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CROATI A TORINO E IN PIEMONTE

Luca Guglielmino Luca Guglielmino

Croati a Torino

e in Piemonte

© 2016 Luca Guglielmino - Tutti i diritti riservati Stampa: Progetto Immagine Torino A

NEVENKA Pronuncia delle consonanti croate con segno diacritico e dei grafemi

Cc come la z italiana di pezza , pozzo

Čč come la ch inglese di church o come l’italiano goccia

Ćć come l’italiano città

Dž dž come jungle in inglese

Đđ simile all’italiano giro ( debole rispetto a dž)

Lj lj come l’italiano conigli (- gli)

Nj nj come l’italiano gnomo

Šš come l’italiano sciarpa

Žž come il francese Jacques (J)

Acronimi e abbreviazioni

AS – SR Archivio di Stato Sezioni Riunite AS – SC Archivio di Stato Sezione Corte ASCT Archivio Storico della Città di Torino ASME Archivio Storico Ministero degli Esteri D. A. I De administrando imperio VMRO Vnatrešna Makedonska Revolucionerna Organizacija - Organizzazione rivoluzionaria interna macedone NDH Nezavisna Država Hrvatska – Stato indipendente di Croazia KPJ Komunisti čka partija Jugoslavije – Partito comunista jugoslavo OZNA Odeljenje za Zaštitu Naroda – Dipartimento per la Sicurezza del popolo UDBA Uprava Državne Bezbednosti – Amministrazione della Sicurezza Statale SKOJ Savez komunisti čke omladine Jugoslavije – Lega giovanile comunista di Jugoslavia.

PREFAZIONE

Tucidide. Si potrebbe chiedere il lettore cosa ci faccia l’insigne storico in un testo dedicato ai Croati a Torino e in Piemonte. Ebbene, chi scrive di storia, qualsiasi tipo di storia, deve aver sempre ben presenti dei canoni fissi e noti da tempo immemore per non incorrere in quello che spesso si dice “la storia la scrivono i vincitori”. No la storia deve essere scritta il più obiettivamente possibile. Tucidide (Proemio I - 21) elimina pertanto ogni abbellimento agiografico e poetico dei fatti, onde non dilatarli e ingigantirli, ogni retorica o logografia tendente a dilettare chi scrive e soprattutto chi ascolta non privilegiando quindi la verità. Tutti questi materiali sono incontrollabili e servono solo a creare miti fatti di sacralità e di totemismo. Ciò che espone Tucidide è dapprima individuato, poi analizzato e quindi esposto. Le informazioni vengono vagliate con scrupolo (Proemio I - 22) senza arbitrio, con precisione, per quanto naturalmente è possibile, sapendo bene che le memorie dei vari individui coinvolti nei diversi avvenimenti divergono sempre e mai sono uguali nell’esporre tali avvenimenti. Questo avviene sia per il differente modo di ricordare che per le propensioni anche politiche che ogni individuo mantiene. Le Storie tucididee hanno un tono severo e realista perché viene in esse scrutata solo la verità; non vi sono fiabe o racconti. Tale verità deve compenetrare le vicende del passato e consentire l’esame di quelle future che avverranno in modo simile o anche identico, per via delle leggi immutabili e immanenti del mondo e degli uomini che in esso vivono. Sono due bellissimi passi da leggere in greco, per chi può, pur non essendo Tucidide così facile da leggere e tradurre.

Ecco come deve essere quindi concepita la storia: ricerca scrupolosa della verità dei fatti storici, comoda o scomoda che sia, studio del comportamento umano ripetitivo e studio del divenire storico, della fluidità storica, delle varie epoche in tesi, antitesi e sintesi: se il rinascimento viene negato quantomeno si contrappone alla controriforma, l’illuminismo è la sintesi, ma ogni sintesi è un punto di partenza che diventa tesi con un’antitesi successiva. Ora non è negativo in sé il parlare di Risorgimento. Sarebbe assurdo il non parlarne. Occorre solo sapere come parlarne sgravandolo dal mito che si è cristallizzato su di esso e che ancora oggi sussiste. Occorre imparare intanto che anche i cosiddetti potenti di turno sono uomini come gli altri con i loro pregi e difetti proprio perché i risultati talvolta non hanno corrisposto alle aspettative. In gioventù certo si sono studiati Garibaldi e Cavour come persone mitizzate, parlanti dall’alto del piedestallo non della storia, ma del mito, là ove si dividevano buoni e cattivi inventandoli: Re Bomba (negativo, cattivo) così come Franceschiello, il Papa, noioso, poco gratificante, astratto, reazionario, l’austriaco sempre dittatore, reazionario, anti- italiano e anti- piemontese, sanguinario e liberticida, lo slavo barba-

ro, incivile e senza coscienza nazionale, il turco, un poveretto debole e fiacco che viveva però in modo violento e liberticida, Garibaldi e il mito dei garibaldini, il genio superbo di Cavour… Siamo vissuti di miti. Andando a riesaminare tutto ci si accorge di realtà ben diverse che vengono nuovamente studiate almeno da più di un decennio e come si deve, senza togliere nulla ai pregi, ma evidenziando anche, finalmente, i difetti. Non è antipatriottismo, è solo logica in quanto tutti fanno giusto o sbagliano se lavorano a qualcosa e tanto più in politica, scienza relativa e non assoluta. E i miti sono partiti dallo stesso Risorgimento per transitare al nazionalismo e al fascismo. Occorre disincrostare ciò che si è ossidato su questi fatti e che come ogni ossidazione, deturpa.

Nello studio dei rapporti con gli Slavi occorre partire dai medesimi presupposti evitando la nostra e la loro mitologia, poiché anche loro in contrappunto al nostro, hanno dato vita a un nazionalismo. Non occorre vedere chi ha cominciato prima o chi è venuto dopo anche perché la maturazione patriottica prima e nazionalista dopo è avvenuta quasi contemporaneamente intorno al 1848 con molti indizi e segnali precedenti. Il vedere “chi per primo…” è puerile e infantile e porta nuovamente e unicamente ad attriti inutili. Va ricordata solamente la famosa frase evangelica: “ Chi di voi è senza peccato, scagli la prima pietra …” ( Gv. 8,7) Una storia va riscritta quindi sull’umiltà, sul perdono reciproco, eliminando l’orgoglio, ringraziando Dio che poco a poco gli screzi si ricompongono e sempre pensando che poteva comunque e in ogni caso, andar peggio. La storia ben esposta è la speranza dell’umanità, la prima pietra per un dialogo fruttifero, per un forum, dove ognuno ha il diritto di dire ciò che pensa, ovviamente supportato da fatti e documenti. Questo forum si è già organizzato tra gli storici locali o di confine, tra Trieste, la , l’Austria e l’Istria, in una nicchia di storia locale ma europea, che occorre diventi finalmente anche italiana. Ricordo solo alcuni nomi: Pupo, Apih, Collotti, Sala, Miccoli, Stuhlpfarrer( austriaco), Valdevit, Spazzali, Troha (slovena), Dukovski (croato) ecc. hanno dato vita a una letteratura vasta e documentata che va al di là dei miti e cerca la verità, pure con sfumature e impostazioni diverse.

Il piccolo contributo che qui viene proposto fa luce su di un aspetto in Italia non conosciuto ed è per sottolineare il fatto che di stranieri Torino ne ha sempre accolti, per scopi ed esigenze diversi e praticamente fin dal momento in cui si costituì capitale cisalpina,completa di istituzioni funzionanti e di poteri operanti e quindi dalla fine del XVI secolo.

Altro argomento importante, dal momento che sul lettore non si può gravare con una messe eccessiva di dati riguardante una storia sconosciuta ai più, è suggerire, impostare approfondimenti successivi e si spera dialogici e non polemici, onde far progredire lo studio e ampliarlo.

Si è inteso dare il più sinteticamente possibile un quadro d’insieme riguardante i ruoli di personaggi di spicco del mondo croato i Piemonte e i ruoli dei croati potremmo dire della quotidianità, non famosi ma non per questo non degni di essere ricordati nel momento in cui ci portano via dai campi di battaglia e dalle corti dorate per illustrarci come si viveva. Inoltre si é dato pure un quadro dei rapporti oltre confine accennando alla rete di consolati, ambasciate e spie organizzata dal Regno di Sardegna e dall’Inghilterra. E’soprattutto un contributo all’avvicinamento con una parte troppe volte dimenticata dell’area balcanica.

A supporto dell’opera vi è un apparato di note abbastanza completo che fornisce al lettore ampie e ulteriori spiegazioni su nomi, eventi, località e denominazioni prettamente slave.

Ringrazio mia moglie Nevenka che mi ha aiutato a coordinare fonti e dati e a selezionare materiali e argomenti, nonché a tradurre da diverse altre lingue, oltre naturalmente a quella croata. Ringrazio personale e dirigenza dell’Archivio Storico della Città di Torino e pure dell’Archivio di Stato Sezione Corte e Sezioni Riunite. Un particolare ringraziamento al prof. Nenad Moa čanin dell’Università di Zagabria per i suggerimenti e la traduzione di un documento ottomano e al Prof. Séamas Ó Siocháin del dipartimento di antropologia della Maynooth University di Dublino. Un ultimo ringraziamento va alla dr.ssa Iva Pavi ć, già Console Generale della Repubblica di Croazia in Milano e ora Console e Consigliere diplomatico all’Ambasciata della Repubblica di Croazia a Roma, che ha seguito con passione la vicenda di tale libro che a suo dire, viene “a colmare una lacuna” storica e al dr. Stefano Gyulai per le precisazioni inviatemi circa la sua illustre famiglia.

Guglielmino Luca

Torino, 15 ottobre 2016

SAŽETAK

Knjiga prestavlja pri ču Hrvata koji su živjeli u Pijemontu i Torinu kroz XVII, XVIII, XIX stolje će. Prvi Hrvati na tom podru čju bili su ve ćinom vojnici, no bilo je i umjetnika, me đu kojima se isti če glazbenik Ivan Šiben čanin. U po četku Hrvati su sudjelovali u ratovima pod Savojskim vojvodstvom, a zatim pod Sardinskim kraljevstvom gdje su se borili protiv Francuza u nadi da će kralj stvoriti prvo samostalno kraljevstvo u Italiji. Doprinos Hrvata pomogla je u ostvarivanju naše samostalnosti. Tijekom XIX stolje ća posje ćuju nas mnogi politi čari poput Eugena Kvaternika, Nikole Tomaševi ća (Niccolò Tommaseo), Petra Aleksandra Paravije (Pietro Alessandro Paravia) te Imbre Ignjatijevi ća Tklaca. Bilo je tu i mnogo dezertera iz Carske i Kraljevske Vojske (K.u.K.), ali i Hrvata i Hrvatica koji su samo bili u potrazi za poslom. Hrvatski pravaši nisu prihva ćali granicu izme đu Italije i Hrvatske jer bi Gorizia i Istra bile pod Hrvatskom dok bi Trst ostao izvan. Kvaternik je bio prvi i jedini koji je pokrenuo pitanje o granicama, iako je pretjerivao ne uklju čuju ći Sloveniju. Njegova se ideja ostvarila 1991. godine. Tommaseo je pak htio autonomnu Dalmaciju koja bi bila korisna za sklad Italije i Hrvatske. Tkalac je bio jugoslavist i liberalac te je ve ći dio života proveo u Italiji gdje je priro đenjem stekao talijansko državljanstvo. Umro je u Rimu 1912. godine. Nakon atentata u Marseillu, za koji su bili odgovorni ustaše i makedonski V.M.R.O u kojem su ubijeni kralj Aleksandar Kara đor đevi ć i ministar Barthou, u Torino dolazi Ante Paveli ć sa nekoliko ustaša. Mussolinijeva Italija držala je logore u kojima su ustaše svakodnevno vježbali upotrebljavati oružje. Mussolini obe ćaje Paveli ću, Budaku i „Didi“ Kvaterniku te ostalim ustašama koji su tada bili u Italiji da će biti pod njegovom zaštitom, no zbog straha od Francuza sve povla či. Paveli ć i „Dido“ Kvaternik proveli su godinu i pol u zatvoru ( Carceri Nuove di Torino). Treba napomenuti da su ustaše uvijek bili manjina na hrvatskom prostoru. Poslije Drugog svjetskog rata u Torino dolaze Hrvati sa hrvatskim prezimenima kao izbjeglice iz Jugoslavije. To su ve ćinom bili ljudi koji nisu trpjeli komunizam. Danas Europa ima 28 država od kojih je Hrvatska zadnja po ulasku. Danas smo svi dio Europe, nema više granica, nema više ratova. Nažalost, bilo je potrebno oko 150 godina ratovanja kako bi se shvatilo da Italija i Hrvatska ipak mogu prona ći „zajedni čki jezik“ te živjeti u miru. Nažalost, taj mir postignut je na teret nedužnih ljudi, dovoljno je uzeti u obzir da je u prvom svjetskom ratu Italija službeno izgubila 600.000 ljudi i

imala je 400.000 ranjenih me đu kojima su i invalidni vojnici. U Drugom svjetskom ratu Italija je izgubila 18.000 ljudi (Podaci talijanskog konzulata u Zagrebu 1988. g. u knjizi – Opsesije i megalomanije oko Jasenovca i Bleiburga – V. Žerjavi ć). Tako đer izme đu 1941-43 ubijeno je 13.087 Slovenaca i više od 5.000 civilnih Hrvata.

Ovi brojevi pravi su primjer kako su nacionalizam i fašizam uništavali sve pred sobom bez obzira o državi u kojima su se manifestirali. Ovoj knjizi bio je cilj prona ći izgubljeno zajedništvo, razumijevanje i toleranciju me đu narodima duž Jadranske obale.

Turin, 15 listopada 2016 g.

Croati a Torino e in Piemonte - XVII e XVIII secolo

INTRODUZIONE

In occasione della recente entrata della Croazia in Europa, il primo luglio 2013, è venuto in mente a chi scrive che tale popolo ha dato da secoli un contributo interessante alla storia del Piemonte. Del resto basti pensare che il Mare Adriatico, ben prima che fosse un lago veneziano, fu un corridoio di comunicazione aperta tra est e ovest ben prima che sulle rive orientali s’installassero i Croati. Già gli antichi Piceni avevano frequenti scambi con Liburni, Illiri e Dauni. I primi si trovavano tra Fiume - , il Litorale Croato - Hrvatsko Primorje e la Dalmazia, i secondi all’interno e i terzi all’incirca nell’odierno Montenegro. Non dimentichiamo la provenienza di S. Marino, fondatore dell’omonima Repubblica, dall’isola di Arbe - Rab, come cavatore di pietra, degli architetti Laurana, Francesco e Luciano (di Vrana, vicino a Zara) e molto più tardi del Tommaseo (di Sebenico) .

Scrivere degli esuli o dei mercenari croati a Torino, non è solo complesso, ma è anche difficile per via della non copiosa documentazione esistente e per il fatto che qui i rapporti non possono essere quelli che ebbero città come Venezia o Trieste. Inoltre, sia in Italia che in tutta la ex - Jugoslavia, vi è tutta una storiografia ideologica e quindi di tendenza, che vivendo di complessi o adeguandosi ai regimi, tende a rimuovere diversi episodi e diversi personaggi dal quadro storico che dovrebbe essere intangibile (ricordate il metodo storico veritiero di Tucidide?) Di certo, a quel che si sa, i rapporti furono quasi sempre d’interesse politico o militare. Si sa che gli Slavi meridionali arrivarono nelle zone ove ora si trovano, tra il VI e il VII secolo. Il mito ci dice che nell’anno 337 Costantino il Grande deportò una colonia di Sarmati (protoslavi di origine forse iranica che popolavano i territori andanti dal Caucaso al mar Nero e dalla Serbia alla Slavonia) nelle campagne pedemontane. Essi si stabilirono a Pollenzo, Valenza, Acqui, Tortona, Torino, Vercelli, Novara e Ivrea. Due secoli dopo vennero ancora dei Sarmati e dei Bulgari probabilmente del Volga, (di razza turca) presso Cavour; di certo fra costoro non potevano esserci né croati, né serbi, che, come abbiamo visto, si stabilirono più tardi nei loro territori. A partire poi dalle invasioni degli Ungari nel X secolo, è possibile che l’elemento croato sia pervenuto al seguito di costoro, fino in Piemonte e oltre, anche se va detto che in tale epoca i problemi dei Croati, alleati dapprima coi Franchi, erano rivolti contro Venezia e Bari, da dove scacciarono i Saraceni. Seguì il periodo dei pirati Narentani rivolti contro Venezia e quindi abbiamo un allargarsi dello Stato croato nelle vicinanze. In ultimo esso viene riconosciuto reame autonomo da Papa Giovanni X (autonomia liturgica in lingua locale) e il coronamento di tutto ciò é il regno croato di Tomislav (1), vincitore sia degli Ungari che dei Bulgari.

E’ quindi un po’ difficile che gli Ungari si trascinassero appresso elementi croati e tuttavia non impossibile, se il movente era la sete di bottino. Lasciamo l’incerto per il certo. I Croati furono studenti nelle nostre università, a Padova e a Bologna, e come commercianti ebbero rapporti con Venezia, Firenze e Roma e con la costa adriatica italiana. Vi è poi tutta la pagina magnifica dell’umanesimo di Ragusa con i suoi autori bilingue. A Venezia costituirono il nerbo dei cosiddetti Schiavoni: Dalmati, Narentani, Montenegrini, Albanesi (non Slavi)……A partire dal 1453 , come eruditi e sacerdoti, furono allievi del Pontificio Collegio di S. Gerolamo e dal 1553 al 1764 funzionò in Bologna un Collegio Ungaro - Illirico. A seguito dell’invasione ottomana molti Croati ripararono in Molise e sono oggi riconosciuti come minoranza linguistica e vengono denominati Schiavuni, parlano un antico dialetto ikavo dalmata dell’interno e vivono in diversi paesi tra cui Acquaviva Collecroce (Kru č), San Felice del Molise (Fili č) e Montemitro (Mundimitar). (Circa 2.000 anime). Nel marzo 1203 si situa la notizia di un trattato tra Ragusa e Termoli per la concessione della cittadinanza e per gli attracchi portuali. I Croati in Italia sono stanziati a Settentrione e soprattutto in Friuli e Veneto e fonti governative croate li censiscono in 60.000 unità. ( Državni ured za Hrvate izvan Republike Hrvatske – Ufficio di Stato per i Croati fuori dalla Repubblica di Croazia). In Piemonte nel 2010 erano 875. In Torino 178 nel 2007. Ma perché proprio i Croati in Piemonte? Perché anche i Croati hanno contribuito direttamente e indirettamente alla liberazione del Piemonte dallo straniero, i Francesi, e alla costruzione dell’Italia; direttamente perché hanno dato la vita per questo e indirettamente perché inviati da un potere imperial- regio che lo richiedeva loro e a cui in fondo erano fedeli, di certo in attesa di tempi migliori. Dopo il fallimento dell’alleanza con Luigi XIV tra il 1688 e la Guerra di Successione Spagnola, non rimanevano alternative. L’indipendenza croata pone comunque le radici molto più in là nel tempo che quella italiana. Nel momento in cui i Magiari s’impossessarono del trono croato (1102) con re Koloman (2) , l’idea di un’indipendenza si fa via via più forte e viene rallentata praticamente solo dal pericolo turco. Nel XVII secolo si tenta appunto un’alleanza antiasburgica con la Francia ma la nobiltà croata e quella magiara perdono la lotta che le oppone alla corona asburgica e vengono abbandonate dalla stessa Francia cui non interessa più battersi in tal modo contro l’Impero. Si deve seguire “ obtorto collo ” l’Austria e non senza mantenere nel cuore l’ideale di una Croazia libera. I sacrifici, ove richiesti, si fanno per la Patria o Domovina croata, malgrado al momento siano utilizzati da altri per diversi fini e su altre terre. Il presente studio è un omaggio a coloro di cui è noto qualcosa di certo, ma i molti ne restano fuori, nell’impossibilità attuale di consultare i ruolini militari dell’epoca e in ogni caso comparirebbero nomi probabilmente senza significato. E non va neppure dimenticato che i Croati hanno vissuto secoli parallelamente a Magiari e Tedeschi, i primi amici dell’Italia e i secondi nemici.

XVII e XVIII secolo Partiamo da Ivan Šiben čanin o Giovanni da Sebenico che vide i natali nel 1640 a Sebenico e morì nel 1705, probabilmente a Cividale del Friuli. Fu compositore di origine croato - dalmata che nel 1666 si trovava a Londra ove entrò al servizio di Carlo II come organista, cantante e compositore. Nel 1673 lo troviamo a Torino ove rimarrà fino al 1690 come maestro di cappella di corte. Successivamente fu a Venezia e poi a Cividale. Il 6 dicembre 1673 a Venaria Reale venne rappresentato lo zapato (festa con scambio di regali) Atalanta che segnò la presentazione alla società maschile del piccolo Vittorio Amedeo II. La musica di questo fondatore della musica croata (di solito opere in tre atti) è andata perduta. Il libretto dell’ Atalanta è di Bernardino Bianco. Ma a Torino vennero rappresentate opere come Gli amori delusi da Amore nel 1688 e Leonida in Sparta del 1689 (editore in Torino Bartolomeo Zappata libraro di S.A.R). Leonida in Sparta venne poi ripreso a Venezia nel 1692 come l’Oppresso sollevato . Esistono poi, del medesimo autore un mottetto, una messa e un responsorio. I migliori zapatos rimangono quelli dell’epoca Carlo Emanuele II e Giovanna Battista di Savoia Nemours e il migliore in assoluto è quello del dicembre 1665 in occasione della festa di S. Nicola, intitolato I mercanti . Nicola o Nicolò Volfango Baljanovi ć(h) o Ballinovi ć(h), era invece nato a (Segna) sul Litorale Croato e fu militare a Vercelli col grado di maggiore e dal 1691 risiedeva in Piemonte. Nel 1744 venne naturalizzato piemontese. Fu poi uomo di fiducia delle scuderie ducali. Può darsi che nel XVII secolo, là ove vi era una presenza di fanteria tra 5 e 18 reggimenti stranieri in Piemonte, vi fossero anche dei croati, che di certo militavano invece nelle armate Imperiali. Di certo Croati se ne trovarono molti nei reggimenti francesi nel XVII secolo. Già nel 1637, al tempo della Guerra dei Trent’Anni , si parla di mercenari croati nelle file francesi, per esempio nello scontro di Landrecies (3); successivamente costoro parteggiarono per e contro la Fronda e alla fine di tali torbidi, vennero mantenuti come truppe in funzione antiasburgica. Di questi reggimenti di cavalleria leggera sono noti i nomi di due colonnelli Raab e Draganovi ć. Sono noti i legami dei Bani (4) croati Nikola e Petar Zrinski (5) (dal 1647 al 1670) con Luigi XIV e di certo si sa che i mercenari croati vennero inviati al servizio del Re Sole per motivi politici antiasburgici, ma la loro presenza, in confronto ai mercenari irlandesi, tedeschi, italiani, scozzesi e svizzeri, è pressoché simbolica. I croati però militavano pure con gli imperiali in numero di 20/30.000. Ad esempio si ritrovarono nelle forze di Wallenstein a Breitenfeld nel 1631 e a Lutzen (6) nel 1632, ove lo stesso Gustavo Adolfo venne da loro ucciso. I Croati si segnalarono nelle guerre contro gli eretici nella Boemia settentrionale e lo stesso Principe di Sassonia Johann-Georg I (1611 - 1656) ne reclu -

tò (7) un’unità di élite al proprio servizio. La Francia diede vita a un’altra unità d’èlite croata, le Cravatte Reali o Royal Cravates (8), immettendovi gli anziani mercenari dell’epoca precedente di Luigi XIII, assumendone anche di nuovi. Due fatti porteranno poi i Francesi a disinteressarsi progressivamente dei Croati: la pace di Ryswick (1697) e il Trattato di Utrecht (1713). Se da un lato quindi Luigi XIV non può più aiutare i nemici dell’Inghilterra, dall’altro s’impegna a non aiutare più apertamente i nemici (tra cui i Croati) dell’Imperatore Leopoldo. Dal 1706 in poi, lo scatenare rivolte in Ungheria, l’avere i Croati alleati, a fronte degli scarsi risultati della politica francese d’intervento in Adriatico e poi della disfatta subita a Torino, per la Francia non vi è più interesse a sostenere i Croati e con Utrecht si mette una pietra tombale sull’argomento. Tuttavia durante la Guerra di Successione Spagnola dei Croati si trovarono al servizio di Luigi XIV perché dai registri dell’Hôtel des Invalides di Parigi (n°18 o Yi /18) si cita un certo Juraj Frankovi ć da 30 anni in servizio nell’unità mercenaria svizzera Pfiffer (poi Greder - Allemand) capitano appunto nell’unità del sig. Schwartz. All’età di anni 58, il primo febbraio 1715 è accolto agli Invalides e a 69 anni, nel maggio 1726, fugge dalla guarnigione degli Invalides che si era accampata a Ecluse – en - Bugey. Si pensa sia tornato in Croazia. Era rimasto senza dita della mano destra in un’azione vicino a Guillestre e per tale motivo venne reso inabile al servizio. Probabilmente l’azione avvenne tra il 1710 e il 1711, quando il Berwick, comandante in capo francese del fronte alpino e pure lui straniero naturalizzato perché figlio illegittimo di Arabella Churchill (sorella di John Churchill avversario dei Francesi) e di Giacomo II Stuart radunò (1711) 24 battaglioni su Guillestre onde contrastare le azioni austro - piemontesi nella Valle della Durance. Il maggior numero di Croati lo troviamo quindi in Francia, tra il 1665 e il 1675 e nel caso della Guerra d’Olanda (9) (1673 - 1678) i Croati si battono sia al fianco dei Francesi che a fianco degli Spagnoli e degli Olandesi. Questi ultimi ad esempio impiegarono i Croati nella difesa di Maastricht. Non erano quindi tutte “Cravatte Reali “ Nella Guerra di Successione Spagnola troviamo da un lato il Principe Eugenio e dall’altro sappiamo che è pure amico del Bano (vicere) croato Ivan o Jànos Pàlffy, magiaro, alleato dell’Impero, vincitore di Mohàcs ove Eugenio di Savoia comandava due reggimenti. Non solo, ma il Pàlffy compare pure (prima di divenire Bano), nella battaglia della Marsaglia del 1693, presso Orbassano. Sappiamo pure che i piemontesi reclutarono stranieri nel reggimento Chablais, composto da soldati irlandesi e da metà ufficiali della stessa nazionalità, che a S. Benedetto Po (1703), passarono in molti ai francesi e infatti fu l’unico reggimento a non essere ricostituito. Vi erano poi i reggimenti Schulemburg (di tedeschi) e Reding (svizzeri) e quest’ultimo cederà Bard senza sparare un colpo. Vennero arruolati pure gli ugonotti che Luigi XIV aveva cominciato a perseguitare dopo l’abolizione dell’Editto di Nantes (10). Abbiamo visto che negli ultimi due decenni del XVII sec.

i Croati uscirono lentamente dalle armate francesi e si arruolarono spesso con gli Imperiali. Di certo il Principe Eugenio di Savoia Soissons era un personaggio di rilievo nei Balcani: dopo Vienna (1683), Mohàcs (1687), Zenta (1697) Sarajevo (1697 - ove secondo il Đordji ć - Bosanska Posavina ed. Polion – - 1996 p. 53 , liberò e si portò dietro 40.000 croati) Petrovaradin, (1716) e Belgrado (1717), la sua notorietà era all’apogeo. Di tali campagne rimane un suo diario da dove si evincono anche molte usanze dei soldati slavi. Di certo doveva amarne l’estrema frugalità, in un esercito, come quello imperiale, cronicamente a corto di soldi. Si ricorda ad esempio in Croazia, che lo stesso Eugenio ordinò la costruzione della fortezza di Slavonski Brod (11) e del ponte sulla Sava tra la medesima città e la riva bosniaca della Sava. A Bilje in Baranja, Eugenio possedeva un castello che fece costruire per la caccia. Nel consultare le fonti inerenti l’assedio di Torino del 1706, si trovano numerosi elementi croati e slavi presenti tra le forze che difendono la Cittadella. Cominciamo con la cronaca dell’abate Tarizzo edita nel 1707 da G . B Zappata in Torino. Parla del 12 giugno 1706 : ”…… Uscirono il dì seguente sul tardi dalla Cittadella , e dall’Opera a corno due piccole partite d’Haiduchi, e Piemontesi, quella condotta d’ un Capitano Haiduco, e quella da un Luogotenente del Reggimento Guardie ….” Costoro fecero a pezzi più di sessanta francesi e presero quaranta prigionieri tra cui un Sergente. Dodici difensori perirono, tra cui il capitano degli Haiduchi. Un haiduco, per vendicarne la morte spiccò la testa dal busto del Capitano dei Granatieri de Marincourt con un colpo di sciabola e la portò in trionfo per la città. “ Fu compianta universalmente la perdita del Capitano Haiduco sì per le sue rare qualità , che per il suo gran coraggio, di cui ne diede una gran mostra nella liberazione della Cascina di Castagneto, che contro l’espettazion de’ Francesi occupò tanto tempo le loro armi fin da que’ giorni destinate contro la Città di Torino, e si può contare per una specie di meraviglia rare volte veduta, che l’abitazione d’ un Contadino, dopo diciotto giorni di trincera aperta,, abbia servito a far funzione d’una inespugnabile Cittadella, e che un piccolo Ridotto alzato in faccia a questa Cassina, e difeso dal Reggimento di Cortanze abbia tenuto si lungamente a bada un’ Esercito sì potente.” Nel Giornale anonimo presentato nel 1906 dal Dr. Costantino Coda si dice appunto come nel 1705 il cap. Barany avesse difeso Castagneto Po con gli aiduchi dal 16 giugno al 29 luglio, per diciotto giorni prima da solo e poi col contributo del rgt. Cortanze. Il Barany o Baranay è il defunto che il Tarizzo non nomina, di origine magiara e forse proveniente dalla Baranja croata. Il Tarizzo poi cita la perdita di un certo capitano Jacksa del medesimo reggimento “ Bagoski (Bagosy) ” ; tale cognome magiaro è può essere originario di Virovitica e precisamente del villaggio di Borova, nella Slavonia Occidentale, appunto in Croazia.

Oggi in Croazia vi sono poco circa un centinaio di persone che portano tale cognome e sono distribuite su tutto il territorio. Subito dopo il Tarizzo ci parla di un’altra sortita del 14 luglio, cui parteciparono pure “ quindici Haiduchi . ” Del resto il “ Giornale dell’assedio ”, forse del Casanova, alla data 22 giugno 1706 ci dice quanto segue (12 giugno secondo il Tarizzo) : “ Travagliò il nemico poco, ma procurò di riparare i travagli statili rovinati ieri dà nostri, ove tentammo noi di nuovo verso la sera tra le 4 e le 5 ore di far una sortita tanto dalla Cittadella che dall’Opera Corno con 30 granadieri, altrettanti aiduchi del reggimento Bagoschi con 25 guastatori con stromenti di fortificazione, il che ci riuscì anche tanto bene che non solo una gran parte del travaglio sia stato distrutto, ma anche se persero 40 prigionieri con un sergente, e come da questi s’intende, vi devono esser restati tra morti e feriti da 60 nemici, ove anche un aiduco troncò con la sciabola la testa al capitano che comandava in questi approcci alli guastatori, e la portò seco nella Cittadella, e fra li morti e feriti fu anche trovato il luogotenente, e tra nostri morti e feriti perdettimo 12 huomini, vien pertanto molto compianta la morte del Barany de’ nostri aiduchi del reggimento Bagoschi, che si trovò in quella sortita per esser’egli stato un bravo, valoroso e risoluto Officiale……” L’aiduco addolorato per la perdita del proprio amato capitano non sceglie di vendicarsi su di un prigioniero a caso, ma sul capitano nemico, togliendogli la sede dell’intelletto e dello spirito, assieme alla vita e porta in giro la testa come segno di vittoria e incoraggiamento per i suoi compagni. Costui sceglie cioè una vendetta secondo lui equilibrata anche se propria della legge del taglione e di una rozza etica egualitaria da sempre presente nel mondo slavo più o meno arretrato. Non dimentichiamo che per secoli si è trattato di un mondo contadino e pastorale soggetto alle proprie leggi sociali molte volte non scritte. Il manoscritto anonimo della Biblioteca Nazionale Universitaria intitolato “ Journalier de la campagne dans le Piemont de l’année mille sept cent six et de la levée du fameux siège de Turin Capitale de Son Altesse Royale de Savoye “ in I tascabili di Palazzo Lascaris nr. 27 dell’ agosto 2006 - trascrizione e traduzione di Federica Ponticelli e presentazione di Guido Amoretti , riporta tale fatto al 22 di giugno come il Casanova e chiama tali uomini “ Aiduchi di Bagori ” e il capitano ucciso diventa “ Baranel ” e non cambia per nulla i fatti, ma li conferma. Nelle “ Relazioni e documenti sull’assedio di Torino del 1706 “di Giuseppe Manno ed. Paravia – 1878 - Torino si afferma che in una sortita vennero impiegati i Tolpazzi (irregolari morlacchi e quindi provenienti dalla Croazia in quanto vlasi e croati) e granatieri: “ Il 22 giugno 1706 uscirono dalla Porta Susina e dalla Porta del Soccorso due contingenti di 50 granatieri e altrettanti Tolpazzi o martaiuoli, soldati irregolari temuti per la loro ferocia …..”Il Barany viene confermato come loro comandante. Va detto che la Morlacchia è una regione che si estendeva grosso modo da Knin a Zara e fino al massiccio della Kapela nella Dalmazia interna; confinava con la

Bosnia nord occidentale. Occorre ricordare che lo stesso Guido Amoretti, nel presentare l’opera rinvenuta dal Coda, parla ( Assedio di Torino…ed. Il Punto - 1980, p.11 - 12 ) di circa 1500 stranieri tra i difensori “ massa di soldati imperiali veterani (austriaci, boemi, croati , ungheresi ecc.) , le reliquie del Corpo di spedizione che il Maresciallo Guido Stahremberg aveva condotto in Piemonte nel 1704 in soccorso di Vittorio Amedeo ”. I resti del Corpo di Stahremberg, perché su 14.000 uomini giunti in Piemonte all’inizio del 1704, alla fine del 1705 rimanevano meno di 3.000 fanti e circa 1.500 ca valieri e dopo Verrua, la presa di Chivasso e di Castagneto Po, conversero su Torino. Possediamo quindi un numero quasi certo, l’origine e la loro provenienza a Torino. Nel 1701 venne varato l’esperimento di mandare gli hajduci sul fronte italiano e dopo venne creato il 3° rgt. che era un’unità mista, in quanto l’unica unità di soli croati la troviamo nel 1702 con il 4° rgt. Mallenich. I rimpiazzi aiducchi, per via della rivolta magiara fomentata dalla Francia di Luigi XIV alleata dell’Impero Ottomano e capitanata da Ferenc Ràkoczy (12) divennero in maggioranza croati e talvolta slovacchi. Da un confronto di dati tra due testi, uno croato, “ U potrazi za mirom i blagostanjem - Hrvatske zemlje u 18. stolje ću” di Alexandar Buczynski e Lovorka Čorali ć ed. – Zagreb 2013 g. pp. 150 - 151 e uno italiano “ L’esercito imperiale al tempo del Principe Eugenio di Savoia 1650 - 1720 - La fanteria (2)” di Bruno Mugnai e Luca S. Cristini – ed. Soldiershop Publishing e- book- 2014 pp . 13 - 21 , veniamo a ricostituire la storia degli Hajduk, poiché nel primo testo si afferma che essi erano sostanzialmente truppe magiare - 1704: rgt. Andrassy (1.033), Batthyany (627), Bagosy (costituito nel 1702 con altri due reggimenti e con due battaglioni di Croati -500), Mallenich (564), Molnar (200) - e che a un primo reggimento ne furono aggiunti almeno altri due, proprio nel corso della Guerra di successione spagnola (1701-1714). Nel 1702 il bano Adam Batthyàny (13) formò appunto il “battaglione” Mallenich che nel 1705 venne disciolto in Italia, ove prestava servizio, e i suoi effettivi vennero sparpagliati nei vari reggimenti tedeschi; a parte che il primo testo parla di battaglione e il secondo di reggimento, occorre rilevare un’inesattezza proprio nel testo croato. Nella primavera del 1706 infatti le 10 compagnie su 200 soldati hajduk, vennero diminuite di 50 unità per compagnia e in aprile ciò che rimaneva degli hajduk andò a formare un solo reggimento con i resti del disciolto rgt. Mallenich e in teoria vi erano 8 compagnie su 150 combattenti l’una; ciò dimostra come a Torino gli Hajduk incorporassero pure dei croati; non dimentichiamo che tra i due cognomi riportati dal Tarizzo nella Cronaca del 1707, uno è croato. Nello scontro del 7 settembre 1706 nella seconda schiera di fanteria imperiale compare un rgt. Hajduk, senza contare gli hajduk presenti alla difesa di Torino. L’esercito asburgico, posto che aveva un cattivo finanziamento, attraversò una crisi strutturale profonda tra il 1702 e il 1703. In N. Henderson “Prince Eugene of Savoy“ London 1964 p. 68 rist. 2002 Phoenix Press , é riportata una lettera del Princi-

pe Eugenio al Padre gesuita Bishoff che lui credeva avere una certa influenza a corte, ove il Principe afferma: ”…si schernisce il mio modo di fare la guerra, definendolo croato… Non mi si provvede di denaro e neanche di rifornimenti…” e tali passi sono riportati pure da Derek Mc Kay “ Eugenio di Savoia” SEI Torino -1989 pp. 72 – 73 - 74 , là ove si parla efficacemente di paghe in arretrato, diserzioni, situazione critica del rancio, mancanza di medicinali e di medici. Viene detto come sia l’ imperatore Leopoldo che soprattutto il Mansfeld (14), presidente del Consiglio di Guerra facessero orecchie da mercante alle pressanti richieste di danaro di Eugenio, che dovette richiedere personalmente a Vienna, facendo poi destituire l’inefficiente Mansfeld ed acquisendo tale carica per sé.

Truppe ausiliarie turche e imperiali

“Tolpaci e martolozi ”, truppe ausiliarie cristiane arruolate dai Turchi ( martolozi ) e sull’altro versante dagli Imperiali ( Tolpaci ). I primi sono più simili ai mercenari Pànduri. I martolosi derivano il loro nome da armatolos, truppe arruolate ai tempi di Bisanzio e poi dai Turchi ottomani, irregolari con funzioni di polizia ma spesso veri e propri briganti. Erano pure impiegati in missioni rischiose. Ma chi erano gli aiducchi? Erano truppe solitamente cristiane, sia cattoliche e quindi croate, che ortodosse e quindi serbe, ma anche ungheresi, bulgare e transilvane che si opponevano ai Turchi. Hajdut in turco significa brigante o bandito e gli aiducchi di solito erano comandati da un harambaši (da haram : illecito e ba š capo). In effetti, se non coordinati, questi soggetti si davano a ogni sorta di saccheggio e rapina. Non di rado nel XVI secolo erano comuni banditi che non arrecarono neppure troppi danni ai Turchi. Col passare del tempo il fenomeno aumentò in parallelo alla corruzione dello Stato Ottomano e in particolare in Bosnia. Già verso la fine del XVII secolo vennero arruolati nell’esercito imperiale. L’abate Alberto Fortis nel suo “ Viaggio in Dalmazia ” (1774) afferma che Hajduk in origine significava “capo banda” e talvolta come in Transilvania, fortemente magiarizzata, “capo famiglia”. In Dalmazia tuttavia significava violento, delinquente, brigante da strada. E il Fortis indirettamente pone un’ipotesi sull’origine magiara del nome in questione poiché hajtò in ungherese significa pastore e mandriano. Il termine comunque indicava i mercenari che sorvegliavano la frontiera che erano dediti al banditismo contro i signori turchi. Il contraltare ottomano degli hajduci erano gli “ akindžija ”, dal turco akin : incursione, o incursori e qui erano Serbi, Vlasi (come i Morlacchi o Mavrovlasi di etnia non slava e di origine latina), Turchi. Per questioni legate al possesso della terra o alle tasse da pagare, costoro sceglievano per convenienza l’uno o l’altro campo. Ma con la costituzione delle Krajine o Confini Militari, su cui torneremo in seguito, costoro si stabilizzarono su un fronte o sull’altro. Gli ottomani poi possedevano diversi corpi ausiliari composti in maggioranza da cristiani: i già citati martolosi (soprattutto Vlasi, tra l’altro nomadi dediti alla pastorizia e alla transumanza e di origini appunto latine o illiriche), gli yaya e i musellem (anche questi soprattutto Vlasi, almeno nei Balcani; i primi poi vennero sostituiti dai giannizzeri col metodo del devširme o tributo di sangue, in cui spesso, ma non sempre, le famiglie cristiane povere vendevano la loro prole al Sultano che allevava i maschi alla carriera delle armi e talvolta alla politica. Il sistema era in pratica una tassazione per arruolare truppe e funzionari fedeli. Basti dire che il grande Mehmed Pascià Sokolovi ć era di origine serbo - bosniaca o Koprülü Mehmed Pascià, di origini albanesi.

Gli yaya divennero così truppe di retrovia adatte alla logistica e i musellem in- vece erano esenti da tasse in cambio delle loro prestazioni militari, i derbendžija era- no guardie ai ponti, ai traghetti e ai valichi (originano qui toponimi come Derventa in Bosnia) e i voynuk erano truppe ausiliarie non turche che in genere si occupavano dei cavalli. E’ logico che con dei confini fluidi costoro passassero spesso armi e bagagli al nemico. E con loro migravano anche le tecniche di combattimento che in occidente non erano punto praticate. Martolosi e derbendžija secondo Gilles Venstein (in Le province balcaniche – Storia dell’Impero Ottomano a cura di Robert Mantran ed. Argo - 2004- p. 326 ) sono ereditati da istituzioni pre - ottomane. Erano in genere truppe a piedi o a cavallo, armate alla leggera. Dalla parte croata vi erano poi ussari e panduri. L’origine del nome ussaro è croata, da gusar , pirata, dal greco bizantino xosarios , brigante, poi passato al magiaro. In genere erano in queste zone truppe di cavalleria leggera che divenne pesante solo in Polonia con gli ussari alati. I pànduri invece erano degli irregolari armati di carabina, pistole e sciabola e portavano un caratteristico copricapo rosso e rotondo alla dalmata, una cappa rossa e pantaloni alla turca; famosi furono quelli dello slavone Barone von Trenck. (15) (zona di Pakrac e Požega). Ecco spiegato quindi sommariamente da chi erano costituite in parte le truppe croate; si vede bene che le zone di provenienza sono quelle delle già citate Krajine.

Le Krajine croate.

Krajine o Confini Militari o Militargrënze vengono denominati quei territori istituiti dagli Asburgo a difesa dalle incursioni ottomane che andavano dal mare Adriatico fino ai Carpazi. La Krajina croato-slavona è la più ampia e la più occidentale. All’inizio fu Mattia Corvino (16) (re d’Ungheria 1458-1490) ad istituire le banovine di Jaj če, Srebrenica e Šabac per difendere l’Ungheria meridionale e la Slavonia, mentre la Croazia propriamente detta, rimase indifesa. Nel 1469 venne fondato il capitanato di Senj, cittadina che per lungo tempo avrà un ruolo importante tra Croazia, Bosnia Ottomana, Venezia e l’Austria. Diverrà sede degli uscocchi, pirati croati o aiducchi di mare, che potevano tanto essere mercenari di Venezia o dell’Austria, ma che spesso lavoravano in proprio. Le incursioni ottomane continuano e la Croazia del XVI secolo è un paese ridotto al lumicino. Si pensi che talune incursioni arrivarono fino in Friuli e oltre. Nel 1527 divenne re di Croazia Ferdinando d’Asburgo (17) che subito difese blandamente la Croazia, malgrado si fosse impegnato in tal senso. Fu così che già nel 1529 gli Ottomani arrivarono sotto Vienna. Solo nel 1553 avviene la prima significativa fondazione delle Krajine come zone organicamente e coordinatamente difese. Vennero organizzate da Ivan Lenkovi ć, comandante degli uscocchi a Senj e di quelli di terra fino alla Sava e quindi hajduci o aiducchi. Tali regioni vennero divise in due parti: Krajina croata e Krajina della Slavonia o generalato di Varaždin. Sulla frontiera con i territori occupati dagli Ottomani si costruiscono fortezze in pietra, difese e čardak (caseforti) con o senza torri, di solito in legno. In tale epoca infatti i Turchi non occupavano solo la Bosnia, ma anche buona parte della Slavonia, tanto che cittadine come Brod rimasero circa 150 anni sotto i Turchi con buona parte dell’Ungheria. I capitanati portavano i nomi delle fortezze principali di Ogulin, Hrastovica, Žumberak, Koprivnica, Križevci e Ivani ć. La linea di confine si estendeva da Senj a Drnje, passando attraverso Oto čac, Slunj, Glina, Hrastovica, Sisak, Ivani ć (Grad), Koprivnica, Križevci e Đur đevac. In genere nelle fortezze minori si trovavano guarnigioni di fanti tedeschi e croati armati alla leggera. Mentre nelle fortezze più importanti vi era la cavalleria pesante tedesca assieme a quella leggera croata. Essendo un’opera ciclopica da finanziare, nel 1578 l’ Assemblea dei paesi dell’Austria Interna, riunita a Brucka na Muri (luogo molto settentrionale, il che indica che altrove non era sicuro riunirsi, a causa delle incursioni ottomane), decise di coprire le spese militari coinvolgendo i magnati stiriani che avrebbero sovvenzionato la Krajina slavona superiore, mentre quelli della Carinzia e della , avrebbero finanziato la Krajina croata. Alla fine del XVI secolo vi erano quindi il generalato di per la Krajina croata e intorno al 1630 venne istituito nuovamente quello di Varaždin per la Krajina della Slavonia superiore.

Nei secoli XVI e XVII la Krajina è separata dai poteri civili, amministrativi e politici del Bano e del Sabor (18) croati e viene sottoposta al comando del Granduca Carlo e del Consiglio di Guerra di . Molte volte avveniva che i nuovi venuti venissero messi in territori spopolati della Croazia e già intorno al 1630 le autorità di Graz decisero di dividere le terre e di concederle a costoro, concedendo poi uno status di liberi contadini e Vienna cercò pure di tenere il resto della popolazione croata nel medesimo modo. E’ evidente che queste scappatoie venivano attuate per il fatto che i finanziamenti promessi andavano a rilento. Famoso è il caso di Žumberak. Costoro avrebbero dovuto essere incorporati militarmente nell’esercito imperiale. A differenza dei mercenari di confine o grani čari , tali combattenti nelle Krajine vennero organizzati in squadre di dieci e sottoposti a diversi comandi militari per capitanato. Praticamente venne copiato il modello turco proprio delle Krajine ottomane, ove il capitanato era retto da comandanti la fanteria leggera di “ azap “ residenti nelle fortezze principali a controllo del traffico sulle vie di comunicazione. Anche gli “ aga farisa ” o comandanti azap delle fortezze minori, potevano essere a capo di un capitanato. Vennero aboliti solo nel 1835 sulla scorta della riforma del 1826/1830. Nel XVII secolo dalla Bosnia confluiscono meno uomini per diventare forze militari e si vive un periodo di pace relativa e all’inizio di novembre del 1620 vengono concessi gli Statuta Valachorum che regolavano l’afflusso dei Vlasi dalla Bosnia e dall’Impero Ottomano e ne fissavano lo status, in parte fruente di una certa autonomia. Dopo l’assedio di Vienna del 1683 viene liberata una gran parte del terri- torio del Regno di Croazia e la Krajina perse parzialmente la sua funzione anche se si mantenne e si allargò con una parte della Slavonia e il Banato. Il sistema centra- lizzato asburgico manteneva le Krajine perché aveva sempre bisogno di un certo numero di militari a basso costo e che fosse un cattivo pagatore lo testimoniano come abbiamo visto, le soventi collere dello stesso Principe Eugenio verso il suo stesso governo. I Turchi armarono molta “ raja ” (popolo, sudditi, in genere cristiani) che alla prima occasione passava all’esercito cristiano e gli scontri, cui non partecipano i Vlasi, tra Croati nuovi venuti e Ottomani continuano per tutta la prima metà del XVII secolo e nella seconda metà di tale secolo compaiono “ panduri e sclopetarii ” o archibugieri. ( Nenad Moa čanin- Slavonija i Srijem u razdoblju osmanske vladavine - 2001- p. 144) Lo stesso Eugenio nel 1697, quando prese e saccheggiò Sarajevo con relativamente pochi uomini, si portò appresso 10.000 cattolici croati liberati dal giogo ottomano e si può facilmente comprendere che una parte di essi venisse arruolata. Nel XVIII secolo le Krajine vennero riorganizzate e in esse giunsero unità imperiali regolari. Nel 1737 vengono formalmente aboliti gli statuti dei Vlasi, le capitanate e i comandi e s’installano i comandi generali, i reggimenti e le compagnie

con lo schema di un esercito moderno. La Krajina di Varaždin era così costituita da dai reggimenti di Križevac e Đur đevac e quella di Karlovac dai reggimenti di Lika, di

Oto čac, di Ogulin e di Slunj, mentre appartenevano quella di Slavonia i reggimenti di Gradiška, Brod e Petrovaradin (oggi municipalità di in Vojvodina); gli ultimi erano quelli della Banska Krajina (o Banija o Banovina Petrinja e Glina), primo e secondo reggimento. Di qui provenivano quindi dei professionisti della guerra, pronti a spostarsi su ogni fronte europeo sotto le insegne asburgiche. Naturalmente i metodi di combattimento impiegati erano diversi da quelli canonizzati dai tempi, proprio perché costoro erano avvezzi a battersi con i Turchi. In genere la popolazione delle Krajine era costituita da Croati autoctoni, da contadini croati fuggiti dal territorio turco che costituivano la maggioranza della popolazione, assieme a molti fuggitivi Vlasi e a una minoranza di profughi serbi. La Krajina venne demilitarizzata nel 1873 e restituita alla Croazia il 15 aprile 1881; intanto l’Austria - Ungheria nel 1878, occupò la Bosnia che rimase ancora formalmente turca. (Per le Krajine vi é un’ampia letteratura croata di AA.VV come Valenti ć, Buczynski, Pavli čevi ć, Roksandi ć, Kruhek…).

Si vede quindi bene come potessero essere agguerrite queste truppe che difendevano la Cittadella di Torino e l’opera curata dal dr. Costantino Coda fissa la sortita di questi trenta aiducchi il giorno 23 di giugno 1706 al comando del Barany che lui nel manoscritto legge come Baronis, così come il reggimento diventa Ragoscki - Haiduc. E ancora una volta si conferma il fatto che non muta mai tale versione. Il volumetto “ L’alba di un regno Torino 1706 - ed. Il Punto – Torino 2006 ” a p. 189 e 190, riporta i quadri di Giovanni Michele Graneri (1708 - 1762) che ritraggono un pàndur , un ussaro, un soldato schiavone o slavone e un soldato croato aiducco in un’epoca che gli autori del testo datano verso il 1750. I due ultimi di fanteria si riconoscono per le opanke (ciocie) normali senza punta ricurva all’uso croato. Nel 1708 troviamo gli aiducchi all’assalto e alla conquista del forte Mutin pres- so Fenestrelle e dopo la conquista sabauda una delle ridotte ricevette il nome di Eidoux in onore degli aiducchi comandati dal colonnello Gyulai, (19) una famiglia di origine magiara che incrociò spesso i destini del Piemonte (nel 1708, 1795, 1800 e 1859). Erano gli stessi del reggimento Bagosy o Bagossy, ora reggimento Gyulai perché il Bagosy era passato con i ribelli ungheresi sobillati dalla Francia. Gli aiducchi vennero così utilizzati come truppe da montagna sulla destra orografica del Chisone. C’è quindi da chiedersi ove Graneri abbia potuto vedere i pànduri e i soldati croati aiducchi poiché mai si mosse da Torino. Il pittore sposò nel 1747 Francesca Margherita Canicoschi nota come torinese ma con un cognome forse di origine ceche o polacche (Kankowsky?). Nell’interessantissimo libello di Mauro Minola “ La

battaglia dell’Assietta - 19 luglio 1747 ed. Gribaudo 1996” a p. 33” si nomina un certo tenente colonnello Dracskowitz (grafia polacca) per Draškovi ć, ufficiale croato del battaglione Forgatz.

Quindi degli aiducchi parteciparono anche a questo scontro nel corso della Guerra di Successione Austriaca e furono tra i vincitori dell’Assietta e costui, arrivando dal Colle dell’Assietta, diede un aiuto alle Guardie con una ventina soldati, dice il testo. Sicuramente il Graneri li vide passare da Torino perché nel 1747 gli Imperiali impegnavano in Piemonte 25.000 uomini e al conflitto globalmente presero parte 30.000 croati, di cui una minima parte fu impiegata in Italia. Forgatz è un nome magiaro che commemora probabilmente il colonnello Forga č, amico e collaboratore del Barone von Trenck, ucciso con diversi aiducchi a Weissemburg nel 1744 durante la stessa Guerra di Successione Austriaca. Il battaglione Forgatz fu posto inizialmente alla sinistra del Colle dell’Assietta. Draškovi ć è una famiglia nobile croata a partire almeno dal XV secolo, stanziata in Lika e proveniente da nobiltà più antiche come i Mogorovi ći o i Kršle či; quello dell’Assietta è con ogni probabilità Josip Kazimir Draškovi ć, figlio di Ivan V, Bano di Croazia. Nacque il 04 – 03 - 1714 e morì il 09 – 11 - 1765. Dal 1734 milita con gli Imperiali. Si comporta con coraggio nella Guerra di Successione Austriaca sui fronti piemontese (Assietta) e tedesco. Nel 1749 è colonnello e diviene generale nel 1750. Suoi erano i castelli di Trakošćan e di Brezovica; ricevette l’Ordine di Maria Teresa. Nel “ Kaiserliche und K.K Generale – 1618-1815” leggiamo che l’8 maggio 1753 è Generalfeldwachtmeister o GFWH, il 10 febbraio 1758 venne nominato Feldmarshall - Leutnant o FML e il 28 febbraio 1763 divenne infine Feldzeugmeister ossia comandante generale di tutta l’artiglieria, ossia la terza carica militare dello Stato.

Nel 1795 durante la guerra che il Piemonte con gli Imperiali sostenne contro le armate rivoluzionarie francesi, (prima Coalizione) avviene, in Piemonte, lo scontro del colle della Spinarda, precisamente il 27 giugno 1795. La prima colonna d’attacco a sinistra era composta da due battaglioni di Belgioioso e da due compagnie di Croati e attaccava dal lato Bormida sotto Calissano onde prendere all’inverso la Spinarda. La quinta colonna in attacco frontale era com - posta da Cacciatori del secondo battaglione, da una compagnia di Croati, da una centuria di Stetler, una compagnia di Cacciatori di Nizza e una del reggimento Oneglia. La prima colonna non attaccò battaglia (180 croati) perché perse l’orientamento. Tuttavia alla fine il colle venne sgomberato dai Francesi che si ritirarono ben oltre Vado, Voltri, Finale e Loano in attesa di rinforzi. Questi Croati provenivano dai Corpi Franchi o Freikorps organizzati dal conte Ignazio Gyulai assieme al Vukasovi ć. Anche il Gyulay proveniva dalla scuola delle

Krajine avendo prestato servizio al comando, come maggiore, del secondo reggimento Banato.

Un personaggio croato di spicco che vediamo in Piemonte e a Torino allo spirare del XVIII secolo è Josip Filip Vukasovi ć. Il luogo di nascita è incerto, di sicuro nel 1755 ma chi dice a Senj, (Zenk come compare nei documenti dell’Archivio della Città di Torino) chi a Li čko Petrovo Selo (Bruvno vicino Gra čac) . Enver Ljubovic in “ Senjski uskoci i plemici Vukasovici i njihovi grbovi” - Senj zb . 33, 63 – 78 - 2006 ) ci dice che tale famiglia emigrò dapprima dalla Bosnia- Erzegovina alla fine del XV secolo in Dalmazia e intorno al 1537 li troviamo a Senj sull’Adriatico. Furono tutti ufficiali del capitanato di Senj e delle Krajine e nel 1665 divennero nobili e patrizi di Senj, mentre nel 1667 Vinko Vukasovi ć ottenne la nobiltà dall’Imperatore Leopoldo I. Il più famoso dei Vukasovi ć fu appunto Josip Filip. Anche lui proveniva dalla scuola di Krajina e partecipò alle campagne contro gli Ottomani e fu in missione in Montenegro prima e contro Napoleone poi, conducendo infine i suoi “ grani čari ” di Krajina in Italia. Si scontrò con i Francesi a Montenotte, al Turchino, nella seconda battaglia di Dego durante la Prima Coalizione. Allora, Dego, Montenotte, Cosseria, Millesimo, appartenevano al Regno di Sardegna a far data dalla guerra di successione polacca e cioè da circa 70 anni. In particolare a Dego, l’11 aprile 1796, il Vukasovi ć comandava il reggimento di frontiera Karlstader IR n. 60 Liccaner - croato, ossia il reggimento di Karlovac Imperial Regio n. 60 di Lika, colonna Sebottendorf. Vukasovi ć venne poi destinato a Sassello con le sue truppe come rinforzo per il campo di Dego che però era già stato perso dal Provana. Vukasovi ć portò i croati e i magiari da lui comandati, al contrattacco e in tre ore riconquistò Dego cacciandovi i francesi. Gli austriaci non seppero sfruttare il successo e il Vukasovi ć non vide avanzare gli Imperiali verso di lui e tuttavia contrattaccò alla baionetta e i suoi uccisero il gen. Causse e le stesse truppe di Massena sul fianco vennero inchiodate dal fuoco dei difensori. Tuttavia Vukasovi ć comprese rapidamente che prima o poi avrebbe ceduto e i francesi con la 8 ° leggera tagliarono in due le difese imperiali e il comandante croato ordinò la riti- rata e per l’azione di Dego venne promosso generale brigadiere. (cfr. Krebs V. Moris H. Campagnes dans les Alpes pendant la Révolution d 'après les archives des états- majors français et austro - sarde - Paris 1891 - 2 voll. ) Con la Seconda Coalizione lo ritroviamo a Torino nel 1799 con l’armata del Suvorov (20). Alcuni autori come Giorgio Vaccarino “ 1798 - 1799 La Municipalità repubblicana di Torino nel solco della Rivoluzione Francese -ASCT- Atti Consiliari –

Serie Storica p. 36 ”danno il Vukasovi ć come russo e altri come Mariella Pintus “ Insorgenti piemontesi. Ribelli, Sanfedisti e personaggi singolari dell’età napoleonica. Collegno (Torino) Roberto Chiaramonte editore 2003, p. 96 ” lo danno come barone ungherese. In realtà, é nominato barone per dei meriti speciali nella costruzione di strade: la Teresiana tra Gospi ć e Karlobag, completata tra il 1784 e il 1786, la Luisia - na che venne da lui disegnata tra Karlovac e Rijeka (Fiume) con una diramazione per Bakar (Buccari) che venne costruita tra il 1803 e il 1811, disegnò la strada tra Senj e Sveti Juraj e infine diresse la costruzione della Josephina tra Senj e Karlovac, collegamenti ancora in uso attualmente.

Gli eventi di Torino li possiamo riassumere come segue. Il 22 maggio 1799 i soldati della coalizione occuparono subito le colline, Sassi e la Madonna del Pilone, assieme al Borgo Po e gli austriaci piazzarono due batterie intorno al fortino e alla chiesa del Monte dei Cappuccini per tenere sotto tiro la Porta di Po. Vukasovi ć decise dapprima di proporre la resa perché sapeva che la Guardia Nazionale aveva intenzione di cedere Torino senza spargimento di sangue. Vi sarebbe rimasto solo il problema del generale corso Fiorella (21) deciso a resistere nella Cittadella, cosa non da poco. Inviò due lettere, una alla Municipalità e l’altra al Comandante della Guardia Nazionale che però preferirono ancora saggiare le intenzioni del Fiorella, prima d’inviare un’ambasceria al Vukasovi ć, che aveva dato un termine di due ore. Nel frattempo giunge una lettera del Barucchi, comandante la Guardia Nazionale di Borgo Po, ove si dice che i nemici avevano un corpo di almeno 20.000 uomini e che dopo aver piazzato le batterie ai Cappuccini, erano pronti ad attaccare Torino. Altro che i 1500 uomini stimati dal Fiorella! Venne preparata una duplice risposta (frattanto al Balôn era arrivata una lettera del Granduca Costantino (22) con le medesime richieste della precedente del Vukasovi ć) ove si chiedeva maggior tempo per la resa e si ribadivano le intenzioni della Guardia Nazionale, oltre a far presente il problema costituito dal Fiorella. La Municipalità decise poi d’inviare il medico Bonvicino con una somma di denaro per far cedere il Fiorella e almeno ottenere una seria ricognizione delle truppe assedianti. Costui acconsentì solo all’invio fuori città di una delegazione municipale formata dal Conte Adami di Bergolo, dal Presidente della Municipalità il medico Bonvicino, dal nobile Vittorio Berta e dall’avv. Felice Settime. Costoro avvisarono che la Guardia Nazionale desiderava cambiare campo. Siamo nella notte tra il 25 e il 26 maggio 1799. La delegazione ebbe un colloquio con von Chasteler (23) Capo di Stato Maggiore e col Granduca Costantino e vennero concesse sei ore di tempo per la resa. Dall’anonima Relazione citata dal Vaccarino (op . cit pp. 53 - 54) apprendiamo che pure qualche cannonata venne scambiata tra difensori della Porta di Po e le batte- rie dei Cappuccini. Ma i cittadini e la Guardia Nazionale, unitamente a pochi ussari austriaci riuscirono ad aver ragione delle difese, rovesciarono i cannoni giù dalle mura e corsero verso le altre porte della città. Molti Francesi si arresero, vennero

posti sotto controllo l’Arsenale e il Palazzo della Municipalità e il Fiorella iniziò a cannoneggiare la città dagli spalti della Cittadella.

Il 22 giugno 1799 anche questa si arrendeva a seguito di un poderoso cannoneggiamento scatenato dal gen. Kaim (24) che incendiò la zona comando . Nel volume della serie antica degli Ordinati riferita al periodo 26 maggio 1799 al 30 giugno 1800 che si trova nell’ASCT e riporta le decisioni del Consiglio Decurionale ripristinato dal Suvorov leggiamo che nel Consiglio dell’11 agosto 1799 par. 2 venne conferita una Patente di Cittadinanza a “ S . E il Barone De Vukassovich nativo di Zenk (Senj) in Dalmazia, Cavaliere dell’Ordine Militare di Maria Teresa, proprietario di un reggimento d’Infanteria (il 48) e General Maggiore delle Armate di S. M. C. A l’Imperatore e Re ordinando che d’ora innanzi…. ” Vukasovi ć diventa così torinese assieme al Kaim o Barone Corrado Valentino De Keim ( ASCT - Foglio 62 avanti e retro serie antica Ordinati 1799 - 1800 vol. nr. 239) . Nella Congregazione IX del 28 agosto 1799 ( ASCT ibidem Foglio 72 e 73 ) le Loro Eccellenze Vukasovi ć e Kaim “ si protestano sensibili a questa dimostrazione della nostra stima”.

Soldato delle Krajine con cravatta

Carta austriaca dei Confini Militari o Vojne Krajine a metà XIX secolo (zona in rosso)

Il Vukasovi ć viene pure ricordato da Alberto Pittavino “ Pinerolo durante la Rivoluzione e l’Impero francese ” - Pinerolo 1898 pp. 40 - 41 , come una persona corretta e dotata di umanità perché pose fine alla somministrazione di biade e pane per l’esercito austriaco - a Pinerolo vi erano soprattutto ussari- tanto che a metà febbraio 1800, quando il comandante croato dovette lasciare la città per seguire il gen. Melas, gli abitanti gli dimostrarono gratitudine e riconoscenza. Josip Filip Vukasovi ć morì a Vienna il 9 agosto 1809 a seguito delle ferite riportate nella battaglia di Wagram il 6 luglio 1809, secondo giorno di lotta, mentre di difendeva dagli attacchi di Jacques Mc Donald.

E nella seconda battaglia di Dego nel 1796, compare pure la figura di Matija Rukavina Bojnogradski, nato a Trnovac in Lika nel 1737. Partecipò agli scontri di Dego e Montenotte, ovviamente per quanto riguarda il Piemonte e il giorno 11 aprile 1796 era a Dego al comando tappa di brigata che faceva parte della Div. D’Argenteau (generale belga al servizio dell’Austria). A questi uomini si aggiunsero tre compagnie croate dei Corpi Franchi di Gyulay, per un totale di 250 uomini, prestate dal gen. Provera, a rinforzo della posizione. Il Provera rimase con sette compagnie dei Corpi Franchi (c/a 700 uomini ) e un piccolo reparto di milizia piemontese cui si aggiunsero i granatieri al comando del ten. col. Filippo del Carretto di Camerino. Costoro si asserragliarono nel castello di Cosseria e lì resistettero senza rinforzi, fino al 14 aprile respingendo i francesi, uccidendo il gen. Joubert e perdendo pure il loro comandante del Carretto. L’esercito di Napoleone rese l’onore delle armi a croati e piemontesi per il valore con cui si erano difesi. (cfr. P. es. Schels J . B – Die Gefechte in den Appenninen, bei Voltri, Montenotte, Millesimo, Cosseria und Dego im april 1796 - Österreichische Militarische Zeitschrift - 1822 ) . Il Rukavina nel pomeriggio del pri-

mo aprile venne ferito ad una spalla e medicato, venne poi portato ad Acqui il giorno 13 per il peggiorare della sua ferita. Nel pomeriggio del 12 aprile rientrarono a Dego i due reparti della brigata Rukavina decimati a Montenotte.

Oltre ai precedenti, andrebbe pure nominato Vinko Kneževi ć che partecipò alla battaglia di Novi, vinta dagli austro - russi il 15 agosto 1799. Costui nacque a Gra čac presso i Monti , in Croazia, il 30 novembre 1755. (Smith, Digby “ The Data Book – London, Greenhill ISBN 1 – 85367 – 276 – 9 - Smith, Digby, Kurdna, Leopold “ Austrian Generals of 1792-1815: Knesevich de Szent- Helena, Vincenz Freiherr ” – Napoleon series org. Aggiornato il 13 febbraio 2013.) All’inizio delle guerre della Seconda Coalizione venne nominato Oberst, Colonnello e comandò il secondo reggimento ussari e si distinse appunto nella battaglia di Novi e nell’assedio di Cuneo che i francesi lasciano il 4 dicembre 1799. Il 29 ottobre 1800 venne promosso Maggiore Generale. Prima, nella “ Raccolta di leggi , provvidenze e mandati …” vol. II p. 287 – Torino - Davico e Pizzo, anno 1800 AS, leggiamo che lo Kneževi ć , comandante di brigata, il 4 maggio 1800, muovendo da QG di alberga in Liguria, attacca Tenda affiancato dal russo Judeni ć, per ordine del Luogotente Generale Ott che bloccava Genova onde manovrare poi su Nizza e l’attacco di Tenda portò le truppe alleate a Saorgio e Breglio e infine a Nizza, ove vennero catturati, secondo notizia ufficiale del 19/05/1800, 189 cannoni, 8 mortai, 500 barili di polvere, munizioni da guerra e da bocca (pane munizione), un ospedale e 300 prigionieri . Le notizie pervennero da Nizza il 15/05/1800 e vennero date in Torino il 19 maggio successivo a firma del barone von Kaim. (Ibidem p. 296 vol. IV). Alla fine di maggio venne trasferito alla divisione del Feldmaresciallo Melas che si mise in marcia da Cuneo a Torino e a Marengo, battaglia vinta dal gen. Desaix e non da Napoleone, egli servì nella colonna principale e precisamente nella divisione del generale Kaim. A Marengo, il 14 giugno 1800, la colonna di destra del gen. O’ Reilly includeva tra l’altro il 1° Reggimento Grenzer Warasdiner o Reggimento confinario croato di Varaždin di 760 uomini, quello di Ogulin di 600 uomini e quello di Oto čac di 300 uomini, quella centrale, nella divisione von Haddick, il reggimento di fanteria Jela čić n. 53, di 613 uomini. Costui era Franjo (25), padre di Josip poi Bano di Croazia nel 1848 e parente dello stesso Kneževi ć, poiché aveva sposato la nipote del padre di Vinko, Martin che a sua volta era sposato con una Vukasovi ć. Nella divisione del generale Kaim, troviamo invece la brigata del gen. Vinko Kneževi ć, il quale comanda il reggimento fanteria Granduca di Toscana n° 23 di 2188 soldati.

Quindi il Kneževi ć fu a Novi, Cuneo, Marengo, vicino ad Alessandria, a Tenda e Nizza, allora piemontese. Come si vede questi generali croati provenivano dalle Krajine e da una zona relativamente ristretta tra il Velebit, la Lika e Senj (Segna).

Vale la pena sottolineare un aspetto di molti testi croati che trattano di storia francese e come questa spesso tenda alla grandeur producendo testi ad usum

Delphini in cui si occultano i fatti sgradevoli. Un esempio è dato da Luc Oreškovi ć nel suo “ Luj XIV i Hrvati – neostvareni savez- Dom i svijet- Zagreb 2000 - “ p. 270; il Vendôme era cugino primo del Principe Eugenio ed è vero che lo sconfisse a Cassano d’ Adda e a Calcinato in battaglie non decisive per l’esito della guerra di successione spagnola; il Vendôme non riuscì mai a raggiungere l’Austria e comunque va detto che errori marchiani come quelli del Marsin e soprattutto del La Feuillade all’assedio di Torino non li avrebbe mai fatti. Il testo croato afferma: “I successi del duca di Vendôme nel 1705 in Piemonte e in particolare nel milanese e le vittorie sul principe Eugenio di Savoia fanno percepire come l’avanzata francese in Italia settentrionale continuasse anche dopo l’assedio di Torino”. (Nota 24: cit. L. Dussieux, les grands généraux de Louis XIV, Librairie Victor Lecoffre, Paris 1888 ). Questa é una dimostrazione di come ottimi testi transalpini vadano spesso presi con le molle; infatti dopo la grave sconfitta di Torino il predominio francese in Italia decadde completamente a favore di quello asburgico e il Piemonte, salvo la breve parentesi napoleonica, pose il primo tassello per l’unità d’Italia. I piemontesi, essendo da sempre bilingue, è da almeno 300 anni che studiano e decrittano tali testi e certo una sconfitta in cui i gallo - ispani del Re Sole ebbero complessivamente tra il 7 settembre 1706 e i giorni seguenti almeno 13.700 morti e dispersi, è stato sempre un boccone difficile da trangugiare per i cugini transalpini anche se va detto che oggi la storiografia francese tende a concordare con la nostra e a riconoscere i fatti così come si svolsero. Il lettore dovrà scusare questa “vis polemica” ma purtroppo è giunta spontanea dopo la lettura del testo croato citato.

