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La persona storica. - L'esistenza storica di un C. padre di . - Antenato di D. (Pd XV 28, 88-89), padre di Alighiero è accertata da due documenti conservati nell'Archivio Alighiero bisavo del poeta (vv. 91-97), appare nel cielo di Marte di Stato di Firenze: il primo, del 9 dicembre 1189, in cui i fratelli (vv. 19-21). Battezzato in S. Giovanni, nella Firenze della Preitenitto e Alaghieri, " filii olim Cacciaguidae ", promettono a cerchia antica, tanto diversa, nella sua semplicità, dalla corrotta Tolomeo, prete della chiesa di S. Martino, di tagliare un fico città del Trecento, ebbe due fratelli, Moronto ed Eliseo, e presso il muro di proprietà della chiesa stessa; il secondo, del 14 consorte una donna di Val di Pado, da cui derivò il cognome agosto 1201, in cui Alighiero di Cacciaguida e un suo figliolo Alighieri. Fu seguace dell'imperatore Corrado III che lo rimeritò son testimoni a una quietanza rilasciata da Iacopo di Rosa, del ben ovrar facendolo cavaliere; seguì l'imperatore anche protomaestro di Venezia, per tutto ciò che egli poteva richiedere contro gl'infedeli e subì il martirio in Terrasanta (vv. 97-148). D. al podestà di Firenze. Il Davidsohn, inoltre, segnalò fra le carte gli rivolge quattro domande: chi furono i maggiori suoi; qual strozziane dell'Archivio di Stato di Firenze uno strumento del 28 anno del Signore si segnava alla sua nascita; quanti erano allora aprile 1131 dove interviene come testimone un C. " filius Adami gli abitanti di Firenze; e quali le famiglie degne dei più alti uffici " (cfr. Geschichte 1449) e M. Barbi, che ristudiò la carta, si nella città (XVI 22-27). C. risponde anzitutto alla seconda: mostrò favorevole all'identificazione, anche perché il nome di C. quando egli nacque il pianeta Marte, dal giorno non risulta comune. Tuttavia il Piattoli non affianca questo dell'Annunciazione, era tornato 580 volte sotto la costellazione documento ai due precedenti nel Codice perché non è certo che del Leone; dei suoi maggiori si limita a dire che abitavano nel il figlio di Adamo e il padre di Alighiero siano la stessa persona. centro di Firenze, nel punto in cui i corridori del palio entravano Bastano, però, le date dei due primi strumenti per collocare la nel sestiere di Porta S. Piero, dove egli stesso vide la luce. vita di C. nel secolo XII, ai tempi di Lotario II e Corrado III, a escludere, cioè, che l'imperador Currado seguito dal trisavolo di Dichiara poi che il numero dei cittadini atti alle armi era allora D. alla crociata possa essere Corrado II di Franconia (1024- un quinto di quello del 1300; soggiunge però che la popolazione 1039) anche se questi, come dice il Villani (IV 9), " si dilettò cittadina non aveva subito infiltrazioni dal contado e lamenta assai della città di Firenze quando era in Toscana, e molto l'ingresso in Firenze, favorito dalle insidie ecclesiastiche l'avanzò e più cittadini si feciono cavalieri di sua mano e furono all'autorità imperiale, del villan d'Aguglion, di quel da Signa, al suo servizio ", allorché andò a combattere i Saraceni in pronti alla baratteria, di faccendieri il cui avo ‛ andava alla cerca Calabria. Eppure tali notizie e la possibile confusione dei ' a Simifonti, e degli stessi nobili inurbati da Montemurlo, da numerali - Corrado III di Hohenstaufen (1138-1152), terzo come Acone, da Val di Greve, perché le mescolanze infirmano la re di Germania, fu secondo come imperatore - fecero sorgere compattezza delle città, e il numero di per sé non è forza (vv. 34- qualche incertezza fra gli antichi commentatori, a cominciare da 72). All'ultima risposta premette che, come decadono le città, Pietro, il quale confuse la crociata di Corrado III con la così le schiatte; anche se la brevità della vita umana non consente spedizione in Calabria del Salico, asserendo che C. seguì " di avvedersene, la Fortuna muta le sorti come il volgere della Corrado de Soapia, cum in Calabria contra Saracinos ivit et luna alterna le maree. Né Firenze può sottrarsi a questa legge: bellavit ". Nell'ultima redazione del suo commento Pietro si l'avo evoca infatti i nomi di tante illustri casate già in declino corresse (cfr. " Bull. " XI [1904] 9), ma l'incertezza sopravvisse durante la sua vita, di altre in fiore e poi perdute dalla loro nel Buti: " questo Currado per quello che io posso comprendere superbia, come gli Uberti e i Lamberti, di famiglie allora appena per le croniche fu Currado primo ", nel Landino: " questo... fu sul crescere, come gli Adimari, e di altre grandi, come i Della Currado I negli anni del Signore millequindici ", e in altri. Pera, che dettero il nome a una porta cittadina, ora già spente; Alcuni moderni attribuirono la confusione a D. stesso, ritenendo adesso fra le antiche famiglie che Ugo di Toscana privilegiò con che Corrado m non fosse mai sceso in Italia (Casini, Steiner, la sua insegna c'è persino chi ‛ col popol si rauna '. Onorati erano Pompeati, Pietrobono, Donadoni, Cosmo, ecc.); ma, se pure non allora gli Amidei dal cui giusto sdegno contro Buondelmonte ancora imperatore, Corrado venne in Italia nel 1128 al tempo derivarono le divisioni di Firenze: certo sarebbe stato meglio per della sua lotta con Lotario II di Suplimburgo, fu anche in i Fiorentini che Dio avesse lasciato affogare il giovane fedifrago Toscana, dove trovò