore attore protagonista per il film La nostra vita o anche Monica Bellucci notissima a livello internazionale che molto spesso lavora a dei film girati in Francia o ad Hollywood. La crisi degli anni ottanta Sul finire degli anni settanta si iniziano a percepire, per il cinema italiano, i primi sintomi di una crisi che esploderà nella prima metà degli anni ottanta e che si protrarrà, con alti e bassi, per oltre un decennio. Si tratta di un processo 10

fisiologico, legato per lo più all'avanzare della televisione commerciale, che investe nello stesso periodo altri paesi di grande tradizione cinematografica (Giappone in particolare, ma anche Francia). In questi anni la commedia all'italiana scompare come genere, anche in seguito al progressivo esaurirsi della vena creativa dei maestri dei decenni precedenti, e il cinema d'autore e quello d'impegno civile tendono ad isolarsi, con una serie di film che difficilmente si inseriscono in uno sviluppo comune. Gli attori di punta della cinematografia italiana invecchiano e si vive in un periodo di transizione verso una nuova generazione di interpreti. Anche il cinema italiano commerciale, una volta esauritisi i generi in voga nei decenni precedenti, non riesce a creare nuovi filoni di successo e dunque, dalla seconda metà del decennio in poi, si limiterà solamente a copiare i maggiori film d'oltreoceano con produzioni infime e di basso livello qualitativo ed artistico, che non vanno oltre il B-movie e che dunque non riescono più a trovare una distribuzione nelle sale cinematografiche, che vengono così monopolizzate dalle più abbienti, costose e spettacolari pellicole hollywoodiane, che da qui in poi prenderanno il sopravvento, tanto che il cinema di genere italiano scomparirà totalmente nei primi anni del decennio successivo. Non mancano comunque film d'autore memorabili, quantomeno nella prima metà del decennio. Tra le pellicole principali figurano La città delle donne (1980), E la nave va (1983) e Ginger e Fred (1985) di Fellini, L'albero degli zoccoli (1978), di Ermanno Olmi (vincitore della Palma d'oro al Festival di Cannes), Una giornata particolare (1978) e La terrazza (1980) di Ettore Scola, Bianca (1984) e La messa è finita (1985) di Nanni Moretti, il Minestrone (1981) di Sergio Citti, La notte di San Lorenzo (1982) dei fratelli Taviani, Tre fratelli (1981) di Francesco Rosi. Anche se non sono film completamente italiani, non si possono dimenticare C'era una volta in America di Leone (1984) e L'ultimo imperatore (1987), la pellicola di Bernardo Bertolucci vincitrice di nove Oscar e nove David di Donatello.

Sul fronte della commedia si ricordano alcuni lavori del giovane Massimo Troisi che ottiene consensi con Ricomincio da tre (1981), Scusate il ritardo (1983) e soprattutto Non ci resta che piangere (1984), Carlo Verdone che dà il meglio di sé in film come Un sacco bello (1980), Bianco, rosso e Verdone (1981), Acqua e sapone (1983), Borotalco (1984) e Compagni di scuola (1988), Mario Monicelli che torna al successo con Speriamo che sia femmina (1988), Roberto Benigni che raggiunge notorietà internazionale con Il piccolo diavolo (1988), interpretato da Walter Matthau. Riguardo, invece, alla commedia sullo sfondo storico, va citato il grande State buoni se potete di Luigi Magni, con grandi star come Johnny Dorelli, Philippe Leroy, Mario Adorf e Renzo Montagnani. Tra le poche rivelazioni del decennio merita d'essere ricordato Franco Piavoli, autore proveniente dal cineamatorismo che fin dalla sorprendente e poetica opera prima Il pianeta azzurro (1982) si rivela come un caso unico nel panorama italiano. Piavoli, più interessato alle immagini e ai