"Sin da bambino sognai di fare grandi viaggi in regioni vergini e lontane, fra selvaggi in paesi sconosciuti."

Boggiani ad Asunción, nel e nel Mato Grosso. Alla fine del XIX secolo

Correva l’anno 1887 e sul molo del porto di Genova un passeggero si accingeva a salire sulla passerella e a imbarcarsi sul Duchessa di Genova. Tra poche ore il transatlantico avrebbe tolto gli ormeggi per dirigersi verso Gibilterra, inoltrarsi nell’Oceano Atlantico e far rotta per . Il passeggero era un giovane di ventisei anni, elegante nel suo completo di buon taglio, con i baffi ben curati e il fisico, come diceva il suo amico Gabriele d’Annunzio, “immune da adipe ignavo” 6). Si chiamava Guido Boggiani e non era un emigrante. Quantomeno, non era stato indotto a lasciare la Bella Italia da necessità materiali. Era nato nel 1861 a Omegna, in provincia di Novara, da una famiglia benestante di proprietari terrieri. Suo padre lo aveva mandato a studiare presso il Collegio Commerciale di Stradella, in provincia di Pavia. Aveva deciso che andava instradato per poter gestire, un giorno, il patrimonio familiare. Arrivato ai 17 anni, però,il giovane Boggiani aveva deciso altrimenti. Buttati nel cestino i manuali di contabilità, si era iscritto all'Accademia di Belle Arti di Brera dimostrando, subito, di avere talento da vendere. Il suo quadro ”La raccolta delle castagne“ aveva vinto il premio Principe Umberto. Giovane, benestante e baciato dalla fortuna, Boggiani conduceva una vita brillante nell'Italia della Belle Epoque. Era un periodo felice, un mondo raffinato descritto nei romanzi di D'Annunzio e di Matilde Serao. Gli uomini che appartenevano all’élite vestivano in modo ricercato, conoscevano due o tre lingue, sapevano comporre un poema, suonare il piano e tirare di scherma. Anche questo era necessario perché i duelli erano formalmente proibiti, ma assai frequenti.

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Boggiani aveva più di un motivo di soddisfazione, ma quello che aveva ottenuto non gli bastava. Un po' perché anche la vita più brillante può con il tempo trasformarsi in routine e un po' perché sentiva dentro di sé una spinta ad andare oltre, aldilà. Come aveva annotato nel suo diario, sin da bambino sognava di fare grandi viaggi in regioni vergini e lontane, fra selvaggi, in paesi sconosciuti. Il suo amico D' Annunzio, che lo aveva capito, lo chiamava l’Ulisside. Anche lui, come Gauguin, Rimbaud e altri artisti e intellettuali dell’epoca, aveva sentito crescersi dentro un senso di disagio e inquietudine esistenziale che lo spingevano ad abbandonare una vita comoda e piacevole per avventurarsi alla ricerca delle radici ancora non corrotte della natura umana. Nell’inverno del 1887 Boggiani giunse a Buenos Aires con l’idea di proseguire per la Patagonia, comprare una estancia e convertirsi in allevatore. Un giorno, però, quasi per caso, si imbarcò sul San Martin, un vapore che risaliva il Parana e, dopo pochi giorni di navigazione, era ad Asunción. Qui prese alloggio nell’Hotel Hispano- Americano, nell’edifício che oggi ospita il Ministero degli Esteri del Paraguay. Appena arrivato, annotò nel suo diario queste poche parole: “Ora vedo che resterò molto tempo in Paraguay, forse anni.” 1)

1 - Foto d'epoca di una stanza dell'Hotel Hispano-Americano

2 - Foto d'epoca della sala da pranzo dell'Hotel Hispano- Americano dove Boggiani alloggiò. L'edificio ospita oggi il Ministero degli Esteri paraguaiano

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Asunción sarebbe stata soltanto una base dalla quale partire alla volta delle regioni “vergini e lontane” che Boggiani vagheggiava sin dalla sua infanzia. Nel febbraio del 1889 si imbarcò per la terza volta.

3 - Il in località Las Juntas, all'ingresso del ramo nord del Pilcomayo

La nave che lo attendeva nel porto si chiamava Bolivia. Era un vapore a ruote che faceva la tratta Asunción - Puerto Casado accettando carico, passeggeri e bestiame. Era in partenza per risalire il Paraguay ed addentrarsi nel Chaco, regione inaccessibile via terra, abitata, si diceva, da feroci indigeni dediti all'antropofagia. Un mondo ignoto che esercitava su di lui un’attrazione fatale.

