Eugenio Curiel tra « lavoro legale » e azione clandestina

È stato per lungo tempo un destino comune a molti dei militanti che hanno sacri­ ficato la vita nella lotta armata contro il fascismo quello di essere ricordati e ce­ lebrati piuttosto come martiri della Resistenza « caduti sul campo » che come teo­ rici e dirigenti politici della nuova Italia. Il sacrificio compiuto ha accomunato queste figure nella rievocazione commossa dei compagni di lotta e nell’encomio, sovente retorico e di maniera, dell’Italia ufficiale, ma ha forse ritardato l’indagine storica sul significato spesso non secondario e talvolta essenziale del loro contributo complessivo, ideale oltre che militante, alla lotta contro il fascismo. Basti ricordare, per citare soltanto alcuni uomini provenienti da esperienze diverse e di diverso rilievo, i nomi di Ermanno Bartellini, di Giaime Pintor, di Eugenio Colorni '. Il caso di Eugenio Curiel, ucciso dai fascisti a soli due mesi dalla liberazione, può essere almeno in parte visto sotto questa luce: è vero che già nel 1955 uscì, a cura di E. Modica, una prima raccolta di scritti del dirigente triestino1 2, che mise in luce la sua eccezionale statura intellettuale e politica: ma si trattava di un ap­ proccio ancora largamente insufficiente, tale da non poter rendere appieno, come ha riconosciuto più tardi onestamente lo stesso curatore, il significato del suo pensiero e della sua esperienza, anche perché si basava su fonti limitate, che avreb­ bero subito in seguito integrazioni essenziali. La raccolta di Modica non suscitò co­ munque per l’elaborazione teorica di Curiel e per la sua esperienza di lotta contro il fascismo l’interesse che sarebbe stato lecito attendersi: e sostanzialmente la co­ noscenza dell’opera del dirigente del Fronte della gioventù non fece più alcun passo avanti fino a quando sette anni dopo S. Merli, nel suo importante saggio La rinascita del socialismo italiano e la lotta contro il fascismo dal 1934 al 1939ì, documentò la partecipazione di Curiel all’attività e all’elaborazione del centro interno sociali­ sta fra il 1938 e il 1939 e avanzò su questa base un’interpretazione nuova e per

1 Degli scritti di E. Bartellini esiste una raccolta abbastanza esauriente, La rivoluzione in atto, Firenze, 1967, con un interessante saggio introduttivo di S. Bologna; di G. Pintor si veda 11 sangue d’Europa, a cura di V. Gerratana, Torino, 1965: ma la sua figura non è stata oggetto dell’attenzione che meriterebbe. Di E. Colorni, poi, una personalità di grande rilievo intellettuale e politico nella storia dell’antifascismo italiano, non sono finora stati raccolti gli scritti, né è stato mai studiato specificamente l’itinerario culturale e politico. 2 E. Cu riel, Classi e generazioni nel secondo Risorgimento, a cura e con introduzione di E. Modica, Roma, 1955. 1 I stituto G iangiacomo Feltrinelli, Documenti inediti dell’archivio Angelo Tasca. La rinascita del socialismo italiano e la lotta contro il fascismo dal 1934 al 1939. Introdu­ zione e documenti a cura di S. Merli, Milano, 1963 (apparso anche in Annali Feltrinelli, 1962, pp. 541-844). 64 Aldo Agosti parecchi versi stimolante del suo pensiero, ma tale — sembrò a molti — da accen­ tuarne indebitamente alcuni aspetti, isolandoli o astraendoli da un’esperienza com­ plessiva che restava tutto sommato poco conosciuta. Il lavoro di Merli fu comun­ que d’impulso a un certo risveglio d’interesse per la figura di Curiel: nel 1965 fu uno studioso attento ai fenomeni della storia delle idee e della cultura come E. Garin a tentare un primo bilancio comprensivo e organico del suo itinerario in­ tellettuale, in un articolo ricco di notazioni acute ed essenziale soprattutto per la intelligenza degli scritti teorici del comunista triestino4. Successivamente il riordino degli archivi del PCI portò alla luce alcuni documenti nuovi di fondamentale im­ portanza e consentì a E. Modica alcune precisazioni pregnanti sull’attività clan­ destina di Curiel fra il 1937 e il 19395 che non furono senza eco nel dibattito aperto in quei mesi dall ’Unità sulla storia del PCI6. La figura e l’opera di questo singolare intellettuale e dirigente politico sono venute da allora crescendo nella considerazione della cultura italiana militante, acquistandosi un posto di rilievo anche nella storiografia sul PCI7 *. Ora finalmente la pubblicazione a cura di F. Frassati di un’edizione critica pressoché completa degli scritti di Curiel dal 1935 al 1945 fornisce la base documentaria indispensabile per una valutazione comples­ siva della sua esperienza e per una riflessione più approfondita sulla sua eredità ideale, mentre la prefazione di che vi è premessa, affrontando alcuni nodi storici e politici di notevole rilievo, arricchisce e stimola il dibattito già in corso '.