consensi e seguaci, e tornò poi una seconda nell'Ema al suo primo venire in città, ma conveniesi che Firenze volta nella penisola. Secondo un'ipotesi del Porena, con Poi chiudesse la sua pace con una vittima alla mutila statua di Marte seguitai C. potrebbe alludere al suo farsi seguace in Italia di del Ponte Vecchio. Prima di allora l'insegna del giglio non era Corrado " pugnante contro i Papi e il partito avverso, e allora mai stata capovolta per sconfitta o tramutata per divisione (vv. sarà stato in compenso della sua devozione armato cavaliere ", e 73-154). D. chiede poi all'avo di chiarirgli gli oscuri presagi che con Dietro li andai al suo unirsi alla spedizione dell'imperatore gli sono stati fatti durante il viaggio e C., leggendo nel cospetto in Terra Santa, come è accertato che fecero altri italiani (cfr. W. etterno (XVII 39), gli predice senza ambagi che egli dovrà Bernhardi, Konrad III, Lipsia 1883, 601). Non sussistono, staccarsi dalla città natia, innocente, ma calunniato da chi già comunque, ragioni storiche che si oppongano al racconto del trama contro di lui presso la curia di Roma, e solo la giustizia poeta e la morte di C. va posta prima del settembre 1148, quando celeste potrà ristabilire il vero. Gli parla poi dei dolori e delle Corrado III abbandonò la Terra Santa; forse avvenne nell'anno umiliazioni dell'esilio, dell'amara rottura coi compagni precedente, allorché l'esercito imperiale fu quasi completamente fuorusciti, del primo rifugio presso gli Scaligeri, dove D. Vedrà, distrutto dai Mussulmani. fanciullo novenne, Cangrande, destinato a grandi cose (vv. 31- 93). Esorta infine il nipote a non portare odio ai concittadini, Quanto alla nascita del trisavolo, D. fornisce un'indicazione essendo certo l'infuturarsi della sua vita oltre la punizione della astronomica che ha dato molto da fare agl'interpreti: dal giorno loro perfidia. Al dubbio di D. se, con suo nuovo rischio, dovrà dell'Annunciazione a quello della nascita di C. il pianeta Marte ridire tutto ciò che ha visto nell'oltretomba, così amaro per tanti, tornò 580 volte sotto il segno del Leone. Il Lana spiegò: " altro risponde di far manifesta tutta la vision, senza curarsi di chi ne non è a dire che 580 rivoluzioni di Marte che comprende çascuna sarà meritamente ferito: la voce del poeta sarà come vento, che dui anni solari, sì ch'è quel numero 1160 ", e fu seguito le più alte cime più percuote; gli sono stati presentati esempi dall'Ottimo, dal Buti, dal Landino e da molti altri. Ma nel 1595 insigni proprio perché solo da essi l'animo umano può ricevere gli accademici della Crusca fecero notare che in tal modo C. vital nodrimento (vv. 94-142). sarebbe morto prima della nascita: si accordarono perciò a Elisei perché a loro rimase l'antichità ": discendessero questi dal Pietro, che aveva revocato in dubbio la lezione di Pd XVI 37-38 fratello di C. (Zingarelli) oppure no, il trisavolo di D. fu cinquecento cinquanta / e trenta fiate (" scriptum corrupte 30 probabilmente loro consanguineo. Quanto alla moglie, la vaga vicibus, ubi debet dicere tribus vicibus ") e, ridotto il numero indicazione di C., val di Pado, ha stimolato le indagini dei delle rivoluzioni di Marte a 553, aveva fissato la data di nascita dantisti i quali, sulla scorta di Pd XV 138 e quindi il sopranome del suo antenato al 1106. L'edizione critica della vulgata ha tuo si feo, si son dati a ricercare fra le casate di Ferrara, di Parma, ribadito la lezione e trenta; ma su questa stessa lezione già di Bologna, di Verona che si avvicinano per nome agli Alighieri: Benvenuto aveva rettificato il calcolo osservando: " Mars... non si è formata così una tradizione prevalente dal Boccaccio al Del stat per biennium completum ad peragendum cursum suum, Lungo, al Catalano, che vuole ferrarese la consorte venuta a C. immo aliquanto minus, unde facta computatione restat anni 1054 da val di Pado. ". D., infatti, accenna alla rivoluzione di Marte (Cv II XIV 16) fondandosi sui dati di Alfragano (c. XVII), per cui il periodo In parte attinente alla storia è la questione della lingua di C., che siderale di quel pianeta è solo di giorni 686,94. Ma questi, D. dichiara diversa dalla moderna favella (XVI 33): gli antichi moltiplicati per 580 e poi divisi per 365,2466 (durata dell'anno commentatori o sorvolano (Lana, Pietro, Landino) o si mostrano solare secondo Tolomeo), porterebbero al 25 gennaio del 1091 incerti, come l'Ottimo, secondo il quale D. si espresse così " o a (Scartazzini, Vandelli, Steiner). I più si riferiscono dare ad intendere che gli antichi nostri non ebbono del tutto il prudentemente al solo anno 1091 (Casini, Torraca, Pompeati, nostro idiomate, o vero a dimostrare che nell'altro regno è una Pietrobono, Grabher, Fassò, Casella), e il Porena osserva che sola lingua partita dalla nostra "; l'Ottimo fu seguito da anche in tal modo si presuppone Marte sotto il Leone sia al Benvenuto e da altri. Il Daniello, invece, chiosò: " non con tempo dell'Annunciazione sia al tempo della nascita di C., questo parlare fiorentino d'oggi, ma con l'antico latino ". altrimenti il calcolo potrebbe variare fino a tre anni. E infatti non L'opinione che C. parli una lingua ultraterrena è modernamente mancano divergenze per il mese: luglio (Lubin), gennaio seguita solo dal Momigliano; la tesi che tutto il discorso di C. (Antonelli), marzo (Fallani), e per l'anno: 1090 (Ferretti), 1095 continui in latino come le prime parole da lui pronunciate, (Antonelli), 1099 (Zingarelli). Conviene ricordare che la lezione accolta dal Tommaseo perché " il latino era comune alla gente di Pietro è sostenuta modernamente dal Federzoni il quale, non rozza del secolo XII ", è stata ripresa, su altra base, dal dubitando che D. potesse conoscere l'esatta data di nascita del Porena, il quale osserva che, secondo Pd XVII 34-35, C. si trisavolo, mentre, come si sa, ignora la data di morte del bisavolo esprime per chiare parole e con preciso / latin; inutile ripetizione (Pd XV 92), pensa che il poeta abbia posto sulle labbra di C. una se si desse a ‛ latin ' il generico senso di linguaggio; mentre le locuzione apparentemente precisa, ma in realtà approssimativa, parole non con questa moderna favella, inserite fra l'esordio come la intesero gli antichi che facevano coincidere la latino del trisavolo e la chiosa sul suo preciso latin non possono rivoluzione di Marte con due anni terreni. In appoggio ad avere un senso contrastante. Del resto la nobiltà (Cv I V 7) del analoga ipotesi A. Pézard cita ora (D.A., Oeuvres complètes, latino e il parallelismo dell'episodio dantesco con quello Parigi 1965, 1503-1504) anche Onorio di Autun (Imago mundi, virgiliano di Anchise rendono plausibile l'uso eccezionale della I CXXXIX) e suppone che Pietro abbia potuto giovarsi di lingua di Roma da parte del personaggio e giustificano memorie familiari. In tal modo cadrebbero più difficoltà: il l'avvertimento del poeta circa la sua versione, mentre numero spezzato in modo innaturale (cinquanta / e trenta); fiate inesplicabile rimarrebbe il mutar lingua di Cacciaguida. Oggi bisillabo, mentre D. l'usa quasi sempre trisillabo, e infine prevale tuttavia l'opinione di chi, appoggiandosi alle riflessioni l'eccezionale partenza per la crociata a cinquantasei anni. A tale di D. sul rapido mutarsi delle lingue (Cv I V 9 e VE I IX 6), semplificazione osta, però, non solo la tradizione testuale più pensa che la favella non moderna di C. debba intendersi come " autorevole, ma anche la puntigliosa precisione astronomica fiorentino arcaico " (Casella). Il Porena stesso riconosce che D. dantesca, che legittima i tentativi di calcolo esatto; onde nuove non poteva certo credere che nel secolo XII si parlasse rettifiche, come quella di R. Benini, per cui non si sarebbe tenuto comunemente latino; d'altronde il Viscardi invita a riflettere che conto che il Leone, secondo quel che si credeva al tempo di D., per D. " non il latino è più antico delle parlate volgari, ma queste si sposta verso oriente di un grado ogni secolo, sicché Marte per sono più antiche del latino ", e il Casini aveva già osservato che allinearsi a quella costellazione impiegherebbe un certo tempo il discorso del trisavolo " non era una trattazione dottrinale cui in più, che, calcolato su 580 rivoluzioni, sposterebbe la nascita convenisse il linguaggio della scienza ". Ora il Pézard scorge al 1110. Ma G. Horn D'Arturo su precisi calcoli astronomici ha nell'accenno dantesco alla lingua di C. addirittura un'intenzione confermato la data 1091 e a questa oggi si attengono polemica: l'avo parla secondo la più pura tradizione cittadina, generalmente gl'interpreti (Sapegno, Gmelin, Chimenz). non come " Si compiacciono di fare certi moderni; diciamo: i modernisti " (op. cit., pp. 1489-1490 e 1503). Fra i non pochi C. tace sui suoi maggiori e gli antichi biografi e commentatori ritratti linguistici della Commedia rientrerebbe così, per via mostrano di non saper nulla di più di quanto D. fa dire al indiretta, anche il discorso di C., intonato alle cose e alle persone trisavolo; tuttavia si può ritenere certo che questi appartenesse dei tempi che egli rammemora. alla nobiltà, giacché " alla dignità di cavaliere non poteva aspirare chi non fosse di stirpe feudale, de genere militum " Il personaggio poetico. - I critici si sono interessati moltissimo (Salvemini); nobiltà cittadina', in gran parte costituita da quei all'episodio di C., ma assai poco al personaggio. È quasi un minori feudatari che cercarono nelle città una difesa alle luogo comune che C. " non è se non la voce del poeta " (Cosmo); prepotenze dei grandi (cfr. " Bull. " VI [1898] 20). Infatti il Sesto l'incontro col trisavolo è la drammatizzazione di un soliloquio di Porta S. Piero (in realtà, a quei tempi, il Quarto) dove C. pone (P. Baldelli), un espediente escogitato a conferire oggettività a la sua casa, secondo il Villani (III 2) " sempre aveva la migliore una professione di fede. Eppure non è mancata negl'interpreti cavalleria e gente d'arme della città anticamente ". Il Bruni, pur un'avvertenza importante: il mutato disegno del poeta (ma vedi " derogando " da tutte le fantasie del Boccaccio sulla la tesi conciliante del Pézard, op. cit., pp. 1527-1528), che, come discendenza del trisavolo di D. da un Eliseo romano, fa notare risulta da If X 130 e XV 90, aveva progettato come che C. abitava " nelle case che ancora oggi si chiamano degli deuteragonista della scena Beatrice. Se l'interlocutore non avesse nessun rilievo, perché il mutamento? Il dire che Beatrice, Sotto questo profilo perfino le annose disquisizioni sul sia nella veste dell'angiola della Vita Nuova, sia nella conservatorismo dantesco (Mattalia) assumono, oltre