Quello sul Bolivia fu il primo di molti viaggi. Nell'89 Boggiani fece altre tre escursioni per via fluviale. Si spinse sempre più a nord, raggiunse prima Fuerte Olimpo, ove incontrò i Caduveo, popolazione che viveva sulla riva sinistra del rio Paraguay, e poi Puerto Pacheco, anche conosciuto come Bahia Negra ove,

4 scrisse,"…ho fatto grande amicizia con i Ciamacoco”. Il primo incontro tra un bianco e un Chamacoco risaliva a solo 4 anni prima e il terreno della ricerca etnografica era fertile e inesplorato. Animato dal desiderio di spingersi sempre più in là, Boggiani abbandonava la vita relativamente confortevole a bordo dei traghetti fluviali per addentrarsi in un territorio ostile e inospitale. Per farlo era necessario armare vere e proprie spedizioni, a cavallo e a piedi, che potevano durare anche parecchie settimane e richiedevano un impegno finanziario consistente, mentre il piccolo patrimonio che aveva portato con sé dall’Italia cominciava adassottigliarsi. Il giovane avventuriero, forse memore dei suoi studi giovanili al collegio di Stradella, decise di darsi al commercio per reperire le risorse necessarie. Le pelli di cervo che gli indigeni cacciavano in quantità nelle foreste del Chaco erano molto richieste e ben pagate ad Asunción. Come merce di scambio Boggiani portava con sé piccole damigiane di pinga, una specie di acquavite a basso prezzo e alta gradazione alcolica. Gli Indios l’avevano scoperta e la preferivano alla loro tradizionale bevanda a base di idromele. Tra il 1889 ed il 1901 Boggiani organizzò spedizioni nel bacino del Rio Paraguay, risalendo anche suoi affluenti come il Nabilecche, e inoltrandosi in spazi del tutto inesplorati, sulla riva destra del gran fiume, in quello che oggi è noto come il Chaco paraguaiano e, sulla sponda sinistra, nel territorio attualmente compreso nello Stato brasiliano del Mato Grosso del Sud. Si spinse anche a occidente, percorrendo il Rio Pilcomayo che segna il confine tra Paraguay e . Furono dodici anni di viaggi, esplorazioni e attività di ricerca, interrotti solo da un viaggio in Italia e in Grecia del quale parleremo tra poco, che avrebbero lasciato una traccia profonda nella storia della moderna etnologia. Il risultato è riassunto in una carta etnologica del 1897, nella quale vengono identificati i territori nei quali vivevano ben 12 etnie indigene. Una mappatura di straordinaria validità e precisione scientifica nella quale le aree sono marcate con dei semicerchi per indicare i luoghi nei quali popolazioni allora del tutto nomadi, stabilivano di volta in volta la loro residenza.

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4 - Guido Boggiani, Mappa etnografica. Archivi della collezione privata dell’Avv. Jorge Gross Brown di Asunción.

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Boggiani stabilì rapporti amichevoli con tutte le 12 etnie che compaiono nella cartina sopra riprodotta. In molti casi si trattenne per vario tempo presso di loro, condividendone la vita quotidiana e studiandone usi e costumi. La sua attenzione di ricercatore si concentrò, tuttavia, sui Chamacoco e sui Caduveo, indicati nella cartina etnica, rispettivamente con semicerchi di colore azzurro e marrone. Trascorse lunghi periodi vivendo nei loro villaggi. Annotò una quantità notevole di informazioni sulla loro cultura, arrivò, nel caso dei Chamacoco, a redigere un glossario con traduzione in italiano dei vocaboli più usati del loro idioma, e riprodusse i disegni ornamentali tradizionali in disegni accurati e fedeli all’originale. Nel gennaio del '92 scrive "…io stesso, ottenuta dal governo del Paraguay una concessione di circa 80 km. quadrati di territorio in affitto, impiantai due nuove stazioni, aprendo due nuovi porti sul fiume, a circa 15 0 20 km. più a sud di Puerto Pacheco, al più lontano dei quali fu dato il nome di Puerto Esperanza ed all'altro quello di Puerto 14 de Majo” 2). Quest’ultima località viene anche chiamata con il nome indigeno di Karcha Bahlut. Il pittore si convertì, inoltre, alla più moderna delle arti figurative: la fotografia. Boggiani portava con sé un voluminoso apparecchio fotografico con lastre e treppiede. Nelle sue note di viaggio racconta come talvolta questo ingombrante bagaglio, montato sulla groppa del suo cavallo, gli percuotesse dolorosamente la schiena durante i lunghi percorsi nella selva del Chaco. Il sacrificio produsse buoni risultati con i ritratti di indigeni Chamacoco e Caduveo che, malgrado la semplicità degli strumenti tecnici adottati, sono tra i più belli ed espressivi mai realizzati. Forse il più impressionante è quello che ritrae una giovane Caduveo, dall’aspetto enigmatico e nobiliare nella quale, sia pur con un paragone un po’ azzardato, sono state ravvisate analogie con la Monnalisa.

Questa massa di informazioni, disegni, documenti fotografici confluì in due trattati “I Chamacoco” e “I Caduveo”, che furono pubblicati rispettivamente nel 1894 e nel 1895 e che sono ancora oggi un punto di riferimento fondamentale per la conoscenza di queste due culture. Il Boggiani pittore e fotografo si era trasformato in etnologo.