XIX SECOLO

Croati e piemontesi parteciparono alla campagna di Russia del 1812 nelle file del IV Corpo d’Armata comandato dal viceré Eugenio di Beauharnais. Nel 1802 venne formata la prima mezza brigata di linea piemontese che successivamente divenne 111° rgt. (26) dell’Armata Francese poiché il Piemonte dal settembre 1802 era annesso alla Francia e venne diviso in sei dipartimenti ( Torino fu prima dipartimento dell’Eridano poi del Po) e divenne 27° divisione militare. Il comandante del 111° in Russia fu il col. Gabriel Juillet di Digione. ( Eugène Fieffe - Histoire des troupes étrangères au service de la France - Paris 1854 - 2 voll. ove tra pp. 155 e 158 del primo volume si parla dei reggimenti Croati e a p. 27 del 111° piemontese). I piemontesi e quindi i torinesi, erano inquadrati nel 111° rgt. di fanteria di linea, il famoso “tre paletti” del romanzo storico del Gramegna, nelle cui file tra l’altro militò uno dei più grandi illusionisti di tutti io tempi: Bartolomeo Bosco. In seguito alle perdite subite a Shervardinskoye, vennero sciolti due battaglioni - il 4° e il 6° - Il 111° si batté a Smolensk, a Borodino, assieme all’artiglieria comandata dal torinese Gaetano Millo (27), a Voronovo, a Malojaroslawetz e nella ritirata e per il valore dimostrato, venne aggregato alla Guardia Imperiale . Al comando del Maresciallo Ney (28), il 111° protesse la ritirata della Berezina (Studianka). Neppure un migliaio di uomini tornò in patria.

Fino alla pace di Vienna del 1809 i croati furono inglobati nell’I. R Esercito (K. u. K) austriaco e solo dopo, con la fondazione napoleonica delle Province Il- liriche, questi passarono sotto la Francia. Vennero costituiti sei reggimenti confinari e in pratica, a parte gli scontri di Marmont (29) contro i turchi in Lika, tali truppe vennero preparate per l’impiego nella campagna di Russia. Consultando le “Mémoires pour servir à l’ histoire de la guerre entre la France et la Russie en 1812”- London 1815 - di Frédéric Guillaume de Vaudouncourt , il IV Corpo d’Armata al comando di Eugenio di Beauharnais, tra croati e dalmati inglobava 5.004 uomini e i dalmati erano sia croati che italiani; fondamentalmente erano volteggiatori e cioè fanti leggeri come i tiragliatori e i carabinieri, che armati appunto alla leggera agivano davanti alle linee con attacchi fulminei e rapide ritirate. I dati circa le truppe effettivamente combattenti in Russia, ci provengono dalle medesime memorie. A p. 49 viene affermato che il 3° rgt. di Banija di fanteria provvisoria croata, 1.860 uomini e 57 cavalli, si unì alle formazioni svizzere per formare una brigata di fanteria nella divisione che a partire dal 12 giugno 1812 venne comandata dal gen. Merle del II Corpo d’Armata della Grande armata, al comando del Duca di Reggio gen. Oudinot (30). Il 30 giugno 1812 tale reggimento passò alla 13 divisione e venne posto sotto il comando del gen. Delzon nel IV Corpo d’Armata (Ibidem p. 50) ove già si trovava il 1° reggimento di fanteria provvisoria croata (Lika e Oto čac) al comando del col. Šljivari ć (1.329 uomini di truppa e 44 ufficiali); senza contare i dalmati i croati ammontavano a 3.290 uomini, anche se nella formazione iniziale erano di più. Il 1° rgt. ebbe il battesimo del fuoco a Ostrowno il 25 luglio 1812 e poi combatté a Kalouga, Maloyaroslawetz (la battaglia degli italiani, ove era presente pure il nostro 111° di linea), Orsha, Krasnoie e Berezina. Il 15 settembre 1812 , dopo la battaglia della Moscova o di Borodino, il reggimento entra a Mosca. Il 3° rgt. di fanteria provvisoria si distinse a Polotsk e poi alla Berezina. Questo è confermato pure nelle memorie di Cesare de Laugier (31) tomo IV – 1827, pp.249 e 259, ove per la Berezina vengono nominati anche croati e piemontesi. I punti di contatto e d’incontro tra croati e piemontesi possono esserci stati in due occasioni: a Maloyaroslawetz e alla Berezina. Marko Šljivari ć, comandante il 1° rgt. era uno slavone, nato a Vr čin Dol, presso Pleternica nel 1762. Venne creato da Napoleone barone di Heldenbourg e nel 1810 ricevette la Légion d’Honneur; nel 1817 divenne cittadino francese. Per il 1° rgt. si parla di Lika e Oto čac perché proveniente dal 1° rgt. stesso e dal 2° di Cacciatori Illirici istituiti nel 1809 e da cui nel 1811 vennero tratti il 1°btg. e il 2° rgt. di Cacciatori Illirici, onde formare il 1° rgt. di fanteria provvisoria al comando appunto di Marko Šljivaric che il 26/7/1812 rimase pure ferito in combattimento. Il 3° rgt. di fanteria provvisoria proveniva dal 1° btg. del 1° e 2° rgt. della Banjia – Glina, al comando di Etienne Joly. Come abbiamo visto già all’epoca di Luigi XIV vi furono croati combattenti nei ranghi francesi e molti finirono ospiti all’Hôtel des Invalides a Parigi, ove si trova una lapide che recita: “A la mémoire des régiments croates qui sous le drapeau français ont partagé la gloire de l’armée française “

Dal disastro di Russia sopravvissero 296 croati (altre fonti dicono 211) cui Napoleone indirizzò un messaggio. (cfr. Christophe Dolbeau - France- Croatie, une belle amitié - ed. Collection Xénophon - Atelier Fol’fer 2012 ) « Hier, j’ai pu m’assurer de mes propres yeux de votre courage et de votre fidélité. Vous avez acquis la gloire immortelle et l’estime, et je vous place parmi les meilleures troupes. Pour votre courage, je vous promets de vous accorder tout ce que vous me demanderez de bon droit lorsque nous serons de retour. Je suis satisfait de vous, très satisfait… » Sembrerebbero parole agiografiche e infatti Dolbeau non cita ove le ha tratte e di certo Napoleone alla pelle doveva tenere se veramente indirizzò ai croati tali parole a seguito del loro sacrificio alla Berezina. Un po’ come quando se l’era vista brutta al Moncenisio durante una tempesta ed era stato salvato dal prete di Novalesa con vari marrons locali e donò alla Parrocchia novaliciense diversi quadri rubati in Italia. E sappiamo che di agiografi ne ebbe molti a cominciare dal nostro Denina (32).

Il XIX secolo vede Torino ospitare tre personalità croate di spicco: Eugen Kvaternik, Nicolò Tommaseo (Dalmata) e Imbro Tkalac.

Eugen Kvaternik

Nacque a Zagabria nel 1825, figlio di Romualdo, e studiò a Senj (Segna) e poi a Pest e si laureò in legge nel 1847. Era il tempo dell’assolutismo di ferro di Bach e nel 1857 l’avvocato Kvaternik emigrò dapprima in Russia che veniva vista un po’ come la Madre degli Slavi e nel 1858 lo troviamo in Piemonte via Budapest. Il 24 ottobre 1858 è a Torino accompagnato da lettere commendatizie onde potersi presentare alla legazione russa. Occorre dire che aveva preso la cittadinanza russa; ambasciatore russo a Torino era Ernesto di Stackelberg (33) insignito dell’ordine dei SS. Maurizio e Lazzaro, inviato straordinario e ministro plenipotenziario proprio in Torino, arrivato in città nell’agosto 1856.

In Russia Kvaternik aveva incontrato i panslavisti come Hilferding (34) e ovviamente si era trovato a vivere con un popolo che professava la religione ortodossa, volto soprattutto ai cugini slavi del medesimo culto e inoltre aveva ben compreso che nessun russo avrebbe rischiato qualcosa per la Croazia. L’idea di Kvaternik era legata ossessivamente a due parametri di base: il primo la ricerca spasmodica di alleati per definire la questione croata legata pure alla definizione del confine orientale d’Italia e la seconda era la risoluzione dei problemi legati ai Balcani, esclusivamente attraverso il diritto che poteva essere nazionale e che afferiva ondivago sia allo ius sanguinis che allo jus postliminii, un diritto storico di prelazione. Dove Eugen Kvaternik abbia dimorato a Torino non è noto. Non pare sia stato presso privati e allora vi sono due altre possibilità: o fu ospite dell’Hôtel d’Europe in Piazza Castello dal lato opposto a quello dove sorge il Palazzo Reale, o forse, data la non alta disponibilità finanziaria, al Feder (ex- Bonne Femme) all’angolo tra via Pietro Micca e via XX Settembre o in altro albergo del centro. Il primo periodo torinese va dall’ottobre 1858 all’aprile 1859.

Di certo frequentava i caffè di Torino ove si discuteva di politica: il Fiorio forse, che era diventato Caffè della Confederazione italiana, quasi certamente il Calosso in via Garibaldi ove si riunivano i patrioti, essendo il Fiorio più aristocratico. Sappiamo che il Kvaternik si presentò al grande dalmata Nicolò Tommaseo in via Dora Grossa (oggi via Garibaldi 22), l’abitazione del Tommaseo o forse nello studio che era in via Giulia di Barolo 9 (casa Scaccabarozzi o Fetta di Polenta dell’Antonelli , di cui esistevano i primi tre piani del 1840). Il Tommaseo dimorò a Torino dal 1854 al 1859 per poi recarsi a Firenze. Kvaternik recava con sé una lettera commendatizia e un libro di Ivan Kukuljevi ć Sakcinski (35). Costui fu uno dei promotori del Congresso panslavo di Praga del 1848. Non risulta sia stato a Torino. Vedremo poi quale ruolo avrà costui nel divulgare le opere di Tommaseo. Kvaternik propone all’illustre letterato di Sebenico, il posto di Triunviro in Croazia e ovviamente il Tommaseo declina la fantasiosa offerta. Tommaseo oltre che essere a favore di una Dalmazia autonoma era assai prudente nelle sue scelte Il pensiero politico del Kvaternik riguardo al confine orientale d’Italia è affidato ad un’opera edita a Parigi nel 1859 da Amyot e curata da Louis Antoine Leuzon Le Duc che conosceva bene i popoli slavi ed era consigliere di Napoleone III, “La Croatie et la Confédération Italienne ”. Una copia venne donata a Vittorio Emanuele II che la lesse e la commentò col Cavour e dovrebbe trovarsi ancora nella Biblioteca Reale di Piazza Castello.

Riguardo ai possedimenti croati verso occidente, illuminanti sono le pagine an- danti da 236 fino a 241 del testo. Il presupposto ardito e fantasioso ci dice che “l’Istria al completo e il circondario di Gorizia, sono parte integrante, primitiva, naturale ed esclusiva del territorio del Regno di Croazia”. Cita quindi Costantino Porfirogenito (36) ( De Administrando Imperio - pros ton ìdion uìon Romanòn ) traendo i brani da un’edizione latina e non greca perché il Kvaternik non conosceva il greco e anche nel suo “ Isto čno pitanje i Hrvati” (La questione orientale e i Croati, del 1868) cita parole greche in genere toponimi o nomi propri facilmente decrittabili, mentre le citazioni latine sono ampie. Cita poi Gregorio Magno e Paolo Diacono a supporto delle sue tesi caparbie e si conceda un po’ raffazzonate. Il confronto di testi va fatto in primis con il capitolo XXX del D.A.I nell’edizione greca e la migliore è quella del Moravcsik trad. ingl. Jenkins del 1949. Va detto che a quel tempo il nazionalismo sloveno non era ancora sorto, France Prešeren, poeta e patriota sloveno, autore dell’inno nazionale “ Zdravljica ” era morto da dieci anni e il movimento nazionale sloveno dei “ tàbori ” (37) data tra il 1868 e il 1871 e cioè dopo il Nagodba o compromesso che fondò l’Austria - Ungheria cui fece seguito il Nagodba tra Croazia e Ungheria del 1868 in cui all’art. 66 la città di Fiume col porto passava sotto giurisdizione magiara assieme a una gran parte della Croazia. Dicevamo dei testi tirati in ballo dal Kvaternik. Citando il D. A. I in latino il

Tamborra afferma che questo é tratto dal Kvaternik dalla traduzione a fronte di Anselmo Banduri (Venezia 1779) e Kvaternik cita: “ A Zentina autem fluvio Chrobatia incipit, extenditurque versus mare, ad Istriae usque confinia sive Albunum urbem; versum montana, aliquatenus etiam supra Istriae thema excurrit” (p. 238 de la Croatie et….op. cit ). “La Croazia ha inizio dal fiume Cetina (all’altezza di Omiš in Dalmazia) e si estende allungandosi dalla parte del mare (sud) fino alla frontiera dell’Istria che si trova nei pressi della città di Albona (Labin) e dalla parte dei monti (nord) si estende per un certo tratto anche sopra il tema d’Istria…” Secondo Kvaternik che semplifica troppo le cose, tutta l’Istria era parte della Croazia battezzata (la non battezzata comprendeva il territorio dall’Albania turca fino al fiume Cetina, questo ai tempi del Porfirogenito). Vale la pena soffermarsi sul fatto che il testo greco dice:” tou kastrou Albounou ” (146 Be - 87 rP): Albona era un castrum e non una urbs o città, tantomeno civitas o municipium; vero è che come per Tergeste si parla di una res publica ma riferita all’insieme dei cittadini. Era un luogo fortificato neppure troppo grosso. All’epoca di Costantino Porfirogenito il thema ( 48 ) istriano bizantino non esisteva più come tale (e forse mai esistette) e poteva venir ricordato solo per dare un senso al discorso inerente tale provincia e Albona era stata distrutta. L’epoca in cui viene steso il D. A. I è intorno al 950 e nel VI e VII secolo gli Avari e gli Slavi penetrarono diverse volte nella valle dell’Arsia. (38) Nel 611 gli Slavi rasarono al suolo Albona (Labin) e Fianona (Plomin) e quest’ultima si riavrà solo nel IX secolo. Tra il 620 e il 630 i Croati, per ordine dell’Imperatore Eraclio, s’insediano ad Albona. Di certo a causa delle incursioni e delle pestilenze la popolazione diminuisce, per cui castrum è la forma più attinente. Il supero del Monte Maggiore (U čka) da parte dei Croati per occupare Albona non significa che tutta l’Istria meridionale sia croata. In più quando il Porfirogenito cita le županje croate in numero di 11 (145 Be- 86 rP), Pesenta non è di sicuro Pisino (Pazin) che da sempre è a maggioranza croata nel contado anche se la città aveva una certa consistenza di italiani; quindi é la classica dicotomia ottocentesca tra città e campagna. Riguardo poi alla citazione di Gregorio Magno, il Kvaternik si riferisce a tale passo: “Et quidem de Sclavorum gente quae vobis valde imminet, affligor vehementer et conturbor; affligor in his quae jam in vobis patior; conturbor, quia per Istriae aditum jam Italiam intrare coeperunt ” ( Lettera di Gregorio Magno a Massimo Vescovo di Salona in Dalmazia ). Gli Slavi passando in Istria hanno cominciato a venire in Italia, cioè a varcare il vecchio confine augusteo. Ma ciò non significa che abbiano preso possesso stabile di un territorio. Prendendo quindi parte ai patimenti delle popolazioni istriane parla del vecchio confine violato e non afferma nessun possesso particolare dei croati in Italia. Per Kvaternik il possesso di un suolo significa la sua proprietà perpetua se soprattutto fu conquistato dapprima dai Croati e mantenuto poi con l’etnia perennemente residente su di esso. La mentalità balcanica è tipica riguardo a tali aspetti: si pensi alla questione del Kosovo. A nessuno viene però in mente di domandarsi circa i diritti e i doveri di chi viveva prima in tali luoghi e neppure avviene un rappacificamento con le mutate condizioni geopolitiche e storiche. Kvaternik segna il passaggio dal patriottismo al nazionalismo croato che sa- rà poi esasperato da Frank (39) e da Paveli ć, mentre Ante Star čevi ć (39 bis), contemporaneo del Kvaternik aveva le stesse idee ma le manifestava in modo più prudente e meno ossessivo. Paolo Diacono (40) invece afferma: ” Inter haec Langobardi cum Avaribus et Sclavis Istrorum fine ingressi, universa igne et rapinis vastaverunt ” ( Libro IV Historia Langobardorum tra 787 e 789 - par. 24 ). Qui c’è una cooperazione tra Longobardi, Avari e Slavi a fine di rapina saccheggio, nessuna conquista particolare se non una puntata di predoni oltre il confine. Il confine romano dell’Istria era fissato all’Arsia (Raša) e lo dice ad esempio Plinio nell ‘ Historia Naturalis - 129 : “ … nunc finis Italiae fluvius Arsia ….” E al nr. 139 afferma: “ Arsiae gens Liburnorum iungitur usque ad flumen Titium …” (Krka) e quindi i Liburni confinavano con gli Istri e Albona si trovava in territorio liburnico; a nord e a est di questi, vivevano gli Japodi, tutte popolazioni illiriche. Tale confine parte dall’Arsia e va a nord sul Monte Maggiore (U čka) e passa in Cicceria ( Ćićarija) là ove confina con gli Japodi, passava quindi a Matteria (Materija) ove confinavano Pannonia Superiore, Dalmazia e Italia, a S. Canziano (Ško čjan), sul M. Ocra (Nanos, nei pressi di Postumia), fino a Hrušica (ad Pirum) nell’odierna Slovenia. Intorno al 42 a. C prima dell’istituzione della Gallia Cisalpina e prima che il confine venisse fissato sul fiume Risano o Formio vicino a Capodistria (Koper) esso si trovava poco oltre le foci del Timavo a Prepotto, in direzione di Trieste. Al tempo del Principato esso venne spostato all’Arsia (Raša) come confine amministrativo con la Liburnia e non come confine etnico. Con le leggi promulgate sotto Cesare e Augusto vennero conferiti i diritti della cittadinanza romana agli abitanti siti sul litorale istriano e venne definito l’assetto delle colonie agrarie. L’Istria venne inclusa nell’Italia e venne appunto fissato il confine definitivo . Con la riforma di Agrippa (41) che divise l’Italia in undici territori amministrativi, l’Istria divenne decima regione con la denominazione Venetia et Histria e questa venne così staccata dall’Illirico. Vennero rafforzate le colonie sulla costa per contrastare i pericoli provenienti dai Norici e dai Pannoni, dal momento che gli Illiri non costituivano più un problema. Il problema non era tanto la romanizzazione del territorio, quanto la militarizzazione a difesa dai popoli provenienti da nord. Vi é poi da dire che l’ ager Tergestinus , almeno secondo alcuni studiosi, si estendeva dal Timavo al Risano con la relativa costa fino alle prime propaggini collinari, mentre secondo altri si spingeva fino all’Isonzo (So ča), al Vipacco (Vipava), al M. Nanos e di qui fino all’Istria interna e quindi all’Arsia e al M. Maggiore, su di un territorio che curiosamente coinciderà con quello della vecchia Diocesi vescovile di Trieste; ma sembra che tra le due cose non vi sia attinenza. Tolomeo (42), circa il confine, è del medesimo avviso ( Geografia libro II, 16,2 ): in Liburnia colloca Albona, (Labin), Flanona (Plomin) e Tarsatica (Fiume).

Così Strabone (43) (Libro VII, cap. 5), ci dice che gli Istriani sono il primo popolo del litorale illirico e che il loro paese è continuazione dell’Italia e della Carnia ed è per questo che il confine è avanzato ben oltre Pola. Una fonte come Costantino Porfirogenito è posteriore e non dice cose tanto diverse dalle precedenti, se non che gli Slavi, essendo comparsi tra VI e VII secolo, si erano portati fino ad Albona e al di sopra della provincia istriana. Dice poi Kvaternik che nel XIV secolo l’” Istarski razvod ” del 5 maggio 1325, che il De Franceschi (44) dava per un falso così come lo sloveno Milko Kos (45), ossia la revisione dei confini comunali e feudali dell’Istria tra i territori del Conte di Gorizia, del Marchese di Cividale e del Patriarcato di Aquileia con Venezia, era scritto sulla base di documenti croati e che anche i comuni italianizzati si fecero spedire tale documentazione. In realtà la commissione che lavorò a quel tempo scrisse copie in croato, latino e tedesco e i territori interni dell’Istria furono sempre a maggioranza croata, là ove si creò il dualismo plurisecolare tra Contea di Pisino (Pazin) e territori costieri veneti. Il fatto poi che venisse inviata tale documentazione nei comuni italianizzati, anche successivamente , era probabilmente per effettuare ulteriori verifiche. Tutto ciò non dimostra né italianità, né croaticità di tali terre, se lo scopo primo era quello di un riordino. Non solo ma pare qui chiaro come Kvaternik voglia un confine etnico a fronte di una frontiera amministrativa. Si spinge poi a dire che la Contea di Gorizia fino all’Isonzo, lungo il fiume, fino alla Carinzia, è Croazia. Non è affatto dissimile dalla posizione sovietica a sostegno di Tito nel 1945- 1947. Da vecchia data i russi volevano uno sbocco in Adriatico e tentarono riuscendovi, attraverso il Montenegro e non riuscirono invece a Trieste sia per la politica austriaca che per quella di Cavour che temeva appunto i russi e i loro piani; non a caso Kvaternik è cittadino russo, non a caso si presenta a Torino immediatamente dal legato russo, tanto che, lo stesso Tommaseo, nella “ Cronichetta del ’66” lo dice legato ai russi . Chi avrebbe mai dubitato che Torino fosse in tale periodo un laboratorio di idee politiche volute e controllate per servirsene al momento buono, da Cavour? Cita poi Kvaternik la “ Vita Caroli ” di Eginardo (46) ( edizione croata a cura di Ivo Goldstein - Latina et Graeca – Zagreb - 1992 ) al cap.15. “…ipse…(post quam) utramque Pannoniam et adpositam in altera Danubii ripa Daciam, Histriam quoque et Liburniam atque Dalmaciam, exceptis maritimis civitatibus, quas ob amicitiam et iunctum cum eo foedus Constantinopolitanum imperatorem habere permisit; deinde omnes barbaras ac feras nationes, quae inter Rhenum ac Visulam fluvios oceanumque ac Danubium positae; lingua quidem poene similes, moribus vero atque abitu valde dissimiles, Germaniam incolunt, ita perdomuit, ut eas tributarias efficceret; inter quas fere precipuae sunt Welatabi, Sorabi, Abodriti, Boemani, - cum his namque bello conflixit - ceteras quarum multo maior est numerus, in deditionem suscepit”. Kvaternik ne da una citazione mutila e dice che se Carlo rese tributari i Croati questi prima erano liberi e proprietari del loro suolo e non li incorporò nell’Impero.

Nel X secolo poi i Croati divennero liberi e indipendenti e si scrollarono il giogo franco e possedettero dalla Cetina alla Corinzia, anche l’Istria e Gorizia; interessante che mai viene citata Trieste. “ Lo stesso Carlo… conquistò sia la Pannonia che la Dacia, posta sull’altra riva del Danubio, e così l’Istria, la Liburnia e la Dalmazia, ad eccezione delle città marittime che lasciò all’Imperatore di Bisanzio per amicizia e per i trattati siglati in precedenza. Sottomise poi tutti i popoli barbari e selvaggi che sono stabiliti in Germania tra i fiumi Reno e Vistola e tra l’Oceano e il Danubio, per lingua veramente abbastanza simili, ma assai differenti per usanze e abiti; li vinse tutti e li rese soggetti a tributo. Tra di essi i più importanti sono i Velatabi, i Serbi, i Bodrici e i Cechi con cui si scontrò in armi e gli altri, che sono in numero maggiore, si sottomisero volontariamente.” Pare quindi che i Croati non si opponessero affatto allo scambio con Bisanzio e che non abbiano reagito perché venne lasciata loro un’autonomia; è logico che un popolo prima di venir sottomesso è libero. La guerra tra i Franchi e Bisanzio scoppiò quando Venezia e la Dalmazia bizantina riconobbero il potere franco. Con la pace di Aquisgrana dell’812 viene riconosciuto il titolo imperiale di Carlo e l’Istria e la Croazia rimasero franche, mentre Venezia e Dalmazia rimasero bizantine. In ogni caso i Serbo - Lusazi che si erano opposti in armi, finirono poi col sottomettersi e pagare il tributo. E’ chiaro che con la caduta dell’Impero franco le cose cambiano. Kvaternik dimentica solo di dire che i Croati erano soggiogati dagli Avari e che proprio il knez (principe) Vojnomir (47) si alleò con i Franchi per scongiurare il pericolo avaro e riconobbe il governo di Carlo Magno. Se i Croati non si erano del tutto liberati dagli Avari è perché già non erano liberi ed erano piegati, pur per i loro interessi, ai Franchi o a Bisanzio. E Costantino Porfirogenito dice proprio che Croati e Dalmati cadono sotto il potere franco. E Erik (Ericus), duca del Friuli, di parte franca, cadde ucciso dagli Avari nel 799 assediando Tersatto. Non risulta poi da nessuna parte, nella pur onusta e gloriosa storia croata, che Gorizia fosse rimasta indipendente quando prima fu longobarda, poi franca e infine venne annessa all’Impero. Risulta piuttosto che, a seguito delle pestilenze, fra cui famosa fu quella di Giustiniano, più che non delle guerre, ad alcune popolazioni slave venne concesso di stabilirsi nei territori dei Rezi e pure in Istria vi fu una debole infiltrazione slava all’interno e dal lato quarnerino. Eginardo Annales a. 820 “Vita di Ludovico Imperatore” afferma : “ Carniolenses, qui circa Savum fluvium habitant et Forojuliensibus paene contigui sunt”. I Carni che abitano nei pressi della Sava e gli abitanti di Cividale sono quasi confinanti. Al massimo costoro sono Sloveni e non Croati. E in effetti in linea d’aria la Sava Bohinjska non è distante da Cividale. Ma Kvaternik sbaglia quando dice che tali terre sono parte integrante dello Stato croato e tratta l’Istria e Gorizia come popolate da minoranze italiane e dice, ecco il nazionalista, che 200.000 anime italiane in Istria non possono aver ragione dell’antico diritto croato e dimentica che gli Istri e gli Illiri non erano Croati e che Roma e poi Aquileia e Venezia, fecero sì che almeno le città costiere rimanessero italiane.

I dati dei censimenti austriaci basati sulla lingua d’uso sono i seguenti: (“ In rassegna di storia istriana ” di Darko Darovec - p. 63 sgg. Capodistria 1992 - da J. Rogli ć)

Croati % Sloveni % Italiani % Totale

1846 134445 59 31995 14 60000 26 228035

1857 123091 56 28177 12 72303 31 234872

1880 121732 43 43004 15 114281 40 284154

1890 140713 45 44418 14 118027 38 310003

1900 143057 43 47717 14 136191 40 335965

1910 168184 43 55134 14 147417 38 386463

A parte la discutibilità del metodo, l’approssimazione delle cifre date da Kvaternik e il modo in cui vennero recepiti i dati, si vede come Italiani e Croati raggiungano un certo equilibrio tra il 1890 e il 1910, ma i dati a disposizione di Kvaternik, ancorché viziati da Vienna, davano parzialmente ragione a lui, escludendo comunque Gorizia e l’Isonzo. Quello che è strano è che non citi esplicitamente la Slovenia Veneta o Bene čija, territorio che parte appunto da Cividale e va in Slovenia attraverso le Prealpi che venne occupato nel 1866 dall’Italia e poi venne deturpato linguisticamente dal fascismo e che oggi è sotto tutela linguistica per quel che resta dello sloveno che qui si parla. Non meno sconclusionati furono i propositi piemontesi e poi italiani sulla regione Istria. Secondo Angelo Vivante “ Irredentismo adriatico ” – Firenze – 1912 - p. 59, già nel 1845 lo Stato Maggiore piemontese ( Le Alpi che cingon l’Italia considerate militarmente – Torino - 1845 ) propose un confine con l’Austria che includeva tutta la Venezia Giulia e buona parte del Litorale Croato o Hrvatsko Primorje. I fini erano strategici e in Italia si visse sempre nell’errata convinzione che in questi territori non vi fosse alcuna coscienza nazionale altrimenti nel 1915 non sarebbe stato sottoscritto segretamente il Patto di Londra. Sia Mazzini che Cavour indicarono sempre soluzioni diverse al problema e il primo indicò in tempi successivi almeno tre confini diversi . Quello che a tutte le parti premeva era il fissare il diritto storico sulla regione contesa, un diritto millenario per il quale Italiani e Croati si battevano politicamente e per priorità e per sovranità, per cui era fondamentale sapere se nel VII secolo l’Esarcato di Ravenna avesse garantito la stabilità dell’insediamento latino o se re Tomislav nel 920 avesse esteso il suo dominio pure all’Istria. Il mito dell’Isonzo (So ča), rimase a lungo presso i popoli slavi e lo vediamo ri- tornare sempre attuale a più riprese e forse proprio supportato dai russi; non a caso dal 1945 al 1947 fu, lo ripetiamo, la linea proposta dai sovietici. Il riferimento di difficile interpretazione del Porfirogenito circa le terre al di sopra del thema (48) istriano è indirizzato probabilmente alla Carnia e alla linea delle Alpi Giulie pur essendo meno sicura tale seconda interpretazione. Va poi anche ricordato che tra Italiani e Slavi vi era da secoli una convivenza pacifica che soprattutto nel XIX secolo fu accompagnata da un’osmosi socio- economica. In genere gli Italiani abitavano le città ed erano borghesi, mentre gi Slavi abitavano il circondario in un contesto agro - pastorale. Assistiamo poco a poco, in Dalmazia come in Istria, al passaggio di classe sociale in cui spesso gli Slavi studiano o vanno in città e si arricchiscono, abiurano il loro passato e si ritrovano Italiani anche più nazionalisti degli stessi connazionali di antica data e questo fu uno dei motivi che incrinò la convivenza delle due etnie. Con la firma dell’Armistizio di Villafranca che poi porterà nel novembre 1859 alla Pace di Zurigo, la risoluzione del problema croato e del confine orientale d’Italia, subisce una battuta d’arresto.

Va detto tra parentesi, che a Solferino molti Croati si batterono nell’esercito austriaco ma che con loro vi erano anche molti Italiani. Il Risorgimento infatti può essere considerato anche dal punto di vista di una guerra fratricida, Italiani contro Italiani; a Solferino infatti il reparto più decorato dell’I. R Esercito fu proprio un reggimento composto in prevalenza da soldati di Vicenza. Lo scontro di Lissa del 1866 sarà una ripetizione in tal senso: marinai di Tegethoff saranno sì Croati, Dalmati, ma anche Italiani. Nel primo conflitto mondiale gli Italiani verranno invece inviati nei Carpazi. Non è questione di cinismo, in quanto la leva veniva effettuata in tutti i territori dell’Impero, Lombardo - Veneto compreso e se venne riconosciuto il valore degli Italiani da parte dell’Imperatore, questo è perché essi si erano dimostrati truppe affidabili. Nel 1914 - 1915, non essendo più così affidabili, verranno mandati altrove; è solamente realismo.

Tornando a Kvaternik, in tali anni fa la spola tra Piemonte e Francia ossia tra Torino e Parigi nel 1859, 1860, 1864, 1865, 1866 e 1867. A Torino nel 1859 incontrò il Greppi e il Massari (49), probabilmente alle Segreterie di Stato (oggi Prefettura) in Piazza Castello, cui espose le promesse di Napoleone III. Incontra poi Cavour a Leri - nei pressi di Livorno Ferraris - il primo di ottobre 1859, là ove discute a lungo del problema croato e dei nuovi futuri confini. Parla anche di un trono di Croazia. Il realismo di Cavour considera il tutto come un problema prematuro.

Manca infatti il Veneto che va ancora conquistato; l’Istria e il suo confine sarà il problema successivo. Il 22 novembre 1859 Kvaternik contatta a Torino, Vasilij Nikolaevi ć Čičerin, incaricato d’affari russo a Torino per espletare una missione informativa presso il Console russo a Livorno, il che suffraga il pensiero del Tommaseo che considerava il croato come un agente russo. Tra l’altro già nel maggio 1859 erano sbarcati a Livorno i Piemontesi. Indi si reca a Firenze ove avrà incontri quotidiani col Tommaseo e ove comincerà a pubblicare le sue idee espresse in precedenza nella “ Croatie et la Confédération italienne ”. A Milano incontra poi Pacifico Valussi (50), direttore della Perseveranza , intenditore, a detta dello stesso Kvaternik della questione croata e qui conosce pure Marc’Antonio Canini (51), altro esperto del problema. Il 6 marzo 1860 è nuovamente a Torino ove incontra Costantino Nigra e propone la candidatura di Ladislao Czartoryski (52) a re di Croazia perché cattolico e slavo. I meriti incontestabili di Kvaternik per primo e di Valussi e Canini successivamente, furono quelli di aver posto la questione di un confine orientale tra Italia e Slavi Meridionali. Veniva discusso in sede politica il problema nel momento in cui cessava il patriottismo, inteso come etica portante ad apprezzare e ad amare la propria Patria, che lasciava il posto al nazionalismo inteso come senso identitario di un popolo che imponeva a se stesso e agli altri un modo di essere come depositario di valori irrinunciabili e insindacabili legati pure in gran parte al liberalismo ottocentesco e alla rivoluzione industriale. Si era alla fase polemica della discussione e forse si era ancora ben in tempo per risolvere pacificamente la questione. Gli stessi autori di tale dialogo riconoscono che è pacato, anche se Kvaternik assume toni ricattatori quando afferma che in mancanza di accordi con i Croati sul problema confinario, questi si sarebbero dati ai Russi. Occorre non dimenticare che questi avevano già un forte ascendente in Montenegro e in Serbia. Valussi e Canini risposero a Kvaternik citando i versi (113-114) di Dante al Canto IX dell’Inferno: ”… si com’a Pola presso del Carnaro ch’Italia chiude e i suoi termini bagna“. Dante, così come Valussi e Canini, riconosce semplicemente il vecchio confine romano dell’Arsia. Il principio etnico sarebbe stato armonizzato con quello geografico e alle rispettive minoranze si sarebbero fatte concessioni. Va detto che il Quarnaro (Kvarner) è un imbuto di mare (Sinus Flanaticus o Liburnicus) tra le isole di Cherso (Cres) e Lussino (Lošinji) fino al Canale di Faresina che lo mette in comunicazione con il Golfo di Fiume. (Carte del periodo austro – ungarico, carte militari italiane e atlante geografico metodico De Agostini anno 1935) Quindi ritorniamo all’Arsia (Raša ) sotto Albona (Labin).

W. R. Sheperd antica Italia - Regio X

Occorre ora sapere qualcosa in più circa il Canini e il Valussi. Il primo era amico intimo del Tommaseo fin dall’insurrezione di Venezia cui entrambi parteciparono. Canini raggiunse Torino dopo il 1853. All’inizio di novembre 1859 lo troviamo redattore alla Perseveranza di Milano, ivi chiamato da Pacifico Valussi che ne era il direttore, entrambi come mazziniani a disagio perché tale testata serviva l’in- teresse della ricca e opulenta borghesia. Le idee di Canini corrispondevano con quelle di Cavour nel momento in cui si trattava di coalizzare Slavi, Magiari e Rumeni contro l’Austria. Differivano naturalmente i metodi. Il 6 aprile 1860 comparve sulla Perseveranza un articolo del Kvaternik inviato e datato da Zagabria e in realtà proveniente da Parigi, in cui si ribadiva che l’Isonzo avrebbe rappresentato il confine e a stretto giro il Canini ripeté la sua tesi inerente l’antico confine romano. La primavera del 1860 è il momento storico in cui si pongono le basi per discutere della questione adriatica. Costantino Ressman (53) - triestino ed esule a Torino, collaboratore del Cavour - e Pacifico Valussi (friulano) scrivono : ” Trieste e l’Istria e loro ragioni nella questione italiana ” - Torino - 1861

ove pure si parlava di un’Istria veneta o occidentale, corrispondente più o meno all’Istria rossa (colore della terra più fertile della regione), che andava dal M. Tricorno (Triglav), al M. Maggiore (U čka) fino a Capo Promontore (rt Pramantura). La parte oltre M. Maggiore (U čka) rimaneva slava e corrispondeva all’Istria grigia, meno fertile e più boscosa e a quella bianca ove si poteva cavare pietra da costruzione di un certo pregio. Non va dimenticato poi che il perno di banco della questione magiaro - romena e croata era proprio l’Ungheria e anche tale problema veniva indirettamente a intrecciarsi agli altri. Kossuth e Klapka (54), non certo con metodi pacifici, miravano a una Confederazione danubiana in cui fossero compresi tutti i Balcani compresa la Croazia Triregna (Regni di Croazia, Dalmazia e Slavonia), con istituzioni federali, progetto avversato dal croato Tkalac e naturalmente dal Kvaternik, anche se per motivi diversi. Altro fatto da non sottovalutare, è che alla morte di Cavour, Vittorio Emanuele II si diede a fare una sua politica estera e Canini divenne un suo protetto. Va detto poi che tra il 1864 e il 1866 in Italia ci si preparò, col concorso dei Magiari e dei Croati (Tkalac e Kvaternik), ad uno sbarco in Dalmazia di Garibaldi per poi fare insorgere i popoli slavi della monarchia asburgica. Altra cosa non poco importante erano gli interessi economici di Cavour nell’Adriatico. L’italianità di Trieste era un’italianità di capitali nel momento in cui il giorno 8 novembre 1860 viene emanato, su ordine del Conte a Lorenzo Valerio, Commissario Straordinario nelle Marche, il decreto n. 363 in cui si confermavano i privilegi del Lloyd triestino nei porti marchigiani, prima soggetti al governo papalino, in quanto i capitali erano divenuti italiani e in più la stessa città di Trieste aveva dato prove di italianità. Non dimentichiamo che oltre al Console Strambio, da Trieste Cavour aveva informazioni dal rabbino Tedeschi, profondamente legato ad Isacco Artom (membro del Gabinetto particolare di Cavour) di sentimenti liberali e filo- italiani. Sull’Adriatico poi si stendeva una fitta rete consolare del Regno di Sardegna: oltre al Consolato di Trieste, vi erano viceconsolati a Fiume (Rijeka), Lissa (Vis), Zara (Zadar), Ragusa (Dubrovnik) e Corfù con relative reti di spie il cui vertice si trovava a Belgrado in una Serbia autonoma ma orbitante, almeno formalmente, in ambito ottomano. Inoltre le ambizioni di Emanuele Luxardo (55), vice console sardo a Zara, che voleva divenire Console sardo a Trieste, noto industriale e commerciante di maraschino di origini genovesi, la dicono lunga sugli interessi economico-politici che si incrociavano in Adriatico. Cavour in ogni caso, date le reazioni dell’Austria riguardo al Lloyd, invitò alla massima prudenza consigliando di non dire nulla su Trieste, Istria e Dalmazia, per non irritare Vienna, Pest e tutti gli Slavi Meridionali e soprattutto per non inimicarsi l’Inghilterra che vedeva con sospetto l’Adriatico ridiventare un lago italiano. A Londra, gli interessi legati alla navigazione venivano al primo posto.

Le proposte del Valussi e del Canini seguivano la logica e non erano del tutto nuove, se già Enea Silvio Piccolomini (poi Papa Pio II) come Vescovo di Trieste, nel-

la sua “ Opera quae extant omnia ” nel capitolo “ De Istria hodie Sclavonia dicta ”, sanciva la divisione tra costa occidentale istriana e veneziana e interno dominato dalla Contea di Pisino (Pazin) appartenente all’Austria e a maggioranza slava. Tale divisione comunque, anche se la più logica, in realtà doveva porre dei correttivi a protezione di minoranze ricompresse oltre i confini etnici. Venezia infatti, a causa di guerre e soprattutto di pestilenze che svuotarono l’Istria, importò ad esempio a Peroj, sopra Pola, diversi abitanti montenegrini che esistono ancora oggi con la loro lingua e la loro cultura e invece gli istrorumeni, di ceppo neolatino, sarebbero rimasti in zona slava, senza contare che la Serenissima importò molti Carni e Dalmati in Istria. Vi è da dire poi che la linea Wilson del 1919 e la linea americana del 1945 ricalcavano tale vecchia e logica idea. Ma i nazionalismi si erano ormai esacerbati e tornare indietro fu impossibile.

Ferdo Šišić in “ Kvaternik - Rakovi čka buna - II 7- Zagreb 1926 - Tisak hrvatskog štamparskog zavoda d. d ” ci parla di una relazione della Questura di Torino del 3 febbraio 1866 che si trova all’Archivio di Stato di Torino Sezioni Riunite - Materie Criminali - Mazzo 18 da catalogare - in cui si dice che: “E’ vero che l’emigrato Eugenio Kvaternik ebbe a dimorare per qualche tempo in Torino, ma doversi osservare che egli si fece conoscere per Krausse Giovanni, sotto il qual nome aveva un passaporto ed ebbe il sussidio governativo nei mesi di ottobre e novembre 1865, e poi una sovvenzione straordinaria di L. 40 per abilitarlo a trasferirsi all’estero, contro di lui rinunzia ad ogni ulteriore sussidio. La di lui condotta morale fu scevra da ogni appunto e nella politica diede a conoscere di essere Panslavista cioè vorrebbe l’indipendenza della Croazia ed a preferenza di vederla sotto l’Austria o di vederla unita all’Ungheria preferisce il governo russo. Del resto durante il suo soggiorno in Torino non diede luogo a lagnanze di sorta sul suo conto e mostrò d’essere persona assai istruita e meritevole di riguardi”. Tale informativa faceva seguito a una richiesta inviata dalla Prefettura di Brescia che domandava ragguagli sul Kvaternik. (cfr. anche Serie 2 – Mazzo 44 – Fondo Emigrati AS-SR) . Era accaduto infatti che con la caduta dell’assolutismo dopo la seconda guerra d’indipendenza persa dall’Austria, Francesco Giuseppe fosse costretto a concedere il cosiddetto Diploma d’ottobre (1860) e nel 1861 venne nominato un nuovo Bano croato, tornò in auge la lingua croata e venne riaperto il Sabor ove Kvaternik divenne deputato per il Partito del Diritto Croato (HSP) che fu sempre una formazione mi- noritaria. La maggioranza era costituita da quelli che successivamente vennero denominati “ narodniaci ” (patrioti) tra cui figurava il vescovo Strossmayer e che propugnavano sia un avvicinamento all’Ungheria che un’unione culturale di tutti gli Slavi Meridionali. La minoranza era costituita dai cosiddetti “ magiaroni ” fautori di un’unione con l’Ungheria e dal Partito del Diritto, cui appartenevano pure Ante Star čevi ć e Petar Vrdoljak.

Seguirono poi le “ Patenti di febbraio ” e praticamente si ritornò al centralismo. Kvaternik nel 1862 venne imprigionato e dal 15 marzo al 15 dicembre 1864 lo ritroviamo a Torino, ove tra gli altri, avvia contatti con Garibaldi. Il 16 aprile 1864 Kvaternik scrive una lunga lettera a Garibaldi (qui allegata a fine capitolo) un vero e proprio promemoria, ove lamentava che poco si parlasse di Croazia e molto di Ungheria. Oltre a ripetere la sua idea di Croazia e diciamo pure di “Grande Croazia”, esprime comunque un concetto che vale la pena di essere riportato, in cui dice che la Croazia si viene a trovare tra Italia e Ungheria e “ che desidera vivere la sua indipendenza col desiderio di vivere in amicizia e in buon vicinato con l’Italia di cui è vicino immediato da tredici secoli consecutivi ”. La Croazia coltiva le medesime aspirazioni dell’Italia e possiede un nemico comune: l’Austria. Professando la sua stima per Garibaldi gli chiede di aiutare la Croazia a sbarazzarsi dell’Austria. Si firma avv. Eugenio Kvaternik ex - deputato della Dieta del Regno di Croazia in esilio. (cfr. Departement of rare books and special collections of the University of South Carolina - 12 ottobre 2004 – cfr. Lettere inedite della cospirazione Kvaternik - Garibaldi per la liberazione della Croazia nel 1864 - a cura di Antony P. Campanella - ed. A. Cordani Milano 1961). Tale lettera venne conservata dal segretario di Giuseppe Garibaldi, Giuseppe Guerzoni (1835-1886) (56). (collezione Antony Campanella) . Con la Patente Imperiale del 20 settembre 1865 venne ristabilita la Costituzione in Croazia e Kvaternik volle rimpatriare e comunque non essendogli concesso di rimanere, ecco che nel gennaio 1866 lo ritroviamo a Brescia. (Pare che su istanza di Garibaldi gli fossero concesse L. 40 per il rimpatrio e due mesi di sussidio statale); tuttavia solo nel luglio 1867 gli fu concesso il ritorno in Croazia a seguito di amnistia imperiale. Nel secondo scorcio del 1866 Garibaldi era a Brescia con i suoi. Fin dal 1860 era in preparazione uno sbarco sulle coste dalmate puntando su Karlstadt (Karlovac ) e le Krajine e tale idea compare nelle carte del Kossuth là ove si propone proprio di far rivoltare i reggimenti croati delle Krajine o Confini Militari. Il progetto naufragò per l’opposizione di Napoleone III che - oltre alla Legione Ungherese, nelle Due Sicilie con Garibaldi militavano almeno altri 500 stranieri - non tollerava un’organizzazione rivoluzionaria straniera in Italia e la vedeva come fattore destabilizzatore. Cavour dovette piegarsi. L’Inghilterra poi, se la rivoluzione fosse riuscita coinvolgendo Ungheresi, Croati, Serbi e Transilvani, vedeva aprirsi un vuoto di potere che avrebbe privilegiato la Russia e quindi una difficoltà nel tenere insieme il neo costituito Regno d’Italia in cui “ gli Italiani sono ancor oggi da fare ”. Cavour invitò quindi i Magiari a seguire una soluzione politica e pacifica. La guerra del 1866 che vide poi le sconfitte di Custoza e di Lissa dovute in larga parte anche alle truppe croate fedeli a Vienna, riaccese tuttavia le speranze di uno sbarco in Dalmazia che probabilmente in caso di vittoria italiana sul campo, sarebbe riuscito. Nel marzo aprile 1866 il Türr (57) scrisse a Marcello Cerruti (58), ex console Sardo a Belgrado e ora Segretario Generale del Ministero degli Affari Esteri, di tenere i contatti col Kvaternik .

Il croato Tkalac, il primo ministro serbo Garašanin (59) e il re Mihail Obrenovi ć (59 bis) condividevano l’idea di tale sbarco soprattutto se per i Serbi questo avesse provocato sommovimenti pure in seno alla Porta Ottomana. Cherubin Segvi ć in “ Drugo progonstvo Eugena Kvaternika, godine 1861 - 1865 - Zagreb 1907 pp. 65 - 66 “ dice che Vaklav Psibilski, commissario del governo polacco in esilio, su istanza di Zygmunt Milkovski (60) che era in contatto con i Serbi, contattò Kvaternik onde si pervenisse a una rivolta magiaro slava in occasione dell’imminente guerra dell’Italia contro l’Austria. Kvaternik si mise d’accordo con Kossuth e Klapka. Il 6 marzo 1864, Kvaternik, e Milkovski, messi in contatto da Psibilski decisero il da farsi e i preparativi sulla rivolta da attuare. Il fallimento, come ci dice Ferdo Šišić (op. cit - pp. 11 - 12) fu anche interno alla stessa organizzazione della rivolta. A Torino il Kvaternik conobbe Ante Rakijaš, disertore croato, che nel novembre 1864 varò un piano insurrezionale in Dalmazia e Lika per la primavera del 1865 insieme al Nostro, un piano precoce e sconclusionato. Rakijaš con un passaporto falso si recò ad Ancona e all’inizio del 1865 sbarcò a Brazza (Bra č) e si recò a Knin ove incitò alla rivolta. Denunciato, venne processato e condannato a undici mesi di carcere duro. Sadowa, Custoza e Lissa, fecero in modo che si archiviasse il progetto e non solo da parte slava. La Prussia sospese le azioni militari, l’Italia era stata sconfitta sul campo e l’Inghilterra non voleva destabilizzare l’Adriatico. Garibaldi si era rivolto al Tirolo e non aderì perciò al movimento che intendeva liberare i Balcani. E a Custoza contro gli Italiani combatterono 25.000 Veneti, ossia altri Italiani. Dal giugno all’agosto del 1866 la situazione cambiò quindi radicalmente e del progetto Dalmazia non se ne fece più nulla.

La più grande studiosa di Kvaternik, la professoressa Ljerka Kunti ć che scrisse ”Politi čki spisi: rasprave, govori, članci, memorandumi, pisma / Eugen Kvaternik Ed . Znanje - Zagreb 1971 ” cita nel dettaglio il suo pensiero politico, le sue visite a Torino e a Cavour. Parla pure del suo breve soggiorno zurighese ove scrisse al Ministro degli Esteri austriaco conte Rechberg (62) un libello di 35 pagine su come dovesse essere lo status della Croazia nell’ambito dell’Impero, naturalmente dal punto di vista del diritto croato. A ciò pervenne tramite la Propaganda Fide di Roma - card. Bernabò - (61), sempre sensibile ai cattolici croati soprattutto quando si trattava di passare alla S. Sede un documento segreto russo circa l’egida sui Luoghi Santi; il Kvaternik venne così indirizzato all’ambasciatore austriaco presso la S. Sede (Bach a Palazzo Venezia) che a sua volta consigliò il medesimo a scrivere appunto al Rechberg (62). Costui cercò probabilmente di guadagnarsi il Kvaternik per la sua conoscenza profonda degli Slavi Meridionali. In questa pubblicistica si vede già chiaramente la posizione del Partito del Di - ritto verso Vienna. ( op. cit – Prefazione - p. 25 ). Di certo Kvaternik fu il primo emigrato croato che pose le questioni inerenti una Croazia indipendente e il suo difetto non fu quello di essere isolato o di essere ostinato nel cercare un’alleanza con Stati terzi in aiuto al suo disegno d’indipendenza

croata, come spesso si sente dire anche da autori croati. Fu semplicemente un politico di vaglia che porse lealmente ma troppo prematuramente un problema che ebbe soluzione definitiva e certo non secondo i confini da lui vagheggiati, nel 1991.

Nel 1870 la Francia va alle corde sconfitta dalla Prussia e quest’ultima con l’Italia sono Stati anticlericali. Come già detto vi era l’interesse inglese a non vedere i Russi in Adriatico e i Russi avrebbero appoggiato solo gli Slavi ortodossi e la Croazia si stava progressivamente magiarizzando. All’interno dell’Impero soprattutto i Cechi lavoravano alacremente per distruggere il dualismo austro - ungarico e ovviamente avrebbero trascinato dietro gli altri Slavi. Nelle Krajine inoltre serpeggiava lo scontento per la magiarizzazione incipiente e Kvaternik, rimasto senza mandato al Sabor iniziò a pensare di mettersi a capo delle Krajine con l’obiettivo di liberare e unire la Croazia. Dopo il colpo del 1866 inoltre, l’esercito austriaco era fortemente indebolito e gli unici combattenti validi erano proprio i grani čari delle Krajine su cui Kvaternik faceva affidamento. In realtà molti insorti erano Serbi ortodossi ed era chiaro che conoscevano bene come Kvaternik avesse trattato il problema in Parlamento, considerandoli Croati divenuti ortodossi per debolezza dei preti cattolici e quindi non serbi. (primo errore) Il suo secondo errore nel portare rivolta a Rakovica per tre giorni a partire dall’8 ottobre 1871, fu sostare a Plaški, ove non solo il clero ortodosso si ricordò di tali affermazioni, ma pure credé il Kvaternik un agente magiaro per via dei suoi legami col Bano Rauch che era favorevole ai magiari. Altre incomprensioni e imprudenze, fecero sì che dei 1.700 uomini che aveva condotto con se Kvaternik, ne rimanessero 400 soltanto. Fu così che l’11 ottobre 1871 gli insorti vennero sopraffatti e anche il mistico ma imprudente uomo politico Eugen Kvaternik, venne ucciso. Infatti lo stesso compagno di partito Ante Star čevi ć lo aveva dissuaso dal progetto che aveva visto l’iniziale complicità del suo amico Rakijaš col capo della polizia di Karlovac, Fabiani un noto estremista croato. Torino fu parte della fucina politica balcanica e fu tra le prime ad acquisire col senno di poi, i progetti per una Croazia libera e indipendente, una gestazione durata circa 133 anni. Torino fu “capitale morale e politica” per tutti gli esuli, sia per coloro che provenivano dal resto d’Italia, che per coloro che venivano dall’estero. Ricordiamo che nel dramma Sin domovine (Il figlio della patria - 1940) di August Cesarec (63) (non allineato alla politica NDH di A. Paveli ć) sulla vita di Kvaternik viene ricordato che a Torino, ove si svolgono diverse scene, ebbe come amici e compagni, oltre al Rakijaš e al Tkalac, certi Halter, Kresnik, Leškovar, un certo barone Kneževi ć e un certo Martin Kureti ć. Costoro erano tutti ufficiali e sottufficiali provenienti dal Veneto e quindi disertori, che avevano intenzioni di porre le basi per lo sbarco in Dalmazia.

Allegato: lettera di Eugen Kvaternik a Garibaldi del 16 aprile 1864 .

Turin, le 16 avril 1864.

Monsieur le Général,

C’est avec une joie et bonheur inexprimables que je m’empresse de satisfaire, par ma présente, au désir exprès de Votre ami si distingué M.Cairoli, pour être un faible écho des dispositions et des aspirations de ma patrie bien-aimée, la Croatie, et cela dans un de vos moments si peu favorables à de telles manifestations. Certes, sans cet encouragement, qui m’est d’ailleurs si doux, comment la voix d’un pauvre exilé eût- elle osé troubler votre marche triomphale ? comment aurait-elle pu parvenir jusqu’aux oreilles du héros européen à travers des acclamations des millions qui l’entourent ? Cependant, si je réfléchis que dans la vie des grands hommes il y a des instants ou des moments, apparemment même les plus solennels, s’effacent devant un autre caché sans interruption au fond du cœur comme pensée modérateur; voilà pourquoi je crois que ma voix particulière percera, pour un clin d’œil, les bruits bien autrement puissants, en apparence au moins. C’est vrai, M. le Général, qu’en vous rappelant ma patrie, je dois en même temps me rappeler, et sans le vouloir , que cette terre croate n’a pas eu cet avantage jusqu’à présent d’avoir été, je ne veux pas dire traitée bienveillamment, mais pas même mentionnée par Votre Seigneurie dans vos discours, écrits etc. publics, ne connaissant au delà de l’Adriatique sinon la Hongrie, la Pologne etc. Il n’est pas dans mon intention de Vous en faire un reproche international, non ce n’est qu’une douloureuse vérité qui n’a pu avoir que de tristes conséquences également pour la Croatie comme pour l’Italie – Outre cela, je sais parfaitement qu’une si noble âme., qui ressent si vivement tous les torts infligés à sa propre patrie, ne saurait nourrir une idée préconçue et refermant à l’avance et nécessairement l’asservissement, quelque prétexte ou beau masque qu’il puisse revêtir , d’une nation entière. Car ignorer la Croatie , la nationalité croate qui s’étend de l’Isonzo jusqu’au et à la Drina ; de la Boïana, en Albanie, jusqu’aux Alpes Noriques; une nationalité compacte de près de six millions (d’) âmes est intercalée entre l’Italie et la Hongrie et les séparant par une étendue de toute une mer et soixante lieus géographiques de terre; nationalité slave, enfin, qui a résolu de vivre sa propre vie nationale et souverainement indépendante ; désirant vivre en amitié et en bon voisinage avec l’Italie dont elle est voisin immédiat pendant treize siècles consécutifs, et qui a les mêmes aspirations, le même ennemi commun avec l’Italie : non, une telle nationalité ne peut plus être sagement et justement ignorée par un éminent personnage qui s’appelle «Garibaldi»; qui peut et doit même aimer tous les peuples, sans pourtant vouloir suffoquer par une accolade importune et trop fraternelle une tierce interposée. Ecartons donc les causes fâcheuses, pour détourner par là leurs conséquences désastreuses . La nature des choses elle-même trace impérieusement une autre voie et appréciation à suivre en ce moment, qui s’appelle le moment d’action. L’époque des phrases et des paroles vides, qui a pu faire oublier un instant la géographie et la justice, cette époque est heureusement passée; à l’heure de l’action on doit se rencontrer et il faut reconnaître avant tout la Croatie dans toute son étendue nationale; ici la volonté de l’homme n’est pour rien, la force des choses le dicte inévitablement si l’on compte réussir. Or, la Croatie veut agir, elle est décidée à vaincre l’ennemi millénaire ou à succomber à jamais, il n’y a pour lui une autre alternative possible; aussi est elle la première par sa situation géographique qui est appelée à agir, la première par son organisation et renommée militaires à accomplir sa tâche patriotique. Voilà, M. le Général, la détermination de la Croatie toute entière; et je puis parler en son nom, puis- que c’est l’armée 1861 qui m’y autorise sans contestation. Cher Général ! ma patrie vous aime et elle vous estime par Votre glorieuse renommée; elle Vous admire par Votre génie d’action; elle s’incline devant les sentiments de justice dont Vous êtes porte-étendard en Italie.et c’est à cette justice qu’appellera un jour la nation croate dans une question internationale qui regarde la Croatie et l’Italie - Je vous en souviendrai ! Ma patrie vous aime, pas bruyamment, car cela ne comporte pas notre caractère tant soit peu orien- tal ; mais la propension et l’admiration pour Vous, partent du fond de nos cœurs. S’il y a un mortel qui mérite cette expansion de l’âme humaine dont le spectacle saisissant est actuellement l’Angleterre : certes, sans Vous flatter, c’est V. S. qui le méritez dans toute étendue du mot. Mais aussi dieu et vous- même Vous pouvez seul juger de la nature et de la portée des expansions anglaises. Bientôt Vous serez notre aimable hôte; et ce dont je puis Vous parfaitement rassurer, c’est la circonstance que Vous serez accueilli au milieu des Croates - au milieu de ces autrefois si formidables manteau-rouges - avec une sincérité dont nul autre peuple ne saurait Vous entourer, hormis le Vôtre. Vous n’y trouverez pas, certes, ces splendides et féeriques apparats préparés par les artifices de la main et du génie de l’homme, non; mais un écho, mille et mille fois répété, de nos franches « Živio ! » retentira en Vous ouvrant partout la terre, reconnue même par nos ennemis comme « hospitalière »; et au cliquetis des handžars ainsi qu’au milieu des coups de fusils et de pistolets Vous marcherai (sic) en hôte glorieux dans la patrie des valeureux. Nos illuminations seront les feux allumés, selon notre coutume nationale: aux sommets de nos Alpes et montagnes qui seront un double signe de la joie nationale: ils fêteront, d’abord, l’arrivé du héros européen au milieu d’une nation armée; ensuite, ils seront le joyeux signal donné aux frères encore gémissant sous le joug brutal de l’Allemand, que l’heure de l’affranchissement sonne enfin. - Outre tout cela, nos journaux ne feront pas de subtiles distinctions portant sur la « personne privée ou politique » de notre hôte, ou sur « une politique des tendances de l’action qu’on doit blâmer »; non, mais plus d’action, plus de gloire ! Tel est, M. le Général, le peuple qui vous attend impatiemment et à bras ouverts; et c’est-ce que j’avais à dire quant à son actualité. Je ne sais quels sont les sentiments que Votre Seigneurie puisse se former de ce peuple; mais que le passé aussi de notre nation est digne d’être connu d’un héros moderne, je puis l’affirmer hardiment; et si Vous ne dédaignez pas de jeter un coup d’œil sur le récit rapide de ce passé national, tel qu’il est historiquement tracé actuellement dans l’honorable journal «Il Diritto », je suis sûr que V. S. s’écriera en bonne conscience: Voilà un peuple selon mon cœur ! - Et c’est pour son passé; ne le dédaignez pas de Votre attention, quelque occupé que Vous puissez être; l’action elle-même le demande. Et si vous aviez pu donner toute votre affection à tout un peuple seulement pour cela, parce que Vous avez vu combattre à Votre côté et pour la cause italienne quelques uns des ses fils héroïques : quel sera Votre sentiment pour un peuple qui combattra tout entier autour de Vous, pour une cause sacrée qui est aussi la Vôtre ? Ressouvenez-vous, ô Général, que jusqu’à ce que notre ennemi commun ne soit rejeté, par vous Italiens, au – delà du Brenner en Tyrol, par nous Croates au-delà des Alpes Noriques de notre Carinthia: il n’y a pour nous tous ni repos, ni sûreté nationale; et jusqu’à ce qu’il y ait un seul Italien et un seul Croate, nous veillerons en sentinelle éternelle et en bons voisins sur les sommets de ces frontières naturelles ( telles par la nationalité et non seulement par la nature ) contre l’ennemi commun tendant si farouchement vers l’Adriatique! Sur ce point au moins la politique italo-croate doit éternellement être immuable. Ne désirant rien si vivement que de voir arrivé, le plus tôt possible, le moment ou j’aurai le bonheur de pouvoir admirer en personne le grand patriote italien, pour lui exprimer de vive voix ce que ne comporte la nature de cette lettre, sans cela trop prolixe: je saisis cette occasion d’y exprimer ma plus profonde vénération, en me signant Votre très-dévoué Avv. Eugène Kvaternik Ancien député à la Diète du Royaume De toute la Croatie; exilé

La lettera in calce é indicata in Jaroslav Šidak "Eugen Kvaternik u historiografij" convegno del 22-23 novembre 1971- a Zagabria p.19 ed é tratta da Anthony P. Campanella che la presentò nel 1962 assieme ad un'altra lettera entrambe sconosciute. (Questa seconda è datata 9 maggio 1864). Le lettere furono conservate dal segretario di Garibaldi, Giuseppe Guerzoni e poi acquistate da un libraio dal dr. Campanella, collezionista di tali scritti, che le presentò a Milano già nell'ottobre 1961 su Il risorgimento.13-3 pp.119-127 e permise la loro digitalizzazione in due forms. Niccolò Tommaseo

Dai Croati viene nominato talvolta come Nikola Tomaševi ć; la madre era croata, Katarina Kesevi ć e la famiglia era probabilmente originaria dell’isola di Brazza (Bra č) mentre da parte di padre, che si chiamava Gerolamo, tipico nome dalmata e croato, sua bisnonna era provenuta da Bergamo, che a quel tempo era sotto la Serenissima. Nacque a Sebenico (Šibenik) il 9 ottobre 1802 e morì a Firenze il 1 maggio 1874. Di formazione cattolica (Scolopi) come il Kvaternik, si laureò in legge a Padova nel 1822 e iniziò la collaborazione con l’Antologia del Vieusseux (64) a Firenze, mantenendo amicizie col Manzoni e col Rosmini. Scrisse un articolo in appoggio alla rivoluzione greca e in seguito alle lamentele dell’Austria andò in esilio a Parigi e pure l’Antologia venne chiusa. Tommaseo fu innanzitutto un dalmata per metà croato e per metà italiano, anche se propriamente non fu né l’uno né l’altro, mai totalmente deciso a compiere una precisa scelta di campo, nel momento stesso in cui, vedendo progressivamente slavizzarsi la Dalmazia, avrebbe voluto introdurre la lingua italiana nell’amministrazione e quella croata nei rapporti quotidiani di natura non burocratica. Come dalmata poi, non poteva sentirsi né croato né italiano. Va detto che la Dalmazia, subito dopo la caduta di Roma, conservò nelle città la lingua latina che col tempo divenne dalmata, non veneta, un qualcosa tra l’italiano e il rumeno. Non dimentichiamo che la transumanza interna dei Vlasi, etnia neo- latina e non slava, trasportò appresso dei vocaboli dall’Albania alla Dalmazia interna ai M. Balcani stessi e viceversa e fece sì che costoro si stabilissero in molte zone come il Livanjsko Polje ove parlavano il cosiddetto morlacco molto simile al dalmata e all’istrorumeno. Inoltre il croato ikaviko (65) ha acquisito molti termini neolatini proprio da tali idiomi. L’ultimo dialetto dalmata a sparire fu il vegliote dell’isola di Veglia (Krk) nel 1898. La conclusione è che la Dalmazia, almeno ai tempi del Tommaseo, pur essendo il terzo regno croato, era la parte meno slavizzata. Lingua dalmata non è quindi la lingua dalmatica, perché la prima comprende solo le varianti čakavo - ikave del croato moderno, mentre l’aggettivo dalmatica porta a un idioma neolatino. Useremo comunque dalmata per tutte e due gli idiomi. Il dalmata non fu una lingua utilizzata nell’ufficialità salvo che a Ragusa (Dubrovnik) e soprattutto negli atti notarili. Nel medioevo la lingua letteraria era il latino e nel XIII secolo troviamo appunto dei testi scritti in raguseo. La lingua dalmata scomparve non solo per la lenta penetrazione slava ma anche per la venuta e lo stanziamento di Venezia con tutt’altro dialetto. Il primo a soccombere come dialetto dalmata fu lo zaratino e nel XVI secolo venne la volta del raguseo, mentre nelle isole di Cherso (Cres), Veglia (Krk) e Arbe (Rab) rimase molto più a lungo. Inoltre il dalmata era parlato pure a Cattaro (Kotor) in Montenegro. E’ interessante poi notare come certi vocaboli siano simili nelle lingue neolatine e nelle slave, là ove si crea una trasversalità. Ad esempio padre, papà in italiano, nel dalmata è tuota , nello slavo è tata e anche čača, nel serbo čale, in istrorumeno ciace , nel rumeno tatal. (Per ulteriori approfondimenti su questi temi occorrerebbe leggere l’opera di Matteo Giulio Bartoli, albonese, professore di glottologia all’ateneo torinese che scrisse “ Das Dalmatische”- Kaiserliche Akademie der Wissenshaften - Vienna 1906, di cui esiste pure una traduzione italiana.) Motivo di orgoglio per un dalmata è pure l’autonomia secolare della Repubblica di S. Biagio (68) o di Ragusa, soprattutto nei confronti di Venezia entro la cui orbita stette solo 53 anni in tutto ed ebbe fine dopo Venezia il 31 gennaio 1808 col decreto Marmont. Quanto rapidamente esposto ci fa capire come il Tommaseo fosse un dalmata prima che croato o italiano. Lo si può poi definire un cosmopolita letterario non solo perché a lui erano note diverse lingue, ma perché le praticò pure nei suoi scritti rivolti a popoli diversi. Da un lato è un rivolgersi a popoli diversi come fratelli, ed è il caso dei “ Canti popolari italiani, corsi illirici, greci ” del 1841 e dall’altro è proprio lo scrivere in lingua perché i popoli cui l’opera è destinata possano comprenderla. E’ il caso delle “ Iskrice ” (Scintille) scritte, come allora si diceva, in illirico. L’ editio priceps é del 1844 e fu curata da Ivan Kukuljevi ć Sakcinski (35). Le 33 Iskrice slave sono il nucleo iniziale dell’opera che venne pubblicata a Venezia in italiano come “Scintille” nel 1841 ma con contenuto modificato. Infatti Tommaseo incappò nella censura che giudicò gli scritti illirici come immaturi e naturalmente antigovernativi in quanto veri. Fu così che pubblicò le “Scintille” in lingua greca moderna con traduzione italiana, nessuna di quelle in illirico e di queste solo undici in italiano. Le parti soppresse furono sostituite con altri scritti. Ecco perché l’edizione di Zagabria del 1844 è l’unica veramente attinente al pensiero iniziale dell’autore in quanto non edulcorata. Ma l’illirico di Tommaseo era poi il croato - serbo sentito fin dal grembo materno (non a caso scrive in štokavo - ikavo “ Vidio sam zvizdu nove svitlosti ”- Ho visto una stella di nuova luce - un’elegia dedicata alla madre) e in seguito il serbo- croato dovuto alle lezioni e alle conversazioni con Špiro Popovi ć (66), in ogni caso le due versioni della medesima lingua. Le “ Iskrice ” sono il prodotto genuino del Risorgimento slavo, non disgiunto, per il Tommaseo da quello italiano. Altre opere illiriche rimaste manoscritte sono: “ Pjesme puka dalmatinskoga ” - Canti del popolo dalmata, “ Spisi starog kalu đera ” -Scritti di un vecchio monaco ossia

“di un vecchio calogero”- (kalu đer è il monaco ortodosso). E’ chiaro che Tommaseo venne percepito sia dai croati che dai serbi (ed.1898). La prima Iskrica in croato ci dice tra l’altro: “Kano (kako) što ptica ljubavna pripravlja u prolje će gnijezdašce svojim pti čicama, i kupi perje i slamu, da lakše leže male svoje, koje ona još nije vidjela ; tako i ja iz dalekih zemalja, iz stranjskih knjiženstva, iz razli čitih jezika, kupim ćućenja i glase i skladanja, da bih mogao milu bra ću nadahnuti plamenom ljubavi…”

“Come l’uccello amorosamente prepara il piccolo nido, e raccoglie penne e pagliucole dove più mollemente si posino que’ piccini ch’è non ha visti ancora; così da terre lontane, da estere letterature, da lingue varie raccolgo sentimenti, parole, armonie, da sfogare e nei fratelli trasfondere, quella fiamma d’affetto che in me sempr’arde…”

L’autore si paragona ad un uccellino che prepara il nido e raccoglie fraternamente e da lingue diverse, sentimenti da trasfondere ai popoli. Le pagliuzze e le penne sono le varie lingue da cui ha attinto. Secondo lui la varietà delle lingue ci aiuta pure a sentirne l’unità. E’ un sentimento romantico, cattolico, patriottico ma non nazionalista. Non è qui la sede per esaminare a fondo ogni poesia in prosa del Tommaseo. Ci limiteremo a dire che dalla XII in poi ci parla da vicino della Dalmazia, arida terra con monti scoscesi, del suo commercio con la Bosnia che ora si è chiuso in spazi angusti grazie anche alla diffidenza di Venezia, del mare che la unisce all’Italia di cui non coglie l’essenza e assume solo il superfluo che galleggia in superficie. Parla poi dei Dalmati che vengono invitati a guardare anche al futuro, due facce del medesimo popolo, l’illirica o slava e l’italiana, l’una contadina e povera e l’altra ricca e notabile. E la XVI afferma. “ Siamo due nazioni in un popolo …” Soprattutto la Dalmazia non deve appartarsi e rimpicciolirsi, ma deve conoscere i popoli che le stanno attorno onde poi far germogliare vincoli di fratellanza. Vede la Dalmazia come una sorta di lievito da gettare nella farina onde far nascere nuovi legami con i vicini, come una sorta di ponte gettato a trecentosessanta gradi, lungi però dall’essere uno jugoslavista. Di certo le divisioni sociali della Dalmazia sono rappresentate pure dal praticare due lingue diverse da parte dei due fondamentali strati sociali. Se poi nell’ Iskrica XXIII si rammenta che la nazione illirica ha affinità di lingua con la Russia (il Tommaseo non è certo russofilo) di diritto con la Germania, per clima con la Grecia e per studi con l’Italia, conferisce come missione alla Dalmazia la riunione ai quattro punti cardinali dei vari popoli e il rinnovo delle vecchie razze ormai spossate. Nella numero XXIV afferma: ” Illirici siate, e lo spirito italiano sentirete allora più forte”, in una terra che mai fu Italia, mai fu Turchia e mai fu Serbia. “Kano (kako) ovce, koje leže u jednoj jari, na jednom polju ska ču, a ne misle jedna za drugu, ako padne u dubinu, ako je lupež ukrade, ako je čoban proda oli odere ter izjede; tako i mi u jednom mjestu živimo, a što se od bližnje bra će naše ra - di (slijepi i nemili!) ne marimo”… (XXVIII)

“Come pecore giacenti nella medesima stalla, saltanti sul medesimo prato, non curano l’una dell’altra, se cade in un borro, se il ladro la prende, se il pastore la scortica e mangia; così noi viviamo nel luogo medesimo, e quel che segue ai prossimi nostri, ciechi o spietati niente curiamo…” Parole di un valore profetico se viste con senno di poi perché proprio la prolungata noncuranza tra le due etnie contornata da feroci nazionalismi, portò alla catastrofe che seguì il secondo conflitto mondiale. Amore reciproco e unione vanno ricercate onde le due etnie dalmate crescano insieme e in genere gli slavi meridionali vivono divisi e talvolta discordi e quindi separati da un’orografia che non aiuta la riunione e discordia ed egoismo, incomprensione tra le varie membra slave, portano a miseria e a debolezza nel confronto con gli altri popoli. Occorre arrivare e quindi far crescere il vero sapere e mediatori culturali vengono posti i sacerdoti che esprimendosi in lingua slava insegnano al popolo tale sapienza, spiegando il progresso senza gettare la tradizione. Di certo la cultura cittadina è vista come origine di debolezza e di fiacchezza rispetto a quella forte dei contadini e dei pastori e l’invocazione dell’ultima composizione, la XXXIII, è quella secondo cui l’Europa con i suoi popoli ha avuto le stesse origini asiatiche ed è per questo che le genti europee devono vivere come fratelli.