le personificazione dottrinale della verità rivelata era inadatta al intenzioni, un significato estetico: sottolineano in C. l'energica compito (Cosmo, Grabher), significa riconoscere personificazione della vecchia nobiltà cittadina, arroccata nelle implicitamente un diverso rilievo alla figura di Cacciaguida. Ma case turrite, al centro della più antica cerchia delle mura, legata gli stessi critici che sottolineano la ‛convenienza' del discorso in consorterie familiari, implacabilmente avversa alla nuova intorno all'antica Firenze sulle labbra dell'avo che vi trascorse la civiltà mercantile. Se è vero, cioè, che l'atteggiamento di D., in vita, spiegano poi la sostituzione di C. a Beatrice sulla scorta del ultima analisi, obbedisce al suo universalismo religioso e palese, anzi ostentato richiamo del poeta all'episodio di Anchise morale, gli accenni, spesso mordenti, del trisavolo appaiono che accoglie Enea agli Elisi, come un felice calco virgiliano, legati all'età sua, alle memorie terrestri, alle antiche consuetudini sottolineato da altri sparsi richiami (O sanguis meus... " Tu ne feudali, come il giusto sdegno per l'offesa a un membro della cede malis ") al poema del maestro. Anche per questa via C., consorteria, e perfino alle superstizioni tradizionali, come le come personaggio, impallidisce: se non scompare, assorbito leggende intorno alla pietra scema del ponte Vecchio. Simili dalla coscienza di D., viene coperto da un'immagine classica, tratti incidono nitidamente una figura che nella pace luminosa della quale sarebbe un riflesso depauperato d'affetto. Di recente del corrisponde a quelle incontrate fra i tormenti uno studioso impegnato a mostrare che l'episodio di .C. è il " dell': a Farinata, a , Tegghiaio Aldobrandi, pernio del disegno ispiratore del poema ", in quanto produce Iacopo Rusticucci, i venerandi Fiorentini che D. avrebbe voluto un'illuminazione retrospettiva di tutto il viaggio, ha presentato abbracciare se non fosse stato trattenuto dalla pioggia di fuoco; l'incontro come l'ultima tappa di una progressiva conquista di sé. anzi C. è il compimento ideale di quei personaggi a noi noti solo All'inizio del poema il poeta non offre a giustificazione del suo per un'ammirazione offuscata dal loro peccato. viaggio se non la sua redenzione personale di peccatore toccato dalla Grazia: il dubbio di D. io non Enëa, io non Paulo sono (If In quest'ordine di riflessioni viene a collocarsi la questione della II 32) non istituisce un'analogia, suggerisce, invece, una distanza scelta dell'avo invece del padre, come interlocutore nel solenne incolmabile. Soltanto da C. il viaggio di D. e i suoi incontri con colloquio sul proprio destino. La critica storica ne ha cercato i le anime pur di fama note vengono proiettati in un ordine motivi nella biografia del poeta ed ha aggiunto questo appiglio universale secondo un fine messianico (Figurelli). Tale ai pochi, incerti, che i documenti ci offrono per insinuare nuovi interpretazione conserva al protagonista un forte rilievo sospetti sulla personalità del padre di D. (Donadoni, Porena). personale come ‛ agens ', nei termini dell'Epistola a Cangrande; Non è il caso di riprendere qui gli argomenti che rendono a C., però, affida un compito rituale che ne stilizza dubbiosi quegl'indizi. Senza dire che il silenzio della poesia impersonalmente i contorni: egli è il sacerdote che conferma al dantesca intorno ai suoi familiari più prossimi è totale e appare pellegrino la sua missione. D'altronde una schematicità ispirato a un'intenzionale discrezione, converrà riflettere sulle agiografica farebbe della sua vita una sequenza " da sacra ragioni d'arte che possono avere indotto D. a pensare al suo rappresentazione " (Vallone). Eppure per riconoscere trisavolo. A parte la difficoltà, strutturale fin che si vuole, ma l'individualità poetica del vecchio Fiorentino basta osservare effettiva, di rappresentare già assunto in cielo per chissà quali come alcuni temi ricorrenti nel poema assumano, sulle labbra meriti un uomo come il padre, morto da poco, è proprio del trisavolo, una modulazione diversa da quando investono altri un'intuizione poetica a suggerire alla fantasia di D. la figura personaggi, che pure si dicono ‛ voce del poeta ' e di cui nessuno dell'avo, e cioè la necessità di allontanare nel tempo il nega la consistenza poetica; si pensi all'esilio e a Romeo di consanguineo eletto a dichiarargli il destino (Momigliano) e Villanova, all'umiliazione e a Provenzan Salvani, alla cortesia e renderlo immagine viva di quella Firenze ideale, vagheggiata nei a Marco Lombardo. Ma ancor più importante è il fatto che nella discorsi ascoltati da fanciullo dalle labbra dei vecchi, antitesi voce stessa del poeta quei temi hanno una risonanza diversa: non della moderna città corrotta. La stessa nobiltà di cui D. c'è commentatore che non richiami, a chiarimento della personaggio si compiace trova in C. un'immagine degna di venerazione: implicita rettifica del poeta, esperto dell'amara degenerazione di Firenze lamentata da C., le parole che D. a realtà della lotta politica nel mondo comunale, delle astratte faccia levata grida ai tre alti fiorentini in If XVI 73-75: La gente esaltazioni giovanili della pura ‛ gentilezza ' guinicelliana contro nuova e i sùbiti guadagni / orgoglio e dismisura han generata, / la nobiltà di sangue (cfr. Mn II III). A parte l'origine ‛ romana ' Fiorenza, in te, sì che tu già ten piagni. Nell'identità del concetto che, d'altronde, è lasciata in un silenzio ‛ onesto ', l'avo nobile e e del sentimento risulta più nitida la diversità dell'accento: nel cavaliere appartiene a quel ceto che non si è ancora mescolato ai discorso dell'avo c'è un tono patriarcale e insieme un senso cupidi mercanti, ai legisti arroganti, cui dovettero pur mischiarsi religioso dell'eterno che legano indissolubilmente le parole alla i suoi discendenti Alighieri, e ha nativo il rispetto delle virtù figura di chi le pronuncia. cavalleresche, il dono di quella cortesia della quale personaggi a lui affini poeticamente, come Marco Lombardo, piangono la Vicino e nello stesso tempo alto su quella Firenze antica, C. scomparsa. Simili tratti, spiccatamente medievali, mostrano il appare il franco e schietto cittadino di un piccolo comune dalla limite del precedente virgiliano, che va ridotto in termini più vita severa e dolce, raccolta nella sua modestia, eppur capace, precisi anche sotto un altro aspetto: mentre tutti gl'interpreti come ha rilevato opportunamente il Binni, di accogliere ideali sottolineano il parallelo fra D. ed Enea, implicito universali. Attraverso il suo racconto, intimamente domestico, nell'accostamento di C. ad Anchise, spesso sorvolano sul C. ci appare immagine poetica di quella singolare convivenza di parallelo fra D. e Paolo, istituito subito dopo dall'esordio solenne particolarismo e universalismo che caratterizza il pensiero civile del trisavolo e quindi connesso al precedente. Insieme al di D.: cittadino esemplare della sua piccola patria, della quale realismo del ‛ poeta del mondo terreno ', che spinge D. a dar ama il vivere modesto, le semplici virtù della sobrietà e della colori storicamente precisi all'antenato scelto a dire della Firenze pudicizia, C. vive, però, i supremi ideali del suo tempo; è antica, è la visione medievale e cristiana che impone al cavaliere del suo imperatore, è crociato della sua Chiesa, è personaggio prescelto di corrispondere, come ‛ exemplar ', al insomma un degno milite della Sancta Romana Respublica. tipo del guerriero per le grandi istituzioni della Chiesa e dell'Impero. Una figura, dunque, come quelle che C. stesso L'esegesi antica accettò ingenuamente la densa sostanza indica fulgenti nella croce in cui lampeggia il Cristo: Carlo autobiografica di questi canti: essa potrebbe assumere a insegna Magno e Orlando, che D. aveva imparato a conoscere da giovane la chiosa dell'Ottimo alle parole di C. sulle pene dell'esilio: " leggendo le canzoni di gesta, o Guglielmo e Renoardo, che, questo è chiaro e amaro testo ". I pochi accenni che oltrepassano ormai maturo, contemplava scolpiti nel portale del duomo di il chiarimento della lettera mostrano il commentatore intento a Verona. Da questo angolo visuale si prospetta in una luce diversa cercare nei fatti l'illustrazione del testo, onde l'imbarazzo di anche la questione, più volte sollevata, se il poeta abbia fronte a previsioni prive di riscontro negli eventi (XVII 53-54, consapevolmente alterato i tratti della tradizione, confondendo i 91-93), mentre vivacissimo è il consenso alla passione morale e tempi e le imprese di Corrado il Salico con quelli di Corrado civile di D., condivisa - e rimpicciolita - anche nei suoi aspetti Svevo per potervi inserire C., e la connessa sdegnosa petizione di ‛ laudator temporis acti ', di partecipe al classismo cittadino, di principio che D. non avrebbe mai potuto piegarsi a tali alla tradizione nobiliare, al costume consortile. La critica finzioni (Porena, Figurelli). romantica, malgrado lo stupore del Quinet per il sussistere delle passioni terrene nel Paradiso (Les Révolutions d'Italie, I VII 5) Abbiamo già detto che la storia consente a tutte le indicazioni e la contrarietà di F. Schlegel per la persistente " rabbia dantesche; non bisogna, però, dimenticare le parole del Goethe ghibellina " del poeta (Geschichte der alten und neuen Literatur, al Manzoni: C. è un personaggio storico, ma il poeta gli " ha fatto II, lez. IX), a parte gli opposti entusiasmi risorgimentali per l'onore " di chiamarlo alla poesia. A un dato punto del suo l'esule politico, si compiacque del carattere personale di questi poema, certo dopo scritto il canto XV dell'Inferno, D. pensò a un canti del Paradiso: il De Sanctis nelle lezioni zurighesi prese personaggio che, legato a lui da un vincolo di sangue, come già spunto proprio da questo episodio per riaffermare che " il poeta Anchise rispetto ad Enea, possedesse tutti i titoli per investirlo dee vivere in mezzo al particolare, dee sentirne le passioni ", e di una missione insieme civile e religiosa, conforme agl'ideali lodò, appunto, le " vivaci passioni di patria e di famiglia " e le dai quali, secondo lui, erano guidate l'Italia e l'Europa prima che scene di vita domestica, " vere pitture fiamminghe ", ripetendo Federigo avesse briga, e nelle memorie di famiglia trovò uno più volte che C. dimentica il Paradiso e abita con D. nell'antica spunto di cui la sua fantasia s'impadronì. In questo senso fra la Firenze. Attraverso la critica storica tale lettura, arricchita di missione che D. si attribuisce e colui che è eletto a preziose indagini erudite (Del Lungo, Rajna, Torraca), giunse dichiarargliela c'è un rapporto di