Dal Verbano al . L’avventurosa vita di Guido Boggiani, il piemontese che sparì nella giungla di Archivio Iconografico del Verbano Cusio Ossola

L’uomo che visse nella giungla era nato a Omegna il 25 Settembre del 1861, da Giuseppe e Clelia Gené. I genitori, che erano dei facoltosi proprietari terrieri novaresi, possedevano una villa a Stresa e si trovavano nel Cusio per il lavoro del padre. Giuseppe Boggiani stava organizzando la prima compagnia di navigazione del Lago d'Orta. Il piccolo Guido venne educato al disegno e alla pittura dal padre, mentre la mamma, che era figlia di Giuseppe Gené, un famoso professore di zoologia all’Università di Torino, gli trasmise l’attitudine allo studio e alla classificazione scientifica. I miei genitori hanno notato e incoraggiato la mia precoce vocazione per l'arte, la mia attrazione per le immagini, le forme e colori, ricordava il Boggiani in una intervista. Era un giovane biondo, bello e affascinante. Sapeva suonare il pianoforte, scrivere poesie e dipingere. La fame per la ricerca e l’avventura lo portarono lontano dal Verbano, nelle selvagge foreste del , a studiare popolazioni isolate e primitive. Boggiani ha lasciato ai posteri una serie di dipinti, centinaia di straordinarie fotografie di indios e una preziosa collezione etnografica sparsa nei più importanti musei europei. L’Archivio Iconografico del Verbano Cusio Ossola ne ha tratteggiato la breve vita attraverso le immagini, in corrispondenza con la mostra Boggiani y el , inaugurata il 22 Marzo 2012 presso il Museo Puyrredón di . Nel 1878 si era iscritto all’Accademia di Brera e, dopo due anni di studi, era diventato l’allievo prediletto di Filippo Carcano. Si racconta che il vecchio pittore apprezzò e amò il ragazzo, pieno d’ingegno e di entusiasmo, e si invaghì della sorella. Le tele del Boggiani erano apprezzate dalla critica e pubblico. Nel 1881 presentò a Milano, per l’Esposizione generale italiana due paesaggi. L’anno successivo espose alla Promotrice di Firenze una serie di vedute del Lago Maggiore e si assicurò un premio alla mostra di Brera, dove aveva portato sedici opere. La Galleria Nazionale d’Arte Moderna acquistò nel 1882 il suo quadro La raccolta delle castagne per 6000 Lire. Edoardo Scarfoglio scrisse che il giovine piemontese si recò nella capitale con le mani piene di tutti i doni della gioventù e di tutte le promesse della gloria. Si presentò alla mostra co' suoi boschi di castagni pieni d'aria e di luce, con le

1 sue visioni del Lago Maggiore armoniose e vibranti, co' suoi vent'anni ardenti di fede ed assetati di bellezza. Nello stesso anno ricevette il Premio Principe Umberto con All’ombra dei castagni. Il Boggiani decise di trasferirsi a Roma dove conobbe Gabriele D’Annunzio e anche Scarfoglio. Come racconta Maurizio Leigheb, l’esploratore italiano che ha scritto molti libri sul Boggiani, il novarese cedeva il suo studio per i rendez-vous di D’Annunzio con “Barbarella” Leoni e frequentava la migliore società cittadina. Era conosciuto a corte, ospite gradito alle feste del Quirinale, convitato del cardinale Hohenloe nella villa d’Este, a Tivoli. Nel 1884 fu ospite, con D’Annunzio e Scarfoglio, del cenacolo di artisti creato in Abruzzo da Francesco Paolo Michetti nel suo convento di Francavilla a Mare. Boggiani, snello, raffinato nei gusti e nei modi, dipingeva tra gli olivi, ma già pensava altrove, era già pronto a partire per l’America dove va a cercar la fortuna e a trovar mogli belle e ricche alli amici brutti e poveri, come ne scriveva D’Annunzio. Inviò all’Esposizione Nazionale di Torino Gli ulivi a Francavilla a Mare, Sentiero presso il Lago Maggiore, Villaggio sul Lago Maggiore, Ortensie, tutte opere ormai disperse; nel 1885 fu eletto socio onorario dell’Accademia di Brera e nel 1887 espose a Brera e a Venezia. Partì nel 1887 per l’ spinto da una invincibile smania di vedere mondo nuovo e gente nuova, nuove terre e nuovi orizzonti. Si fermò per alcuni mesi a