Sin Da Bambino Sognai Di Fare Grandi Viaggi in Regioni Vergini E Lontane, Fra Selvaggi in Paesi Sconosciuti."
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"Sin da bambino sognai di fare grandi viaggi in regioni vergini e lontane, fra selvaggi in paesi sconosciuti." Boggiani ad Asunción, nel Chaco e nel Mato Grosso. Alla fine del XIX secolo Correva l’anno 1887 e sul molo del porto di Genova un passeggero si accingeva a salire sulla passerella e a imbarcarsi sul Duchessa di Genova. Tra poche ore il transatlantico avrebbe tolto gli ormeggi per dirigersi verso Gibilterra, inoltrarsi nell’Oceano Atlantico e far rotta per Buenos Aires. Il passeggero era un giovane di ventisei anni, elegante nel suo completo di buon taglio, con i baffi ben curati e il fisico, come diceva il suo amico Gabriele d’Annunzio, “immune da adipe ignavo” 6). Si chiamava Guido Boggiani e non era un emigrante. Quantomeno, non era stato indotto a lasciare la Bella Italia da necessità materiali. Era nato nel 1861 a Omegna, in provincia di Novara, da una famiglia benestante di proprietari terrieri. Suo padre lo aveva mandato a studiare presso il Collegio Commerciale di Stradella, in provincia di Pavia. Aveva deciso che andava instradato per poter gestire, un giorno, il patrimonio familiare. Arrivato ai 17 anni, però,il giovane Boggiani aveva deciso altrimenti. Buttati nel cestino i manuali di contabilità, si era iscritto all'Accademia di Belle Arti di Brera dimostrando, subito, di avere talento da vendere. Il suo quadro ”La raccolta delle castagne“ aveva vinto il premio Principe Umberto. Giovane, benestante e baciato dalla fortuna, Boggiani conduceva una vita brillante nell'Italia della Belle Epoque. Era un periodo felice, un mondo raffinato descritto nei romanzi di D'Annunzio e di Matilde Serao. Gli uomini che appartenevano all’élite vestivano in modo ricercato, conoscevano due o tre lingue, sapevano comporre un poema, suonare il piano e tirare di scherma. Anche questo era necessario perché i duelli erano formalmente proibiti, ma assai frequenti. 2 Boggiani aveva più di un motivo di soddisfazione, ma quello che aveva ottenuto non gli bastava. Un po' perché anche la vita più brillante può con il tempo trasformarsi in routine e un po' perché sentiva dentro di sé una spinta ad andare oltre, aldilà. Come aveva annotato nel suo diario, sin da bambino sognava di fare grandi viaggi in regioni vergini e lontane, fra selvaggi, in paesi sconosciuti. Il suo amico D' Annunzio, che lo aveva capito, lo chiamava l’Ulisside. Anche lui, come Gauguin, Rimbaud e altri artisti e intellettuali dell’epoca, aveva sentito crescersi dentro un senso di disagio e inquietudine esistenziale che lo spingevano ad abbandonare una vita comoda e piacevole per avventurarsi alla ricerca delle radici ancora non corrotte della natura umana. Nell’inverno del 1887 Boggiani giunse a Buenos Aires con l’idea di proseguire per la Patagonia, comprare una estancia e convertirsi in allevatore. Un giorno, però, quasi per caso, si imbarcò sul San Martin, un vapore che risaliva il Parana ParaguaY e, dopo pochi giorni di navigazione, era ad Asunción. Qui prese alloggio nell’Hotel Hispano- Americano, nell’edifício che oggi ospita il Ministero degli Esteri del Paraguay. Appena arrivato, annotò nel suo diario queste poche parole: “Ora vedo che resterò molto tempo in Paraguay, forse anni.” 1) 1 - Foto d'epoca di una stanza dell'Hotel Hispano-Americano 2 - Foto d'epoca della sala da pranzo dell'Hotel Hispano- Americano dove Boggiani alloggiò. L'edificio ospita oggi il Ministero degli Esteri paraguaiano 3 Asunción sarebbe stata soltanto una base dalla quale partire alla volta delle regioni “vergini e lontane” che Boggiani vagheggiava sin dalla sua infanzia. Nel febbraio del 1889 si imbarcò per la terza volta. 3 - Il Bolivia in località Las Juntas, all'ingresso del ramo nord del Pilcomayo La nave che lo attendeva nel porto si chiamava Bolivia. Era un vapore a ruote che faceva la tratta Asunción - Puerto Casado accettando carico, passeggeri e bestiame. Era in partenza per risalire il ParaguaY ed addentrarsi nel Chaco, regione inaccessibile via terra, abitata, si diceva, da feroci indigeni dediti all'antropofagia. Un mondo ignoto che esercitava su di lui un’attrazione fatale. Quello sul Bolivia fu il primo di molti viaggi. Nell'89 Boggiani fece altre tre escursioni per via fluviale. Si spinse sempre più a nord, raggiunse prima Fuerte Olimpo, ove incontrò i Caduveo, popolazione che viveva sulla riva sinistra del rio Paraguay, e poi Puerto Pacheco, anche conosciuto come Bahia Negra ove, 4 scrisse,"…ho fatto grande amicizia con i Ciamacoco”. Il primo incontro tra un bianco e un Chamacoco risaliva a solo 4 anni prima e il terreno della ricerca etnografica era fertile e inesplorato. Animato dal desiderio di spingersi sempre più in là, Boggiani abbandonava la vita relativamente confortevole a bordo dei traghetti fluviali per addentrarsi in un territorio ostile e inospitale. Per farlo era necessario armare vere e proprie spedizioni, a cavallo e a piedi, che potevano durare anche parecchie settimane e richiedevano un impegno finanziario consistente, mentre il piccolo patrimonio che