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Pur essendo un dilettante, lasciò un segno indelebile nella evoluzione di questa scienza che passò da essere “etnografia” che si limitava a raccogliere e registrare dati e informazioni, a divenire “etnologia”, tesa anche a comprendere e interpretare le culture aborígene. Il giovane artista italiano fu facilitato nel suo compito da una sensibilità estetica certamente assai sviluppata. Che abbia fatto un lavoro straordinario lo si deduce dai commenti che professionisti della scienza alla quale lui si era avvicinato senza una preparazione accademica specifica, hanno espresso sulla sua attività. Claude Levi Strauss (1908-2009), famoso etnologo e filosofo, padre dello strutturalismo in archeologia, 5 - Ritratto di donna Caduveo (foto di Guido Boggiani nella sua opera “Tristes Tropiques” cita Boggiani e il contributo fondamentale da lui dato alla conoscenza dell’arte della pittura corporale Caduveo. L’antropologo tedesco Herbert Baldus (1899-1979), nella prefazione alla edizione spagnola de “I Caduveo” lo definisce un cattivo commerciante di pelli ma un ottimo etnografo. Alfredo Metraux, etnologo svizzero (1902-1963) afferma che per il e il Mato Grosso “la sua opera rimane a tutt’oggi di importanza capitale.” Cestmir Loukotka, etnolinguistico ceco (1895-1966) dedica la sua ricerca linguistica sui Caduveo “alla memoria del grande sapiente italiano Guido Boggiani” L’etnologo brasiliano Darcy Ribeiro (1922-1997) lo definì “la più bella figura della Antropologia italiana. Lo stesso Ribeiro racconta poi come, in occasione di un suo soggiorno presso i Caduveo, grazie a una copia del libro dedicato da Boggiani a questa etnia che recava con sé, fu accolto con grande considerazione dagli indigeni, presso i quali ancora vivo era il ricordo del periodo trascorso dall’italiano presso di loro, vari decenni prima. Boggiani si conquistò un posto di rilievo nella moderna etnologia grazie a una freschezza intellettuale e ad uno spessore culturale poco comuni. 8

Quello che intraprese nel Chaco paraguaiano e nel Mato Grosso brasiliano fu un viaggio alla ricerca delle radici primordiali della civiltà. In questo percorso aveva ben presenti le fonti della cultura occidentale. In alcune delle sue fotografie sembrava anzi dilettarsi a fare paragoni o parallelismi con opere della scultura greca

7 - L'Hermes di Prassitele (330 – 340 a. C.) 6 - Guido Boggiani: foto di giovane Chamacoco (1890 circa)

9 - Guido Boggiani: Indio Chamacoco (1890 circa) 8 - Gruppo marmoreo del Laooconte (30 - 40 a.C.)

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Il lungo soggiorno di Guido Boggiani in Paraguay fu interrotto, tra il 1892 e il 1896, da un ritorno in Europa. In Italia pubblicò e presentò le sue due opere destinate ai Chamacoco e ai Caduveo e vendette al Museo Pigorini di Roma, per il corrispettivo di 9.000 lire, la collezione di 2468 oggetti di arte e artigianato indigeno, provenienti prevalentemente dalle culture Chamacoco e Caduveo. Quella somma gli sarebbe servita per finanziare il ritorno in Sudamerica. La collezione, a tutt’oggi in uno stato perfetto di conservazione, è ancora in possesso del Museo Nazionale Preistorico Etnografico Luigi Pigorini che ne ha iniziato lo studio e la valorizzazione. A metà luglio del ‘95, il fascino che la cultura greca esercitava su BoggIani lo indusse a un viaggio non previsto. Insieme a Gabriele d'Annunzio, Scarfoglio ed Herelle, traduttore delle opere di d’Annunzio, Boggiani si imbarcò sullo Yacht Fantasia. L' Ulisside tornava in Grecia alla ricerca delle sue radici. Ad Atene dipinse l'Acropoli e a Olimpia si incantò di fronte all'Ermete di Prassitele che pochi anni prima lo aveva ispirato mentre ritraeva con la macchina fotografica un giovane indigeno. Il giovane esteta annotò:"Quel marmo, d'una dolcezza infinita, d'una perfezione sovrumana, merita un pellegrinaggio da qualunque più remoto angolo della terra.”

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10 - Lo yacht "Fantasia" di proprietà di Eduardo Scarfoglio, poeta, scrittore, fondatore de "Il Mattino" di Napoli, sul quale ospitò Boggiani e d'Annunzio in un viaggio in Grecia nel ‘95

L’ anno seguente Boggiani era nuovamente in Paraguay per riprendere la sua infaticabile attività di viaggiatore e completare un percorso che sentiva di non avere ancora concluso. Nel ‘97 effettuò una seconda spedizione presso i Caduveo. Nel ‘98, partendo da Puerto Casado, si addentrò nell'entroterra per incontrare i Sanapanà. Nella seconda metà dello stesso anno era sulle rive del Pilcomayo, ai confini con l'Argentina, per incontrare le popolazioni Toba e, tra la fine del ‘98 e gli inizi del ‘99, partì da Formosa per un viaggio sul Rio Monday. L’Ulisside continuava inarrestabile il suo itinerario, ma il suo destino stava per compiersi. Nell'ottobre del 1901 iniziò, dalla tenuta di Los Medanos, il suo secondo viaggio presso i Chamacoco e scrisse al fratello Oliviero: “È mia intenzione internarmi quanto più possibile: possibilmente sino a vedere i contrafforti orientali delle Ande in direzione di Tarija…nel territorio abitato oggi dai Tumanà, subtribù dei Chamacoco…La spedizione la farò a cavallo…calcolo che tra andata e ritorno tarderemo una ventina di giorni.”