Buenos Aires, nelle Pampas e a Mar della Plata. Da lì raggiunse nel 1888 il Paraguay, una regione a quel tempo ancora selvaggia, prima nella capitale Asunción e poi nel 1889 a Puerto Casado. Da lì diresse a nord, nel Chaco, al confine con la , dove si stabilì per studiare gli indigeni Chamacoco e stilare un vocabolario della loro lingua. Viaggiò anche sulle rive del fiume Nabileque, affluente del Rio Paraguay, nella fitta giungla del Mato Grosso do Sul, per studiare i Caduvei e le loro pratiche rituali. Dormì nella selva, navigò sui tronchi d’albero scavati dal fuoco lungo il filo delle riviere, abitò con gli indii nelle capanne di foglie di palma e li seguì nelle spedizioni di caccia. Osservò gli usi e i costumi, la lingua, fermò sulla carta con disegni e schizzi gli indios e le loro attività. La riproduzione autotipica di alcuni schizzi all’acquarello o a lapis, unico materiale artistico che io potei raccogliere affrettatamente durante la mia escursione, e che io non volli ritoccare né acconciare in nessuna maniera, perché anche se fossi riuscito a renderli, per il volgo, più comprensibili, avrei certamente loro tolto parte del loro merito, che è quello della assoluta fedeltà col vero, al che io tengo assai più che a qualunque altra cosa. Boggiani vestiva

2 come gli indigeni e camminava scalzo, ma era ugualmente inserito nei circoli intellettuali e scientifici di Asunción. Partecipò alla fondazione della locale Associazione Filarmonica del Quartetto. Nella sua casa di Asunción aveva appeso alle pareti quadri pre-raffaelliti, di Gustav Klimt e di pittori argentini. Il pittore toscano Lorenzo Viani ci ha regalato un ritratto di Guido Boggiani in un articolo pubblicato nel “Corriere della Sera” del 29 Settembre 1935: il pittore cereo, dai piedi delicati, per assuefarsi ai travagli degli spini e delle morsicature delle serpi, che s’adeguano al colore della vegetazione insidiosamente, passeggiava a piedi nudi, sopra i pruni. L’orme si macchiavano del suo sangue vivo; i piedi suppliziati, piagati come quelli di un martire cristiano, si cicatrizzarono lentissimamente, risuolando le piante di cuoio battuto e ribattuto dai poderosi martellamenti del cuore. Dopo il supplizio, Guido Boggiani, solo, con un sacco, delle fiale, una siringa, dei lapis, della carta, e una bandiera italiana (sotto cui furono rinvenute le sue ossa) si avventurò nel Chaco pauroso. Nel suo libro sui Viaggi di un artista nell’America meridionale. I Caduvei, il Boggiani pubblicò un disegno di una donna che egli chiama “Ritratto di mia moglie”. Ho pensato bene, o male che sia, di contrattare coi padroni della schiavetta, perché essa rimanga con me per tutto il tempo che resterà qui ancora. Dopo trattative andate assai per le lunghe, vi hanno acconsentito mediante il pagamento anticipato di una decina di metri di tela cotona, di alcuni fazzoletti dai colori vivaci e di altre piccole cosette di poca importanza. Per cui da oggi in poi sono ammogliato… sino a nuova avviso. Mi va il pensiero a M.me Chrysantheme di Pierre Loti; ma che differenza tra i Giapponesi ed i Caduvei! Quelli industriosi, delicati, pieni di gentilezze e di raffinatezze; questi imvece primitivi, gorssolani e poco scrupolosi. Se però non la si può paragonare a quella, questa non è meno bella di forme e, forse, artisticamente anche più bella. È formata come una statua, e ben contento sarebe un artista d’avere modelli simili a lei. Ha due begli occhi vivacissimi e mani e piedi bellissimi. Quanto a carattere, non posso dirne molto, ma è allegra e ignorantissima di ogni cosa, ciò che non guasta affatto. Un bel mobile, insomma… Durante le sue esplorazioni il Boggiani raccolse una strabiliante collezione di oggetti, tra cui abiti, utensili, armi e copricapi, che cedette nel 1894 al Museo Kircheriano (oggi Museo Etnografico di Roma Luciano Pigorini), al Museo di Storia Naturale dell’Unversità di Firenze e al Museum für Völkerkunde di Berlino. La collezione zoologica