aveva portato con sé dall’Italia cominciava adassottigliarsi. Il giovane avventuriero, forse memore dei suoi studi giovanili al collegio di Stradella, decise di darsi al commercio per reperire le risorse necessarie. Le pelli di cervo che gli indigeni cacciavano in quantità nelle foreste del Chaco erano molto richieste e ben pagate ad Asunción. Come merce di scambio Boggiani portava con sé piccole damigiane di pinga, una specie di acquavite a basso prezzo e alta gradazione alcolica. Gli Indios l’avevano scoperta e la preferivano alla loro tradizionale bevanda a base di idromele. Tra il 1889 ed il 1901 Boggiani organizzò spedizioni nel bacino del Rio Paraguay, risalendo anche suoi affluenti come il Nabilecche, e inoltrandosi in spazi del tutto inesplorati, sulla riva destra del gran fiume, in quello che oggi è noto come il Chaco paraguaiano e, sulla sponda sinistra, nel territorio attualmente compreso nello Stato brasiliano del Mato Grosso del Sud. Si spinse anche a occidente, percorrendo il Rio Pilcomayo che segna il confine tra ParaguaY e Argentina. Furono dodici anni di viaggi, esplorazioni e attività di ricerca, interrotti solo da un viaggio in Italia e in Grecia del quale parleremo tra poco, che avrebbero lasciato una traccia profonda nella storia della moderna etnologia. Il risultato è riassunto in una carta etnologica del 1897, nella quale vengono identificati i territori nei quali vivevano ben 12 etnie indigene. Una mappatura di straordinaria validità e precisione scientifica nella quale le aree sono marcate con dei semicerchi per indicare i luoghi nei quali popolazioni allora del tutto nomadi, stabilivano di volta in volta la loro residenza. 5 4 - Guido Boggiani, Mappa etnografica. Archivi della collezione privata dell’Avv. Jorge Gross Brown di Asunción. 6 Boggiani stabilì rapporti amichevoli con tutte le 12 etnie che compaiono nella cartina sopra riprodotta. In molti casi si trattenne per vario tempo presso di loro, condividendone la vita quotidiana e studiandone usi e costumi. La sua attenzione di ricercatore si concentrò, tuttavia, sui Chamacoco e sui Caduveo, indicati nella cartina etnica, rispettivamente con semicerchi di colore azzurro e marrone. Trascorse lunghi periodi vivendo nei loro villaggi. Annotò una quantità notevole di informazioni sulla loro cultura, arrivò, nel caso dei Chamacoco, a redigere un glossario con traduzione in italiano dei vocaboli più usati del loro idioma, e riprodusse i disegni ornamentali tradizionali in disegni accurati e fedeli all’originale. Nel gennaio del '92 scrive "…io stesso, ottenuta dal governo del Paraguay una concessione di circa 80 km. quadrati di territorio in affitto, impiantai due nuove stazioni, aprendo due nuovi porti sul fiume, a circa 15 0 20 km. più a sud di Puerto Pacheco, al più lontano dei quali fu dato il nome di Puerto Esperanza ed all'altro quello di Puerto 14 de Majo” 2). Quest’ultima località viene anche chiamata con il nome indigeno di Karcha Bahlut. Il pittore si convertì, inoltre, alla più moderna delle arti figurative: la fotografia. Boggiani portava con sé un voluminoso apparecchio fotografico con lastre e treppiede. Nelle sue note di viaggio racconta come talvolta questo ingombrante bagaglio, montato sulla groppa del suo cavallo, gli percuotesse dolorosamente la schiena durante i lunghi percorsi nella selva del Chaco. Il sacrificio produsse buoni risultati con i ritratti di indigeni Chamacoco e Caduveo che, malgrado la semplicità degli strumenti tecnici adottati, sono tra i più belli ed espressivi mai realizzati. Forse il più impressionante è quello che ritrae una giovane Caduveo, dall’aspetto enigmatico e nobiliare nella quale, sia pur con un paragone un po’ azzardato, sono state ravvisate analogie con la Monnalisa. Questa massa di informazioni, disegni, documenti fotografici confluì in due trattati “I Chamacoco” e “I Caduveo”, che furono pubblicati rispettivamente nel 1894 e nel 1895 e che sono ancora oggi un punto di riferimento fondamentale per la conoscenza di queste due culture. Il Boggiani pittore e fotografo si era trasformato in etnologo. 7 Pur essendo un dilettante, lasciò un segno indelebile nella evoluzione di questa scienza che passò da essere “etnografia” che si limitava a raccogliere e registrare dati e informazioni, a divenire “etnologia”, tesa anche a comprendere e interpretare le culture aborígene. Il giovane artista italiano fu facilitato nel suo compito da una sensibilità estetica certamente assai sviluppata. Che abbia fatto un lavoro straordinario lo si deduce dai commenti che professionisti della scienza alla quale lui si era avvicinato senza una preparazione accademica specifica, hanno espresso sulla sua attività. Claude Levi Strauss (1908-2009), famoso etnologo e filosofo, padre dello strutturalismo in archeologia, 5 - Ritratto di donna Caduveo (foto di Guido Boggiani nella sua opera “Tristes Tropiques” cita Boggiani e il contributo fondamentale da lui dato alla conoscenza dell’arte della pittura corporale Caduveo. L’antropologo tedesco Herbert Baldus (1899-1979), nella prefazione alla edizione spagnola de “I Caduveo” lo definisce un cattivo commerciante di pelli ma un ottimo etnografo.