causa e d'effetto: il milite della intatta al nostro secolo. Il Croce, a conferma della sua tesi ‛ renovatio ' dell'Impero e della Chiesa, poeticamente, ‛ doveva generale che l'altro mondo non è il motivo poetico della ' essere investito della sua milizia da un combattente per la Croce Commedia, asserì che, nei canti di C., D. aveva manifestato " il sotto le insegne dell'Aquila, da un ideale compagno di Orlando suo complesso sentire per la patria " e l'amore delle memorie del nella santa gesta di Carlo Magno. Ciò che importa è la verità luogo natio, " che fanno sentire l'aristocratico e il sacro ideale dell'avo, figura poetica della sognata Firenze antica, e la dell'antico e in quell'antico ritrovare la propria radice, la propria serietà della missione che D. si fa assegnare; e per questo si nobiltà di sangue "; e il Momigliano, che nel 1927 dedicò un stenta a credere che il poeta non si riconoscesse tale missione saggio particolare all'episodio, notava come il nostalgico " all'inizio del poema e che essa gli sia divenuta chiara solo al sospiro verso Firenze " interrompa l'ascesa mistica, ma tempo dei canti di Cacciaguida. La ‛ pusillanimità ', di cui affermava che, d'altra parte, la fiorentinità " è il movente più Virgilio accusa D., appartiene al personaggio, non già al poeta: affettivo e più intimo del poema ". Gli pareva, infatti, che nella ed è appunto il personaggio che riceve l'investitura da C., non grande pagina idillica del canto XV D. ritrovasse la capacità già il poeta che per essa ha ‛ inventato ' la figura più adatta. La ritrattistica che nel Paradiso sembrava perduta, capacità fin rivelazione della trama nascosta che lega la sventura di D. alla troppo cronisticamente adoperata dal poeta nella parentesi del sua missione, il disordine di Firenze al disordine dell'Impero, canto XVI, eppure utile a suggerire al poeta l'alta solitudine e il spetta a C. perché il poeta ha fatto che egli riunisca in sé il " pathos virile " del canto XVII. paterno affetto dell'avo, il severo costume dell'antico cittadino, la nobiltà del servitore dell'Impero, la santità del milite della Al Parodi, invece, anche la rassegna delle famiglie fiorentine era Chiesa. La sua parola può così assumere il tono paterno sembrata " uno stupendo pezzo di poesia ". Svolgendo - se non dell'antenato, discendere con naturale nostalgia alle umili andiamo errati - un accenno del Casini (XVI 33) e anticipando memorie domestiche, farsi ruvida nel biasimo schietto di chi ha la tesi generale dell'Auerbach, egli osservava che la rassegna di corrotto quel costume incontaminato e, nel contempo, possedere C., di solito ricongiunta a quella virgiliana di Anchise, somiglia il distacco del beato che sa l'opera incessante e misteriosamente assai più a certe composizioni romanze " e si potrebbe chiamare benefica della Fortuna che rivolge le cose umane. L'accento il sirventese delle nobili schiatte di Firenze del primo cerchio: eroico col quale il poeta contrappone l'altezza della sua missione epico e satirico insieme, con una varietà di toni ch'era ignota alla e della sua gloria all'ingiustizia della sua sventura suona così poesia classica ed è propria invece della poesia nuova e propria schietto anche perché esce dalle labbra di C.: un ritratto indiretto, soprattutto di D., e che mette a duro cimento le nostre artificiali ma inciso con fermezza degna dell'arte di Dante. e pedantesche divisioni di generi ". Non solo queste, si direbbe: infatti la grande varietà di toni che percorre l'episodio (Gmelin) L'episodio. - Il rilievo dell'incontro con C. nell'architettura del consente a ognuno di trovare conferma alle sue preferenze. Così, poema è universalmente riconosciuto: nel prologo all'Inferno D. mentre il Vossler, inteso alla sua idea della Commedia come ha rappresentato la sua crisi di coscienza; nell'epilogo del Danteide, vede nella prima parte dell'episodio l'idillio che la sua purificazione; nel centro del Paradiso proclama sempre precede le gesta dell'eroe, e nella seconda il poeta che si la sua innocenza e la sua missione. Altri aspetti strutturali, dalla arma fieramente all'impresa innanzi all'avo, e trova qui " la fonte centralità del cielo di Marte (Vossler) ai rapporti coi canti XV e dalla quale si diffonde per tutta la Commedia il veleno della XVI dell'Inferno e XV e XVI del Purgatorio (Parodi), sono stati satira ", il Casella preferisce sottolineare l'affetto domestico per variamente illustrati dagl'interpreti (cfr. Figurelli). Meno cui la città stessa è sentita come famiglia, e " la trama di ricordi, concorde l'interpretazione poetica dell'episodio, in cui dove l'amor di patria irrompe spontaneo, confondendo insieme confluiscono alcuni dei più intensi temi della Commedia. lo sdegno, il rimpianto e il dolore ". E mentre il Fassò e il Ferretti, muovendo naturalmente dal canto XVI, insistono sul chi legge la chiosa del Lana al luogo più significativo (XVII 121 contrasto fra la nobiltà, e l'orgoglio e la dismisura, storia di amori ss.), " s'avedranno come lo to parlare è poetico fittivo e d'esempi e di rancori che D. traveste in opposizione fra passato e presente, fingitivo, sì che non prenderanno ira alcuna, imperço che ad fra bene e male, e altri raccolgono nello stesso canto gli echi del exempificare non se prende fé per exempio, ma acquistase motivo della ‛ cortesia ' (Maier, Vallone), il