di pesci del Chaco fu acquisita dal Museo Civico di Genova. Non smise mai di dipingere e disegnare, ma prediligeva per comodità il disegno e l’acquarello. Oltre agli 3 studi etnografici si dedicò all’attività imprenditoriale tra il Paraguay e l’Italia, trasformandosi in commerciante di pelli pregiati e in piantatore, esportando il legname in Italia. Nel 1893 fu designato dal governo italiano delegato artistico all’Esposizione Mondiale di Chicago. Nel gennaio dello steso anno, dopo sei anni, fece ritorno in patria per pubblicare i risultati dei suoi studi e per divulgarli in conferenze alla Società Geografica Italiana. A Roma incontrò Vittorio Bottego, l’ufficiale emiliano famoso per le sue esplorazioni nel Corno d’Africa. Boggiani si rinchiuse nel Museo Kircheriano per ordinare e dare una forma a tutte le informazione raccolte in Sudamerica. Nel 1894 diede alle stampe I Ciamacoco e Viaggi d'un artista nell'America Meridionale, mentre nel 1895 pubblicò I Caduvei e il Vocabolario dell’idioma Guanà (1895). Questo popolo aveva colpito Boggiani non solo per la vita in armonia con la natura, ma anche per la loro abilità di decoratori nei complessi disegni corporali. A differenza dell’amico D’Annunzio il suo stile narrativo era privo di retorica e sarebbe poi piaciuto a Claude Levi Stauss che lo citerà nei suoi Tristi tropici. Nel 1900 scrisse un breve Compendio de etnografia paraguaya moderna, che venne pubblicato ad Asunción, con una mappa della distribuzione territoriale delle tribù. Negli stessi anni espose una serie di dipinti del periodo latino americano, tra cui il colossare Quies (opera dispersa) ed entrò nella cerchia del poeta e scrittore Adolfo De Bosis, autore dal 1895 della rivista estetizzante “Il Convito”. Tra il 13 Luglio e il 16 Settembre del 1895 salpò per una crociera nel Mediterraneo sulla Fantasia di Edoardo Scarfoglio, un ketch di 93 tonnellate, così battezzato in onore del primo romanzo di sua moglie, Matilde Serao. I compagni di viaggio erano Scarfoglio, D’Annunzio, Georges Hérrelle, il traduttore francese del Vate, e l’avvocato abruzzese Pasquale Masciantonio, oltre all’equipaggio e a due gatti. Gli sfortunati felini, che per volontà di Scarfoglio venivano lavati tutti i giorni per il timore della pulci, soffrivano spaventosamente il moto ondoso. L’itinerario scelto da D’Annunzio prevedeva l’imbarco a Brindisi e poi Corfù, Patrasso, Corinto, Delfi, Egina, Nauplia (per visitare le la cittadella di Micene e le mura ciclopiche a Tirinto), Salonicco, Costantinopoli, le rovine di Troia. Da lì la Fantasia avrebbe dovuto toccare la costa turca fino a Rodi e proseguire verso l’Egitto, la Tripolitania, Malta, la Sicilia e Napoli. Il tragitto fu radicalmente modificato a causa delle variazioni metereologiche. Durante la navigazione gli argonauti, così si erano autodefiniti, rilessero l’Iliade e l’Odissea. La barca conteneva infatti un

4 ricchissimo carico di libri classici per un viaggio a traverso un sogno di poesie e di cultura. Sia D’Annunzio, che Hérelle e Boggiani tennero un diario del viaggio. Quello di Boggiani, ora custodito nella biblioteca della Yale University, era anche corredato da mappe disegni. Ne esiste un'altra copia trascritta per Hérelle, ma priva di disegni, che si trova nella Médiathèque de l'Agglomeration Troyenne. A Olimpia gli occhi chiari del piemontese si bagnarono con lacrime di commozione davanti all’Hermes di Prassitele: L'ho toccato più volte, come si toccano le immagini divine… I turisti si fermarono una settimana ad Atene: le giornate erano dense di visite a musei e monumenti, le serate erano alla ricerca di donne di facili costumi a cui Boggiani ed Hérelle non partecipavano. Furono tutti invitati nella casa di campagna a Kifissia dell’ambasciatore italiano Alberto Pisani-Dossi e della moglie Carlotta Borsani. Dalle pagine del diario di Hérelle si percepisce una certa idiosincrasia per il narcisismo del Vate, che non perdeva occasione per nuotare e prendere il sole nudo: e la veste di lino erami grave, mi scinsi… Il traduttore annotava: c’è in molti italiani un’assenza totale di pudore che mi sorprende sempre. Lunghe docce di Scarfoglio, di D’Annunzio, di Masciantonio; interminabili lavaggi con il sapone; semi-nudità durante pomeriggi interi, sul ponte. Boggiani, che è del nord, ha tutt’altro carattere: non si stupisce di niente, ma si burla di questo lasciarsi andare e dice ridendo: “Sono dei bambini maleducati!”