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Dipinse un grande trittico raffigurante la collina del Pan de Azucar a circa 8 chilometri a nord di Puerto Casado e poi si inoltrò nel territorio. Non avrebbe più dato notizie di sé.

11 - Il Pan de Azucar, ultima opera pittorica di Boggiani, recentemente restaurata, di proprietà del Comune di Novara

La sua scomparsa fece scalpore e la Comunità italiana di Asunción costitui un apposito Comitato per finanziare le sue ricerche. Nel luglio 1902, una spedizione condotta dallo spagnolo Josè Fernandez Cancio partì da Asunción a bordo del vaporetto Lalo. Tre mesi più tardi, tra Puerto Pacheco e la laguna Pitiantuta, vennero ritrovati i resti mortali di Boggiani, oggi conservati nel Cimitero italiano di Asunción. Il cranio sfondato, probabilmente da un colpo di ascia, testimoniava una fine violenta. Il mistero di quella morte non fu mai svelato.

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12 - Lista delle provviste acquistate da José Cancio per la spedizione alla ricerca di Guido Boggiani da lui condotta. Collezione privata Luis Fernando Fiore degli Uberti.

Si ipotizza un delitto passionale commesso dall’ innamorato di una giovane indigena. Un’ altra ipotesi è relativa alla grande dimestichezza che Boggiani aveva acquisito con i Chamacoco e i Caduveo, due etnie divise da antiche rivalità e da feroci conflittualità. La prima tesi è avvalorata dalla confessione che Prudencio, uno degli uomini che facevano parte della spedizione alla ricerca di Guido Boggiani condotta da José Cancio, estorse con metodi forse non proprio ortodossi a un indigeno. Lo stesso Cancio, nella relazione che redasse al termine della missione, ne riporta il testo con queste parole: “Boggiani si era unito con una giovane chamacoco, molto bella, stavano tutti e due coricati nell’ amaca con la zanzariera chiusa. I barbudos si gettarono, in una notte di luna, sull’ accampamento., Boggiani tentò di balzare dall’ amaca, ma la zanzariera non gli permise di farlo di farlo rapidamente. Lo colpirono con un bastone ed egli cadde a terra.”

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13 - Foto del cranio di Guido Boggiani. José Cancio, che ritrovò i resti mortali dell'artista ed esploratore italiano, li identificò dalle otturazioni ai molari effettuate da un dentista di Asunción

Quale che ne sia stata la causa, si trattò di una fine prematura. La vittima di quel colpo di ascia o di bastone aveva da poco compiuto i 40 anni e aveva ancora molto da esprimere. Cionostante, la traccia da lui lasciata è ancora oggi profonda e indelebile. Basta andare ad Asunción, nel Chaco o nel Mato Grosso, per rendersene immediatamente conto

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Boggiani ad Asunción, nel Chaco e nel Mato Grosso Oggi (Gherardo La Francesca)

Tre sono le strade più importanti di Asunción, capitale del Paraguay. Avenida España porta il nome del paese di provenienza dei conquistadores. Avenida Mariscal Lopez è intitolata al più famoso e venerato Presidente. Avenida Guido Boggiani è dedicata a un italiano che ha dedicato la sua vita a questo paese. A dire il vero non sono moltissimi coloro che sono a conoscenza dei dettagli della vita avventurosa e dei grandi risultati che ottenne. Tutti però ne conoscono il nome e sanno che è stato un personaggio straordinario. Tutti ad Asunción, e anche in altri luoghi, anche remoti del paese. Nella capitale, oltre a una importante arteria urbana, gli sono stati dedicati una ciclovia, un albergo, un supermercato, una ferramenta, una lavanderia e altri esercizi commerciali.

Un suo ritratto, opera del pittore Carlos Colombo, è conservato nel Museo di Belle Arti. Nella biblioteca del Museo Andrés Barbero, l’estensore di queste note ha trovato, con qualche emozione, copia dei suoi diari di viaggio, vergati con l’ elegante calligrafia in corsivo típica di quel periodo, con le imperfezioni e le sbavature dovute al fatto che erano stati scritti in bivacchi da campo e la redazione era stata forse interrotta da uno scroscio di pioggia o dalla necessità di far fronte a ospiti indesiderati. 15

Il Museo del Barro possiede una copia originale de “I Caduveo” di Boggiani e una vasta collezione di cartoline, stampate a fine ‘800 con foto ritratto di indigeni Chamacoco e Caduveo scattate dallo stesso Boggiani nel corso delle sue esplorazioni nell’Alto Chaco. Con esse e altro materiale proveniente anche dall’Italia, si realizzò, nel 2014, un’esposizione denominata “El Círculo Imperfecto”. Il titolo fu scelto per significare che si intendeva descrivere l’itinerario o la parabola tracciata da questo grande italiano, che fu però interrotta precocemente prima di giungere ad un pieno compimento.

Oggetti che sono stati di proprietà di Boggiani sono esposti nel Museo de los Imigrantes, inaugurato nel 2016, che traccia una panoramica del contributo fornito allo sviluppo del Paraguay da coloro che vi si stabilirono proveniendo da Europa, Asia e Medio Oriente. In questo contesto la componente italiana e la figura di questo artista ed esploratore hanno meritato una posizione di primo piano. Si tratta di un bocchino di corno, di un paio di occhiali, di un tagliacarte e di una sottile penna, forse proprio quella che servì per scrivere il suo diario di viaggio.