suoni della natura che alle parole, prosegue la sua ricerca con Nostos - Il ritorno (1989), un'affascinante rilettura dell'Odissea. Anni novanta La crisi creativa ed economica emersa in tutta la sua gravità nella metà degli anni ottanta, comincerà ad attenuarsi, per il cinema italiano, nel decennio successivo anche se il cinema di genere scompare totalmente, ormai ridotto economicamente all'osso e non più in grado di competere con i grandi blockbuster hollywoodiani. Il prestigio e il successo internazionale di alcuni registi (fra cui Giuseppe Tornatore e Roberto Benigni) favoriscono comunque una piccola ripresa del cinema italiano. Segnali di rinascita, perlomeno a livello popolare, si colgono infatti fin dagli inizi degli anni novanta con Nuovo cinema Paradiso, il film con cui il già citato Tornatore vince il premio Oscar per la miglior pellicola straniera (1990), un successo bissato due anni dopo da Gabriele Salvatores con Mediterraneo, una storia ironico/vacanziera su un gruppo di soldati italiani sperduti su un'isola della Grecia durante la seconda guerra mondiale. Nonostante la tiepida accoglienza della critica, si giudica positivamente la ritrovata visibilità internazionale del cinema italiano. Comunque negli anni seguenti non mancheranno pellicole di sicuro valore artistico: Le vie del Signore sono finite (1987), di Massimo Troisi; Gianni Amelio s'impone all'attenzione con Porte aperte (1989) e si conferma con Il ladro di bambini (1992) e Lamerica (1994), Nanni Moretti vince un premio a Cannes con l'acclamato Caro diario (1993), Francesca Archibugi emoziona con Il grande cocomero (1993). Opere non meno importanti di quel periodo sono: La voce della luna (1990) ultimo film di Federico Fellini, Jona che visse nella balena (1993) di Roberto Faenza, favola nera sui campi di sterminio nazisti, L'amore molesto (1995) di Mario Martone interpretato da una memorabile Anna Bonaiuto, Senza pelle (1994) di Alessandro D'Alatri che rilancia la carriera di Kim Rossi Stuart. Dividono la critica Ciprì e Maresco che mettono a frutto l'esperienza televisiva maturata con Cinico tv nell'esordio Lo zio di Brooklyn (1995) e nei successivi Totò che visse due volte (1998) e Noi e il Duca - quando Duke Ellington suonò a 11

Palermo (1999). Lo stile surreale e immaginifico dei due autori che procedono per accumulo di episodi in un universo totalmente iperbolico sconcerta, tra entusiasmi e stroncature. Gradualmente riprende quota la commedia, pur rivisitata con temi e stili contemporanei: ricevono consensi Pensavo fosse amore invece era un calesse (1991) di Massimo Troisi, Maledetto il giorno che t'ho incontrato (1992) e Perdiamoci di vista (1994) di Carlo Verdone, viene salutato dalla critica come una rivelazione Paolo Virzì, autore di La bella vita (1994), Ferie d'agosto (1995) e Ovosodo (1997), riceve grandi consensi di pubblico Leonardo Pieraccioni, specialmente con Il ciclone (1996). Importante ricordare Il postino (1994), regia di Micheal Radford, con uno straordinario Massimo Troisi, candidato a 5 Premi Oscar tra cui migliore attore protagonista e miglior film. Vinse l'oscar per la colonna sonora composta da Luis Bacalov. Gabriele Salvatores, dopo l'Oscar per Mediterraneo, prosegue, con Puerto Escondido (1992) e Sud (1993) la sua riflessione basata su una rivolta pacifica ad una società alienante, e, in ultima analisi, sulla fuga da essa. Un discorso a parte merita l'italo/svizzero Silvio Soldini il cui stile dolce-amaro non rientra facilmente in alcun genere: nel corso degli anni novanta dirige alcuni dei suoi film più noti: L'aria serena dell'ovest (1990), Un'anima divisa in due (1993), Le acrobate (1997). Tra gli esordienti del periodo non passa inosservato Mimmo Calopresti che dirige Nanni Moretti nell'intenso La seconda volta (1995) e si conferma con La parola amore esiste (1998). Gli ultimi anni del decennio vedono Gianni Amelio incassare un Leone d'oro a Venezia con l'impegnativo Così ridevano (1998), Bernardo Bertolucci tornare alla regia in Italia con l'accattivante L'assedio (1998) e soprattutto il trionfo internazionale di Roberto Benigni con La vita è bella (1997). L'attore-regista toscano, già premiato dal pubblico coi precedenti Johnny Stecchino (1991) e Il mostro (1994), realizza il suo film più ambizioso: una coraggiosa e drammatica satira sull'Italia fascista e i campi di concentramento nazisti. Il film, tra i numerosi riconoscimenti, otterrà nel 1999 l'Oscar al miglior film straniero, a Roberto Benigni come migliore attore protagonista e a Nicola Piovani per la migliore colonna sonora originale. Altri autori del cinema italiano Pur individuando nei decenni cinquanta, sessanta e settanta il periodo aureo del cinema italiano d'autore, produttivamente e artisticamente, in tempi più recenti altri registi hanno conquistato la nomea di "autori", riuscendo a raggiungere fama e riconoscimento internazionale. Ermanno Olmi viene considerato da molti il contraltare cattolico a Pier Paolo Pasolini: un (raro) esempio di regista- poeta ma ideologicamente opposto al marxismo pasoliniano.[senza fonte] Già nel film d'esordio Il tempo si è fermato (1958), emozionante parabola sui rapporti tra l'uomo e la natura, emergono le doti artistiche e l'ispirazione di Olmi. La notorietà arriverà tre anni dopo con Il posto (1961), un ritratto dolce-amaro della Milano del boom economico. Dopo alcuni lavori interlocutori gli anni settanta consacrano Olmi a livello internazionale con L'albero degli zoccoli (1978) elegiaco affresco di un mondo contadino ormai scomparso, premiato a Cannes con la Palma d'oro. Dopo una lunga malattia Olmi ritorna alla ribalta negli anni ottanta col surreale Lunga vita alla signora (1987) e l'intenso La leggenda del santo bevitore (1988) premiato col Leone d'oro al festival di Venezia. Nel 2001 l'anziano regista realizza quello che molti considerano il suo miglior lavoro: Il mestiere delle armi, dedicato al mito di Giovanni dalle bande nere. Il film, a sorpresa grande successo di pubblico, conquisterà nel 2002 ben 9 David di Donatello. Un rinnovato interesse critico accompagna l'uscita dei successivi lungometraggi Cantando dietro i paraventi (2003) e Centochiodi (2007) definito dal regista l'ultimo film della sua carriera. Marco Ferreri si è imposto all'attenzione a partire dagli anni cinquanta con un cinema grottesco e provocatorio dai tratti parzialmente "bunueliani". I titoli più importanti della prima fase della sua carriera sono El pisito (1958), El cochecito (1959) (girati entrambi in Spagna) e La donna scimmia (1964). Raggiunge la piena maturità artistica con Dillinger è morto (1969), stralunato e modernissimo capolavoro sull'alienazione della vita dell'uomo moderno. Dopo il percorso kafkiano e surreale di L'udienza (1971) ottiene la massima popolarità internazionale con il sorprendente, discusso La grande abbuffata (1973). Negli ultimi anni della sua carriera (dopo vari altri provocatori, ma incompiuti lavori) sono soprattutto La casa del sorriso (1991) e Diario di un vizio (1993) a destare l'attenzione della critica. S'impone all'attenzione di pubblico e critica anche Marco Bellocchio con i suoi film che contestano apertamente la società ed i valori borghesi dell'epoca dagli espliciti richiami sessantottini sin dalla sua pellicola d'esordio I pugni in tasca del 1965 