. Durante la crociera Hérelle e Boggiani scoprirono di avere molte affinità e forse un'attrazione velatamente omosessessuale. Nascosto dietro lo pseudonino di L.R. de Pogey-Castries Hérelle pubblicherà nel 1930 la Histoire de l'amour grec dans l'antiquité. Prima di andare a dormire chiacchiero un po’ con Boggiani. Egli pensa, come me, che viaggiamo troppo all’inglese, troppo velecemente. “Non sanno viaggiare né gli uni né gli altrimi dice. Non sono curiosi dei paesi che attraversano, non ne percepiscono le vere bellezze, non hanno il desiderio di imbeversene. Scarfoglio pensa solamente ai suoi piaceri, al gelato, ai meloni. Gabriele D’Annunzio e Masciantonio hanno un po’ di più il desiderio di vedere; ma né l’uno né l’altro comprendono che in viaggio la stanchezza, il caldo, e anhe certe piccole privazioni, fanno parte delle impressioni del viaggiatore ed aggiungono qualche cosa di vivo agli aspetti del paesaggio. Sono subito stanchi e non pensano ad altri che a dormire. Il vero, solo viaggiatore della nostra banda, è Boggiani; e io sono stupito di vedere quanto, in ogni cosa, le nsotri opinioni condordino … E ancora: Gabriele D’Annunzio amerebbe viaggiare con tutte le comodità e assai lussuosamente. È

5 molto assorbito dalla sua toilette: ha portato otto paia di scarpe, trenta o quaranta camicie, sei vestiti bianchi, ecc. Diceva ieri: “Quando saremo ad Atene, che piacere sarà prendere un gelato al caffè francese, in smoking!” … C’è in D’Annunzio qualcosa di candido e di puerile. … E si affligge di non avere il cappello a cilindro, si sgomenta all’idea di non potersi vestire con sufficiente eleganza per le visite da fare ad Atene. Dopo aver visitato Olimpia, Eleusi, Atene, Nauplia, Micene e Tirinto sotto un sole ardente, D’Annunzio e Masciantonio, provati dalla vita in barca e dal mal di mare, decisero di tornare in Italia. Hérelle e Boggiani si fermarono a Milos, dove l’esploratore descrisse sul diario, con sensibilità pittorica, il paesaggio dell’isola: Di quassù tutte le accidentalità della costa dell’isola si staccano perfettamente disegnate sul mare che ha tinte indescrivibili di dolcezza verso il largo e più vigorose presso gli scogli; sono mille e mille toni di celeste, di turchino e d’azzurro verdastro sino al più puro smeraldo, il tutto raddolcito ed amalgamato da una leggiera nebbia e dalla irradiazione solare. Sotto di noi lo scoglio è a picco e sorge da una serie di terre montuose che a ventaglio si stendono tutt’intorno sino al mare, nel quale sporgono rocciose in numerosi promontori. A destra c’è un’insentura più vasta apparentemente sabbiosa, dove le onde, che da questa distanza sembrano piccolissime mentre sono enormi, spumeggiano moltiplicandosi. Restarono fino a settembre e attraccarono a Messina il 16, dove Boggiani si imbarcò su una nave per Napoli. Nella conferenza che tenne al secondo Congresso Geografico Italiano sottolineò l’importanza della ricerca sul campo e della propria capacità di osservazione, contro l’etnografia accademica, colpevole di pubblicare studi da opionioni riferite o da ricerche bibliografiche. La morte della madre due mesi dopo il suo ritorno dalla Grecia lo gettò in uno stato di tristezza: Io che non l’avevo più veduta dal Novembre ’93, ebbi il dolore di rivederla morta e d’accompagnarla a Stresa alla sua ultima dimora! Impaziente di tornare in Paraguay lasciò l’Italia il primo di Luglio del 1896 per il Mato Grosso, da dove partì spesso per peregrinazioni verso l’interno. Mi