Da questi brevi accenni scaturiscono anche le idee politiche del Tommaseo. Il 4 marzo 1849 viene fondata da Lorenzo Valerio a Torino, la “Società per la solidarietà italo - slava” che possiede come organo di stampa il giornale “La Concordia” e Tommaseo, a suo tempo, ne diventerà socio onorario. Questo suscita profonde simpatie al di qua e al di là dell’Adriatico ed è il momento politico del Valerio patriota e non nazionalista, collocato a sinistra e quindi anti - cavouriano. E’ comunque un movimento più letterario che politico. L’obiettivo della Società, art. IV dello Statuto, è “ di mantenere attivo e fraterno l’amore tra Italiani e Slavi, per l’indipendenza e la prosperità di entrambe le nazioni e in vista di stabilire tra Slavi e Magiari le stesse amichevoli relazioni esistenti tra Magiari e Italiani e tra queste nazioni e la Polonia. La Società compirà i passi necessari affinché i Moldo - Valacchi, che posseggono una comune origine con le genti italiche e interessi comuni con gli Slavi e i magiari, possano dare il loro contributo alla causa comune”. (La Nuova Italia - Venezia n. 27 del 30/03/1849 ). Emergono fin da subito le idee anti - annessionistiche del Tommaseo nei confronti dell’Italia e della Croazia, cui la Dalmazia andava unita solo spiritualmente, poiché l’autonomia del litorale, secondo lui, porterà a formare una regione ponte tra Latini e Slavi e nell’Adriatico una sorta di Stato cuscinetto. Di certo andava creata una Slavia del Sud in opposizione a quella del Nord. Nel 1848, onde salvare Venezia dall’assedio austriaco, aveva rivolto un appello entusiastico “ Ai Croati e agli altri po- poli Slavi ” in italiano e non in croato, la data è del 5 aprile 1848 e probabilmente fu scritta sulla scorta degli avvenimenti zagabresi del 25 marzo 1848, giorno in cui venne convocata un’assemblea nazionale che richiese all’Imperatore il richiamo di tutte le truppe croate in Italia. E’ chiaro come questo manifesto, pur presentando nobili intenti, era leggibile sono da un gruppo ristretto di persone tra cui il Gaj e il Kukuljevi ć e non dalle truppe che quasi totalmente erano analfabete, per cui ne fece difetto certamente la diffusione. Il Tommaseo, il Kvaternik e lo Tkalac, dimostrarono come il vocabolo Risorgimento non fosse solo italiano, poiché si può parlare anche di Risorgimento Slavo del Sud. Il Tommaseo pur essendo per la maggior parte un letterato italiano, era dalmata e non era né croato, solo per il fatto che parlava e scriveva illirico, né tanto meno serbo, come alcune correnti di pensiero hanno cercato di dimostrare, non del tutto italiano, ma dalmata. Purtroppo una grave pecca è che su di lui sono stati fatti solo studi settoriali e non completi e quindi è stato visto solo da angolazioni a senso unico, nonché in molte antologie della letteratura italiana compare tra gli autori secondari. Di certo fu anche promotore dell’idea illirica e fu in corrispondenza con i promotori di tale corrente politica e culturale: Ljudevit Gaj, Ivan Kukuljevi ć Sakcinski, Vjekoslav Babuki ć e Stanko Vraz (sloveno) (67). Il Popovi ć, suo maestro, era amico comune sia di Tommaseo che di Gaj. Nella sua doppia natura, italiana e slava, Tommaseo fu un grande letterato e patriota per entrambe le culture e per entrambi i paesi. Nel 1851 a Zagabria venne varato un progetto per unificare i popoli slavi sotto una sola lingua e venne scelto il russo. Il Tommaseo in esilio a Corfù, scrisse rivolgendosi agli studiosi di Zagabria che da quindici anni facevano rivivere la lingua slava, invitandoli ad ampliare tali concezioni per rendere realizzabile la “Slavia Meridionale ” separata in seno all’Impero, in modo che il suo elemento unificante potesse divenire proprio il linguaggio. Il russo deve quindi essere abbandonato e la lingua croata va poi depurata dalle scorie germaniche soprattutto in fatto di stile oltre che di lessico. Prima di unirsi a greci e italiani, sono da abbattere i “ troppi divisi ordini ” in seno alla società, là ove occorre pure abbattere il muro che divide i dotti dal popolo. ( Secondo esilio p. 164 - Vol. I – Milano - F. Sanvito -1862 ). Da Corfù il 7 aprile 1851 scrive ad uno slavo di Agram (Zagabria) e afferma che l’Austria avrebbe potuto coscientemente farsi tutrice degli Slavi Meridionali come argine alla Russia ( op. cit. pp. 122 sgg .) assieme quindi a Francia e Inghilterra. “La Russia poi soffia sul fuoco per i suoi fini e di continuo fomenta ribellioni in casa altrui”. Alla Croazia Tommaseo non consiglia sommosse e la invita a procedere solo legalmente emancipando se stessa e salvando Italia e Austria , la prima da una guerra e la seconda dal tracollo. Si vede come credesse poco alle rivolte e già a Venezia era conscio della non riuscita della ribellione e lo disse più volte; c’è poi da domandarsi se il “secondo malato” d’Europa non fosse l’Austria. Il 4 luglio 1851 ( op. cit. pp. 142 sgg .) afferma che “ non occorre odiare i Magiari e i Tedeschi perché l’odio frutta solo maledizione.

Occorre che la Slavia Meridionale si riunisca fraternamente . Le memorie storiche andrebbero lette ad ammaestrare borghesi e popolo, quest’ultimo attraverso i preti e i possidenti di campagna. Non sommosse, non cospirazioni, ma atti pubblici di richiesta, di protesta e querela; un atto che la legge non possa incolpare… Ove trattisi di riscuotere una nazione sopita, val più un atto legale che dieci sommosse e meglio vincesi nella carcere che sul campo . Parlando à popoli fratelli, conviene allontanare ogni idea d’unione che consigli a conquista; predicare non solo l’uguaglianza di tutti in tutto, ma la distinzione a que’ paesi che prevalgono o per tradizioni di civiltà o per abitudine d’agiatezza o per purità d’idioma. Ella sa che Dalmazia rifugge dall’unirsi a Croazia perché teme esserle fatta serva...i Croati intelligenti si dimostrano esemplarmente modesti nel confessare con lieto animo le doti de’ Dalmati e nell’amarli… Si guardino gli Slavi del mezzodì dalla Russia che o li soggiogherà corrompendo,o li tradirà. Croazia e Dalmazia; Boemia e Polonia, debbono mantenere agli Slavi quella credenza cattolica per la quale si collegano all’Europa civile, e si sono già sbarbarite… Io delle cose slave scriverò in italiano: e mi duole non potere in illirico, ma non ho colloqui che mi conservino l’uso della lingua, e non posso leggere da me, quasi cieco…Gli Slavi non intendono gli Italiani; e questi, nell’orgoglio delle loro memorie stravecchie, disprezzano stolidamente quelli. Ma i popoli disprezzati hanno le chiavi del mondo avvenire. Bisogna intendersi per necessità e per lucro, chi non sa per virtù e per amore”. Queste citazioni ci confermano come il pensiero politico del Tommaseo sia agli antipodi di quello del Kvaternik. Secondo Lujo Vojnovi ć, montenegrino, nobile, nato a Spalato (Split) da padre slavo e madre italiana, nel suo “ and the Jugoslav Movement - London 1920 - p. 186 ”, a Zara (Zadar) il movimento illirico trovò grande eco perché la municipalità era quasi del tutto slava. Nel 1835 Božidar Petranovi ć, con cui Tommaseo ebbe poi una feroce polemica perché il serbo ingiustamente stigmatizzò l’esilio del grande Dalmata come una mancanza ai doveri di patriota slavo, fondò il “Srpski Dalmatinski Almanach ”, mentre Ante Kuzmari ć per parte croata, fondò la “Zora Dalmatinska ” (Alba dalmatica) e nel 1849 comparve la prima società politico- letteraria, la “ Slavjanska lipa ” (Il tiglio slavo) con duemila soci, poi soppressa nel 1850 dall’assolutismo austriaco. Questo dimostra come in un sito dalmata con notevole popolazione italiana, le parole del Tommaseo e degli altri illiristi, portassero a uno sviluppo concreto di tali idee in una delle principali città dalmate. Dopo Corfù, Tommaseo viene a Torino nel 1854, rifiutò una carica governativa offertagli da Cavour e si accinse a compilare il famoso “ Dizionario universale della lingua italiana ” e rimase in città fino al 1859 per poi ritirarsi definitivamente a Firenze. Il rifiuto di qualsiasi carica od onore o menzione da parte soprattutto del Regnodi Sardegna è ben motivato anche dal suo atteggiamento umile di stampo cristiano. Ne “ Il serio e il faceto - Austria, Slavia, Ungheria ” – Firenze Le Monnier 1868 , il Tommaseo afferma: “ Io dall’Italia non chiesi né sperai mai onori né lucri; gli onori proffertimi accettai per brev’ora, quand’erano pericoli e travagli, quand’erano dispendi e noie; appena diventassero agi e vantaggi, senza disdegno gli ricusai, ma non senza gratitudine. Ciascuno ha i suoi gusti e capricci; il mio è così fatto; io ho la voluttà del sacrificio, ho l’orgoglio della povertà, l’ambizione della solitudine ”. Per il Tommaseo è importante pure non venir coinvolto in alcuna politica da Cavour e poi lui, federalista, repubblicano e anti - monarchico, non poteva accettare cariche pubbliche; ma sotto tutto questo rimane appunto tutto l’uomo Tommaseo. Lo scrittore deve quindi essere educatore, ma per fare ciò deve essere retto e comunicare attraverso la forza dell’esempio. E ancora: “… Amo gli Italiani, perché dalle due lingue loro (latino e italiano n. d. r) ebbi luce all’ingegno e ineffabili consolazioni all’anima; perché le due lingue loro furono e devono essere, e voglio credere che saranno sempre ai Dalmati care, e gli aiuteranno a più potentemente scrivere e più sapientemente stimare la propria… ” Un ponte culturale che aiuti i dalmati e gli italiani ad amare le proprie lingue anche attraverso lo studio delle altre lingue che pur sempre sono veicolari rispetto alla propria che sgorga dal cuore . Tommaseo quindi mal sopportava l’unione d’ Italia artificiosa e forzata sotto Casa Savoia e non condivideva neppure tutta la politica di Cavour e pur essendo un cattolico, era comunque favorevole a che il Papato abbandonasse del tutto ogni potere temporale. Il Kvaternik, visitando Tommaseo a Torino, gli offrì la carica di triunviro in Croazia e il Tommaseo rifiutò anche per gli ampi interessi prematuri che questo coinvolgeva. Il federalismo di Tommaseo era semplicemente logico: in Italia come in Croazia e presso la Slavia meridionale stavano bene forme federative o confederative di governo e non forme centralizzate. La forma di governo doveva essere repubblicana e ciò forse perché il Nostro nacque in una regione che vide i fulgidi esempi delle Repubbliche oligarchiche di S. Marco (Venezia) e di S. Biagio (68) (Ragusa). Era un non violento quando si consideri il fatto che si batté sempre fortemente per un’opposizione legale e non armata, poiché secondo lui il processo di unificazione nazionale doveva avvenire attraverso una lenta maturazione dei popoli che portasse a una precisa e matura presa di coscienza. Si batté contro l’isolamento dell’Italia e a favore di un’alleanza con i popoli slavi, proprio perché erano tutti tiranneggiati dall’Austria. Come abbiamo detto, Tommaseo non ebbe mai fiducia nelle azioni armate, ma quando divenne “ambasciatore” a Parigi alla fine del 1848, del governo provvisorio di Venezia, si lasciò convincere dai rappresentanti magiari, serbi e croati (Andrija Torkvat Brli ć) e dai polacchi (Adam Czartoryski) a lottare efficacemente contro gli Asburgo e non solo con mezzi pacifici. Quest’ultimo, assieme a diversi suoi conterranei polacchi, lavorava con Torino onde cercare una riconciliazione tra Slavi e Magiari in funzione antiasburgica. Andrija Torkvat Brli ć si può considerare abbastanza affine al Tommaseo. Slavone, nacque a Slavonski Brod il 5 maggio 1826, studiò teologia e fu sulle barricate di Praga nel giugno 1848; nel settembre si trova in Ungheria col Bano Jela čić . Viene inviato a Parigi e qui incontra il Tommaseo, come emissario del Bano croato presso Luigi Napoleone che era Presidente della Seconda Repubblica. Studiò diritto a Vienna e pubblicò, nel 1854, una grammatica della lingua illirica, diversi articoli sulla questione slava e il Diario (1844-1857), interessante per la storia politica di quegli anni in Croazia.

Il crollo della rivoluzione quarantottesca in Italia e in Ungheria, fece tornare il Tommaseo sui suoi passi. Tra il 1859 e il 1860 appoggiò l’azione rivoluzionaria del Kvaternik di cui non appoggiava certamente l’idea di una Grande Croazia; mirava, Tommaseo, ad espandere un’azione propagandistica in favore della Croazia, dell’Italia e della definizione del confine orientale. Kvaternik venne così messo in contatto con il magiaro gen. Türr (57) e con esponenti italiani come Carlo Cadorna (69) e Urbano Rattazzi e infine con lo stesso Cavour. Concretamente l’idea del Tommaseo mirava ad una confederazione in cui entrassero magiari, valacchi, croati e dalmati, questi ultimi divisi dai croati, un nucleo iniziale sottoposto a ulteriori allargamenti. Visto poi che i moti mazziniani si rivelarono inefficaci e visto che lo sbarco in Dalmazia a lungo preparato e ventilato, per l’opposizione di La Marmora e l’indecisione voluta di Garibaldi, non avvenne, e che la guerra del 1866 fu perdente, Tommaseo si dichiarò a favore del mantenimento dell’Austria, rinnovata e affrancata dal germanesimo, confederata e opposta a Russi e Tedeschi. Rimane poi da dire che il Tommaseo non era di idee mazziniane, anche se s’incontrò una volta a Genova col Mazzini: differivano profondamente nel metodo e nei contenuti.

Occorre ora risolvere il problema di dove effettivamente abbia abitato il Tommaseo a Torino. Un’ipotesi è già stata formulata nel capitolo dedicato al Kvaternik, cui si rimanda. In aiuto ci perviene un documento manoscritto della Biblioteca Augusta Perugina (ms. 2220) citato da Gian Biagio Furiozzi in “ Niccolò Tomaseo e la Società dell’Emigrazione Italiana in Torino”- 1976, p. 324 della Rassegna Storica del Risorgimento - tomo LXIII - fasc. II – Apr - giu. 1976, in cui lo stesso Tommaseo, scrivendo al Vieussieux il 14 maggio 1854, mette come suo indirizzo, via Vanchiglia n. 11, Casa Antonelli, ove ebbe pure sede la Società in oggetto. Può quindi funzionare l’ipotesi precedente di un’abitazione in via Garibaldi 22 e di uno studio in via Giulia di Barolo 9 ? Via Vanchiglia 11 oggi è parallela a via Giulia di Barolo. Ci si chiede allora se Tommaseo non si sia sbagliato o se pure la casa di via Vanchiglia 11 sia stata costruita dall’Antonelli. Niente di tutto ciò. Il borgo Vanchiglia venne ristrutturato completamente solo nel 1872 (sindaco Rignon) e la marchesa Giulia di Barolo morì nel 1864 e tutti e due gli eventi si collocano successivamente al soggiorno del Tommaseo a Torino. La via a lei intitolata venne a lei dedicata dopo la sua morte e il borgo a seguito della sua ristrutturazione subì una ridenominazione delle vie. Se si guarda infatti una carta di Torino del 1860, si trovano le vie Buniva, Artisti, Balbo e S. Giulia, oltre a via Vanchiglia e via Giulia di Barolo non esiste; “la fetta di polenta”, risalente al 1840, ove risiedeva Tommaseo non era ancora contornata da altri edifici come lo sarà successivamente e la luce verso via Vanchiglia era libera, per cui in via Vanchiglia si trovava anche Casa Antonelli come se fosse un interno della via omonima. La chiesa di S. Giulia, benché proposta dall’Antonelli già nel 1844, vedrà la luce solo nel 1862: la “fetta di polenta” era praticamente sola. Via Garibaldi 22 può essere considerata come residenza e “la fetta di polenta” lo studio. C’è da evidenziare che la lapide di via Garibaldi venne posta con deliberazione del 1874 (ASCT Atti Municipali CC 321) nel 1877 e quella di via Giulia di Barolo nel 1974, Non pare che Tommaseo si trovasse comunque molto bene nell’ambiente di Torino e nel giro di pochi anni preferì Firenze. Tommaseo, che pur era esule, rifiutò un sussidio della predetta Società per non avere debiti col governo piemontese e non accettò neppure la carica di Presidente ma fu sempre generoso con tale istituzione. Per vivere a Torino dovette darsi all’insegnamento ed ebbe pure contatti con il Pomba che gli affidò la redazione del “ Dizionario ” in gran parte compilato a Torino.

La miglior raccolta di scritti tommaseiani inerenti l’argomento slavo è quella insuperabile, anche se un po’ datata, “ Scritti editi e inediti sulla Dalmazia e sui popoli slavi “ di Raffaele Ciampini ed. Sansoni – Firenze 1943. In “ Ai popoli slavi ” del 1840 (p. 88 op. cit. tomo I), Tommaseo afferma: “ Non vi conobbero i popoli, o Croati, finora; e guardandovi come servi sdraiati sotto il bastone (tedesco - poi censurato) vi disprezzarono senza compianto. E voi, come buon cavallo guidato da mal cavaliere, indarno spendeste il valore e il sangue; e la fedeltà vostra non ebbe gratitudine, né onore la vittoria, né memoria la morte. Vi mandarono come gregge al macello sui campi d’Europa; v’affidarono come a satelliti, il tristo ministero di soffocare i primi moti dell’italica libertà; ed ora mandano contro voi gl’Italiani infelici, come satelliti, che le non proprie armi tremando tingano nel sangue vostro! Siccome nell’arena aizzano una contro l’altra le fiere predate, per godere del tristo spettacolo; così l’austriaca codardia aizza popolo contro popolo, per lambire di tutti il sangue, e de’sudori di tutti ingrassare… Grazie intanto a voi, Austriaci generosi, grazie a te, sapientissimo Metternich, che per opera del senno vostro la Croazia si sente essere nazione: non è più bestia da arare per voi, e essere da voi mangiata; ma è persona che vi parla alto e chiaro il linguaggio, il linguaggio de’ padri suoi; e con esso a voi si fa intendere meglio che non voi a lei col vostro tedesco.

Distedescate, o croati, il linguaggio e l’anima: sia libero da imbrogliati costrutti il vostro dire, come da cerimonie imbrogliate il portamento vostro. Chi ha liberata da modi stranieri la lingua, avrà dal giogo straniero liberata l’anima… E Tedeschi e Magiari combattete con l’arme della ragione possente, non collo scherno: lasciate ai vostri nemici le amare gioie dello scherno e le glorie dell’odio… La spada penetra il seno, la parola va fino all’anima; la spada ferisce e uccide, la parola ferisce e ravviva; la spada dalle viscere della terra, la parola di verità dalle altezze del cielo… Nel vincolo della costituzione, la povera Dalmazia, così come nel vincolo del sangue, è unita con voi.” E’ un tema patriottico che parla dello sfruttamento secolare dei croati, qui da parte dell’Austria e vedremo dopo, negli scritti giovanili di Ante Paveli ć, da parte di Venezia e potremmo aggiungere da parte dell’Ungheria o prima da parte del Sultano, e a differenza del nazionalismo esasperato, Tommaseo invita sempre al confronto, al dialogo e se possibile all’accordo, il nazionalismo è un punto di non ritorno in cui subentra l’egoismo che succede al momento in cui non è più possibile un accordo tra le parti. In “ La Dalmazia ” (1842 lettera ad Enrico Stieglitz p. 114 sgg. op. cit) Tommaseo afferma: “ … Da cinquant’anni ebbe visitatori amici e più la mia patria; Alberto Fortis, a cui siccome a cercatore delle cose nascoste sotterra, era destinato l’onore di primo mostrare all’Europa un bel saggio dell’illirica poesia… La gente colta e le donne, che un tempo avrebbero arrossito di profferire il- lirici suoni, in Croazia se ne tengono. Della quale vergogna converrebbe che tutta la gente colta in Dalmazia si lavasse; e ad esempio le dame ragusee, e con più purezza ancora che quelle non facciano, l’illirico sempre s’adoprasse nei famigliari colloqui… ” Se la prende col provincialismo dalmata di parte italiana, che costringe e comprime ma non libera energie sane e colte; vive di stereotipi e di facciate e così appesantisce la società in convenzioni formali , rifiutando l’altro, il croato, che pure è presente in buona parte degli individui. Nell’ “ Anton Maria Lorgna ” del 1843 (op. cit. p. 144) (il Lorgna era ingegnere e matematico) il Tommaseo, nella sua onestà intellettuale di cui non si può dubitare, ci dice candidamente che: “ Ecco dunque in una terricciola dalmatica il germe di quella società a cui dovevano essere aggregati il Volta e il Franklin, alla quale doveva il Buonaparte vincitore, al soldatesco modo suo rendere omaggio. Così Marco Polo, nativo di Sebenico, s’associa all’Americano che tolse la verga ai tiranni e alle nubi la folgore. La Dalmazia ebbe sempre con l’Italia vincoli di sapere e d’affetto più forse nel passato secolo che nel nostro; sebbene sian ora agevolati i viaggi, e cresciuto il numero degli studenti… ” Ecco che si scopre Marco Polo non di Venezia come il mito suggerisce. I croati lo danno di Curzola - Kor čula e di certo, seguendo il Tommaseo, fu un dalmata, seppur al servizio di Venezia. E’ un dato certo che nel XVIII secolo la Dalmazia ebbe solidi vincoli di sapere e di affetto con l’Italia.

Non erano subentrate ancora le idee della Rivoluzione Francese, esportate da Napoleone e neppure si era palesato il fenomeno Herder, propugnatore del nazionalismo. L’incompreso Tommaseo, rappresentò sempre un’opportunità culturale e politica per i dalmati, gli italiani e i croati. Il ponte che vagheggiava tra le due sponde adriatiche è lungi dall’essere realizzato, predominando ancora oggi moltissime incomprensioni più o meno volute. Probabilmente al lettore rimangono ora da porre domande logiche che attendono altrettanto logiche risposte. Tommaseo, alla fine, era italiano o croato? Qual’era esattamente il suo atteggiamento politico? Qual’era la sua posizione verso gli Slavi? Qual’era la funzione della Dalmazia? Tali domande non sono affatto oziose se si considera che per lungo tempo gli studi su questo personaggio sono stati snobbati. Il Tommaseo è stato visto, in anni ancora abbastanza recenti, solo come Italiano. Anche gli studi di slavistica, godettero a lungo del monopolio insindacabile del grande Arturo Cronia, unica autorità in materia (p.es. La conoscenza del mondo slavo in Italia – Padova 1958 ). Nel 1943 l’ottima opera del Ciampini vide probabilmente la luce anche per motivi politici legati all’alleanza Mussolini - Paveli ć. Per svecchiare il pensiero del Tommaseo occorre toglierlo da una visione esclusivamente risorgimentale che neppure lui avrebbe accettato e così lo si può definire ben immerso nel mondo culturale, politico, italiano ed altrettanto vicino al mondo slavo: è un autore bilingue. Tra i croati si pone come autonomista dalmata che si rende ben conto dell’incipiente croatizzazione del litorale. Il Partito Autonomista dominò la situazione politica dalmata fino agli anni ’70 del XIX secolo. Il Partito del Popolo Croato ( Hrvatska narodna stranka ) era di opposto avviso e ammetteva invece l’annessione della Dalmazia alla Croazia. D’altra parte gli autonomisti (70), fra cui vi erano anche slavi, non seguirono Tommaseo che già aveva detto come nella vita amministrativa si sarebbe dovuto usare l’italiano e nella quotidianità il croato; si accanirono per riconoscere solo l’italiano e a fronte di una democratizzazione forzata del sistema di voto in seno all’Austria – Ungheria e infine i croati ebbero la meglio, tanto che nel 1914 solo Zara era retta da un autonomista filo-italiano. Costoro ovviamente furono successivamente a favore dell’irredentismo. Fu cattolico e non prese le parti di Mazzini ( cfr. Jože Pirijevec- Niccolò Tommaseo tra Italia e Slavia - Venezia, Marsilio editore, 1977 ) né di Cavour o di Garibaldi: non ne condivideva i metodi e la politica. A proposto dei rapporti col Kvaternik di cui già abbiamo detto, ben descrive tali momenti Bogdan Radica in “ Risorgimento and the Croatian Question , Tommaseo - Kvaternik”, Journal of Croatian Studies voll. 5 - 6 – 1964 - 1965 , ove sono contenute lettere e documenti del carteggio avuto col Kvaternik da parte del Tommaseo e rinvenuti dallo stesso Radica nel suo archivio di Firenze alla Biblioteca Nazionale. Nel secondo esilio di Kvaternik il Tommaseo ebbe per lui un valore inestimabile, sulla questione dalmata non si accordavano, ma Tommaseo prese comunque in considerazione le proposte del Kvaternik e fu disponibile a introdurlo presso Cavour e Garibaldi; inoltre sia a Torino che a Firenze, Kvaternik, presso il Tommaseo incontrò esuli magiari e slavi. Tommaseo mira all’incontro di due civiltà diverse ma vicine. Nel primo esilio in Corsica Tommaseo, scoprendo “ Il viaggio in Dalmazia ” del Fortis, scopre pure l’” Hasanaginica ”, ballata folkloristica del XVII secolo, proveniente dalla regione di Imotski in Croazia e allora parte dell’ eyalet (provincia) ottomano (71) , trascritta appunto dal Fortis . Tommaseo esce ampiamente dal provincialismo culturale dalmata ed è patriota fervente, non nazionalista e non irredentista. Proprio le 33 Iskrice sono indice di questo: sono basate sul richiamo della parola del poeta, che col cuore, condannando da un lato la meschinità, la chiusura e la grettezza della società borghese italiana, chiama a nuova vita i popoli slavi. Già allora, il Tommaseo si batteva per una Chiesa rinnovata con un’estromissione della curia Romana ed era profondamente ecumenico. Era contro il potere temporale del Papa. (Idee mutuate dal Lamennais durante il periodo francese). Verso il 1848 lo troviamo pure critico verso il movimento risorgimentale italiano che riteneva approssimato e superficiale perché si muoveva senza conoscere a fondo la realtà degli altri popoli, permeato da una mentalità tutta sabauda, non aperta alla conoscenza dell’altro, all’affratellamento necessario, prima dell’azione e proprio in quel periodo il Tommaseo ama definirsi e firmarsi come Slavo. Il 1848 fu l’anno fondamentale per aprire le questioni sul tappeto: l’esperienza di Venezia confermò il suo scetticismo sulla via militare in opposizione all’Austria; fu qui che venne ad aprirsi parallelamente a quella italiana, la questione slava. Da profondo conoscitore della situazione, avvertiva da un lato l’approssimazione e la fretta italiane e dall’altro gli interessi contrapposti della Croazia, patrocinati dal Bano Jela čić che era frattanto divenuto governatore di Fiume (Rijeka) e della Dalmazia e che desiderava annettere tali zone alla Croazia e del vladika montenegrino Petar Petrovi ć Njegoš (72), che avanzava pure lui pretese di annessione sulla Dalmazia, ma da sud. Tommaseo godeva di ottima considerazione, tanto da essere messo nell’elenco dei partecipanti al congresso panslavo di Praga del 1848. Avrebbe voluto favorire un’alleanza italo – slavo - magiara cui gli interessati probabilmente non erano inizialmente avversi e contro il Kvaternik da una parte e l’Italia dall’altra, non ammetteva alcun diritto storico sulla riva adriatica. Col brusco risveglio del 1848 iniziarono i contrasti tra Italiani e Slavi, ecco perché propugnò uno Stato cuscinetto come zona franca fra le due nazioni. Come dice giustamente Josip Vrande čić nel suo “ Dalmatinski autonomisti čki pokret u XIX stolje ću - Zagreb 2002, p. 95 , “ Tommaseo non riuscì a decidersi tra la sua etnia slava e la sua cultura italiana e così si dichiarò alternativamente slavo e italiano” quindi appunto dalmata.

Pier Alessandro Paravia

Costui, a differenza del Tommaseo, si sentì sempre totalmente italiano perché era italiano. Si tratta qui di una migrazione in senso inverso, legata agli ideali risorgimentali italiani. Nacque a Zara il 15 luglio 1797 e morì a Torino il 18 marzo 1857. Era figlio di un militare, colonnello degli Schiavoni (Oltremarini) (73) e nipote di un ufficiale di marina della Serenissima. La famiglia si trasferì in seguito a Venezia e Paravia si laureò in legge a Padova nel 1818, divenendo così funzionario di Stato asburgico a Venezia. Nel 1832 venne chiamato come ordinario alla cattedra di eloquenza presso il locale ateneo torinese. Fu oratore eccellente, traduttore e critico letterario; attivo nel campo culturale italiano, fu conosciuto da Manzoni, Tommaseo, Monti, Rosmini, Pellico, Gioberti e dallo stesso re Carlo Alberto. Il Paravia sottolineò sempre la sua appartenenza a Zara, perché in molti scritti si definisce lo “ Iadrense ”, ossia lo zaratino, perché Zara ai tempi di Roma era Iadera. Nel 1832 aveva già pubblicato diverse biografie di artisti e letterati e anche una traduzione delle lettere di Plinio il Giovane. Pubblicò studi sull’Ariosto e sul Tasso e anche sulla letteratura provenzale. Studiò pure i romanzi cinesi. Altre sue opere furono: “ Delle relazioni del Cristianesimo con la letteratura “ Torino - 1837, “ Il sistema mitologico di Dante ”, Torino 1837 - 1839, “ Del sentimento patrio nelle sue relazioni con la letteratura ”, Torino 1839, “ Canzoniere nazionale scelto e annotato ”, Torino 1849, “ Lezioni accademiche e altre prose ”, Zara 1851 ecc.

Era un conservatore che aderì agli ideali del Risorgimento italiano e possedendo dal 1846 una villa a Paderno, nei pressi di Treviso, era controllato dalla polizia austriaca. Tuttavia, com’ è evidente, era libero di pubblicare i suoi scritti anche a Zara. Nel Veneto era amico degli intellettuali di Castelfranco che avevano fondato l’Accademia dei Filoglotti e fu debitore, per la sua completa formazione, a due abati: Giuseppe Monico di Postioma e Antonio Carnielo da Quero. Il primo gli fece pubbli- care sul suo giornale, dei saggi critici e letterari (per esempio contro il Tommaseo) e il secondo lo indirizzò all’amore dei classici e al disprezzo per il romanticismo. Divenne accademico della Crusca e dopo la sua morte, nel 1869, l’Ateneo di Torino gli dedicò un’erma ancor oggi conservata. A Torino esistono carte e mappe di suo zio, ivi pubblicati in cinque volumi.

Paravia comunque non dimenticò Zara e la visitò nel 1850 e nel 1855 donò alla Biblioteca Comunale della medesima città, che divenne poi Biblioteca Paravia, 18.000 volumi e questa divenne la più grande dell’intera Dalmazia e fino al 1938 si trovò all’interno della Loggia Veneziana. Venne riaperta il 14 ottobre 1945 col nome di “ Narodna Biblioteka ” (Biblioteca Nazionale). Il giornale “ Il Dalmata ” n° 59 del 15 luglio 1897, dedicò una lunga commemorazione al Paravia nel centenario della nascita. Oggi tale biblioteca si chiama “ Znanstvena Knjižica Zadar “ (Libreria scientifica di Zara) . Rimase quindi italiano e la tendenza odierna dei Croati è denominarlo come zaratino, il che è un dato reale anche come dalmata, ma in ogni caso occorre fare attenzione a non metterlo sul piano politico - razionale di Tommaseo. Infatti, oltre a essere favorevole alla purezza della lingua italiana in parallelo all’idea di nazione italiana, considerava vitale, per il processo di unificazione, la centralità del Piemonte e della Casa Savoia. E’ il salto di qualità, pur equilibrato e non estremista, tra il patriottismo del Tommaseo e il nazionalismo. A Zara, nel centro, esiste oggi ulica (via) Aleksandar Paravija , là ove si trova la sua casa natia; a Torino via Paravia è parallela a via del Martinetto e va su Corso Regina Margherita.

Imbro Ignjatijevi ć Tkalac

Imbro Ignjatijevi ć Tkalac nacque a Turopolje nei pressi di Karlovac nel 1824 e morì a Roma nel 1912. Fu a Torino in tre momenti diversi. Dall’ottobre 1846 all’aprile 1847, nel novembre 1863 e nel 1874. Dal 1861 al 1863 diresse a Vienna il periodico Ost und West. Questi primi accenni sono bastevoli per andare a sviluppare le idee politiche ed economiche di cui era alfiere lo Tkalac. Già è stato detto parlando dei suoi amici Kvaternik e Tommaseo, come il decennio 1850 - 1860 sia stato quello dell’assolutismo che fece da propulsore a tutte le idee autonomiste, federative o nazionali nei Balcani occidentali governati dall’Austria. Fu un comunque successo il fatto che il dirigismo centralizzato di Vienna rese possibile ad esempio la modernizzazione di una città come Zagabria e pure rese possibile la crescita graduale della popolazione, fatto che avvenne un po’ in tutti territori croati. Nel 1849 Tkalac torna in patria dalla Germania ove aveva compiuto studi storico - filosofici, di diritto e di economia. Si era formato una concezione liberale dei problemi socio - economici del momento. Ivan Mažurani ć (74), letterato insigne, allora a capo del dicastero per la Croazia alla corte di Vienna, lo presenta al Bano Jela čić onde acquisire una cattedra all’accademia, ma Tkalac rinunciò al posto all’Accademia Reale per dedicarsi al giornalismo. Con la costituzione ottriata del 4 marzo 1849, Croazia, Slavonia e Dalmazia divennero territorio separato della corona e il Bano divenne indipendente dall’Ungheria e come luogotenente veniva nominato direttamente dall’Imperatore. Il Bano Jela čić promulgò tale costituzione il 6 settembre 1849 dopo la débacle dell’Ungheria e questo fu il documento con cui s’introdusse successivamente l’assolutismo in Croazia che però rimaneva limitatamente autonoma. Tkalac era un oppositore della costituzione che considerava un retaggio feudale e si batteva per una modernizzazione. Accettò l’ordine imperiale anche per un motivo contingente: per salvare i giornali ove scriveva. A marzo del 1850 inviò un documento al Ministro Alexander von Bach (75) a Vienna dal titolo “ Stanje stvari u Hrvatskoj ” (Lo stato delle cose in Croazia) relazione segreta che Tkalac inviò con il preciso scopo di divenire collaboratore del Ministro. Trattò quindi delle pietose condizioni economiche della Croazia e analizzò a fondo l’attività delle istituzioni più importanti in campo religioso e nazionale e i vari orientamenti politici in seno alla società croata. Solo nella volontà politica e nella determinazione del potere centrale egli individuò le possibilità di un futuro e moderno sviluppo della Croazia, pur rimproverando apertamente il disprezzo dei Tedeschi per gli Slavi. Da un lato il decennio assolutista che iniziò intorno al 1850 stroncò le idee liberali del 1848; vennero gradualmente abbandonate le vecchie forme di vita associativa rurale autonoma ( zadruge ) così che al singolo era possibile influire sopra di esse solo come funzionario di Stato. E così fece pure Tkalac da un punto di vista esclusivamente patriottico. Alla metà del XIX secolo infatti cominciarono ad organizzarsi le camere di commercio e artigianato sotto la protezione del Ministro del commercio Karl Ludwig von Bruck (76), fondatore del Lloyd austriaco, che nel parlamento di Francoforte (79) del 1848 propose l’unione dell’Europa Centrale sotto l’egida dell’Austria, concezione attinente al pangermanesimo. Come Ministro del Commercio nel governo di Anton von Schmerling (77) fu l’ideologo di un’economia progredita in campo industriale e bancario, volendo rendere Trieste emporio adriatico dell’Austria e propose la costruzione di diverse ferrovie, lo status symbol della politica liberale. Le Camere di Commercio servivano per espandere sul territorio tale modello economico e vennero fondate in una sessantina di regioni. In Croazia vennero istituite a Zagabria, Osijek e Fiume (Rijeka) e altre verranno poi istituite nel 1869 a Senj (Segna) e Sisak, onde allargare la loro attività alle Vojne Krajine o Confini Militari. Da Nikola Nikoli ć (78), commerciante di Zagabria, Tkalac ricevette l’offerta per divenire segretario della Camera di Commercio di quella città e siccome la carriera di professore era tramontata, dopo un iniziale ripensamento egli accettò, anche se per lui rimaneva difficile lavorare come funzionario di Stato di un governo che comunque aveva già più volte criticato. Tale problema lo espresse a von Bruck che conosceva dai tempi in cui lo incontrò al parlamento di Francoforte (79), il quale lo incoraggiò dicendogli di assumere l’incarico perché le Camere di Commercio in Austria erano gli unici organi associativi e rappresentativi autonomi attraverso i quali le regioni potevano far presenti i loro bisogni e i loro desideri al governo centrale. Tkalac guadagnava 1.400 fiorini l’anno. ( 50 - godišnjica tgova čko – obrtni čke komore u Zagrebu: 1852-1952 godine, Zagreb 1902, str. 112 - 113 ).

Tkalac era quindi un liberale che iniziò a lavorare per l’Austria come fecero in molti tra gli stessi liberali, poiché erano rimasti colpiti dalla democrazia popolare che aveva portato ai fatti del 1848. La paura di una rivoluzione popolare era ben presente nella Monarchia danubiana e i liberali in quanto tali, non necessariamente erano dei democratici. Occorreva quindi mantenere l’ordine sociale e in più per i Tedeschi vi era il sentimento di compiere una missione e volevano introdurre il tedesco come lingua amministrativa dell’Impero. Tkalac parlava e scriveva tedesco senza problemi e le sue relazioni sono in tedesco. Insistette comunque che la Camera di Commercio fosse denominata non di Zagabria ma croata, una definizione nazionale contro un mo- do feudale di denominare. I verbali della camera erano invece redatti in croato, ma a partire dall’11 settembre 1854 ciò fu proibito e tale divieto rimase in vigore fino al 3 dicembre 1860: vennero infatti redatti in tedesco. Grandi bancari e grandi industriali in Croazia in pratica non ve ne erano e spesso ciò si tradusse a svantaggio dei piccoli imprenditori. Non circolava ricchezza. A Osijek quindi l’azione della Camera di Commercio proseguiva assai lentamente e con difficoltà, mentre a Rijeka (Fiume) ove vi erano armatori, grandi commercianti e industriali, l’istituzione aveva preso un certo impulso. Il pensiero di Tkalac era quello di promuovere attraverso le relazioni scritte l’autonomia e la promozione individuali e l’autoconvinzione a razionalizzare l’economia, di qui la competitività. Pure l’arretratezza del mondo contadino croato avrebbe potuto profittare di tali nuove idee in campo economico. L’agricoltura era la base dell’economia croata ed aveva una struttura assai gracile se si considerano ad esempio diversi monopoli imposti come quelli per la produzione e il commercio della seta e del tabacco, nonché le alte imposte per la produzione di bevande alcoliche. Lo sbriciolamento delle antiche istituzioni patriarcali ( zadruge ) condusse allo sparpagliarsi dei possedimenti e al conseguente impoverimento delle famiglie contadine croate. In Tkalac è poi ben presente quella divisione progressiva e verticale tipica del mondo slavo meridionale, tra città e campagna che influisce non poco sulle strutture socio - economiche della nazione. Le idee liberali erano quindi ben accette nell’ambiente urbano dove la borghesia era aperta a tutte le innovazioni provenienti dall’Europa, mentre il mondo contadino, impermeabile a tali idee, viveva chiuso nei suoi problemi sull’orlo della fame, tra molte difficoltà e con un’infima cultura. Se solo le leggi fossero adeguate ai tempi, pensa Tkalac, anche le masse contadine si ammodernerebbero: purtroppo, soprattutto la porzione di Croazia che vive sotto l’Ungheria è ancora semifeudale. In circostanze favorevoli le qualità e la professionalità dei contadini troverebbero conferma in una velocizzazione dello sviluppo agricolo e dei commerci conseguenti. Nel 1865 in Croazia e Slavonia non vi erano banche ma solo due Casse di Risparmio. Con la dissoluzione delle proprietà collettive di tipo patriarcale venne riconosciuta solo la proprietà individuale e la maggioranza era costituita da piccoli possedimenti provenienti dal colonato in seno alle strutture feudali con porzioni di villaggio insistenti su rustici di proprietà nobiliare e i membri delle famiglie rurali servivano di supporto per lavorare la terra. Anche se lo Stato aveva dichiarato la fine del feudalesimo, i suoi residui erano ancora influenti e non erano state tolte le proprietà allodiali (terre possedute in piena proprietà ed esenti da vincoli feudali) in mano alla nobiltà e men che meno era avvenuta la loro ripartizione tra i coloni come avrebbe voluto la riforma agraria. Gli allodi costituivano poi dei veri e propri punti di forza e di autonomia per la nobiltà e favorivano il controllo anche di istituzioni religiose come i conventi quando un allodio veniva donato. In Croazia e Slavonia rimase significativo il latifondo che comprendeva circa il 25% delle terre coltivabili. (Marko Rimac – “Etni čka i socijalna struktura stanovništva Hrvatske i Slavonije prema popisu stanovništva iz 1890 godine” - Zbornik Odsjeka za povijesno znanosti HAZU, vol.25- Zagreb 2007, str. 237 - 239- ) Se poi si mettono da parte le proprietà comuni rimaste e i beni municipali, restano le proprietà fedecommessarie e quelle basate sul “ komposesorat ”. Le prime sono basate sul fedecommesso (da fides + committere ) disposizione testamentaria in cui s’ istituisce un erede o un legatario con l’obbligo di conservare inalterati i beni da parte di un determinato e ben individuato erede e di passarli poi in successione a persona specificatamente nominata come suo erede. In tal modo i beni immobili restano sempre in famiglia come indivisibili e invendibili. Il komposesorat invece è il magiaro közbirtokossàg o comunità delle foreste e dei possessori di terre e campi e comprendeva pure i pascoli; il tutto era nelle mani di comunità rurali di piccoli nobili e tale tipo di proprietà era esteso in tutte le regioni europee su cui governava l’Ungheria: Croazia (in parte) e Slavonia, Transilvania, Slovacchia, Banato. ( Milan Ivši ć - “Razvitak hrvatskog društva u drugoj polovici XIX stolje ća” u: Obzor. Spomen - Knjiga 1860 – 1935 Zagreb 1936, str. 205 -) Tkalac si batteva chiaramente contro tute queste problematiche feudali e contro l’ingerenza magiara in Croazia. Lo sviluppo economico richiedeva anche delle buone comunicazioni e quindi la costruzione di strade, ferrovie e il mantenimento delle vie d’acqua sia per irrigare la terra che per navigare. I porti andavano visti in prospettiva con lo sviluppo dell’entroterra e del collegamento di questo col mare. Le ferrovie significavano poi investimenti di capitale e la preparazione ad un prospero futuro per diverse regioni ove venivano coinvolti interessi politici ed economici. Le vie ferrate secondo Tkalac, potevano servire nel caso specifico a collegare la Croazia con la Monarchia onde meglio integrarla in essa. Lo sviluppo materiale di un popolo avrebbe poi portato gradatamente anche al suo sviluppo culturale. Quindi si può concludere (cfr. Andrea Feldman - “ Imbro Ignjatijevi ć Tkalac - Evropsko iskustvo hrvatskog liberala – 1824 –1912 -“ Izd. Antibarbarus, Zagreb 2012 I. I. T - ) che se da un lato il liberalismo voleva modernizzare l’economia, dall’altro era profondamente conservatore e non escludeva l’assolutismo di Bach perché sarebbe servito a risolvere i problemi dell’Impero e a renderlo competitivo in una cornice di ordine sociale, anche se va detto come rimasero insoluti i problemi non da poco delle nazionalità e dell’eccessivo centralismo. Dopo l’esperienza della Camera di Commercio di Zagabria conclusasi nel 1861, Tkalac divulgò le idee panslave attraverso le colonne del giornale Ost un West a Vienna, fino al 1863. Il suo pensiero era imperniato sul fatto che da una parte e dall’altra della Sava e del Danubio viveva un popolo unico con un’unica lingua e con usanze comuni. Si proclamò quindi antiaustriaco e a favore del distacco della Croazia dall’Impero. Nel novembre 1862 Tkalac venne condannato a sei mesi di carcere per aver contravvenuto all’ordine pubblico, alla quiete pubblica e per aver svolto azione propagandistica antigovernativa. Fu esule in Russia, poi in Francia (Parigi) e infine in Italia (Torino). L’uomo Tkalac possedeva una cultura non comune: parlava russo, tedesco, francese e italiano, oltre che il croato sua lingua madre; era versato in diversi rami del

sapere come la filosofia, la storia, il diritto, l’economia, la teologia, le scienze politiche. Fu liberale e austroslavista, ma gli anni ’60 del XIX secolo lo portano decisamente ad essere slavista e possiamo azzardare jugoslavista anche se questo termine fu coniato ben dopo. Propugnò fortemente una politica antitedesca e antimagiara onde preservare lo spirito slavo della Croazia. A Torino Tkalac conobbe Kossuth e Garibaldi a partire dal novembre 1863 ed entrò al Ministero degli Interni d’Italia come traduttore su segnalazione dello stesso Kossuth. Era l’epoca del Ministro Ubaldino Peruzzi (80) moderato, (1863 - 1864 governo Minghetti nell’ambito della Destra Storica). Conosce il Nigra e tramite Marcello Cerruti, ex - console Sardo a Belgrado (58) e ora Segretario Generale di tale Ministero, entra poi in contatto con il Ministero degli Esteri. Qui conosce Isacco Artom (81), Capo di Gabinetto agli Esteri, che aveva pure contatti con il serbo Emanuele Joki ć. Artom e Cerruti sono uomini di Cavour e certamente le idee liberali del Tkalac possono averlo favorito nella carriera al Ministero degli Esteri. ( cfr. Angelo Tamborra - Imbro. I Tkalac e l’Italia - Istituto per la storia del Risorgimento italiano - Roma 1966) . A Torino incontrò in questo periodo Eugen Kvaternik. Un’analisi esauriente dei rapporti fra i due croati, ci fa ritornare un attimo ai lavori unici e veramente approfonditi di Ljerka Kunti ć. (p. es “ O nekim problemima djelatnosti I. I Tkalca u emigraciji”- Historijski zbornik – g. XIX - XX 1966 - 1967 Izd. Povjesno društvo Hrvatske - Zagreb). In pratica si tratta di una confutazione dei giudizi espressi dal Tamborra. E’ poco credibile infatti che i due croati, benché avversari sul piano delle idee, si siano scontrati e non è vero che il Kvaternik fosse ambizioso o un carrierista politico e neanche che lo Tkalac fosse così misurato con l’abito del tipico intellettuale. (Tamborra op. cit. p. 78 ). Erano antimagiari e Kvaternik curiosamente non era antiserbo. Vanno appunto sfatati alcuni miti come quello di un conflitto tra i due croati. Tkalac probabilmente sopportò per opportunismo e per la promessa di un lavoro il Kossuth, ma già nell’estate del 1865 a Firenze i due ebbero una profonda divergenza sulla questione orientale in quanto Kossuth avrebbe voluto conservare l’Ungheria storica o Grande Ungheria a discapito delle terre croate e non solo di queste, mentre chiaramente lo Tkalac voleva l’unione degli Slavi meridionali. Tkalac, così come Kvaternik, si mette all’opera per concludere uno sbarco in Dalmazia da parte italiana e per condurre alla rivolta le terre slave. Alla fine di giugno del 1866 viene stampato e tradotto in croato a Parigi, il “Poslanica ” (Il proclama) del Tkalac a spese del governo italiano e con la supervisione di Artom e Kossuth. Il 4 marzo 1864 il Kvaternik ebbe un incontro con il Cerruti (58) ( Kerubin Šegvi ć Drugo progonstvo Eugena Kvaternika - Zagreb 1907 p.84) ove chiaramente quest’ultimo lo mise al corrente delle idee del governo sulla Dalmazia e l’Istria (governo Minghetti, francofilo e antigaribaldino) “… io, a nome del governo vi posso dire apertamente che nessun italiano onesto pensa di invadere quelle terre unicamen- te croate. Io le conosco. Sono croate e non italiane e gli Italiani si trovano solo nelle città. L’italianità è solo una brutta traccia della colonizzazione veneziana. La stessa Trieste non ci appartiene, essa è croata …(sic!) ” (Ljerka Kunti ć - op. cit. p. 431 ). Di certo in quei momenti i governi italiani pensavano per prima cosa a non alienarsi gli Inglesi che non vedevano di buon occhio un allargamento italiano in Adriatico e quindi a non contrariare l’Austria, oltre al fatto di porre Garibaldi in un certo isolamento e il governo La Marmora, successivo a questo, proseguì tale strategia. Occorreva legarsi alla Francia e attendere per lo Stato pontificio, anche se altre correnti della Destra Storica come quella facente capo a Ricasoli,vedevano piuttosto un alleato nella Prussia. I commenti di Tkalac e Kvaternik sulla politica in Croazia si possono sposare idealmente con quelli del Narodna Stranka o Partito Nazionale di Strossmayer e Rački in cui si mescolano la presenza di antichi statuti fonte di ulteriore ricerca storica e anche leggende che ebbero parte come componente della storia croata nel XIX secolo. La differenza tra Tkalac e Kvaternik è che il primo diverrà funzionario del governo italiano mentre il Kvaternik entrerà in Parlamento al Sabor croato; non si può certo misurare il lavoro di Kvaternik col metro del patriottismo rivolto verso l’Italia. E Tkalac avrà profondo rispetto per l’amico che divenne parlamentare e come lui si ritrova su posizione antimagiare. K. Šegvi ć ( op. cit. p. 176 ) afferma che Marcello Cerruti domandò al Kvaternik circa lo Srijem e questi rispose chiaramente che “… noi Croati in tali circostanze lo daremo in mano ai Serbi, ai Rumeni, agli Slovacchi, poiché è meglio che lo posseggano i Serbi che non i Magiari se non potessimo liberarlo…” Usa un’iperbole chiaramente, ma non esclude che i Croati possano un giorno liberarlo. Si conferma comunque per il dialogo con i Serbi. E nel giornale Hervat ( Il Croato ) – Zagabria 1869 n° 25 - Kvaternik scrive: ” …l’unica possibilità è la concordia fra Serbi e Croati in uno Stato che sia serbo e croato… ciò solo se i confini storici naturali interni restano quelli secondo la perenne verità storica ed etnografica; solo attraverso tale cammino si può mantenere la libertà tra tali popoli ..” Invita poi i Serbi a non mascherarsi sotto il fanatismo onde agire contro i principi di concordia e libertà, perché verrebbe meno un futuro migliore anche per loro e non solo per i Croati e parla di “serbismo” che uccide i Serbi che sono mezzi e fini di altre politiche (allude forse alla Russia ma forse anche all’Austria con cui gli Obrenovi ć allora regnanti in Serbia, avevano stretto accordi). ( Kunti ć- op. cit p. 436 ). Da tutto quanto esposto Tkalac e Kvaternik non furono mai in conflitto. La differenza tra di loro sta nel fatto che Kvaternik considerava Croati e Serbi come due popoli diversi e Tkalac invece li considerava due versioni della medesima cosa e quindi in ultima analisi, un popolo unico, andando perfino oltre Krleža (82); i fini antimagiari erano i medesimi e solo i mezzi per conseguirli potevano talvolta differire. A Kvaternik disturbava probabilmente solo il fatto che il liberale Tkalac fosse meglio introdotto nei circoli politici.

La questione che entrambi avevano a cuore e che era la più urgente, erano le relazioni con i Magiari e non con i Serbi. I due si vengono poi a compendiare nel momento in cui Tkalac vedeva di buon occhio una collaborazione tra il governo italiano e quello serbo, mentre Kvaternik aprì la questione spinosa dei confini di Istria, Fiume e Dalmazia, entrambi argomenti di non poco peso sullo scacchiere adriatico - balcanico. L’obiettivo di entrambi era di unire i popoli slavi meridionali con confini esterni e interni precisi con dovute compensazioni e collaborando a un unico movimento nazional rivoluzionario, il che avrebbe poi aperto certamente il problema di instaurare una federazione o una confederazione di Stati. Le questioni sollevate da costoro rimasero sul tappeto per 150 anni circa. Inoltre va sottolineato come l’analisi della Kunti ć avviene in tempi non sospetti alla fine dell’epoca Rankovi ć (83) in seno al KPJ, là ove vi sarebbe stata tutta la convenienza a far passare finemente il Kvaternik per quello che non era mai stato e fa seguito a una serie di opere sulla politica croata che partono dal 1957 e arrivano fino al 1969 per proseguire poi fino al 1990. Nel 1971, probabilmente nel periodo della Primavera di Zagabria, i suoi lavori su Kvaternik vengono raccolti nel libro: Politi čki spisi, rasprave, govori, članci, memorandumi, pisma –

Tkalac passa quindi alle dipendenze del Ministero degli Esteri a Firenze e a Roma. Nel 1871 viene naturalizzato cittadino italiano e nel 1872, quando Artom (81) è ancora nel Ministero, viene nominato interprete di prima classe e lavorerà fino al 1908. Infatti la Gazzetta Ufficiale del Regno d’Italia del 13 gennaio 1900 lo classifica appunto interprete di prima classe ed esaminatore ai concorsi per la lingua tedesca e così compare in quella del 19 marzo 1902. In realtà Tkalac sotto tale copertura era consigliere per le questioni slave e analista della stampa slava e tedesca. Non dimentichiamo che nel 1882 l’Italia caldeggiò la Triplice Alleanza. Pur naturalizzato italiano egli è sempre uno straniero che ha nostalgia del suo paese lontano e scrisse sempre volentieri delle questioni che la affliggevano e volentieri incontrò a Roma lo Strossmayer (84) (Vescovo di Đakovo) Medo Puci ć (85) (Orsatto Pozza che secondo Kvaternik avrebbe dovuto essere uno dei triunviri croati) cattolico, politico che si era dichiarato serbo e Franc Mikloši ć (86) sloveno, filosofo . Scrisse nostalgicamente della propria gioventù nei “ Uspomene iz mladosti ” ( Ricordi di gioventù ) in cui cercò di presentare all’Occidente la Croazia sotto una buona luce. Il Ministro degli Esteri Visconti – Venosta (87) è per lo statu quo nei Balcani e appoggia le proposte di riforma del Ministro degli Esteri austriaco Andràssy. Pure la Sinistra Storica di Depretis condivide il disinteresse per le questioni orientali e l’Austria gode nel contempo di una forte posizione. Il Congresso di Berlino del 1878 ha visto la scarsa considerazione dell’Italia da parte di Vienna e Berlino a causa soprattutto dell’irredentismo e all’Italia, dopo gli eventi di Tunisi favorevoli alla Francia, non restò altro che togliersi dall’isolamento ed entrare nella Triplice Alleanza che fu assai desiderata proprio da Roma. Di qui la politica estera italiana assumerà due direttrici: Africa e Balcani. La corrosione della Triplice avverrà proprio a causa dei Balcani ove l’Italia rivendica le terre irredente e un controllo sull’Albania in concorrenza con l’Austria. Probabilmente Tkalac fu amareggiato dal collaborare a tale politica che come soluzione finale presentava solo l’intervento armato. Questo sul fronte italiano. Sul fronte croato il dialogo che comunque Tkalac aveva instaurato col Kvaternik era destinato alla dissoluzione. Almeno tre furono i fattori che concorsero al conflitto aspro che oppose Serbi e Croati: il Bano Khuen – Héderváry (88), Isaiah Joshua Frank (39) e il problema dei Serbi delle Krajine. Khuen - Héderváry (1849 - 1918) fu l’artefice della politica della Grande Ungheria dai Carpazi all’Adriatico con l’inclusione di gran parte della Croazia nel territorio ungherese. Assunse la carica di Bano nel 1883 e praticamente non osservò mai le disposizioni del nagodba o accordo tra Croazia e Ungheria del 1868 che fece seguito a quello del 1867 tra Austria e Ungheria in cui la Monarchia diveniva duplice e veniva divisa in Transleithania (Ungheria) e Cisleithania (Austria). Inoltre l’Ungheria aveva acquisito per se il porto di Fiume (Rijeka).

L'impero Austro-Ungarico nel 1914 - "Regni e le Terre" della metà Cisleitana dell'impero (in arancione e rosa): 1.Arciducato d'Austria Inferiore 2. Arciducato d'Austria Superiore 3. Regno di Boemia 4. Marchesato di Moravia 5. Ducato di Slesia 6. Regno di Galizia e Lodomeria 7. Ducato di Bucovina 8. Regno di Dalmazia 9. Litorale Adriatico 10. Ducato di Carniola 11. Ducato di Stiria 12. Ducato di Carinzia 13. Ducato di Salisburgo 14. Principato del Tirolo 15. Terra di Vorarlberg Le "Terre" della metà Transleitana (in blu e azzurro):16. Regno d'Ungheria 17. Regno di Croazia e Slavonia 18. La città libera di Fiume. 19. Bosnia ed Erzegovina (in verde).

Il Bano Khuen avviò un vero e proprio processo di magiarizzazione della Croazia iniziando dal settore pubblico ove impose la lingua magiara. Francesco Giuseppe lo nominò Bano proprio per frenare la resistenza croata al dualismo nella Monarchia onde conservare il potere dell’Austria e impedire il dissolvimento dell’Im- pero. Fu una vera e propria dittatura che impose la politica ungherese con la forza per cui l’autonomia dei Croati venne molto limitata e nel 1884 i “Magiaroni” o Unitaristi, ebbero la maggioranza al Sabor di Zagabria. E qui s’innesta la scintilla che fece esplodere i nazionalismi. Khuen, visto che nel 1881 erano state abolite le Krajine incluse poi nel 1882 nel territorio croato, seguendo la nota politica del divide et impera , assunse come collaboratori alla sua politica i Serbi delle Krajine mettendoli così contro i Croati. Riformò (dal 1885 al 1887) la giustizia, mettendola alle sue dirette dipendenze; riorganizzò le županje e nel 1888 promulgò una legge elettorale basata sul censo, in cui solo il 2% della popolazione poteva votare, tenne sotto pressione l’Accademia delle Scienze e l’università e nel 1894 introdusse il magiaro nei ginnasi e nelle scuole, diresse in modo dittatoriale ed esautorò completamente l’amministrazione cittadina di Zagabria e promosse la costruzione del Teatro Nazionale Croato, invitò l’Imperatore alla sua inaugurazione il 14 ottobre 1895 e gli studenti e i professori di Zagabria inscenarono una dimostrazione davanti a Francesco Giuseppe ove bruciarono la bandiera ungherese. Rese finanziariamente dipendente la Croazia dall’Ungheria e nel 1903 rese obbligatoria la lingua magiara su tutte le tratte ferroviarie croate. Il 23 giugno 1903 a seguito anche di rivolte contro quest’ultimo provvedimento fu rimosso dalla carica e divenne Presidente del Consiglio a Budapest. Da questa magiarizzazione forzata uscì un rafforzamento del nazionalismo croato. (cfr. Mirjana Gross - “Izvorno pravaštvo. Ideologija, agitacija, pokret” - Golden Marketing – Zagreb -2000) Nel settembre 1902 a Zagabria vi erano stati dei disordini fomentati dal Partito del Diritto di Josip Frank, volti contro i Serbi. Era accaduto che il giornale Srbobran, condotto da Svetozar Pribi ćevi ć (89), aveva ripreso un articolo della stampa belgradese in cui si denigravano i Croati, la loro lingua e le loro usanze, la loro storia e le loro caratteristiche nazionali e in più si diceva che eventualmente tutti i Croati potevano essere tranquillamente assimilati dai Serbi. Ventimila persone scesero in piazza e vi furono scontri, incendi e saccheggi di beni e istituzioni serbi. Pribi ćevi ć fu sempre convinto unionista degli Slavi del Sud e fu uno dei propugnatori del Regno dei Serbi, Croati e Sloveni che ebbe origine nel 1918 dalla dissoluzione della Duplice Monarchia. Fu però contro l’egemonismo di Belgrado che avrà la sua punta massima con l’istituzione della dittatura del re nel 1929 e cercò di allearsi con Stjepan Radi ć, capo dell’HSS o Partito Contadino Croato, di idee repubblicane. A causa quindi della politica filoserba dei Magiari e del regime odioso imposto ai Croati (avevano ben ragione Tkalac e Kvaternik ad osteggiare i Magiari), in Croazia dal partito del Diritto di Ante Star čevi ć (39 bis) originò il partito Čista Stranka Prava o Partito del Diritto Croato Puro (1895) e alla morte di Star čevi ć (1896) le sue redini vennero prese da Isaiah Joshua Frank (39), ebreo poi convertitosi al cattolicesimo col nome di Josip. La miglior definizione di Frank venne data dal poeta croato August Šenoa (90) che di lui disse: “ L’infame avvocato di Zagabria… degrada e insudicia tutto ciò che è croato, dapprima a beneficio dei magiari e ora a beneficio degli Austriaci. Frank è un verme politico che servì Rauch (Bano voluto dall’Austria) e poi il Comando generale (lett. Svevo – Švab : tedesco in senso spregiativo) tedesco. Offrì se stesso all’elettore ortodosso a Pakrac,vantandosi di proteggere gli interessi serbi…” (Miroslav Krleža - alla voce Frank Josip - Enciklopedija Jugoslavije – 1958 - Zagreb Leksikografski zavod FNRJ - p. 387 – 3) Addirittura Frank pur di non collaborare con i Serbi si oppose al “nuovo corso” politico di riavvicinamento con i Serbi propugnato invece dal Partito del Diritto di Frano Supilo (91). E’ facile capire da un lato la delusione di Tkalac innanzi a tali eventi e dall’altro che Croati e Serbi sono divenuti tra loro nemici a causa principalmente delle manipolazioni esterne di altre potenze che promuovevano i loro propri interessi sulla pelle di costoro, non escludendo neppure in quell’epoca, la Russia. Il fanatismo di Frank, agente prezzolato dall’Austria per seminare il divide et impera, fu portato alle estreme conseguenze da Ante Paveli ć che lo completò con una buona dose di antisemitismo.

Tkalac lo abbiamo lasciato in Italia per questo necessario excursus rapido che serve a far capire al pubblico dei lettori come si pervenne a tali incomprensioni. Nelle Italienische Plaudereien o Chiacchiere italiane pp. 89 - 93, pubblicate a Lipsia nel 1876 (prima edizione) e poi nel 1894 sotto lo pseudonimo di Hektor Frank, parla dell’Italia e di Torino e se da un lato è originale come giudizio di un croato sulla città in tre tempi diversi, dall’altro è meno originale perché comunque riproduce a sua insaputa giudizi di altri viaggiatori e conferma comunque lo status della città in tali diversi decenni. Tkalac fu a Torino nel 1846, nel 1863 e nel 1874. La prima volta vide Torino come città noiosa, grigia, troppo ordinata, tranquilla, molto francese e un po’ triste e involontariamente ricalca il pensiero precedente di Chateaubriand che la vide nel 1803. Segno che dall’epoca napoleonica, con la Restaurazione conseguente Torino non era affatto cambiata. Rimase a Torino fino all’aprile 1847. Nel 1863 la riconosce invece come capitale del neocostituito Regno d’Italia e ne è invece entusiasta perché comunque vede realizzato il programma di idee liberali, una politica da lui caldeggiata anche per la Croazia avverso allo strapotere dell’Austria. Tutto appare più bello e si paragona il Piemonte alla Prussia: due popoli che hanno ridimensionato l’Austria: è la sbornia della vittoria che compensa i patimenti e i sacrifici di tutti. Oggi in Italia, sembra pensare, domani in Croazia. Esalta la laboriosità, la tenacia, la forza, la serietà dei torinesi e dei piemontesi, nonché il loro spirito di sacrificio. Nel 1874 trova una Torino cambiata, non più capitale d’Italia, che sta diventando una città industriale con una solida affermazione della borghesia e un lento tramonto della nobiltà.

Sono in parte le impressioni anche del ginevrino Charles Du Bois - Melly del 1875, in cui questi individua come futuro di Torino, poiché non è più capitale, la nascente industria unita alla prosperità commerciale, dovute a due virtù piemontesi: laboriosità e pazienza. Il Ministro Emilio Visconti Venosta inviò successivamente Tkalac a Roma come osservatore e informatore sui lavori del Concilio Vaticano I indetto da Pio IX, ove il 18 luglio 1870 venne approvato il dogma dell’infallibilità pontificia in materia di fede e morale. La preoccupazione del governo italiano era che si approvasse anche l’inviolabilità dello Stato della Chiesa e di certo lo Stato Italiano, basato sullo Statuto Albertino che riconosceva un forte legame col cattolicesimo, avrebbe subito dei contraccolpi e un’invasione dello Stato Pontificio avrebbe sollevato problemi di coscienza nello stesso esercito invasore poiché essendo i militari tutti cattolici, una scomunica per costoro sarebbe stato un fatto grave. Tkalac ebbe contatti con lo Strossmayer che pronunciò un famoso discorso contro l’infallibilità del Papa e con altri prelati della medesima corrente di pensiero. Il 19 luglio 1870 la Francia, protettrice dello Stato Pontificio, dichiarò guerra alla Prussia e a settembre era già sconfitta a Sedan. Tkalac nell’ultimo rapporto del 21 luglio 1870 invitò il governo italiano all’azione prima che la seconda sessione del Concilio Vaticano I si riaprisse e il 20 settembre 1870 Roma fu annessa all’Italia. Tkalac morì a Roma l’8 gennaio 1912 nella sua casa di Corso Vittorio Emanuele 145 e pare venisse assistito negli ultimi giorni dalla Regina d’Italia Elena del Montenegro.

I.I. Tkalac alias Hektor Frank – Italienische Plaudereien.