Dei due volumi di cui consta l’opera, è certamente il secondo, in cui sono com­ presi gli scritti apparsi sulla stampa comunista dell’Alta Italia dal dicembre ’44 al febbraio ’45, quello che parla il linguaggio più attuale e affronta in modo più di­ retto temi ancora oggi al centro del dibattito politico e di importanza cruciale per una strategia di avanzata al socialismo in Italia: basti pensare al contributo dato da Curiel alParricchimento e alla precisazione del concetto di « democrazia pro­ gressiva » o alle sue riflessioni sul problema dei cattolici e del loro ruolo nella po­ litica italiana. Tuttavia l’originalità del dirigente triestino e l’importanza del suo contributo alla lotta contro il fascismo risaltano, a nostro avviso, in modo ancora maggiore nelle pagine del primo volume, e particolarmente in quelle nelle quali si riflettono la sua capacità di analisi del fascismo come regime reazionario di massa e la sua funzione di interprete delle esigenze nuove delle avanguardie operaie e intellettuali italiane. A queste pagine, appunto, vogliamo dedicare le note che seguono.

4 E. G arin, Eugenio Curiel nella storia dell’antifascismo, in Studi storici, 1965, n. 1, pp. 3-24. 5 E. Modica, Curiel e la prospettiva unitaria del partito nuovo, in Critica marxista, novembre-dicembre 1969, n. 6, pp. 159-172. Un utile contributo alla conoscenza di Curiel, per la ricchezza delle testimonianze che contiene, è anche il volume Eugenio Curiel dall’an­ tifascismo alla democrazia progressiva, a cura di M. Quaranta e E. Franzin, Padova, 1970. 6 Cfr. in particolare: E. Modica, Curiel e l’attività clandestina (4 marzo 1970); A. D onini, Curiel e il partito (27 marzo 1970); E. Modica, Il « problema Curiel » (29 marzo 1970). 7 V. in particolare P. Spriano, Storia del Partito comunista italiano. I fronti popolari, Stalin, la guerra, vol. III, Torino, 1970, in cui a Curiel è dedicato un capitolo assai infor­ mato ed equilibrato nel giudizio. Importanti anche le considerazioni di E. Ragionieri, Il partito comunista, in L. Valiani-G. Bianchi-E. Ragionieri, Azionisti, cattolici, comunisti nella Resistenza, Milano, 1971, pp. 369-372. 1 E. Curiel, Scritti 1935-1945, a cura di F. Frassati e con prefazione di G. Amendola, 2 voli., Roma, 1973. Eugenio Curiel tra ■■ lavoro legale » e azione clandestina 65

Il dato che immediatamente colpisce nella biografia di Eugenio Curiel è quello di una formazione culturale travagliata e complessa, diversa, in ogni caso, da quella della maggior parte degli intellettuali suoi coetanei cresciuti politicamente nell’Italia fascista e approdati al comuniSmo intorno alla metà degli anni ’30. Comune a que­ sti ultimi è in genere una formazione umanistica, in cui opera ancora profonda­ mente, in modo diretto o indiretto, l’influenza dell’idealismo filosofico: è all’interno di questo tipo di formazione che maturano gli elementi prima di fronda e poi di rottura con la cultura fascista ufficiale, ed è dalle premesse idealistiche che avviene in modo relativamente lineare il passaggio al marxismo. L’itinerario intellettuale del giovane Curiel è, per quanto si può appurare dai pochi scritti che ha lasciato e dalle testimonianze raccolte dai suoi biografi, sostanzialmente diverso: esso pren­ de le mosse da una viva simpatia per il pensiero di e per la cor­ rente antroposofica — a cui, ricorda giustamente Amendola, la gioventù intellet­ tuale di formazione crociana e gentiliana guardava con indifferenza o malcelato fastidio — e si svolge poi attraverso un severo tirocinio scientifico alla scuola del fisico . Non è purtroppo possibile, sulla base degli scritti giovanili che conosciamo, accertare attraverso quali tappe questo itinerario abbia portato il di­ rigente triestino al marxismo. Si può dire però con certezza che i suoi conti con l’idealismo avvengono su un terreno insolito per la generazione cui egli appartiene: ciò che gli permetterà, negli anni più maturi, di metterne in evidenza i limiti e i punti di crisi, ma insieme di riconoscerne e di ricuperarne gli elementi positivi, ri­ componendoli in una concezione generale della società e della storia rigorosa ed equilibrata, priva delle brusche lacerazioni e delle insuperate contraddizioni interne che si trascinano dietro molti dei suoi coetanei. La sua critica del Manuale di Bu- charin, scritta nel periodo del confino, è sotto questo riguardo esemplare9.