guardai allo specchio, scrive al ritorno a Puerto Pacheco, Il sole mi aveva talmente abbronzato che ero irriconoscibile. Eppure non ero dimagrato. Al contrario stavo benone, ero ingrossato ed avevo un’aria di salute e di forza quale non avevo mai avuto prima. Questa volta portò sé una macchina fotografica, la Dellmeyer del padre, e un cavalletto per documentare in immagini la sua attività di ricerca, che pubblicò nel quotidiano La Prensa di Buenos Aires e nella Revista del Instituto Paraguayo, da lui fondata nel 1897. Boggiani eseguì più di 6 quattrocento lastre di vetro delle diverse tribù e fu il pioniere della fotografia etnografica su i Caduvei, i Tufi, i Bororo e i Chamacoco. Scattò immagini di paesaggio, ma soprattutto ritratti, corredandoli di puntuali e precise annotazioni per ciascun soggetto. Era un mestiere pericoloso, considerato il fatto che i suoi modelli temevano che le fotografie potessero trafugare la loro anima, ma a giudicare dalle espressioni quelli di Boggiani sembravano spontanei e tranquilli. Il pittore sapeva che prima o poi quelle tribù sarebbero mutate, o peggio, scomparse, e voleva così preservarne la memoria. L'Archivio Iconografico del Verbano Cusio Ossola ne presenta dieci, scelte per gentile concessione dalla collezione privata di Pavel Scheufler. Molte delle foto furono recuperate dal botanico, esploratore cecoslovacco Alberto Vojtěch Frič, che giunse in Paraguay qualche anno dopo il Boggiani e instaurò buoni rapporti con gli indios. Era arrivato in Sudamerica spinto dalla passione per i cactus e si era poi affezionato al popolo Chamacoco, tanto che aveva cercato di curare le loro malattie intestinali. La sua vita è stata raccontata da Claudio Magris in Dalla Mitteleuropa alla giungla. Avventure e follie di un botanico. Si deve a Vojtěch Frič, che era anche un raffinatissimo fotografo, la sopravvivenza delle lastre di Boggiani. La sua collezione è stata pubblicata dal nipote Pavel Frič e dalla moglie Yvonna Fričova nel libro Guido Boggiani, Photographer, 1977. Malgrado l’entusiamo per le scoperte etnografiche, il Boggiani scrisse a Herélle per farsi spedire un libro di storia greca e una traduzione francesce dell’Odissea, lamentandosi per la miseria di questa vita solitaria e triste, tanto che nell’estate del 1901 stava programmando di rientrare in Italia, quando gli giunse notizia di una tribù ancora selvaggia, i cosiddetti Barbudus o Moros. Nomadi e primitivi, forse cannibali, noti anche con il nome di Ayoréos, non erano mai stati avvicinati da nessun europeo. Partì da Asunción nell’agosto del 1901 per penetrare nella foresta del Chaco boreale paraguayano, con una piccola scorta che venne però rispedita indietro, per non spaventare i Moros arrivando nella loro terra con uomini armati. Restò con lui solo un compagno fedele, Félix Gavilàn e quattro indiani Chamacoco che dovevano fare da guida. L’ultima lettera di Boggiani, dall’estancia di Los Mèdanos, è datata 18 Ottobre. L’espatriato raccontava al fratello Oliviero il suo progetto di percorrere a cavallo il Gran Chaco fino alle Ande alla ricerca di popoli ignoti. Fu avvistato

7 l’ultima volta con Gavilàn il 24 Ottobre 1901. Poi il silenzio, nessuna notizia, nessuna lettera. Gli italiani residenti ad Asunción, allarmati, organizzarono un Comitato Pro Boggiani per ritrovare l’esploratore scomparso nel nulla. La spedizione, che partì da Asunción il 18 Giugno del 1902, era capitanata dallo spagnolo José Fernandez Cancio, che ne scrisse: Il sentiero per dove passò il Boggiani si conosceva solamente per le molte rame tagliate che impedivano il cammino ai nostri portatori. Il passaggio si era quasi rinchiuso e la vegetazione tropicale stava già cancallando ogni traccia. Lentamente il gruppo arrivò a una piccola radura dove il Cancio trovò, sotto un grande e frondoso albero di algarrobo, le ceneri di due fuochi, e alcune foglie di palma disposte a modo di giaciglio. Il magiordomo di Boggiani riferì che nessuno