per poi proseguire con lavori come La Cina è vicina del 1967, Amore e rabbia del 1969 e Nel nome del padre del 1972. Bernardo Bertolucci si avvicina al cinema grazie a Pier Paolo Pasolini di cui sarà assistente sul set di Accattone. Si stacca presto dal mondo e dalla poetica pasoliniani per inseguire un'idea personale di cinema basata sostanzialmente sull'individualità di persone che si trovano di fronte a bruschi cambiamenti del loro mondo e di quello circostante, a livello esistenziale e politico, senza che essi possano o vogliano cercare una risposta concisa. Esordisce giovanissimo al lungometraggio con La commare secca (1962), e desta attenzione con Prima della rivoluzione (1964). Nei primi anni settanta realizza in rapida successione tre capisaldi del suo cinema: Il conformista 12

(1970) tratto da Moravia, il metafisico La strategia del ragno (1970) e il film scandalo del decennio: Ultimo tango a Parigi (1972). Consolida la fama internazionale col kolossal Novecento (1976), accolto tuttavia con riserva dalla critica, per poi dedicarsi a progetti più personali e intimisti. Il 1987 segna un'ulteriore svolta nella sua carriera: dirige in Cina il colossale affresco L'ultimo imperatore, grande successo mondiale che si aggiudicherà ben 9 Premi Oscar, tra cui quelli per miglior film e regia. Negli anni successivi Bertolucci prosegue sulla strada del kolossal per il mercato internazionale con Il tè nel deserto (1990) e Il piccolo Buddha (1993), ambientato in Nepal e negli Stati Uniti. La seconda metà degli anni novanta e i primi anni del nuovo millennio vedono Bertolucci impegnato nuovamente in chiave più intimista con Io ballo da sola (1996) e The Dreamers (2003). Gianni Amelio dopo molte regie televisive per la RAI, esordisce al cinema con Colpire al cuore (1982), un film sul terrorismo che non passa inosservato. Dopo l'interessante I ragazzi di via Panisperna sul leggendario gruppo di fisici guidato da Enrico Fermi, raggiunge la notorietà internazionale con l'acclamato e premiato Porte aperte, tratto da un romanzo di Leonardo Sciascia. Nei film che seguono, Amelio sviluppa tematiche legate alla realtà sociale con dolorosa partecipazione e sensibilità artistica. Con Il ladro di bambini, suo maggior successo commerciale, vince nel 1992 il Premio speciale della giuria al Festival di Cannes e l'European Film Award come miglior film, oltre a due Nastri d'Argento e cinque David di Donatello. Lamerica si aggiudica nel 1994 il premio Osella d'oro alla Mostra del cinema di Venezia, oltre al Premio Pasinetti come miglior film. Quattro anni dopo, Così ridevano, probabilmente il suo lavoro di più difficile comprensione per il grande pubblico, vince il Leone d'Oro, sempre alla Mostra del cinema di Venezia. Dopo Le chiavi di casa (2004) sul problematico rapporto tra un padre e il figlio disabile, Amelio cerca una storia di più ampio respiro con La stella che non c'è ambientato tra l'Italia e la Cina con Sergio Castellitto nel ruolo di protagonista. Nanni Moretti esordisce al cinema con mezzi amatoriali con Io sono un autarchico (1976) e inizia subito a far parlare di sé: si riconosce in lui un'inedita vena sarcastica con cui affronta luoghi comuni e problematiche del mondo giovanile del tempo. Ecce bombo (1978) consolida la fama di Moretti a livello critico e ottiene un grande, inaspettato successo popolare. Dopo l'interlocutorio Sogni d'oro (1981), realizza verso la metà degli anni ottanta due opere che sanciscono un definitivo salto di qualità artistico: Bianca (1984) è un intrigante, personalissimo esistenziale, mentre La messa è finita (1985) con Moretti nelle vesti di un sacerdote, viene considerato