Queste Chiacchierate Italiane, di cui già abbiamo dato qualche rapido accenno, vennero pubblicate a Lipsia nel 1876 con lo pseudonimo che lo Tkalac usava scrivendo opere in tedesco probabilmente per evitare i controlli della polizia asburgica. L’opera si compone di ventisette capitoletti intitolati alle materie più disparate: psicologia, criminale, scuola in Italia, architettura, storia dell’arte, istruzione e università in Italia, mercato immobiliare, musicologia, arazzi, calcografia, pittura, processo Sonzogno, celebre omicidio compiuto in quell’epoca, Goethe ecc., il tutto riferito all’Italia. Ma quello che più interessa è il cap. 6. “Una Regia Città perduta” (usa Königsstadt e non Hauptstadt o capitale), ossia Torino. Inizia il capitolo inquadrando la situazione molto in generale e può ben meditarla, scrivendo una decina di anni dopo rispetto agli avvenimenti: quelli del settembre 1864. Usa un tono paternalistico e consolatorio e a p. 88 parla immedesimandosi in un piemontese patriota cui sanguina il cuore per il trasferimento della capitale a Roma e però il buon uomo ha infine una consolazione: che Torino rimane la culla dell’unità e della libertà d’Italia. E consolazione saranno pure il ricevimento dello Scià di Persia e del sovrano birmano a Torino. Ben magra consolazione se ci pensiamo bene. Ma d’altra parte Torino è stata capitale provvisoria d’Italia e il fatto che viene qui travisato, non è quello per cui i torinesi non volessero Roma capitale, quando più volte lo stesso Cavour lo aveva annunciato in Parlamento, ma fu il modo con cui avvenne il trasferimento, che non piacque neppure a D’Azeglio. Qui Tkalac va sulla scia della vulgata secondo cui i torinesi volevano Torino come unica e definitiva capitale d’Italia, posizione comunque minoritaria e di tutto rispetto, portata avanti ad esempio da Federico Sclopis. Se andiamo a sfogliare l’opera di Angelo Tamborra “ Imbro. I Tkalac e l’Italia”- Istituto per la Storia del Risorgimento- Roma 1966- vediamo come lo Tkalac, provenendo la seconda volta a Torino nel novembre 1863 con passaporto russo da S. Pietroburgo, dopo il carcere e le condanne subite in Austria, assume il falso nome di. E. Moeller. Tommaseo dubitava che fosse, assieme a Kvaternik, una spia russa e in realtà era un po’ una spia al servizio di tutti. L. Kossuth, massone oltre che capo indiscusso del movimento independentistico magiaro, presentò il fratello Tkalac al Ministero degli Interni ove risiedeva Ubaldino Peruzzi, proprio il Ministro responsabile dei disordini di Torino del settembre 1864. Approda anche al Ministero degli Esteri ove segretario generale vi è quel Marcello Cerruti che tra il 1849 e il 1850 fu console del Regno di Sardegna a Belgrado e poi con lo stesso Isacco Artom. A Karlovac, città ove nacque Tkalac, una loggia massonica, benché ve ne fossero altre già a partire dal 1780 la loggia Hrabrost o Coraggio svolgeva i lavori in tedesco ma dopo il 1787 non ne abbiamo più notizia. Nel 1809, in epoca napoleonica, viene fondata la loggia Sveti Ivan Hrvatski o San Giovanni di Croazia che nel 1813 possiede tredici membri. Tale loggia era posta sotto l’egida del Grande Oriente di Francia. Tra i primi membri croati della loggia di Karlovac vi furono il sindaco o maire Šporer e un sacerdote cattolico che si diedero subito alla propaganda tra i concittadini ma con scarsa riuscita. ( Imbro Ignjatijevi ć Tkalac- Uspomene iz mladosti u Hrvatskoj - Srpska književna zadruga, kolo XXVIII . br. 187, Beograd 1925, p.30, ricordi di gioventù comparsi già nel 1894 in tedesco a Lipsia- Ivan Muži ć- Masonstvo u Hrvata – VI. Edizione rivista- ed. Laus- Split-2000). Il Peruzzi (Tamborra op.cit. p.70) concede una paga di 300 franchi allo Tkalac per il suo “lavoro giornalistico” e questa però non lo soddisfa appieno. E (p.88 op. cit.) già il 4 gennaio 1864 informa il Cerruti sulle intenzioni di Kossuth che non collimavano spesso con il pensiero nazionale croato e neppure con quello jugoslavo. A p.89 delle Plaudereien descrive poi la sua prima visita a Torino tra il 1846 e il 1847 all’epoca di Carlo Alberto. E’ una città noiosa, rettilinea , più francese che italiana, una sorta di sobborgo di Parigi, pulita e tirata a lucido, laboriosa e tranquilla, dove ad ogni passo s’incontrava un

prete, un monaco o un ufficiale dove mai si sentiva in pubblico una conversazione politica; trascorre due giorni nella Pinacoteca (Bildergallerie- Galleria Sabauda) e il terzo, assai sollevato, parte per Genova. (p.90). Non sarebbe forse stato così sollevato se avesse saputo che Genova era la città preferita dal reazionario e codino Carlo Felice, in realtà un grande e poco noto sovrano. Questo probabilmente per sottolineare uno spirito torinese ancora legato alla Restaurazione, bacchettone, chiuso, freddo, grigio, scolpito nelle figure non casuali che Tkalac incontra o che fa incontrare a sé stesso, come se non ci fosse un popolo. Per dire subito dopo che “ Ho incontrato Torino dopo molti anni ed essa è la città più interessante d’Italia”, come se ci fosse stato un fiat lux esploso con il 1848. Al suo ritorno con tono adulatore e non si sa quanto sincero, trova simpatico persino il dialetto piemontese. Questo non è affatto un diario di viaggio ma è un pamphlet ove Tkalac espone le sue idee politiche o almeno quelle che collimano con il governo Minghetti. Paragona poi il Piemonte alla Prussia per il patriottismo e la disciplina e questo anche alla luce di un avvicinamento dell’Italia alla Germania che iniziava a realizzarsi in quel periodo. Nel novembre 1863 era arrivato a Torino via Moncenisio ove trovò neve e ghiaccio, ma a Torino invece vi era una giornata autunnale ma calda. L’inverno a Torino, a causa della vicinanza delle Alpi e della Pianura Padana, sarebbe stato assai freddo. Qui pare finalmente provare qualche emozione ma abbastanza distaccata. Ci fornisce comunque un quadro di come si viveva a Torino in quel tempo. P.92 “ Sono andato al caffè (forse era proprio il Fiorio allora della Confederazione Italiana). I Portici di Po brulicavano di persone che passeggiavano per riscaldarsi con il movimento. La stessa folla nei caffè e nelle chiese. Le donne con il tempo brutto, se non hanno un bisogno urgente, non abbandonano la casa, ma qui ho visto sempre più donne per strada nei giorni più freddi. Escono solo per scaldarsi perché questo a molti non è possibile in casa. Tra le 10.00 e le 13.00 del mattino e tra le 19.00 e le 23.00 serali, una gran folla si radunava nei caffè, tanto che solo con molta fatica e pazienza era possibile trovare un posto e sorseggiare una tazza di caffè. Qui,uomini, donne, bambini con vestiti invernali assai leggeri, con il naso rosso e le mani violacee si scaldavano, dal momento che non vi erano stufe, l’un l’altro diffondendo il calore umano. Gli unici veri punti caldi erano le tribune della Camera dei Deputati e del Senato i cui seggi erano riscaldati ad aria. Ma dal momento che solo poche centinaia di persone potevano trovare spazio nelle tribune, non molte persone in cerca di calore quindi, potevano beneficiare di tale servizio….” I teatri erano tutti senza riscaldamento. Le temperature nel dicembre 1863, andavano da –10 a –13. Eppure sotto questi portici si vendeva di tutto : chincaglierie, libri, foto, materiali di cartoleria… I venditori sono soprattutto donne e pochi sono gli uomini. Dal mattino fino a notte fonda, le mani di tali donne non si arrestano, col bello e col cattivo tempo, si siedono sulla strada, all’aperto e cuciono, lavorano a maglia , fanno fiori artificiali, legano scope e impagliano sedie. P.95- “ Più vivevo in mezzo a loro e più ero solidale con questi piemontesi e più imparavo a rispettarli. …. Ciò che manca qui dell’abbondanza dello spirito, delle battute, della socievolezza amabile dei lombardi, dei toscani, dei romani e dei napoletani, viene abbondantemente sostituito da quelle caratteristiche proprie di popolo con il senso dello Stato e ciò li differenzia dagli altri. Con i grandi capolavori dell’arte visiva, della musica e della poesia, non si sarebbe potuto creare uno Stato d’Italia. …. Il piemontese è il più tenace, il più energico, il più serio di tutti gli italiani e così ha portato a termine ciò che gli altri avevano solo pensato o sognato. Vi è qualcosa nel suo patriottismo che ricorda Roma antica.” P. 95-96 e sgg. inizia una vera e propria “tirata” anticlericale, là ove parla della feroce battaglia tra il governo piemontese e la Curia Romana. Fino al 1848 il Piemonte - secondo lui- era più di ogni altro Stato italiano, sotto l’egida dei Gesuiti che avevano libera ingerenza nella Chiesa, nella scuola, nella famiglia, nell’amministrazione statale e Carlo Alberto si era arreso senza condizioni a tale andazzo. (La città grigia che vide in quegli anni). Quando all’inizio degli anni Cinquanta a causa delle leggi Siccardi, scoppiò la guerra tra il Piemonte e il Vaticano, si pensò che tutta la famiglia dei religiosi del Piemonte avrebbe condotto

una campagna contro lo Stato a favore della Chiesa. Grazie all’egida clericale, tale obiettivo era rimasto inalterato e si basava sul veleno letterario introdotto dalla Riforma, dagli Enciclopedisti e dalla filosofia e anche quelli che si erano allontanati segretamente da tali idee non osarono ammettere che si stavano sbagliando. In pratica con le leggi Siccardi venivano aboliti il Foro Ecclesiastico che sottraeva alla giustizia ordinaria gli ecclesiastici, il diritto di asilo nelle chiese e nei conventi e la manomorta, ossia l’inalienabilità dei beni ecclesiastici. Considera Tkalac che la libertà recentemente conquistata nel 1848, con la soppressione dei Gesuiti, la libertà concessa a Valdesi ed Ebrei, non poteva avvelenare in così breve tempo una società ecclesiasticamente orientata. Faranno seguito poi le leggi neogiurisdizionaliste che però ci porterebbero fuori tema. Tkalac afferma che Siccardi stesso era tormentato dall’ansia e non era sicuro dell’effetto che le sue note leggi “innocenti” (certamente se paragonate alle successive) avrebbero avuto sulla popolazione. Ci sarebbe stato predominante tra la borghesia statalista e i cattolici? A p.97 continuando le invettive, tira in ballo pure la Vita di Gesù di Renan che riconosceva solo la natura umana di Cristo e che ovviamente era osteggiata dalla Chiesa in quanto si richiamava al nestorianesimo scindendo le due nature e riconoscendo in Maria la madre di Gesù uomo ma non la Theotokos o Madre di Dio. A p.98 afferma che i preti vedevano in Torino una sorta di Sodoma a Gomorra e che erano contro il trasferimento a Roma della capitale che comunque se fosse avvenuto avrebbe avuto l’equivalente di un castigo. Alla pagina seguente afferma” I nuovi profeti applaudirono rumorosamente quando la Convenzione del 15 settembre 1864 venne conclusa con la Francia e venne stipulato quindi il trasferimento del governo da Torino a Firenze.” In realtà se si consulta la “Civiltà Cattolica ” dei Gesuiti (Anno Decimosesto – vol.I, Serie VI, 1865, Roma, pag. 490-521) di quegli anni, essi si pronunciano contro i modi attuati dal Ministero Minghetti onde trasferire la capitale e difendono Torino. Inoltre il 20 settembre 1864 viene arrestato un prete che parla a difesa di Torino. Per cui nessun ecclesiastico applaudì alla Convenzione. Si tenta di far passare qui i disordini di Torino come conseguenza di un castigo invocato dai preti e inflitto da Dio, quando semplicemente ne furono causa gli scriteriati che stavano al potere. “ P.99-…Torino fu espropriata senza pietà a beneficio di Firenze….erano in gioco interessi materiali e patriottici… I torinesi non sopportavano il loro destino come fecero invece i fratelli fiorentini intelligenti e timidi nel 1870, con eroico autocontrollo e apparente rassegnazione, ma gridarono a gran voce che Torino e Roma erano alla mercé ed erano sacrificate al capriccio del despota francese. Non è certamente vero che i torinesi abbiano causato i tragici tumulti di settembre, poiché questi furono opera indiscussa del Partito d’Azione e degli oppositori della classe operaia sotto il loro comando; ma è vero che la Convenzione di settembre ha fornito tanto materiale l partito clericale in Piemonte come non lo aveva avuto dal 1848”. E’ un periodo scritto all’insegna di chiari scuri, di falsità e mezze verità. Un esproprio senza pietà: non perché Tkalac uomo della camarilla Peruzzi ne sia dispiaciuto più di tanto se non per lacrime di circostanza, poiché sotto vi erano interessi materiali che si spacciano pure per patriottici. I torinesi passano poi per impulsivi (altro che bogia nen) a differenza del fiorentini saggi e politically corrects, con la differenza che gli interessi patriottici del Peruzzi, diventato sindaco di Firenze, portarono la città alla bancarotta per una serie di speculazioni piratesche e ben volentieri ci si liberava della patata bollente di una capitale in deficit per passare il testimonio a Roma. Vero è che i torinesi non hanno causato i tumulti anche perché la maggioranza dei contestatari arrivava da fuori e non erano operai ma artigiani; alcuni erano persino stranieri. Vero è che i tumulti furono provocati ad arte dal Peruzzi e dallo Spaventa per inscenare un quadro di paura e d’insicurezza che a Torino non esisteva onde poter trasferire il luogo più tranquillo la capitale. E il despota francese venne imbeccato dal Pepoli suo cugino circa la scelta di Firenze ( Roma era sotto la protezione francese) inviato da Minghetti che aveva fretta di firmare la Convenzione. Il Pepoli ammise ciò nel colloquio con il Re avvenuto il 14 agosto 1864. Ed ecco che viene comodo il Partito d’Azione con Mazzini e Garibaldi ( tra l’altro esiste anche una relazione

non ufficiale di tale Partito sui fatti del settembre 1864) fratelli già predisposti al ruolo di rompiscatole. Certo la Convenzione di settembre e le sue conseguenze hanno fornito non solo ai cattolici materiale per far dimettere tutto il Ministero e per condannare l’intervento poliziesco. Viene da pensare che Tkalac abbia usato lo pseudonimo e abbia pubblicato a Lipsia in tedesco, per non essere controllato anche dagli italiani. In quel tempo in cui tutto veniva silenziato e coperto, tanto che solo oggi si fa strada una qualche verità perché non è ancora tutta, il dire che la responsabilità non è dei torinesi e che Torino venne espropriata senza pietà, pur nell’anno in cui la sinistra moderata di Depretis venne al potere, poteva risollevare questioni ormai sopite con la forza e la censura. Tkalac aveva ottenuto solo nel 1872 il posto di interprete di prima classe al Ministero degli Esteri in Roma e non poteva compromettersi più di tanto. (Tamborra, op.cit . p.147). Tkalac riconosce comunque dei gravi danni economici inflitti a Torino e tuttavia dice che gli scontri non furono tanto opera di tale situazione quanto di azioni di gente malvagia. Oggi sappiamo chi ma non sappiamo a chi inviasse il messaggio il politico Tkalac. P.99-100- “ Per inciso, dal 20 settembre 1870 in Piemonte (Roma capitale), i bollori del popolo si calmarono quando questo si rese conto che Firenze doveva pagare l’onore affrettato di essere capitale provvisoria d’Italia con svantaggi ancora molto più gravi e duraturi, se non con la completa rovina finanziaria”. Dimostrazione che Torino, sulla scia di Cavour, voleva Roma capitale ma rimase e rimane ancor oggi lo sconforto e la tristezza dei modi tracotanti con cui ciò avvenne. Dopo nove anni Tkalac torna a Torino e siamo nel 1874 (quindi l’aveva lasciata nel 1865 essendo quindi testimone diretto dei fatti di Piazza S. Carlo). Vede che il cambiamento nel suo complesso non è poi così incisivo. Torino ha perso abbondantemente il ceto consumatore ma ha acquisito un nuovo e numeroso ceto produttivo e qui sta la differenza tra ieri e oggi. “La città si è notevolmente allargata e abbellita e l’industria si è molto sviluppata e non è diminuita affatto la nota eleganza dei negozi e dei caffè torinesi, è aumentata l’eleganza della moda femminile così come il lusso delle abitazioni. In molti passeggiano sotto i Portici della Fiera ( lato sud di Piazza Castello ove si trovava pure l’Hotel d’Europe) e sotto quelli di via Po come accadeva una volta, e vi si trova di tutto, tranne l’esercito di impiegati ministeriali che ora servono lo Stato a Roma. La borghesia va abbastanza d’accordo con la nobiltà,; la prima è più diligente e attiva che mai, e si adegua al cambiamento senza lamentarsi. La nobiltà invece mugugna sempre e a suo parere Torino doveva restare capitale e sede del re…” p. 101 “Sono felice di sapere che Torino non ha il carattere di una città in decadenza.. Come città regia ovviamente si è diversificata, ma è una città grande e prospera e potrebbe rimanerlo per sempre. La benedizione di una grande nazione si basa su di essa. E chi legge la storia della rivoluzione italiana ringrazia assai dei grandi sacrifici fatti dal Piemonte e da Torino per l’unità e la libertà d’Italia”- Torino agosto 1874. Una visione un po’ riduttiva della Torino bene che diventa borghese e si arricchisce di arrampicatori sociali, una Torino vista solo da piazza Castello, una città “smart” come diremmo oggi che poco ha a che fare con la miseria di Vanchiglia, di Bertolla o con lo sfruttamento della forza lavoro. Torino non decade proprio per le scelte illuminate dei suoi sindaci, Emanuele Luserna di Rorà, Giovanni Filippo Galvagno, Cesare Valperga di Masino, Felice Rignon, Luigi Ferraris, Ernesto Balbo Bertone di Sambuy ecc. in un’alternanza di nobili (affatto brontoloni) e borghesi di alto livello anche intellettuale. Torino va verso l’industrializazione ma la rivoluzione italiana avrebbe fatto volentieri a meno delle inutili vittime di Piazza S. Carlo non necessarie all’unità d’Italia ma fomite della sua eventuale disunione, là ove si ricorda che ancora oggi gli italiani sono ancora a fare. Va poi solo annotato a margine che i rapporti tra lo Tkalac e il Kvaternik erano pessimi sia perché il primo era jugoslavista e il secondo indipendentista e sia perché Kvaternik giudica Tkalac un traditore e una spia. (Tamborra op.cit. p.97). E dispiace per Tamborra, ma ambizioso era lo Tkalac ( Ibidem. p.78) e intellettuali lo erano entrambi e indubbiamente Kvaternik era più veemente, non fu mai massone mentre lo fu Tkalac.

Croatia minor o della quotidianità

La denominazione si riferisce a quei Croati, la maggioranza, di normale estrazione, che per i motivi più disparati si trovarono a vivere a Torino nel XIX secolo. Sono piccoli schizzi di vita quotidiana che hanno anche riferimento con la politica ma che per la gran parte sono dei casi umani.

Il primo è Brosovich Paolo Giulio (Brozovi ć), anno 1857 - di Zara - Dalmazia (Brosovik). Serie 1 Mazzo 11 AST – SR - Comitato centrale per l’emigrazione italiana; nel fascicolo si rinviene la sua storia. Prot. N° 4803 dalla R. Questura il 2/10/1857 - Brosovich Paolo Giulio fu Giovanni di aa. 34 di Zara. Per difetto di documenti in regola, venne arrestato il 18 agosto dai CC. RR di Carbonara (al Ticino), venne incarcerato a Mortara – tale città venne acquistata nel 1707 da Vittorio Amedeo II, divenne città regia e affrancata dal regime feudale - a disposizione di quell’intendente, che acquisite informazioni lo instradò a Torino con permesso provvisorio, ove si presentò al signor Marcello Marcelliano (92), direttore del giornale teatrale “Il Trovatore ”, di cui divenne segretario. Il Marcelliano era un altro esule originario di S. Giovanni Lupatoto (VR); il Brosovich aveva passato il confine al canale Gravellone per motivi politici perché Marcello Marcelliano lo aveva chiamato a Torino ma non aveva fatto a tempo a inviargli i documenti necessari all’espatrio. Ora ha inoltrato domanda e il direttore (cioè Marcelliano) conferma quanto esposto dall’interessato. In attesa del passaporto, viene così richiesto il permesso di soggiorno. Il 4/9/1857 vi è la richiesta del soggiorno al Questore, in attesa che, dandogli un termine, si procuri un passaporto del suo paese. Ma la R. Questura, per la circolare 8/2/1857 n° 899, non potendo accogliere tale istanza, rinvia il tutto al Ministero dell’Interno che il 4/10/1857 concede nulla osta per soggiorno e passaporto. L’ultimo documento è del 3/10/1857 ed è indirizzato all’Intendenza di Mortara e contiene un’istanza del Marcelliano per far venire il Brosovich a Torino; inoltre dalla denuncia dei Carabinieri si apprende pure che costui è agente di commercio, domiciliato a Trieste e che era fuoruscito per motivi politici.

In serie 2 Mazzo 44 AST - SR,troviamo nel 1867 un certo Karaic (s) padre Gerolamo. Il 4/1/1867, a Torino, gli viene rilasciato foglio di via gratuito, dell’ordine dei Minori Francescani, via Venezia, per il ritorno in Erzegovina, patria del suddetto, con apposizione di visto. Un croato, forse della zona di Bjelovar, che doveva tornare nell’Erzegovina ancora ottomana . Nel medesimo mazzo, troviamo nel 1868, Kova čić Giuseppa in Torino il 2/4/1868, di Antonio, aa. 24, nativa di Zagabria e dimorante a Trieste. Lettera al Prefetto di prot. 2684 ove si afferma che entrata nella Pia Opera del Rifugio di Torino il 27/7/1867 (opera fondata dalla marchesa di Barolo nel 1823 per le ragazze madri o per le ex - prostitute), avendo manifestato desiderio di rientrare a Trieste ove domiciliata, ed essendo priva di mezzi , viene munita di trasporto gratuito, con obbligo di presentarsi entro tre giorni alla Prefettura di Udine per essere abilitata a proseguire per Trieste ancora austriaca. Con lettera prot. 1190, il Prefetto Radicati (Costantino Radicati Talice, conte di Passerano) l’autorizza al rimpatrio da Udine il 5/4/1868 e viene data assicurazione a Torino da Udine con lettera prot. 3308, che la Kovačić viene munita di mezzi adeguati per raggiungere la frontiera austriaca. Segue un Horvat Giulio, aa. 39, forse croato di Pest, che il 6/6/1867, ottiene un foglio di via per ferrovia via Udine, onde rimpatriare con venti chili di bagaglio.

Nella Serie 2 mazzo 43 AST - SR, abbiamo tale Moritz Jakubovi ć – (scritto - Jakobowitz) proveniente da….(grafia illeggibile) San Martin (Turay (?) Sv. Martin na Muri?) ufficiale disertore. Il cognome potrebbe essere slavone. Nelle carte Cameroni Mazzo 12/1 troviamo che aveva 31 anni e che Carlo era il papà. E’ magiaro, primo tenente degli ussari di Kossuth e negoziante di cavalli, là ove si precisa che non ha mai servito in reggimenti austriaci (o è excusatio non petita o è la verità), proviene da Trieste via Milano. Va detto comunque che il direttore dell’archivio di Budapest nel 1934 era il prof. Emil Jakubovich. Jankovi ć Giovanni (stesso mazzo) (Ivan), aa. 23, provenienza Dalmazia in quel di Sebenico; è a Torino come disertore e desidera tornare in patria. Da Milano, la nota prot. n. 16544 P. G del 22/11/1859 lo dice disertore a Solferino e desideroso di arruolarsi con Garibaldi. Disertò dal 24 rgt. Cacciatori austriaci (che in realtà era il 24 btg. Cacciatori della brigata Recniçek). Ma venne incarcerato come sospetto a Modena per giorni 15. Rilasciatogli il foglio di via lo smarrisce e quindi viene tradotto a Pavia, passando per Lodi e Milano e poi a Torino, sempre come detenuto. Fuggì e il 31/1/1860 lo si dà già passato in Francia da Nizza (vecchio confine alla frontiera del Varo) per arruolarsi nella Legione Straniera. Il rapporto da Nizza è firmato “Governatore Montezemolo” (Massimo Cordero di Montezemolo) (93) Nel 1860 venne ricoverato in ospedale ma non sappiamo per cosa (letto n. 90) e il 9/3/1861, con foglio di via, torna a Milano, via Genova onde presentarsi all’Intendente. (L’intendente è una figura nata con legge del 1717 lungo il corso delle riforme attuate da Vittorio Amedeo II re di Sicilia al fine di amministrare a livello di provincia non solo le finanze, ma in genere come longa manus del sovrano, anche al di sopra dei prefetti). Tale foglio venne rilasciato a Ventimiglia e il soggetto è sussidiato fino a Sanremo. Il 14/3/1861 il rapporto della Questura di Genova afferma che il suddetto non può dirigersi a Marsiglia per arruolarsi nella Légion perché il Console Generale di Francia a Genova (ovviamente informando il Prefetto delle Alpi Marittime) su indicazioni di Parigi evidentemente, proibiva tale destinazione ai disertori austriaci. A Genova Jankovi ć riceve un foglio di via perché privo di mezzi. Da Milano, via Pavia, deve presentarsi a Torino e come detenuto vi arriva la sera stessa del 14/3/1861. Altro non si sa ma si può ipotizzare che con o senza detenzione costui venisse rispedito in patria perché privo di mezzi di sussistenza. Jela čić Francesco (Jellacic Francesco) aa. 37 calzolaio (Serie 2 Mazzo 43 AST - SR) da Trieste a Genova via Ovada e di qui si trasferisce come esule politico in Brasile; per far questo però doveva essere entrato negli Stati Sardi prima del Trattato di Pace del febbraio 1849. Evidentemente vi era una tendenza a restituire i sudditi austriaci al paese d’origine all’indomani della pesante sconfitta di Novara, che provocò l’abdicazione di re Carlo Alberto.

Il 2/4/1852 vengono arrestati tre disertori austriaci e un quarto viene ucciso.(Serie 1 Mazzi 67 e 74 AST - SR). Gli arrestati e il morto vengono definiti ungheresi e polacchi, ma parlano tra loro un dialetto che l’interprete non riesce a tradurre. I loro fucili vengono sequestrati e i tre superstiti vengono incarcerati a Mortara e poi tradotti a Vigevano. E questo lo sappiamo da una lettera dell’Intendente del 4/4/1852 al Ministero dell’Interno di Torino. Ministro dell’Interno era Giovanni Filippo Galvagno (94) e Primo Ministro dell’epoca era Massimo d’Azeglio. Quindi,il giorno 2/4/1852 i militi della Guardia Nazionale li avevano invitati a deporre le armi; due obbedirono, uno esitò e il quarto puntò l’arma a un milite e la scaricò, costui si difese e lo uccise. (Nota dell’intendenza di Mortara). Segue il rapporto dei CC. RR del 4 aprile 1852 - non dimentichiamo che la Lomellina era territorio Sardo - Piemontese dal Trattato di Utrecht del 1713 - in cui si afferma che il fatto avvenne a 3 km dalla città di Mortara sulla strada verso Albonese , vicino alla cascina detta Cereola, alle ore 8,15 del giorno 2. Costoro, appartenenti al rgt. Arciduca Leopoldo, provenivano da Abbiategrasso e la notte dell’1/3 entrarono nello Stato da Borgo San Siro (frontiera del Ticino). Si rifocillarono in un’osteria aperta tra Vigevano e Mortara, pagarono ma rimasero loro pochi soldi. Il milite che poi si difese dall’aggressione è un certo Vedano; del deceduto viene fatta “visita giudiziaria”(ossia l’autopsia) e le sera del 2 medesimo viene sepolto. Da un documento rinvenuto nel cappotto, si rileva come si chiamasse Tersten Giuseppe (Terstenjak); gli altri, Kikos Davide, Juro Bellan e Zadravitz Franjo (Zadravac o Zadravec), sembrano transilvani e degli ultimi due è riportata l’età di 25 e 26 aa; tutti costoro erano di servizio doganale al confine, nella zona di Abbiategrasso. Il giorno 3 il giudice istruttore di Vigevano e l’avvocato fiscale si trasferirono sul luogo del fatto. L’avvocato fiscale corrisponde all’odierno pubblico ministero da cui dipendeva la polizia giudiziaria. Infatti con legge del 14/12/1851 vennero varati nuovi provvedimenti penali in materia di arresti con maggior tutela per gli arrestati. Il giorno 5/4/1852 il Ministero dell’Interno di Torino, informa quello degli Esteri. In tale rapporto si parla quindi di un linguaggio non intellegibile e di “ungheresi confinanti con la Croazia”. Ovviamente si doveva provvedere a riconsegnare i prigionieri all’autorità austriaca al confine di S. Martino Ticino. L’avvocato fiscale di Vigevano si pronuncia per un non luogo a procedere ma i detenuti rimangono in carcere a disposizione. Il 27/10/1852 il Ministero degli Esteri Sardo decide la restituzione degli armamenti di vari disertori, tra cui Giuseppe Terstenjak, Franjo Zadrawatz (Zadravac o Zadravec), Gasso (Gašo) Ivanovich (Ivanovi ć) e Juro Bellan, arrestati per ribellione a forza armata il 2/4/1852 vicino a Mortara. Scopriamo così che si aggiunsero altri disertori e che in tutto con Ivanovich erano cinque. Il 9/11/1852,su istanza dell’I. R Comando della Lombardia, attraverso la Legazione Imperiale, presso il Ministero degli Esteri , quello dell’Interno e di Grazia e Giustizia Sardi, la Divisione Amministrativa di Novara dissequestra le armi e gli equipaggiamenti e li restituisce. (Tra l’altro 4 fucili di cui 3 con baionetta, una carabina, 2 pacchi di cartucce con palla da munizione, oggetti di uso personale e uno strumento per estrarre lo straccio per la pulizia dei fucili, del sacco si erano disfatti). Non si dice nulla dei prigionieri, ma avendo già deliberato di non procedere e di restituirli a S. Martino Ticino, la carcerazione era solo una misura cautelare per evitare la fuga. Linea morbida di Torino verso l’Austria. Terstenjak probabilmente era originario di Varaždin, Zadravec, costui è di Čakovec, mentre se è Zadravac è di Virovitica (purtroppo vi sono entrambe le diciture Zadravi ć (c) non esiste) Bellan forse è slavone di Pleternica, Kikos (š) potrebbe essere di Mu ć nella zona interna della županja di Spalato e Ivanovi ć Gašo (Gasso), può essere croato se è abbreviazione di Gašpar (zona di Đur đevac, Petrinja, di certo può essere frutto di emigrazione dal Montenegro), serbo se è abbreviazione di Gavrilo. Una lettera del Comitato di Soccorso per l’emigrazione italiana di Genova del 30/4/1850, (Serie 1 mazzo 51 AST - SR) parla di una non meglio precisata supplica sottoscritta da otto ex - ufficiali austriaci che si erano messi al servizio dell’insurrezione a Venezia e tra questi vi erano dei Croati: l’ex - capitano Petricevich (Petri čevi ć), probabilmente da Imotski, l’ex - ufficiale Caccih ( Čačić o Ćaćić, il primo potrebbe essere un cognome di Benkovac e il secondo un cognome di Gospi ć; purtroppo dalla grafia italiana non si è in grado di appurare) e infine un certo Battistich (Batistić) forse di Curzola - Kor čula. E’ interessante come questa venisse considerata emigrazione italiana, il che la dice lunga sulle radici profonde del nazionalismo dei circoli politici Sardi prima ancora che italiani. Già la carta corografica dello Stato maggiore Sardo del 1845, inglobava in Italia Crickvenica e arrivava alle Dinariche, nonché a Gorizia e Idrija. Si ipotizzano quindi due livelli sulla questione: uno militare e politico o almeno di una certa parte politica e l’altro a livello di intellettuali ancora patrioti e dialoganti, almeno fino al 1859. Il caso di Enrico Radognich (Radonji ć) Serie 1 mazzo 55 AST - SR giunto a Genova, è invece quello di una presunta spia (lettera del 14/10/1854) perché visto accompagnarsi con reazionari come il conte Scagli (?), in relazione con il console austriaco. Tale cognome potrebbe anche non essere croato e potrebbe provenire dal Montenegro o dalla Posavina bosniaca, nella zona di Doboj, anche se oggi in Croazia ci sono circa duecento persone che portano tale cognome.

Nel medesimo mazzo troviamo invece un ufficiale, Raoul Radossevich (Radoševi ć). Il 3 marzo 1859, il Gabinetto dell’Intendente di Pallanza, ci dice che un ufficiale austriaco era stato visto partire da Laveno e recarsi a Intra. Venne convocato dal delegato di Pubblica Sicurezza (oggi sarebbe un commissario) e disse di chiamarsi Radossevich e le lettere del 3 e del 4 del medesimo Gabinetto, confermano che è un disertore. Il rapporto dei CC. RR del 12 marzo 1859 ci dice che il nome di battesimo era Rodolfo. (Quindi da un biglietto da visita nel fascicolo c’è Raoul, ma i Carabinieri ci dicono Rodolfo; il che combacia, perché Raoul è Rudolf - tedesco- francesizzato e con un nome simile, novantanove su cento che costui è un croato). Disertò per sottrarsi all’arresto da parte dell’autorità austriaca; pare frequentare un certo Pedotti di Laveno, che per aver manifestato opinioni liberali si fece sei anni di prigione in fortezza a Mantova. (Forse é il padre di Ettore Pedotti? Costui fu garibaldino e poi ministro ed era di Laveno; nato nel 1842, nel 1859 avrebbe avuto 17 anni e il padre potrebbe essere l’amico di Radossevich.) Radossevich pare fosse inviso al suo capitano che lo malmenò e offrì le dimissioni che non vennero però accettate e sospettando un trasferimento nell’interno o un arresto, egli disertò. Pare che anche altri volessero disertare da Laveno, ma lui fece tutto in fretta e da solo, evidentemente per non essere tradito. I Carabinieri dicono che non desta sospetti e che i suoi principi politici paiono non essere conformi a quelli austriaci. Tuttavia le successive indagini dei CC. RR in una di poco successiva risposta, precisano bene gli scopi del Radossevic (sic!), in quanto si trovava in trattativa per prendere moglie ma non possedeva il capitale richiesto dai regolamenti militari onde assicurare la sussistenza della famiglia. Rimediò un impiego presso il Lloyd, che gli venne accordato, ma egli lo rifiuto dicendo che sarebbe stata viltà abbandonare l’esercito e la carriera militare in tempo di guerra (seconda guerra d’indipendenza che iniziò in aprile) e peggio ancora accettare un impiego civile. Il giorno successivo a tale dichiarazione disertò. Doveva così rinunciare o al grado o alla sposa e preferì rifugiarsi in Piemonte per aprirsi la via a contrarre matrimonio, evidentemente d’accordo con la futura moglie. Secondo i Carabinieri non è quindi da considerare esule politico perché fu sempre tedesco e mai liberale, anche se aveva amici in tal senso. Riguardo al breve accenno alla guerra, va detto che a Solferino, a Medole, era attestato il 52° rgt. fanteria di linea Arciduca Francesco Carlo, principalmente composto da Croati, ma altri reggimenti avevano fucilieri fiumani, italiani e croati dell’Istria, sloveni e inoltre per gli italiani, lo ribadiamo, fu una guerra civile se si considera come tra gli austriaci vi fossero vicentini e trevigiani tra i più decorati per il valore dimostrato sul campo, così come avverrà a Lissa e a Custoza. Va rilevato che Cavour in una lettera a Napoleone III (Carte Bianchi Serie 2- Mazzo 6 ASTC) afferma quanto segue: “ On porterait à l’Autriche un coup dont elle ne se relèverait jamais. Si pendant que nous lui font la guerre en Italie les Hongrois et les Croates lui échappent et se tournent contre elle, plus rien en pourra la sauver, pas même l’intervention de la Confédération Germanique toute entière”.

Era quindi sempre presente l’idea fissa di far disertare tali popoli o di farli rivoltare contro l’Austria. Infatti nel Mazzo 12/2 Carte Cameroni (AST SR) abbiamo diversi elementi croati che disertano per arruolarsi nell’esercito piemontese e molti provengono dal Canton Ticino. Il 14 aprile 1859 abbiamo Io (u) rich Giuseppe che se Juri ć è di Sebenico o Traù (Trogir), se invece è Jori ć con ogni probabilità non è croato, fu Giovanni da Pest (?) disertore dal reggimento di Stanza a Varese, ha disertato nel gennaio 1859 e proveniente dal Canton Ticino è entrato da Stradella, il 14 maggio 1859 abbiamo Banfy Simone (Banffy = Bani ć di Zara) proveniente dalla Dalmazia, sergente, gendarme di stanza in Boemia, in congedo a Parma e proveniente dalla frontiera oltre Varese, il 5 giugno 1859 Barichevitk (Bari čevi ć forse di Benkovac o della Zagora dalmata) Francesco di Antonio di aa. 29 da Vicenza, soldato del rgt. Winphen di stanza a Mortara, diserzione avvenuta il primo di giugno. Probabilmente non sono gli unici e inoltre si vede come le autorità di Torino, innanzi a un luogo di nascita incomprensibile o di difficile scrittura, si orientino sempre su Pest e sui magiari. Sempre nel Mazzo 12/1 troviamo nel maggio 1863, tale Zarich (Zari ć posizione n. 1093) Antonio forse slavone, domiciliato presso il Comitato Veneto di Torino che desidera avere un grado di ufficiale nella Guardia Nazionale Mobile Italiana che lottava contro il brigantaggio nel Sud Italia. ( Legge 4 agosto 861 n. 143 e RD 31 luglio 1862 n. 780 ). Nel medesimo anno, in febbraio, vi è Komarek Anton de Diosseghij che si dice disertore di Spalato con foglio di via per la Questura di Torino, disertore e infine Dersich Edoardo (Dersi ć o Derši ć posizione n. 1094) fu Paolo di aa. 23 proveniente da Varaždin in Croazia, disertore austriaco, guardiano ai bagni di Ancona. Vi furono dei collocamenti lavorativi di costoro come bagnini, guardiani di bagni pubblici o guardie carcerarie. Koretich (Koreti ć) Martino fu Jacopo di aa. 21 da Agram (Zagabria) disertore austriaco lo abbiamo in posizione n. 1086 nel settembre 1864. Nel 1860 figura pure un disertore dell’esercito pontificio, tale Barkovi ć Samuele di Alessandro aa. 29 (di Karlovac (?) fatto accompagnare il 4 agosto ad Alessandria, con foglio di via del 2 ottobre 1860 per Torino.

La Serie 1 mazzo 51 AST - SR (sempre Comitato centrale per l’emigrazione italiana) ci parla di certo Petrovich Carlo (Petrovi ć Drago) e di Posnitzek (o Poznitzchi) Michele, probabilmente Posni ć. Se il Petrović è genericamente croato con cognome originario della Bosnia centrale, anche calcolando che si chiama Drago, il secondo possiede un foglio di via del 25 marzo 1864 su cui si dice di aa. 24 di Francesco , nativo e residente ad Agram (Zagreb). Costui si reca da Brescia a Torino per via ferrata. Questi si dovrà presentare alla Questura di Torino con Medek Carlo di Carlo di aa. 23 di Olmutz in Moravia, Petrovi ć Carlo fu Paolo di aa. 24 definito ungherese , Para ć Giovanni fu Matteo, di Zara aa. 25, tutti disertori austriaci. La Questura di Milano, da cui evidentemente costoro erano transitati, informa che il Petrovi ć pur essendo ungherese ”non ha voluto assolutamente recarsi in Ancona per essere arruolato nella legione ungherese ”. Questo dimostra che non era magiaro ma facilmente croato. La legione ungherese era stata voluta da Garibaldi per combattere nel Sud Italia ed ebbe diversi scontri con i briganti. All’epoca dei fatti narrati era al comando del col. Mogyoròdy.

In serie 1 mazzo 22 AST - SR figura Dabovich Giovanni (Dabovi ć) originario di Corfù e forse delle Bocche di Cattaro. In un biglietto del 20 aprile 1850 l’abate Carlo Cameroni informa che costui è cavaliere dell’ordine equestre (?) di Cristo (purtroppo la calligrafia del testo è pessima), a Venezia era ufficiale al servizio del governo provvisorio come tenente di vascello ed era un ex ufficiale austriaco partito da Venezia dopo la resa della città il 7/9/1849. Siccome pare che mancasse documentazione scritta con riferimento al fascicolo III n° 381, sei ufficiali testimoniano della sua identità e in data 22 aprile 1850, Giacomo Buon ex - tenente colonnello, Lambonelli Vittorio, Giupponi…. Samani… e uno illeggibile, dichiarano che il Dabovich fu in marina per 33 anni ed era tenente di vascello del governo veneto. Il 17/7/1850 viene raccomandata al Ministero dell’Interno (prot. n. 1304) la particolare situazione del Dabovich, servitore anziano della Patria a seguito di un biglietto scritto dal suddetto abate il 14/7/1850. Il 19/12/1850 in un documento del Comitato Centrale Emigrati Italiani (con rif. al suddetto fascicolo n. 381), si dice che il Dabovich si era ammalato e che abbisognava di un medico, che venne trovato e prescrisse due salassi al giorno, ma il chirurgo a ciò adibito si rifiutò di andare due volte al giorno “in casa di miserabili”e nn altro chirurgo viene trovato per via dell’abate che lo raccomandava presso la benemerita e pia opera di S. Paolo. Vale la pena spendere qualche parola sull’abate Cameroni. Nacque a Treviglio il 28 agosto 1791 e dopo aver studiato grammatica e retorica, venne ordinato sacerdote. Durante i moti del 1848 a Milano, venne inviato come plenipotenziario a Torino per ottenere aiuti anche dalla Francia e con tipica flemma subalpina, venne ricevuto appositamente in ritardo il 13 agosto 1848 a Milano pacificata dalle baionette austriache. Esule a Torino, il 22 settembre 1848 lanciò l’idea di un manifesto per unificare gli emigrati italiani. Egli, come si vede dalle righe precedenti, prestò assistenza a tutti e in particolare agli inabili. Nel 1849, sotto l’egida del ministro dell’Interno Urbano Rattazzi venne costituito a Torino il Comitato centrale per l’emigrazione e con legge del 29 settembre 1849, venne dotato di un fondo di 300.000 lire e l’abate Cameroni ne divenne amministratore unico. Fu un buon amministratore e si occupò in particolare dei reduci dalla difesa di Venezia ma ebbe pure lo sgradevole compito di informare la polizia sui soggetti pericolosi e in particolare sui mazziniani. Il primo gennaio 1859 il Comitato venne soppresso con il pretesto che da Lombardia e Veneto giungevano troppi immigrati a causa della guerra imminente. Venne trasferito all’Intendenza di Torino. L’abate Cameroni morì a Torino nel 1862.

Sempre nel mazzo 22 serie 1 AST - SR, troviamo (la grafia è pessima) una certa Delich (?) ( Deli ć) (?) Giuseppina, sulla copertina è scritto in chiaro “di Croazia” che scriveva a un certo sig. Grisi di Borgonuovo a Torino (via della Rocca, via Cavour, via Mazzini). La Deli ć (?) va a Genova (non viene detto il motivo) ma rientra a Torino dal Grisi a inizio dicembre (non si sa di che anno) e lo ringrazia della sua bontà. Forse ebbe un aiuto in danaro o forse un lavoro come domestica, ma i documenti non lo dicono. In realtà veniamo poi a saperne di più nelle carte Cameroni Mazzo 10 n° reg. 676 in data 18 agosto 1852, ove si citano due sorelle croate , N. Croez e Giuseppina Croez, cognomi indubbiamente di comodo, forse Hroez? Può darsi Hroš ć. Sono donne bellissime provenienti da Milano, al solito credute ungheresi. A Milano erano da quattro anni, dal rientro in città degli austriaci. Facevano vita lussuosa. Probabilmente la moglie del Grisi, avvisò il Cameroni delle vere intenzioni delle due donne, che fra l’altro erano munite di lettera commendatizia di un certo Bellangi, Sovrintendente Segretario della Finanza che fornì alla minore, di cui era innamorato, 48 Sovrane, ossia 48 sterline d’oro. La minore venne quindi per prima a Torino e contattò il Grisi, amico del Cameroni, che si mise ad indagare sulla persona. Questa donna pagava lire 7 al giorno di affitto, possedeva passaporto croato esibito su richiesta del Grisi stesso; il padre era un amministratore “agente di varie signorie”, che venne imprigionato dai croati, perse tutto e ora i genitori delle due sono viventi e senza pane. Quindi lei avrebbe cercato lavoro come istitutrice o dama di compagnia; il Grisi (o comunque l’amico che Cameroni però non cita per cognome) la raccomanda al sig. Canavero orefice di corte per 700 lire, vitto e alloggio. La donna però rifiuto perché voleva essere libera e dunque la domanda d’impiego fu uno stratagemma poiché credeva l’amico del Cameroni incapace di trovare un impiego, ecco perché si offrì. Giuseppina venne poi raggiunta dalla sorella maggiore da Milano, che si fermò a Torino cinque o sei giorni, poi ripartì per Milano, mentre Giuseppina ripartiva ma per Genova, con la lettera commendatizia e senza neppure chiedere aiuto in denaro. Prima di partire per Genova fece recapitare a questo amico dell’abate Cameroni, forse appunto il Grisi, un biglietto tramite il deputato Gandolfi ove diceva di andare a soggiornare nella casa di tale deputato per due mesi e poi che avrebbe fatto ritorno a Torino. Si scoprì che questa conosceva tute le persone “ primarie” di Torino e che manteneva con esse relazioni nascoste sotto copertura “di lezioni….di musica”. Questa agganciava i clienti in albergo (Hotel de Grande - Bretagne) nella sala da pranzo e subito legava con essi volgendo uno sguardo amico. Il resto è noto…. Nella serie 1 mazzo 28 AST - SR troviamo il caso di Foscolo Giorgio, professore di matematica all’Accademia Militare di Torino. Costui era nato a Ragusa (Dubrovnik) da Giovanni battista, capitano del porto di Venezia e da Elisabetta nobile di Buratovich. (I Buratovi ć sono originari di Lesina o Hvar e si trovano pure a Dubrovnik).

A 35 anni era primo tenente del Genio Navale Austriaco di Venezia e professo- re di matematica al collegio di Marina. Nel 1848 fu in servizio con il Governo Provvisorio, con l’incarico pare, di Segretario Generale al mInistero della Marina. Il 23/8/1849, alla resa di Venezia, richiede passaporto austriaco per il Piemonte e in attesa andò a Bologna e poi a Romana suo zio Mons. Foscolo Patriarca di Alessandria e poi finalmente in Piemonte. Nel novembre 1850 è professore aggiunto all’Accademia Militare a Torino. Moderato, onesto e fedele al re. Il curriculum è firmato sempre dall’abate Carlo Cameroni come Presidente del Comitato di Soccorso di Torino. Costui aveva altri due fratelli, Giorgio e Vincenzo, il primo ufficiale di Marina e il secondo matematico. Il 25/6/1853 troviamo un certo Grillanovich Leopoldo (cognome inesistente, forse confuso con un Giljanovi ć di Trogir/Traù), alfiere di marina e maestro di francese al Collegio di Marina. Non gli viene concesso il sussidio perché non si trovava nel Regno alla promulgazione della legge del febbraio 1851 e infatti nel 1850 - 1851 si trovava ammalato a Marsiglia; inoltre erano poco chiare le circostanze inerenti alla partecipazione alla lotta in Venezia.

In serie 1 mazzo 5 AST - SR troviamo il sig. Pietro Barbarich (Barbari ć) in data 14 novembre 1851 con richiesta di passaporto come ex tenente della Marina Austriaca che si trovava a Corfù dopo l’esperienza veneziana. Nella cittadina greca vi era un consolato del Regno di Sardegna. Il cognome è originario dell’isola di Hvar (Lesina) oppure dell’Erzegovina occidentale croata. Nel medesimo faldone troviamo pure Barich Giovanni (Bari ć) fu Tommaso di anni 38 di Venezia. Probabilmente abitava a Venezia emigrato dalla zona di Slunj in Croazia e qui servì come aiutante sottufficiale sotto il col. Mattei comandante del 2° circondario Lido. Prima della rivoluzione era nella Marina Austriaca. Il 3 /5/1851 proviene da Nizza e via Genova vuole recarsi in Svizzera. Possiede passaporto sardo, viene sussidiato con lire 5 e viene tenuto d’occhio come sospetto, probabilmente mazziniano. Aggregata poi a Luigi Basso, il marito, troviamo Giovanna Bencich probabilmente di Pisino (Pazin) o di Albona (Labin). Costui era cantante e suonatore di chitarra, originario di Padova. Domanda di tornare in patria e in attesa del passaporto, desidera recarsi a Genova per esercitare la sua professione. Il garante è il cav. Guglielmo Stefani (95) veneziano, direttore della Gazzetta Piemontese (che nel 1894 diverrà La Stampa) e dell’Agenzia Stefani da lui fondata con il placet di Cavour. La lettera di garanzia è indirizzata al ministero dell’interno da cui dipendevano a quanto pare il giornale come Gazzetta Ufficiale del Regno e l’agenzia e porta la data del 14/1/1854; non a caso la direzione della Gazzetta Piemontese si trova in piazza Castello, Palazzo delle Segreterie (ora Prefettura) n°16 nei mezzanini e il promemoria è inviato all’avv. Nicoro. Ivi si trovava pure l’ufficio di rappresentanza di Cavour. Marito e moglie, privi di sussistenza, volevano tornare in patria. Risulta che Il Basso e la Bencich mai fossero stati implicati in episodi violenti.

Ritorna poi la supplica Battistich (Batisti ć di Curzola - Kor čula) insieme a sei altri dalmati tra cui il Petricevich (Petri čevi ć di Imotski) (Mazzi 5 e 13 della serie 1 AST-SR). Tuttavia qui si aggiungono altri dati: costoro appartenevano al battaglione austriaco di fanteria di Marina e furono rivoltosi a Venezia. Da questa città ricevettero sussidio per tre mesi e si rifugiarono a Patrasso in Grecia ove il 30/4/1850 inviano un messaggio per chiedere aiuto alla Commissione Filantropica per un sussidio. Non conoscono la lingua e non trovano lavoro. Genova riceve il loro appello e promuove la causa a Torino; a cura dell’Abate Cameroni e probabilmente la loro richiesta venne recepita. Se però si aggiunge il Caccich ( Čačić o Ćaćić) gli ex ufficiali austriaci fanno otto. Il fatto di non conoscere la lingua a Patrasso ove comunque, come nelle Isole Ionie, vi era una discreta comunità italiana e ove comunque vi erano forti reminiscenze veneziane, depone per l’origine croata di costoro, anche se un po’ di veneziano dovevano conoscerlo; probabilmente il riferimento è anche verso la lingua greca. Inoltre dopo il 1849 divenne difficile trovare lavoro e si ricercava in genere manodopera qualificata e nel 1850 più di 1.700 rifugiati italiani o considerati tali, facevano la fame. La Commissione di Soccorso Emigrati Italiani in Piemonte a Genova, assunte informazioni e data come legittima la richiesta, invia i soggetti a Torino. Malgrado dal 1850 esistesse un apposito stanziamento di bilancio i fondi non erano mai sufficienti. A p. 688 dello studio della professoressa Ester De Fort dell’Università di Torino ( in Rivista Storica Italiana anno CXV - fascicolo II agosto 2003 - Stanford University Library 8 dic. 2003 ) troviamo una citazione inerente Demetrio Mircovich (Mirkovi ć) di natali quasi certamente dalmati (Pago) ma sposato a una Burovi ć de Zmajevi ć, nobile di Perasto (Perast) nelle Bocche di Cattaro, di etnia croata. In Italia esistono due palazzi intitolati a tale famiglia: uno a Sesto al Reghena e l’altro a Casarsa della Delizia. La famiglia è illustre poiché abbiamo un Vinko de Zmajevi ć arcivescovo di Zara, il cui fratello Matija fu al servizio dello zar Pietro il Grande. Il marito, il Mircovich, probabilmente mazziniano, era naturalizzato veneziano ed era primario all’ Ospedale Civile di Venezia e medico dei rivoltosi veneziani nel 1848 - 1849. Fu poi esule a Torino ove offrì parte del suo patrimonio al Comitato per l’emigrazione e risiedeva in Via della Chiesa n. 9 piano 1, ora via Andrea Provana e via della Chiesa per via della chiesa di S. Massimo ove dirimpetto doveva trovarsi la casa di questo medico. Ma il conte - medico aveva un’amante avvenente – certa Felicita Bonvecchiato di Mirano prov. di Venezia. Costei, prima residente a Valdagno (VI) come moglie di un certo Breda di Burano che ricopriva la funzione di commissario distrettuale, era spia degli austriaci . Le sue responsabilità emersero poi in occasione del processo a Pietro Fortunato Calvi. La Bonvecchiato morì misteriosamente a Venezia il 4 febbraio 1854 forse eliminata per vendetta politica o perché ingombrante. ( In Rassegna storica del Risorgimento - anno 1954 - p. 248 )

Dal momento che si è accennato allo studio della De Fort, occorre almeno a grandi linee dare un’idea sui fondi archivistici e sul metodo di lavoro del Comitato Centrale per l’Emigrazione Italiana. Il fondo intitolato a tale comitato si compone di tre serie di 74, 90 e 43 mazzi che stanno per Ministero degli Interni, Questura di Torino e Intendenza di Torino con un'altra serie di 12 mazzi detta delle Carte Cameroni. La terza serie è successiva al 1859. Tali fascicoli si trovano presso le Sezioni Riunite. (De Fort op. cit. p. 649) Nella Sezione Corte possiamo trovare invece altro materiale nel fondo Ministero dell’Interno del Regno di Sardegna Gabinetto ministeriale. Molti documenti sono doppioni, copie manoscritte e comunque una parte cospicua dei carteggi personali del Cameroni è confluita nella Biblioteca Civica di Treviglio, paese natale dell’abate, e inoltre il tutto ha subito varie sottrazioni di materiale. (Ibid. 651) Nel successivo capitolo dedicato all’attività del Comitato (Ibidem da p.651 a p. 665) si pone come inizio dell’emigrazione in Piemonte, la sconfitta di Novara del 1849 con il successivo armistizio di Salasco. Grazie alla rete dei consolati e delle ambasciate del Regno di Sardegna disseminate in tutto il Mediterraneo, non si ebbero rifugiati solo da Venezia e da Roma, ma pure dalla Grecia (Tommaseo proveniva da Corfù), dalla Porta Ottomana, dalla Francia, dalla Svizzera, da diversi stati tedeschi, dalla Croazia, dai territori rumeni del Banato o della Transilvania fuori dei Principati, dall’Ungheria ecc. Non si trattava solo quindi di italiani. L’arrivo di una tale massa di rifugiati pose subito dei problemi di ordine pubblico e di ordine economico e sociale. Non fu possibile calcolare con esattezza il numero di tali emigrati, ma si ha ragione di credere che potessero essere tra i 45.000 del 1850 e i 15.000 del 1852, anche se potevano essere circa 50.000 tra il 1848 e il 1849. E Torino nel 1848 aveva 137.000 ab. (Ibidem. pp. 654 - 680). Non si trattava solo di reperire i fondi per i sussidi che fra l’altro furono sempre striminziti; gli emigrati dovevano risiedere a Torino, dovevano essere privi di mezzi di sussistenza e ne avevano diritto coloro che si erano rifugiati in Piemonte entro settembre 1849; dapprima con la legge del 28 settembre 1849 ottenevano la qualifica di rifugiati solo coloro che provenivano dal Lombardo - Veneto e dai Ducati ma successivamente tale qualifica venne estesa a tutti. (Ibid. p. 658 - 659) Se il Cameroni applicava il regolamento ma il ministero sovente esercitava pressioni per fare ottenere sussidi ad emigrati eccellenti o elargizioni una tantum. Cessata nel 1859 l’attività del Cameroni poiché il Comitato venne trasferito all’Intendenza Generale, le cose non cambiarono, poiché vediamo che il sussidio di lire 40 ricevuto nel 1866 dal Kvaternik, faceva seguito ad una istanza dello stesso Garibaldi. Il Cameroni venne spesso attaccato dalla stampa repubblicana e mazziniana o da emigrati singoli per inflessibili dinieghi, disparità nella distribuzione e privilegi ingiustificati e soprattutto per il controllo poliziesco che esercitava onde estromettere delinquenti e spie. Ma Rattazzi (Ministro dell’Interno, Presidente della Camera e Ministro di Grazia e Giustizia cui il Cameroni nel 1856 aveva dispensato ben 30.000 lire di fondi neri per scopi imprecisati e ciò malgrado i magri bilanci) e Cavour appoggiarono l’opera dell’abate che forniva notizie qualitativamente superiori a quelle delle Questure. Con la nuova immigrazione successiva al 1859, posto che gli esuli presenti in Piemonte erano in maggioranza ben orientati verso la politica del Cavour, posto che erano continui gli inviti a disertare dalle file austriache e che quindi vi era un’immigrazione che poteva creare problemi militari e politici e non solo logistici, per il fatto che poi l’attività dell’abate non era sottoposta a verifiche contabili, si trovò la soluzione di passare tutta la materia all’intendenza e alla Società Nazionale che come patrocinatori aveva Cavour, Garibaldi e Manin. Consultando poi lo studio di Lovorka Čorali ć in Kolo 3 2003 dal titolo “ O udjelu Istrana, Dalmatinaca i Bokelja u revolucionarnim doga đanjima u Veneciji 1848 - 1849. godine ”, si ha la dimostrazione di un flusso migratorio tra Venezia e Torino subito dopo la capitolazione della città lagunare. Molti cognomi sono gli stessi a dimostrazione di un flusso migratorio anche croato verso la città sabauda. Purtroppo molti nomi scritti sui cartellini d’archivio non hanno più il fascicolo corrispondente per cui resta difficile indagare. Alcuni si trovano solo sulle Carte Cameroni e comunque la raccolta è troppo dispersa per pensare che i croati siano solo 96 come da successive tabelle; questi sono quelli rinvenuti e non tutti da Venezia; diversi sono disertori e altri erano solo in cerca di lavoro o erano spie. E il flusso verso Torino fu anche di tipo intellettuale se pensiamo a Kvaternik, Tommaseo, Tkalac ecc. Nelle Carte Cameroni Mazzo 9 AST - SR, troviamo alcuni reduci croati da Venezia: Lassovich Antonio (di Cattaro) esule poi a Genova con sussidio di cent. 50 al giorno ex lege 15/2/1851, Millich Antonio forse di Hvar - Lesina, Merzlilich Luigi. Il Tommaseo l’ho incluso nell’elenco perché è uno dei pochi che scrisse anche in croato e comunque benché autonomista, fu fautore del dialogo colto tra croati e italiani, allora solo piemontesi. E’ un personaggio così eclettico e colto che si potrebbe veramente definire “cittadino del mondo” e anche se si dichiarò italiano, amava la Dalmazia; benché autonomista non assunse mai posizioni estreme come quelle autonomistiche della seconda metà del XIX secolo. Nella Serie 3 (Intendenza) Mazzo 10, troviamo un Civitach Napoleone di Mirano (VE) fu Domenico di aa. 24 di famiglia milanese che non si esclude di origini croate quale Cvitaš, ingegnere, che nell’attesa della nomina a s. ten. di artiglieria chiede un sussidio provvisorio perché tagliato fuori dalla famiglia a causa della guerra e il 18/7/1866 viene arruolato nell’esercito italiano. Nella medesima serie ma al Mazzo 8, invece è presente Caucich G.B (Kau čić) forse originario di Čakovec, proveniente da Padova e richiedente un sussidio per seppellire le sue due figlie, una di sei e l’altra di tre anni. Le richieste vennero inoltrate il giorno 28/8/1862. Segue poi tutta una serie di Croato, Crovatto, Crovatini, Croatini che pur naturalizzati italiani da secoli, denunciano una radice e una provenienza croata. Un etnonimo che nei secoli si è spostato e oggi è condiviso tra Italia, Slovenia e Croazia. Crovatin /Hrvatin indica origini croate ed è già presente a Trieste nel 1300. Nel 1450 vi è una migrazione dei Crovato a Venezia da Solimbergo in Friuli, ove si erano stanziati provenienti dalla Croazia. In genere erano marangoni e cioè falegnami. In fondo è la stessa derivazione e lo stesso percorso etnico del cognome Schiavon o Schiavone. Di Crevatin ve ne sono oggi 56 a Muggia, 104 a Trieste, ve ne sono a Koper/Capodistria in Slovenia e come Hrvatin a Buzet/Pinguente, Pazin/Pisino e Labin/Albona, nell’Istria croata, di Crovato 8 in Italia e 3 in Slovenia, Crevatini/Hrvatini è cognome diffuso in Slovenia tanto da dar luogo anche a toponimi mentre Hrvat/Croato è addirittura proveniente dalla Bosnia croata, dalla Slavonia occidentale o da Sisak. Non si tratta quindi di Croati, ma di persone o di gruppi di persone anticamente trasferitesi per motivi di lavoro e forse anche di studio a Padova. Nel Mazzo 11 Serie 3 AST - SR troviamo un Croato o Crovatto Pietro dichiarato inabile al servizio militare causa nevralgia ischiatica certificata dal Dr. Antonelli dell’infermeria Emigrati di Torino, cui il Ministero passa una diaria di Franchi 1 al giorno su cui ha una trattenuta di cent. 15 per rilascio vestiario, chiede, con documento del 29/08/1862 il sussidio anticipato in forma quindicinale fino a totale ristabilimento. Concessione nell’adunanza del Comitato Emigrati del 27/1/1863. Nel medesimo mazzo abbiamo poi Croatini o Crovatini Giuseppe, disertore austriaco del 40 rgt. fanteria, di aa. 22, proveniente da Udine, pure lui successivamente riformato, che non può tornare in patria e non trova lavoro a Torino e il 16/8/1860 richiede vestiario e sussidio straordinario . Ricevendo già un sussidio di Lire 1 al giorno chiede ulteriore sussidio di Lire 40 per aprire bottega di profumeria. Crovatto Davide, abitante al portico di via Nizza n. 13 in zona oggi di porta Nuova, impresario edile, lascia a riposo per giorni 40 i muratori anche loro emigrati, stante una fredda stagione invernale. Crovato Antonio a Torino dal 21/02/1861, il giorno 26/03/1861, abbandonata Venezia per motivi politici, domanda soccorso e sussidio ma non si presenta al Comitato e di lui si perdono le tracce. Il mazzo 12 Serie 3 AST - SR ci presenta Dabovich ( ć) Giovanni, originario probabilmente di Pola, ovviamente classificato come emigrato veneto, richiedente sussidio di L. 10 il 19/05/1860. Nel medesimo mazzo De Tomassich (Tomaši ć) Giuseppe (Curzola/Kor čula, Veglia/Krk, Sebenico/ Šibenik) fu Vittore, nato a Milano nel 1830. Un naturalizzato ed è pure interessante che tutti questi cognomi a radice croata compaiono con il De (non tutti nobili) davanti onde meglio italianizzarli, malgrado tradiscano le loro origini. Il 6/10/1864 viene escluso dal sussidio richiesto; ex - luogotenente del Regio Esercito, si dimise per infermità temporanea dopo un periodo di aspettativa. Afferma di essere stato capitano nella Legione Polacca e di essere stato mobilitato in quella ungherese per quattordici anni, ma a quanto pare non vi sono riscontri. Dumovich ( ć) Giovanni probabile origine di Oto čac in Lika, il 1/4/1862 richiede vestiario e a lui si accordano scarpe, pantaloni e camicia per L. 30 con ritenuta mensile su stipendio per restituzione dell’importo. Era già sussidiato. Nel Mazzo 14 (ibidem) troviamo Erzech (Erce ć) Alessandro (Imotski ? Slavonia?) aa. 20, classificato “di Ungheria” che il 29/3/1861 richiede vestiario poi concesso per L. 18; fu nella Legione Ungherese ma per inabilità venne congedato. Il mazzo 20 (ibidem) ci porta a conoscenza Ipsevich ( ć) Carlo sedicente di Venezia, probabilmente ma non sicuramente croato. Servì per dodici mesi nell’esercito e poi venne congedato per cataratta bilaterale. Fu con Garibaldi al sud e definitivamente congedato venne a Torino. Chiede indumenti perché in possesso della sola divisa. Possiede carta di permanenza (soggiorno). Concesse L. 23 a restituzione, per acquisto vestiario. Il medesimo mazzo ci presenta poi Kuzel Francesco di Zara, proveniente il giorno 8/4/1863 da Asti con regolare permesso di lavoro a Torino, ove chiede sussidio non lavorando, data la stagione, che soli 18 - 20 soldi al giorno come calzolaio. Per il poco lavoro a disposizione chiede il sussidio. Era già stato a Milano tre anni con buona condotta. Abita in Borgo Nuovo (Porta Nuova - Via Nuova é via Roma) n. 34 al piano terreno in casa di un falegname. Michele Horvat (ibidem) di nazionalità non precisata il 18/12/1864 ottiene la proroga del sussidio. Per gli Horvat, in genere croati e in un certo numero abitanti in Ungheria, vale quanto detto per i Crovato ecc. persone naturalizzate che nei secoli si trasferirono per ragioni di lavoro o militari. Il già citato Giulio Horvat (p. 66) si pone come studente di giurisprudenza ed essendo di Pest venne poi arruolato nella legione ausiliaria ungherese il 28/5/1864; dimora poi a Torino e chiede sussidio ai sensi di legge per inabilità lavorativa il 6/2/1867 e come visto il 6/6/1867 viene rimpatriato. Lucich ( ć) Giuseppe - Mazzo 21 Serie 3 AST – SR (probabilmente di origine croato - bosniaca, Bugojno, Gra čanica e poi emigrato sulla costa) emigrò fin dal 1859 e venne arruolato nel rgt. Ussari di Piacenza su base volontaria, formato da magiari e croati. Dopo diciotto mesi viene congedato perché ammogliato e capofamiglia con tre sorelle e un fratello minorenni e i genitori a carico; è figlio unico. Lui, unico sostentamento della famiglia, si vede tagliato fuori per motivi politici. L’11/4/1861 rivolge istanza al Ministero delle Finanze e al Governatore del Circondario per un sussidio in attesa di un impiego. Il 21/4/1861 il Questore dice che gli viene assegnata giacca per L. 18 che con scarpe e camicia diventano L. 23 e che ripassato a visita militare è stato ritenuto inabile. Il 13/4/1861 viene stabilito un sussidio di L. 1 per giorno. Il 3/5/1861 chiede un aumento del sussidio a L. 1,50 in forma quindicinale ma il 9/5/1861 gli viene confermata una lira. Leskovar Pietro (Leškovar) di Giovanni, (Mazzo 21 ibidem), nato a Pregrada nello Zagorje ai confini con la Slovenia (allora Croazia ungherese), di aa. 28, panettiere ammogliato. Il 28/6/1864 chiede che il sussidio gli venga corrisposto di otto in otto giorni invece che ogni due, causa la distanza del Comitato Emigrati da Madonna del pilone ove abitava e aveva l’attività. Evidentemente ci si spostava a piedi e la sede del Comitato era in via S. Teresa 2 anche se in altri documenti è scritto via Lagrange 43 piano 2. Non gli viene concesso quanto richiesto perché non è ammalato e neppure “impiegato” (sic!). Il Leskovar è ammogliato e con prole ed è disertore dall’armata austriaca a Peschiera. Venne a Torino il 6/4/1864 e fu sussidiato dal governo. Nel 1867 si trova però disoccupato e senza mezzi di sussistenza e richiede un sussidio di L. 1,50 fino a nuova occupazione. Il 12/1/1867 gli vengono ritirati i documenti. (Vi è poi un bigliettino su cui si scrive Leskovar 184 .1…forse un conto del Comitato). Il 31/1/1867 gli viene concesso un sussidio per febbraio e marzo pagabile a quindicina che viene prorogato il primo di aprile. Torino certamente pagava i costi dell’unificazione italiana cui si aggiungeva la crisi seguita al trasferimento di capitale. Al solito i fondi erano pochi e comunque la gente viveva in miseria, che fossero o meno immigrati. Essere in crisi come calzolai o come panettieri vuol dire che non circolava liquidità malgrado economie e risparmi. Il Mazzo 26 (ibidem) ci presenta Nicolich (Nikoli ć) Antonio, croato (Ante, da Imotski?) richiedente sussidio per urgente bisogno (10/2/1862), prima di partire per prestare servizio nell’impresa Baiani della ferrovia ligure. Il col. Radaelli si documenta su di lui raccomandandone le buone qualità. La richiesta non ha luogo perché partito anzitempo per la sua destinazione. Era stato militare nella guerra del 1848 - 1849 e leale patriota e quindi era disertore. Nel medesimo mazzo 26 compare Ozretich Doimo (Ozreti ć Duje) da Spalato o Spalatro come si diceva all’epoca ove veniva considerato “ litorale dalmato italiano ” e siamo solo al 9/3/1864. Costui era stato studente di medicina a Vienna ma si compromise politicamente con un ufficiale austriaco ed emigrò quindi nel Regno di Sardegna. Da tempo malato, non può arruolarsi nel Regio Esercito e vuole essere ammesso all’infermeria dell’Emigrazione (dr. Antonelli) ma viene respinto. Indirizza lettera al Ministero dell’Interno ove afferma che, esaurito tutto il denaro per pagarsi il viaggio da Vienna a Torino prega nuovamente per venire curato in tale infermeria e guarito dalla malattia ”non lunga e non grave” si presenterà per essere arruolato. Ha bisogno quindi di cure regolari perché affetto da sifilide costituzionale come riconosciuto dai medici e a guarigione completa si arruolerà. Probabilmente onde poter accettarlo i medici emisero tale verdetto, ma in epoca preantibiotica una sifilide allo stato secondario era incurabile e non guariva. Nel medesimo mazzo (ibidem) compare poi Oreskovic (Oreškovi ć) Pietro originario probabilmente della Lika cui danno mantellina, cappello, scarpe e camicia per la stagione fredda con ritenuta sulla paga (10/2/1864); il medesimo giorno gli diedero pure giacca e calzoni. Nel Mazzo 27 (ibidem) è la volta di Parkovitz (Perkovi ć?) Mattia di Sambor (Samobor, poiché Sambor è in Ucraina) capitano emigrato ungherese (croato) che riceve sussidio di L. 1 e cent. 50 al giorno. Ha cambiato alloggio e deve pagare a titolo di cauzione un’intiera mensilità del nuovo affitto e deve comperarsi indumenti invernali. Chiede quindi il sussidio per un mese che gli viene accordato in data 31/10/1864.