Ora, la lezione di questa formazione tecnica e scientifica — non disgiunta, ovvia­ mente, da una solida preparazione culturale spaziarne in tutti i campi — si av­ verte in modo sensibile nell’approccio di Curiel ai problemi italiani, che appare contraddistinto dall’applicazione di un metodo sperimentale d’indagine alla realtà del fascismo e insieme da un estremo rigore logico. Fu proprio l’esigenza di mi­ surarsi con il fascismo com’era effettivamente a quindici anni dal suo avvento al potere e non con l’immagine sbiadita che ne conservavano tanti ambienti del fuo- ruscitismo, di scoprirne giorno per giorno la natura attraverso l’analisi della realtà concreta, della fabbrica fascista, della scuola fascista, dell’ambiente fascista della cultura, che indusse Curiel a scegliere il terreno dell’« azione legale » come il più congeniale al suo impegno. La sua esperienza nel GUF di Padova e la sua collabo- razione al giornale studentesco fascista II Bò furono l’espressione coerente di que­ sto impegno.

Oggi si sa con certezza che l’impostazione da dare agli articoli e alle rassegne che venne pubblicando su II Bò fra l’agosto del 1937 e l’agosto del 1938 fu discussa da Curiel con il centro estero del PCI, nel corso del suo primo viaggio a Parigi nel marzo del 1937. Sarebbe quindi sbagliato — come già ebbe ad avvertire parecchi anni fa — isolare questi scritti dall’azione generale che il partito svolgeva in quegli anni dentro e fuori le organizzazioni fasciste, e in particolare dall’attività clandestina dello stesso Curiel, che fu assai intensa. Tenuto conto di questa avvertenza, si può dire che gli scritti su II Bò confermino insieme la validità dell’impostazione — enunciata con forza da Togliatti già nel suo rapporto al VII

9 E. G arin, art. cit., pp. 14-20. 66 Aldo Agosti

Congresso dell’IC — che si fondava sulla penetrazione nelle organizzazioni legali di massa, sindacali e studentesche, e la fragilità di alcune sue applicazioni su questo o quel terreno specifico Della validità di fondo dell’indicazione data dal PCI — e accettata poi, con maggiore o minore riluttanza, anche dalle altre organizzazioni antifasciste — non è lecito dubitare quando si guardi, ad esempio, agli articoli di Curiel sui problemi sindacali. Qui, pur attraverso le maglie della censura, il diri­ gente triestino riesce a far passare un discorso che ha come sostanza la difesa e la riaffermazione dell’autonomia della classe operaia e la rivendicazione di un’organiz­ zazione democratica, dal basso. L’insistenza su questi due elementi è costante e, si direbbe, diventa via via più marcata mano a mano che Curiel vede confermata dagli sviluppi delle cose l’utilità del suo lavoro e, al tempo stesso, acquista sicura padro­ nanza della materia: fino a sboccare nelle affermazioni quasi esplicite dell’ultimo articolo de II Bò 10 e ancor più dello scritto su Corrente in cui è teorizzata senza mezzi termini la « funzione rivoluzionaria » del sindacato. Per portare avanti questa linea, Curiel sfrutta ogni possibile occasione: utilizza sistematicamente i margini lasciati dal diritto fascista del lavoro per proporre l’interpretazione della norma più favorevole al lavoratore; ritorce contro il regime, con estrema cautela di linguag­ gio ma con indubbia efficacia, la demagogia a buon mercato di cui esso ama am­ mantare le proprie « realizzazioni »; smantella, spesso con ironia sottile, le fumose costruzioni dei teorici del corporativismo per ricondurre sempre le questioni alla cruda sostanza dei rapporti di classe. Certo, è bene ripeterlo, il suo discorso può essere inteso nel suo giusto valore soltanto se lo si ricollega alla parallela elabora­ zione che egli viene svolgendo, con ben maggiore chiarezza, sulla stampa clande­ stina antifascista. Si rilegga, ad esempio, l’articolo Masse operaie e sindacato fa­ scista, scritto per il Nuovo Avanti nel gennaio del ’39 e poi non pubblicato, che a giusta ragione è considerato « lo studio più importante di Curiel antecedente il suo arresto in Italia »10 1112: in esso è individuata lucidamente la duplice natura del sindacato fascista, visto da una parte come « organizzazione di combattimento del regime, attraverso il quale il fascismo cerca di impedire ogni possibile approfondi­ mento della coscienza classista del proletariato, ogni possibile superamento delle barriere che esso stesso ha artificiosamente creato tra categoria e categoria, tra provincia e provincia », e, dall’altra parte, come « solo organismo basato su una distinzione classista della società », come « terreno su cui vegetano i resti della vita classista del proletariato italiano »13. Sorretta da questa consapevolezza, l’azione legale non rischia di esaurirsi in un’agitazione minimalistica senza princìpi, ma pe­ netra come un cuneo nella contraddizione irrisolta fra i due aspetti del sindacato fascista, e apre in esso un processo a catena di rivendicazioni — di cui l’autono­ mia operaia e l’organizzazione dal basso sono il lievito — non più controllabile da parte della gerarchia. Conosciamo ancora troppo poco la storia delle lotte sindacali sotto il regime nel periodo che precede immediatamente la seconda guerra mon­ diale per poter misurare l’effettiva incidenza pratica di questa impostazione; tut­ tavia dai pochi dati dispersi di cui disponiamo e soprattutto da una serie di testi­ monianze assai significative sembra di poter concludere che essa ottenne risultati considerevoli — di cui si potrà misurare la portata soprattutto in occasione dei pri­ mi grandi scioperi contro il fascismo e la guerra nel marzo del ’43 — e che seppe tradurre in modo autonomo e creativo sul terreno italiano la linea di lavoro sinda-