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14 - Oggetti di proprietà di Boggiani esposti al Museo de los Inmigrantes di Asunción

Oltre che nei musei e nelle biblioteche pubbliche, Boggiani è oggi presente nelle collezioni private e nei salotti della borghesia paraguaiana. Molti suoi quadri sono appesi alle pareti nelle case di Asunción. Documenti, lettere e oggetti come il suo scrittoio da viaggio, sono custoditi gelosamente da avvocati, medici e professionisti che sono felici di metterli a disposizione e farli riprodurre e fotografare da chi dimostri di avere interesse a raccogliere informazioni sulla vita e le opere di questo personaggio al quale tutti guardano con ammirazione e gratitudine. Questo è il caso, per esempio, della carta etnologica disegnata e firmata da Boggiani nel 1897, riprodotta a pag.6

15 - Tramonto nel Chaco di Guido Boggiani.Collezione privata.

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1616 - -Vista Vista dall’ dall’ Acropoli. Acropoli. Museo Museo de del Bellas Bellas Artes Artes di Asunción Asunción . . Quadro dipinto da Boggiani durante la sua crociera in Grecia nel 1895

La vicenda di Guido Boggiani e la sua tragica fine sono oggi ben presenti nell’immaginario collettivo. A riprova del fatto che non sono state riposte negli archivi polverosi della memoria, Bernard Krasniansky, un artista paraguaiano ne ha tratto ispirazione. Opere d’arte suggestive sono state realizzate intervenendo su alcune fotografie che rappresentavano paesaggi del Chaco, indigeni Chamacoco o Caduveo e anche i resti mortali dell’esploratore italiano, rinvenuti dalla spedizione condotta da José Cancio nel 1902, nonché oggetti a lui appartenuti, tra i quali la macchina fotografica con la quale aveva realizzato tanti splendidi ritratti. Krasniansky ha anche tratto spunto dalle evidenti analogie tra fotografie di giovani Indios scattate da Boggiani e statue greche, e tra ritratti di donne indigene e dame rinascimentali.

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17 - Opera dell’artista plastico Bernard Krasniansky, ispirata alla vicenda di Boggiani

Boggiani è ancora fisicamente presente ad Asunción. Nel quartiere della Recoleta si trova il cimitero monumentale della capitale. Una parte è riservata alla comunità italiana, ha un proprio ingresso, ed è ricca di tombe e lapidi delle famiglie più importanti, che hanno dato lustro al loro paese di origine fornendo contributi di grande rilievo alla costruzione del Paraguay. Il Cimitero Italiano, questo è il suo nome, è dotato di una cappella di generose dimensioni. Il visitatore che entra dall’ingresso principale può vedere, in fondo alla navata centrale, ai lati dell’ altare, due grandi urne di bronzo. Quella di sinistra ha alla sua base una lapide, anch’essa di bronzo, nella quale sono incise le seguenti parole:

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"Nell' ombra della selva inesplorata cadeva Guido Boggiani, vittima di irresponsabile barbarie, testimoniando il suo amore per questa terra, perpetuamente vivo nelle sue opere di artista e di scienziato nel memore canto dell'Amico Gabriele D'Annunzio" Qui sono state trasferite le spoglie mortali ritrovate da José Cancio. In un’urna identica, collocata simmetricamente alla destra dell’ altare, riposano le spoglie di Gavilán, il fedele aiutante di Boggiani, che lo aveva accompagnato in tante avventure e che era con lui anche nell’ultima spedizione. Guido Boggiani accompagna il visitatore anche se questi esce dalla capitale, percorre la transchaco, rettilineo asfaltato che punta a nord verso la Bolivia per circa 400 km e poi, poco prima della città di Filadelfia, imbocca una pista sterrata, lunga anch’essa quasi 400 km, che si dirige verso nord est in direzione di Karcha Bahlut. La pista si addentra nel cuore di una

18 - Guido Boggiani riposa ad Asuncion regione ancora oggi scarsamente popolata, quasi desertica che, nelle parti non ancora devastate dall’agricoltura intensiva, mantiene quasi intatte le caratteristiche e il fascino sottile che incantarono 120 anni fa un giovane esploratore italiano. Di essa Boggiani scrisse, nella sua conferenza "I Ciamacoco", pubblicata nel 94: "quella regione, a prima vista, dà l' impressione di una grande monotonia e di una tristezza infinita. Poi, però, qualcosa cambia, la tristezza e la monotonia spariscono ed un senso profondo di ammirazione e di meraviglia subentra nell' animo”. Il giovane pittore fu rapito dal “...fiume maestoso che tra le due sponde sempre basse e sempre verdi scorre placido e specchiante in curve smisurate"

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Lo colpiscono "lunghe, interminabili file di elegantissime palme...", “un mare di arbusti e di piante grasse spinose, allacciati in una inestricabile matassa", ”una parete verde, uniforme senza uscita", "acque lisce come l'olio del fiume o delle lagune",

19 - Alcune parti del Chaco non sono molto diverse da come le trovò Boggiani

"tramonti infuocati, d'uno splendore inusitato, indescrivibile”

Tutto ciò è ancora disponibile per il visitatore che accetti le incognite di un viaggio su piste sterrate che un 20- "tramonti infuocati, d'uno splendore inusitato, indescrivibile”. Guido Boggiani temporale può trasformare in trappole di fango e i disagi di una regione poco o nulla dotata di infrastrutture turistiche. In cambio potrà assaporare quel fascino sottile che il pittore di Omegna era venuto a cercare dall’altra parte del mondo.