Nel Mazzo 28 Serie 3 AST -SR abbiamo Pavissich (Paviši ć) Francesco fu Giovanni originario forse del Turopolje o della Bosnia, di Spalato, aa. 31, suggeritore drammatico. Dal 21/7/1861 al 31/7/1861 gli viene concesso un sussidio straordinario. Infatti, arruolato nell’esercito austriaco, dopo tre mesi viene messo in permesso indeterminato e a Spalato i medici gli compilarono un certificato in cui si diceva che doveva cambiare aria. Con un permesso corrispondente di tre mesi si recò a Corfù da dove però non rimpatriò. Ora se lo avesse fatto sarebbe stato dichiarato disertore. Passano undici anni e costui opera come suggeritore teatrale. Rimasto senza lavoro, chiede il sussidio in attesa di nuova occupazione . Seguono diversi Petricevich (Petri čevi ć) originari di Imotski, della Bosnia e residenti pure a Spalato, che si dicono nati a Venezia e quindi sono naturalizzati veneti e poi italiani, come avvenne per la naturalizzazione del Baljanovich in Piemonte (cfr. p.3). Costoro probabilmente si trovavano da diverso tempo a Venezia come commercianti, artigiani o come incorporati nelle milizie schiavone. Non hanno a che fare quindi con i disertori dall’I. R Esercito austriaco. Il primo è Petricevich Nicolò da Venezia, di aa. 19 falegname e celibe. Il 21/9/1866 apprendiamo che costui militò nel 5° rgt. volontari italiani durante la disastrosa campagna del 1866. Trovandosi in congedo illimitato, è costretto ad indossare l’uniforme garibaldina perché senza indumenti e prega di essere assistito e da tre anni a Torino ha ricevuto solo quindici giorni di sussidio che spera di vedersi prorogato. (Era stato concesso il 2/9/1866). Il 23/10/1866 si trova a letto con febbre come da regolare referto medico e prega comunque di accordargli il sussidio fino alla guarigione. Poi tornerà a Venezia liberata. Petricevich Guglielmo di Venezia, di aa. 23, celibe. In una lettera del 19/2/1866 apprendiamo che prese parte alla seconda guerra d’indipendenza e che era in congedo da tre mesi. Chiede sussidio a tutto il 28/3. Dal 1859 era emigrato dal Veneto e ora si trova privo di denaro. Il 1/5/1866 è in attesa di una lettera d’impiego che lo chiami a Firenze, sede della nuova capitale e forse si tratta di uno sperato posto nella burocrazia. Ma il 19/9/1866 ci dice che fu nella campagna militare con Garibaldi e che venne nuovamente a Torino poiché Venezia non era ancora stata liberata e restituita all’Italia. Per tale motivo richiede un sussidio. Il posto a Firenze certamente disparve all’orizzonte. Il mazzo 29 Serie 3 AST - SR ci presenta Petricevich Carlo da Venezia che il militò nell’Armata Meridionale alle dipendenze del gen. Cosenz come si evince dal congedo in suo possesso. In realtà era il corpo volontari italiani di matrice garibaldina che nel 1862 venne incorporato nell’esercito. Il Petricevich riceva 1 Franco al giorno di sussidio e richiede il vestiario che gli viene prontamente concesso per un controvalore di L. 18 il 22/3/1861. Infine abbiamo Petricevich Catterina di aa. 48 (parla, scrivendo, di età avanzata) e vedova di un tenente di marina veneto morto in emigrazione nel gennaio 1858. La donna ha tre figli e chiede aiuto. Il primo è nel 50 rgt. dell’esercito, il secon-

do morì a Como ove faceva la guardia doganale e il terzo di aa. 16 è a Pordenone; malgrado lettera di raccomandazione del Comitato Emigrati e del marchese Paolucci ex capitano di vascello di prima classe e segretario del Consiglio dell’Ammmiragliato di Venezia durante la rivolta del 1848 - 1849, il sussidio richiesto di L. 1,50 le viene rifiutato perché la suddetta non è emigrato politico. Nel mazzo 36 Serie 3 AST - SR troviamo Sillich - Sili ć Clemente di Albona di aa. 21 (registrato pure come Sillico Clemente originario probabilmente della Dalmazia). Costui si trova da diverso tempo a Torino e non è riuscito ad avere un lavoro. Ha servito nel Corpo Reale Equipaggi, quindi come marinaio semplice e fu coinvolto in una forte burrasca a bordo del Carlo Alberto; salvò tre compagni da morte certa e per lo sforzo compiuto si guadagnò un’ernia inguinale destra per la quale fu congedato e obbligato in seguito a lasciare il lavoro. Richiede un sussidio in data 5/4/1865 e questo viene accordato in ragione di L. 1 per giorni diciannove. In una lettera del 24/4/1865 alla Commissione Governativa dell’Emigrazione Italiana si dice emigrato politico e afferma pure che il 16 corrente mese gli venne revocato il sussidio e si vide costretto a mendicare. In un biglietto indirizzato al notaio Boliani in via Barbaroux 33, nuovo Presidente del Comitato, in data 29/4/1865, è annotato “non può darsi luogo alla domanda” . Nel medesimo Sili ć aveva scritto scusandosi di aver fermato il Boliani in Piazza Castello onde chiedergli L. 20 per comperarsi l’equipaggiamento completo da sorbettiere per disimpegnarsi e guadagnarsi il vitto per poi trovare migliore impiego. Costui continuando comunque a reiterare domande di sussidio, a quella del 24/4 ebbe riscontro positivo e gli venne confermato, lo stesso 29/4/1865 riceve un sussidio per giorni diciannove “onde abilitarlo a darsi un’occupazione che ormai gli è imposta”. Il linguaggio usato è riferito indubbiamente alla domanda di sussidio del 14/4/1865 che venne respinta e anzi venne chiesta alla R. Questura la sorveglianza sul suddetto. Il 19/4/1865 viene scritto a margine dal funzionario di polizia preposto “è un vagabondo senza voglia di lavorare”. Si appurò infatti che già a gennaio e febbraio del 1865 gli vennero accordati due mesi di sussidio. Venne in seguito mandato dal dr. Antonelli del Comitato, all’Ospedale Militare per la scabbia e qui il dr. Franchini gli refertò l’ernia inguinale destra; a fine marzo il Sillich richiede il sussidio che non gli viene concesso; tra l’altro il 15/12/1864 venne registrato erroneamente come nativo di “Albano, Illiria”. A parte che Albano si trova vicino a Roma, l’Illiria non comprendeva propriamente l’Istria e il riconoscere il soggetto come illirico lo conferma come croato e non come italiano. Risulta poi che il Sillich già nel 1864 chiese dei sussidi con poco successo e inoltre venne scritto come appunto “può lavorare”. Nel mazzo 37 (ibidem) vi si trova Spivach (Spivak) Domenico, forse originario di Zagabria, di aa. 22, proveniente naturalizzato da Udine, già soldato nel 39° rgt. della brigata Bologna e reduce dalla campagna di Ancona (quindi disertore), affetto da oftalmia cronica influente, riformato, vive di sussidi (1862 - 1863) di L. 30 e di L. 40 reiterati nel tempo ma con ritenute giornaliere di cent. 20 o 30

e quindi possiede un lavoro. Guarisce dall’oftalmia e il 22/12/1862 chiede un sussidio speciale di L. 80 rinunciando a quello di L. 1,50 al giorno per aprire una bottega di vendita del pollame. Il comitato non da luogo a procedere. Nel mazzo 39 (ibidem) troviamo invece Tomassevich (un Tommaseo) Matteo di Makarska, Dalmazia, di aa. 24 a Torino dal 19 novembre 1860 ove ha provvisto con mezzi propri alla sua sussistenza, essendo già sussidiato a Piacenza e a Parma. In uno scritto del 21 dicembre 1860 apprendiamo che è studente di medicina al secondo corso e che si trova in ristrettezze economiche causa malattia. Frequentò l’Università a Vienna e qui a Torino non frequenta i corsi; tuttavia non può essere arruolato nel Regio Esercito non essendo veneto. Quindi in contraddizione con molti altri pareri, viene considerato dalmata e quindi non italiano o veneto, ma croato. Non essendo veneto di nascita, potrebbe essere invece accolto nel btg. della Guardia Nazionale Mobile in formazione a Casale. Si potrebbe arruolare in mancanza di difetti fisici e il sussidio comunque non può essere conferito a coloro che non servono il paese in armi. L’unica cosa che la R. Questura suggerisce è l’arruolamento a Casale. Abita in via Borgo Nuovo n. 21, corte II, piano III ed è rifugiato a Torino per motivi politici; si apprende poi da lettera del Comitato Veneto per l’Emigrazione che è assai colto nelle lingue e nelle letterature italiana, latina, greca e slava che qui viene denominata illirica e quindi, a maggior ragione, è un croato. Il Comitato lo dice malfermo di salute e impossibilitato ad arruolarsi e chiede sussidio di L. 30 mensili per un bimestre. Nel mazzo 40 (ibidem) Uran Antonio probabilmente di Fiume (Rijeka) o dell’Istria croata (Contea di Pisino) disertore austriaco, croato, si trova privo di mezzi e il 2/5/1864 richiede vestiario: giacca, calzoni, camicia, cappello, gilet, un paio di scarpe con trattenute (Sullo stipendio? Sul salario?). Il 4/5/1864 la Commissione accorda un paio di scarpe solamente perché in magazzino esistono solo scarpe e gilet che però non viene concesso. Nel mazzo 42 infine abbiamo Vucetich (Vu četi ć) Francesco di Michele, probabilmente famiglia originaria di Vir, di Nin o di Zara, (ma potrebbe essere pure di origine montenegrina) , da Trieste di aa. 53 (nato nel 1813) , di professione sarto. Abitava in via Vanchiglia n. 16 in casa Costa, scala 1, piano 5 num. 6. Pur chiedendo di venire arruolato nella campagna del 1866, non viene preso a causa dell’età e chiede un sussidio per sé e per la figlia Giulietta di aa. 11. Disertore austriaco, servì nella difesa di Venezia nel 1848 - 1849 e poi con Garibaldi. Nel 1864 venne sussidiato con L. 1,50 al giorno. In una prima fase decisamente risorgimentale dal 1849 al 1859 abbiamo principalmente disertori, difensori di Venezia e uomini politici che non sempre chiedono sussidi. Nella seconda fase dal 1859 al 1870 circa sono in genere personaggi che cercano lavoro e aiuti, perfino vestiario e i tempi a quanto pare non erano facili né a Torino né nel Veneto o nelle terre da cui provenivano. E’ uno spaccato di vita in cui tutti s’ingegnavano a sbarcare il lunario come potevano. In una Torino in trasformazione economica, vivere era difficile .

Cognomi e nomi di croati registrati come emigrati a Torino - 1849 - 1859 Andrich Alessandro Kovacs (?) Augustinovictk Ladislao Kovacich Giuseppa Bacovich Giuliana (moglie di Bujani Pietro) Kvaternik Eugen Bannfy- Banich Simone Lassovich Antonio (dif.Ve) Banskovic Francesco Merli (li) ch Luigi (dif.Ve) Baratovich Antonio Millic Antonio (dif.Ve) Barichevitk Francesco Millic Antonio (dif.Ve) Barbalich Giorgio Mircovich Demetrio (dif.Ve) Barbarich Pietro Oreschovich Pietro Barich Giovanni Petricevich F. (rancesco?) (dif.Ve) Battistich (disertore) Petrovich Alessandro Bellan Juro (disertore) Petrovich Carlo Bencich Giovanna (moglie di Basso Luigi) Petrovich Tommaso Benesh Ernesto Radognich Enrico Brosovik Carlo Giulio Radossevich Raoul Buaich Paolo Radowicz A. (dif. Ve) Bulicsick Vincenzo Rosnitzek Michele Buratovich Andrea Tadornevick Pietro Caccich (disertore) Takacs Stefano Cavatch Giovanni Takatz Alberto Dabovich Giovanni (dif.Ve) Terstenjak Giuseppe Dananesich Stefano Tomacek Giorgio Dersic (h) Edoardo Tomasevich Matteo Detomassich Giuseppe Tomasevich Nikola (Tommaseo Niccolò) Dortich Stefano Tomassich Giuseppe Grillanovich/Gilianocich Leopoldo Tonich Antonio Horvat Giulio Turkovich Giacomo Gasso Ivanovich (?) Vucetich Francesco Jakubovitz Moritz (?) Zadravatz Giacobbe (Francesco- disertore) Jellacich Francesco Zarich Antonio Jurich o Iorich (?) Giuseppe Ztivkovitz Antonio Karaics Gerolamo Delich - Croez (?) Giuseppina - grafia incerta Kikos Davide TOTALE: 67 Komarek Anton de Diosseghij Koretich Martino

I Solitro sono italiani dalmati difensori di Venezia.

Archivio di Stato di Torino Sezioni Riunite fondo Comitato Centrale per l’Emigrazione Italiana Serie 1 e 2 Carte Cameroni

Cognomi e nomi di croati registrati come emigrati a Torino- 1860-1870

Caucich G. B Ozretich Doimo Civitach Napoleone Oreskovic Pietro Crovatini o Croatini Giuseppe Parkovitz (Perkovi ć?) Mattia Crovato Antonio Pavissich Francesco Crovato o Croato Pietro 5 Petricevic Carlo Crovatto Davide 6 Petricevic Catterina Dabovich Giovanni 7 Petricevich Nicolò De Tomassich Giuseppe 8 Petricevich Guglielmo Dumovich Giovanni Sillich Clemente Erzech Alessandro Spivach Domenico Horvat Michele Tomassevich Matteo Kuzel Francesco Uran Antonio Ipsevich Carlo Vucetich Francesco Lucich Giuseppe Leskovar Pietro Nikolich Antonio TOTALE 29

5,6,7,8 sono croati naturalizzati italiani

Ibidem- Serie 3-

I Croati e la difesa di Venezia nel 1848 - 1849.

Rimane da comprendere perché molti croati fossero reduci dalla difesa di Venezia del 1848-1849. Va detto che l’Università di Padova da sempre fu centro d’irradiazione dello slavismo e che personaggi come Kukuljevi ć ebbero legami con linguisti del calibro di Bernardino Biondelli (96). Ma l’attività di rinnovamento sul campo fu dovuta a Medo Puci ć (85) e Antun Kazna čić.(97) A Trieste si stampava “ La Favilla ” – 1836 - 1846, edita dallo scrittore slavofilo Francesco dall’Ongaro (98) a sua volta in ottimi rapporti con Niccolò Tommaseo che considerava tale rivista colta come un punto di contatto tra i fermenti risorgimentali italiano e slavo. Costui pubblicò i lavori di Puci ć (85)e Kazna čić (97), che contribuirono non poco al risveglio nazionale degli slavi, anche perché nel 1841 lo slovacco Jan Kollar (34), scrittore, politico e archeologo, convertì definitivamente il Puci ć (Orsatto Pozza) (85) allo slavismo. La figura fondamentale rimane comunque il Tommaseo che dell’illirismo ben comprendeva la portata culturale e politica. E le Iskrice come abbiamo visto, rappresentano da un lato il suo inserimento nella cultura illirica e dall’altro sia queste che i suoi scritti sugli slavi suscitano in Italia una certa attenzione. A tale proposito gli studi approfonditi di Mate Zori ć sull’argomento (“ Niccolò Tommaseo e il suo maestro d’illirico – Studia romanica et anglica zagrabiensia 1958 n. 6, 67, 64“ Carteggio Tommaseo - Popovi ć I 1840 – 1841 - Studia romana et anglica zagrabiensia, 1967, n. 24, 193 “Romanti čki pisci u Dalmaciji na talijanskom jeziku“ – književni dodiri hrvatsko - talijanski - Književni krug, Split, 1992, pp. 371 - 376 ) ci parlano da un lato dei legami con la cultura italiana e con quella slava dall’altra da parte del Tommaseo e poi della figura di Špiro Popovi ć (66) che oltre ad essere il maestro di lingua il lirica del Tommaseo fu colui che lo mise in contatto con Ljudevit Gaj, di cui, l’illustre dalmata appoggiò la riforma linguistica in Croazia, tanto che ebbe a dire che i croati sarebbero rimasti muti senza Gaj. Tommaseo quindi, non è ancora autonomista in pieno e comunque se lo è lo gestisce in modo equilibrato e comunque non ha ancora recepito il modo di pensare degli unionisti croati e collabora quindi di buon grado con il Gaj. Costui si offre di pubblicare le Iskrice e su altri versanti, La Favilla di Trieste con Medo Puci ć e Antun Kazna čić (85/97) e “ Il Politecnico ” di Milano cercavano di informare l’opinione pubblica e la politica italiane circa gli slavi. Lo stesso Mazzini si mise in contatto con L. Gaj che era fondamentalmente antimagiaro e promosse su di un piano culturale il movimento illirico. Fondamentale resta pure la “Dissertazione” ( Dizertacija iliti razgovor darovan gospodi poklisarom ) del conte Janko Draškovi ć (99) del 1832 che serve come piedestallo dell’illirismo di Gaj e che è anche un documento programmatico, economico e sociale fortemente antimagiaro. A Torino invece, una forte personalità che conosceva profondamente tutti i problemi balcanici era Giovenale Vegezzi Ruscalla (100) alto funzionario al Ministe - ro degli Interni e suocero di Costantino Nigra. Il Ruscalla afferma chiaramente come l’illirismo per l ’Austria sia un pericolo in quanto elemento unificatore in primis dei croati e poi degli slavi in genere. I croati, in particolar modo, sotto l’egida di L. Gaj hanno difeso la loro lingua e hanno scelto come lingua comune o koiné croata la variante croato - ragusea del parlare e dello scrivere, cui vennero aggiunti i segni diacritici. ( Giovenale Vegezzi Ruscalla - Che cos’è l’Austria? Antologia Italiana II, libro III, Torino 1847 pp. 649 - 661 ). Il Ruscalla fu tra i primi ad indicare la via della collaborazione tra italiani e slavi e questa tra il 1848 e il 1849 viene fortemente affermata nella vita politica piemontese. Intanto il Tommaseo diventa uno dei personaggi chiave della neocostituita Repubblica di S. Marco della primavera 1848. Tutta la stampa dell’Italia settentrionale era ora informata del movimento illirico e della personalità di L. Gaj poiché il Ruscalla, il Mazzini e il Tommaseo stesso, fecero comparire vari articoli di giornale a Genova, Milano e Venezia, proprio su tale argomento. Nel 1848 L. Gaj fece parte del triunvirato provvisorio di Croazia (Ljudevit Gaj, Ambroz Vranyczany o Vranjican e Kukuljevi ć Sakcinski) che nominò Bano lo Jela čić. In seguito ad un accordo politico con i serbi di Belgrado e forse proprio con Kara đor đevi ć, Gaj aveva fatto arrestare Miloš Obrenovi ć I il 7 giugno 1848 e costui, un contadino che dal 1815 al 1842 e dal 1858 al 1860 fu principe di Serbia accusò lo stesso Gaj di tentata estorsione ai suoi danni per circa 7.000 fiorini, accuse poi non confermate, ma che fecero terminare la carriera politica di Gaj. Inoltre la “Gazzetta di Venezia” (6 – 7 - 1848 n. 167 suppl. 844 e n. 169 8 – 7 - 1848, 854) metteva in risalto la controversia tra il Bano Jela čić e Ljudevit Gaj, poiché Jela čić nella seconda metà del 1848 con Windischgrätz e Radetzky, venne dipinto come uno dei principali fautori della reazione , cosa che in Italia andò a favore di Gaj. Dall’agosto del 1848 il Tommaseo rappresentò la Repubblica di S. Marco a Parigi e parlò spesso di una fusione d’intenti tra italiani, slavi e magiari in funzione antiaustriaca. Era il medesimo modo di pensare del principe Adam Czartoryski (103) che volle coinvolgere in tali piani anche il governo piemontese, così che il suo emissario Bystrzonowski (102) s’incontrò a Torino con il Ministro degli Esteri Ettore Perrone di S. Martino (101) nell’autunno 1848, ove si presero accordi per i quali il Regno di Sardegna era pronto a pagare una cospicua somma di denaro se le formazioni croate avessero disertato dall’I. R Esercito. Il 6 novembre 1848 Bystrzonowski fece presente a Zagabria che Gaj, se avesse disposto di 200 o 300.000 franchi, avrebbe messo il Bano Jela čić alle corde. Pure i pareri del barone Romualdo Tecco, orientalista e ambasciatore sardo presso la Porta Ottomana, erano a favore di contatti diretti con gli slavi anche perché a Torino alcuni circoli politici influenti erano a favore di tale politica. Il discorso di Cavour del 20 ottobre 1848 è illuminante al proposito. ( Discorsi parlamentari del conte Camillo Benso di Cavour - Camera dei Deputati - Torino eredi Botta tipografi della Camera dei Deputati - Sessione 1848 secondo periodo pp.

58 – 60 - 1863 ). Naturalmente riportiamo lo spezzone più interessante per la Croazia. “… Il moto slavo, represso dalla forza brutale nel settentrione dell’impero, si spiegò più vigoroso, più minaccioso, più potente, nel mezzodì, nelle provincie (sic!) danubiane, abitate dagli Slavi - Croati. Io non prenderò qui ad esame le cause e i pretesti che suscitarono il moto della Croazia contro l’Ungheria. Non voglio discendere nei particolari della gran lotta che ferve tra i magiari e gli Slavi; solo ricorderò alla Camera che i Magiari, nobili, generosi quando si trattava di difendere i diritti della loro nazione contro la prepotenza imperiale, si mostrarono sempre orgogliosi, tirannici, oppressori verso la razza slava sparsa nelle provincie dell’Ungheria. ……(omissis) Sì, o signori, nessuno può negare che in Ungheria l’aristocrazia appartenga alla razza magiara, il popolo alla razza slava, e che in quel regno l’aristocrazia abbia sempre oppresso il popolo. Comunque sia io non intendo fare l’apologia dei Croati, e nemmeno dell’ardito loro capo il bano Jellachich. Mi restringo ad osservare che il vessillo ch’essi hanno spiegato è il vessillo slavo, e non già, come altri suppone, il vessillo della reazione e del dispotismo. Jellachich si è valso del nome dell’imperatore, ed in ciò si dimostrò accorto politico. Ma ciò non prova che il suo scopo principale, se non unico, non sia la restaurazione della nazionalità slava. Che cosa è infatti il potere imperiale? Un vano simulacro di cui si valgono a vicenda i partiti che dividono l’impero. Jellachich, vedendo l’imperatore in dissidio con i viennesi, si è dichiarato per il potere centrale, ma non già per la ricostruzione del gotico edifizio politico atterrato dalla rivoluzione di marzo. Per dimostrare che il moto di Jellachich non è una semplice reazione militare basti l’osservare che al suo avvicinarsi a Vienna i deputati slavi, segnatamente quelli della Boemia, i quali rappresentano la parte illuminata dello slavismo, lasciarono l’Assemblea, coll’intendimento di ritirarsi a Praga od a Brunn per ivi istituire un parlamento slavo. Io credo dunque che la lotta che ferve nel seno dell’Austria non sia già una lotta politica come quella di marzo, ma bensì il preludio di una guerra terribile di razza, delle guerra del germanismo contro lo slavismo. …..(omissis) Se queste mie considerazioni sono esatte, egli è evidente che l’iniziata guerra deve svolgersi rapidamente, estendersi a tutte le provincie slave, diventare gigante, e che qualunque sia l’esito della battaglia che sta per combattersi sotto le mura di Vienna, la guerra deve farsi più accanita. Infatti, o lo slavismo vincerà e s’impadronirà di Vienna, ed allora state certi che le provincie germaniche, ricusando di sottostare ad una razza da essi considerata con disprezzo, rigetteranno il giogo della capitale, e, aiutati dall’assemblea di Francoforte, combatteranno il principio slavo a Vienna, a Praga, nella Croazia; oppure Jellachich sarà vinto, ed allora, costretto a ritirarsi nelle proprie contrade minacciate dai Magiari vincitori, richiamerà sulle sponde della la numerosa fanteria croata che costituisce il nerbo dell’esercito di Radetzky per ricominciare l’ardita sua impresa”…

Un discorso assai lucido ma non recepito a fondo dalla politica. Il primo errore era stato quello di non percepire a fondo lo scandalo Gaj - Obrenovi ć con le sue conseguenze. Vegezzi Ruscalla (100) venne incaricato di analizzare le prospettive politiche del Regno di Sardegna in concerto d’interessi con i croati, onde salvarsi dal binomio germano - magiaro voluto e appoggiato dalla Russia secondo i dettami della Santa Alleanza. Torino inviò nei Balcani un suo console a Belgrado e costui era aiutato da una rete di spie e soprattutto dalla spregiudicatezza del mercante genovese Giuseppe Carosini. (104) Marcello Cerruti,(58) tale era il suo nome, prese contatti pure con Zagabria ove ingaggiò come informatore Karol Gregorovicz (105) emissario polacco del principe Czartoryski, assai vicino a L. Gaj (106) assieme ad alcuni giornalisti. (Jože Pirijeve ć alias Giuseppe Pierazzi - Suvremena javnost u Italici o Ljudevitu Gaju p. 198 - Zagreb-1973- opera fondamentale nella sua totalità, rimane quella di Angelo Tamborra- Cavour e i Balcani ed. ILTE - Torino 1958 ). Altro personaggio di spicco che va ad inserirsi in tale dialogo è Pacifico Valussi, (50) profondo conoscitore della questione adriatica che focalizzò immediatamente il problema: la futura appartenenza di Istria e Dalmazia e il problema di Trieste. Questa sarebbe stata la chiave di volta delle relazioni bilaterali tra italiani e slavi. Il problema parve complicarsi ancora nel momento in cui Jela čić (107) era stato nominato governatore della Dalmazia nel 1848. Valussi (50) contattò il Tommaseo perché lo mettesse in contatto con i croati in particolare . Di certo vi fu uno scambio di vedute tra il Valussi (50) e i circoli di Zagabria circa un’eventuale collaborazione in merito alle questioni sul tappeto e di sicuro vennero inviate all’interlocutore italiano, copie dello “ Slavenski Jug ” su tale argomento. I redattori di tale foglio erano l’austroslavista Nikola Kresti ć e il barone Dragutin Kušlan (108) assai vicino alle posizioni liberali di Ivan Mažurani ć che dichiarò unilateralmente la Croazia triregna indipendente dall’Ungheria nel 1848. ( Tomislav Markus - Slavenski Jug 1848 -1850 godine i hrvatski politi čki pokret – Hrvatski institut za Povijest - Dan i Svijet – Zagreb -2001 ). Secondo il Valussi (50) poi, occorreva informare il popolo italiano sui contenuti del movimento slavo e tale compito venne affidato allo sloveno Vincenc Klem (m) anche lui laureatosi a Padova e residente a Venezia fino al giugno 1849. In pratica costui chiedeva l’autonomia di tutti gli slavi sottoposti all’Austria e che questa li aiutasse a cacciare definitivamente i turchi dai Balcani. Altro punto di non buona valutazione era quello secondo cui i croati erano incolleriti con Jela čić (107), al punto, dicevano in molti, che essi si sarebbero perfino legati ai magiari se fosse stato il caso. Non si comprende bene se furono errate valutazioni colpose, dovute a scarsa o errata conoscenza dei problemi interni croati o invece errate valutazioni dolose onde chiudere la faccenda lasciando i Croati a sbrigarsela. Niccolò Tommaseo giunto da Parigi e memore dei colloqui avuti con il princi – pe Czartoryski e con Andrija Torkvat Brli ć e con tutta una serie di personaggi slavi e magiari, affermò in un suo scritto, il 3 marzo 1849, che l’alleanza tra costoro non era mai stata tanto vicina. Jela čić (107), a suo dire, era solo una marionetta in mano ai tedeschi e l’unico croato vero e degno di fede era L. Gaj (106) anche se solo intellettuale e letterato. E questo fu un altro errore di valutazione. Inoltre Tommaseo concordava con il Klem (m) onde recuperare come collaboratori i Croati presi prigionieri nell’ottobre 1848 a Venezia. Va detto a tale proposito qualcosa circa il comportamento dei croati a Venezia. Il 22 gennaio 1848 gli Arsenalotti aggredirono il colonnello Marinovich (forse un dalmata o un cattarino croato) che li aveva sempre maltrattati e lo uccisero. La gente affluiva sul luogo dell’incidente e gli ufficiali austriaci ordinarono alla truppa di far fuoco sulla folla, ma questa, composta soprattutto da veneti non reagì e neppure il contingente croato intervenne. Invece il 27 ottobre 1848 avviene lo scontro di palazzo Taglia o Bianchini, ove i croati resistettero ai rivoltosi e terminate le munizioni si diedero prigionieri in 160 con 8 ufficiali. Probabilmente Tommaseo e Klem (m) si riferivano proprio a costoro. Il 23 aprile 1849 è la volta di un ennesimo, tardivo appello del Tommaseo al Gaj (106) onde far disertare i croati dall’I. R Esercito. Il 23 marzo 1849 vi era stata infatti la sconfitta di Novara che aveva visto vincitore Radetzky. Abbiamo quindi la certezza che i nominativi e i documenti dei Croati che si trovano nell’archivio di Torino nel fondo Emigrati hanno quindi tre origini: dalmati e istriani croati, croati disertori e croati ex prigionieri. A Torino, prima della sconfitta di Novara si era peccato di troppo ottimismo basandosi sui suggestivi rapporti degli agenti di Czartoryski (103), dell’ambasciatore a Costantinopoli Romualdo Tecco e del console Cerruti (58) a Belgrado, tanto che a comandare le forze armate del Regno di Sardegna venne chiamato, con infelice mossa tattica, il generale polacco Wojciech Chrzanowsky, subito inviso alla lobby generalizia piemontese. Il direttore della divisione consolare del Ministero degli Esteri Cristoforo Negri, il 14 marzo 1849, in uno scritto inviato al Tommaseo affermava che i contatti con gli slavi sul medio Danubio e su quello meridionale erano necessari addirittura per riuscire a risolvere la questione italiana. Con il tracollo di Novara, il nuovo primo ministro reazionario Claudio Gabriele De Launay (dal 27/3/1849 al 7/5/1849), poi sostituito con Massimo d’Azeglio, invitò tutti a desistere da ogni azione antiaustriaca nei Balcani, ma rimase inascoltato e non solo dal Tommaseo. Infatti il Negri e ancor più il Cerreti (58) continuarono nei loro piani e quest’ultimo tenne viva la rete d’informatori con Zagabria. Le cose si erano messe in modo che la legione italiana al comando del Monti e al servizio dei magiari, essendo anche questi sconfitti dagli austro - russi, doveva essere posta in salvo, cosa che riuscì attraverso Costantinopoli. Ma Gaj (106) forse sperava che ingraziandosi in extremis l’Austria avrebbe ottenuto una certa autonomia per la Croazia e quindi informò la polizia austriaca dell’attività dei polacchi e del console Cerruti. (58) Costui nel 1850 venne richiamato a Torino e il suo posto resosi vacante, venne preso ad interim dall’incaricato di affari inglese in Serbia Thomas de Grenier de Fonblanque. (109) Vi fu in pratica una cupio dissolvi in cui ognuno pensò a sé stesso. Tommaseo dall’esilio di Corfù consigliò gli agenti inglesi in Croazia a mantenere relazioni con Albert Nugent (110) e Kukuljevi ć (35) Questo ci fa pensare che la rete di agenti sardi fosse ora in parte almeno, in mano inglese. Infatti all’AS sezione Corte in un mazzo inerente i consolati esteri di Sardegna, si ritrovano dei passaporti rilasciati tra il 1849 e il 1850 dall’autorità di polizia di Belgrado in serbo che sono intestati al portatore e in essi non si rinvengono nomi, mentre un passaporto turco, in lingua turca, rilasciato pure dalla medesima autorità di Belgrado, ci fornisce tutto il percorso di tale “agente” attraverso la Serbia fino al confine bulgaro, onde oltrepassarlo. Malgrado abbia interpellato diversi studiosi a Zagabria e a Sarajevo, non si è giunti a capo del nome mal scritto di tale agente che si trova nel testo turco, probabilmente un inglese o un irlandese.

L’errore forse più marchiano compiuto dai politici piemontesi che non avevano compreso a fondo Cavour, e pure da Tommaseo, era quello di non aver capito che lo Jela čić non aveva alternative a fronte della reazione magiara e dovette obtorto collo , scegliere gli austriaci che però, e a ragione, non si fidavano di lui e gli lesinavano truppe e aiuti. Il Bano infatti aveva compreso che in caso di vittoria magiara la Croazia sarebbe stata spacciata. Non dimentichiamo che Jela čić (107) era il braccio armato del triunvirato, mentre L. Gaj (106) non aveva nessun potere e non possedeva alcuna potenza militare. I politici croati furono prudenti e non fecero disertare in massa i loro dall’esercito austriaco; in caso di sconfitta vi sarebbero state conseguenze incalcolabili. Quindi prudenza. Infatti la politica poco realistica di Czartoryski (103) doveva essere lasciata da parte da coloro che monitoravano la situazione sul terreno e Gaj (106) era politicamente finito a causa del noto scandalo di cui abbiamo detto poco sopra. Ipoteticamente solo Jela čić (107) e i generali croati avrebbero potuto organizzare le diserzioni, ma a fronte della minaccia magiara, ciò non era possibile. Altro errore doppio fu quello di pensare cosa fatta un’alleanza magiaro - slava e di conseguenza una sopravalutazione dei magiari stessi. Altro aspetto che occorrerebbe trattare sono le varie provocazioni, i giochi del controspionaggio, gli accordi sottobanco….Ad esempio l’episodio dello scandalo Gaj - Obrenovi ć sa tremendamente di attentato premeditato e non è l’unico fatto. Che politica seguivano realmente alcuni tra gli agenti polacchi? Quale era l’influenza russa, di una Russia che fu poi il vero vincitore. Quale fu il ruolo della massoneria? Resta comunque da osservare che da un’era di dialogo patriottica come quella quarantottesca si passò rapidamente intorno al 1859 ad un’epoca fortemente improntata al nazionalismo. Ultimo colpo giocato soprattutto a scapito degli ungheresi, fu la promulgazione della costituzione ottriata del 4 marzo 1849 da parte dell’imperatore Francesco Giuseppe I, documento redatto dal conte Franz von Stadion (111) Ministro degli Interni.

L’impero veniva diviso in circoscrizioni amministrative e tali paesi rimanevano sotto la corona austriaca una e indivisibile, libera e indipendente e costituzionale. Le etnie o Volkstämme erano uguali innanzi alla legge e avevano diritto di sviluppare in proprio una personalità nazionale e ad esercitare le libertà fondamentali seppur un poco ristrette e i cittadini dell’impero o Reichsbürger sono uguali davanti alla legge; la servitù della gleba veniva definitivamente abolita. Lo stato unitario implicava la figura del monarca al centro di tutto il sistema politico e il potere di legiferare era conferito al Reichstag , parlamento bicamerale con una camera alta composta di deputati provinciali, due per provincia, eletti dalle Diete locali e una camera bassa composta da figure elette direttamente per censo, sia nobili che borghesi. Il Reichsrat o Consiglio Imperiale con ruolo consultivo, era alle dirette dipendenze dell’imperatore. Da un lato sparivano i diritti storici dei popoli componenti la monarchia e dall’altro sparivano le distinzioni tra popoli tedeschi e non tedeschi. Di fatto, tale costituzione non venne mai del tutto applicata e nel 1851 venne instaurato il neoassolutismo. Il Regno d’Ungheria spariva diviso in cinque circoscrizioni: Ungheria, Croazia, Litorale, Banato e Transilvania. La Croazia aveva convenienza ad accettare tale costituzione e questo venne ben compreso dal barone Franjo Kulmer (112) mediatore tra il Sabor croato e la Corte. (G. Kolmer - Parlamentund Verfassung in Österreich 1848 –1918 - 8 Bände- Wien 1920 ff - M. Alfred Legoy t- Ressources de l’Autriche et de la France d’après les documents officiels - pp. 11 – 13 – Paris - librairie de Guillaumin 1859 ). Il 22 aprile 1854, il Console del Regno di Sardegna Annibale Strambio, da Trieste, invia una lettera al Ministro degli Esteri Giuseppe Dabormida, ( in Materie politiche per rapporto all’estero - Consolati nazionali Trieste - Mazzo 5 n. 17 AS - Corte ) ove afferma: “ Il partito croato è il più importante ed è formato dagli Slavi che abitano Fiume e dividono gli stessi sentimenti delle popolazioni della vicina Croazia. Già da assai tempo ho riferito a Codesto Ministero…non vi ha paese in Austria cui il malcontento sia più generale e profondo che nella Croazia. Soli a difendere la patria, traditi dopo il 1848 e privati di tutti i vantaggi di cui prima godevano… ” Scrive poi di nazionalità poco rispettata, di tasse eccessive ove Fiume prima del ’48 pagava poche migliaia di fiorini in imposte erariali e nel 1854 mezzo milione di fiorini. Ma Fiume non regge il paragone con altri paesi della Croazia. E afferma che tale paese ha avuto molti caduti e ora famiglie e orfani sono in stato d’abbandono. L’Austria è in forte imbarazzo specialmente per l’adoperarsi della propaganda russa. (Kvaternik stesso lo ricordiamo, andò per prima cosa in Russia). Il Regno di Sardegna temeva lo sbocco al mare dei russi e così gli inglesi. Ci dice poi che l’Imperatore non ha ancora visitato il Regno di Croazia… E’ un monitoraggio della situazione molto reale che attende tempi migliori. Del resto che i Croati non volessero associarsi ai magiari contro Vienna, è palese nella lettera di Casimiro Batthyàni (113) a Giuseppe Carosini (58) mediatore a favore di un accordo con i serbi di Belgrado e con l’opposizione croata di Dragutin Kušlan (108) ed eventualmente anche con i “magiaroni” o unionisti filo - magiari) da Pest, l’8 giugno 1849 in Raccolte Private, Mazzo n°6 inv. 174, Serie II Carte Bianchi AS - Corte .

L’influenza della Massoneria

Al termine della trattazione inerente il XIX secolo occorre dire pure due parole sull’influenza della Massoneria su tali avvenimenti, istituzione che aveva in quel momento l’obiettivo di eliminare la monarchia asburgica molto legata al Vaticano e allo Stato della Chiesa e il Papa stesso. L’unico massone croato noto in tale periodo e forse proprio per tradizione familiare, in quanto Ivan Draškovi ć nel XVIII secolo fu uno dei fratelli fondatori della massoneria croata, fu il conte Janko Drašković in quanto membro della loggia parigina “ Philantropes reunis – l’union philantropique ” e questo secondo lo specialista croato dell’argomento dr. Ivan Muži ć “ Masonstvo u Hrvata- ed. Laus- Split - 2000 p. 18 sgg . Il ceco Franjo Zach era massone e amico di Ljudevit Gaj, così come Stipan Ivi čevi ć illirista dalmata che forse era più carbonaro che massone vero e proprio. La Massoneria era formalmente proibita sotto l’Austria ma crebbe invece in Istria, Dalmazia, Bosnia ed Erzegovina, Serbia e Ungheria e a tali logge appartenevano in maggioranza italiani, magiari, serbi e singoli croati che solitamente divennero massoni in altri stati come gli USA o l’Italia stessa. Gli italiani cercarono di coinvolgere alcune personalità croate come Kvaternik e Tkalac; nel 1864, momento in cui Kvaternik si accordava con Garibaldi per uno sbarco in Dalmazia poi proibito dal governo italiano, gli venne offerto di diventare massone. Adriano Lemmi , livornese , banchiere a Torino, ufficialmente non ancora massone, finanziatore di spedizioni mazziniane, legato comunque ai più grandi massoni risorgimentali, futuro Gran maestro del Grande Oriente d’Italia tra il 1885 e il 1896, in un colloquio tenutosi il 19 aprile 1864 a Torino, fece da tramite a tale proposta (sempre che non fosse massone prima del 1875, anno ufficiale della sua adesione) e assicurò a Kvaternik che “i massoni rispettano ogni credenza religiosa”. Kvaternik però ritenne tale offerta improponibile da parte di coloro che volevano distruggere la Chiesa e il Cattolicesimo e Lemmi, uomo che amava smodatamente il potere, concluse comunque che non si sarebbe discostato dal suo itinerario. Inoltre Kvaternik percepì che gli italiani avevano pretese sulla sponda adriatica e recise ogni tipo di rapporto con i massoni. ( Cherubin Segvi ć, Drugo progonstvo Eugena Kvaternika godine 1861 - 1865 - Zagreb- 1907, pp. 82 - 84, 90 - 92, 96 - 101 che è in pratica il diario di Kvaternik ). E’ vero poi che successivamente ottenne un sussidio probabilmente per interessamento di Garibaldi che a quanto pare lo scaricava rapidamente in Croazia. Una curiosità su Adriano Lemmi è contenuta nel registro tenuto dall’abate Cameroni al n. 785 Mazzo 10 con registrazione del Ministero degli Interni n. 2989 dell’8 maggio 1857 : “ Lemmi Adriano, avvocato, di Livorno, anni 32, con moglie e figlio, proveniente da Malta con visto del Console di Sardegna a Civitavecchia su passaporto della Legazione Americana di Londra ”. Chiede autorizzazione a fermarsi a Genova il 16 gennaio 1857. “ Nel 1851 trovandosi segnalato qual uomo pernicioso per i suoi cattivi principi, già sfrattato dal Granducato di Toscana, il quale gli vietò d’introdursi clandestinamente nei suoi Stati, foss’ anche sotto mentito nome. Perciò arriva l’allontanamento dallo Stato Sardo. Ora il Ministero si è determinato di per mettere che egli rientri nei Regi Stati in seguito alle istanze pervenutegli e si rechi a …in Genova. Il Lemmi prima di essere obbligato a venire in Piemonte dovrà dichiarare per iscritto di osservare le leggi dello Stato e le relazioni internazionali ”. Quindi già intorno al 1851 era massone o almeno ruotava attorno tale ambiente e nel 1857 lo era sicuramente, dato il tenore di questa nota. Dalla posizione assunta successivamente dal liberale Tkalac si potrebbe arguire con prudenza che costui sia divenuto massone, oltre che filo - magiaro e naturalizzato italiano, con un buon posto al Ministero degli Esteri in Roma, ove poteva controllare il mondo tedesco. In generale il mondo politico europeo risorgimentale era massone. In Piemonte e in Italia erano massoni Cavour, Nigra, Garibaldi, Crispi, Mazzini, Bixio, La Farina, uomini di cultura come Coppino e Boggio, Zambeccari ecc., in Francia Napoleone III, il principe Gerolamo (Plon - Plon), il principe Murat, in Inghilterra Lord Palmerston, sir John Hudson, ambasciatore a Torino, lord Gladstone, lord Disraeli, Ilija Garašanin e Vuk Karadži ć (114) in Serbia, Kossuth , Türr e Andrassy in Ungheria; e ciò per limitarci ai personaggi di spicco, senza contare i politici di seconda fila, i generali e tutti gli uomini di cultura o comunque inseriti nella gestione degli stati. Kvaternik venne comunque abbandonato a sé stesso, malgrado che Garibaldi continuasse i suoi maneggi. Ivan Pederin dell’Università di Zara, in “ Drugi bokeljaski ustanak 1882 i Ita- lija ” conferma l’impronta massonica nei complotti garibaldini indirizzati ai Balcani e ciò malgrado che le sconfitte di Lissa e Custoza, dovute anche a truppe imperiali croate, avessero messo termine ( Ibidem p. 246 )alle aspirazioni autonomistiche dalmate e che nel 1867 fosse stato sottoscritto il nagodba (compromesso) tra Austria e Ungheria e nel 1868 quello tra Croazia e Ungheria, fatti che Kvaternik avrebbe dovuto avere ben presenti. Tra il 1871 e il 1881 Garibaldi cercò ancora di sobillare i Balcani contro l’Austria con diverse attività cospirative non riuscite se non per quella riferentesi a Creta del 1866 -1867. Kvaternik era al corrente di tutto questo? Fu veramente lasciato solo o venne invogliato da qualcuno del suo circolo che lo seguì anche a Torino ad intraprendere la via della rivolta per volerlo così eliminare definitivamente? L’era del dialogo patriottico quarantottesco era definitivamente terminata e si era inaugurata l’era perniciosa del nazionalismo.

Adozione del croato al posto del latino come lingua della politica e della diplomazia il 23 ottobre 1847

UN LASCIAPASSARE OTTOMANO O TEZKERE XX e XXI secolo (CARTA D’IDENTITA’ CON VISTO DI TRANSITO)

Viene affrontato un argomento in parallelo, ma inserito nella vicenda risorgimentale italiana e croata, che dimostra come la politica inglese di lord Palmerston riuscisse a dirigere lo scacchiere europeo e non ultimo quello balcanico, così che da una dimensione orizzontale dovuta ad esigenze belliche, ideali, culturali, le relazioni tra popoli si verticalizzano con un irrigidimento politico e nazionalistico, tanto da diventare relazioni tra circoli di nazioni potenti e deboli, tese ad un certo scopo e le persone vengono sempre più ridimensionate a vittime di grossi ingranaggi e di grandi interessi. In pratica la manipolazione inglese teneva in mano le fila politiche imperiali della Gran Bretagna nel mondo. Un fascicolo rinvenuto all’Archivio di Stato di Torino Sezione Corte e precisamente il fascicolo n. 3 Carte Bianchi in Raccolte Private inv. 174 serie II Mazzo 6 ha richiamato da tempo l’attenzione di chi scrive dopo anni di studio. Gli studi intrapresi sono andati a rilento per il motivo che manca tutta una parte di documenti trasportata a Roma con il cambio di capitale e molti non sono in ordine; poi c’è il testo del lasciapassare scritto in turco del XIX secolo a lettere arabe e infine il grosso dubbio su chi era il detentore di tali documenti. Sulla camicia che li contiene un laconico Casement. Passano gli anni e nel 2001 compare uno studio, poi pubblicato, di Séamas Ó Siocháin e Thomas Kabdebo dal titolo “ and the two Roger Casements ” in Ireland and Hungary: A study in parallels with an Arthur Griffith bibliography. Four Court Press, Dublin, pp. 73 - 79. Gli autori sono partiti dalle Memorie di Lajos Kossuth ove si parla di Roger Casement che tutti dicono inglese per il fatto che era munito di passaporto inglese e perché l’Irlanda a quel tempo era dominata dagli inglesi, ma in realtà è un irlandese puro e tale Sir Roger Casement senior (1819 - 1877) era il padre dell’omonimo Sir Roger Casement junior (1864 - 1916), eroe dell’indipendenza irlandese. E’ importante sapere che dopo la disfatta di Vilagos, Kossuth e i suoi trovano rifugio a Vidin in territorio turco, sul Danubio, oggi sito bulgaro tra Serbia e Romania. Austria e Russia però insistevano perché costoro venissero estradati e a Kossuth venne suggerito d’inviare una lettera a lord Palmerston, allora Primo Ministro, onde richiedere l’intervento protettivo della diplomazia inglese. E tale ottica ben s’inserisce nell’aiuto fraterno tra massoni di cui si è detto e aiuta a capire meglio lo svolgimento degli eventi. In una lettera del conte Gyula Andrássy (115) plenipotenziario ungherese presso la Porta, indirizzata ad Arthur Görgey (116) comandante in capo e supremo dittatore magiaro nel 1849, il conte parla genericamente di un inglese venuto dall’India, probabilmente si trattava di Casement, ufficiale dei dragoni di Sua Maestà reduce forse dalla campagna in Afghanistan durata fino al 1842 - 1843. Tale ufficiale ricevette la lettera di Kossuth e la portò con urgenza a Palmerston.

Il passaporto di Casement riporta un viaggio molto interessante proprio a fine 1849. Teresa Kossuth, moglie di Lajos, incinta, nell’ottobre 1849, fuggì sotto falso nome, come Mary Smith e con la scorta di Roger Casement Sr. Costui aveva visitato il campo di Kossuth a settembre (forse tra il 7 e il 20) e poi arrivò a Vienna per consultazioni con l’ambasciatore inglese lord Ponsonby (117) indi procedette per Londra. Casement era di ritorno dalla Turchia ove si era recato dopo Vidin, come vedremo da Scutari, sulla sponda orientale del Bosforo, mentre la Kossuth procedeva in senso inverso per andare a rifugiarsi in Turchia; s’incontrarono nel Banato tra settembre e ottobre 1849 e toccarono, come vedremo, Belgrado, poi ognuno andò per la sua strada. La lettera per il Palmerston pare giungesse a Londra dopo il 9 ottobre 1849 e una seconda copia potrebbe averla ricevuta Francis Pulszky (118) ex - ambasciatore di Kossuth a Londra che aveva accesso diretto al filomagiaro Daily News ove la missiva venne pubblicata. La lettera può essere stata data al giornale da Charles Pridham che già si trovava a Vienna nel momento in cui Casement viaggiava per Londra. L’ambasciatore Ponsonby richiese comunque l’intervento della flotta inglese nei Dardanelli per proteggere la vita dei magiari fuggiti in Turchia. La rete di spie inglesi si componeva di Casement che recapitò diverse lettere di Kossuth a Pulszky (118), di Pridham, di due capitani Longworth e Herbert e di C. Frederick Hemingsen. Confrontiamo ora qualche data con i documenti del console sardo a Belgrado Marcello Cerruti (58), che ricordiamo, teneva i contatti pure con la fazione liberale croata. Stefano Markus in “ La missione del console M. Cerruti nel 1849 in Rassegna Storica del Risorgimento italiano - Roma 1950 XXXVII ” pp. 300 - 302 ci dimostra come il Cerruti (58) confermi la presenza di Kossuth a Vidin e come il 13 di settembre 1849 fosse arrivato un commissario ( un commissarie de Lord Palmerston ) inglese a Vidin via Scutari. Quindi il Casement, di cui Cerruti (58) non fa il nome, persona dotata dal suo governo di poteri speciali. Lo scritto è del 16 settembre 1849 e si trova in Ibidem - Registro messaggi decifrati dal 23/1/1848 al 21/2/1850 – 17 – 58 -85 - Archivio Storico Ministero degli Esteri – ASME - Roma . Riguardo poi alla moglie di Kossuth, Cerruti (58) ci menziona un altro viaggio in dicembre 1849, esattamente via Semlin - Zemun, sotto falso nome, dal 9 dicembre 1849 per raggiungere il marito a Shumla - Šumen, allora ottomana e oggi nella Bulgaria nord - orientale. ( Ibidem - Dispaccio cifrato n. 90 17 – 58 - 120 ). Teresa Kossuth ripartì il 17 dicembre 1849 e lo sappiamo da un successivo cifrato. Il 23, accompagnata dal Carosini, agente magiaro, era alla frontiera turca. Ma per via dello stato deplorevole delle strade, il 28 dicembre temeva di non poter continuare il viaggio per Shumla. (Lettera del Carosini – 104 - a Cerruti – 58). Successivamente abbiamo poi l’invito del D’Azeglio, Presidente del Consiglio e Ministro degli Esteri, del 23 dicembre 1849 onde rimettere rapidamente gli archivi nelle mani del console inglese . Il 4 gennaio 1850 Cerruti scrive che il dispaccio risa - lente al 23 (lui afferma 24) di D’Azeglio era arrivato il giorno 3 gennaio e che comunque non aveva ancora ricevuto la lettera con l’ordine di partire che “ il parait qu’elle s’est perdue en chemin ”. Reggente del Consolato di Sardegna diventerà il console inglese De Fontblanque (109) ma l’11 febbraio 1850 il console sardo era ancora a Belgrado e scriveva a D’Azeglio a Torino. Nell’opera del Conte F. Bettoni – Cazzago - Presidente dell’Ateneo di Brescia- “Gli italiani nella guerra d’ Ungheria – 1848 – 1849 - storia e documenti - Milano Fratelli Treves Editori 1887, pp. 182 – 183 – 186 – 187 - rinveniamo altre notizie sul Casement. In una lettera del barone R. Tecco da Costantinopoli, viene detto che Il Casement, dovendo partire il 6 settembre da Costantinopoli, si mette solo in viaggio il 7 con una somma di denaro (2000 franchi in oro) per il Monti, capo della spedizione italiana in Ungheria assieme a un polacco di nome Zilewski di Posen. Quindi conferma indirettamente l’arrivo a Vidin il 13 come affermato da Cerruti. Non solo, ma evidentemente il Casement si occupava di tutti gli esuli e non solo magiari ed era, per tramite inglese, uomo di fiducia dei consoli e ambasciatori sardo - piemontesi. In quest’ottica s’inserisce il passaporto rilasciato a Londra dalla Repubblica Francese a Roger Casement. Documento rilasciato dal console generale di Francia a Londra intitolato Repubblica Francese n. di registro 5023 f, età 32 anni (?!?), altezza 1,86, capelli bruni, sopracciglia castane, occhi blu, fronte spaziosa, naso, bocca e mento normali… nessun segno particolare. Il documento viene rilasciato per lasciare passare liberamente Sir Casement (Roger) ufficiale dei dragoni …di Sua Maestà. Purtroppo la località di nascita non si decifra facilmente….pliton (?), residente a Londra ….andante a Marsiglia per ……o Calais (?). In caso di bisogno si da a lui protezione e il passaporto in oggetto ha validità un anno ed è stato rilasciato su domanda. Data, Londra il 14 agosto 1849. Sul retro vi sono i visti: - n. 40703 (?) passaggio da Marsiglia il 16 agosto 1849; il 21 agosto il Consolato di S. M Britannica a Marsiglia appone il visto e lo stesso giorno con il n. 964 la Porta pone il visto per Costantinopoli. Questo per l’andata. - Per il ritorno c’è un visto della Legazione della Repubblica Francese presso la Porta Ottomana per ritornare in Francia via Vidin - Belgrado, datato a Costantinopoli il 7 settembre 1849 a firma L. Monet o Manet (?) il che combacia con le informazioni date dal Tecco. Il 19 settembre 1849 con il n. 543 Casement ottiene un visto scritto in italiano della I. Regia Agenzia Consolare di Austria “buono” per Vienna in Austria, via Belgrado in Serbia, via di terra, datato a Vidin il 19 settembre 1849, a firma M. Dobrolovich (?) il che in definitiva combacia con le date e i tempi dello studio citato inizialmente. Vi sono poi due documenti di transito in serbo che sono contemporanei alle date di transito della moglie di Kossuth che il Cerruti (58) nelle carte citate, definiva malata da otto settimane a causa di privazioni e sofferenze. Se però fosse andata in quarantena, le date non combacerebbero con quelle riferite dal Cerruti (58). Può essere il Casement, il cui nome non si fa, che seguiva questa e altre faccende.

Calcoliamo che la quarantena durava da 21 a 42 giorni. Nel lasciapassare n. 2499 del 14 dicembre da Negotin, si dice chiaro che il latore ha passato la quarantena a Radujeva ć, tutte località vicino a Vidin, sempre che la storia della quarantena non sia solo un depistaggio per sicurezza. Inoltre quel che si riesce a comprendere del testo parla di “ na stranu imenovanom ”, ossia del nominato a lato; erano forse tali permessi acclusi al documento turco che andremo ad esaminare? E comunque le parole successive lo dicono diretto in Turchia. Il lasciapassare n. 80 lo vede ripassare da Belgrado nel gennaio 1850. Le calligrafie sono pessime e i documenti sono su velina blu per cui avanti e retro si disturbano a vicenda, senza contare due rombi a sigillo sui testi. Il tezkere ottomano è un documento complesso e riporto le impressioni e la traduzione del prof. Nenad Moa čanin cui lo sottoposi nell’agosto 2003. Costui consultò esperti tedeschi della grafia e del linguaggio del XIX secolo e disse che il testo è abbastanza illeggibile, steso in forma burocratica che lo rende poco comprensibile. Nome e cognome della persona sono pressoché illeggibili e la maggior parte dei timbri sono praticamente intraducibili. Oltretutto non viene rispettata alcuna cronologia nello svolgimento dei viaggi .

PRIMA PAGINA

Visto di transito (tezkere) (testo manoscritto): il latore di tale documento è andato a Belgrado. Vidin e la nahija (sottodistretto)di Vidin per terra (?) il 20 Redzeba 1266 (2 giugno 1850) (Timbro) (testo del modulo). La persona di nome (R) ozen Kuzmanet o Kuzmaten (?) (Casement) di nazionalità francese e cittadino del Regno di Francia (sic!) compirà questa volta il viaggio da Istanbul attraverso Vidin fino a Belgrado. Si rilascia il visto di transito (tezkere) a nome del suddetto: per il tempo del viaggio gli si lasci libero transito da parte della polizia e degli alti funzionari pubblici e questi prestino a lui ogni servizio e a lui diano ogni tutela. (19 Redzeba 1265). Il 10 giugno 1849. “…12 anni…” (testo manoscritto inferiormente): partito da Šumen per Belgrado. Il visto è messo nel registro con permesso (…) dell’eccellente e onorevole Halim Pascià. (Timbro) L’amministratore del Kadiluk di Šumen. Il mese di giugno dell’anno 1850. (1266) (Timbro) Kadiluk di Šumen nel Sangiaccato di Silistra. A lato a sx: n.40 Connotati età 32 anni, altezza…., non porta barba e baffi, occhi chiari grigio-azzurri , segni particolari…

SECONDA PAGINA (RETRO)

Il testo in alto sembrerebbe essere un’autenticazione. Il detentore di tale documento (R) ozen…..é giunto prima del tempo a Belgrado ed ora desidera continuare il viaggio fino ad Istanbul. Nel luogo menzionato e con garanzia del Console di Sardegna nel medesimo, viene inserito nel registro e gli viene timbrato il documento. Data 29….1266.(forse gennaio n. d. r)

(Timbro). Il governatore della piazzaforte di Belgrado o muhafiz - i kala - i Belgrad (probabilmente Asan Pasha n. d. r)

Testo a sx del più grande: con la garanzia del console austriaco (?) Meyerhofer (n. d. r) da Belgrado è andato a (?) Vidin e circondario per terra (?) Data (…) 1265 (1849) (Timbro): ufficio amministrativo di Vidin.

( Due brevi testi a dx i alto):

1)- Andato a Vidin e nel circondario di Lom per terra. Data 28 Sevval 1265 (28 ottobre 1849) (Timbro) Kadiluk di Vidin… 2)- (…) 1266 (1850); Timbro (…)

(Due brevi testi a fondo pagina):

1)- Da Istanbul attraverso Vidin ha viaggiato per Belgrado. Data: 20 Sevval 1265 (20 ottobre 1849) Timbro dell’ufficio di Ruscuk cui appartiene Tul…(Timbro)

2)- Ha viaggiato nelle vicinanze di Šumen e Ruscuk il 28 safer 1266 (28 febbraio 1850) (Timbro)

Un bel garbuglio di date e fatti, che ben s’incastona nel personaggio. Guardando alle date riportate sul documento, quelle certe ovviamente, abbiamo il 10 giugno 1849, il 20 ottobre 1849, il 28 ottobre 1849; poi il 29 gennaio 1850 (desumibile dal fatto che vi era ancora il Cerruti a Belgrado, in annata non bisestile per il calendario gregoriano), il 28 febbraio 1850 e il 2 giugno 1850. Trovandosi il documento in un fascicolo intitolato Casement dallo stesso Nicomede Bianchi, non vi è dubbio, così come i lasciapassare serbi, che appartengano al Casement. Il 10 giugno 1849 parrebbe essere la data del rilascio del documento che occorre al Casement per andare da Istanbul via Vidin a Belgrado; inoltre sappiamo che è irlandese, cittadino inglese e che evidentemente doveva già possedere in precedenza un passaporto francese che poi scadde e infatti ne richiede uno nuovo in agosto. Qui è detto chiaro che i Turchi lo considerano cittadino francese solo che al posto della Repubblica, parlano ancora di Regno di Francia. Il fatto che il testo dica “ compirà questa volta ” denota un’abitudine a tali spostamenti forse anche anteriore o nel medesimo anno o negli anni precedenti. Il 20 ottobre 1849 era nuovamente in viaggio e fu qui che sfruttò il lasciapassare per il percorso richiesto, il che fa pensare che il rifugio di Vidin fosse già stato opportunamente preparato prima e proprio dagli inglesi; insomma non fu casuale la fuga di Kossuth in tale luogo. Nomina Ruşcuk - Ruse in Bulgaria e Tulcea in Romania, sul Danubio perché il vilajet (provincia) di Tuna arrivava appunto fino a Tulcea da Varna e fino a Sofia e Niš. Il 28 ottobre 1849 va a Vidin e nel circondario di Lom , nella Bulgaria nord- orientale, porto e fortezza poco distante da Vidin e addirittura per andare in missione a Vidin da Belgrado si fa pure dare garanzie dal console austriaco Meyerhofer.

Come si può vedere sono tutte missioni via terra perché via mare va solo da Marsiglia ad Istanbul. Evidentemente gli inglesi volevano fare le cose in sordina e comporre ogni vertenza anche con l’Austria in modo elegante e sofisticato. Probabilmente è a questo punto che si ammala di colera o di sindrome consimile e viene avviato in quarantena a Radujeva ć in Serbia come da passaporto serbo del 14 dicembre, dato a Negotin (Serbia) non lontano da Vidin. Il documento turco ci dice che torna a Belgrado prima del tempo , probabilmente prima di quanto concordato con le autorità, sempre appunto che la malattia sia stata reale e non diplomatica. E’ il 29 gennaio 1850 e Casement va ad Istanbul da Belgrado, via terra con garanzia del console Marcello Cerruti. Il timbro questa volta è del muhafiz – i - kala o governatore della fortezza di Belgrado Ashan Pascià. Evidentemente non è solo più questione dello stato maggiore magiaro ma anche della legione Monti. Nel 1850 viaggia praticamente solo tra Belgrado e Šumen ove si trova rifugiato Kossuth in attesa di andare a Istanbul. Halim Pascià è il comandante turco di Shumla- Šumen. Nel Mazzo 6 Serie II Carte Bianchi fasc. 3 AS - S. Corte, abbiamo diverse lettere del Batthiany e una in particolare del 26 luglio 1850 da Kutahia, afferma che il Casement, già volontario in Ungheria, sarebbe persona da utilizzare come mediatore presso la Porta. A questo punto, fattaci un’idea abbastanza chiara di cosa volevano e di come agivano gli inglesi e di quali erano i loro scopi, capiamo perché il Tommaseo nell’esilio di Corfù si rivolgesse agli inglesi onde consigliarli di tenere relazioni con il Nugent e il Kukuljevi ć e comprendiamo ancora meglio l’isolamento del Kvaternik, nonché l’isolamento della Croazia costretta ad essere austriacante dagli eventi. Il baricentro si era spostato verso l’Ungheria, verso i Principati e di contorno verso la Serbia. Si erano formati e si andavano perfezionando i nazionalismi. Ecco che la vicenda Casement ci mostra con che livello di spregiudicatezza si trattassero argomenti inerenti i futuri assetti europei e come i popoli si dovessero conoscere unicamente per decisioni verticistiche. Nel periodo del mercantilismo, a fronte di decisioni di vertice, le genti si conoscevano ancora per motivi culturali, di lavoro, di emigrazione e bellici e si potevano sviluppare conoscenze orizzontali. Il XIX secolo col suo modo di essere, darà origine al secolo breve, il XX, all’esplosione dei nazionalismi e delle dittature, al non avere più tempo per delle buone relazioni amicali. L’effetto acceleratore sul divenire storico, iniziò ad imprimerlo il 1848 assieme alla rivoluzione industriale, accelerazione e svalutazione dei rapporti interpersonali, al punto che la massima espressione irrazionale di tale fenomeno furono le dittature seguite alla Grande Guerra di cui il secondo conflitto mondiale é un’appendice. Praticamente l’isolamento croato, salvo la breve parentesi dello stato NDH pilotato da Hitler, è stato rotto solamente nel 1991, là ove i progetti di Kvaternik hanno avuto attuazione con un programma di minima e dove si sono cominciati ad abolire tutti i miti jugoslavi poiché autonomia politica significa anche autonomia cul - turale. Tale autonomia comunque non deve e non può fare a meno di analisi storiche fenomenologiche di fattori che hanno attorniato la storia croata nel suo divenire. La storia è come il noumeno platonico o idea, cui si può arrivare solo tramite ragionamento; essa utilizza ogni fatto o fenomeno che divenendo porta ad un certo risultato positivo o negativo. Ecco che il fenomeno inglese porta a ragionare sull’idea, sul concetto animatore e sul senso storico, là ove per tutti i popoli si hanno dei risultati positivi o negativi. In una parola si risponde al perché la Croazia nel 1850 si venne a trovare in una situazione critica e delicata, lungi dall’aver eliminato il pericolo magiaro, lungi dall’essersi affrancata dall’Austria e con il pericolo serbo nazionalista che si profila all’orizzonte. Dai documenti analizzati scaturisce un sistema di far politica al di fuori degli schemi rigidi imposti a Vienna nel 1815.

Altre spie……

Serie 1 mazzo 58 AS - SR, presenta certo Rossanich Nicola che viene dato prima come transilvano e poi come valacco di Timi şoara. Rošani ć (croato? Forse serbo per via del nome) originario di Čakovec o di Zagabria e poi trapiantato in Romania. (?) Professione sarto, anni 50, proveniente da Mede verso la fine del 1849, dice, dopo aver disertato da un reggimento austriaco, di aver servito Garibaldi a Roma e di essersi poi stabilito a Mede Lomellina nell’agosto del 1849. E’ munito appunto di biglietti di raccomandazione in cui si dice che è disertore ungherese e che aveva combattuto a Roma con Garibaldi. A Mortara si munì di certificato di permanenza (permesso di soggiorno) in data 11 settembre 1849 e nel 1852 lo troviamo dimorante a Torino. Dal passaporto rilasciatogli a Mortara per Berna (CH) il 18/4/1851, questi lo qualifica di anni 48, assieme a sua moglie Carolina Uhll di Berna di anni 23. Poi fu a Biella e a Mortara ottenne il visto per la Sardegna, nel gennaio 1852 a Cannobio , indi ottiene un visto per la Svizzera a Iselle il 19 febbraio 1852. Viaggia molto, a Domodossola, Casale, Valenza, Novi, Arquata e La Spezia. Il 23/6/1852 dopo un ricovero, esce dimesso dall’ospedale con la moglie. Il 31/10/1852 è a Genova per lavoro. Da un documento del 3/2/1853 si viene a sapere che costui abitava a Torino in Contrada del Belvedere (via F.lli Calandra) in una locanda e che deve raggiungere Parigi con i sussidi di un suo zio e quindi richiede un passaporto. Lascia la moglie a Pinerolo presso il sig. Manno (Manos, famiglia fanariota con ramo greco, dalmata e rumeno, legata agli Ypsilanti e ai Maurocordato) Principe di Bucarest, che prese in affitto una casa colonica dall’albergatore della Corona Grossa. Sembrerebbe che questo Manno fosse il finanziatore, “lo zio” di Rossanich, poiché cercò a Pinerolo e a Torino un prestito tra le 7 e le 10.000 lire dell’epoca. Manno, se zio di un Rossanich sposato a una Uhll, non può essere cognome pinerolese o piemontese e se Rossanich viene dato come rumeno, ecco che pure lo zio è rumeno. A questo punto il sig. Belloni, Segretario Capo della R. Questura di Torino, viene richiesto di dare informazioni in base alle ricerche fatte a Pinerolo e a Torino e si appoggiò all’ex - proprietario del caffè di Brescia (?) in contrada S. Massimo (nel centro di Torino vicino al Comune) e ora proprietario della bottiglieria dello Scudo di Savoia in contrada S. Tommaso (a lato di via Garibaldi), onde riscontrare, costui era un informatore della Questura, quanto ricevuto da Pinerolo, ove evidentemente la cosa era tenuta d’occhio. Il Rossanich probabilmente frequentava il locale. L’11 ottobre 1853 la moglie, essendo il Rossanich rimpatriato da un mese (a Timi şoara? A Bucarest?) non trovava da vivere con il suo figliuolo a Torino e quindi deliberava di espatriare per raggiungere il marito e viene infine munita di foglio di via con indennità. La professione di sarto era una copertura e ben prima dell’ ”affaire” del 1859 che coinvolgerà Napoleone III e Cavour con la spedizione di 10.000 fucili a Gala ţi, poi fatti ritornare indietro perché bloccati a Costantinopoli dagli inglesi. Si commerciavano armi tra Parigi, Genova e i Principati. C’è veramente da chiedersi a questo punto se il soggetto in questione, sia veramente stato un agente sotto copertura. Non lo sapremo mai.

Evidentemente “il sarto” garibaldino era coinvolto in affari poco chiari .

Trattasi probabilmente di un serbo della rete facente capo ai vari consoli Sardi dell’epoca come Astengo, Cerruti e Scovasso a Belgrado (il factotum Giuseppe Carosini era simile al Rossanich) Strambio a Bucarest, Tecco a Costantinopoli; la regia era a Torino,a Parigi e a Londra con supervisione inglese.

Non dimentichiamo che Cavour era amico stretto con Lord James Hudson, ambasciatore inglese a Torino, con Lord Palmerston e tramite Nigra con la corte francese.