10 La rappresaglia sindacale, ora in Scritti, cit., vol. I, pp. 195-198. 11 La funzione rivoluzionaria del sindacato, ora in Scritti, cit., vol. I, pp. 253-255. 12 S. Merli, La rinascita del socialismo italiano, cit., p. 289 in nota. 13 Masse operaie e sindacato fascista, ora in Scritti, cit., vol. I, pp. 235-238. Eugenio Curiel tra « lavoro legale » e azione clandestina 67

cale formulata dall’Internazionale comunista negli anni precedenti e, con più forza, dal suo VII Congresso.

L’interrogativo che si pone è se mai un altro, al quale è necessario dare una risposta non per mettere in forse la validità del discorso di Curiel, ma per spiegarsi i ri­ tardi e le contraddizioni con cui fu recepito: quali erano gli interlocutori reali degli articoli de II B ò ? Nonostante i tentativi da Curiel stesso promossi per avviare un dialogo fra gli studenti del GUF e un gruppo di operai iscritti al sindacato poligra­ fico, non è pensabile che il giornale universitario abbia avuto una diffusione di qualche consistenza nelle fabbriche, e quindi alla base delle organizzazioni fasciste di massa; è possibile invece che esso sia circolato, se non altro sporadicamente, fra i funzionari sindacali di origine operaia più aperti e critici. Ma soprattutto — è Curiel stesso che lo sottolinea — il discorso svolto dalle colonne de II Bò era in­ teso a esercitare una « pressione sull’elemento borghese che viene chiamato a fun­ zioni sindacali » H, cioè su quello strato di laureandi che, mossi da una generica insoddisfazione per la situazione esistente, si apprestavano a entrare come quadri dirigenti nei sindacati dei lavoratori provvisti solo di una vaga infarinatura di « fa­ scismo di sinistra ». Ora, svolgere un lavoro di orientamento politico in direzione di questi ambienti era senza dubbio molto importante: ma si ha l’impressione che Curiel sopravvaluti il potenziale « rivoluzionario » di questa « nuova classe » e le possibilità reali di utilizzarla come canale per far passare il discorso sull’autonomia operaia e l’organizzazione dal basso; e che sottovaluti per contro il legame organico di questo futuro funzionariato con l ’establishment fascista, confidando che la sua « formazione spontanea » a contatto con la realtà della lotta di classe lo collochi quasi naturalmente sul terreno antifascista ls.