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Se l’ambiente naturale conserva ancora intatti angoli remoti dell’Alto Chaco come ai tempi di Boggiani, che dire di quello etnico? Per avere un’idea dei cambiamenti intervenuti nel corso degli ultimi 120 anni, si può fare un paragone tra la carta di questa regione realizzata dall’esploratore italiano alla fine del diciannovesimo secolo e una sezione relativa alla medesima porzione del territorio paraguaiano, della mappa nella quale, a seguito del censimento del 2001, sono indicati gli insediamenti di etnie indigene.

21 - Cartina etnica di Boggiani (1897) 22 - Cartina etnica del censimento 2002

Sono purtroppo spariti Sanapana, Sapuquí e Guaná.

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I sei triangolini di colore violetto, situati sulla riva destra del Rio Paraguay, nella parte più settentrionale della cartina indicano però i luoghi nei quali vivono ancora oggi comunità Chamacoco.

Il secondo triangolino, partendo dall’alto, segna il luogo ove si trova un villaggio di case costruite con tronchi di palma, con circa 120 anime, conosciuto come Puerto 14 de Mayo ovvero con il nome indigeno di Karcha Bahlut. In questo luogo Guido Boggiani soggiornò per lungo tempo. Il cacique di questo villaggio, Bruno Quirique Barras, depositario di una tradizione orale pluricentenaria, riporta la memoria di questo straordinario personaggio e indica al visitatore il luogo ove sorgeva un “vaporu”, albero maestoso e fronzuto dalle radici nodose poi trascinato via dalla erosione fluviale, alla cui ombra Boggiani suoleva riposare.

Nel 2013 il Museo il Museo Nazionale Preistorico Etnografico Luigi Pigorini diede a chi scrive l’incarico di raccogliere informazioni su alcuni dei 2468 reperti di arte indigena che lo stesso Pigorini aveva acquistati nel 1893 da Guido Boggiani. Si trattava di ornamenti di arte plumaria di una raffinatezza e modernità sorprendenti. A parte il loro valore estetico, tali oggetti avevano attirato l’interesse degli esperti del Pigorini per il loro utilizzo non già come semplici ornamenti, ma come accessori utilizzati per finalità magiche e rituali. Per ogni oggetto era necessario sapere da quali uccelli provenivano le piume, quali

23 - Il Cacique di Karcha Bahlut, Bruno Quirique Barras, proprietà magiche possedeva ogni tipo di dà spiegazioni sulle proprietà e gli utilizzi magico-rituali di ornamenti di arte plumaria. piuma, dove venivano conservati quando non in uso, in quali circostanze venivano utilizzati e così via.

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Il Cacique di Karcha Bahlut fu il tramite per ottenere le informazioni richieste. Gli furono anche consegnate sei copie ad alta definizione di una dozzina di ornamenti. Il Cacique prese questo materiale con molto piacere, anche perché, in un certo senso, considerava che gli veniva da Boggiani, personaggio assai caro al suo popolo. Le sei copie gli servivano per distribuirle ai capi delle sei comunità Chamacoco che abitano sulla riva destra del Paraguai, e che si riuniscono periodicamente ogni sei mesi. L’arte plumaria è ancora praticata dagli ultimi Chamacoco, che li indossano in occasione dei loro riti e cerimonie. Gli oggetti che realizzano non raggiungono però il livello di ricchezza e raffinatezza del passato. Quelle immagini costituivano quindi un utile stimolo per recuperare tecniche e tradizioni antiche. Il Cacique spiegò poi che il suo popolo nutriva una profonda gratitudine nei confronti del giovane italiano che aveva vissuto con gli antenati dei moderni Chamacoco per motivi precisi e concreti. Il villaggio di Karcha Bahlut si trova nel mezzo di un terreno di 14.000 ettari, scampato alla deforestazione e all’agricoltura estensiva. Il Cacique riuscì a recuperarne la proprietà e l’intestazione al suo popolo, al termine di una lunga e difficile battaglia legale. Il documento che rese possibile tale risultato era sottoscritto da Bruno Boggiani il quale aveva attestato che i Chamacoco abitavano in quelle terre già 120 anni orsono. Grazie a lui gli abitanti di Karcha Bahlut vivono in un ambiente naturale non molto diverso da quello tradizionale, pescano con arco e frecce tradizionali e si approvvigionano facilmente di caranday 24 - Si pratica la pesca con arco e frecce (legno di palma) e di quebracho (legno tropicale durissimo usato per piloni e fondamenta) per costruire le loro abitazioni con tecniche tradizionali.