Provincia di Vidin – Bulgaria - oggi

XX E XXI SECOLO

Ante Paveli ć

Il cosiddetto secolo breve vide a Torino la presenza di questo croato capo del movimento ustaša (119). Ante Paveli ć nacque a Bradina, in Erzegovina nel 1889, da Mijo, originario di Mrzlogdol nei pressi di Senj e da Marija, originaria di Francikovac pure vicino a Senj (Segna). Il padre lavorava in una ditta che costruiva un tratto della ferrovia che collegava Mostar con Sarajevo. La Bosnia - Erzegovina era allora sotto protettorato austro - ungarico dal 1878 e formalmente era ancora posseduta dalla Turchia ottomana e verrà annessa all’Impero nel 1908. Paveli ć compì gli studi ginnasiali a Travnik, in un ambiente a maggioranza musulmana, presso i Gesuiti. Il fratello Josip conseguì la maturità nel medesimo istituto e divenne professore di latino e greco nei ginnasi di Brod e Zagabria. A Senj, Ante proseguì gli studi classici e qui lo si coglie spesso preso dalle sue riflessioni che già indicano quale sarà il suo percorso di vita secondo il pensiero nazionalista. Nei suoi “ Doživljaji ” (Esperienze o Avventure) al cap. IX afferma: “ Sedetti su un masso e fissai lo sguardo su questo prodigio di vista e mi sovvenne il fascino di un lontano passato, così che mi parve che già a Senj, vecchia patria degli uscocchi (121), vi fosse ricovero di navi veloci, su cui i coraggiosi uscocchi (121) inseguivano di corsa quelli, che sui loro grandi velieri portavano armi micidiali al nemico, dai quali per secoli, questi figli della madre Croazia difesero col sangue tale suolo e questo mare croato di Senj. Che questi fossero i sedicenti mercanti sulle cui bandiere sventolanti sulle loro navi il leone teneva tra gli artigli il Vangelo di S. Marco, che per il giallo oro equipaggiarono di armi mortifere il nemico; ciò successe in particolare sul suolo croato e poiché gli uscocchi (121) di Senj lo difesero con le loro vite, i mercanti veneziani li bollarono come pirati e banditi che non conoscono le leggi di Dio e del mare. Che fossero questi pirati e criminali perché ostacolavano il vergognoso e turpe mercato della signoria veneziana, che venne alimentato da essa stessa in Adriatico col sangue croato, rifornendo l’Impero Ottomano di munizioni e armi e perché finalmente le loro navi con il carico o con i denari di Giuda trovarono sepoltura in mezzo alle onde, questo è noto, ma proprio per questo chiamarono l’Europa per porre un limite a tali imprese “criminali” degli eroi croati del mare, poiché essi da soli non erano neppure in grado di mettersi in viaggio. E l’Europa naturalmente credé loro, come anche oggi è pronta a credere ad ogni calunnia contro il popolo croato e patteggiando si accordò per distruggere le navi veloci degli uscocchi croati e di farli migrare verso le alte montagne di Žumberak, lontano dal mare e che in tal modo si limitasse la forza navale croata in maniera tale che gli immondi mercanti potessero continuare ad organizzare il loro vergognoso mercato e a derubare il più possibile il litorale croato. Che la gloriosa Europa, la gloriosa cultura occidentale e la civilizzazione cristiana si siano sempre trovate d’accordo nel momento in cui bisognava umiliare il popolo croato e comprimere la sua libertà…” Poco oltre Paveli ć afferma: “ Una volta, quando tali monti erano ricoperti di vegetazione, sicuramente non vi era bora e per questo poterono rifiorire sia Senj che le altre città, ma ecco che l’altrui mano rapace pelò del tutto tali montagne e quella ricchezza smisurata che tali foreste vicino al mare rappresentavano, venne portata per il mondo e vene trasformata in oro purissimo che in tal modo non è solo sgocciolato, ma è scorso dritto nel tesoro della Repubblica di Venezia e nelle casse dei suoi sudditi, cittadini di Venezia. Non c’è alcun dubbio che tutta la ricchezza di tale stato mercantile di un tempo, avesse la sua fonte principale nelle ricchezze boschive della riva adriatica orientale e persino la stessa Venezia fu tutta costruita sulle palafitte provenienti dai nostri boschi che sono conficcate nelle cosiddette “fondamenta” su cui si reggono tutte le case, i palazzi e le regge innalzati nel tempo, ed anche oggi in tale città in cui gli abitanti si possono denominare tranquillamente anfibi, i singoli gruppi di case si chiamano “fondamenta” e non vi sono vie. Venezia non fu mai politicamente padrona di questo nostro litorale né lo ha mai conquistato e oltre a ciò alcune città vennero comperate col denaro, come avvenne per Zara, quando il nuovo re indotto, l’angioino di Napoli, come primo atto del suo governo in Croazia, la vendette a Venezia per centomila ducati. Ecco perché tale tipica repubblica commerciale riuscì sempre a trovare i mezzi e i modi per tagliare le folte foreste sul nostro litorale, da un lato a strozzarsi nella ricchezza e dall’altro a pelare completamente, a devastare e a impoverire la nostra riva. Le foreste furono tagliate senza alcun riguardo e totalmente distrutte e quindi i venti e le piogge fecero poi la loro parte, asportando tutta la terra, così che col tempo sono rimaste le rocce nude erose dal sale…” E’ un Paveli ć giovane ma decisamente nazionalista e pur riportando fatti storici largamente inconfutabili, li espone con una vena acida e con odio verso Venezia e l’I- talia e contro ogni nazione o potenza che calunnia il popolo croato e che crede ai suoi accoliti potenti e non ai piccoli popoli oppressi dalla storia millenaria come il popolo croato. Un’Europa quindi coalizzata per interesse contro i croati e decisamente qui si fanno avanti le idee estreme di Frank (39). E’ il momento in cui l’Austria - Ungheria per costoro rappresenta un intralcio e in cui l’irredentismo e il nazionalismo italiani si fanno molto invasivi. Si pensi alla politica di Crispi e alle idee di Corradini, Rocco, Federzoni (nazionalisti) (120), a D’Annunzio, tutti personaggi ben noti anche oltre Adriatico. E’ anche il momento dello scontro con i serbi di Croazia. I fatti storici riguardanti Venezia sono chiari. I veneziani si sa che vendettero armi agli egiziani e probabilmente anche agli ottomani. Altro fatto, vennero più volte scomunicati per i commerci col Turco o per le loro razzie come nell’881 o dopo la conquista di Zara del 24 novembre 1202 durante la Quarta Crociata da Papa Innocenzo III, perché la spedizione era diretta contro musulmani e non contro cristiani, quella Crociata in cui Dandolo conquistò Costantinopoli asportando ogni ricchezza dalla città. Basti ricordare che Papa Giovanni Paolo II chiese ufficialmente scusa di tale saccheggio il 4 maggio 2001 all’Arcivescovo greco - ortodosso Christodoulos. E’ poi vero che Ladislao di Napoli nel 1409 vendette Zara a Venezia. Non dimentichiamo infine che i genitori di Paveli ć erano della zona uscocca di Senj, ecco perché l’animosità contro Venezia. Il nazionalismo, da qualsiasi parte provenga, si basa sempre su fatti storici reali che vengono poi dilatati e manipolati fino a creare dei miti da propalare ad arte alla popolazione che spesso non conosce nulla di tali realtà storiche. Si passa così allo slogan demagogico ripetuto fino all’ossessione, magari senza comprenderlo. E’ chiaro come gli uscocchi (121) fossero dapprima serviti agli interessi di Venezia come forza antiottomana e quando non servirono più, soprattutto perché dietro di essi emergeva la pericolosa rivale Austria, venne promossa una campagna militare contro di essi e vennero così liquidati dopo la guerra di Gradisca (inizio XVII secolo). Del resto Venezia ebbe sempre problemi con la pirateria croata, perché prima degli uscocchi (121) vi furono i narentani che iniziarono le loro attività intorno all’840 e che vennero definitivamente sottomessi (Almissa - Omiš) solo nel 1444. La questione del disboscamento è tipica della regione di Senj. In Adriatico vennero ad incrociarsi interessi economici di Venezia, dell’Austria e della Spagna con sullo sfondo il Regno di Napoli e lo Stato Pontificio. Naturalmente gli uscocchi diventarono un pretesto, un pomo della discordia che mascherava altri interessi. Attaccando le navi di questi Stati per predarle e forse su istanza stessa di questi contendenti, alla fine divennero disturbatori da eliminare ma non prima di aver curato i propri interessi di parte. L’obiettivo di Venezia era quello di governare tutta la parte orientale dell’Adriatico, incluso il litorale in mano agli Asburgo. Posto che per le incursioni turche il mercato di terra era quasi fermo, Venezia avrebbe potuto lucrare sulle rendite offerte dai porti. Il legame tra la Lika, la Kapela e il Litorale Croato (foreste), avrebbe costituito un’attrattiva a compensazione delle grandi somme che fin dal 1575 Venezia aveva iniziato a spendere per rendere sicura la navigazione . Karlo Horvat in “ Monumenta historiam uscocchorum illustrantia ex Archivis Romanis precipue e secreto Vaticano desumpta -“ 1910 - 32, nr. 561, 564, 566, 568, 569, 577, 582) afferma tra l’altro che il vescovo di Segna (Senj) de Dominis (122), originario di Arbe (Rab) pensò a far segare e a vendere il legno dei boschi a Venezia per 4 - 5000 scudi. Secondo il suo parere gli uscocchi avrebbero dovuto restare a Segna in funzione antiturca. Il lavoro normale sul legname sarebbe stato affidato a sudditi asburgici dietro compenso. Il Litorale Croato o Hrvatsko Primorje era sotto giurisdizione di Vienna. Il problema divenne quindi se il taglio dei boschi (faggi, querce, frassini, olmi e altri legni pregiati) potesse consentire maggior potere difensivo a Senj o se invece venisse a garantire un maggior potere offensivo ai Turchi. In ogni caso il vescovo mediatore de Dominis pregò l’Imperatore di affidargli i noli portuali delle città adriatiche per poter garantire ai Veneziani il loro credito e Venezia inviò all’Imperatore 150.000 talleri, di cui 50.000 a fondo perduto per aiutare gli uscocchi. Solo una parte di tale spesa andava quindi compensata in legname e il resto appunto era a fondo perduto per la sicurezza nei traffici. Essendo poi un mercato vantaggioso pure per l’Austria, questa chiese che si fissassero di volta in volta i prezzi. Tali speculazioni a beneficio di tutti i contraenti crearono presto conflitti d’interesse e zone di eccessiva ricchezza, nonché conflitti armati. In un sistema ove ci sono ricchezze per tutti è facile capire come alla divisione della torta volesse partecipare anche chi era rimasto fuori, non contentandosi delle briciole. Ai primi raffinati contraenti senza scrupoli subentrano quindi i secondi, meno raffinati e pure senza scrupoli: gli uscocchi (121). La fine del ginnasio coglie Paveli ć a Karlovac, ove scrive il cap. X delle “Esperienze” dal titolo “Istra” (l’Istria). Scrive fra l’altro: “… L’anno 1910 collaborai volontariamente al rilevamento per il censimento della popolazione a Pola e dintorni e tale attività fu organizzata da parte croata in modo che a sera, nel tempo libero, andassimo per le case e i villaggi dei croati per compilare i moduli, affinché i funzionari italiani dei comuni non ingannassero apponendo loro l’uso della lingua italiana nello spazio dedicato. Qui ho avuto modo di vedere come si fabbricano gli Italiani in Istria.”(Citazioni da Višnja Paveli ć - Paveli ć 100 godina – Zagreb - Libar 1995 str. 134 –135 – 136 - 138 Višnja Paveli ć-). C’è effettivamente da chiedersi come Mussolini potesse fidarsi di Paveli ć alla luce di tali considerazioni; se queste non erano note, erano comunque noti discorsi, pensieri e azioni del croato attraverso i rapporti di polizia. La questione dei censimenti è un’altra vexata quaestio che avvelenò non poco, a causa dell’Austria, le relazioni tra le due etnie in Istria. Dal 1848 in poi Vienna cercò di battere l’irredentismo italiano e perciò attuò i vari censimenti secondo la lingua d’uso (1880, 1890, 1900 e 1910). Nel 1910 gli italofoni erano ancora più del 37% e vivevano soprattutto sulla costa occidentale, nelle città e nelle isole del Quarnaro. Ma se da un lato vi erano continui inganni nei censimenti da ogni parte interessata, occorre comunque sottolineare che i croati d’Istria, nel momento in cui si trovavano ancora subalterni agli italiani, ebbero, come primo loro difensore il Vescovo di Parenzo e Pola (1857 - 1875) Juraj Dobrila (123) amico del collega Vescovo Strossmayer (84) membro del Sabor o Dieta parentina nel 1861 e suo rappresentante al Parlamento di Vienna fino al 1867. Costui fondò pure il giornale “Naša sloga ” (La nostra concordia). Va poi nominato l’avvocato Matko Laginja, aderente al programma di Ante Star čevi ć (39 - bis) (non a quello estremista di Frank) assieme a Vjekoslav Spin čić e a Matko Mandi ć. Laginja fondò il Partito del Diritto (HSP) in Istria e si batté a favore del Risorgimento croato d’Istria in contrapposizione al nazionalismo italiano, fu membro anche lui del Sabor provinciale e divenne poi Bano di Croazia, orientandosi infine verso il Partito Contadino (HSS) di Stjepan Radi ć (89). Gli italiani invece erano supportati da società e associazioni ufficialmente culturali come la Dante Alighieri, la Pro Patria e la Lega Nazionale sul territorio austriaco del Künstenland. Due nazionalismi che crescono quasi assieme e il divide et impera di Vienna crearono una situazione esplosiva. Paveli ć al tempo del censimento del 1910, viveva già in una situazione parecchio compromessa e il divario tra borghesia ricca urbana, italiana o croata italianizzata e contado rurale croato povero, era giunto ai massimi attriti.

A Pola, all’indomani della fine della II Guerra d’Indipendenza, poiché correva voce di un’unione dell’Istria alla Carinzia, il Podestà, conte Giovanni Lombardo (1846 – 1861) chiese invece l’annessione dell’Istria alla Venezia, il che avrebbe poi schiuso facilmente, negli intenti, un’annessione alla Confederazione Italiana e questo venne preso con un certo risentimento dall’Austria, tanto che nell’ottobre 1860 la guarnigione cittadina venne potenziata con due battaglioni croati. In città avvenne poi una progressiva migrazione da altre parti dell’Impero a causa dell’industrializzazione e dello sviluppo dell’Arsenale. Qui arrivò pure dal contado istriano una gran quantità di manodopera non qualificata. All’inizio del XX secolo si stabilirono così degli stereotipi dimostranti come gli Italiani intendessero differenziarsi da ogni altra intrusione culturale ossia da tutti coloro che non si italianizzavano come la lobby liberale della città e quindi tedeschi, cechi, croati e magiari. E’ l’epoca degli eroi e apostoli dell’Istria italiana e all’opposto dei padri dell’Istria croata. (cfr. Darko Dukovsk i- Povijest Pule - deterministi čki kaos i jaha či apokalipse,- Pula, Nova Istra - Istarski ogranak Društva hrvatskih književnika, 2011 str ...114 –118 – 119 - 140)

L’irredentismo italiano iniziò quindi attorno al 1848 in parallelo al patriottismo poi divenuto nazionalismo, croato. Per gli italiani sono in genere idee liberali portate avanti da Carlo Francesco Giovanni Combi (124) avvocato, da Carlo de Franceschi (44) nobile e storico, da Antonio Madonizza (124), pubblicista, da Tommaso Luciani (124) albonese e podestà della medesima città di Albona (Labin), da Michele Facchinetti (124), poeta e scrittore e da Francesco Vidulich (124) borghese, liberale, croato italianizzato e avversario di Matko Laginja al Sabor istriano di Parenzo. Il Combi e il Luciani emigrarono in Italia.

Nel 1848 a Trieste comparve lo Slavjansko Društvo (Circolo o società Slava), proveniente dal precedente Slavjanski zbor v Trstu (in sloveno Consiglio o assemblea slava di Trieste), cui aderirono soprattutto sloveni, ma pure croati come Juraj Dobrila, polacchi, cechi e slavi in genere, venne fondata una sala di lettura slava e un mensile lo Slavjanski rodoljub (Il patriota slavo). In Božo Milanovi ć ( Hrvatski narodni preporod u Istri - Knjiga I – Pazin - Istarsko Književno Društvo - Ćirila i Metoda- 1967. str.186 -) sacerdote, antifascista, internato e poi anticomunista e sempre presente in Istria, fondatore del Seminario di Pisino, leggiamo che già nel 1847 il parroco di Canfanaro (Kanfanar) Petar Studenac (125) scrisse a Ljudevit Gaj (106) campione dell’Illirismo, perché gli inviasse un contributo onde pagare un lotto di libri in croato. L’irredentismo italiano era di marca liberale, mentre il patriottismo e poi nazionalismo croato era di stampo fondamentalmente cattolico e non a caso proprio in Istria, i “ narodnjaci ” non comunisti ebbero sempre un peso notevole come elemento politico croato. A metà del XIX secolo l’abolizione del feudalesimo e del colonato rese flebili i profitti sulle terre e fu così che gli speculatori e i commercianti partirono all’arrembaggio delle piccole proprietà per unirle ai loro latifondi e si diffuse il prestito ad usura ove i pochi ricchi prestavano denaro a interessi troppo elevati ai contadini slavi perché rimanessero indebitati e preda del fisco. In tal modo costoro perdevano i loro poderi che venivano messi all’asta e ridiventavano coloni sulla loro terra, politica che sarà pure seguita dal fascismo attraverso le banche, l’usura e un fisco ancora più spietato. Il fascismo perfezionerà poi il piano con una completa snazionalizzazione degli slavi con il cambio dei cognomi, la chiusura delle scuole slave, l’imposizione della liturgia in italiano, il divieto di parlare croato o sloveno, il divieto di pubblicare libri o giornali in lingua slava e con l’instaurazione della politica economica di cui abbiamo appena dato un accenno. A tale proposito fa fede il memoriale scritto da Italo Sauro ( figlio di Nazario ) a Mussolini il 9 dicembre 1939. (Beograd, Vojno istorijski arhiv K.911 - Belgrado, Archivio storico dell’esercito K.911) . Nel 1849 quindi, proprio a seguito della politica degli speculatori, avviene la rivolta contadina del parentino contro il latifondista conte Polesini. (126) Con l’assolutismo, dal 1850 al 1860, il sistema elettorale si basò sul censo e quindi la maggioranza al Sabor istriano fu sempre nelle mani della ricca borghesia liberale italiana o slavo - italianizzata. La Triplice Alleanza rafforzò ancora tale connubio tra Italiani e Vienna e così si assisteva al fatto che una minoranza deteneva il potere su una maggioranza senza diritti. Nel 1858 Juraj Dobrila chiese la parità di uso della lingua tra italiano e croato e la proposta venne respinta. Nel 1883 Matko Laginja tentò di pronunciare al Sabor istriano un discorso in croato e venne interrotto e insultato proprio dal Vidulich (124) e dovette fuggire da Parenzo onde evitare più gravi conseguenze. Nel 1897, in seguito ad un’aggressione subita dai contadini di Varvari nel parentino, da parte di alcuni elementi italiani e dopo altre violenze dovute alla campagna elettorale in corso, 4000 contadini croati armati tentarono di entrare in Parenzo per assaltare proprietà e persone italiani e solo l’intervento di Matko Laginja scongiurò una catastrofe. Va detto che nel 1891 era cambiato il sistema elettorale e i croati vinsero le elezioni politiche per il Parlamento di Vienna, ma ciò non portò ad alcun accordo locale tra italiani (borghesia) e croati (contadini) e i primi continuarono a detenere il potere e a salvaguardare i loro interessi. La distinzione anche sociale, non rimase più così netta, nel momento in cui i ceti popolari italiani e molti intellettuali si distanziarono dalla politica adottata dai liberali e passarono ai socialdemocratici o ai cristiano sociali. La borghesia italiana fino al 1914 sostenne l’Impero con fare ricattatorio per ottenere privilegi, altrimenti, come poi avvenne per mero opportunismo, avrebbe appoggiato gli irredentisti. I croati iniziarono un sistema cooperativistico agricolo e aprirono diverse scuole. Trovandosi Paveli ć ad agire in tali circostanze a lui ben note, resta da capire, se non all’insegna dell’opportunismo politico e dell’interesse, come lui poi potrà fidarsi dell’Italia mussoliniana. Tuttavia nel 1910 consegue la maturità e poi è la volta dell’Università a Zagabria ove nel 1915 si laurea in legge dopo un breve periodo trascorso a Sebenico nell’I. R Marina . Va a lavorare nello studio del dr. Aleksandar Horvat, Presidente del Partito del Diritto, posizione politica minoritaria tra i Croati, essendo egemone il Partito Contadino Croato. Come pure minoritaria sarà poi la compagine ustaša rispetto a quella domobrana (esercito).

Siamo nel 1927 e Paveli ć, reduce da un viaggio a Vienna (ove incontrò il cap. Mazzotti (127) del SIM amico di Stjepan Dui ć 128) e a Parigi ove espose la questione croata a funzionari italiani dei servizi, approdò a Roma ove ebbe colloqui con Roberto Forges Davanzati (129), emissario di Mussolini e direttore del giornale “ La Tribuna ” che fornì al Duce un rapporto positivo e rassicurante, di modo che il fascismo poté continuare ad aizzare il revisionismo balcanico in Ungheria, Macedonia, Croazia e Bulgaria in funzione antijugoslava, almeno fino alla svolta dell’epoca Ciano – Stojadinovi ć; importante è l’alleanza maturata nel tempo tra ustaša croati e V.M.R.O macedone ( Внатрешна Македонска Револуционерна Организација - Organizzazione interna rivoluzionaria macedone). Per capire il periodo politico italiano nel momento in cui Ministro degli Esteri era Dino Grandi, occorre tornare indietro al 1918, a quello che è stato definito dalla saggistica storica slava come “Piano Badoglio” di cui solo recentemente fanno accenno in italiano Jože Pirijeve ć in “ Foibe ” p. 25 - Einaudi 2009 e Marina Cattaruzza – Il confine orientale - Il Mulino - Bologna 2007 . Tra il 1918 e il 1920 in molte zone previste a favore dell’Italia dal Patto di Londra e pure nei territori redenti e ora divenuti occupati dagli italiani, si svolse un’attività militare e non solo militare per fissare le linee di demarcazione tra Regno d’Italia e neo costituito Regno dei Serbi Croati e Sloveni e Badoglio era vice -capo di di Stato Maggiore proprio nel 1918 - 1919 e nell’ottobre 1919 venne nominato Commissario per la Venezia Giulia e fece parte della delegazione che firmò il Trattato di Rapallo nel 1920. Tale piano era concepito contro il giovane Regno slavo e propugnava la disunione tra gli slavi del Sud. Nel novembre 1918, poco dopo la firma della pace, il piano fu approntato e venne sottoposto al parere preventivo del governo italiano e poi venne licenziato il 3 dicembre 1918 e il 9 dello stesso mese venne accettato dal Presidente Orlando e dal Ministro degli Esteri Sonnino e infine dal Comandante in capo dell’esercito gen. Diaz. L’esercito e la marina avrebbero collaborato con i servizi d’informazione. Secondo Badoglio lo jugoslavismo era sostenuto dagli intellettuali e dalla borghesia istruita. Individuò quindi un buon terreno di propaganda tra i contadini e gli operai e pensò che il proletariato indottrinato ai principi del bolscevismo si sarebbe opposto a un programma borghese. Va detto che nel 1920 a Vukovar venne fondato il KPJ o PCJ che presto alle elezioni si confermò il terzo partito jugoslavo. Occorreva poi implementare ogni differenza tra tali popoli, bisognava attivare gli scontri e le contrapposizioni interne e fomentare il disorientamento in tutte le classi. Si dovevano attizzare i particolarismi regionali, le differenze religiose, il malcontento dei fautori del vecchio regime. Occorreva aprire gli occhi ai capi serbi col pericolo che la Croazia assorbisse la Serbia e gli altri popoli jugoslavi; dall’altro lato si pensava d’incoraggiare i croati che sognavano la Grande Croazia e non la Jugoslavia, perché dubitassero dei serbi che desideravano un potere egemone. In Bosnia-Erzegovina si sarebbe sfruttata la religione per dividere e l’elemento musulmano era utile a tale scopo. In Slovenia invece si sarebbe attuata una propaganda più intensiva basata sulla questione della lingua, inducendo i sacerdoti cattolici al separatismo. Nel Montenegro si sarebbe giocata la carta di un’azione di reinsediamento a favore di Re Nikola Petrovi ć, cercando di attizzare il conflitto tra verdi o fautori della monarchia e bianchi o fautori dell’unione con la Serbia e ciò sulla base dell’usurpazione perpetrata dall’esercito serbo contro l’alleato montenegrino a Podgorica nel 1918, ove la destituzione del monarca montenegrino e l’annessione alla Serbia furono ottenute manu militari . Erano poi previsti 200 agenti divisi in quattro gruppi con paga di 5.000 lire al mese. Vi sarebbero stati contati con le principali testate slovene e croate e venivano previste allo scopo 150.000 lire per giornale onde orientarne la propaganda e 500.000 lire per attivare i rappresentanti e i funzionari del vecchio regime; per il clero da 300 a 500.000 lire. I servizi d’informazione francesi, inglesi e quelli del Regno SHS erano edotti di tale piano e controllavano il territorio, ma di certo esso venne attuato nei territori occupati e come si vede, venne proseguito nel tempo con diverse ulteriori modifiche. Mussolini e il suo governo non presentavano nulla di originale e siccome Badoglio e il Re erano intimi amici e collaboratori, c’è da chiedersi oggi se la Monarchia non ne sapesse nulla. I risultati di una simile politica in cui entrarono poi le squadracce fasciste nei territori occupati, furono, tra il 23/12/1919 e il 05/11/1925 tra i 36 e i 40 milioni di lire di danni dovuti ai saccheggi di beni slavi in genere ( E. Radeti ć - Istra pod Italijom -1918-1943- Zagreb-1944 ) e infine il massacro, durante il secondo conflitto mondiale, nella provincia Lubiana, occupata dagli Italiani, di 13.000 sloveni e la deportazione di 25.000 e questo in 29 mesi di occupazione, (Pirijeveć op. cit. p. 28) senza contare tutto il territorio sloveno occupato dall’Italia e questo a cura dei generali Mario Roatta e Mario Robotti, poi inseriti nella lista dei criminali di guerra dall’ONU e dal Governo Jugoslavo che non era, fino alla fine del 1945, ancora tutto comunista per gli accordi di Lissa tra Tito e Šubaši ć (137). In Croazia fan fede ad esempio i 1.500 morti acclarati, altre fonti dicono addirittura da 3 a 5000, del campo di concentramento, più esatto sarebbe dire di sterminio, di Arbe (Rab) ove persero la vita anche diversi ebrei deportati da Mostar. Le fonti slave che parlano del piano Badoglio sono: “ Ivo Lederer - Yugoslavia at Paris Peace Conference - New Haven and London - Yale University Press 1963 - pp.71 - 75; Dragovan Šepi ć - Italija, Saveznici i jugoslavensko pitanje, 1914 – 1918 – Zagreb - 1970 pp. 408 - 409;); Bogdan Krizman - Raspad Austro-Ugarske i stvaranje jugoslavenske države - Zagreb 1977, pp. 230 - 233; Mile Bjelaja ć - Vojni faktor i mogu ćnosti odbrane nacionalnih teritorija – 1918 - 1921 VIG. 2/1985 pp. 218 - 219; del medesimo M.B – Vojska Kraljevine SHS - 1918-1921- Narodna Knjiga - Beograd 1988 pp.176 – 177 - 178; Vinaver Vuk - Ugrožavanje Jugoslavije – 1919 - 1932 VIG 1/ 1968 p. 127…“ L’attuazione del “piano Badoglio” risulta pure dalle relazioni del colonnello americano Miles e da una lettera del colonnello britannico House inviate a Versailles durante la conferenza di pace, a seguito di lagnanze jugoslave (in Dragoljub Živojnovi ć - America, Italija i postanak Jugoslavije – 1917 – 1919 - Beograd 1970 - pp. 236 - 241 ). Per maggiori precisazioni occorrerebbe consultare il volume a cura di Raoul Pupo “ La vittoria senza pace - ed. Laterza - 2014 ” nel capitolo scritto dal medesimo (pp. 73 - 160) e riguardante la Venezia Giulia, Fiume e la Dalmazia. Badoglio voleva comunque una soluzione militare per la Carinzia e probabilmente per altri territori del Regno SHS ma venne fermato da Diaz, da altri generali come Caviglia e da una parte del mondo politico, anche se dall’altra vi erano gli intrallazzi dell’ITO (Ufficio Informazioni Truppe Operanti) e le visioni autoritarie nazionalistiche dell’Amm. Cagni (130) a Pola, supportato da Sem Benelli a capo dell’Ufficio politico del comando piazza di Pola e dell’Amm. Millo (131) in Dalmazia, che pure contenne l’impeto a sorpresa di D’Annunzio che era sbarcato a Zara. Di certo vi era un’esigenza di smobilitazione dell’esercito che mal si accompagnava con i sogni di grandezza della politica estera. Il Partito del Diritto Puro di Ivo Frank (132) ottenne un buon aiuto dall’Italia perché alla fine del 1919 dal campo di concentramento di Monte Cassino vennero liberati i prigionieri croati dell’ex esercito austro-ungarico . Il 13 dicembre giunsero a rilevarli ufficiali del partito di Frank come Stjepan Duić (128) il contatto di Paveli ć a Vienna nel 1927. Questi dipinsero a tinte fosche la situazione in Croazia e dissero che i Serbi avevano sottoscritto il Patto di Londra del 1915. ( Mile Bjelaja ć - Vojska Kraljevine SHS 1918-1921- Beograd 1988 – op. cit. p. 240). Nell’incontro di Paveli ć con Forges Davanzati (129) il croato gli diede un pro – memoria ove affermava che i croati si sarebbero conformati agli interessi italiani sia in politica che in economia e anche sotto l’aspetto militare e che erano pronti a portare alle estreme conseguenze i limiti imposti dal Trattato di Rapallo del 1920 che già assegnava all’Italia l’Istria, Cherso, Lussino, Zara, Lastovo e Pelagosa. In pratica Paveli ć prometteva di attenersi al Patto di Londra perché probabilmente non gli rimaneva altra scelta per vedere risolto una volta per tutte il problema croato e il danaro stanziato dal piano Badoglio fece il resto. A Mussolini premeva certamente mandare a catafascio la Jugoslavia, creatura artificiale di Versailles . Il movimento ustaša (119 - insorto) verrà fondato il 7 gennaio 1929 poco prima della proclamazione della dittatura da parte di re Alessandro Kara đor đevi ć e in Italia ne verranno 500. Si battevano per una Croazia autonoma e indipendente e Ante Paveli ć divenne il poglavnik o capo o Duce. Il confine dello Stato croato si voleva fissato alla Drina, il confine tra occidente e oriente. Dapprima il quartier generale degli ustaša fu a Torino e poi a Bologna. Il SIM (127 - Servizio Informazioni Militari) aveva un ufficio Croazia che si occupava soprattutto degli ustaša , presso il Ministero degli Esteri e un ufficio Croazia per coloro che erano ospitati in Italia, presso il Ministero degli Interni. A Torino vi era una sezione statistica particolarmente attenta a contrastare l’attività del Deuxième Bureau francese e questo durò fino all’attentato di Marsiglia del 1934, alla cosiddetta “era Roatta” a capo del SIM (127). Campi di addestramento al terrorismo ustaša (119) in Italia ve ne erano a Borgotaro, Bovegno, Bardi e Riva del Garda e gli addestratori erano ufficiali della M.V.S.N. (Milizia Volontaria per la Sicurezza Nazionale). La strategia contro Belgrado fu coordinata e diretta dal sottosegretario agli Interni e poi agli Esteri e poi Ministro degli Esteri Dino Grandi con Paolo Cortese a capo dell’ufficio Croazia e Raffaele Guariglia direttore agli affari politico- commerciali nell’Europa e nel Levante. Nella primavera del 1932 Paveli ć preparò un’azione in Lika e Zara -dominio italiano- divenne la base di partenza per recarsi armati verso Gospić. Tra la primavera e l’agosto 1932 vennero trasferite le armi nella zona del Velebit. Le armi vennero trasportate a Zara con navi da carico italiane. Alla fine, nei pressi di Gospi ć venne assaltata con esito incerto una caserma della gendarmeria jugoslava e lo scontro durò mezz’ora. Vicino a Jadovno venne poi ucciso un ustaša . Nel rastrellamento che seguì vennero catturati molti innocenti perché gli ustaša attraverso Zara, passarono rapidamente in Italia al sicuro. Contemporaneamente in Italia iniziò una propaganda a favore dell’annessione della Dalmazia e tale campagna peggiorò le relazioni Roma - Belgrado. Juco Rukavina fu l’unico capo ustaša del posto a venir catturato e nel 1933 ad essere processato a Belgrado, condannato a morte con pena poi commutata a 12 anni di carcere. Altri 11 personaggi minori vennero condannati a varie pene detentive. Fece poi seguito il famoso attentato del 9 ottobre 1934 in cui venne ucciso re Alessandro a revolverate da un estremista macedone del V. M. R. O legato agli ustaša Veli čko Kerin o Vlado Černozemski. Venne pure ucciso il Ministro degli Esteri francese Barthou assieme a diverse persone presenti. Il colpo era stato preparato in Ungheria nel campo di Janka Puzta con la complicità ungherese e di due diplomatici italiani di cui uno era Paolo Cortese. Ciò si evince dalla relazione dell’Ispettore Generale della Polizia Giudiziaria francese Antoine Mondanel. ( Archive du ministère de l’Intérieur, cote 19790846, art. 265, exposé de 1982 .) Dalla medesima relazione si evince come gli attentatori fossero muniti ovviamente di passaporti e di nomi falsi cecoslovacchi per via del trattato bilaterale con la Francia che eliminava i visti tra Praga e Parigi. L’attentatore (nome falso Kelemen) era un tiratore scelto ed era anche l’autista di Ivan Mihailov capo del V. M. R. O che voleva l’annessione della Macedonia alla Bulgaria. V. M. R. O e terroristi croati godevano dei buoni uffici degli italiani. Kramer invece era il nome falso di Eugen “Dido” Kvaternik (non ha a che fare con il Kvaternik del XIX secolo) organizzatore e comandante degli attentatori di Marsiglia, che comunque va detto, ebbero una buona dose di fortuna perché re Alessandro volle sbarcare subito dalla nave militare che lo portò in Francia, pur essendone stato sconsigliato; non volle quindi indossare il giubbotto antiproiettile e volle una macchina scoperta, tutti fattori che facilitarono l’attentato. E nel 1937 farà seguito l’attentato della Cagoule di estrema destra contro i fratelli Rosselli che ebbe sempre come regista il SIM italiano. Nella relazione Mondanel si legge infatti che la polizia francese conobbe assai rapidamente gli indirizzi di Kvaternik e Paveli ć a Torino e lo stesso Ispettore Genera- le della Polizia Giudiziaria francese domandò telegraficamente l’arresto di costoro al Senatore Arturo Bocchini, capo della Polizia italiana e vice-Presidente della Commissione Internazionale di Polizia Criminale (l’Interpol di oggi). Fu appurato che il revolver usato nell’attentato era stato acquistato a Venezia. Ora è chiaro che se l’Italia avesse stimato innocenti costoro non li avrebbe incarcerati e ciò avrebbe costituito una mezza ammissione di colpevolezza cui non ci si poteva sottrarre perché il ministero francese era al corrente dei campi di addestramento e del sostegno offerto dall’Italia. Kvaternik, Paveli ć e Per čić vennero condannati a morte in contumacia dalla Francia e gli altri gregari arrestati in Francia ai lavori forzati perpetui e l’attentatore venne ucciso dalla scorta. Barthou potrebbe, ma è solo una possibilità, essere stato ucciso nella sparatoria che ne scaturì, ma da fuoco amico. L’Italia quindi internò gli ustaša a Lipari e Paveli ć assieme a Kvaternik, venne incarcerato alle Nuove di Torino dalla metà di ottobre del 1934 fino alla fine di aprile 1936 e venne poi internato a Siena fino al 1939. Dal carcere teneva contatti con i suoi tramite “pizzini” che venivano nascosti nel cibo portato dalla moglie Marija che riceveva le risposte. Era sorvegliato, come gli altri suoi compagni, dalla Polizia Segreta Italiana di cui esistono diverse relazioni del capo Ercole Conti. In una di queste relazioni successiva all’arresto di costoro si legge del sequestro delle loro armi: trecentoventi fucili, sessanta mitra, cinque mitragliatrici e materiale vario. ( Eric Gobetti - Dittatore per caso - ed. l’Ancora del Mediterraneo - 2001- p. 77 - 78). Nel saggio “ In silenzio gioite e soffrite: storia dei servizi segreti italiani dal Risorgimento alla Guerra Fredda ” di Andrea Vento- Il Saggiatore- Milano 2010-, alla nota 31, l’autore riporta una tesi suggestiva e difficile da provare che va comunque tenuta in considerazione al di là della vulgata. Esclude il coinvolgimento del SIM ; infatti è Paolo Cortese dell’Ufficio Croazia del Ministero degli Esteri che né è direttamente coinvolto. L’assassinio di Alessandro I non si concilierebbe con gli interessi diplomatici ufficiali dell’Italia. Infatti Barthou stava tentando un’intesa tra Parigi, Belgrado e Roma. Mussolini pochi giorni prima a Milano aveva pronunciato un discorso di pacificazione verso la Jugoslavia. Ciò non esclude che i settori del fascismo dalmata rimanessero profondamente anti-jugoslavi. Mussolini fu indignato dell’accaduto e obbligò l’intero governo a partecipare a una funzione religiosa in suffragio delle vittime a S. Luigi dei Francesi. Gli ustaša fino ad allora ospitati, vennero deportati a Lipari, mentre Paveli ć e Eugen Dido Kvaternik sono imprigionati a Torino e verranno liberati nel giugno 1938 (rilascio definitivo, non quello dalle Nuove ma quello dalla prigione-sanatorio di Moncalieri per Paveli ć e il confino a Lipari per Eugen Dido Kvaternik), un mese dopo la visita di Hitler a Roma. Il governo jugoslavo protestò alla Società delle Nazioni solo contro il governo ungherese. Secondo Renzo de Felice i mandanti sarebbero da ricercare a Berlino che era totalmente contraria a un avvicinamento tra Italia e Jugoslavia e lo storico Andrea Ferrario ricorda che negli anni ’50 scoppiò uno scandalo in cui s’insinuò che Hans Speidel, negli anni ’30 ufficiale dell’Abwehr (servizio d’Intelligence tedesco), avrebbe fatto assassinare su ordine di Hermann Göring re Alessandro. Speidel prestò servizio all’ambasciata tedesca di Parigi tra il 1933 e il 1935 come ufficiale dell’Abwehr con competenza sul territorio francese. Ma lo stesso Eugen Dido Kvaternik era uomo dei tedeschi. Paveli ć era un semplice avallante . Di certo l’antagonismo fra Dino Grandi e Mussolini durava già da tempo e sfocerà nel 1943 con la defenestrazione politica del Duce. Grandi era pure massone di spicco. Non è fuori luogo pensare ad un accordo con i tedeschi da parte di Grandi, per mettere fuori causa Mussolini sulla questione jugoslava. In ogni caso Barthou non sarebbe stato ucciso per caso se venisse comprovata questa tesi. Il SIM avrebbe avuto solo una funzione di ricezione dei fuggiaschi croati dalla Francia. Ma la colpevolezza dell’Italia diventa tale se si considera che proprio nel 1934 diversi esponenti del CAUR (Comitati d’Azione per l’Universalità di Roma) intrattenevano relazioni col V. M. R. O e a Marsiglia nelle ore del mortale attentato era presente il capo dei CAUR : Eugenio Coselschi (133). I CAUR raggruppavano tutti gli stranieri presenti sul suolo italiano che simpatizzavano per il fascismo e inoltre sono sicuri i legami dei Comitati col SIM e il Ministero degli Esteri. In pratica lo scopo era quello di costituire un’Internazionale fascista in opposizione a quella comunista o liberale e nel 1934 venne organizzato il Congresso fascista di Montreux e nel 1935, sempre a Montreux, quello mondiale. A p. 93 (op. cit) leggiamo che una volta liberato Paveli ć venne messo temporaneamente al sanatorio di Moncalieri; Kvaternik non rimase a Torino e solo Ivka e Neda Budak - moglie e figlia di Mile Budak (134), capo degli internati di Lipari e poi Ministro degli Esteri dello Stato Croato Indipendente (NDH) - vennero alloggiate in via Genovesi 9, mentre la famiglia Paveli ć risiedeva in via Bezzecca 9.

Nella primavera del 1937 venne concluso l’accordo tra Italia e Jugoslavia (cosiddetto Ciano – Stojadinovi ć -135) per regolare le questioni politiche e commerciali tra i due paesi in cui venne sottoscritta pubblicamente la clausola secondo cui l’Italia doveva impegnarsi a proibire ogni attività degli estremisti croati. Il Patto di Belgrado del 25 marzo 1937 riportava due punti importanti all’art.1 e all’art.4. Ci si impegnava al rispetto reciproco delle frontiere e quindi vi era una rinuncia italiana alla Dalmazia e poi vi era l’impegno a non tener più mano al movimento estremista croato. Gli ustaša vennero confinati e su 508 estremisti, 220 che non avevano compiuto atti terroristici, vennero rimpatriati. (Milan Stojadinovi ć - Jugoslavia fra le due guerre - ed. Cappelli – Bologna - 1970 pp. 174 - 175 ) . Ad esempio Mile Budak (134) ritornò mentre Paveli ć rimase fuori. Anche se le relazioni bilaterali erano notevolmente migliorate, Mussolini tuttavia non accantonò del tutto la politica tesa alla dissoluzione jugoslava che comunque fu rinviata. Altro fatto spiazzante per Paveli ć fu la costituzione della Banovina croata in cui Belgrado s’impegnava ad abbandonare il centralismo. L’accordo venne stipulato tra il Presidente del Consiglio Dragiša Cvetkovi ć (136) e il capo del Partito Contadino croato, primo in Croazia, Vladko Ma ček (136). Ovviamente con l’approvazione del reggente Paolo. Entrò in vigore il 26 agosto 1939 e fu un primo passo verso una costituzione federale. Primo Bano venne nominato Ivan Šubaši ć (137) che tanta parte avrà nella transazione alla Seconda Jugoslavia. Politica estera, esercito, commercio estero e polizia rimasero le uniche materie centralizzate. A seguito del colpo di stato filo britannico del gen. Simovi ć (138) avvenuto il 27 marzo 1941, venne assicurata alla Banovina l’autonomia giudiziaria assieme all’autonomia della brigata di gendarmeria che avrebbe dovuto rispondere solo al Bano. Fu varata la kuna come moneta ma non entrò mai in circolazione e del resto i provvedimenti vennero pubblicati sulle Narodne Novine (simili alla Gazzetta Ufficiale) il 7 e 8 aprile 1941 e quindi dopo lo scoppio della guerra e non ebbero quindi alcun seguito. Il territorio incorporava la Posavina e l’Erzegovina. Si sarebbe detto che il movimento ustaša poteva considerarsi finito, invece, già prima del 1941, entrano in gioco Hitler e il conte de Bombelles (139) croato. Va detto che Ma ček (136) il 2 maggio 1939 raggiunse l’intesa per la Banovina con il Presidente Cvetkovi ć (136) che il reggente Pavle non sottoscrisse e allora il leader del Partito Contadino cercò aiuto nell’Italia ove venne concordato un piano per una sollevazione in Croazia e un intervento italiano successivo. Il 22 maggio 1939 viene firmato il Patto d’Acciaio e Mussolini gradirebbe una firma d’impegno da parte di Ma ček (136) che però si rifiuta e continua a trattare con Belgrado finché otterrà l’accordo perfezionato di cui si è detto poco sopra.

Secondo il Diario di Ciano, in data 13 agosto 1939 il Führer aveva apertamente invitato Mussolini a servirsi di quel che voleva in Croazia e Dalmazia al fine di coinvolgere l’Italia nella guerra imminente. E l’Italia per il momento si mise a riflettere sul come trarre lucro con poco danno. Josip Bombelles (139) è un personaggio che legato alla massoneria, aveva pure passaporto inglese e si occupava di affari diplomatici. Dapprima cercò, al servizio degli Inglesi, di scollare l’Italia dalla Germania e non vi riuscì. In seguito, come plenipotenziario di Ma ček (136) organizzò degli incontri col Ministro degli Esteri Galeazzo Ciano, giocando in segreto sul tavolo di Belgrado come uomo di fiducia del reggente Principe Paolo, da sempre filo-inglese. Aveva già collaborato con lo Stato Maggiore di re Alessandro. In pratica volle mettere in evidenza l’utilità del movimento ustaša nello scatenare una rivolta in Jugoslavia ma nella seconda metà del 1939 fu Ma ček stesso a prendere l’iniziativa con la Banovina . Il 21 gennaio 1940 Ciano, Bombelles e Paveli ć s’incontrano nuovamente ed elaborano un piano per la ribellione degli estremisti croati contro Belgrado. Il 23 gennaio 1940 s’incontrano a Roma presente Anfuso e fu discussa la secessione che presentava un’unione dinastica, monetaria e doganale della Croazia con l’Italia e la Croazia si sarebbe annessa la Bosnia-Erzegovina e la Slovenia, escluso Maribor. Bombelles, giocando sempre doppio, avrebbe sperato un posto come Ministro delle Finanze nel nuovo governo Paveli ć. Il 10 maggio 1940 Paveli ć e Ciano s’incontrano e il Ministro italiano viene informato che Bombelles è sul libro paga di Belgrado e intanto Mussolini si volge verso la Francia. Nel 1940 Bombelles scampa ad un attentato degli estremisti croati; il 10 aprile 1941 Paveli ć è al potere e Bombelles viene arrestato e tradotto nel campo di Stara Gradiška ove viene ucciso, quale massone, nel marzo 1942. Il 23 agosto 1939 il diplomatico Filippo Anfuso (140) incontrò Paveli ć a Siena e qui venne elaborato un progetto insurrezionale in Croazia e furono recuperati allo scopo i circa 250 estremisti croati rimasti a Lipari. L’indomani del colpo di Stato di Belgrado, il 28 marzo 1941, Mussolini chiama Paveli ć a Firenze e il 29 lo riceve a Villa Torlonia per un colloquio personale. Venne concordato che in cambio del potere in Croazia, l’Italia si sarebbe annessa la Dalmazia. I 250 di Lipari si prepararono a lasciare l’Italia in caso di collasso jugoslavo. A Firenze venne installata dagli italiani Radio Velebit per trasmettere in croato dopo le 22 serali i messaggi del poglavnik e in più venne a questi fornito un ufficiale di collegamento col Regio Esercito.

I legami degli ustaša con la madrepatria erano deboli perché da un lato Ma ček si era accordato con Belgrado e teneva una posizione antifascista reprimendo le agitazioni studentesche all’ateneo di Zagabria, che aveva visto, nel dopo elezioni, un’affermazione del Partito del Diritto di Frank. Ma ček poi era favorevole piuttosto ad un’unione con i magiari e Eugen Dido Kvaternik col padre Slavko, erano decisamente filo tedeschi. Il confine italo- jugoslavo, causa conflitto in corso, era chiuso e non filtravano notizie. L’azione dei tedeschi si rivolse decisamente verso Ma ček, perché Paveli ć era l’uomo di Roma. Ma Ma ček rifiutò le offerte tedesche e preferì entrare nel governo golpista del gen. Simovi ć onde conservarsi la Banovina. Genericamente, il capo del Partito Contadino Croato, promise di curare gli interessi del Reich con cui voleva essere in pace. Allora tramite Slavko Kvaternik i tedeschi si rivolgono agli ustaša e lo stesso Kvaternik, all’entrata dei tedeschi a Zagabria il 10 aprile 1941 lesse, a nome di Paveli ć, non presente, un proclama indirizzato al popolo. Semplicemente i tedeschi avevano agito d’anticipo. Paveli ć naturalmente rimase fortemente irritato della cosa. Tuttavia non era ancora tutto. Lo stesso 10 aprile Paveli ć va a Pistoia a recuperare i suoi compagni d’ avventura, l’11 è a Roma ove ha colloqui con Anfuso e con Mussolini. La colonna ustaša va a Trieste (11 sera) e poi di notte (13 - 14 Pasqua) attraversa il vecchio confine a Fiume e attraverso Delnice va a Karlovac. Qui è fermata da ufficiali tedeschi che chiedono a Paveli ć quali accordi avesse preso con gli Italiani. Il mattino del 15 aprile 1941 la colonna è a Zagabria. Secondo fonti croate e testimonianze oculari (di un ufficiale medico del dissolto esercito jugoslavo residente a Torino, che non desidera sia fatto il suo nome), gli ustaša passarono il confine sui bus di linea della Provincia di Trieste. (ore 2.00 a Susak, la notte tra il 13 e il 14 aprile 1941). ( cfr. Krizman B. ripreso da Gobetti p. 145 op. cit ). Grazie all’appoggio tedesco, il Litorale Croato con diverse isole importanti e la zona tra Spalato e Cattaro, rimasero alla Croazia e l’Italia non riuscì mai ad annettere tutta la Dalmazia. Va comunque ricordato che tale regime, estremizzando anche le idee di Frank che pure era ebreo d’origine, si macchiò di delitti orrendi e famosi rimangono i campi di sterminio di Jasenovac (75.159 vittime accertate al primo novembre 2008) ove vennero uccisi in massa Ebrei, Rom, detenuti politici,comunisti, massoni, oppositori del Partito Contadino, Serbi, Croati e Musulmani. Altro campo famoso fu quello di Stara Gradiška. Paveli ć venne gravemente ferito in un attentato in Argentina e a lungo si imputarono gli uomini dell’UDBA di Tito. In realtà, in punto di morte, un četnik di nome Blagoje Jovovi ć, nel 1994, confessò il ferimento a morte di Pavelić che morì poi a il 28 dicembre 1959.

PRIGIONIERI DI GUERRA CROATI DURANTE E DOPO LA PRIMA GUERRA MONDIALE

E’ chiaro che in Piemonte e a Torino, durante il primo conflitto mondiale, ci sono stati dei prigionieri austro-ungarici tra cui dei croati. Tuttavia per l’incuria, la rimozione storica, la disorganizzazione e il passare del tempo, non è facile ricostruire, se non impossibile, le loro storie.

Si credeva in una guerra breve e nessun campo di detenzione era stato predisposto da nessuno dei belligeranti. In realtà il problema si presentò con il passare degli anni del conflitto. Nel 1907 nel corso della Conferenza dell’Aja venne sottoscritto dalle nazioni che poi si troveranno a combattersi successivamente, il trattato che al capo II parlava del trattamento riservato ai prigionieri di guerra. Era carente dal momento che non veniva preso in considerazione lo scambio dei prigionieri e neppure era proposta la costruzione di campi di raccolta ad hoc.

Fu così che almeno in Italia, i prigionieri austro-ungarici furono disseminati in fortezze, ospedali militari, edifici civili, caserme, case private ecc. Ciò creò una dispersione eccessiva.

Si dovette ricorrere ad accordi bilaterali o pure trilaterali per scambiare i prigionieri. Secondo Alessandro Tortato-“La prigionia di guerra in Italia-1915- 1919 ”- Mursia –Milano-2004 , i prigionieri di guerra austro-ungarici in Italia furono 477.024, con un picco dopo Caporetto dei prigionieri italiani verso l’Austria e un picco austro-ungarico dopo la battaglia del Solstizio del 1918. ( I prigionieri italiani furono almeno equivalenti ma G.Procacci – Soldati e prigionieri italiani nella Grande Guerra - Torino Bollati e Boringhieri 1993- parla di una cifra superiore ai 600.000 di cui almeno 100.000 deceduti per fame, malattia p.es “spagnola” e per i mancati aiuti dall’Italia perché fu proibito dal governo ogni pacco o aiuto ai “traditori” di Caporetto e inoltre una vita troppo comoda nei campi avrebbe indotto i soldati al fronte alla diserzione).

I deceduti tra gli austro-ungarici in Italia furono 40.917 (occorre vedere se nel totale sono stati conteggiati i 7.000 inviati all’Asinara e provenienti dalla Serbia.)

Per quanto concerne i prigionieri croati, sloveni, serbi, bosniaci (definiti poi jugoslavi), secondo le “ Stenografske Beleške ” (Note stenografate- una specie di Gazzetta Ufficiale) del governo provvisorio del Regno dei Serbi, Croati e Sloveni , riferite alla seduta dell’11 aprile 1919, riportano a p. 337 un’interpellanza del dr. Grga An đelinovi ć, in cui parla di 80.000 prigionieri slavi in Italia, di cui 700 ufficiali. Gli Alleati in totale avrebbero avuto 150.000 prigionieri slavo- meridionali al 23 aprile 1919.

Dall’Italia i primi treni di rimpatrio (in genere per ) vennero annunciati per il 23 settembre 1919 e funzionarono fino al 9 gennaio 1920. Il Comando della IV Armata SHS informò i comandi subalterni che venivano rimpatriati almeno 50.000 prigionieri slavi. (Mile Bjelava ć- Vojska S.H.S - Beograd 1988).

Un po’ per sfiducia e un po’ perché non era possibile rimpatriare di colpo numeri simili di prigionieri nell’ex- Impero, vuoi per carenza di mezzi (il carbone in Ungheria), vuoi per mancanza di viveri in patria, vuoi ancora per perdita completa di intieri territori (p.es la Transilvania divenuta da ungherese, rumena), le cose andarono a rilento e croati, sloveni e serbi furono gli ultimi per via del fatto che già si erano creati attriti per la fissazione dei nuovi confini. Cechi e ungheresi ad esempio vennero rimpatriati in gran segreto all’insaputa degli slavi. Entro il 1 giugno 1919 la massa dei prigionieri è rimpatriata e con circolare del 22 luglio 1919, Badoglio ordina il rimpatrio dei rimasti che per gli slavi meridionali, concentrati in genere a Cassino, si protrarrà fino al gennaio 1920 non senza un preciso motivo di Badoglio, riguardante soprattutto la creazione di rivalità tra croati e serbi onde indebolire il nuovo regno.

A p.65 dello studio di Lodovico Tavernini sui “ Prigionieri austro-ungarici nei campi di concentramento italiani 1915-1920 ”- in Annali Museo Storico della Guerra- Rovereto 2017, viene aggiornato l’elenco di Tortato sulle località ma non vengono forniti dati sul numero di prigionieri, come invece ha tentato di fare il Nastro Azzurro. (Con mie aggiunte e correzioni) Le località del Piemonte e della Valle d’Aosta ove furono immessi dei prigionieri sarebbero:

Alessandria (Cittadella)- 393 soldati prigionieri; Ospedale Militare 107 soldati ricoverati e prigionieri Arquata Scrivia – 129 soldati prigionieri Asti Aymavilles Bardonecchia- forte Bramafam, Palazzo delle Feste, Sette Fontane ( un deceduto) Casalborgone Casale Monferrato- 626 soldati prigionieri Castel Gavi- (forte Gavi) 567 prigionieri- di cui 62 deceduti come da lapide commemorativa del cimitero; resti trasferiti in cimitero di guerra austro-ungarico non precisato. (fonte comune di Gavi).

Castel Rocchero -227 soldati prigionieri Chivasso/La Mandria Colle di Tenda Cuneo Exilles- 49 ufficiali e 15 soldati totale 64 prigionieri (un ufficiale deceduto durante la tentata fuga)

Fenestrelle Formigliana Fossano- 32 ufficiali, 912 soldati, totale 944 prigionieri

Frinco d'Asti- 361 soldati prigionieri Lagnasco Lanzo T.se/Eremo (comandante era il ten. Eugenio Montale) Luserna S. Giovanni -201 soldati (italiani perché trentini) Marengo Moncenisio o Ferrera Cenisio 22 ufficiali 3 cadetti e 12 soldati, totale 37 prigionieri Novara 2 prigionieri, ma la lapide posta di recente al cimitero fornisce tra i 70/80 deceduti, tra cu i cechi e bosniaci. Oleggio

Ormea Oropa Pinerolo - 254 soldati prigionieri Rigoroso (vicino ad Arquata Scrivia)- 65 soldati prigionieri Roccasparvera Savigliano- 63 soldati prigionieri Serravalle Scrivia Stazzano- 408 soldati prigionieri

Torino- 22 soldati ricoverati all’ospedale Militare Riberi - 22 prigionieri Torre Balfreddo Valenza Po Venaria Reale – 9 ufficiali, 1 cadetto, 252 soldati, totale 262 prigionieri Vinadio Voltaggio- 499 soldati prigionieri

(Giurisdizione del I e II Corpo d’Armata) Per un totale per difetto di 5.131 prigionieri con cifre fornite dal Nastro Azzurro

Una certa dispersione di nominativi e una vera e propria rimozione fu esercitata dal nazionalismo prima e dal fascismo poi. Era imposto l’oblio del nemico (vedi RD 221/1919 e il R.D.L n. 1386 del 1922 o la delibera comunale di Novara del 6/2/1923, in cui si proibiva la apposizione dei nomi degli ex-nemici sull’obelisco dedicato ai caduti.) Per commemorare tutti i Croati deceduti in prigionia, a nome di tutti si ricorda Šantak Ivan, soldato del 54° reggimento di fanteria, di anni 34, agricoltore, morto il 19 settembre 1918 ad Avezzano, nato in Croazia a Toprcica (toponimo non trovato forse perché scritto in modo errato) forse, lo si evince dal cognome, proveniente dal contado di Zagabria.

CONCLUSIONE

La conclusione di questo scritto ci porta a considerare che Torino diventa il fil rouge di una buona parte della storia croata dal XVII secolo ad oggi. I mercenari al soldo dell’impero scelsero le armi come mestiere di fronte al pericolo turco e casualmente ebbero a che fare pure con Torino, mentre per i politici del XIX secolo Torino diventava una tappa obbligata per la politica antiaustriaca che si svolgeva e per la questione confinaria orientale. Gli unici Croati imposti a Torino, furono Paveli č e compagni che non scelsero la città ma vennero scelti dalle locali strutture del SIM al servizio del regime fascista e qui non è solo, parafrasando, questione di “dittatore per caso”, ma di “Torino per caso” o forse no, data la sua vicinanza alla Francia. Il destino di varî Croati passò o si compì a Torino o in Piemonte, lasciando comunque segni nella storia come nella società. Fin qui è stato ricordato l’altro ieri. Ieri, vale a dire negli anni ’60 e ‘70 del XX secolo ricordiamo il direttore d’orchestra e compositore croato Lovro von Mata čić (1899 – 1985) che a Torino registrò per la RAI “ I maestri cantori di Norimberga, le nove sinfonie di Beethoven e la Vedova Allegra ” e che nella stagione del Regio 1978/1979 diresse il Boris Godunov in cui tra gli altri cantava la mezzo soprano croata Ruža Pospiš- Baldani. (Stampa Sera del 24 novembre 1978 p.4).

Oggi, nel XXI secolo i Croati a Torino, il primo gennaio 2019 risultavano essere, nella Città Metropolitana 496 (0,22% degli stranieri), in Piemonte 952 (0,22%) e in Italia 17.472 (0,33%). A Torino se ne contavano 167. Nel 2008 erano 178, la punta massima.((Dati ISTAT )...) Si trovano qui come lavoratori o per motivi di famiglia. Ora sono entrati a pieno titolo (2013) come in Europa come cittadini del 28° Stato della UE lasciandosi alle spalle secoli di storia, anche nella nostra città.

Il 9 novembre 2014 il croato Martin Sinkovi ć (Zagreb 10 novembre 1989) pluriiridato mondiale, detentore di diversi titoli europei e decorato con la Danica croata (Stella nascente), si è aggiudicato la classifica assoluta della Silver Skiff di undici chilometri, disputata sul Po. Con il fratello è medaglia d’oro nel canottaggio in coppia a Rio 2016. Il 13 novembre 2016 si è aggiudicato nuovamente la Silver Skiff a Torino e il fratello Valent si è piazzato quinto. Il 13 novembre 2017 i fratelli Sinkovi ć hanno nuovamente vinto (primo e secondo) la Silver Skiff sul Po, indetta dalla canottieri Cerea. Nel 2019 Martin è stato nuovamente primo.

Dal 29 ottobre al 2 novembre 2017, due Canadair CL-415 con 14 uomini al comando del colonnello Davor Turkovi ć hanno partecipato allo spegnimento degli incendi in provincia di Torino, in supporto alle unità italiane. Per alcuni era la prima esperienza di spegnimento sulle Alpi. Sugli incendi di Mompantero sono stati gettate 800 t. di acqua per un totale di 50 ore di volo. Va poi segnalato che a Livorno Ferraris vi è una comunità di 115 Croati provenienti soprattutto da Žep če nella Federazione bosniaca, che rappresentano circa il 3% della popolazione del borgo e che sono già alla seconda generazione. In genere hanno trovato lavoro nelle industrie del posto. Calciatori croati a Torino .

La Croazia sta offrendo una bella esibizione al mondiale di calcio in Russia e naturalmente la rappresentativa nazionale annovera nelle sue file almeno due noti giocatori che militano, almeno per il momento, nella Juventus: Marko Pjaca (forse passerà alla Fiorentina o al Liverpool) e Mario Mandžuki ć.

Marko Pjaca è nato a Zagabria il 6 maggio 1995 ed è giocatore della nazionale croata che al momento gioca – il contratto scade ora- in prestito dalla Juventus allo Schalche di Gelsenchirchen a seguito di un grave infortunio – rottura del legamento crociato e lesione del menisco- occorsogli in gioco nella partita amichevole contro l’Estonia nel marzo 2017. Iniziò i suoi primi passi bambino nella squadra di quartiere NK ZET ( Nogometni klub Zagreba čki elektri čni tramvaj Zagreb - Club calcistico della società dei tram elettrici di Zagabria, fondato nel 1927) che comunque è un vivaio e una scuola per calciatori in erba e già a nove anni venne chiamato nella Dinamo. Era tra i migliori giocatori e capitano di quelli della sua generazione e vinse molti tornei. A quattordici anni ritorna al suo antico club ove gioca con i più anziani e le mosse non sfuggono al Locomotiva ove entra a quindici anni nella prima formazione. Debutta il 24 febbraio 2012 a 16 anni e nelle stagioni 2013 e 2014 segna sette reti. A questo punto la Dinamo, con cui evidentemente aveva avuto dei dissapori in precedenza, riconosce l’errore e lo ricompra per un milione di euro, pronto per il famoso stadio Maksimir che inaugurato nel 1912 prende il nome da un sobborgo di Zagabria. Nell’estate 2014 passa nelle file dei leaders, prima partita contro lo Slaven Belupo ove segnò. Al Maksimir vi fu poi una fantastica tripletta contro il Celtic ove la Dinamo vinse 4 a 3 per il sesto girone dell’Europa League. Dopo un periodo calmo, nella stagione 2015-2016, in primavera, vittorie della Dinamo con sue reti, sullo Split (Spalato), Istra (Istria), Osijek, Slaven e altre. Il 4 settembre 2014 debutta con la nazionale croata a Pola contro Cipro e realizzò una rete in nazionale, la prima, contro San Marino in amichevole. (10-0). Nel maggio 2016 partecipò agli europei in Francia e giocò contro Turchia e Spagna anche se l’allenatore Ante Čačić non lo fece giocare in prima formazione. l 21 luglio 2016 firma un contratto con la Juventus per cinque anni. Il 20 luglio 2016 giocò la sua ultima partita nella Dinamo contro i macedoni del FK Vardar, in cui realizzò due reti e lasciò il campo a due minuti dalla fine. Disse: “ Per me questo è il più bel modo che potessi avere per la-

sciare il proprio club. Due reti, aiuto di squadra, passaggio oltre e l’applauso di migliaia di tifosi alla mia uscita dal campo, non dimenticherò mai questo”. La Dinamo incassò 23 milioni di euro e questo fu un record. Nell’agosto 2016 debuttò con la Juventus nell’amichevole contro il West Ham United e il 27 agosto 2016 debuttò in campionato contro la Lazio prendendo il posto di Dybala. Il 22 febbraio 2017 segna la sua prima rete nella partita contro il Porto, vinta 2 a 0 dalla Juventus nell’andata degli ottavi di finale della Champions League. Dopo l’infortunio del 28 marzo 2017 passa alla Juventus Primavera ove segna due reti in quattro partite e poi vene prestato allo Schalke e a gennaio e a marzo2018 segna due reti per questa squadra nel campionato tedesco. Ha partecipato con la nazionale croata al mondiale e ha giocato poco perché Zlatko Dali ć non lo h reputato ancora in forma. Dopo il mondiale ove ha giocato pochi minuti, dovrebbe passare alla Fiorentina o al Liverpool.

Mario Mandžuki ć è nato il 28 maggio 1986 a Slavonski Brod e ora gioca nella Juventus e nella nazionale croata. La famiglia si trovava in Bosnia quando iniziò la guerra nel 1991-1992 a Odžak in Bosnia nella regione della Posavina, non molto distante da Slavonski Brod. Emigrò temporaneamente a Ditzingen vicino a Stoccarda e là Mario inizia a giocare nel club ove gioca suo padre. Tornato a Slavonski Brod nel 1997, Mandžuki ć dal 1997 al 2003 gioca nel NK Marsonija ( Marsonia è l’antico nome romano di Slavonski Brod e la squadra ha la medesima maglia della Juventus) e poi passa nel 2004 nella lega under nello Želježničar e poi tra il 2004 e il 2005 ritornò al Marsonija, mentre nel giugno 2005 passò allo NK Zagreb.Nella stagione 2005-2006 venne scelto come miglior giocatore del campionato, mentre nel 2006-2007 fu il miglior cannoniere.

A causa dell'ottimo gioco effettuato sotto la guida di Miroslav Blaževi ć detto Ciro, che inizialmente lo osteggiò, sollevò l'interesse pubblico per la squadra rivale della città, la Dinamo e dopo lunghi preliminari all’inizio del luglio 2007 passò a questa con Ivica Vrdoljak. Giocò molte belle partite con la maglia della Dinamo e soprattutto si mise in luce contro l’Aiax ad Amsterdam il 4 ottobre 2007 quando segnò due volte. Mandžukic venne prima atterrato in area da Gregory van der Wiel e Luka Modri ć equilibrò il punteggio complessivo dal dischetto. Dalla stampa sportiva ottenne, nei giorni seguenti, la laurea a punteggio pieno di 10. Nella stagione 2008/2009 ricevette la Maglia Gialla dallo Spotske novosti come miglior giocatore della croata. Nel medesimo anno fu anche il miglior goleador con 16 reti. In tutto con la Dinamo giocò 141 partite con 65 reti.

Il 16 luglio 2010 passò alla serie A tedesca nel Wolfsburg in cui rimane fino alla fine di giugno 2012. Realizza 20 reti e si dimostra uno dei migliori giocatori della . Il 26 giugno 2012 Mario firma un contratto per quattro anni con il Bayern München. Questo grazie alla bellissima stagione passata nel Wolsburg per il Campionato Europeo. Qui segnò diverse reti tanto che nel 2013 era il capocannoniere della Bundesliga. Il 25 maggio 2013 il Bayern vince per la prima volta la Champions League, grazie alla vittoria per 2-1 nella finale contro il Borussia Dortmund, segnando il gol del momentaneo 1-0. Il 10 luglio 2014 firmò un contratto quinquennale con l’Atletico Madrid e il Bayern ricevette 22 milioni di euro. Il 22 agosto 2014 segnò la prima rete con l’Atletico nella supercoppa spagnola, contro il Real Madrid. Dopo una sola stagione, Mario lascia Madrid.

Il 22 giugno 2015 viene acquistato dalla Juventus per 19 milioni di euro.( Gazzetta.it , 22 giugno 2015.) l’8 agosto segna una rete contro la Lazio nell’ambito della . Il 23 agosto esordisce in A e il 15 settembre segna contro il Manchester City in Champions League. Il 25 ottobre segna invece per la prima volta contro l’Atalanta e a fine stagione la Juventus vince scudetto e . Nella stagione 2016-2017 sbaglia in Supercoppa, il rigore contro il Milan durante la finale. Allegri gli preferisce poi Higuain e successivamente Mario diviene trequartista e contribuisce alla vittoria per lo scudetto. Nella finale di Champions League, persa 4-1 contro il Real Madrid, è protagonista dell’unica rete in rovesciata che viene premiata dall’UEFA come miglio rete della stagione.

La carriera in nazionale.

Il 17 novembre 2007 esordisce contro la Macedonia per l’incontro di qualificazione agli Europei 2008 e segna una prima rete all’Inghilterra nella sua seconda presenza in nazionale il 10 settembre 2008. Negli Europei 2012 doppietta contro l’Irlanda e poi una rete contro l’Italia. E’ la prima competizione ufficiale giocata da Mario che segna tre reti e diventa capocannoniere come Mario Balotelli, Fernando Torres, Alan Dzagoev, Cristiano Ronaldo e Mario Gomez. Mondiale 2014: il 19 giugno contro il Camerun segna le sue prime reti a una competizione mondiale (doppietta): risultato 4-0. Tuttavia la Croazia viene eliminata dal girone dopo aver perso contro Brasile e Messico. Nel 2016 Mario realizza due triplette contro San Marino e Kosovo e ha fatto parte dei 23 che presero parte agli Europei 2016 ove però non segnò. La Croazia vinse la Spagna e arrivò prima del girone, ma venne eliminata dal Portogallo che sarà il vincitore della competizione. Convocato per i Mondiali 2018, segna due reti; una contro la Danimarca negli ottavi e l’altra contro l’Inghilterra in semifinale e questo permette alla Croazia di accedere in finale a Mosca contro la Francia. Mario segna due reti: una è autogol e l’altra a favore della Croazia che comunque in finale ha avuto un possesso palla maggiore e maggior coesione.

Per gli altri che giocarono nella Juventus ricordiamo: (di Spalato), Alen Bok ši ć (di Makarska), Zoran Ban (di Rijeka- Fiume), Robert Kova ć ( di Berlino ovest), (di Čakove ć- poi passato al Torino), Darijo Kneževi ć ( di Rijeka- Fiume).

Per quelli che giocarono nel Torino ricordiamo invece: Saša Bjelanovi ć ( di Zadar- Zara), Veldin Kari ć ( di Slavonski Brod), Krunoslav Jur čić ( di Ljubuški ma di origini bosniache) e Karlo Buti ć ( di Zadar- Zara).