da molti il suo capolavoro e tra i più memorabili film italiani del decennio. Incassato l'Orso d'argento al Festival di Berlino 1986, Moretti si dedicherà nel lustro successivo a un cinema più coinvolto "politicamente" con il documentario La cosa, sullo scioglimento del PCI, e il criptico film a soggetto Palombella rossa nel quale i contenuti politici costituiscono parte integrante della storia. Il 1993 sancisce il definitivo riconoscimento internazionale di Moretti, che col film a episodi Caro diario vince il premio per la miglior regia al festival di Cannes 1994. Dopo un altro (meno convincente) diario personale Aprile (1998), Moretti conquista la Palma d'oro al Festival di Cannes con La stanza del figlio (2001), in cui vengono descritti gli effetti che la morte accidentale di un figlio provoca in una famiglia medio borghese. Nel 2006 gira il lungometraggio Il caimano, ispirato alla figura di Silvio Berlusconi. Il film, presentato nel pieno della campagna elettorale per le elezioni politiche di quello stesso anno, ha suscitato numerose polemiche presentando scenari apocalittici che sarebbero seguiti a un rifiuto del leader politico di abbandonare il potere. Il cinema d'animazione Nonostante l'Italia non abbia grande tradizione commerciale nell'ambito del cinema d'animazione, nel corso del tempo si sono rivelati diversi autori degni d'attenzione. Il pioniere del cartone animato italiano è stato Francesco Guido, meglio conosciuto come "Gibba". Realizzò nel 1946 il primo mediometraggio animato del nostro cinema: L'ultimo sciuscià, a tematica neorealistica e nel decennio successivo i lungometraggi Rompicollo e I picchiatelli in collaborazione con Antonio Attanasi. Negli anni settanta, dopo molti documentari animati, tornerà al lungometraggio con Il racconto della giungla e l'erotico Il nano e la strega. Interessanti anche i contributi del pittore e scenografo Emanuele Luzzati che dopo alcuni pregevoli cortometraggi, realizzò nel 1976 uno dei capolavori dell'animazione italiana: Il flauto magico, basato sull'omonima opera di Mozart. Ma è con Bruno Bozzetto che il cartoon italiano raggiunge una dimensione internazionale: il suo lungometraggio d'esordio West and Soda (1965), un'irresistibile ed esuberante parodia del genere Western accoglie consensi sia di pubblico che di critica. Pochi anni dopo sarà la volta di Vip - Mio fratello superuomo (1968), una parodia del genere supereroistico, molto in voga all'epoca. Dopo tanti cortometraggi satirici (spesso incentrati sul suo celebre "Signor Rossi") torna al lungometraggio con quello che viene considerato il suo lavoro più ambizioso: Allegro non troppo (1977). Ispirato a Fantasia della Disney è un film a tecnica mista, protagonista Maurizio Nichetti, in cui gli episodi animati sono plasmati su celebri brani di musica classica. 13

Ma nel decennio successivo l'animazione italiana pare entrare in una nuova fase produttiva grazie allo studio torinese Lanterna magica che nel 1996, con la regia di Enzo d'Alò, realizza l'intrigante favola natalizia La freccia azzurra, basata su un racconto di Gianni Rodari. Il film è un successo e apre la strada negli anni successivi ad altri lungometraggi: nel 1998, dopo soli due anni di lavoro, viene distribuito l'intenso e poetico La gabbianella e il gatto, grande successo di pubblico che segnò un nuovo vertice del nostro cinema animato. Il regista Enzo d'Alò, separatosi dallo studio Lanterna Magica, produrrà negli anni seguenti Momo alla conquista del tempo (2001) e Opopomoz (2003). Lo studio torinese distribuisce Aida degli alberi (2001) e Totò Sapore e la magica storia della pizza (2003), accompagnati da un buon riscontro