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I Chamacoco conservano anche una parte dei riti e delle tradizioni della loro cultura ancestrale. Ai tempi di Boggiani era in uso la pratica del “Debylyby”, la Grande Cerimonia. I componenti della stessa etnia si radunavano, proveniendo anche da località remote e davano vita, nell’arco di circa tre mesi, a decine di riti, cerimonie e gare sportive. Era un momento importante di rinnovo del contratto sociale durante il quale si ribadiva l’appartenenza alla medesima cultura. Un evento così articolato e lungo sarebbe oggi insostenibile 25 - Tronchi di palma al posto delle tegole anche nell’Alto Chaco ove il tempo scorre con ritmi ben lontani da quelli frenetici delle grandi città. Qualcosa, però, è rimasto.

È possibile assistere a frammenti della Grande Cerimonia ovvero a pratiche magiche per immunizzare dal veleno trasmesso con un morso di vipera.

26 - Uno Shamano estrae dal suo esofago un talismano, 27- Shamani eseguono una cerimonia del Debylyby antidoto contro il veleno di vipera

Nel 2015 il CNR decise di realizzare scavi nel villaggio di Karcha Bahlut, negli stessi luoghi che erano stati frequentati da Guido Boggiani più di un secolo prima. La decisione fu presa perché erano stati lì rinvenuti frammenti di ossa umane che il Cacique sosteneva essere appartenute ad Anabsoro, mitiche semi divinità. All’esame carbonio 14, tali frammenti risultarono risalire ai primi decenni dell’era cristiana. 25

Per proteggere gli scavi dagli improvvisi acquazzoni che giungevano senza preavviso, si installò, con l’aiuto degli indigeni, una tenda. Il paragone con un accampamento di Boggiani, come appare da una fotografia da lui stesso a suo tempo scattata, è a dir poco suggestivo.

28 - La tenda che riparava gli scavi del CNR a Karcha Bahlut 29 - Accampamento di Guido Boggiani nel Chaco

. . Nel corso degli scavi avvenne un ritrovamento imprevisto sorprendente.

In mezzo a frammenti di ceramica decorati, a conchiglie e resti di animali, e accanto agli scheletri quasi completi di due individui collocati in posizione fetale, apparvero sette o otto oggetti luccicanti. Erano sottili frammenti di vetro finemente istoriati, con decorazioni a forma sinusoidale. (vedi foto qui accanto) Bellissimi, ma del tutto fuori contesto perché la lavorazione del vetro non appartiene alle culture sudamericane. 30- frammento di vetro istoriato rinvenuto negli scavi CNR

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Il grado di opacizzazione dimostrava che si trattava di oggetti non recenti. Non è stato fatto alcun esame che permetta di datarli ma, magari lavorando più di fantasia che con mezzi scientifici, non è da escludere che questi frammenti appartenessero a un oggetto portato in questi luoghi da visitatori non indigeni. Forse, chissà, più di un secolo fa o, addirittura, dallo stesso Boggiani. Gli scavi archeologici realizzati dal CNR durarono quasi due settimane. A Karcha Bahlut non c’è televisione né internet e la sera, in quelle poche ore di luce prima che si spenga il piccolo generatore, c’è tempo per chiacchierare. Spesso è il Cacique a raccontare storie, come quella del Museo o luogo della memoria nel quale gli abitanti del villaggio conservavano gli oggetti più significativi della loro cultura. Una casetta di legno di palma che, 25 anni prima, era stata distrutta da un incendio. I Chamacoco erano rimasti con la speranza di poterla un giorno ricostruire. Nacque così un’idea, un progetto.

31 - Inaugurazione del Museo Verde di Karcha Bahlut. Agosto 2016

Quattordici mesi dopo, nell’agosto del 2016, grazie al contributo finanziario e all’appoggio fornito dal Centro Culturale della Nazione “El Cabildo”, dalla Segreteria Nazionale del Turimo paraguaiano, dalla Municipalità di Bahia Negra e dal WWF Paraguay, si inaugurava il Museo Verde di Karcha Bahlut. Per progettarlo si era partiti dalla pianta di una abitazione

27 tradizionale del luogo, apportandovi solo le poche modifiche strettamente indispensabili per renderla utilizzabile per scopi espositivi. Gli abitanti del villaggio erano stati muniti di una piccola motosega portatile con la quale avevano tagliato a mano, con perizia ammirevole, tronchi di caranday (palma) per realizzare tetto e pareti, e di quebracho per farne piloni e tavole per il pavimento. Ci si era attenuti rigorosamente al principio della “autocostruzione” che avrebbe permesso di raggiungere due obiettivi: economicità e coinvolgimento degli abitanti del luogo. Le donne del villaggio ripresero a produrre borse, coperte di caraguatà, una fibra vegetale che si ricava da una pianta della famiglia delle bromelie, per esporle nel museo. Gli uomini fabbricarono mazze, asce e altre armi utilizzando legni che trovavano nei boschi intorno al villaggio. La figlia del Cacique annotò in un registro i nomi di visitatori. Europei e anche Giapponesi! Il Museo Verde è un piccolo contributo per salvare dalla scomparsa almeno una parte della cultura Chamacoco per la 32 - Borse di caraguatà quale Guido Boggiani fece tanto. A Karcha Bahlut si è sperimentato un format replicabile in altri luoghi, con tecniche e materiali tradizionali di altre etnie.

33 - Museo Verde di Carmelo Peralta. Chiudendo lo spazio sottostante si è ricavato un piccolo centro culturale.