Karlo Buti ć. Nato a Zadar- Zara, il 21 agosto 1998, gioca ora nel Torino, proveniente dall’Inter. Il 13 luglio 2018 è passato in prestito al Foggia dal Torino Primavera ove ha segnato 20 reti. A inizio luglio 2016 passa dall’NK Zadar all’Inter e il 19 luglio 2017 passa al Torino Primavera come centrocampista. Era allora capocannoniere della Viareggio Cup (6 reti in cinque partite). A Torino si trova meglio che a Milano anche per una preparazione più scrupolosa. Inoltre la gente è più vicina e per strada i tifosi del Torino lo riconoscono e scambiano volentieri parola con lui e ne lodano il modo di giocare. Come tutti i giocatori croati ha profonda nostalgia delle sue radici e spera che la squadra di Zara rimonti in e poi in A e quindi da Torino tifa e s’informa della “sua” squadra. Buti ć fa parte del tridente offensivo del Primavera ed è autore di diverse reti anche durante il ritiro.

I calciatori croati sono giunti secondi al mondiale e Luka Modri ć è “giocatore dell’anno” 2018, e speriamo pallone d’oro, ma sono primi per coesione, umanità, simpatia e modo di giocare, mentre i cugini transalpini hanno conseguito la coppa del mondo grazie ai campioni africani e a una dose non comune di fortuna. Mentre a Zagabria e nelle altre città croate si è assistito a un trionfo genuino, in Francia si sono avuti incidenti, morti, feriti. Al lettore tirare le somme.

NOTE

Introduzione

1 Tomislav I , prima dux e poi rex Croatorum dal 925 (dinastia Trpimirovi ć). Arginò gli Arpad ungheresi e trattò dapprima con i Bulgari che successivamente sconfisse in Bosnia e ottenne infine da Bisanzio Zara (Zadar), Spalato (Split) e Traù (Trogir) su cui la Chiesa di Roma estese la propria autorità.

2 Koloman (1070 – 1116). Re d’Ungheria. Nel 1097 divenne re di Croazia mentre Traù (Trogir) e Spalato (Split) si diedero a Venezia così che mentre la Dalmazia passò a quest’ultima, il resto della Croazia passò all’Ungheria. Nel 1102 Koloman venne incoronato sovrano di Croazia.

XVII e XVIII secolo

3 Landrecies si trova nella regione Nord - Pas de Calais. Nel 1637 il Cardinal de La Valette prese tale città che si trovava in mano spagnola al tempo della guerra dei Trent’anni all’epoca di Richelieu.

4 Bano: signore, principe. Forse termine di origine avaria o sarmatica; qualcuno dice illirica. Regnava su una Banovina (Croazia, Slavonia, Bosnia). Affine al persiano ban con medesimo significato.

5 Nikola e Petar Zrinski (conti).

Nikola VII Zrinski (1620 – 1664) fu Bano croato, condottiero e poeta. Nel 1646 partecipò alla Guerra dei Trent’anni e nel 1647 venne nominato da re Ferdinando III d’Ungheria (e Imperatore del Sacro Romano Impero) generale di tutti i Croati e Bano.Vinse i turchi a Kostajnica sul fiume Una nel 1651 e difese poi la fortezza di Novi Zrin. Dopo la battaglia di San Gottardo (di Mogersdorf) che portò alla pace di Vasvàr poiché si era dissolta la coalizione con francesi, tedeschi da un lato e austriaci, croati e magiari dall’altro, le truppe imperiali rimasero sole e inferiori di numero ai turchi, per cui era impossibile continuare a combattere. I croati con Zrinski non furono soddisfatti e neppure i magiari e non volevano tornare allo status quo ante. Luigi XIV che a quel tempo conduceva una politica antiasburgica ebbe colloqui con Zrinski che già era stato da lui nominato “patrizio onorario” ricevendo un premio di 10.000 talleri. Venne ucciso in un incidente di caccia al cinghiale il 18 novembre 1664 e si mormorò che fosse un assassinio voluto da Vienna che vedeva con preoccupazione un avvicinamento tra lo Zrinski e Luigi XIV.

Petar IV Zrinski (1621 – 1671) Bano di Croazia, condottiero e poeta. Fratello di Nicola, sposò la contessa Anna Caterina Frankopan. I Frankopan erano Principi di Veglia (Krk). Partecipò alla Guerra dei Trent’anni a capo degli uscocchi (hajducchi o briganti di mare) di Žumberak (dove questi erano stati trasferiti provenienti da Segna – Senj - sotto comando austriaco dopo la Guerra di Gradisca –1615 – 1617- tra Venezia e Austria detta pure guerra degli uscocchi). Combatté i turchi vincendo a Slunj (1649), partecipò alla Guerra di Candia con Venezia e vinse i turchi in Lika (regione croata alle spalle dello Hrvatsko Primorje o Litorale Croato - capoluogo Knin) nel 1655 e nel 1663 li vinse vicino a Oto čak (Gacko Polje kod Jurjevih Stijena). Nel 1665 è nominato Bano, carica che assunse pienamente solo nel 1668. Con Frano Krsto Frankopan continuò a battersi per i diritti croati onde diminuire l’ assolutismo del re e imperatore Leopoldo verso la Croazia. Ma Vienna seppe del complotto per tradimento e il 13 marzo 1670 Petar Zrinski e Frano Krsto Frankopan andarono a Vienna per chiedere comprensione verso i problemi croati esponendo pure il malcontento latente a seguito della pace di Vasvàr. I due vennero arrestati e incarcerati a Wiener Neustadt e vennero in seguito condannati al taglio della testa e della mano destra (poi condonato per grazia imperiale) il 30 aprile 1671 dopo essere stati condannati dal tribunale supremo per alto tradimento e sedizione.

6 Albrecht Wenzel Eusebius von Wallenstein (1583 – 1634). Servì l’Imperatore Ferdinando II e sconfisse numerose volte gli stati protestanti durante la Guerra dei Trent’anni. Ritenuto ambizioso e quindi non più degno di fiducia, venne fatto uccidere dallo stesso Ferdinando. Studiò a Bologna e a Padova e si occupò di astrologia. La battaglia di Breitenfeld (in Sassonia vicino a Lipsia) vide la vittoria di re Gustavo Adolfo di Svezia sul Tilly che era subentrato a Wallenstein, il quale venne subito richiamato in servizio da Ferdinando. A Lützen (Sassonia) vinse invece Wallenstein e Gustavo Adolfo venne ucciso forse da croati. L’ala sinistra degli imperiali guidata da Holk schierava tra gli altri 600 cavalleggeri croati e di rinforzo, al comando di Gottfried Heinrich conte di Pappenheim vi erano tra gli altri 3 reggimenti di cavalleggeri croati (650) uomini. Di riserva (Hatefeld) tra gli altri, un reggimento di cavalleria croata pari a 300 uomini.

7 Giovanni Giorgio I di Sassonia (1585 – 1656), principe elettore di Sassonia dal 1611 al 1656. Protestante, inaugurò una politica ondivaga tra protestanti e Asburgo, poiché non vedeva di buon occhio il rafforzamento degli stati protestanti di Brandeburgo e Palatinato. Favorì quindi l’elezione di Ferdinando II d’Asburgo a Imperatore. In cambio ebbe l’appoggio di Vienna nella campagna di Boemia contro i protestanti. Protestò blandamente contro l’Editto Imperiale di Restituzione del 1629. Dopo un primo contrasto con Gustavo Adolfo, Giovanni Giorgio, visto che le armate imperiali al comando del Tilly gli saccheggiarono la Sassonia, si alleò con il re svedese nel 1631 e a Breitenfeld i sassoni furono a fianco degli svedesi vittoriosi. L’elettore di Sassonia invase la Boemia ma vi venne scacciato da Wallenstein cui oppose poca resistenza e dopo la morte di Gustavo Adolfo nel 1632 si rifiutò di unirsi agli altri principi protestanti. Con la Pace di Praga del 1635 venne ricompensato da Ferdinando con l’acquisizione della Lusazia e dell’episcopato di Brandeburgo, ma avendo dichiarato guerra agli svedesi e venendo battuto, dovette ceder loro Lipsia m dopo la Pace di Vestfalia la Sassionia mantenne quanto acquisito con quella di Praga e nel 1656 Giovanni Giorgio I morì.

8 Royal – Cravates (1667 – 1815) reggimento di cavalleria composto almeno all’inizio da tutti croati. Creato il 20 maggio 1667 con i resti di reggimenti croati al servizio della Francia, il 1 dicembre 1761 venne rafforzato con l’incorporazione del reggimento di cavalleria Chabrillan , il 1 gennaio 1791 venne ridenominato 10° rgt. di cavalleria e il 24 settembre 1803 venne trasformato in 10° rgt. corazzieri, infine nel 1815 venne sciolto.

9 Guerra d’Olanda. Luigi XIV voleva impadronirsi dei territori spagnoli dei Paesi Bassi che a suo dire erano un’eredità che gli spettava dal nonno Filippo IV di Spagna e inoltre voleva eliminare la concorrenza commerciale delle Province Unite (Olanda) e infine eliminare le enclaves spagnole al confine settentrionale della Francia. Nel 1678 venne firmata la Pace di Nimega in cui praticamente tutti i contendenti ottennero benefici e i confini a settentrione della Francia vennero in parte rettificati.

10 Editto di Nantes. Emanato da re Enrico IV il 30 aprile 1598 per porre termine alle guerre di religione (1562 – 1598) ove venne regolata la posizione degli ugonotti o calvinisti. E che venne revocato nel 1685 da Luigi XIV con l’editto di Fontainebleau. Circa 200.000 protestanti emigrarono nei paesi europei di religione riformata e nel Nuovo Mondo. Nel 1787 Luigi XVI mise fine alle per- secuzioni con un Editto di Tolleranza, ma i pieni diritti verranno restituiti in Francia ai protestanti solo nel 1789 con la Rivoluzione.

11 Fortezza di Slavonski Brod. Ideata dal Principe Eugenio di Savoia e costruita tra il 1715 e il 1780 sulla Sava, uno dei perni della difesa slavona contro i turchi assieme a Stara Gradiška e a Osijek . Fu prevista per 4.000 soldati e 150 cannoni su una superficie di 33 ettari. Venne costruita secondo il sistema ingegneristico del Vauban ed era composta di tre cinte difensive e la parte a sud verso il fiume era rinforzata da altre opere difensive mentre la pianta quadra centrale era rinforzata da tre rivellini a sud, est e ovest. Non a nord da terra. Non venne mai usata per lo scopo per cui fu costruita.

12 Ferenc Ràkoczy II (1676 – 1735) . Tra il 1703 e il 1711 condusse una politica antiasburgica. Era il terzo dei figli di Ferenc Ràkoczy I e di Jelena Zrinski, croata, figlia di Petar e di Katarina Zrinski; era Principe di Transilvania, regione allora magiara. Nel giugno 1703 si mise a capo di una rivolta antiasburgica finanziata dalla Francia ma dopo la battaglia di Blenheim del 1704 non fu più possibile la congiunzione delle forze franco – bavaresi con quelle magiare e anzi, dopo il 1706 il Ràkoczy fu costretto a ritirarsi su posizioni assai ristrette. Con la Pace di Szatmàr (1711) Ràkoczy andò in esilio in Polonia e poi in Francia, ma vista la freddezza dei francesi optò per la Porta Ottomana e nel 1717 andò a Gallipoli poiché i turchi erano ancora virtualmente in guerra con Vienna. Infatti solo il 21 luglio 1718 venne firmata la Pace di Passarowitz tra Impero Ottomano e Austria. Ràkoczy venne così spostato a Tekirda ğ sul Mar di Marmara. Morì l’8 aprile 1735.

13 Adam Batthyàny (1662 – 1703) combatté contro i turchi e nel 1693 divenne Bano di Croazia, Slavonia e Dalmazia.

14 Heinrich Franz von Mansfeld (1640 – 1715) che malgrado la poca esperienza militare divenne per raccomandazione Feldmaresciallo e Presidente del Consiglio di Guerra. Tra il 1701 e il 1703 ebbe aspri conflitti con Eugenio di Savoia che nel 1703 lo fece destituire.

15 Franz Freiherr von der Trenck, barone, nacque a Reggio Calabria nel 1711 e morì a Brno nel 1749. Era figlio di un ufficiale prussiano e nel 1728 entrò al servizio degli Asburgo. Nel 1737 si offerse di organizzare i pànduri (in genere truppe di scorta personali dei feudatari ma qui fanteria leggera) contro i turchi, ma ciò gli venne rifiutato e allora entrò al servizio dei russi per combattere i turchi ma qui ebbe problemi dovuti a insubordinazione e venne messo in carcere. Quando uscì fece ritorno in Slavonia. Nel 1740 scoppiò la Guerra di Successione austriaca ed egli ottenne da Maria Teresa il permesso di arruolare e comandare a proprie spese 1.000 pànduri che poi diventarono 5.000 e andarono a combattere in Slesia. In Slavonia Trenck aveva dei possedimenti: Požega, Pakrac, Nustar nello Srijem e Banatski Brestovac vicino a Pan čevo in Vojvodina. Trenck usava metodi duri e spietati ma ciò non impedì che nel 1745 venisse ricevuto a Vienna da Maria Teresa in persona ma il 22 aprile del medesimo anno l’Austria concluse la Pace di Füssen con la Baviera. Contro di lui montavano le invidie e venne avviato un procedimento per omicidi e atrocità contro militari e civili, disobbedienza, insubordinazione e amministrazione di denaro non contabilizzata e non autorizzata. Inoltre era un personaggio ormai troppo noto e scomodo. La condanna a morte fu commutata da Maria Teresa nel carcere a vita da scontarsi allo Spielberg di Brno ove morì, si dice avvelenato, il 14 ottobre 1749 lasciando per testamento a Marienburg, città tedesca da lui saccheggiata, 30.000 fiorini d’indennizzo.

16 Mattia Corvino o Màtyas Hunyadi (1443 – 1490). Il padre era un nobile di origine valacca e la madre era ungherese. Alla morte di Ladislao V nel 1458 divenne re d’Ungheria e nel 1463 sposò Caterina di Podebrady figlia del re di Boemia Giorgio di Podebrady.

Moglie e figlio morirono prematuramente. Nel 1464 sconfisse i turchi e liberò la Bosnia poi guidò la crociata contro il suocero Giorgio Podebrady divenuto ussita e conquistò Moravia, Slesia e Lusazia. Nel 1485 controllava parte dell’Austria ma come imperatore gli fu preferito Massimiliano d’Asburgo. Sposò poi Beatrice d’Aragona e introdusse in Ungheria la cultura rinascimentale italiana poiché aveva studiato a Lucca il neoplatonismo e i culti misterici. Mattia Corvino fu alleato del crudele Vlad III principe di Valacchia contro i turchi ma lo incarcerò a per crudeltà compiute contro i mercanti sassoni. Tuttavia dovette trattare Vlad con uno statuto privilegiato perché costui godeva della protezione di diversi sovrani europei. Morì senza figli e Giovanni che era suo figlio illegittimo diventò governatore della Bosnia.

17 Ferdinando d’Asburgo (1503 –1564) . Re di Boemia e Ungheria dal 1526, Imperatore del Sacro Romano Impero dal 1558. A Cetin (contea di Karlovac ai confini con la Bosnia) nel 1527 i nobili croati lo elessero re e confermarono la successione anche ai suoi eredi. Presenziò al Sabor di Cetin e promise il rispetto dei diritti storici della Croazia, le libertà, le leggi e la difesa della stessa Croazia dai turchi. Nel dicembre 1526 era divenuto infatti re d’Ungheria e per tale motivo aveva voce in capitolo pure per la Croazia. Nel 1529 Solimano il Magnifico assedia Vienna mentre nel 1533 invade l’Austria e la pace con gli ottomani portò così a un’Ungheria divisa in due parti: a ovest gli Asburgo e a est Giovanni Zàpolya voivoda di Transilvania con uno stato vassallo dei turchi cui lo Zàpolya era da tempo legato come alleato.

18 Il Sabor è un’istituzione prettamente croata fin dal IX secolo. All’epoca di Ferdinando (XVI sec.) il Sabor si riuniva in Slavonia come Sabor croato e slavine e il primo Sabor croato comune si ebbe a Zagabria nel 1533 sotto egida asburgica e con un unico Bano. Dal 1681 il Sabor divenne “Congregatio Regnorum Croatiae, Dalmatiae et Slavoniae” e così rimase fino al 1918. Si può pensare come un’assemblea prima e come un parlamento successivamente, soprattutto tra il XIX e il XXI secolo.

19 Ferencz Gyulay (1674 – 1728) conte e tenente generale. Nel 1703 fu tenente colonnello del reggimento Aiducchi Bagosy o 51° fanteria von Baboczy e il 29 settembre 1704 venne fatto prigioniero dai francesi a Ivrea. Venne rilasciato alla fine del 1706 e nel 1707 divenne colonnello comandando gli ajducchi alla presa del forte Mutin nel 1708. Ignàcz Gyulay o Gyulai (1763 – 1831). Il papà era il feldmaresciallo Samuel Gyulay che combatté i turchi nel 1789 – 1790 e comandò i Gyulay Freikorps distinguendosi a Cetin (Cetingrad) in Croazia il 20 luglio 1790. Nelle guerre della prima coalizione vinse a Bienwald (1793) e venne decorato con la Croce di Cavaliere dell’Ordine Militare di Maria Teresa. Divenne generale di brigata nella seconda coalizione e nel 1800 divenne comandante del citato Ordine Militare. E dopo il Trattato di Lunéville (1801) divenne generale di divisione e feldmaresciallo. Dopo Austerlitz fece parte della delegazione trattante con la Francia che portò all’uscita dell’Austria dalla terza coalizione (Trattato di Presburgo). Nell’aprile 1806 divenne Bano di Croazia, Dalmazia e Slavonia; dalla fine del 1809 (quinta coalizione) gli fu ordinato di ritirarsi dall’Italia con tutte le truppe e di difendere la Croazia che governò nuovamente dal 1809 al 1813 ove ebbe come avversario il generale Marmont. Caduto Napoleone, nel 1816 ridivenne Bano di Croazia e nel 1824 fu governatore di Boemia. Nel 1830 divenne Presidente del Consiglio di Guerra Imperiale e morì nel 1831. Suo figlio Ferencz Gyulay comandò le truppe austriache nel corso della seconda guerra d’indipendenza ove si segnalò per lo scontro catastrofico di Magenta (4 giugno 1859) contro le truppe francesi del gen. Mac Mahon.

20 Aleksandr Vasil'evi č Suvorov (1729 – 1800) conte di Rymnik e ultimo generalissimo. Combatté contro turchi e polacchi imbattuto in più di 60 battaglie e nel 1799 condusse la Campagna di Svizzera seguita poi da quella d’Italia.

Il 14 aprile 1799 era a Montello Vicentino ove indirizzò un Proclama agli Italiani per ingraziarsi lombardi e veneti vittime dei furti e dei saccheggi francesi. In poche settimane reclutò 10.000 uomini. Vinse i generali Joubert e Moreau a Cassano d’Adda, alla Trebbia e a Novi. Occupò Torino e il Piemonte. Il re di Sardegna gli concesse il titolo e il rango di Principe di Casa Savoia assieme all’Ordine dei SS. Maurizio e Lazzaro. Ma Massena vinse lo scontro di Zurigo (probabilmente per il tradimento austriaco) contro il gen. Aleksandr Michajlovi č Rimskij – Korsakov e minacciò Suvorov di accerchiamento e costui, seppur invitto, dovette compiere un’epica ritirata strategica attraverso le Alpi. Morì a San Pietroburgo nel 1800.

21 Pasquale Antonio Fiorella (1752 – 1818) era corso e partecipò alla Campagna d’Italia dal 1796 al 1799 e difese la Cittadella di Torino nel 1799. Nel 1803 fu ispettore generale di fanteria dell’esercito del Regno Italico e fu fedele a Napoleone pure durante e Cento Giorni e con la fine dell’Impero venne destituito.

22 Costantino Pavlovi č Romanov (1779 – 1831), fratello di Alessandro I, prese parte alla Campagna d’Italia del 1799 con il Suvorov e nel 1805 comandò la Guardia Imperiale ad Austerlitz; dopo la Pace di Tilsit (1807) fu favorevole ad un’intesa con la Francia. Dopo il Congresso di Vienna comandò l’esercito polacco e durante la rivoluzione del 1830 cercò di proteggere i polacchi intercedendo presso lo zar Nicola I.

23 Johann von Chasteler (1763 – 1825) Iniziò la carriera militare nel 1776 e nel 1785 era capitano del genio. Tra il 1788 e il 1791 combatté contro i turchi e dal 1792 contro la Francia ove a Wattignes venne ferito da sei fendenti di baionetta. Tra il 1794 e il 1795 si trovò a difendere Magonza e nel 1795 venne promosso colonnello di Stato Maggiore Generale e nell’aprile 1797 divenne Maggiore Generale mentre nella Campagna d’Italia fu Quartiermastro Generale dell’esercito russo – austriaco di Suvorov (provvedeva cioè al vitto, all’alloggio e alle paghe delle truppe) Combatté a Cassano d’Adda e alla Trebbia. Nel 1800 creò la Milizia Tirolese e il 9 aprile 1809 era a Lienz con 10.000 uomini e il supporto appunto degli Schützen o Cacciatori Tirolesi per battersi contro i bavaresi alleati dei francesi. E’ l’epoca di Andreas Hofer. Von Chasteler occupò Innsbruk e Trento ma dopo aver perso lo scontro di Wörge fuggì in Croazia e poi in Ungheria poiché condannato a morte dai francesi per istigazione alla rivolta in Tirolo. Tra il 1811 e il 1813 difese la Slesia e poi Praga e rifulse nelle battaglie di Dresda e di Kulm. Alla fine della sua carriera nel 1815 divenne governatore e comandante militare di Venezia ove morì dieci anni dopo.

24 Johann Konrad Valentin Ritter von Kaim (grafia esatta, 1737 – 1801). Al servizio dell’Austria dal 1770 nel 1794 lo ritroviamo Maggiore Generale e nel 1797 Luogotenente Feldmaresciallo. Comandò le forze austriache il 20 marzo 1799 a , il 26 marzo 1799 venne ferito a Pastrengo e il 5 aprile partecipa allo scontro di Magnano, il 9 – 11 maggio a Pizzighettone e dall’11 al 20 giugno 1799 partecipò all’assedio della Cittadella di Torino. Partecipò allo scontro di Marengo il 14 giugno 1800 comandando la colonna principale e durante la battaglia del Mincio del 25 dicembre 1800 venne mortalmente ferito e morì a Udine due mesi dopo.

25 Franjo Jela čić (1746 – 1810). Iniziò il servizio militare nel 1763 e nel 1772 divenne capitano del 1° reggimento di Banovina (Banija) a Glina, ossia delle terre di Krajina appartenenti al Bano. Nel 1790 sconfisse i turchi presso Ljubina e nel 1791 venne trasferito a Ogulin. Il 1 maggio 1794 è colonnello e nella prima coalizione comandò il Corpo Croato dei Cacciatori . Nel 1797 è generale. Nella seconda coalizione del 1799 comandava una brigata che avrebbe dovuto recarsi in Italia con il Suvorov ma dovette battersi contro Massena e Oudinot in Svizzera e vinse a Feldkirch il 23 marzo 1799 venendo insignito dell’Ordine Militare di Maria Teresa e del titolo di conte di Bužim.

Nell’agosto 1800 venne nominato Vicemaresciallo. Non partecipò allo scontro di Marengo. Qui comunque parteciparono truppe delle Krajine all’ala destra e sotto il comando del gen O’Reilly conte von Ballinlough, oriundo irlandese. Il reggimento del Banato n. 4 con 530 uomini, il Warasdiner Kreutzer n. 5 (secondo Arnold James R. Marengo & Hohenlinden , Barnsley, South Yorkshire UK. Pen & Sword 2005. Per David G. Chandler in Le campagne di Napoleone vol.I Milano BUR 1992 si tratterebbe invece del 1 reggimento sempre Warasdiner) composto da elementi di Bjelovar con 760 uomini, il reggimento Ogulin n. 3 con 600 uomini e il n.2 di Oto čac con 300 uomini. Il reggimento di fanteria Jela čić si trovava al centro dello schieramento e potrebbe essere stato costituito dal 6 reggimento S.Giorgio Warasdiner. Si sa che un battaglione di Varaždin difese eroicamente il ponte sul Bormida. Secondo Željko Karaula “ Budi odan Caru i što Bog dade i sre ća juna čka“ Warasdiner 1538 – 1912 – Podravina vol. X n.19 pp. 143 – 160 Koprivnica 2011, a Marengo non erano reggimenti ma battaglioni formanti poi reggimenti e forse il numero dei militari depone proprio per tale ipotesi. In ogni caso il nostro scopo è di dimostrare che i croati furono pure a Marengo. Alla difesa del ponte sul Bormida un battaglione croato perse 222 uomini e un ufficiale. A petrovaradin ove di trovava stanziato uno dei suoi battaglioni gli nacque nel 1801 Josip futuro Bano di Croazia nel 1848 (107). Venne poi trasferito a Karlovac e nella terza coalizione difese il Voralberg e con i resti dell’esercito raggiunse l’Imperatore in Cechia nel 1805, venne pensionato ma fu richiamato nel 1808 e si batté nella quinta coalizione a Salisburgo e in Stiria. Venne infine inviato in Ungheria ove si ammalò e morì.

XIX Secolo

26 111° reggimento. Va detto che di piemontesi in Russia se ne trovavano anche nel 26° cacciatori a cavallo, nel 31° e nell’ 11° fanteria leggera e infine nel 26° dragoni.

27 Gaetano Millo (1774 – 1814). Cavaliere della Corona Ferrea. Dapprima prestò servizio nell’esercito di S. M Vittorio Amedeo III poi nel 1797 in quello della Repubblica Cisalpina ove si distinse nelle battaglie del 1800 e del 1805. Divenne capitano d’artiglieria, colonnello nel 1809. Combatté in Illiria e in Italia tra il 1809 e il 1813 e comandò la riserva di artiglieria. Partecipò alla Campagna di Russia del 1812 come comandante l’artiglieria della 13° divisione ove si distinse alla moscova e a Maloyaroslavetz. A Kovno, al fianco di Ney esaurì le ultime munizioni. Morì alla battaglia del Mincio dell’8 febbraio 1814 ove impiegò personalmente alcuni pezzi d’artiglieria.

28 Michel Ney (1769 – 1815). Si arruolò negli ussari nel 1787 e percorse tutta la carriera militare partendo da soldato semplice; nel 1791 è caporale, nel 1792 sergente maggiore di reggimento e tra il 1792 e il 1793 fu aiutante dei generali Lamarche e Colland e poi comandò uno squadrone di 500 cavalleggeri agli ordini del gen. Kléber nell’Armée de Sambre et Meuse. Nel 1801 aderì alla Massoneria. Nel 1804 divenne Maresciallo dell’Impero. Si batté ad Ulm e conseguì la vittoria a Elchingen e nel 1808 venne nominato duca di tale località. Pacificò il Tirolo. Combatté a Jena (Campagna di Prussia) e conquistò Erfurt e Magdeburgo; vinse ad Eylan e a Friedland (1807). Dal 1808 al 1811 fu in Spagna ove conquistò Logroño, Soria, la Galizia e le Asturie ove vinse spagnoli e portoghesi, dando del filo da torcere agli inglesi di Wellesley. A causa del suo carattere permaloso e attaccabrighe fu inattivo fino al 1812 e qui venne coinvolto nei maggiori scontri della Campagna di Russia: assediò Smolensk, partecipò allo scontro di Borodino e venne appunto nominato Principe della Moscova. Diede il meglio di sé nella ritirata al comando della retroguardia ove affrontò sempre forze russe almeno doppie e alla Berezina con 8.000 uomini raccogliticci respinse 27.000 russi. Nel 1813 lo troviamo vincitore con Napoleone a Lützen, Baultzen e Dresda. Ferito a Lipsia, venne inviato in Francia e combatté al comando dei 16.000 uomini della Giovane Guardia nel corso della Campagna di Francia, ma onde evitare altro sangue chiese a nome di tutti i Marescialli l’abdicazione di Napoleone. Divenne poi membro del Consiglio di Guerra e comandante della cavalleria sotto Luigi XVIII di cui divenne persino Gentiluomo di Camera. Ma il 18 marzo 1815, pur avendo promesso al re di arrestare Napoleone, ad Auxerre si riunì nuovamente a lui. Partecipò alla battaglia di Waterloo ottenendo un parziale successo. Condannato a morte per alto tradimento da Luigi XVIII il 7 dicembre 1815 venne fucilato.

29 Auguste Frédéric Louis Viesse de Marmont, duca di Ragusa (Dubrovnik) 1774 – 1852. Proveniente dalla piccola nobiltà incontrò Napoleone alla Scuola d’Artiglieria e partecipò alla Campagna d’Italia e poi a quella d’Egitto ove ebbe la promozione a generale di brigata. Comandò l’artiglieria a Marengo e divenne successivamente generale di divisione; nel 1801 divenne ispettore generale dell’artiglieria e nel 1804 Grande Ufficiale della Legion d’Onore mentre nel 1805 partecipò alla battaglia di Ulm. Nel 1806 si trova in Olanda. Viene poi inviato ad occupare la Dalmazia ove costruì strade, aprì scuole e introdusse il Code Napoleon. Nel 1808 occupò Ragusa e pose fine alla Repubblica di S. Biagio divenendo poi duca di Ragusa. Nella quinta coalizione marciò su Vienna e nel 1809 venne nominato Governatore delle neo costituite Province Illiriche e qui fece costruire ad esempio la strada tra Knin e Ragusa, collegò Slunj e Ogulin e tutti i centri di Lika con Karlovac, costruì e ricostruì parti della Magistrale o Litoranea, fece costruire edifici pubblici e mulini ecc. Nel 1810 successe a Massena in spagna e partecipò alla presa di Ciudad Rodrigo e nel preparare lo scontro di Salamanca venne sconfitto da Wellington e rimase ferito. Partecipò alle Campagne del 1813 e 1814. Tradì Napoleone e passò al campo alleato e con la Restaurazione aderì alla Monarchia ove ricevette onori e promozioni ma fallì la repressione della Rivoluzione del luglio 1830 che detronizzò Carlo X. Morì a Venezia nel 1852.

30 Nicolas Charles Oudinot, duca di Reggio Calabria (1767 – 1847). Poiché borghese, tra il 1784 e il 1787 servì nel reggimento Medoc e si congedò con il grado di sergente. Nel 1792 divenne tenente colonnello e nel 1794 fu promosso generale di brigata. Fu il braccio destro di Massena in Svizzera nel 199 e divenne generale di divisione e poi Capo dell’Alto Comando. Partecipò alla difesa di Genova e alla battaglia di Monzambano. Fu insignito della Gran Croce della Legion d’Onore. Nella terza coalizione del 1805 partecipò alla battaglia di Austerlitz con i famosi Granatieri di Oudinot da lui scelti e comandati personalmente. Tra il 1806 e il 1809 partecipò alle battaglie di Friedland, Abensberg e Wagram dopodiché venne promosso Maresciallo e duca di Reggio Calabria; era massone come 18 dei 26 Marescialli di Napoleone, pure lui massone. Amministrò il Regno d’Olanda tra il 1810 e il 1812; partecipò all’invasione della Russia nel 1812 e poi alle battaglie di Lützen, Bautzen e Lipsia. Sotto Luigi XVIII divenne Pari di Francia e nel 1823 comandò un corpo d’armata durante la spedizione francese in Spagna contro i Costituzionalisti. Fu Governatore di Madrid e infine Governatore des Invalides a Parigi. Morì nel 1847.

31 Cesare de Laugier de Bellecour. (1789 – 1871). Di famiglia nobile originaria di Nancy fu ufficiale napoleonico in Spagna e in Russia e su questa scrisse “ Italiani in Russia : memorie di un ufficiale italiano per servire alla storia della Russia, della Polonia e dell’Italia nel 1812 ” – 4 volumi – Firenze 1826 – 1827. Fu infine al servizio di Gioacchino Murat e militò in seguito nell’esercito del Granducato di Toscana. Nel 1848 partecipò alla difesa di Venezia e fu il comandante dei battaglioni di studenti di Curtatone e Montanara. Nel 1851 venne nominato Ministro della Guerra e incontrò il Radetzky a Firenze che si complimentò con lui per l’ottimo risultato ottenuto appunto a Curtatone e Montanara.

32 Carlo Denina (1731 – 1812) Sacerdote e pedagogo, scrisse lo studio storico “ Le Rivoluzioni d’Italia ” (1768 – 1772) fu professore di eloquenza e poi di retorica all’Università di Torino e Chambéry. Cadde in disgrazia e venne destituito per l’opera ” Dell’impiego delle persone ” ove criticava l’eccessivo numero di sacerdoti regolari e secolari che venivano male impiegati e quindi su invito di Federico II di Prussia si recò a Berlino. Napooleone lo conobbe poi nel 1804 a Magonza e lo nominò bibliotecario a Parigi nella sua biblioteca personale. Incontrò studiosi come il Lagrange e il Cigna. Fu sempre piuttosto adulatorio e agiografico sia nei confronti di Federico II che di Napoleone.

Eugen Kvaternik

33 Johann Ernst conte von Stackelberg (1813 – 1870). Di nobiltà baltica tedesca, figlio di Gustav Ernst, proveniva da una famiglia di diplomatici e appunto papà Gustav tra il 1794 e il 1797 fu a Torino in servizio diplomatico dopo aver militato nella Guardia Imperiale Russa. Johann Ernst iniziò il servizio militare nel 1832 e prese parte successivamente a diverse campagne militari nel Caucaso, nel Kuban e in Cecenia. Nel 1843 era colonnello e nel 1846 fu congedato per motivi di salute. Nel 1848 è in servizio alla missione diplomatica russa a Parigi, nel 1852 è a Vienna e poi viene promosso maggiore generale al seguito dello Zar nel 1853. Nel 1856 gli fu affidato, dopo la Crimea, l’incarico d’inviato straordinario e ministro plenipotenziario nel Regno di Sardegna per cinque anni. Nel 1861 è inviato straordinario e ministro plenipotenziario in Spagna e nel 1862 con il medesimo incarico è rinviato a Torino. Dal 1863 fu nuovamente a Vienna e dal 1867 a Parigi ove morì il 30 agosto 1870.

34 Il panslavismo nacque nel XIX secolo con la diffusione degli ideali liberali e nazionali diffusi negli ambienti colti slavi. Jàn Kollàr (1793 – 1852) era uno scrittore e attribuì alle lingue slave una derivazione presunta da un proto – slavo comune da cui originano vari dialetti : ceco, slovacco, sloveno, croato e serbo e proprio in tali entità nazionali si ebbero i principali teorici dell’idea panslavista; esclusi erano montenegrini, bulgari e macedoni, i primi perché erroneamente ritenuti tutti serbi e gli altri perché ancora sotto il regime ottomano. I polacchi venivano a parte perché spartiti tra le Potenze. Il primo congresso panslavo si svolse a Praga nel 1848. Quello ora citato è detto “Piccolo Panslavismo”, poiché il “Grande Panslavismo” include la Russia che usò spesso l’idea della riunificazione slava e il mito della Terza Roma per espandersi nell’Europa orientale e nei Balcani. Aleksandr Fiodorovi č Hilferding (1831 – 1872) diplomatico russo, slavista e slavofilo. Di famiglia tedesca che si stabilì a Mosca nel XVIII secolo, nel 1852 si laurea alla facoltà di filosofia storica di Mosca. Studioso degli slavi baltici, nel 1856 diventa membro corrispondente dell’Accademia di San Pietroburgo. Nel medesimo anno è nominato console in Bosnia e scrive opere sulla Bosnia, l’Erzegovina e sulla Serbia antica, nel 1859 compone un’ excursus storico su tali paesi e colleziona personalmente manoscritti bosniaci e macedoni. Nel 1858 pubblica in francese “ Les Slaves occidentaux ” e nel 1861 entra al servizio della Cancelleria di Stato. Nel 1863 durante la repressione dell’ennesima insurrezione polacca, su consiglio di Nikolaj Miliutin redige diversi progetti di riforma in Polonia e pubblica anonimamente in inglese “ The Polish Question ” . Nel 1867 dirige la branca di S. Pietroburgo della Società di Beneficenza Slava o Comitato Slavo e il dipartimento di etnografia della Società Imperiale Russa di Geografia. Il 20 giugno 1872 muore precocemente di tifo. Opere principali sui paesi slavi meridionali: Письма об истории сербов и болгар (Lettere sulla storia dei serbi e dei bulgari 1856 – 1859); Развитие народности у западных славян (Lo sviluppo del sentimento nazionale presso gli slavi occidentali 1858); Босния , Герцеговина и Старая Сербия (La Bosnia, l’Erzegovina e la Serbia antica 1859); Венгрия и славяне (L’Ungheria e gli slavi 1860); Государственное право сербского народа в Турции (Il diritto pubblico del popolo serbo in Turchia 1861).

35 Ivan Kukuljevi ć Sakcinski (1816 – 1889). Storico, archeologo, letterato e politico croato. Nel 1833 entrò nell’esercito e nel 1836 è a Vienna come ufficiale; nel 1837 conobbe Ljudevit Gaj. (106)

Divenne illirista. Nel 1840 fu di guarnigione a Milano e nel 1841 si dimise dall’esercito, tornò in Croazia e si diede alla vita politica battendosi contro la magiarizzazione e la censura. Conobbe il Tommaseo e ne pubblicò le Iskrice (Scintille). Nel 1845 fu giudice supremo per la contea di Varaždin e nel 1861 governatore di Zagabria fino al 1867. La sua attività politica si divide in due periodi: fino al 1850 e dal 1860 al 1867. Tra il 1851 e il 1860 con la restaurazione dell’assolutismo del cancelliere Bach, gli fu impossibile ogni attività politica. Il primo periodo lo vede fautore della liberazione della Croazia da Austria e Ungheria e ideologo dell’unificazione slavo meridionale attraverso la rivoluzione. Fu il primo a parlare croato al Sabor (Parlamento) almeno dal 1832 ma sicuramente dal 1843 e nel 1847 su sua richiesta il Sabor adottò la lingua croata abolendo l’uso del latino. Nel 1848 si trova tra i democratici radicali e nella seduta non autorizzata del Sabor del 21 giugno 1848 chiese la detronizzazione dell’Imperatore e degli Asburgo. L’attività del Sabor era stata proibita da Francesco Giuseppe ma tuttavia le sedute si susseguivano senza curarsi degli ordini imperiali anche se il Bano Jela čić avrebbe preferito usare più prudenza. Il secondo periodo politico di Kukuljevi ć fu opposto al primo e qui collaborò con l’Austria con una politica antijugoslava e pure, per certi versi, anticroata. Con il nagodba o concordato del 1867 venne destituito dalla carica di governatore di Zagabria. Con il concordato o compromesso del 1867 veniva istituita l’Austria – Ungheria e con quello del 1868 si regolarono le questioni pendenti tra Croazia e Ungheria.

36 Costantino Porfirogenito o Costantino VII (905 – 959) Basileus dal 912. Nipote del grande Basilio e figlio di Leone e della sua quarta moglie Zoe Carbonopsina (dagli occhi di brace). Solo dal 945 iniziò a governare autonomamente dopo la tutela del suocero Romano I. Mantenne l’avvicinamento alla Rus’ di Kiev, riformò la scuola superiore e ogni atto politico fu fatto nel solco della politica precedente. E’ conosciuto piuttosto come uomo di cultura. Oltre a un’Enciclopedia delle conoscenze agrarie (la Geoponica ), redasse il De ceremoniis aulae byzantinae e il De administrando imperio (D.A.I) scritto tra il 948 e il 952, un manuale di politica estera e interna ad uso di suo figlio Romano che poi diventerà Romano II. Parla dei popoli e delle province dell’impero e parla dell’arrivo dei croati e dei serbi nel VII secolo nei Balcani ai capitoli da 28 a 36.

37 Tàbori. Parliamo di quelli sloveni ivi citati nel testo. L’80% della popolazione slovena del tempo si dedicava all’agricoltura e i giovani, gli intellettuali, i liberi professionisti e i sacerdoti si riproposero di svegliare il sentimento nazionale. Il movimento dei Giovani Sloveni nasce in Stiria (Spodnja Štajerska o Basa Stiria) e si estende poi nella Carniola (Kranjska). I tàbori sono dei raduni ove ci si confronta e ove si ascoltano discorsi e considerazioni politiche e storiche. Il tutto accompagnato dalla diffusione della scolarizzazione, della lettura e quindi delle sale di lettura e delle biblioteche in lingua nazionale. In Croazia praticamente si ebbe lo stesso fenomeno in un periodo precedente e poi in parallelo a quello sloveno.

38 Arsia (Raša) o Arsa. E’ un corso d’acqua che nasce dal M. Maggiore (U čka) e poi si dirige a sud bagnando Bogliuno (Boljun) e Valdarsa (Šušnjevica) formando la piana dell’Arsia bonificata dal regime fascista, là ove venne creato l’abitato di Arsia tra il 1936 e il 1938. Piega poi verso ovest e sfocia in Adriatico. Nel 12 a.C il confine d’Italia passava sulla linea dell’Arsia e dall’altra vi era l’Illirico. Fianona (lat. Flanona croato Plomin) era già situata in territorio liburno oltre l’Arsia. La romana Flanona faceva parte del circondario di Scardona in Dalmazia e sotto Augusto, dopo la morte di Agrippa , a partire dal 9 a.C fino al 10 d.c, l’Illirico venne riordinato e la Liburnia venne aggregata all’Italia (quindi Albona, Fianona, isole del Quarnaro, Taqrsatica o Fiume, fin nei dintorni di Zara, fino al fiume Krka e alle Alpi Dinariche. La regione partecipò poi dello ius italicum e fu ascritta alla gens Claudia. Albona (Labin) fu municipium e venne donata ai militari veterani della gens Claudia.

39 Josip Frank (1844 – 1911). Politico croato di famiglia ebraica. Laureato in legge, lavora presso l’ufficio legale del politico austriaco e poi sindaco di Vienna Karl Lueger poi è stagista a Budapest e nel 1872 si mette in proprio come avvocato. Si allea politicamente con il Bano Rauch nell’attaccare Ivan Mažurani ć del Narodna Stranka o Partito Nazionale per l’atteggiamento morbido tenuto verso magiari e serbi. Esperto di finanza, non vedeva di buon occhio la dipendenza economica dall’Ungheria che nel 1868 aveva firmato il compromesso o nagodba con la Croazia poi rivisto in peggio nel 1873. Tra il 1880 e il 1894 è membro del Governo e nel 1884 è membro del Sabor in Commissione Bilancio. Tra il 1877 e il 1890 svolge politica autonomamente ed è molto vicino al HSP o Partito Croato del Diritto cui finisce per aderire. Gli obiettivi di costoro erano l’unificazione delle terre croate in cui s’includeva pure la Bosnia e l’indipendenza economica e finanziaria dall’Ungheria e dall’Austria. Occorre dire che era il periodo di una forte magiarizzazione delle istituzioni, dell’economia e persino della lingua croata, da parte del Bano ungherese Károly Khuen – Héderváry. Nel 1895 innanzi a Francesco Giuseppe in visita a Zagabria gli universitari croati bruciano per protesta il vessillo ungherese; i vertici del Partito condannarono tale atto e per tale motivo Frank e Star čevi ć fecero scissione e fondarono il Partito del Diritto Puro (ČSP). Nel 1896 morì Star čevi ć e Frank divenne leader del partito. Dal 1905 diventa avversario della politica filo – jugoslava e nel 1906 tale formazione politica ottiene 20 seggi al Sabor. Nel 1908 il partito si spacca proprio nel momento in cui Frank, a seguito dell’annessione della Bosnia da parte di Vienna, fonda una Legione Nazionale Croata da usare contro i paramilitari serbi. Dal 1909 al 1911 la malattia di Frank aiuta diversi esponenti del partito a legarsi con ambienti cattolici e da tale intesa nasce il Partito Cristiano Sociale che però alla fine del 1911 ridiventa HSP inglobando pure la minoranza più flessibile dei “milinovci” ossia dei seguaci di Milo Star čevi ć nipote di Ante. Di qui scaturirono poi, come si vedrà, molte idee estreme di Ante Paveli ć.

39 bis Ante Star čevi ć (1823 – 1896) é il precursore di Frank e conobbe molto bene Eugen Kvaternik. Fu letterato, storico e politico. Fino al 1861 lavora in uno studio legale poi venne eletto al Sabor ove però venne sospeso nel 1862 come oppositore del regime e condannato a un mese di carcere. Nel 1865, 1871 e 1878 viene rieletto al Sabor ed è fautore dell’indipendenza croata e costituisce così le basi per il neonato Partito del Diritto (HSP) fondato da Eugen Kvaternik nel 1861. Nel 1863 Star čevi ć è nuovamente in carcere e dopo l’insurrezione di Rakovica in cui trovò la morte il Kvaternik fu nuovamente in carcere e il Partito del Diritto venne sciolto. Si scagliò violentemente contro il ruolo della Chiesa in Croazia e delle Chiese in genere, compresa quella ortodossa e contro mi Gesuiti pensando agli scrittori nazionalisti francesi e ai pensatori liberali scaturiti dalla Rivoluzione. Al clero attribuiva l’arretratezza delle masse e per lui, in pieno laicismo, la politica era basata sulla borghesia, sui contadini ricchi e sugli intellettuali liberali. Antiserbo, considerava curiosamente gli sloveni come “croati di montagna” seguendo ovviamente le idee di E. Kvaternik.

40 Paolo Diacono (Paul Warnefried) 720 – 799. Monaco, scrittore e poeta longobardo. Nacque a Cividale del Friuli e andò poi a Pavia per ultimare gli studi. Nel 774 visse il crollo del regno longobardo. Si fa monaco a Montecassino. Dal 782 al 787 è alla corte di Carlo Magno per perorare la causa inerente la liberazione dei suoi parenti prigionieri e acquista autorità come maestro di grammatica. Nel 787 torna a Montecassino ove scrive la “ Historia Langobardorum ” (787 – 789) in sei libri e in latino ed è passionalmente longobarda. Si ferma a Liutprando omettendo la decadenza longobarda. E’ importante anche per la storia degli slavi e documenta il loro arrivo nella Pianura Padana intorno al 670 (Libro V,23). Cap. 23 Deinde ordinatus est apud Foroiuli dux Wechtari, qui fuit oriundus de Vincentina civitate, vir benignus et populum suaviter regens. Hunc cum audisset Sclavorum gens Ticinum profectum esse, congregata valida multitudine, voluerunt super Foroiulanum castrum inruere; et venientes castrametati sunt in loco qui Broxas dicitur, non longe a Foroiuli.

Secundum divinam autem dispositionem contigit, ut dux Wechtari superiori vespere a Ticino reverteretur nescientibus Sclavis. Cuius comites cum ad propria, ut adsolet fieri, remeassent, ipse hoc nuntium de Sclavis audiens, cum paucis viris, hoc est viginti quinque, contra eos progressus est. …. E quindi venne fatto duca del Friuli Wectaris che era originario di Vicenza persona buona che governava il popolo con dolcezza. Una volta che fu a Pavia, gli slavi attaccarono il Friuli e si accamparono a Broxas, non lontano da Cividale. Ma la bontà del cielo fece sì che Wectaris tornasse indietro di proposito quando gli dissero che gli slavi si trovavano là e non aveva con lui che pochi uomini perché i suoi compagni erano tornati a casa. E’ per questo che marciò contro gli slavi con venticinque uomini…… Si pensa che costoro fossero slavi Carentani o di Corinzia, quindi antenati degli sloveni. Posto che nel cap. 22 Paolo Diacono nomina Carnuntum erroneamente detta Carantanum e siamo nel 663, la battaglia in oggetto si colloca nel 664 presso il Ponte S. Quirino sul Natisone. Broxas rimane una questione aperta.

41 Marco Vipsanio Agrippa (63 a.C. – 12 a.C.). Politico, architetto e militare, amico e collaboratore e genero di Ottaviano. Dopo la morte di Cesare assunse il comando delle legioni macedoni e combatté a fianco di Ottaviano e Antonio a Filippi (42 a.C.). Nel 41 – 40 a.C. su ordine di Ottaviano condusse la guerra contro Lucio Antonio e Fulvia Atonia, fratello e moglie di Marc’Antonio, che si concluse con la loro cattura a Perusia. Nel 37 a.C. ottenne il suo primo consolato. Nel 36 a.C. sconfisse Sesto Pompeo a Mylae e Nauloco distruggendo la sua forza navale. Nel 38 a.C fu edile. Augusto e Agrippa lottarono contro Antonio e la vittoria di Azio del 31 a.C. fu principalmente opera di Agrippa. Nel 21 a.C. sposò Giulia figlia di Ottaviano rimasta vedova e fu costretto da Augusto a separarsi dalla moglie Claudia Marcella Maggiore; in precedenza aveva sposato Pomponia, figlia di Tito Pomponio Attico amico di Cicerone. Nel 28 e nel 27 a.C. ottenne altri due consolati a fianco di Ottaviano. Costruì e dedicò il Pantheon e in Gallia fece costruire strade e acquedotti e ne riformò il sistema tributario. Governò per due volte la Siria e iniziò la conquista della Pannonia. Morì a 51 anni. Il fatto che si parli di riforma di Agrippa riguardo alla formazione delle undici regioni italiane è confermato in un passo di Plinio il Vecchio (NH. 3,150): [150] Illyrici latitudo qua maxima est CCCXXV p. colligit, longitudo a flumine Arsia ad flumen Drinium DXXX; a Drinio ad promunturium Acroceraunium CLXXV Agrippa prodidit, universum autem sinum Italiae et Illyrici ambitu|XVII|. in eo duo maria quo distinximus fine, Ionium in prima parte, interius Hadriaticum, quod Superum vocant. La lunghezza dell’Illirico ove è massima assomma a 325 miglia, la lunghezza dal fiume Arsia al fiume Drin 530. Agrippa riferì dal Drin al promontorio Acrocerauno 175 miglia, poi l’intero golfo dell’Italia e dell’Illirico con un perimetro di 1700 miglia. In esso due mari dove ci fermammo con il confine, nella prima parte lo Ionio, più internamente l’Adriatico che chiamano Superiore.

L’Acrocerauno più o meno potrebbe essere in prossimità della Narenta ove era stanziata la tribù dei Kerauni.

42 Claudio Tolomeo (100 d.c. – 175 d.c.). Astrologo, astronomo e geografo di epoca imperiale e di cultura ellenistica. Scrisse l’Almagesto o Trattato Matematico noto dapprima attraverso il nome e la traduzione araba e poi tradotto in latino da Gerardo da Cremona nel XII secolo. Tolomeo è comunque famoso per la Geografia . Identificò 8.000 luoghi e per la prima volta con latitudine e longitudine. Scrisse inoltre l’ Ottica e opere di astrologia.

43 Strabone (63 a.C. – tra 24 e 21 a.C.). Geografo e storico greco. Fu filosoficamente uno stoico ma pare non gli fosse estranea la peripatetica aristotelica. Frequentò lo stoico Posidonio di Apamea e un suo discepolo Atenodoro di Tarso. La Geografia si compone di XVII libri e presenta un impianto storico – antropologico ed è quindi assai meno matematica di quella di Tolomeo. Fissa inoltre il momento applicativo del diritto romano nelle varie città ed è fonte primaria per conoscere l’inizio della romanizzazione in Gallia e nella Penisola Iberica.

44 Carlo De Franceschi (1809 – 1893). Si laureò in legge nel 1832. In contatto con studenti lombardi e veneti a Graz, sviluppò un forte sentimento antiasburgico. Nel 1835 è uditore giudiziario e nel 1836 sostiene gli esami di giudice criminale e di giudice civile a Trieste. Fu eletto nel 1848 alla Costituente austriaca e rappresentò l’Istria e ivi richiese l’autonomia amministrativa e la conferma della prevalenza in loco della nazionalità italiana. A novembre, profilandosi il successo della reazione, tornò in Istria e nel corso della riapertura della Costituente austriaca a Kremsier presentò il manifesto “Agli Istriani” del 2 gennaio 1849 ove esponeva le sue tesi. Il 7 marzo 1849 il colpo di Stato portò all’emanazione della famosa costituzione ottriata. Iniziò ad essere controllato dalla polizia ma dato il suo comportamento ineccepibile fu nominato assessore alla Corte di Giustizia di Rovigno. Nel 1853 venne collocato in quiescenza con 1/3 dello stipendio perché considerato mazziniano e sovversivo. Dal 1855 lavorò a Fiume presso lo studio legale Thierry ed ebbe contatti con molti intellettuali filo – italiani come il Lucani e il Combi, ove sosteneva che le sorti dell’Istria erano legate a quelle del Veneto. Nel 1861 entrò alla Dieta (Sabor) Istriana di Parenzo per interesse del marchese Polesini che ne era il presidente. Il De Franceschi rilevò la posizione dell’antica Nesactium vicino ad Altura nel circondario di Pola. Alla fine del 1876 andò in pensione. Scrisse una storia dell’Istria dal titolo “ Istria, note storiche ” (1879).

45 Milko Kos (1892 – 1972). Storico sloveno. Studiò a Vienna specializzandosi nella storia sociale del Medioevo e studiò a fondo gli insediamenti medievali in Slovenia. Nel 1928 insegnava all’Università di Lubiana e tra il 1941 e il 1945 ne fu rettore ma tenne stretti rapporti con il Fronte di Liberazione sloveno. Divenne poi membro della Accademia Slovena di Arti e Scienze (SAZU) e lavorò a lungo sui registri dei territori del Litorale Sloveno ottenendo nel 1955 il premio scientifico intitolato al poeta sloveno France Prešeren.

46 Eginardo (Einhard o Einhart) 775 c.a – 890. Storico di Fulda al servizio di Carlo Magno venne educato nell’abbazia omonima agli studi classici di tipo romano che completò ad Aquisgrana. Succedette ad Alcuino nella direzione della Schola Palatina e fu il biografo di Carlo Magno, segretario particolare e poi consigliere di Lotario I figlio primogenito di Lodovico il Pio. Scrisse tra l’altro la “ Vita et gesta Karoli Magni ” (intorno all’830) e “ Annales ” (qui dicuntur Einhardi). Trascorse i suoi ultimi anni nell’abbazia di Seligenstadt. Per la vita di Carlo Magno s’ispirò al De Vita Caesarum di Svetonio e descrisse vita, opere e personalità di Carlo Magno sulla base della conoscenza diretta e personale.

47 Knez Vojnomir (knez è in genere principe). Primo knez della Croazia Pannonica governò dal 791 all’810. Si pensa appartenesse agli slavi che con il duca Ivan presero dimora in Istria, altri ritengono che fosse slavo di origine carantana (Carniola) e infine qualcuno pensa che fosse uno slavo della Pannonia Superiore che più tardi s’identificherà come territorio croato. Negli Annali franchi compare come Wonomyro. Si sa che dal 796 al 799 combatté assieme ai franchi contro gli àvari. Gli àvari sono probabilmente un popolo di lingua turcica o uralica simile agli unni o ai protobulgari del Volga (VI sec.). Si Spostarono poi nella zona carpatico – danubiana e diedero vita a un regno che durò due secoli. Vennero sconfitti da Carlo Magno e si fusero con slavi e magiari. Nel VI secolo si erano installati in Pannonia cacciando i longobardi verso l’Italia. Nel 626 di concerto con i persiani assediarono Costantinopoli. Tra il 791 e il 795 il regno àvaro crollò grazie all’attacco di Carlo Magno che sbaragliò tale popolo barbarico. Erik o Heiricus o Ericus che è citato nel testo compare negli Annales franchi nel 796 e nel 799 e nella Vita Karoli cap. XIII. Nel 796 di Wonomyro Sclavo alleato di Erik duca del Friuli vinse gli àvari in Pannonia e questi vennero spogliati di un grande tesoro dovuto anche ai continui versamenti bizantini affinché costoro non invadessero il territorio imperiale; Erik lo portò ad Aquisgrana a Carlo Magno. Nel 799 gli àvari spezzarono ogni giuramento fatto ed Erik duca del Friuli venne ucciso vicino a Tarsatica (Fiume) che probabilmente non era in mano agli àvari ma costituiva, come capiterà molte volte nella sua storia, uno stato cuscinetto tra franchi e àvari o forse venne ucciso dai croati stessi nell’atto d’impossessarsi della Dalmazia. Il conte Geroldo prefetto di Baviera, cadde pure lui lottando contro gli àvari forse in Pannonia. Alla luce di quanto esposto ora possiamo brevemente commentare il passo citato dal Kvaternik tratto da Eginardo cap.15. Con la riforma di Docleziano furono create la Pannonia Superiore divisa in Pannonia Prima (tra Austria e Ungheria – Carnuntum, Vindobona – Vienna - Soravia) e Pannonia Savia (Sciscia – Sisak in Croazia), Pannonia Inferiore o Valeria (Soplanae- Pécs) e Pannonia Secunda (Sirmium - Sremska Mitrovica in Serbia). Nel capitolo citato le due Pannonie sono quella Superiore e quella Inferiore e poi vengono citate Liburnia e Dalmazia meno le città costiere e le isole promesse a Bisanzio. Tra i popoli principali citati non nomina i croati (boemi, abodriti che sono vendi, sorbi o serbo – lusazi, velabiti a nord della Germania). I rimanenti popoli, tra cui i croatisi arresero e Carlo ne accolse la resa. La Pannonia di Eginardo probabilmente era il territorio tra la Sava, la Drava e il Danubio o poco più, particolare unità amministrativa con a capo un principe locale croato ma sotto ma sotto giurisdizione del duca o al conte margravio del Friuli cui era posta pure la Dalmazia. I croati pannonici divennero cristiani grazie ai missionari inviati dal Partriarcato di Aquileia. Nell’802 nella Dalmazia sottomessa a Carlo Magno troviamo invece il knez Višeslav. Con la Pace di Aquisgrana dell’812 l’Istria e la Dalmazia passarono a Carlo Magno come terraferma mente isole e città rimasero bizantine. Apparentemente quindi i croati godevano di una certa autonomia pur essendo satelliti franchi.

48 Thema bizantino pl. Themata. Circoscrizioni create nel VII sec. dall’imperatore Eraclio o secondo altri più tardi da Costante II in vista di un riordino amministrativo, territoriale e militare. Ai soldati dei temi venivano assegnate terre in cambio del servizio prestato e il soldato – contadino (stratiota), in guerra militare e in pace agricoltore, in cambio dei proventi della terra corrispondeva date tasse. In sistema divenne poi ereditario. Se si considera poi all’opposto il sistema della prònoia successivo (età dei Comneni) allora si ottiene un sistema completo di amministrazione delle terre acquisito successivamente dagli ottomani. In realtà sotto i bizantini si ebbe una tendenza a passare al latifondo e presso gli ottomani avvenne quasi la medesima cosa. Lo stratega o catapano poi dux era il governatore del thema e quello dell’Opsikion (Turchia Europea odierna con la parte settentrionale dell’Anatolia) era il komes, mentre il thema degli Ottimati con Costantinopoli aveva il domestikos , tutte cariche ereditarie. Come governatori erano pure collettori di tasse. Il sistema dei themata venne abbandonato gradualmente dall’XI secolo perché la staticità del sistema andava contro gli interessi dei grandi proprietari terrieri che volevano appropriarsi delle terre dei villaggi. Lo Stato favorì in modo miope l’espansione del latifondo e questo mandò in rovina gli stratioti che vennero progressivamente sostituiti con dei mercenari dei Tagmata (equivalenti di battaglioni o reggimenti introdotti da Costantino V – VIII sec. come guardia personale). Nel X – XI secolo abbiamo un esercito più professionale ma molto più incline alle rivolte. I mercenari avevano il gran limite che se non venivano pagati in tempo, non producevano i risultati sperati e potevano pure venir corrotti dal nemico. Fu il caso della Sicilia nel 1040 che non venne riconquistata e della sconfitta di Mazinkert del 1071 che vide vincitori 20.000 turchi contro 40/60.000 mercenari bizantini che per lo più disertarono.

49 Giuseppe Greppi (1819 –1921) milanese, nobile, diplomatico e politico. Laureatosi a Pavia nel

1841 entra subito nella diplomazia austriaca e a Vienna alla Cancelleria di Stato entra in contatto con Metternich. Dopo le Cinque Giornate è esule a Torino ove collabora con Gioberti e Cavour e frequenta gli esuli lombardi e anche Giuseppe Massari e Massimo d’Azeglio. Il 16 settembre 1859 entra nella diplomazia del Regno di Sardegna e diventa segretario di legazione a Londra ove è ambasciatore Emanuele d’Azeglio. L’incontro con il Kvaternik è avvenuto quindi prima del settembre 1859 e probabilmente tra lo scoppio del conflitto il 24 aprile 1859 e l’Armistizio di Villafranca dell’11 luglio 1859. Fu ambasciatore in diverse capitali europee e nel 1888 venne collocato a riposo. Nel 1891 divenne Senatore del Regno.

Giuseppe Massari (1821 – 1884) politico e patriota. Fu esule in Francia nel 1838 e ritornò a Taranto dove era nato nel 1848 per venire eletto deputato durante la breve parentesi costituzionale del Regno di Napoli. In seguito riparò a Torino. Scrittore e giornalista, fu fautore dell’emigrazione liberale in Piemonte ed è famoso per una relazione del 1862 sul brigantaggio ove imputava ad agenti borbonici e clericali tale fenomeno negativo per l’unificazione d’Italia.

50 Pacifico Valussi (1813 – 1893) friulano, politico e giornalista. Liberale, conservatore, laico e an- ticlericale fu deputato della Destra Storica dal 1866 al 1874. Visse a Venezia, Trieste, Milano, Firenze e Udine e fu collaboratore e fondatore di diversi giornali come la Gazzetta di Venezia (1848 – 1849), La Perseveranza a Milano di cui fu fondatore e direttore tra il 1859 e il 1866.

51 Marco Antonio Canini (1822 – 1891), poeta, filologo e scrittore. Si laureò in legge a Padova e nel 1848 – 1849 combatté alla difesa di Venezia. Per dissapori con il Manin e per essere sospetto di socialismo venne arrestato ed espulso e si rifugiò nei Balcani e in Grecia fu corrispondente durante la guerra di Crimea per il giornale L’Opinione di Torino e qui divenne massone (Loggia Dante Alighieri). Poi andò a Bucarest ove divenne fautore dell’unificazione dei Principati Danubiani e nel 1866 partecipò alla terza guerra d’indipendenza . In seguito fu a Parigi ove scrisse “ Vingt ans d’exil” e assistette alla comune del 1871. Insegnò infine lingue alla Scuola Superiore di Venezia.

52 Wladislaw Czartoryski (1828 – 1894) . Figlio di Adam Jerzy Czartoryski apparteneva all’alta aristocrazia magnatizia polacca. Di educazione e formazione cattolica, studiò all’Università Jagellonica di Cracovia. Dopo la fallita rivoluzione polacca del 1830 – 1831 si trasferì in Francia e alloggiò all’Hôtel Lambert, edificio parigino acquistato dal padre per farne un centro d’incontro degli esuli polacchi liberal – monarchici. Fu mecenate in particolare di pittori e aiutò Gustave Flaubert a pubblicare i suoi libri. Fu in missione diplomatica per il governo polacco in Inghilterra, Svezia, Egitto e Turchia. In seconde nozze sposò Margherita Adelaide d’Orleans da cui ebbe Adam Ludwik.

53 Costantino Ressmann (1839 – 1899) triestino, irredentista, nel 1860 fu esule in Piemonte ed entrò nella segreteria di Cavour, Fu poi consigliere d’ambasciata a Londra e a Parigi e manifestò vivo disaccordo con Crispi per l’adesione dell’Italia alla Triplice alleanza; venne così rimosso dagli incarichi. Nel 1898 divenne Senatore del Regno.

54 György Klapka (1820 – 1892) da Temesvàr perché il Banato era magiaro così come la Transilvania. Fu generale ungherese fino al 1849. Nel 1859 concluse con Cavour un patto per provocare insurrezioni antiasburgiche nei Balcani, cosa evidentemente nota al Kvaternik. Si batté per la formazione di una Legione ungherese. Nel 1862 però negò l’appoggio a Garibaldi per un’insurrezione in loco ma fino al 1866 fomentò rivolte su ordine di Istvàn Türr. Dopo Lissa Klapka divenne alleato di Bismarck e formò un’altra Legione ungherese poi annientata dagli austriaci. Nel 1876 divenne deputato e fu il principale collaboratore di Ferenc Deàk moderato e fautore del compromesso o nagodba del 1867 con l’Austria. Klapka era massone e nell’esilio di To- rino fu tra i fondatori, nel 1862, del Concistoro della Valle del Po e fondò poi in Svizzera la Loggia Ister. (antico nome del Danubio).

55 Emanuele Luxardo era figlio di Gerolamo Luxardo di origini liguri perché nato nel 1784 a S. Margherita Ligure e poi trasferitosi prima a Trieste per vendere corde all’Imperial Regia Marina Austriaca e poi a Zara ove voleva dedicarsi alla vendita dei coralli. Apprese a fabbricare il maraschino che da secoli veniva prodotto a Zara e nel 1821 fonda un primo stabilimento. Nel 1829 ottiene un privilegio imperiale. Nei primi anni ’20 del XIX secolo Luxardo ricevette dal re di Sardegna l’incarico di agente consolare. Il Manuale per le province soggette all’ I. R. G di Venezia del 1845 registra Emanuele Luxardo come viceconsole sardo a Zara e il 30 dicembre 1844 ad esempio, scrive una relazione a Vittorio Amedeo Balbo Bertone di Sambuy, plenipotenziario sardo a Vienna dal 1830. ( ASME – Legazione sarda a Vienna 1707 – 1859 ).

56 Giuseppe Guerzoni (1835 – 1886) patriota e garibaldino, biografo di Garibaldi. A Mantova il sacerdote don Ferdinando Bosio gli insegnò gli ideali risorgimentali e nel 1849 Guerzoni partecipò alla difesa di Brescia. Si laureò a Pavia in filosofia e nel 1856 fu a Torino. Nel 1859 combatté a S. Fermo con i Cacciatori delle Alpi e nel 1860 seguì i Mille e sbarcò a Talamone con l’ordine di fare insorgere il Lazio. Il 3 luglio 1862 divenne massone a Palermo su proposta di Garibaldi. Nel 1863 è a Bucarest per cercare di convincere i rivoluzionari rumeni ad un’intesa con quelli magiari. Negli anni ’60 del XIX secolo divenne segretario di Garibaldi. Nel 1866 fu con Garibaldi dapprima nei Volontari Italiani e poi presso il suo stato maggiore. Nel 1867 fu a Mentana e nel 1870 come volontario della colonna Bixio che prese Civitavecchia, partecipò alla campagna per la presa di Roma. Tra il 1865 e il 1874 fu deputato e poi ottenne la cattedra di letteratura italiana prima a Palermo e poi a Padova. Scrisse drammi, opere di narrativa e studi storici.

57 Istvàn Türr (1825 – 1908) militare e politico magiaro; garibaldino. Come tenente di un reggimento ungherese al servizio dell’Austria partecipò alla prima guerra d’indipendenza nel 1848 ma nel gennaio 1849 passò nel Regno di Sardegna ove fu nominato capitano della Legione ungherese. Dopo la rotta di Novara andò nel Baden ancora in rivolta. Nel 1854 passò al servizio degli inglesi e si arruolò nella Legione anglo – turca. Nel 1855 passò in Valacchia e venne arrestato a Bucarest dagli austriaci ma la protezione di Londra gli evitò la fucilazione come disertore. Nel 1859 combatté con Garibaldi come capitano dei Cacciatori delle Alpi e nel 1860 partecipò all’impresa dei Mille ove venne ferito. Venne promosso generale di divisione dell’Esercito Meridionale. Fu governatore di Napoli e preparò il plebiscito del 21 ottobre 1860. Divenne generale di divisione dell’esercito sabaudo ormai italiano e nel 1861 andò in aspettativa diventando nel 1862 aiutante di campo di S. M Vittorio Emanuele II. Massone, a Torino fu membro della Loggia Dante Alighieri di rito scozzese e fu pure Gran Maestro del Grande Oriente Ungarico in esilio di cui Làjos Kossuth era Gran Maestro Onorario. Nel 1866 ebbe l’incarico, in contemporanea con la campagna di Garibaldi in Trentino, di preparare una rivoluzione in Ungheria a partire dai territori croato e serbo ma non se ne fece nulla per l’avversione di Alfonso Lamarmora al suo terzo mandato come Capo del Governo. Infatti si sapeva benissimo che Gran Bretagna e Russia erano contrarie e inoltre l’Italia non era uscita felicemente dalla guerra. Questa era stata un’idea del Rattizzi per tenere occupato Garibaldi che però divenne irrealizzabile. Francesco Giuseppe concesse comunque una costituzione più liberale ove nel 1867 si formo l’Austria – Ungheria (Ausgleich – Nagodba) con un‘Ungheria più autonoma e Türr tornò in patria dedicandosi alla politica e promosse la canalizzazione del Danubio per favorire la crescente industria ungherese.

58 Marcello Cerruti (1808 – 1896) diplomatico e politico. Nel 1825 entrò in servizio diplomatico a favore del Regno di Sardegna al consolato di Costantinopoli ove conobbe il barone Romualdo Tecco, uno dei migliori ambasciatori del Regno, poi fu a Tripoli (1831), a Tunisi (1836), a Milano (1837) e a Cipro (1841). Nel 1849 su raccomandazione del Tecco divenne Console del Regno di Sardegna a Belgrado e aiutò a sfuggire all’accerchiamento e alla cattura sia i profughi ungheresi che i Legionari Italiani favorendone il passaggio in Turchia. Ebbe contatti con i politici serbi e soprattutto con Ilija Garašanin, con i serbi di Vojvodina di cui rimane all’AS di Torino ( fascicolo n. 3 Carte Bianchi in Raccolte Private inv. 174 serie II Mazzo 6 ) una lunga relazione in serbo sul loro assetto e sui loro scopi, con i magiari e con i liberali di Zagabria. Nel 1850 fu di ritorno a torino e dopo aver ricoperto incarichi diplomatici in Brasile e in Argentina, nel 1860 venne inviato in missione speciale da Cavour a Costantinopoli e dal 1863 al 1866 fu Segretario Generale del Ministero degli Affari Esteri. Dopo essere stato ancora ministro plenipotenziario a Berna, Washington, l’Aia e Madrid nel 1870 venne messo a riposo per divenire infine Senatore del Regno.