Perplessità maggiori e più sostanziali sorgono quando dagli articoli di carattere sindacale si passa ad esaminare gli altri, politici o culturali in senso lato. Certo, si tratta di scritti che non possono essere valutati per quello che dicono ma per quello che vi si legge fra le righe, e più ancora per quello che possono aver signi­ ficato entro determinati ambienti fascisti. Inoltre bisognerebbe sapere qualcosa di più sull’altro e simmetrico momento dell’attività di Curiel nei circoli intellettuali padovani, quello clandestino: e qui, a differenza che per il lavoro sul terreno sin­ dacale, non ci soccorrono nemmeno le relazioni inviate al centro estero del PCI. Tuttavia l’impressione che se ne trae è che il confine fra opera di illuminazione critica e di sia pur prudente demistificazione da una parte, e oggettiva funzione di copertura a sinistra del regime dall’altra sia estremamente difficile da tracciare. Diversi sono gli esempi che si possono citare: basti ricordare, fra gli altri, il com­ mento di Curiel al viaggio di Mussolini in Germania nel settembre del 1937, dove nel tentativo di riaffermare l’autonomia della politica estera italiana dalla Germania nazista (che era motivo importante e anche sentito dall’opinione pubblica), si fini­ sce per forzare la realtà dei fatti e per fornire al fascismo una patente di rispet­ tabilità e di indipendenza che esso ha cessato di meritare 16; oppure la breve nota in cui l’antifascista triestino giunge a sposare certe intemperanze tipicamente fasci­ ste contro l’esterofilìa — nel caso specifico contro la musica « internazionalizzante e bolscevica » — perché in tal modo può rivendicare con più forza ai giovani del 1415

14 II nostro lavoro economico-sindacale di massa e la lotta popolare per la democrazia, a firma « Giorgio Intelvi », in Lo Stato operaio, marzo-aprile 1937, n. 3-4, ora in Scritti, cit., vol. I, p. 29. 15 Ibid., pp. 30-31. 16 Italia e Germania, ora in Scritti, vol. I, pp. 95-98. 68 Aldo Agosti littorio « il diritto di parlare, di sostenere le loro tesi e di poter combattere le loro battaglie ideali, senza per questo incorrere in sanzioni o essere incriminati nei discorsi di corridoio » 17 *1920. In altri articoli, è vero, non esistono margini di equivoco: come in quello in cui si esalta la resistenza della Cina contro l’aggressione giappo­ nese senza peraltro tacere riserve molto precise sulla politica di Chiang Kai-sheck1”; 0 come quello in cui, prendendo lo spunto da una critica alla filosofia politica di Ar­ mando Carlini, si coglie molto bene, come ha scritto Garin, « la dissoluzione del­ l’idealismo in uno spiritualismo evasivo, in cui si disperdeva l’ultima eco umanistica e storicistica del neohegelismo italiano »”. La funzione di educazione anche politica delle nuove generazioni intellettuali che potevano svolgere scritti come questi non è da sottovalutare: tuttavia dal complesso degli articoli politici e culturali di Curiel su II Bò traspaiono a nostro avviso, assai più nettamente che da quelli sindacali, 1 limiti d’incisività e le contraddizioni di talune applicazioni del lavoro legale; limiti e contraddizioni che, nel caso specifico dell’ateneo padovano, sono resi più evi­ denti dalla mancanza di un’opera di proselitismo antifascista e comunista che, « ac­ canto all’azione svolta all’interno del GUF, [. .] sviluppasse un’azione adeguata fuori e contro il GUF »*.

Non sono comunque queste riserve che possono intaccare il riconoscimento del­ l’importanza dell’azione svolta da Curiel in Italia dopo il 1935: come ha visto assai bene Paolo Spriano, « egli emerge infatti come l’unico intellettuale, l’unico diri­ gente politico espresso in Italia dalla nuova generazione che abbia netto non solo un quadro prospettico delle “forze progressive” che minano il regime (i cattolici, i giovani, gli strati intermedi) ma della funzione della classe operaia italiana, in spe­ cie di quella nuova classe operaia che conosce soltanto i sindacati fascisti e in essi si m uove»21. Sotto questo aspetto, anzi, il dirigente triestino, pur indulgendo a qualche illusione circa quella che oggi si chiamerebbe l’agibilità politica di certi strumenti e di certi canali fascisti, porta a coerenza di disegno strategico rigoroso la linea ancora inficiata di tatticismo che tra molte incertezze elabora in questi stessi anni la direzione emigrata del PCI, specialmente per impulso di Ruggero Grieco.