Porena al contrario scientia della cosa exempificada ", e gli accenni paralleli sente nella Firenze rievocata da C., e anche nel discorso sulle dell'Ottimo, di Benvenuto, del Buti, pensa che gli antichi antiche famiglie del canto XVI, " un contenuto pienamente ravvisassero nel poeta più il moralista che il profeta, secondo francescano... espresso in veste del tutto francescana ". La nota certe definizioni dell'Epistola a Cangrande, riprese dal Lana comune di tali interpretazioni, come si è detto, consiste nella stesso. prevalenza concessa all'ispirazione autobiografica; però già un lettore romanticamente passionato come il Donadoni aveva È questo, in definitiva, l'aspetto posto in rilievo dalla lettura del avvertito, a proposito di tutto l'episodio, che in D., " per la Vianello (c. XVII) e, ancor più energicamente, da quella del superiore contemplazione di ciò che la vita morale ha di eterno Binni (c. XV), per il quale l'episodio è tutto rivolto alla scelta tra ... i canti ... più autobiografici diventano... i più universali ". In valore e disvalore, il suo fondo non è nostalgico e idillico, ma tale prospettiva si pongono, appunto, le forti pagine del Cosmo, epico ed eroico e vi splende la nuda e virile bellezza di una il quale riconosce nell'episodio la situazione " più intimamente virtuosa comunità civile della quale C. è lo specchio fedele il suo personale di tutto il poema, perché senza adombramento martirio non è la negazione, ma il coronamento della vita civile, allegorico di nessuna specie ",ma al tempo stesso sente che il e perciò si compone spontaneamente in solenni accenti di tipo poeta presenta la sua sventura come riflesso particolare di una boeziano. Il Binni sottolinea il valore insieme " testimoniale e vicenda universale. Perciò il " trovero degli alti Fiorentini " mitico " della rievocazione di C. e in questo ordine d'idee il riesce anche l'elegiaco cantore della mondana caducità; e se il Sapegno osserva, sinteticamente, che in tutto l'episodio " Si culmine dell'episodio è l'altera risposta al Libro del Chiodo, la manifesta quella prepotente capacità... di svolgere proclamazione d'innocenza oltrepassa i piccoli avversari parallelamente i due piani dell'idea e del reale, del simbolo e fiorentini e si colloca nel quadro di una restaurazione universale. della cronaca, con la stessa intensità di convinzione, in modo che La nota del Cosmo sull' " assenza di adombramenti allegorici " i valori morali si esplichino in una fitta rete di situazioni concrete è indirettamente confermata dalla marginale importanza e in cambio quest'ultime si arricchiscano di un profondo senso concessa all'episodio nei ‛ sistemi ' degli allegorizzanti, come il ideale ". Certo a chi ne ripercorre le linee, tutto il vasto episodio Pietrobono (per cui il cielo di Marte è contrapposto al cerchio appare intonato a questo duplice registro: sul grandioso sfondo dei violenti e C. si ricollega a Brunetto) e il Valli (che trova nei celeste descritto nel c. XIV (94-139), dopo momenti di religiosa cieli di Marte e di Giove uno dei casi di simmetria fra i simboli aspettazione (XV 1-12), arcani trascorrimenti luminosi (vv. 13- della Croce e dell'Aquila). Ma il rilievo del carattere universale, 27), sequenze solenni di parole e atti rituali (vv. 28-87), si religioso e civile, del mandato che il poeta si fa affidare dal espande, affettuosa e polemica, la rievocazione dell'antico trisavolo si richiama, anche se non esplicitamente, alle comune (vv. 97-135), che, però, è presto allontanata dall'antitesi suggestive pagine del Pascoli sulla missione di D., Enea e Paolo, suprema tra il mondo fallace e la pace dei cieli. Allo stesso modo che nella critica odierna godono di una sottintesa reviviscenza. " il fugace vanto nobiliare è subito coperto da un sorridente Il mortale con i suoi orgogli e i suoi risentimenti, con i suoi distacco (XVI 1-15), la curiosità delle memorie (vv. 46-66) è amori e le sue angosce, si trascende nella messianica certezza di dominata dal senso dell'effimero (vv. 73-84), dalla dolorosa una superiore missione ": questa è, nel 1938, la conclusione del consapevolezza che la storia dissolve le cose belle e care del Grabher, e in tale orientamento si collocano i molti studi odierni passato (vv. 88-114) e chiude oscuramente nel suo grembo che insistono sul carattere profetico della Commedia. lacrime e sangue (vv. 136-154). Di tale groviglio di vicende e di passioni, delle pene dell'esilio, della propria innocenza, il poeta Per restringerci all'episodio di C., ricordiamo le pagine di R. fa il piedistallo alla propria solitudine magnanima di riformatore Montano, al quale parrebbe " una grossa incongruenza poetica e universale (XVII 106-142) e può infine placare la sua umana religiosa " se nella Commedia, intesa come " Eneide cristiana ", inquietudine nella religiosa meditazione delle parole dell'avo, la rappresentazione del Paradiso " fosse interrotta... per far posto specchio del verbo divino (XVIII 1-3). Così la figura dell'exul a semplici affetti familiari e cittadini "; perciò l'incontro con C. immeritus trapassa in quella del " cantor rectitudinis ". assume carattere sacro e D. vi ritrova la " radice del proprio destino divino ". A tali vedute si accostano studiosi di varie tendenze: dal Fallani, per il quale solo la prospettiva teologica dà ai ricordi di