N. 5412/04 Reg. Sent. Data Del Deposito ______Data Irrevocabilità: ______V° Del P.G
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N. 5412/04 Reg. Sent. data del deposito ___________________ Data irrevocabilità: ___________________ V° del P.G. _________ N. 63/00 R.G. notizie di reato N. ________ Reg. Esec. N. 245/02 R.G. Tribunale Torino N. ________ camp. pen. Redatta scheda il ___________________ L'Ausiliario ___________________ R E P U B B L I C A I T A L I A N A I N N O M E D E L P O P O L O I T A L I A N O T R I B U N A L E O R D I N A R I O D I T O R I N O - in composizione monocratica - S E Z I O N E P R I M A P E N A L E Il dr. Giuseppe Casalbore, all'udienza dibattimentale del 26 novembre 2004 ha pronunciato la seguente S E N T E N Z A nei confronti di: 1) GIRAUDO Antonio nato a Torino il 2 settembre 1946 res. in Torino, via Principessa Felicita di Savoia n. 17 - libero presente - 2) AGRICOLA Riccardo nato a San Severo (FG) il 13 marzo 1946 res. in Torino, corso Vinzaglio n. 21 - libero presente - I CAPI DI ACCUSA (clicca qui per leggerli) M O T I V A Z I O N E La Procura della Repubblica di Torino, secondo quanto è emerso in dibattimento, a seguito di notizie giornalistiche, che nell'estate 1998 provocavano un certo clamore negli ambienti calcistici nazionali e in quelli torinesi in particolare perché riferivano dell'abuso di farmaci da parte delle squadre di calcio, anche con specifico riferimento a giocatori della Juventus, avviava tutta una serie di indagini che in giudizio sono state ben descritte dai testi Romanazzi Raimondo e Salvagno Claudio, ufficiali di polizia giudiziaria addetti alla sezione di p.g. della Procura di Torino, esaminati nell'udienza del 23 maggio 2002, nonché da Lantermo Annalisa, medico del lavoro presso ASL 1, esaminata nell'udienza del 4 marzo 2002. Dalle giacenze dei farmaci esistenti presso i locali in uso alla società Juventus, i cui elenchi venivano acquisiti dagli ispettori dell'ASL, emergeva infatti una rilevante quantità di elementi, riguardanti principalmente il numero dei farmaci utilizzati, la relativa tipologia, il modo in cui essi risultavano acquistati, nonché l'uso in dosi non consentite di creatina, che il pubblico ministero riteneva meritevoli di particolare approfondimento in corso d'indagine. Venivano interessati, altresì, il Direttore del Laboratorio di analisi del Dipartimento di Medicina - Istituto di Scienza dello sport del CONI e il Direttore del Laboratorio Antidoping del CONI e veniva così acquisita la documentazione relativa a tutti i controlli, accertamenti o esami eseguiti su atleti appartenenti alle società di calcio della Serie A, dal 1993 all'agosto 1998, epoca della richiesta. Tramite il Segretario Generale della FMSI, inoltre, veniva acquisita copia dei verbali di prelievo antidoping effettuati nel corso dei campionati di calcio di Serie A e della Coppa Italia, negli anni relativi al periodo 1994-1998. Veniva acquisita, ancora, la documentazione esistente presso cliniche e laboratori torinesi relativa ad accertamenti, ricoveri ed esami eseguiti da parte dei giocatori della Juventus e si approfondivano i rapporti esistenti tra la Juventus e la farmacia Rossano, che risultava essere la farmacia che forniva i farmaci alla società sportiva e, pertanto, presso di essa si acquisivano pure documenti relativi agli acquisti effettuati. Nel corso delle indagini, poi, il pubblico ministero acquisiva sommarie informazioni da una mole notevolissima di persone, a vario titolo informate dei fatti da accertare, e si avvaleva anche della collaborazione di alcuni consulenti tecnici. Esaurita la lunga fase di indagini preliminari, durata circa tre anni, il pubblico ministero rinviava a giudizio gli imputati, affinché rispondessero dei reati loro rispettivamente contestati nel decreto di citazione in atti. Prima di esaminare la posizione degli attuali imputati, peraltro, è necessario ricordare che il decreto di citazione a giudizio del pubblico ministero si riferisce a tre imputati, perché oltre ad Agricola Riccardo e Giraudo Antonio, contro i quali il processo si è svolto nelle forme ordinarie, esso riguarda pure Rossano Giovanni che, all'udienza del 10 luglio 2003, avvalendosi della facoltà introdotta dalla legge 12 giugno 2003, n. 134, ha fatto richiesta di applicazione della pena e, pertanto, la sua posizione è stata stralciata e contro tale imputato si è proceduto separatamente. E, tuttavia, nell'intestazione della presente sentenza si è preferito mantenere l'originaria imputazione del pubblico ministero, comprendendo - cioè - il reato enunciato al capo b) a Rossano Giovanni per ragioni di completezza e per poter mantenere la stessa impostazione e la stessa divisione in lettere del capo d'accusa, più volte prese come riferimento dalle parti nelle rispettive conclusioni. Il processo è stato caratterizzato da un'articolata e complessa richiesta di prove da parte di pubblico ministero e difesa e dall'acquisizione di una serie davvero imponente di documenti, che le parti hanno prodotto non solo al momento della richiesta di prove, ma anche successivamente - chi più, chi meno - nel corso dell'intero svolgimento dell'istruzione dibattimentale. Anche