di pubblico. Nel 2003 esce il primo film d'animazione in computer grafica di produzione interamente italiana: L'apetta Giulia e la signora Vita. Nel 2010 esce il primo film d'animazione italiano in tecnologia 3D ovvero Winx Club 3D - Magica avventura tratto dall'omonima serie animata televisiva italiana di successo in tutto il mondo. Nel 2012 molto successo ottiene la pellicola Gladiatori di Roma anch'esso girato in tecnologia 3D. Il nuovo millennio Nel 2001 Nanni Moretti si aggiudica la Palma d'oro al festival di Cannes con La stanza del figlio, mentre Ermanno Olmi filma una delle sue opere più potenti: Il mestiere delle armi, che colpisce sia per la visionarietà, realistica e poetica allo stesso tempo, che per l'accurata ricostruzione d'epoca. Marco Bellocchio, definitivamente archiviata la sua discussa collaborazione con lo psicanalista Fagioli, produce due acclamati lungometraggi: L'ora di religione (2002) e Buongiorno, notte (2003) dedicato al rapimento di Aldo Moro. Gabriele Salvatores dopo alcuni lavori interlocutori torna alla ribalta internazionale con Io non ho paura (2003), tratta dal libro di Niccolò Ammaniti, intensa e visionaria favola gotica sull'infanzia, il rapporto tra il mondo dei fanciulli e degli adulti, la paura e il superamento di essa. Marco Tullio Giordana ottiene consensi con I cento passi (2000), incentrato sulla figura di Peppino Impastato e soprattutto con l'opera fiume La meglio gioventù (2003) che attraverso le vicende di una famiglia italiana, ripercorre la storia contemporanea della nazione dagli anni sessanta del Novecento alla contemporaneità. Viene salutato come una rivelazione Emanuele Crialese, che suscita interesse con l'opera seconda Respiro (2003) e soprattutto con l'affresco Nuovomondo (2006) in cui descrive la tragica realtà dell'emigrazione italiana del primo novecento, con uno stile accattivante che unisce un accurato iperrealismo a sorprendenti squarci surreali. Nell'ambito della commedia ottengono un grande successo popolare il trio comico Aldo, Giovanni e Giacomo, autori di film come Tre uomini e una gamba, Così è la vita, Chiedimi se sono felice, La leggenda di Al, John e Jack, Tu la conosci Claudia?, Il cosmo sul comò, La banda dei Babbi Natale. Si confermano campioni di incasso i cosiddetti cinepanettoni, così chiamati perché vengono distribuiti nelle sale cinematografiche durante il periodo natalizio, interpretati dalla coppia Massimo Boldi e Christian De Sica (poi separatisi) e diretti da registi specialisti come Neri Parenti e Carlo Vanzina; i cinepanettoni sono film comici popolari e leggeri che narrano per l'appunto di vacanze di Natale (spesso in luoghi esotici) caratterizzate da situazioni comiche grossolane e surreali; oltre a Boldi e De Sica e vari comici questi film vedono spesso nel cast anche i divi televisivi del momento ed hanno trame semplici, sempre molto simili tra loro; nonostante tali pellicole siano spesso accusate di banalità, ripetitività e volgarità dalla critica, sono amatissime dal pubblico. Molto successo continuano ad ottenere anche le commedie dirette ed interpretate da Leonardo Pieraccioni come Fuochi d'artificio, Il pesce innamorato, Il principe e il pirata, Il paradiso all'improvviso, Ti amo in tutte le lingue del mondo, Una moglie bellissima, Io e Marilyn, Finalmente la felicità. A partire dal 2004 hanno poi trovato successo di pubblico anche vari film di carattere sentimentale rivolti agli adolescenti, molti dei quali tratti dai romanzi di Federico Moccia come Tre metri sopra il cielo del 2004, Ho voglia di te del 2007, Scusa ma ti chiamo amore e Parlami d'amore del 2008, Amore 14, Scusa ma ti voglio