D. " il tono poetico delle cose vedute dall'alto " Bibl. - Tra le biografie di D. che trattano, anche ampiamente, di (e già il Fatini aveva proposto di sostituire alla definizione " C., si vedano soprattutto: G.L. Passerini, La vita di D. G. e F. canto della nobiltà ", quella di " canto della caducità ", e sul Villani..., Firenze 1917, 14, 81, 183-184, 206, 238; Zingarelli, medesimo tema insiste l'Allevi); al Rheinfelder, che fa gravitare Dante 55-58; U. Cosmo, Vita di D., Bari 19492, 2-3. I documenti tutto il ‛ viaggio ' intorno all'investitura del poeta nel canto XVII, citati sono trascritti in Piattoli, Codice 1 e 2; in particolare, sulla a una missione poetico-profetica; al Guidubaldi, per cui data della nascita: R. Benini, Quando nacque C., ecc., in " l'etichetta " canti dell'esilio " nasconde la vera sostanza Rendic. Ist. Lomb. " LXXXIII (1950) 3-33; G. Horn D'Arturo, dell'episodio che sarebbe la " chiamata all'apostolato ", L'età di C., in " Coelum " XIX (1951) 91 e 98. Sul nome: C. comprovata da precise formule teologiche; al Ramat, per cui la Battisti, Una congettura sul nome di C., in Studi in onore di A. poesia non va cercata " nel carattere familiare del ritrovamento, Schiaffini (" Rivista di cultura classica e medioevale " 1-3, 1965) ma nel significato che esso, predestinato, ha per la storia del 102-113; per gli Elisei e la nobiltà di D., cfr. le tre recensioni di mondo "; al Vallone, per il quale il " nucleo poetico " di C. non M. Barbi: a M. Scherillo, Alcuni capitoli della biografia di D., sta nei motivi biografici e familiari, ma nel senso messianico che in " Bull. " IV (1896) 1-2; a G. Capsoni, Se D. sia nato di nobile percorre tutto l'episodio, del quale già si erano oscuramente stirpe, ibid. VI (1898-99) 19-22; e al commento alla Commedia, avvisti Benvenuto e il Buti (chiose a XV 26, 39, 89). In verità di G.L. Passerini, ibid. XXV (1918) 71. Sulla data della crociata: M. Porena, C., in Studi su D., v, Milano 1940, 29-51. Sulla donna di val di Pado, oltre a Zingarelli, op. cit., 59, 69 note 11 e 12, si veda M. Catalano, La donna di Val di Pado, in Lezioni di letter. ital., Messina 1951, 11-41. Sulla lingua di C.: M. Porena, La lingua di C., in Questioni e questioncelle dantesche, Roma 1942; A. Viscardi, La favella di C., in " Cultura Neolatina " II (1942) 311-355. Sulla Firenze di C., oltre I. Del Lungo, La gente nuova in Firenze..., in D. ne' tempi di D., Bologna 1888, cfr. G. Salvemini, La dignità cavalleresca nel comune di Firenze, Firenze 1896 (rist. in Magnati e popolani..., Torino 1960, 341- 482); I. Del Lungo, La donna fiorentina del buon tempo antico, Firenze 1906; R. Caggese, Firenze dalla decadenza di Roma al Risorgimento d'Italia, I, ibid. 1912-1921, cap. II; N. Ottokar, Il comune di Firenze alla fine del Dugento, ibid. 1927 (seconda ediz., Torino 1962); I. Del Lungo, I Bianchi e i Neri, Milano 19292; E. Cristiani, Sul valore politico del cavalierato nella Firenze dei secoli XIII-XIV, in " Studi Mediev. " III (1962) 409- 455; e si vedano inoltre i diversi studi citati sotto l'esponente " Firenze ai tempi di D. " nell'indice analitico di " Studi d. " XX (1937). Sull'episodio dantesco, oltre alle importanti notazioni di F. De Sanctis (in Lezioni e saggi su D., a c. di S. Romagnoli, Torino 1955, 501 ss.), di G. Pascoli (in Minerva oscura, Livorno 19172, 499 ss., e in Conferenze e studi danteschi, Bologna 1915, 259 ss.), di B. Croce (in La poesia di D., Bari 1921, 159 ss.), di L. Pietrobono (in Dal centro al cerchio, Torino 1923, 272 ss.), di L. Valli (in La chiave della D.C., Bologna 1925, 181-182), si vedano gli studi particolari: M. Longhi, Saggio di un commento filologico al Paradiso di Dante. Canti XV e XVI, Bologna 1907; P. Raina, D. e i romanzi della tavola rotonda, in " Nuova Antologia " (giugno 1920) 223-247; E. Bevilacqua, Enea, Paolo, D., in " Aurea Parma " V (1921) 268-286; N. Zingarelli, La nobiltà di D., in " Nuova Antologia " (agosto 1927) 409-425; U. Cosmo, L'ultima ascesa, Bari 1936, 204-244; A. Momigliano, La personalità di D. e i canti di C., in Dante Manzoni Verga, Messina-Firenze 19552, 232-247; H. Rheinfelder, Der Zentralgesang in Dantes Paradiso, in " Wissenschaft Zeitschrift der Univ. Jena " V (1955-56) 353-358; H. Gmelin, Kommentar alla versione tedesca della Commedia, III, Stoccarda 1957, 238- 299; R. Montano, La poesia di D., III, Napoli 1959, 48-54; F. Figurelli, I canti di C., in " Cultura e Scuola " 13-14 (1965) 634- 661; G. Fallani, D. poeta teologo, Milano 1965, 311-312; E. Guidubaldi, D. europeo, II, Firenze 1965, 168; infine le " Letture " di I. Del Lungo (Firenze 1903), A. Santanera (Torino 1918), L. Rocca (Firenze 1920), E. Donadoni (ibid. 1923), E.G. Parodi (ibid. 1934), C. Grabher (ibid. 1938), B. Maier (in Problemi e esperienze di critica letteraria, Siena 1950, 117-140), G. Ferretti (in Saggi danteschi, Firenze 1950, 187-211), M. Casella (in " Studi d. " XXXI [1953] 5-31), L. FASSò (in Dall'Alighieri al Manzoni, Firenze 1955, 116-136), O. Costanzi (Roma 1956), W. Binni (in " Studi Mediolatini e Volgari " V [1957] 31-37), G. Fatini (in " Convivium " XXIX 6 [1961] 648-665), G.B. Salinari (Roma 1964), A. Vallone (ibid. 1964), R. Ramat (Firenze 1965), F. Allevi (ibid. 1965), N. Vianello (ibid. 1966), A. Iacomuzzi, L'imago al cerchio. Invenzione e visione nella D.C., Milano 1969, 153-191.