alla prova testimoniale, peraltro, non si è assegnato minore rilievo, tanto che si è provveduto ad esaminare oltre sessanta testimoni richiesti dalle parti, oltretutto dopo che pubblico ministero e difesa si sono accordati per acquisire i verbali di sommarie informazioni testimoniali rese durante le indagini preliminari da un altrettanto numeroso stuolo di persone informate sui fatti. Si è reso altresì necessario procedere ad un supplemento di esame di qualche testimone e si è pure disposto il confronto tra due testi (Arcelli e Tencone). E' stato necessario, ancora, provvedere ex art. 507 cod. proc. pen. all'esame di un'altra decina di persone, su circostanze emerse in momenti processuali diversi. Gli imputati si sono sottoposti all'esame e, inoltre, l'imputato Agricola molto spesso ha reso pure dichiarazioni spontanee, soprattutto a commento degli aspetti tecnici di volta in volta emergenti a seguito delle dichiarazioni degli esperti esaminati. L'imputato Giraudo, a parte l'esame, altre due volte ha chiesto di poter effettuare delle precisazioni. La parte del leone, per quanto riguarda il profilo probatorio, però, è da assegnare ai temi tecnici introdotti soprattutto dall'imputazione riportata al capo g) della rubrica, tanto che nonostante l'approfondimento ed il contributo offerti dai numerosi consulenti delle parti, che nel corso dell'esame e di qualche confronto di opinioni (molto intenso quello tra il professor Benzi, c. t. del pubblico ministero ed il professor Cazzola, c. t. della difesa) si sono prevalentemente attestati su posizioni tra loro inconciliabili, è stato necessario, infine, disporre ex art. 508 cod. proc. pen. perizia tecnica relativa ai principali temi trattati, all'esito della quale il pubblico ministero ha proceduto ad una contestazione suppletiva e la difesa ha chiesto - ovviamente - un'integrazione probatoria, attraverso un'ulteriore produzione documentale, l'esame di alcuni altri testimoni, nonché un'integrazione dell'esame di due consulenti della difesa e di uno dei periti nominati. Al termine di questa lunghissima fase di istruzione probatoria, svoltasi attraverso una quarantina di udienze per oltre due anni e mezzo, pubblico ministero e difesa hanno proposto e illustrato le rispettive conclusioni riportate nei relativi verbali. Come si è avuto modo di rilevare, il capo g) dell'imputazione, pur non descrivendo il reato punito più gravemente tra quelli enunciati nel decreto di citazione, certamente costituisce il nucleo centrale dell'intero processo, perché riguarda l'accusa più pesante e preoccupante per rappresentanti di una società di calcio professionistica di assoluta eccellenza, quale è appunto la Juventus F. C.; perché all'espresso fine della realizzazione di tale delitto si è praticamente messa in moto l'intera organizzazione di illeciti che hanno poi determinato la contestazione di quasi tutti gli altri reati; perché di fatto le indagini nell'attuale processo hanno preso le mosse avendo di mira proprio l'accertamento della frode sportiva. Pare opportuno, perciò, cominciare proprio dall'esame della frode sportiva che - secondo la contestazione del pubblico ministero - è stata realizzata attraverso l'uso di molte sostanze, alcune vietate dai Regolamenti sportivi e rientranti pure nelle classi di sostanze elencate dalla legge 376/2000, altre la somministrazione delle quali è consentita solo in certe forme e a determinate condizioni, altre ancora di libero uso. Per questa ragione, si ritiene di dover subito affrontare il problema del rapporto tra la disciplina normativa dettata dall'art. 1 legge 401/89 e quella dell'art. 9 legge 376/00 che merita di essere chiarito ed approfondito. Nel corso del processo, invero, più volte la difesa ha cercato di porre domande a tal riguardo a testi, consulenti e periti, evidentemente sul presupposto che la sfera di applicazione delle rispettive normative potesse sovrapporsi ed ha pure avanzato istanze istruttorie in tale direzione, contrariandosi non poco per il mancato accoglimento di esse. Il pubblico ministero, da parte sua, ha ritenuto di iniziare le proprie conclusioni dedicando ampio spazio proprio al problema dei rapporti tra tali normative e, in verità, alcune decisioni giurisprudenziali connesse a tale problema contribuiscono forse a generare qualche dubbio interpretativo. Come è noto, per poter far fronte al sempre più dilagante fenomeno del doping nello sport, si è ritenuto da parte del legislatore di introdurre, quale strumento normativo, la legge 14 dicembre 2000, n. 376, con la quale - tra l'altro - si è data pratica attuazione e ci si è adeguati alla Convenzione di Strasburgo del 16 novembre 1989, già ratificata e recepita con legge 29 novembre 1995, n. 522. A tale normativa, infatti, si è proprio dato il nome di "Disciplina della tutela sanitaria delle attività sportive e della lotta contro il doping" e con essa si è cercato appunto di far fronte al generale fenomeno del doping nelle attività sportive, costituito dall'impiego di farmaci o altre sostanze o pratiche mediche capaci di alterare la prestazione dell'atleta ovvero di interferire e vanificare i controlli diretti a verificare l'assunzione di tali farmaci e sostanze.