sposare e Questo piccolo grande amore del 2009. Accanto a questi sono state realizzate anche varie commedie sempre a carattere giovanile come Notte prima degli esami del 2006, Notte prima degli esami oggi, Questa notte è ancora nostra e Come tu mi vuoi del 2007 ed altri ancora; se questi film da un lato possono apparire mediocri se non di basso livello recitativo e soggettistico dall'altro hanno avuto senza dubbio il merito di aver riavvicinato un pubblico (quello degli adolescenti) ai film italiani e di aver lanciato anche nuovi e meritevoli attori come Riccardo Scamarcio, Nicolas Vaporidis, Cristiana Capotondi, Carolina Crescentini, Silvio Muccino. Maggior consenso critico riceve l'emergente Gabriele Muccino, regista molto legato a tematiche sentimental- giovanilistiche che riesce a filmare con una certa "gentilezza di tocco": i suoi maggiori successi sono Come te nessuno mai (1999), L'ultimo bacio (2001) (di cui viene girato anche un remake americano nel 2003, The Last Kiss ed a cui 14 seguirà un sequel sempre diretto da Muccino nel 2010 intitolato Baciami ancora), Ricordati di me (2003). Muccino è stato poi chiamato, in conseguenza del successo ottenuto, a lavorare negli Stati Uniti dove ha diretto film come La ricerca della felicità e Sette entrambi interpretati da Will Smith. In polemica con questo tipo di cinema, Quentin Tarantino, durante un'intervista del 2007, sostiene che « Le pellicole italiane che ho visto negli ultimi tre anni sembrano tutte uguali, non fanno che parlare di: ragazzo che cresce, ragazza che cresce, coppia in crisi, genitori, vacanze per minorati mentali. Che cosa è successo? Ho amato così tanto il cinema italiano degli anni sessanta e settanta e alcuni film degli anni ottanta, e ora sento che è tutto finito. Una vera tragedia » (Quentin Tarantino, TV Sorrisi e Canzoni, 28 maggio 2007) Le dichiarazioni di Tarantino hanno avuto molta eco, sollevando reazioni contrastanti. Ad ogni modo, grazie ad una maggiore spinta produttiva, negli ultimi anni in Italia sono cresciuti gli investimenti economici e il successo nelle sale di un nuovo cinema d'autore che in alcuni casi recupera modelli di cinema di genere (su tutti il noir e il thriller). Esempi in tal senso sono i film di Paolo Sorrentino, L'uomo in più (2003), Le conseguenze dell'amore (2004), e di Matteo Garrone, L'imbalsamatore (2002). Da ricordare anche il regista italo-turco Ferzan Ozpetek autore che ottiene successo con film imperniati soprattutto sulle difficoltà di coppia, l'elaborazione del lutto e la condizione omosessuale con lavori come Le fate ignoranti del 2000, La finestra di fronte del 2003, Cuore sacro del 2005, Saturno contro del 2007 e Mine vaganti del 2010. Nel 2008 due ambiziosi film realizzati da Garrone e Sorrentino hanno ottenuto la consacrazione internazionale al festival di Cannes: Gomorra, tratto dal omonimo libro denuncia di Roberto Saviano sulla camorra, e Il Divo, ispirato alla figura di Giulio Andreotti, che hanno conquistato rispettivamente il Grand Prix Speciale della Giuria e il Premio della giuria. Pur stilisticamente differenti, le due opere si accomunano al tentativo di tornare a raccontare, attraverso il cinema, aspetti critici della società italiana. L'ottimo riscontro ottenuto al botteghino da entrambi i film segna anche il rilancio di un cinema italiano d'autore e di denuncia civile capace di raggiungere il vasto pubblico. Da segnalare infine alcuni esordi interessati di giovani autori cresciuti come assistenti nei film di Nanni Moretti: Andrea Molaioli che nel 2007 esordisce con La ragazza del lago e Alessandro Angelini con l'interessante e premiato L'aria salata. Si afferma anche