Se si tiene presente il carattere tendenzialmente unitario e non partitico di questa linea (su cui giustamente ha richiamata per primo l’attenzione Stefano Merli)22, si ha la chiave per affrontare il problema dei rapporti di Curiel con il PCI e con il PSI emigrati. Questo nodo particolarmente intricato, che ha formato oggetto in passato di una vera e propria querelle storiografica, è ora definitivamente sciolto da Amendola e Frassati nel senso della doppia appartenenza di Curiel al PCI e al PSI, almeno per il periodo compreso fra il maggio del 1938 e il suo arresto nel giugno del 1939. Risulta provato al di là di ogni dubbio che il dirigente triestino si recò una prima volta a Parigi nel marzo del 1937, e in quell’occasione concordò con i dirigenti comunisti emigrati l’impostazione del suo « lavoro legale » in Italia: cade perciò l’ipotesi che la sua iscrizione al PCI debba essere fatta risalire soltanto

17 Note stonate nella musica italiana, ora in Scritti, cit., vol. I, p. 145. " Cina e Giappone, ora in Scritti, cit., vol. I, pp. 72-75. 19 E. G arin, art. cit., p. 16. L ’articolo di Curiel, Armando Carlini e il concetto di Stato, è ora in Scritti, cit., vol. I, pp. 78-81. 20 G. Amendola, Prefazione cit., p. XXXI. 21 P. Spriano, Storia del PCI, cit., vol. III, p. 288. 22 Cfr. S. Merli, Introduzione a op. cit-, p. 75. Eugenio Curiel tra « lavoro legale » e azione clandestina 69 agli anni del confino23. Risulta altresì documentato che Curiel si recò una seconda volta nella capitale francese nel dicembre dello stesso 1937, e fu incaricato dal cen­ tro estero del PCI di collaborare con il centro interno socialista e con la direzione del PSI a Parigi, in modo da sostenere le correnti favorevoli all’unità d’azione che andavano perdendo terreno nel partito. Non sembra dunque dubbio che nel 1938, mentre entrava in contatto con Colorni e Faravelli e partecipava all’elaborazione e all’attività dei gruppi clandestini socialisti, Curiel abbia mantenuto i collegamenti anche con il PCI; mentre appare quanto meno verosimile che tali collegamenti si siano venuti rarefacendo negli ultimi mesi precedenti il suo arresto, a causa del clima di ingiustificato sospetto che si era diffuso nel PCI e che coinvolse anche lui. Così ricostruita in modo sufficientemente attendibile la trama dei fatti, restano però aperti vari interrogativi di ordine politico sulla natura di questo complesso rapporto bilaterale e sul contenuto della linea che Curiel applicò in Italia facendo uso di un largo grado di autonomia: interrogativi cui Amendola ci sembra dare talvolta nella sua prefazione una risposta un po’ disinvolta.

Si è molto discusso dello « strumentalismo » che avrebbe viziato la decisione del centro estero del PCI di « distaccare » il militante triestino nel Partito socialista; ed Enzo Modica, in particolare, ha parlato di una scelta strumentale « nei confronti di Curiel prima ancora che nei confronti del Partito socialista »24. Il problema, a nostro avviso, dev’essere, se non capovolto, considerato in una luce diversa. Curiel era la migliore e più cosciente espressione di una generazione di militanti che, proprio per il fatto di assumere al centro della loro analisi e della loro azione poli­ tica la realtà italiana quale si presentava dopo quindici anni di dittatura fascista, si ponevano almeno in parte al di là e al di fuori delle concrete figurazioni storiche assunte dai partiti operai in Italia. Saremmo perciò abbastanza cauti nel considerare la sua attività nel paese, anche solo limitatamente al primo periodo, come « etero­ diretta » 25; ci sembra invece che valga la pena di chiedersi quanto vi fosse di stru­ mentale da parte sua nei rapporti con il PCI e con il PSI. In altri termini, Curiel — non diversamente in questo da Morandi e dal gruppo dirigente del centro interno socialista — doveva considerare la rete organizzativa clandestina del PCI e del PSI come un veicolo assai importante (anche se non come il solo) per portare avanti una linea fondata sulla ricostituzione dell’unità politica della classe operaia italiana al di sopra delle vecchie divisioni e su una concezione dei suoi compiti rivoluzionari più aderente alle modificazioni intervenute nella realtà politica e so­ ciale del paese negli ultimi anni26. Il suo rapporto organizzativo con il PCI a par­ tire dal marzo del 1937 non può certo essere sottovalutato: esso esprime la so­ stanziale rispondenza della linea comunista di quegli anni alle esigenze che scaturi­ vano dalle nuove avanguardie operaie e intellettuali italiane, e la capacità del partito di attrarle nella sua orbita organizzativa. Tuttavia, per altro verso, tale rapporto non deve essere neanche sopravvalutato: in esso non si esaurisce la ric-