poteva aver fatto ciò fuori che l’italiano, poiché egli aveva l’abitudine di accendere due fuochi, uno per lui e il suo compagno, e uno per gl’indiani della scorta, ed egli solo aveva l’abitudine di farsi un letto di foglie di palma, disposte sotto al recado (la sella gaucha). La marcia continuò e furono rinvenuti altri fuochi, capanne di rami abbandonate, bastoni di legno posti a sostegno di veli da zanzariera. Cancio trovò perfino una scarpa di buona fattura, deteriorata dall’acqua e due cavalli abbandonati, ma a un certo punto non fu più possibile proseguire nella foresta: il passo era sbarrato da immensi boschi e l’acqua scarseggiava. Lo spagnolo fu costretto a tornare indietro, era infatti la stagione afflitta in quei mesi dalla seca, e Cancio si mise alla ricerca di qualche caraguatàs, un tipo di albero che contiene una linfa dissetante e rinfrescante, ma non riuscì a trovarne. Inoltre dovette affrontare il boicottaggio dei quattro indigeni. Nel frattempo si mise a cacciare dei cervi per fabbricare otri con il loro cuoio e potè poi riprendere la picada (così si chiama la puntura al bosco). Dopo quattro mesi di estenuante ricerca Cancio giunse in una tolderìa (villaggio). Là trovò i miseri resti di Boggiani e di un altro uomo. La testa dell’esploratore era stata fracassata da un’ascia e poi decapitata. In accordo con una credenza locale con questo accorgimento l’anima non avrebbe potuto fare incantesimi. La sua macchina fotografica era stata nascosta in un buco sotto terra. Il Cancio trovò nello stesso luogo alcuni oggetti di proprietà del Boggiani che annotò con precisione su un taccuino. Una macchina fotografica stereoscopica di fabbricazione francese, due dei piedi della macchina, una scatola di latta vuota, un cucchiaio e tre cucchiaini di metallo bianco ingiallito, un pezzo di stoffa resto di una

8 vecchia bandiera italiana, due astucci con permanganato di potassio, una siringa per iniezioni senza ago, circa cinquanta placche fotografiche inutillizzate dalle intemperie, un paio di scarpe di corda vecchie, due righe-scale triplodecimetro inservibili, un pezzo di gomma da disegnatore, una tazza di ferro smaltato, una cintura di cuoio fatta con pelli delle selle e basti (sequestrata ad un indiano che la portava), un cinto di tela grossa con i colori spagnuoli ed una fibbia di metallo giallognolo, una piccola bottiglietta di farmacia contenente una polvere bianca che sembra chinino, una pietra tonda piccola usata dagli indiani, alcuni numeri di giornali paraguayani e italiani. Il Cancio preparò sul posto una semplice sepoltura, ma dopo quattro mesi ritornò nella giungla per portare il corpo del Boggiani nel cimitero italiano di Asunción. Un indio di nome Luciano confessò di aver assassinato a bastonate Boggiani, che si era fermato in quella tribù per qualche tempo intrattenendo una relazione con una donna, il cui marito era assente. Come rievocava Claudio Magris, venendo ucciso, sembra per le sue spicce attenzioni a una donna india, nonostante fosse conosciuto presso gli indigeni anche come Lily, per le attenzioni rivolte agli uomini, cosa nient'affatto strana in una cultura pervasa dal sentimento panico di una sensualità indifferenziata. In realtà la storia era diversa: il Boggiani voleva a tutti i costi avvicinare i Moros, ma gli indiani, spaventatissimi all’idea di incontrare questa pericolosa e temuta tribù, avevano deciso di uccidere l’italiano e il suo compagno Gavilàn. Luciano venne arrestato e assicurato alla giustizia, ma scappò dal carcere di Asunción in un momento di instabilità politica del Paese. Il 23 Dicembre del 1902 si tenne alla Società Italiana di Mutuo Soccorso una cerimonia di saluto per Boggiani e Gavilàn. Il salone fu arredato a lutto con semplici ornamenti di palmizi, corone di fiori freschi e con le due bandiere, quella italiana e quella del Paraguay. Finì così, in un remoto cimitero del Paraguay, il sogno di Guido Boggiani, l'esploratore piemontese.