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Circa 150 km più a sud, sulla stessa riva destra del Río Paraguay, vicino al villaggio di Carmelo Peralta, vivono gli Ayoreo, etnia dello stesso gruppo linguistico dei Chamacoco. Ai tempi di Boggiani non vivevano in queste terre. Vi si sono installati recentemente in un appezzamento di 12.000 ettari donato loro dalla chiesa Cattolica. Qui, con l’appoggio anche di UNDP e WWF Paraguay, sarà costruito un secondo esemplare di Museo Verde, dotato anche di un piccolo centro culturale e di una videoteca che raccoglierà interviste agli anziani su riti e tradizioni che rischiano di scomparire perché, come disse il Cacique Ayoreo: ”Cosa faremo quando i nostri vecchi ci lasceranno?” Il progetto del Museo Verde non poteva non attraversare il grande fiume Paraguay e sbarcare sulla sua riva sinistra che oggi fa parte dello stato brasiliano del Mato Grosso del Sud ove oggi, come a fine ‘800, vivono i Caduveo.

34 - L’ingresso della riserva Caduveo. Al centro l’autore, alla sua destra il Direttore del Centro Studi Antropologici dell’Università Cattolica di Asuncion José Zanardini e alla sua sinistra il Dirigente di WWF Paraguay Calixto Saguier

Vivono in varie comunità disseminate in un territorio molto vasto, della superficie di circa mezzo milione di ettari, equivalente, per dare un’idea, a quello del Molise. Il Brasile gliene fece dono, come ricompensa per il contributo che i Caduveo prestarono grazie alla loro abilità di Cavalieri, nella guerra della Triplice Alleanza contro il Paraguay tra il 1864 e il 1870.

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Per arrivarci bisogna imboccare la strada n.12 che, come risulta dalla foto qui di lato, è intitolata a Guido Boggiani. Una delle Comunità Caduveo è situata nella località di São João, ove è in programma realizzare un terzo Museo Verde. Il visitatore che si spinge fin qui trova una novità sorprendente. Oltre che di case di legno di palma analoghe a quelle di Karcha

Bahlut, il villaggio di São João è dotato di una piccola costruzione 35 - Estrada 12 Guido Boggiani in muratura, adibita a scuola. Le sue pareti esterne e anche interne sono decorate da bei motivi geometrici multicolori. I motivi sono quelli della antica tradizione Caduveo, che furono riprodotti, con la perizia del pittore, da Guido Boggiani in numerose illustrazioni disegnate nel trattato che dedicò a questo popolo.

36 - Affreschi con motivi decorativi tradizionali Caduveo .

Ma come si sono conservati fino ad oggi questi suggestivi disegni che risalgono probabilmente a qualche secolo fa? Come hanno resistito all’impatto devastante della globalizzazione? La risposta si trova in un’altra casa del villaggio ove alloggia una donna che realizza oggetti di terracotta decorati con questi motivi, per venderli nella cittadina di Bonito, distante circa 70 km, che ha registrato un importante sviluppo del turismo.

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Mentre la donna dipingeva vasi e suppellettili, suo marito sfogliava un libro riprodotto in fotocopia, con una semplice rilegatura a spirale, scegliendo dalle sue illustrazioni, quale decorazione fosse più appropriato copiare. Il libro era “I Caduveo” di Guido Boggiani!

37 - Nella comunita Caduveo di São João, nel Mato Grosso del Sud, un uomo sfoglia una fotocopia de “I Caduveo” di Guido Boggiani. . Sullo sfondo la moglie dipinge ceramiche con decorazioni tratte da quel libro

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Nota per il lettore. Le informazioni raccolte in questo articolo sono state tratte dalle fonti indicate nella bibliografia e dalle esperienze personali dell’autore, il quale ha vissuto più di tre anni in Paraguay, si è recato 9 volte nell’ Alto Chaco, ha scattato le foto qui riprodotte, ha realizzato, per conto del Museo Pigorini, il progetto di ricerca citato nel testo, e ha partecipato alla Missione Archeologica realizzata dal CNR nel 2015. A lui si deve anche l’ideazione e il coordinamento del progetto “Museo Verde”. Le vicende esposte, e molte altre, condite con un pizzico di fiction, sono raccontate in modo più ampio e diffuso in un romanzo intitolato “Karcha Bahlut, l’ultimo Shamano”, di prossima pubblicazione.

Bibliografia

¨ Boggiani G. fine ‘800: Annotazioni autografe di viaggio, Asuncion, Museo Andrés Barbero. ¨ Boggiani G. 1894: I Ciamacoco, Roma: Società Romana per l'Antropologia. ¨ Boggiani G. 1894: Vocabolario dell'idioma Ciamacoco. Roma, Atti della Società Romana per L’ Antropologia. ¨ Boggiani G. 1895: I Caduvei (Mbayá o Guaicurú). Viaggio d'un artista nell'America Meridionale. Roma: Ermanno Loescher. ¨ Boggiani G. 1902: Lettera al fratello Oliviero, pubblicata sul Giornale d'Italia, 23 marzo. ¨ Cancio J.F. 1902: Alla ricerca di Guido Boggiani nel Chaco Boreale Paraguayo, Asunción. Giornale El Paraguayo. Poi pubblicato dalla Società Geografica Italiana, Roma, 1903.

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