23 S. Merli, La rinascita del socialismo italiano, cit., p. 270. 24 E. Modica, Il « problema Curiel », cit. Anche P. Spriano (Storia del PCI, III, cit., p. 291) parla di uno «strumentalismo» «p er così dire doppio: e nei confronti del PSI, e in quelli di quel giovane compagno che non può ancora essere considerato ‘membro del partito’, anche se ha ‘aspetti positivi’ e ci si gioverà del suo buon lavoro ». 25 L ’espressione è di E. Santarelli, I comunisti negli anni di guerra, in II Movimento di liberazione in Italia, n. 112, luglio-settembre 1973, p. 86. 26 Sulla concezione di Morandi, sono fondamentali le considerazioni di S. Merli, Intro­ duzione a op. cit-, passim. V. anche A. Agosti, Rodolfo Morandi. Il pensiero e l’azione politica, Bari, 1971, specialmente alle pp. 232-237. 70 Aldo Agosti chezza e l’originalità dell’impostazione di Curiel, che in molti dei suoi motivi ispiratori obbedisce a matrici non riconducibili al comuniSmo staliniano degli anni ’30. Come bene ha visto Modica, « la profonda vocazione unitaria; l’acuto interesse per la prospettiva socialista della lotta antifascista, il rifiuto di una separazione meccanica fra obiettivi democratici e obiettivi socialisti, pur nella consapevolezza della neces­ saria “gradualità” della conquista; l’interesse per il problema degli istituti della rivoluzione e per i caratteri della futura società socialista » 27 sono altrettanti aspet­ ti che corrispondono all’elaborazione del centro interno socialista e di Morandi in particolare; e che, aggiungiamo noi, corrispondono assai più a questa elaborazione che non all’orientamento prevalente nel ’38-39 in seno alla direzione del PCI.

Valga del resto, a riprova di quanto sosteniamo, il tono dei contributi di Curiel a Lo Stato operaio 28 ; ci sembra che sia vero per ognuno di essi ciò che Amendola ha notato per il primo e il più conosciuto, quello che suscitò la replica polemica di Egidio Gennari29, trattarsi cioè di scritti dal « linguaggio certamente non conforme allo stile, al vocabolario, alle norme ormai rituali proprie della letteratura comuni­ sta di quel periodo », in cui fa spicco « l’assenza di ogni riferimento alle parole d’ordine di lotta per la pace e contro l’imperialismo, la mancanza di un nesso esplicito tra lotte economiche e lotte per la pace e la democrazia »3“. Ciò denota un rapporto particolare e in qualche misura atipico fra il dirigente triestino e la centrale comunista emigrata.

D’altra parte, se si guarda ai rapporti di Curiel con il PSI, la sua indipendenza appare ancora più marcata. Emerge con tutta chiarezza la sua insistenza sul lavoro legale, contro le diffidenze che ancora persistevano in molti ambienti socialisti; ri­ salta nettamente la sua scelta di campo a favore dell’unità d’azione con i comunisti, ma insieme il suo rifiuto di identificarsi nell’una o nell’altra corrente dell’emigra­ zione; ricorre costantemente il motivo dell’« unione delle masse operaie », al di fuori delle vecchie divisioni e al di sopra della stessa riaffermazione dell’individua­ lità del Partito socialista.

Tutto ciò concorre a nostro avviso a sottolineare il largo grado di autonomia del­ l’operato di Curiel sia in Italia che nei rapporti con le emigrazioni. In questo senso, anche il fatto che il dirigente triestino sia stato incaricato da Grieco e Donini di « farsi socialista » per difendere e sviluppare l’unità d’azione dev’essere considerato in una luce particolare: ciò che più conta è che questa sua nuova col-