una nuova generazione di attori, tra i quali Claudio Santamaria, Stefano Accorsi, Kim Rossi Stuart, Pierfrancesco Favino, Jasmine Trinca, Elio Germano (quest'ultimo vincitore del premio come miglior attore protagonista al festival di Cannes del 2010). Tutti gli attori sopracitati recitano insieme in Romanzo criminale film del 2005 di Michele Placido, basato sull'omonimo romanzo di Giancarlo De Cataldo sulle vicende criminali della Banda della Magliana (da cui poi è stata tratta anche una serie televisiva). Il film ottiene molto successo sia in Italia che all'estero. Altri apprezzati attori della nuova generazione sono Laura Chiatti (L'amico di famiglia di Paolo Sorrentino), Maya Sansa (Buongiorno, notte di Marco Bellocchio), Valerio Mastandrea, Giovanna Mezzogiorno, Filippo Timi, Alba Rohrwacher, Ambra Angiolini. Il 2009 segna un ritorno al cinema italiano di prospettiva storico/politica. La memoria politica e ideologica vista come sguardo per analizzare i nostri tempi. Esempi importanti sono indubbiamente la rivisitazione in chiave personale e autobiografica del '68 da parte di Michele Placido con Il grande sogno e di Giuseppe Tornatore, con lo spettacolare e ambizioso Baarìa. Non autobiografico ma metafora agghiacciante dei nostri tempi è la descrizione della vita di Mussolini e del fascismo, vista dagli occhi dell'esperto regista Marco Bellocchio con Vincere. Nel 2010 si affermano registi come Giorgio Diritti, autore del premiatissimo L'uomo che verrà e si fanno notare giovani leve come Claudio Cupellini, regista di Una vita tranquilla o Aureliano Amadei, all'esordio con 20 sigarette imperniato sulla strage di Nassiriyya. Grande successo di critica per il dramma risorgimentale Noi credevamo, diretto dal regista napoletano Mario Martone. Grandissimo consenso di pubblico continuano ad ottenere le tante commedie realizzate da nuovi giovani registi ed interpretate dalla nuova ed apprezzata generazione di attori comici: tra le tante nuove leve della commedia è doveroso segnalare Checco Zalone, comico pugliese che, dopo aver esordito in televisione, debutta sul grande schermo con due film diretti da Gennaro Nunziante : Cado dalle nubi del 2009 e soprattutto Che bella giornata del 2011 che, con oltre 40 milioni di euro d'incassi, diventa il film italiano di maggior successo commerciale di sempre. Il 2012 si apre con la vittoria dei Fratelli Taviani dell'Orso d'oro al Festival di Berlino con il film Cesare deve morire: girato con la tecnica della docu-fiction all'interno del carcere romano di Rebibbia ed interpretato dai detenuti del penitenziario che mettono in scena il Giulio Cesare di William Shakespeare; nell'autunno 2012 viene reso noto che la pellicola dei Taviani sarà il film che concorrerà per l'Italia per entrare nella cinquina dei film che concorrerranno alla nomination all'Oscar come miglior film straniero del 2013, ma il film non riesce a passare la pre-selezione (l'Italia manca dalla cinquina dal 2006 e non vince la statuetta dal 1999). A maggio dello stesso anno un altro riconoscimento 15

per il cinema nostrano: al Festival di Cannes, Matteo Garrone vince per la seconda volta il Grand Prix della giuria con la pellicola Reality, film di denuncia sull'influenza altamente negativa che i reality show televisivi hanno sulla gente comune. Questi due film, a fronte del grande successo di critica, ottengono però bassi riscontri al botteghino, aprendo il dibattito sul cinema italiano di oggi, che pur in fase di forte rinascita, escludendo le commedie, non riesce ancora ad arrivare facilmente al grande pubblico, salvo alcune eccezioni.

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