Così Gabriele D’Annunzio ricordò l’amico Guido Boggiani in Laus Vitae: Ed èramo tutti a poppa raccolti, in silenzio. Ed uno di noi, che taceva con fronte ostinata, era sacro a morte precoce, più caro

9 d'ogni altro agli iddii come eletto a perir giovine e in atto di compier l'impresa cui s'era devoto con anima salda. … Un Ulisside egli era. Perpetuo desìo della terra incognita l'avido cuore gli affaticava, desìo d'errare in sempre più grande spazio, di compiere nuova esperienza di genti e di perigli e di odori terrestri. … Sotto la clava del selvaggio predone cadesti, senza vìndici, nell'umida ombra; mentre tu, svelto odiatore di salmerìe e di scorte con silenzioso ardimento t'addentravi nella foresta letale, obbedendo al tuo fato che ti spingea senza tregua più oltre più oltre nel nuovo.

Bibliografia: G. Boggiani, I Ciamacoco. Conferenza. Atti della Società Romana di Antropologia, vol. II., 1894; A. Ghisleri, Un artista italiano fra gl'indiani dell'Alto Paraguay, Emporium, Vol. II, n. 7, 1895; G. Boggiani, Viaggi di un artista nell’America meridionale. I Caduvei (Mbayà o Guaycurù), Roma, Loescher, 1895; G. Boggiani, Tatuaggio o pittura. Estratto dagli Atti del II° Congresso Geografico Italiano, Roma, Civelli, 1895; G. Boggiani, I Caduvei. Studio intorno ad una tribù indigena dell’alto Paraguay nel Matto Grosso (Brasile), Roma, Memorie della Società geografica italiana, 1895; Comitato

10 Pro-Boggiani, Alla ricerca di Guido Boggiani. Spedizione Cancio nel Ciaco Boreale, Alto Paraguay. Relazione e documenti. Milano, Bontempelli, 1903; R. Lehmann-Nitsche, La Colección Boggiani de Tipos Indigenas de Sudamérica Central/Die Sammlung Boggiani von Indianentypen ause dem zentralen Südamerika. Buenos Aires, R. Rosauer, 1904; Lorenzo Viani, Il pioniere d'Ararupe da “Il Corriere della Sera”, 29 Settembre 1935, in Il nano e la statua nera, Firenze, Vallecchi, 1943; R. Pettazzoni, In Memoria di Guido Boggiani. Roma, Centro Italiano di Studi Americani, 1941; A. Viviani, Guido Boggiani: alla scoperta del Gran Chaco, Torino, Paravia, 1951; P. Scotti, La seconda spedizione di Guido Boggiani fra i Caduvèi (1897), Genova, Libreria degli Studi, 1963; P. Scotti, In Grecia. Relazioni di viaggio, Genova, Libreria degli Studi, 1965; P. Fric e Y. Fricova, Guido Boggiani. Fotograf, Praga, Titanic, 1997, un libro di grande formato con testo in cecoslovacco, italiano, spagnolo, portoghese e inglese Casa Editrice Titanic, Praga; M. Leigheb, Lo sguardo del viaggiatore: vita e opere di Guido Boggiani, Novara, Interlinea, 1997; M. Leigheb, Maurizio, Guido Boggiani: Pittore, esplatore, etnografo. Novara, 1986; I. Bonati, Guido Boggiani: Orme nell'ignoto, Torino, Il Tucano, 2006; C. Vangelista, Un pittore etnografo e mercante: Scambi commerciali e osservazioni etnografiche di Guido Boggiani durante un viaggio tra i Caduvei, in G. Fedora e A. Guaraldo, Gli indiani d'America e l'Italia, Asti, Astilibri, 2002; F. Lamendola, Ricordo di Guido Boggiani, pittore-esploratore, Arianna Editrice, Bologna, 2007; Gabriele D’Annunzio, Guido Boggiani, Georges Hérelle, Edoardo Scarfoglio, La crociera della “Fantasia”. Diari del viaggio in Grecia e Italia Meridionale (1895), a cura di M. Cimini, Venezia, Marsilio, 2010; C. Magris, Dalla Mitteleuropa alla giungla. Avventure e follie di un botanico, "Corriere della Sera", 7 Agosto 2010.

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