27 E. Modica, Curiel e la prospettiva unitaria del partito nuovo, cit., p. 169. Da tenere presente anche l’acuta notazione di C. Petruccioli (Il contributo di Curiel alla politica della via italiana, in Rinascita, 25 gennaio 1974, n. 4, p. 19): « L ’attenzione di Curiel è prevalentemente, spesso esclusivamente, rivolta al movimento, alla sua organizzazione, fino a far coincidere con la organizzazione democratica delle masse la questione politica comples­ siva, e perfino quella istituzionale del nuovo Stato, quasi a prefigurare la soluzione dei problemi politici e istituzionali come conseguenza automatica dell’espansione e del rafforza­ mento dell’organizzazione autonoma e democratica del movimento e delle masse ». Questo limite (nella misura in cui di limite si tratta, e non di una particolare inflessione tematica) è certamente comune anche all’elaborazione del centro interno socialista, mentre non si ri­ scontra in quella del gruppo dirigente comunista. 21 Questi articoli (cfr. Scritti, cit., vol. I, pp. 207-224) non erano stati inclusi nella prece­ dente raccolta degli scritti di Curiel (Classi e generazioni, cit.). È molto probabile che siano opera del dirigente triestino; sarebbe però stato interessante conoscere le ragioni che hanno indotto il curatore dell’opera a un’attribuzione così sicura. 29 Si tratta di II nostro lavoro economico-sindacale di massa, cit-, a firma « Giorgio Intelvi ». 30 G. Amendola, Prefazione a op. cit., p. 30. Eugenio Curie! tra « lavoro legale » e azione clandestina 71 locazione di militante dalla « doppia tessera » gli permetteva di portare avanti in una posizione in un certo qual modo privilegiata la linea di cui era interprete, e al tempo stesso di sfruttare certi spazi che nel PCI rischiavano di essergli preclusi. Da questo punto di vista ci sembra legittimo insistere sull’uso almeno in parte strumentale che egli fece dell’incarico assegnatogli dalla direzione comunista: nel senso che se ne servì per proiettare l’unità d’azione al di là della dimensione ancora viziata di tatticismo che, sia pure con segno diverso, prevaleva nei partiti operai ufficiali, e per farne la leva della lenta maturazione di quel nucleo di idee e di esperienze comuni che la classe operaia italiana e le sue avanguardie operanti al­ l’interno del paese, socialiste o comuniste che fossero, venivano autonomamente elaborando. Naturalmente, questo non impediva che, coerentemente con tutta la sua impostazione, egli assolvesse al compito affidatogli di proteggere l’unità d’azio­ ne dagli attacchi sempre più aperti che le venivano portati da Tasca e da Faravelli. Sempre da questo punto di vista, si spiega molto bene come, a partire dagli ultimi mesi del ’38, con il deteriorarsi della situazione interna del PCI e con il diffondersi del clima di sospetto cui prima si accennava, Curiel abbia accentuato la sua auto­ nomia d’azione e allentato i legami con il centro estero comunista diretto da Berti.

Non contrasta a nostro avviso con questa ricostruzione il fatto che, appena giunto al confino, l’antifascista triestino sia entrato a far parte del collettivo comunista di Ventotene. Che egli avesse lavorato a lungo in contatto con il centro estero di Pari­ gi, doveva essere noto ai responsabili comunisti dell’isola: d’altra parte, l’atmo­ sfera di diffidenza che lo aveva per qualche tempo circondato trovava, nella realtà dei rapporti quotidiani fra i confinati, alimento ben più povero che nei circoli dell’emigrazione parigina, e dovette finire col dissiparsi presto del tutto per il fatto che Curiel si era comportato assai bene dopo l’arresto, e aveva pagato di persona riportando una condanna non certo leggera. Curiel stesso, dal canto suo, imbevuto com’era di spirito unitario, fu certo molto negativamente colpito quando, in seguito all’accordo tedesco-sovietico dell’agosto 1939, la corrente taschiana del PSI volle — e quella nenniana subì — la rottura del patto d’unità d’azione: e ciò dovette: favorire il suo riavvicinamento al Partito comunista.

Su queste basi si rinnovò a Ventotene il rapporto di reciproca fiducia fra l’intellet­ tuale triestino e il partito che solo, nella tempesta della guerra, mantenesse saldi i suoi ranghi e dimostrasse di non smarrire la prospettiva di classe. Nello stesso tempo, gli studi che Curiel veniva svolgendo nell’isola gli permisero una delucida­ zione teorica del marxismo e una visione più ricca della storia nazionale che s’in­ serivano organicamente nello sforzo di elaborazione su una « democrazia di tipo nuovo » compiuto dal gruppo dirigente del PCI. Quando, nell’agosto del 1943, Curiel lascerà Ventotene, sarà a pieno titolo integrato in questo gruppo dirigent^ e coscientemente partecipe della sua strategia: e ad essa recherà, nel vivo della lotta antifascista e antitedesca, un contributo ricco e originale di idee, nel quale si rifletteranno ancora, in modo vivissimo, gli spunti e le anticipazioni degli anni della lotta legale. A ldo A gosti