59 Ilija Garašanin (1812 – 1874) politico, statista ministro degli interni, degli esteri e premier serbo. Nato nel distretto di Šumadija a Garaši un villaggio nel municipio di Aran đelovac. Figlio di un commerciante hajji (ossia persona proveniente dai Balcani che visitò paesi musulmani, forse la Turchia, poiché ovviamente costoro non andavano alla Mecca in pellegrinaggio) Milutin Savi č soprannominato Garašanin. Ilija fu un rivoluzionario, membro del Consiglio Nazionale. Autodidatta, frequentò la scuola greca di Zemun e per un certo tempo imparò il tedesco a Orahovica. Indi Miloš Obrenovi ć lo mise come funzionario doganale a Višnijca sul Danubio e poi a Belgrado. Dopo il servizio militare l’ Obrenovi ć lo promosse colonnello nel 1837. Qui inizia una storia di faide. Il padre di Ilija era tra coloro che miravano a detronizzare l’ Obrenovi ć per insediare Aleksandar Kara đor đevi ć che era figlio di Kara đor đe o Giorgio il Nero (kara è un turcismo) che nel 1817 venne assassinato dagli Obrenovi ć. Ma nel 1842 il papà e il fratello di Ilija vennero uccisi in uno scontro con il principe Mihailo. Toma Vu ćič amico del padre e Ministro dell’Interno lo nominò suo assistente e quando Toma dovette andare in esilio in Russia, Ilija Garašanin divenne Ministro dell’Interno (1843 – 1852). Nel 1844 elabora il famoso Na čertanje o Abbozzo documento in cui dice di mirare a una Grande Serbia incorporante tutti serbi che vivevano sotto la Turchia ottomana e sotto l’Austria – Ungheria e mirava alla restaurazione del passato impero serbo medievale che incorporava Kosovo, Metohija e Macedonia. Nel 1853 come Ministro degli Esteri si oppose a un intervento serbo a fianco della Russia in Crimea. I russi chiesero allora al principe Aleksandar Kara đor đevi ć che era subentrato a Miloš Obrenovi ć nel 1842, di far dimettere Garašanin, il che avvenne ma la Serbia, data la grande influenza esercitata da questo ministro in combutta evidentemente con inglesi e francesi, rimase neutrale. Nella Conferenza di Parigi del 1856 la vecchia costituzione serba concessa dalla Turchia come sovrano e dalla Russia come protettore nel 1839 venne sostituita da una costituzione liberale. Nel 1858 per via del fatto di essere russofilo e per le beghe degli Obrenovi ć, Aleksandar Kara đor đevi ć fu costretto a dimettersi e al trono salì nuovamente il principe Miloš Obrenovi ć che morì poi nel 1860 sostituito dal principe Mihailo. Garašanin a compenso dei servizi resi venne nominato Primo Ministro e Ministro degli Esteri. Nel 1867 finalmente la Serbia divenne indipendente dalla Porta Ottomana e tutte le fortezze in territorio serbo vennero smantellate. Nel medesimo anno venne estromesso da tutte le cariche dal principe Obrenovi ć perché il Garašanin lo aveva osteggiato nei suoi piani matrimoniali. Qui la Russia protestò energicamente e pochi mesi dopo il 10 giugno 1868 il principe Mihailo Obrenović venne assassinato.

59 bis Principe Mihailo Obrenovi ć (1823 – 1868). Principe di Serbia dal 1839 al 1868 pure lui favorevole a una Serbia egemonica e a una federazione di Stati balcanici contro la Turchia ottomana. Proprio la ribellione di Toma Vu čić (affiliato alla Massoneria) del 1842 fece sì che i Kara đor đevi ć potessero accedere al trono estromettendo Miloš Obrenovi ć e Mihailo andò in esilio a Vienna. Nel 1860 Mihailo salì al trono di Serbia e governò da monarca assoluto. Con l’aiuto di russi e austriaci riuscì a espellere definitivamente i turchi dalla Serbia nel 1867. Nel 1866 venne da lui iniziata una campagna per fondare la prima Lega Balcanica e questo indubbiamente riaccese le idde di Garibaldi, Kvaternik e altri per preparare uno sbarco nei Balcani. Gli alleati in seno alla Lega erano Serbia, Montenegro, Comitati bulgari, Partito Nazionale Croato (Narodna Stranka), Grecia e Romania. Il Narodna Stranka croato era una formazione fondata nel 1841 da Ljudevit Gay, Ivan Kukuljevi ć Sakcinski e da Ivan Mažurani ć cui aderiva all’epoca Josip Juraj Strossmayer vescovo di Đakovo molto amico di Mihailo. Naturalmente l’egemonia sarebbe spettata alla Serbia. La Francia di Napoleone III e la Russia appoggiavano l’idea ma non l’Austria poiché concorreva all’espansione nei Balcani e neppure l’Inghilterra per non destabilizzare l’area. Due alleanze, quella con il Montenegro e quella con il Narodna Stranka croato furono stipulate nell’autunno 1866 e le altre successivamente. Con la morte di Mihailo Obrenovi ć nel 1868 il progetto sfumò ma era indicativo dell’aggressività del nazionalismo balcanico.

60 Zygmunt Milkovski noto anche con lo pseudonimo di Teodor Tomasz Je ż (1824 – 1915) scrittore polacco. Nel 1848 fu combattente nella rivoluzione ungherese e quindi si rifugiò in Turchia e poi a Londra (1851). Gli furono affidate missioni diplomatiche in Serbia e Moldavia. Nel 1863 fu a fianco dei rivoluzionari polacchi e nel 1864 si trasferì a Belgrado. Dal 1866 al 1872 fu a Bruxelles e poi andò in Svizzera fino al 1915 anno della sua morte.

61 Alessandro Bernabò (1801 – 1874). Venne ordinato sacerdote nel marzo 1833; venne elevato a cardinale nel giugno 1856 e fino al 1874 fu Prefetto della Congregazione di Propaganda Fide. Divenne poi Camerlengo e fu sempre in ottime relazioni con il card. Karl August von Reisach, bavarese, molto influente in Vaticano.

62 Johann Bernhard von Rechberg und Rothenlöwen, bavarese (1806 - 1899).Frequentò gli atenei di Strasburgo e Monaco di Baviera, ma entrato in conflitto con re Luigi I nel 1828, entrò successivamente al servizio dell’Austria. Fu ambasciatore a Berlino, Londra, Bruxelles, Stoccolma, Rio de Janeiro e nella rivoluzione del 1848 aiutò Metternich in esilio in Inghilterra. Nel luglio 1848 fu ministro ‘plenipotenziario alla Dieta di Francoforte e nel 1851 internunzio (rappresentante diplomatico papale di seconda classe, corrispondente nella scala gerarchica diplomatica al rango di ministro plenipotenziario) a Costantinopoli e nel 1853 ministro plenipotenziario del Regno – Lombardo – Veneto al fianco di Radetzky. Nel 1855 ritornò a Francoforte come rappresentante austriaco e si scontrò più volte con Bismarck. Nel maggio 1859 diviene Primo Ministro fino al 4 febbraio 1861 accorpando la carica di Ministro degli Esteri da cui si dimise nel 1864. Il Kvaternik gli scrisse nel febbraio 1862 per lamentare il fatto che la stampa del suo libro “Politi čka razmatranja “ II tomo (Riflessioni politiche) era stata bloccata e il libro confiscato. In tale lettera si lamenta anche della politica attuata da Ivan Mažurani ć e Metel Ožegovi ć come qualcosa di indegno per il popolo croato. E’ evidente che con i buoni uffici del card. Bernabò, il Rechberg volesse sfruttare appieno le notevoli doti del Kvaternik come conoscitore dei Balcani e degli slavi meridionali; inoltre entrambi erano cattolici.

63 August Cesarec (1893 – 1941). Letterato, traduttore e politico croato. Ai tempi del ginnasio entrò a far parte del partito socialdemocratico e fu coinvolto nell’attentato contro (furono due) Slavo Cuvaj commissario regio e fu condannato a tre anni di carcere più due di semilibertà e fu radiato dal partito. Contrasse la tubercolosi e venne liberato. Partecipò al primo conflitto mondiale dalla parte austro – ungarica e fu di presidio a Kruševac nella Serbia centrale occupata. Nel 1918 tornò a Zagabria ed entrò nel partito socialdemocratico e si pose all’ala sinistra, tanto che nel secondo congresso di Vukovar (1920), tale ala sinistra divenne il KPJ o partito comunista jugoslavo. Collabora con il letterato Miroslav Krleža alla rivista “ Plamen ” (La fiamma) che venne proibita nell’agosto 1919. Nell’autunno 1922 è inviato al IV congresso dell’Internazionale Comunista a Mo- sca e al ritorno viene imprigionato due mesi perché gli viene trovata propaganda sovversiva. Nel 1937 fu in Spagna con i repubblicani. Nel 1941 venne imprigionato e fucilato dalle autorità ustascia in seguito a un tentativo di fuga (17 luglio 1941). Cesarec tradusse Gorki, Hugo e Zola. Scrisse per riviste e giornali tra cui il Borba (La lotta) che divenne poi organo del partito comunista. Scrisse pure novelle, poesie, romanzi e drammi. Il “Sin domovine” citato e inerente il Kvaternik dimostra il suo legame profondo con la Croazia e descrive bene lo spirito di libertà del popolo croato.

Niccolò Tommaseo

64 L’Antologia era un mensile che venne pubblicato a Firenze dal 1821 al 1832 (48 volumi). Nel 1820 Giovan Pietro Vieusseux (svizzero) fondò il gabinetto omonimo a Forense per diffondere periodici e libri stranieri con lo scopo di svecchiare la cultura italiana. Vieusseux lavorò assieme a Gino Capponi, politico, scrittore, storico e pedagogo di estrazione cattolica ma aperto alle novità e alle riforme. All’Antologia collaborarono diversi intellettuali come Pietro Colletta, Niccolò Tommaseo, F. Domenico Guerrazzi, Giacomo Leopardi, Carlo Cattaneo….Le varie istanze politiche vi convergevano in un afflato pedagogico non rivoluzionario e non radicale; era una letteratura legata a scopi utili. Sul numero del novembre – dicembre 1832 comparve un articolo del Tommaseo fortemente antiaustriaco che provocò la chiusura dell’Antologia su pressione di Vienna. Di certo la diffusione delle idee dell’Antologia portò alla formazione della borghesia liberale toscana e contribuì al concetto di egemonia culturale.

65 La lingua croata comporta vari dialetti: štokavo, čakavo e kajkavo. Le lingue neolatine sono caratterizzate dalla particella affermativa (l’italiano è la lingua del sì) mentre i dialetti croati sono caratterizzati dal pronome interrogativo “che cosa?”. Nello štokavo che cosa ? è što ?, nel čakavo è ča ? E nel kajkavo è kaj ? Lo štokavo o neo – štokavo è il più diffuso e lo troviamo in Bosnia, Erzegovina, Dalmazia (escluse le zone čakave), Slavonia, nelle regioni meridionali della Croazia (Krajine), nel Montenegro (cirillico), nella Ba čka, nella Serbia e nel Banato (variante ekava e cirillica). Praticamente lo štokavo ricopre quasi tutta l’area serbocroata. Il čakavo è parlato nelle isole adriatiche da Veglia (Krk) a Lagosta (Lastovo), nel Litorale Croato (Hrvatsko Primorje) fino a Karlovac e a Oto čac, nell’Istria, a Zara (Zadar), Sebenico (Šibenik), Traù (Trogir) e Spalato (Split). Il kajkavo è parlato all’interno e va ridimensionandosi e lo si usa a Zagabria, Varaždin, Bjelovar, Križevci a nord dei fiumi Kupa e Sava e nel Me đimurje, regione a ridosso dell’Ungheria. A seconda poi dell’evoluzione della vocale jat / ė del protoslavo vi sono tre varianti ricompresse in tali dialetti: ikavo (jat=i) dėlo (azione) = d ilo lėp (bello) = l ip jekavo (jat=je o ije) dėlo = djelo lėp = l ij ep ekavo (jat=e) dėlo = delo lėp = l ep

Lo štokavo jekavo (ijekavo) è il gruppo linguistico maggioritario.

L’ikavo nominato nel testo è parlato in genere da cattolici e musulmani in Slavonia, Bosnia, ad est dei fiumi Bosna e Narenta (Neretva), nella Dalmazia settentrionale e media (ecco perché Tommaseo scrive in štokavo – ikavo) e nel Litorale Croato (Hrvatsko Primorje) fino a Senj (Segna). Lo jekavo o ijekavo è parlato in Montenegro, nella Dalmazia meridionale, in Erzegovina, nella Bosnia ad ovest dei fiumi Bosna e Neretva, nelle Krajine croate mentre in Slavonia, in Croazia e nella Dalmazia settentrionale lo parlano gli ortodossi. L’ekavo si parla in Serbia, Sirmio (Srem nella dizione serba e Srijem in quella croata) e Vojvodina. La lingua letteraria dei croati è lo štokavo – jekavo dell’Erzegovina, armonioso e dolce, tanto che tale regione è considerata la Toscana croata, così come Dubrovnik lo è per il neoštokavo e mentre il croato usa l’alfabeto latino con segni diacritici, il serbo e il montenegrino usano il cirillico anche se spesso si scrive in caratteri latini.

66 Špiro Popovi ć. Prima di parlare del Popovi ć occorre citare qualcosa su Antonio Marinovich che ebbe un impatto primario nella vita del Tommaseo. Nato a Sebenico nel 1792 da una famiglia di commercianti conobbe, non sappiamo quando, il Tommaseo. Marinovich possedeva una ricca biblioteca con testi francesi e moderni e per il Tommaseo che allora studiava in seminario a Spalato, potevano essere motivo di consultazione. Marinovich amava molto il teatro e allestiva recite di opere anche straniere. Il padre di Antonio, Giovanni, poteva conoscere Girolamo, il padre di Niccolò perché commercianti nella medesima città, quello che in dalmata croato si chiama “ malo misto ” o luogo piccolo, provincia ove tutti si conoscono. Antonio Marinovich è un intellettuale di provincia, un divulgatore di opere letterarie provenienti dall’Italia e dall’Europa che rimase limitato nelle possibilità perché agiva in un territorio tropo ristretto. Morì il 3 febbraio 1834 mentre il Tommaseo s’imbarcava per Marsiglia. E Tommaseo se non fosse stato conosciuto all’estero sarebbe finito come il Marinovich. Niccolò nel giro di pochi anni perse il padre e la madre e tutto ciò, assieme alla perdita dell’amico, fa recuperare al Tommaseo un senso d’identità che lo porta ad appartenere alla terra natia onde ritrovare le radici popolari della cultura europea. A ricordo del Marinovich il Tommaseo scrisse “ Dell’animo e dell’ingegno di Antonio Marinovich – Memorie ” ove prosa e poesia mirano a criticare la gestione arretrata dell’Austria in Dalmazia. Qui Tommaseo anticipa i temi poetici e politici che affronterà con più ampio respiro nelle “ Iskrice ” o Scintille. Marinovich quindi fu il cordone che tenne attaccato Tommaseo alla Dalmazia anche se scappò letteralmente dalla provincia sibenicense condannata ai localismi e ai piccoli interessi di bottega e accettò di vivere in condizioni più disagiate ma divenne un letterato romantico non solo italiano e dalmata ma anche europeo. Quando Tommaseo tornò dall’esilio a Sebenico conobbe Špiro Popovi ć. Costui nacque nel 1808 e studiò a Sremski Karlovci in Voivodina dal 1822 e ritornò a Sebenico nel 1826. Tale città serba era un centro importante per gli studi ginnasiali e superiori. A Sebenico divenne segretario del vescovo ortodosso J. Raja čić e si oppose fermamente all’iniziativa del governo austriaco onde unire gli ortodossi ai cattolici e per questo venne denunciato alle autorità. Fu poeta e tradusse Tommaseo, Lamartine, Scott e altri; collaborò a giornali serbi e croati (Danica ilirska, Zora dalmatinska, Vidovdan ecc.) Conosceva l’italiano, il francese e il tedesco ed era in relazione con l’élite delle lettere serbe e croate : Vuk Karadži ć, Božidar Petranovi ć, I. Kukuljevi ć Sakcinski, per esempio. Fu fautore del movimento illirico di Ljudevit Gaj (106) in Dalmazia e fu propugnatore della lingua slava. Mise in contatto il Tommaseo con gli “illiristi” di Zagabria ma nel 1839 non gli riuscì l’impresa di fondare un gabinetto di lettura slavo a Sebenico perché osteggiato dal governo austriaco e ugualmente avvenne in occasione della fondazione di un giornale letterario nel 1846 cui il Tommmaseo aveva offerto la sua collaborazione. Nel 1848 Popovi ć si pronunciò per una Dalmazia unita alla Croazia, idea che ritornò pressante dopo il 1860. Morì a Sebenico nel 1866. Tra il Tommaseo e il Popovi ć s’instaurò una lunga relazione epistolare che durò dal 1840 al 1865. (cfr. carteggio presso la Biblioteca Nazionale Centrale di Firenze ove si trovano 184 lettere del Tommaseo e 228 del Popovi ć perché molte, come l’annata 1847 del Tommaseo, sono andate perse o sono state distrutte; 45 lettere del Tommaseo sono scritte in lingua slava).

67 Vjekoslav Babuki ć (1812 – 1875). Slavone di Požega, traduttore, lessicografo, illirista. Laureato in filosofia, come segretario della Matica Ilirska (istituzione culturale per la diffusione della cultura illirica e poi croata oggi Matica Hrvatska) era in relazione con tutti i maggiori illiristi e curò la distribuzione di libri e riviste e fece pure stampare edizioni dei vecchi testi letterari croati come quelli di Pavao Ritter Vitezovi ć e di Ivan Gunduli ć (Giovanni Francesco Gondola). Collaborò con diverse istituzioni scientifiche. Nel 1846 venne nominato professore di lingua croata all’Accademia Reale di Zagabria. Pubblicò molti trattati di ortografia e alfabeto illirico e scrisse contributi filologici e traduzioni sulla Danica ilirska di cui lui stesso era editore. E qui nel 1836 pubblicò il suo “Osnova slovnice slavjanske nare čja ilirskoga ” (Le basi della grammatica slava del dialetto illirico) che per cinquant’anni servì come testo base di grammatica e fu il primo approccio scientifico alla materia da parte croata. La sua seconda grammatica venne scritta in tedesco “ Grundzüge der illirischen Sprahrlehre ” (Fondamenti della grammatica illirica) e venne pubblicata annessa al piccolo dizionario illirico – tedesco – italiano di Josip Drobni ć rivisto fino alla lettera O dallo stesso Babuki ć e da Antun Mažurani ć. Il linguaggio usato da Babuki ć è il neo štokavo con elementi minoritari di čakavo e kajkavo e per far ciò sfruttò appieno la tradizione letteraria dei vari dialetti illirici. Stanko Vraz era di origini slovene (1810 – 1851). Poeta, scrittore e traduttore di testi stranieri, dedicò molti poemi alla sua musa ispiratrice Ljubica (Julijana Cantilly) nipote di Ljudevit Gaj (106), che incontrò a Samobor. Nel 1842 fonda “ Kolo ” (Circolo) una delle prime riviste letterarie croate. In lingua slovena scrisse “ Narodne pesmi ilirske koje se pevaju po Štajerskoj, Kranjskoj, Koruškoj i zapadnoj strani Ugarske ” (Canzoni folkloristiche illiriche che si cantano in Stiria, Carniola, Carinzia e nella parte occidentale d’Ungheria); sono in sloveno con commenti in croato e sono il primo testo sloveno che usa l’alfabeto latino di L. Gaj (106) così che il modo di scrivere sloveno e croato è oggi uguale (caratteri latini con segni diacritici). Tradusse Byron e Mickiewicz.

68 Repubblica di S. Biagio o di Ragusa (Dubrovnik). Il patrono, il protettore della città e colui che per essa intercede, è S. Biagio. Biagio dal latino Blasius a Ragusa deriva dal greco Vlasios e i nomi in finale –ios o ius nello slavo cambiano s in o e la sibilante s diviene h per cui diventa Sveti Vlaho. Il vessillo della Repubblica portava la figura di questo vescovo completa al centro su fondo bianco e a lato in nero vi erano le iniziali S B. La leggenda, il mito fondante di Ragusa vuole che nel 972 Biagio salvasse la città da un attacco veneziano. In realtà nel 609 Papa Bonifacio IV, sulla base dell’editto di Costantinopoli, trasformò il Pantheon in Roma nella Basilica minore di S. Maria dei Martiri ricordando alcuni di questi periti nelle persecuzioni di Decio e Diocleziano. Tra di loro doveva esserci anche questo Biagio di probabili origini armene. Tale culto arrivò sicuramente per mare a Ragusa. Ma S. Biagio a Ragusa è più di un protettore; è un’istituzione. Nel suo nome si sono promulgate le leggi, le monete recavano la sua effigie, le navi battevano la “sua” bandiera, nel suo nome s’inviavano all’estero gli ambasciatori…. Anche nel 1991 durante i bombardamenti sulla città da parte dei serbo – montenegrini venne a lungo invocato e pregato e addirittura la cantante Tereza Kesovija nativa di Dubrovnik fuggita sotto i bombardamenti cantò una canzone preghiera che appunto s’intitolava “ O Sveti Vlaho ”, ricca di pathos e inneggiante alla difesa della libertà. Il 3 febbraio di ogni anno si svolge una grande festa cittadina che dal primo settembre 2009 è nella lista dell’UNESCO come patrimonio inalienabile dell’umanità.

69 Carlo Cadorna (1809 – 1891), fratello maggiore del gen. Raffaele Cadorna (presa di Porta Pia) e zio di Luigi Cadorna capo di stato maggiore allo scoppio del primo conflitto mondiale. Nel 1830 si laurea in legge a Torino. Fonda il periodico “ Album letterario e scientifico ” dedicato ai temi dell’educazione pubblica. Nel 1840 è eletto deputato e fu ministro della Pubblica Istruzione nel governo Gioberti. Nel 1848 fonda “ Il Carroccio ” ove scrive articoli patriottici. Era fautore di una “libera Chiesa in libero Stato” e infatti fu relatore della legge sulla soppressione degli ordini religiosi nel 1855. Alla Chiesa spetterebbe quindi solo un potere spirituale. Fu presidente della Commissione Bilancio e riuscì a far adottare dal Parlamento la regola della votazione e della approvazione dei bilanci preventivi dello Stato. Nel 1857 presiede la Camera dei Deputati, nel 1858 è Senatore e poi nuovamente ministro della Pubblica Istruzione nel governo Cavour del 1858 – 1859. Nel 1864 è prefetto di Torino e nel 1868 diviene ministro dell’Interno dopo i fatti di Mentana. Nel 1875 è presidente del Consiglio di Stato.

70 Il Partito Autonomista dalmata dominò la scena politica fino agli anni ’70 del XIX secolo. Intendeva essere propugnatore di un’idea di Dalmazia autonoma in seno all’Impero e rifiutare l’unificazione del Regno di Dalmazia a quelli di Croazia e Slavonia. L’idea originaria del Tommaseo di una nazione dalmata come punto d’incontro (e non di scontro) del mondo latino e slavo acquisì simpatie iniziali anche tra gli slavo – dalmati pur mantenendo un’apertura a tutto campo verso il mondo italiano. All’inizio vinsero le elezioni gli autonomisti con un sistema basato sul censo e questo era pure l’interesse di Vienna. Anzi nel 1862 il centralismo assolutistico dell’Austria riuscì a cementare l’unione tra autonomisti (filo – italiani) e annessionisti (filo – slavi) ma l’esperimento fu di breve durata. Nel 1870, sempre per le beghe di Vienna, il Partito Nazionale Croato (Narodna Stranka) vinse sia al Sabor di Zagabria che nei municipi locali. Vienna infatti cambiò la legge elettorale abolendo o quantomeno restringendo il censo. Questo erose il potere degli atomisti che erano la classe borghese detentrice della ricchezza e fu accompagnato da una slavizzazione progressiva e incoraggiata sempre dall’Austria. Si contrapposero non solo italiani e slavi, ma ricchi e poveri, contadini e borghesi, in un divide et impera conveniente per l’Impero. Va detto che molti dirigenti del partito croato annessionista erano italiani: p.es. Lorenzo Monti, Giorgio Bianchini, Vito Morpurgo, Gerolamo Cambi…Al contrario negli autonomisti figuravano molti croati: Giacomo Vukovich, Natale Krecich, Giovanni Marassovich, Giacomo Ghiglianovich e addirittura esponenti serbi come Stefano Knezevich (vescovo serbo – ortodosso di Zara) e il serbo Spiridione Petrovich. Evidentemente i cambi di campo potevano essere dettati dalla difesa di alcuni privilegi sociali o dall’idea di stare con il più forte. Nel 1883 il croato diviene lingua ufficiale in Dalmazia. Sta di fatto che nel 1865 gli italofoni in Dalmazia erano 55.020 ossia il 12,5% della popolazione, mentre nel 1910 diventeranno 18.028 ossia il 2,7% ed è pur vero che l’ultimo censimento fu fatto in base alla lingua d’uso. Vienna alimentò progressivamente il sentimento croato e chiuse gradatamente le scuole italiane. Da un lato quindi un’avversione dello stesso Francesco Giuseppe, del suo stato maggiore e della politica austriaca verso l’elemento italiano in genere, considerato infedele e dall’altro la difesa di molti interessi locali di natura economica che porterà poi alla lotta tra città e campagna.

71 eyalet. Divisione amministrativa di primo livello nell’Impero ottomano Tali province o governatorati, se erano amministrati da un pasha erano dei pashalik o pascialati; se erano governati da un beylerbey (istituzione propria anche della Persia Safavide) o da un bey erano dei beylerbeylik o beylik (signorie) e se retti da un kapudan erano kapudanlik o capitanate. Nella parte europea erano tutti pascialati. Il beylerbey (Signore dei signori) era un gradino inferiore al pasha e governava province più estese del bey corrispondenti ad esempio a emirati. Il bey era al livello inferiore. Il kapudan governava unità territoriali speciali come Suez, lo Shatt- al- Arab, Nauplia in Morea e alcune regioni della Bosnia nel XVIII secolo.

72 Petar Petrovi ć Njegoš (1813 – 1851). Vladika o principe vescovo del Montenegro, titolo che durò fino al 1852 e in cui si accorpavano potere religioso e potere temporale. Morto lo zio Petar I fu proclamato capo della Chiesa e del popolo e nel 1833 venne consacrato vescovo in Russia a dimostrazione della protezione che questa accordò sempre al minuscolo Montenegro. San Pietroburgo aiutò finanziariamente il Vladika e spesso inviò osservatori militari onde volgere il piccolo Stato contro la Turchia e tenere distanti le mire dell’Austria su Cattaro. Tuttavia Njegoš dovette sempre fare i conti con le discordie fra montenegrini che facevano volentieri a meno delle sue riforme finanziarie e amministrative. Infatti le varie nahije montenegrine (il nome deriva dall’arabo filtrato attraverso il turco e indica nel sistema ottomano un distretto amministrativo o anche un sub – distretto) si dividevano in tribù e queste in fratellanze; questo sistema rimase in vigore fino alla prima guerra mondiale. La Katunska era la più grande e di qui proveniva Njegoš.

Oltre alla sua famiglia vi erano altri otto clan. Il nome Katunska denota un’origine pastorale da cui si mutuò una parentela e poi infine un’organizzazione militare. Vi erano altre tre nahije con almeno 15 tribù o famiglie o clan. Questo modernizzatore del Montenegro nel 1832 fondò una scuola e nel 1834 una stamperia. Nel 1850 – 1851 fu a Napoli per curare la tisi. E’ un uomo colto che da un lato si stacca dal primitivismo montenegrino e dall’altro è legato alla sua terra da un forte sentimento patriottico. Il suo capolavoro letterario è il “ Gorski vijenac ” o “Serto della montagna” del 1846 ove parla dello sterminio dei montenegrini pòturi o apostati o convertiti all’Islam. E’ un dramma epico, storico e politico di 2819 versi decasillabi tipici dell’epica serba e montenegrina ove si descrivono tre tipi di vita: quella montenegrina, quella turca e quella veneziana. A Njegoš preme l’autodeterminazione del suo popolo verso la Turchia e il poema è una lotta tra chi difende uno Stato dalla perdita d’identità (idea di bene) nel momento in cui il male dovesse islamizzarlo. Alcune tematiche del componimento sono legate appunto al risveglio internazionale, alla lotta per la libertà, a un sistema di valori tradizionali da difendere, alla lotta per il bene, l’onore, la virtù. Di certo potrebbe essere più attuale di quello che si pensa. E’ un testo spesso male interpretato perché il nazionalismo serbo lo vede come giustificazione della Grande Serbia, mentre i montenegrini indipendentisti e non serbi non lo interpretano proprio o al massimo ne decantano i meriti letterari e linguistici. Il nazionalismo croato che punta alla Grande Croazia lo interpreta come una giustificazione del fatto che a oriente della Drina sono tutti popoli orientali e serbi, gli studiosi dell’Islam lo definiscono islamofobo e addirittura un testo che incita alla pulizia etnica. Vero è che negli anni ’90 tale testo è diventato un best seller per i nazionalisti serbi di Bosnia. Occorre intanto aver presente che oggi in Montenegro il 16% della popolazione è musulmano e che costoro sono perfettamente integrati e che comunque il paese si è staccato del tutto pacificamente e in modo indolore dall’ultimo residuo di Federazione Jugoslava dell’era Miloševi ć. Lo storico serbo Sr đa Pavlovi ć (professore all’Università dell’Alberta in Canada) è il maggior interprete di tale poema e afferma giustamente che occorre vedere l’opera nel suo tempo, epoca in cui Njegoš cerca di formare uno Stato da un insieme di tribù. Molte cose non erano neanche più attuali ai suoi tempi ma avendo a che fare con soggetti molto primitivi doveva comunque ripetere concetti aderenti alla loro mentalità. Njegoš per l’influenza e il controllo russi, sostiene il panslavismo e nel contempo il Movimento Illirico croato da cui è ampiamente ricambiato. Se da un lato vi è un sentimento antiturco di tipo generico, dall’altro molti avvenimenti narrati possono anche essere la denuncia di un passato da dimenticare, da lasciarsi alle spalle, proprio nel momento i cui si vuole costruire una nazione moderna. Resta il fatto che tale tensione verso progresso e modernità ha fatto pensare più volte a Njegoš come un massone. Se così fosse, venne probabilmente iniziato dal poeta Simo Milutinovi ć Sarajlija che fu suo insegnante e che a Kishinev introdusse nella locale loggia il poeta Aleksandar S. Puškin. Altra opera di Njegoš infatti è il “ Lu ča mikrokozma ” o Il raggio del microcosmo, che conta di essere, almeno in superficie, un’imitazione del Paradise Lost di Milton. I ricercatori Ana Savi č Rebac e Miron Flašar hanno appurato che senza conoscere cultura e simbolismo massonici il testo rimane di difficile lettura e interpretazione. Di certo il componimento è un prodotto filosofico – speculativo di Njegoš che riproduce anche qui la lotta tra bene e male, tra Dio e Satana; qui l’autore si presenta come un idealista piuttosto manicheo. In lui esiste un concetto ontologico di perfezione che non deriva dalla volontà divina là ove si accetta con piacere l’alternativa che proclama sacre le leggi eterne cui tutti devono obbedire. La salvezza, qui ricalca Kant, si ha solo seguendo le leggi di una giustizia sacra. (Njegoš op. cit. VI 1731 – 2 p. 197 e Njegoš I 1474 – 1475 p.164). Di certo sappiamo come Nicola I di Montenegro padre delle regina Elena, fosse massone.

73 Schiavone sta per slavo e le sclavinie bizantine erano i territori da questi abitati. Il latino medio sclavus deriverebbe dal greco bizantino sklabos forse derivato dal precedente sklabenos e una fonte su tali denominazioni è sempre il D.A.I di Costantino Porfirogenito anche se già Jordanes e Proco – pio di Cesarea parlano di Sklaveni per denominare gli slavi vendi. Nello slavine o protoslavo è slovinin – slovine e quindi sloveno. L’etimologia è riferita comunque a popolazioni poste in stato di schiavitù nel primo Medioevo ed è quindi un termine etnico con un significato sociale che compare non a caso in testi germanici del IX e X secolo. Altro dato che fa riflettere è che alla fine del califfato di Al – Andalus (961) Abd al – Rahman III aveva ben 14.000 schiavoni nel suo esercito. Spesso costoro erano fatti prigionieri dagli arabi o dalle popolazioni germaniche o dai veneziani e venivano poi rivenduti ove vi era mercato come nella Spagna omayyade. Schiavoni a Venezia erano considerati tutti i non latini della penisola balcanica e quindi slavi e albanesi, sia dei domini costieri che di quelli interni. Appartenevano generalmente al cosiddetto Stato da Mar con province dotate di capoluogo e contado chiamate Reggimenti, controllate da magistrati inviati da Venezia, con una certa autonomia. Gli schiavoni fornivano galee, marinai e truppe. Gli Schiavoni o Oltremarini erano quindi fanti istriano – dalmati incorporati nella marina. Furono gli ultimi ad abbandonare Venezia il 12 maggio 1797 e per la loro fedeltà vennero denominati “Fedelissimi di S.Marco” e venne loro dedicata la Riva degli Schiavoni. Alla fine della Serenissima erano 11 reggimenti su 8 compagnie ciascuno. Il termine schiavone (ar. Aqlab) indica slavi, iranici o kazari resi schiavi dopo essere stati fatti prigionieri o acquistati sui vari mercati, che islamizzati, venivano poi avviati al mestiere delle armi.

Imbro Ignjatijevi ć Tkalac

74 Ivan Mažurani ć (1814 – 1890) politico, poeta e lessicografo croato. Bano di Croazia dal 1873 al 1880 ove venne comunemente denominato il Bano plebeo o Ban pu čanin in quanto non nobile. Studiò filosofia e diritto ed esercitò come avvocato a Karlovac. Nel 1848, alla testa del Comitato Centrale (Osrednji Odbor) proclamò che sarebbe cessato ogni legame tra Croazia e Ungheria. Successivamente diviene capo del dicastero per la Croazia alla Corte di Vienna. E’ al Sabor come deputato per il Narodna Stranka o Partito Nazionale tra il 1861 e il 1862; è presidente della Matica Ilirska o Fonte dell’illirismo (1858 – 1872).Un anno dopo divenne Bano di Croazia ed essendo un moderato si tenne politicamente amico di Vienna non vedendo altra soluzione contro i magiari. Nel 1844 completò l’ Osman di Gunduli ć aggiungendovi due cantiche la XIV e la XV e nel 1846 scrisse la famosa opera Smrt Smail – age Čengi ća (Morte di Smail aga Čengi ć) : E’ una lotta tra turchi e montenegrini ove l’idea principale del poema è la transitorietà della forza, mentre si deve avere fiducia nella giustizia e nella vittoria finale del bene. Sono 1134 versi in 5 cantiche.

75 Barone Alexander von Bach (1813 – 1893). Fu ministro della giustizia nel 1848 – 1849 e fu dapprima liberale e successivamente divenne conservatore. Dopo il 1852 Bach centralizzò l’amministrazione, ridusse la libertà di stampa e abolì i processi pubblici. L’accordo del 1855 diede alla Chiesa cattolica romana il controllo dell’educazione e della vita familiare. Di converso crebbe la libertà economica e le dogane vennero abolite. Fu poi responsabile dell’Accademia delle Scienze. Le colonne del sistema Bach erano quattro, secondo Adolf Fischhof, scrittore e politico di origine ebraica: un esercito in piedi di soldati, un esercito seduto di pubblici funzionari, un esercito in ginocchio di preti e infine un esercito deferente di servitori. Il suo ministero cadde dopo l’insuccesso della seconda guerra d’indipendenza e tra il 1859 e il 1867 fu ambasciatore presso la Santa Sede.

76 Karl Ludwig von Bruck (1798 – 1860), statista e ministro austriaco. Nel 1821 venne a Trieste per prendere parte alla guerra d’indipendenza greca e in realtà vi rimase parecchi anni fondandovi il Lloyd Triestino, una compagnia di trasporti marittimi assicurati che ebbe poi, all’inizio del XX secolo, linee marittime con India e Cina. Nel 1848 Bruck fu membro della Dieta di Francoforte e dopo la rivoluzione dell’ottobre 1848 a Vienna divenne ministro del commercio e dei lavori pubblici e in tale ambito diede il via a una nuova politica industriale e fece costruire ferrovie, strade, e linee telegrafiche. Fondò l’unione postale austro – tedesca anche se l’Austria rimase esclusa dallo Zollverein o unione doganale tedesca del 1834. Nel 1849 divenne barone e nel 1851 fu costretto a dimettersi ma nel 1855 divenne ministro delle finanze : Non fu capace d’introdurre le riforme auspicate e dopo l’esito disastroso della seconda guerra d’indipendenza venne ingiustamente accusato d’inefficienza. Si dimise e il giorno dopo si suicidò per il disonore. Un mese dopo venne dichiarato innocente.

77 Anton Ritter von Schmerling (1805 – 1893). Statista austriaco. Dopo essersi laureato in giurisprudenza, nel 1829 entrò in politica. Nel 1848 era dalla parte dei liberali e fece parte della deputazione per le riforme costituzionali trattante con la Corte. Le riforme sarebbero state utili al fine di costituire uno Stato unito. Nell’aprile del 1848 venne inviato alla Dieta di Francoforte. A seguito della rivoluzione in Germania si costituì un governo provvisorio con Schmerling che ne fece parte come ministro degli esteri e siccome sosteneva l’egemonia austriaca, dovette dare le dimissioni con l’affermarsi del partito prussiano. Dovette desistere completamente da ogni tentativo d’imporre la supremazia austriaca quando venne incoronato imperatore Federico Guglielmo IV (aprile 1849). Nel luglio 1849 entrò nel ministero Schwarzenberg e fu ministro della giustizia fino al 1851 e in disaccordo con la politica reazionaria di tale governo, diede le dimissioni. Nel 1860 fu ministro dirigente del governo dell’arciduca Ranieri ed elaborò leggi costituzionali centralistiche che vennero proclamate il 26 febbraio 1861. L’idea unitaria centralistica fece arrabbiare il particolarismo magiaro e quella costituzionale gli inimicò la Corte che era conservatrice per cui nel 1865 venne congedato e nel novembre venne sospesa la costituzione del 1861. Nel 1867 divenne membro vitalizio della Camera dei Signori. Questa era parte del Reichsrat e corrispondeva alla Camera dei Lords inglese o al Senato italiano ed era composta da nobili e da un ristretto numero di ricchi alti borghesi. Riprese la carriera giudiziaria dove giunse ai massimi gradi e venne pensionato nel 1891.

78 Nikola Nikoli ć (1793 – 1868.) Barone. Famiglia originaria di Podrinja in Bosnia che viene a Zagabria alla metà del XVIII secolo. Di origini serbe, Nikola era possidente di beni a Rakovi potok ed era commerciante all’ingrosso. Portava il titolo di barone Podrinski e sposò Elisabetta Demeter di origini greche. La sorella di questa Alessandrina divenne moglie, nel 1815, di Ivan Mažurani ć che ebbe un figlio di nome Vladimir – scrittore, storico, lessicografo - che divenne padre di Ivana Brli ć – Mažurani ć che scrisse soprattutto per l’infanzia. Il Nikoli ć fu sostenitore dell’illirismo.

79 Parlamento o Dieta di Francoforte. Assemblea costituente che si riunì a Francoforte dal 18 maggio 1848 al 31 maggio 1849 per dare una costituzione alla Confederazione germanica e creare uno Stato unitario. Venne sciolto per l’opposizione del nuovo imperatore Federico Guglielmo IV di Prussia che non accettò la costituzione e neppure che la corona gli venisse conferita da tale assemblea (l’avrebbe accettata solo dai principi tedeschi) e per l’opposizione dell’Austria e degli Stati tedeschi meridionali scontenti della scelta della Piccola Germania, un sistema federale che avrebbe incluso pure l’Austria che voleva mantenersi autonoma e dirigere la Confederazione germanica in opposizione alla Prussia.

80 Ubaldino Peruzzi (1822 – 1891), politico, parente di Bettino Ricasoli, moderato. Nel 1859 fece parte del governo provvisorio della Toscana e poi fu ministro dei lavori pubblici con Cavour (1860 – 1861) e con lo stesso Ricasoli (1861 – 1862), indi fu ministro dell’interno nel governo Minghetti (1863 – 1864) e il 28 settembre 1864 si dimise a seguito dei fatti di Torino, anche se fu poi del tutto scagionato da ogni responsabilità, da una commissione parlamentare che ne ratificò l’operato. In tale periodo venne impostata la nuova legge comunale e provinciale poi approvata nel 1865. Fu presidente della provincia di Firenze dal 1865 al 1870 e fu sindaco di Firenze dal 1870 al 1878.

81 Isacco Artom (1829 – 1900) . Nato ad Asti da un’importante famiglia ebraica, nel 1848 si arruola nel battaglione universitario (Curtatone e Montanara) poi si laurea in legge a Torino. Tra il 1850 e il 1859 collabora con l’ Opinione e al Crepuscolo ; conosceva il tedesco, il francese ed entrò dapprima nel ministero degli esteri. Amico di Costantino Nigra, perviene a conoscere Cavour e nel 1858 il Nigra, che era stato segretario particolare di Cavour lascia l’incarico, Gli subentra Isacco Artom, assunto direttamente da Cavour stesso. Dapprima è in missione diplomatica a Vienna e poi, tra il 1860 e il 1861, nello Stato Pontificio. Nel 1862 è a Parigi e nel 1867 a Copenhagen come segretario di legazione e dal 1870 al 1876 è segretario generale al ministero degli esteri. Diviene senatore per la Destra storica e all’avvento della Sinistra del 1876 offre le proprie dimissioni in modo coerente ma viene rinominato senatore ed è il primo ebreo italiano a sedere in Parlamento. In un articolo in occasione della sua morte, il 24 gennaio 1900, la Neue Freie Presse di Vienna lo ricordò come “ un ometto di Asti dall’intelletto fine e dal grande coraggio morale ”.

82 Miroslav Krleža (1893 – 1981), scrittore, poeta e intellettuale jugoslavo di origine croata. E’ il maggior scrittore croato del XX secolo; drammaturgo, saggista, critico letterario, enciclopedista. Frequentò l’accademia militare di Budapest e militò nell’esercito austro – ungarico dopo un tentativo non riuscito di arruolarsi nel 1912 (guerre balcaniche) in quello serbo più corrispondente alle idee di fratellanza pan – slava. Nel 1917 divenne leninista e manifestò subito una certa delusione verso il bolscevismo per le sue ingerenze nella cultura. Nella prima Jugoslavia monarchica rimase di sinistra ma fu antidogmatico e rifiutò sempre le direttive dell’URSS per cui venne emarginato in seno al partito jugoslavo. Lo stesso Tito nel 1937 lo fece espellere. Tuttavia tra i due rimase un rapporto personale vivo, fatto di stima intellettuale. Con la rottura tra Jugoslavia e URSS nel 1948 l’astro di Krleža giunse al suo massimo splendore per poi decadere nei primi anni della Croazia indipendente e post – comunista. Oggi le sue opere sono state ampiamente rivalutate.

83 Aleksandar Rankovi ć (1909 – 1983) detto Leka, “Marko”, comunista serbo e politico jugoslavo e fu il terzo uomo più potente della Jugoslavia dopo Tito e Kardelj. Fautore di una Jugoslavia centralizzata che non andasse a detrimento dell’unità serba, promosse uno Stato di polizia soprattutto in Kosovo. Nel 1928 aderì al KPJ e divenne segretario della gioventù comunista (SKOJ). Negli anni’30 scontò sei anni di prigione e nel 1935 fece il servizio militare mentre nel 1937 lo troviamo membro del Politburo. Nel 1939 entrò in clandestinità con il nome di “Marko” e nel 1941 venne catturato dalla Gestapo e poi liberato nel corso di un raid partigiano. Nel 1944 con l’aiuto dei sovietici creò l’OZNA o polizia segreta e certamente ebbe parte negli eccidi compiuti durante e dopo la guerra ai danni delle nazionalità perdenti: tedeschi o Volksdeutchen , magiari, albanesi, italiani , collaborazionisti interni. Dopo la guerra oltre ad avere il dicastero degli interni, resse l’UDBA, derivata direttamente dall’OZNA. Dopo la rottura con l’URSS nel 1948 vi furono le epurazioni di tutti gli elementi stalinisti o sospetti tali ed è l’epoca che va sotto il nome di Goli Otok, l’isola Calva, ove vi era uno dei peggiori campi di concentramento per oppositori politici. Venne poi lo scandalo Milovan Đilas ove uno dei più stretti collaboratori di Tito durante la guerra, si venne ad opporre al regime chiedendo una svolta più liberale. Nel 1966 venne deposto da tutte le cariche e messo in disparte perché mise sotto controllo lo stesso Tito. Con la sua caduta ebbe fine il centralismo e nel 1971 in Croazia si ebbe la Primavera croata. Il problema era l’introito di valuta pregiata con il turismo croato le cui rimesse venivano conferite tutte al governo centrale e non venivano reinvestite sul territorio croato o venivano malamente reinvestite in imprese in perdita. A fine anni ’70 nacque il Maspok o Movimento di massa (Masovni pokret) che confluì nella Primavera che vide intellettuali e membri del partito croati rivendicare riforme e maggiore autonomia economica e politica in seno a tutte le repubbliche. Il movimento originò nel 1967 da una disputa sullo status della lingua croata che pur parificata a quella serba non veniva usata in ambito pubblico e governativo. L’uso del croato venne concesso solo nel 1971.

L’espulsione di Rankovi ć portò ad una maggiore apertura su questioni economiche e politiche e il partito comunista croato appoggiò un corso più liberale guidato da una donna: Savka Dab čevi ć – Ku čar e in ciò si cercava l’appoggio di Tito. Tra il 1971 e il 1972 su pressione dell’esercito e dei servizi segreti avvenne la repressione con arresti e incarcerazioni. La direzione comunista croata venne fatta dimettere e fu sostituita con una più fedele alla linea di regime. Con la nuova costituzione del 1974 venne data comunque più autonomia politica ma gli effetti si videro solo nella seconda metà degli anni ottanta. L’opera di Ljerka Kunti ć su Kvaternik s’inquadra proprio negli eventi della Primavera. Già in precedenza tale studiosa aveva pubblicato opere sul Partito del Diritto Croato (HSP) con particolari angolature specifiche e settoriali ma nel 1971 riesce, in qualità di specialista, a pubblicare tutti gli scritti politici, gli atti, i discorsi, gli articoli, i memorandum di questo politico croato con una visione a tutto campo e sfruttando la maggior libertà che in quel momento si respirava a Zagabria.

84 Josip Juraj Strossmayer (1815 – 1895). Vescovo croato, teologo, politico, scrittore, mecenate e fondatore di molte istituzioni culturali croate. Di origine stiriana poiché un suo avo fu militare nell’esercito austriaco a Osijek, nella città natia frequentò le scuole per poi andare in seminario a Đakovo e poi studiò teologia a Pest ove si diplomò nel 1834 in filosofia e dopo aver frequentato l’Augustineum di Vienna, nel 1842 diviene dottore in teologia e professore di diritto canonico all’Università di Vienna. Nel 1849 è vescovo di Đakovo . Partecipa al Concilio Vaticano I ove si pronuncia contro il dogma dell’infallibilità papale e qui incontra lo Tkalac (1869 – 1870), fà costruire la cattedrale di Đakovo, l’edificio dell’Accademia Croata delle Scienze e delle Arti 1877 – 1880 (HAZU), dona alla stessa una raccolta di dipinti…Si batté per l’unificazione croata, per le libertà civili e per i diritti della lingua croata. Nel 1860 lottò affinché Marija Juri ć Zagorka divenisse redattrice del giornale Obzor (Orizzonte) contro il parere del direttore e della redazione e si pone quindi come un pioniere della difesa dei diritti delle donne. Ebbe un ruolo di primo piano nella fondazione dell’università di Zagabria (1874) ed aiutò la Matica slovena, fece stampare una raccolta di poesie bulgare e macedoni, avviò un dialogo ecumenico con gli ortodossi, iniziò il culto dei SS. Cirillo e Metodio, stampò messali glagolitici (antico alfabeto precedente il croato) e infine porse indirizzi di saluto a Kiev e all’Ucraina per la cristianizzazione avvenuta 900 anni prima ad opera di S. Vladimir di Kiev.

85 Medo Pu čić (Orsatto Pozza) 1821 – 1882. Conte, di famiglia nobile serbo – cattolica di Ragusa (Dubrovnik), scrittore. Studiò a Venezia e nel 1841, al liceo, incontrò Jàn Kollàr (panslavista ceco) e fu attratto dalle sue idee. Tornato in patria aderì al movimento illirico. Tra il 1881 e il 1843 studiò all’università di Padova e poi fino al 1845 studiò legge a Vienna, visse a Lucca e a Parma prima di tornare a Ragusa. Nel 1848 conobbe Adam Mickiewicz che era a Roma per convincere Pio IX ad avallare la rivoluzione polacca contro gli Asburgo. Dopo il 1860 Pu čić appoggia i diritti croati sulla Dalmazia considerando tutti quelli che parlavano štokavo come serbi e pensando a serbi e croati come tribù di una sola nazione slavo meridionale da un punto di vista jugoslavo. Dal 1868 al 1872 fu insegnante di Milan Obrenovi ć ritornando a Ragusa nel 1874 ove fu presidente del comitato serbo – cattolico. Attorno alla rivista letteraria Slovinac si riunirono tutti gli intellettuali serbi e croati di Ragusa. Scrisse poesie, liriche e studi storici e tradusse in italiano opere serbe e croate usando il nome Orsatto Pozza.

86 Franc Mikloši ć (1813 – 1891), filologo sloveno. Si laureò a Graz ove insegnò subito filosofia e nel 1838 venne a Vienna ove ricevette la laurea in legge. Nei suoi studi venne influenzato dal filologo e linguista sloveno Jernej Kopitar e si diede quindi allo studio delle lingue slave. Ma mentre Kopitar era un austroslavista che considerava i paesi slavi meridionali e centrali comunque uniti a Vienna, Mikloši ć nel 1849 ottenne a Vienna la cattedra di filosofia slava che occupò fino al 1886 ed era per un’autonomia in seno ai vari paesi dell’area. Membro e corrispondente di numerose accademie europee, scrisse non solo di lingue slave ma pure di rumeno, aromuno, albanese, greco e romani. Nel 1848 si batté per una Slovenia unita sulla base di un movimento nazionale, ma fallita la rivoluzione tornò ai suoi studi. Gli sloveni non ebbero il coinvolgimento di massa che avevano invece avuto i croati soprattutto perché mai insidiati in modo petulante dai magiari.

87 Emilio Visconti Venosta (1829 – 1914), politico, diplomatico, senatore, più volte ministro degli esteri , laureato in giurisprudenza a Pavia, dapprima fu repubblicano e mazziniano ma poi, visti i fallimenti sanguinosi dei moti divenne cavouriano anche in virtù del fatto che sposò Maria Luisa Alfieri di Sostegno, parente di Vittorio Alfieri e di Cavour. Nel 1859 si rifugia a Torino e subito viene nominato da Cavour commissario del Re nelle truppe garibaldine. Vittorio Emanuele II gli conferì il titolo di marchese e come ministro degli esteri sostenne una politica triplicista tanto che nell’ultimo mandato (1900- 1901 – governo Saracco) il Venosta firmò un accordo con l’Austria garantendo lo status quo in Albania.

88 Khuén Hédervàry conte Kàroly (1849 – 1918). Dal 1883 al 1903 fu Bano di Croazia e durante il suo governo la lingua magiara divenne quella ufficiale e i simboli nazionali croati furono sostituiti da quelli ungheresi; in tal modo vi furono disordini e rivolte. Già si è detto dell’episodio del 1895 ove gli studenti universitari di Zagabria bruciarono la bandiera magiara davanti a Francesco Giuseppe in visita al Teatro Nazionale Croato. I funzionari e gli impiegati croati dovevano parlare ungherese. Il Bano magiaro contravveniva così in pieno al compromesso o nagodba firmato con la Croazia nel 1868. Godette comunque dell’appoggio del Narodna Stranka o Partito Nazionale maggioritario al Sabor e poi si alleò ai serbi di Croazia e con le loro istituzioni. Nel 1888 promulgò una legge basata sul censo, in cui solo più il 2% della popolazione, i più ricchi, avevano diritto di voto. Introdusse il magiaro nei ginnasi e fece costruire scuole ungheresi e tentò in ogni modo d’impedire la costruzione del Teatro Nazionale Croato. Nel 1903 vi fu la magiarizzazione delle ferrovie croate con sostituzione di stemmi e bandiere croate con stemmi e drappi ungheresi, avvisi in ungherese ecc. A seguito di diverse rivolte sanguinose Khuén Hédervàry venne rimosso per divenire Primo Ministro ungherese per due mandati tra il 1903 e il 1910.

89 Svetozar Pribi ćevi ć (1875 – 1936). Politico dei serbi di Croazia, si laureò in matematica e fisica e appoggiò sempre il programma unitario jugoslavo e nel 1900 iniziò a battersi per l’unione di serbi, croati e sloveni. Dal 1902 fu membro del Partito Autonomista Serbo (SSS) e direttore del giornale Srbobran (Il difensore serbo). Molti degli incidenti di cui si è detto al paragrafo precedente, ebbero luogo anche perché il giornale, con la piena connivenza del Bano, pubblicò diversi articoli che chiedevano la piena riconoscenza della minoranza serba in Croazia come nazione anche nelle relazioni internazionali e quindi verso l’Ungheria in primis, nel momento in cui la maggioranza croata non solo non veniva riconosciuta, ma veniva magiarizzata. (Al proposito vi è un bell’articolo di Natalija Rumenjak dal titolo “ Nacionalna ideologija listova Obzor i Srbobran 1901 – 1902 godina “ – Hrvatski institut za povijest – Zagreb 1995 in cui si rivisitano tramite queste due testate i due nazionalismi contrapposti croato e serbo all’epoca del Bano Khuén). Fu poi membro della Coalizione croato – serba e ne divenne il capo nel 1909 all’uscita del croato Frano Supilo. Tale Coalizione entrò poi nel Consiglio Nazionale del Regno dei Serbi, Croati e Sloveni (SHS) e Pribi ćevi ć partecipò alla preparazione della seduta del Sabor croato del 29 ottobre 1918 che tranciò ogni rapporto con l’Austria – Ungheria e quindi fu propugnatore dell’unione del Regno di Serbia con il Consiglio di Zagabria. Nel nuovo regno fu più volte ministro; interni, educazione e tenne sempre un profilo centralista e unitarista e fu quindi avversario di Stjepan Radi ć, leader del Partito Contadino Croato (HSS) che naturalmente si opponeva a tale politica. Pribi ćevi ć fu uno dei capi del Partito Democratico (DS) fondato nel 1919 e nel 1924 per dissidi interni con i fautori di un accordo con i croati, fondò il Partito Democratico Indipendente (SDS) Arrivò addirittura a formare con i radicali serbo - nazionalisti di Nikola Paši ć un Blocco Nazionale. Tuttavia non gli andarono a genio le pretese grandi serbe di costoro. E qui arriva uno dei numerosi “coup de théâtre” del Grande Vecchio Paši ć. Egli considerò che malgrado tutto in Croazia l’HSS o Partito Contadino, era sempre maggioritario e scaricò l’inconcludente Pribi ćevi ć tentando un accordo con Stjepan Radi ć nel 1925. Pribi ćevi ć fece la medesima mossa abbandonando il centralismo filo – serbo e nel 1927 si accordò con Radi ć contro l’egemonismo serbo. Ne scaturì allora la Coalizione Contadino Democratica (SDK) con un programma federale per una revisione radicale della Costituzione di S. Vito del 1921 o Vidovdanska ustava. Per tutto il 1928 seguirono minacce di morte a lui e ai suoi alleati, finché il 20 giugno 1928, in piena Skupština o Parlamento jugoslavo a Belgrado, il deputato radicale Puniša Ra čić, agente della Corte e della cosiddetta čaršija (tur. mercato, circolo ristretto, agorà) belgradese scaricò il revolver uccidendo subito due parlamentari croati e ferendo a morte Stjepan Radi ć che morirà di lì a poco e ferì altri due deputati croati. Con la successiva instaurazione della dittatura personale di re Alessandro Kara đor đevi ć il 6 gennaio 1929, Pribi ćevi ć venne internato e rimase isolato fino al 1931 per poi andare in esilio a Praga e a Parigi. Dopo l’attentato mortale contro re Alessandro a Marsiglia (1934) Pribi ćevi ć viene sospettato di compartecipazione dalla polizia francese ma scagionato da ogni colpa, viene rimesso in libertà.

90 August Šenoa (1838 – 1881). Romanziere, poeta, autore di teatro, il più grande scrittore romantico e realista croato del XIX secolo. Padre di origini tedesche e ceche (sudeto) e madre slovacca emigrati a Zagabria intorno al 1830. August non terminò gli studi di legge e nel 1866 è a Zagabria ove lavora nella redazione del quotidiano “ Pozor ” (Attenzione). Fu poi segretario comunale e senatore della città avendo aderito al Narodna Stranka o Partito Nazionale, drammaturgo e direttore del Teatro Nazionale Croato, collaboratore della rivista letteraria “ Vijenac ” (La corona) e vice presidente della Matica Hrvatska; tradusse opere dal francese, dal ceco, dal tedesco e dall’inglese. I suoi lavori più famosi sono “ Zlatarovo zlato ” (L’oro dell’orafo - 1871) e “Selja čka buna ” (La rivolta contadina – 1877, ispirato alla rivolta contadina del 1573, condotta da Matiija Gubec contro i feudatari croati) . Come senatore della città di Zagabria fu coinvolto in prima persona negli aiuti ai terremotati del 6 novembre 1880 (veliki potres: il grande terremoto) e a forza di vivere all’addiaccio contrasse la polmonite e morì all’inizio del 1881.

91 Frano Supilo (1870 – 1917), politico e giornalista croato che fu sempre oppositore della dominazione austro – magiara. Fece parte del Comitato Jugoslavo insediato a Londra negli anni del primo conflitto mondiale e fu fautore di uno stato slavo meridionale indipendente. Abbandonò la scuola navale e terminò invece quella di agricoltura. Viaggiò per la Dalmazia (era nativo di Cavtat o Ragusa Vecchia) onde istruire le masse rurali circa la peronospora. Nel 1890 iniziò a lavorare al giornale socio – politico “ Crvena Hrvatska ” (La Croazia rossa, cioè la Croazia posta a sud, dal fiume Cetina a Valona secondo un antico modo turco - mongolico di concepire i punti cardinali, ripreso poi nello Ljetopis Popa Duklijanina o Cronaca del prete di Dioclea c.a 1298). Supilo lottò contro il Partito Autonomista filo – italiano e contro i filo – serbi che avevano preso una certa consistenza a Ragusa nel 1880 per l’appoggio loro offerto dall’Austria secondo la ben nota politica del divide et impera. Supilo divenne quindi uno dei capi del Partito del Diritto Croato (HSP) ma nel 1895 fu tra i scissionisti contro l’estremismo di Josip Frank. Nel 1905 con Ante Trumbi ć e Josip Smodlaka (croati), creò la Coalizione croato – serba e per tale formazione fu membro del Sabor tra il 1906 e il 1910. Era a favore di un’unione blanda tra serbi e croati e si trovò presto a combattere contro il nazionalismo irredentista italiano, contro quello magiaro in seno allo Stato asburgico e infine contro quello serbo. Nel 1907 per completare l’opera del Bano Khuén, il nuovo Bano Levin Rauch, appoggiandosi sulle decisioni parlamentari di Budapest, impose il magiaro come lingua ufficiale e veicolare sulle tratte croate. Naturalmente Supilo inaugurò subito una campagna antimagiara e, non incline a compromessi, ben aveva compreso che una riunione con il Regno di Serbia avrebbe messo la Croazia in stato d’inferiorità.

Nel 1910 lasciò la Coalizione e dopo l’attentato di Sarajevo andò in esilio a Firenze e poi a Londra ove formò con Ante Ante Trumbi ć e Ivan Mestrovi ć (noto scultore e massone) il Comitato Jugoslavo dal quale diede le dimissioni nel 1916 e nel 1917 non approvò la dichiarazione di Corfù che dava vita al Regno dei Serbi – Croati e Sloveni (SHS). Secondo un articolo del “ New York Times” del 22 luglio 1941 (archivio New York Times) all’inizio del 1915 Cesare Battisti, Gaetano Salvemini e Leonida Bissolati per l’Italia e il solo Frano Supilo per la Jugoslavia, opponendosi in blocco a Vienna cercarono una cooperazione italo – jugoslava secondo la vecchia idea mazziniana. Tale rivelazione venne fatta dal figlio di Svetozar Pribi ćevi ć in una lunga lettera al giornale in questione. Era il momento dell’interventismo moderato poi travolto dal Patto di Londra, il quale venne superato dopo la rotta di Caporetto, da un accordo londinese del 7 marzo 1918 tra l’on. Torre per l’Italia e il Trumbi ć per la Jugoslavia, in cui si riconosceva l’indipendenza deli slavi meridionali, la difesa comune adriatica, la collaborazione reciproca per risolvere ogni controversia, accordo sancito dal Patto di Roma del 7 aprile 1918. Per l’atteggiamento contrario di Orlando e Sonnino al Trianon, non se ne fece nulla.

Croatia minor o della quotidianità

92 Marcello Marcelliano (1818 – 1865). Dotato per la musica e la poesia, va a studiare a Novara con Saverio Mercadante e lo segue a Napoli. Scrive libretti e compone musica e nel 1848 è a Torino ove vive dando lezioni di canto e di pianoforte; nel 1854 fonda il giornale “ Il Trovatore ” che pubblica spartiti inediti. Nel 1859 è a Milano ove collabora con la “ Rivista contemporanea ” e si dedica solo più ai libretti d’opera traducendone anche di autori stranieri. Fu amico di patrioti, simpatizzante e sostenitore della causa risorgimentale. Produsse 15 componimenti musicali, circa 50 libretti d’opera, circa 80 liriche per romanze, canzoni e arie e la traduzione di 130 opere di autori stranieri.

93 Massimo Cordero di Montezemolo (1807 – 1879), marchese, laureato in giurisprudenza a Torino nel 1828; nel 1830 lavora nell’ufficio del Procuratore Generale di S. M ma sospettato di simpatie liberali , pur essendo un moderato, deve prendere la via dell’esilio e nel 1831 va a combattere per l’indipendenza del Belgio. Combatte poi nelle “guerre liberali” del Portogallo. Nel 1835 rientra in Piemonte con il consenso di Carlo Alberto e nel 1836 fonda il giornale “ Il Subalpino ” che in breve viene soppresso. Il Montezemolo va allora a Firenze ove conosce tra gli altri il Capponi e il Guerrazzi e nel 1844 torna a Torino ove entra nell’Associazione Agraria Subalpina assieme ai molti che manifestano le loro idee liberali attraverso convegni e riunioni di tale associazione. Nel 1846 è tra i fondatori dell’” Opinione ” e nel giugno 1848 entra alla Camera e nel 1850 viene nominato senatore a vita. Nel 1859 è governatore di Nizza, nel 1860 di Ravenna e poi di Brescia. Dal 2 dicembre 1860 fu luogotenente generale del Re nelle Province Siciliane fino all’aprile 1861. Affrontò la difficile situazione del momento dovuta alla tempesta garibaldina (fatti di Bronte dell’agosto 1860). Fu poi prefetto di Bologna, Napoli e Firenze.

94 Giovanni Filippo Galvagno (1801 – 1874), ministro, deputato, senatore e sindaco di Torino. Avvocato, fu deputato per cinque legislature tra il 1848 e il 1857. Nel 1849 è ministro dei lavori pubblici e successivamente ministro dell’interno fino al 1852. Poi divenne ministro dell’agricoltura e della giustizia. Fu nominato senatore nel 1860. Consigliere comunale di Torino per più di vent’anni, dal 1848 alla morte, ne fu pure sindaco tra il 1866 e il 1869. Si trovò a gestire Torino in piena crisi economica; il suo predecessore Luserna di Rorà gli affidò un mandato difficile: fare di Torino la capitale industriale d’Italia. Per la cronica mancanza di fondi Galvagno ripiegò su un progetto meno ampio e fece costruire il canale della Ceronda che portava acqua alle industrie nascenti della parte nord di Torino.

95 Guglielmo Stefani (1819 – 1861). Curiosamente era figlio di un funzionario della polizia austriaca, Domenico Stefani. Laureato in giurisprudenza a Padova, nel 1843 fonda l’ Euganeo e nel 1846 il Caffè Pedrocchi che fu un settimanale patavino dal 1846 al 1848; in questo stesso anno Stefani venne arrestato tra il febbraio e il marzo e con la caduta di Metternich andò a combattere per la difesa di Venezia. Dopo la vittoria austriaca venne esiliato e si rifugiò a Torino ove diresse la Gazzetta Piemontese e il 26 gennaio 1853 con il placet di Cavour fondò l’agenzia Stefani che venne fornita dallo statista di fondi segreti. L’agenzia divenne un vero e proprio monopolio dell’informazione nel Regno di Sardegna. Venne disciolta il 29 aprile 1945 e le subentrò l’ANSA.

96 Bernardino Biondelli (1804 – 1886), linguista e archeologo. Dopo aver insegnato a Vienna storia, geografia e matematica, nel 1839 si trasferisce a Milano ove collabora con il Politecnico di Carlo Cattaneo. Nel 1845 pubblica Studi linguistici ove si occupa di lingue indoeuropee e di dialetti. Dal 1849 al 1883 lavora come conservatore del gabinetto numismatico della Biblioteca nazionale braidese; si occupa anche di archeologia e di civiltà precolombiane. Ebbe relazioni con il Kukuljevi ć avendo scritto uno studio sulle “ Colonie slave al confine orientale ” (1856) con correttezza e competenza.

97 Antun Kazna ćić, scrittore e poeta croato (1784 – 1874) Di famiglia ragusea di tradizioni marinare, studiò diritto a Genova ove ricopriva l’ufficio di addetto consolare. Tornato a Ragusa, rimase nell’amministrazione e terminò gli studi nel 1812. Esercitò privatamente come avvocato. Fu il primo illirista di Ragusa. Si dedicò alla poesia come dilettante e scrisse di tematiche patriottiche incitando alla fratellanza croati e sloveni. Scrisse pure poesie comiche, satire, epigrammi in italiano e infine un saggio in prosa sulla Ragusa a lui contemporanea.

98 Francesco dall’Ongaro (1808 – 1873) , poeta e drammaturgo. Studiò da prete ma smise la tonaca nel 1848 per prendere parte alle insurrezioni di Venezia e Roma . Conobbe Mazzini e nel 1849 riparò in Svizzera a Lugano ove entrò in polemica con gli esuli federalisti e si dedicò alla redazione dell ‘” Archivio triennale ”. Nel 1853 venne espulso perché coinvolto nelle insurrezioni mazziniane e andò in Belgio. Nel 1859 è nuovamente in Italia ove con estrema semplicità ripercorre negli “Stornelli italiani ” la storia del risorgimento. Il periodo della Favilla va dal 1836 al 1846 e dall’Ongaro ne divenne direttore e comproprietario con Pacifico Valussi. La rivista divenne palestra di idee tese al risveglio delle identità nazionali. Nel 1845, essendo governatore di Trieste lo Stadion, dall’Ongaro propose una riforma della scuola elementare; preparò un’antologia ove comparivano scrittori come Tommaseo, il Valussi e lui stesso ma tale iniziativa non fu gradita al clero e fu uno dei motivi per cui egli smise la tonaca; espulso da Trieste andò in Toscana e a Roma.

99 Janko Draškovi ć (1770 – 1856), noto come il più vecchio patriota croato. Di famiglia nobile, a Karlovac nel 1832 diede alle stampe in štokavo la “Disertacija …” qui citata nel testo che rappresenta il primo programma totale e maturo nella storia della cultura e della politica croate. I paesi croati dovranno unirsi in una “Grande Illiria” che avrebbe compreso anche Bosnia e Slovenia. Fu propugnatore dell’opera svolta dall’Ilirska Čitaonica o sala di lettura il lirica fondata nel 1838 e divenuta un perno del risveglio croato. Nel 1848 fu personaggio di spicco del Narodna Stranka o Partito Nazionale Croato.(HNS)

100 Giovenale Vegezzi Ruscalla (1799 – 1885), giornalista e liberale italiano, segretario dell’Associazione Agraria Subalpina e membro onorario dell’Accademia Rumena. Fu funzionario del m ministero degli esteri e tradusse il poeta Vasile Alecsandri e fu insegnante di storia e letteratura rumena a Torino. Nel 1856 al Congresso di Parigi patrocinò la causa rumena.

101 Ettore Perrone conte di S. Martino (1789 – 1849) , politico e militare piemontese; dapprima ser- vì nelle armate napoleoniche dal 1806 al 1814. Wagram, Spagna, Russia, Lützen, Bautzen, Montmirail; nei Cento Giorni fu aiutante di campo del gen. Gérard. Dopo i moti del 1821 in cui fu coinvolto, venne condannato a morte e fuggì in Francia ove divenne generale e sposò nel 1833 Jenny de Fay de la Tour – Maubourg nipote del marchese di Lafayette. Nel 1848 fu ministro degli esteri e Carlo Alberto lo nominò comandante della 3° div. di fanteria nel 1849. Trovò la morte sul campo di Novara.

102 Ludwik Tadeusz Szafraniec - Bystrzonowski (1797 – 1878). Attivo nell’emigrazione polacca. In esilio in Francia dopo l’ennesima rivolta polacca del 1830 incontrò il principe Adam Jerzy Czartoryski. Combatté in Algeria e venne insignito della Legion d’Onore. Venne utilizzato dall’Hôtel Lambert in diverse missioni all’estero. Nel 1842 fu informatore diretto di Francia ve Inghilterra mettendo per iscritto appunti sulla rete strategica della Polonia, parlando così dei varî obiettivi militari in caso di una nuova rivolta. Nel 1848 vara il progetto per creare una Legione Polacca e nel settembre del medesimo anno è in missione nel Regno di Sardegna e poi nei Balcani ove cercò di convincere serbi e ungheresi a un’azione comune contro l’Austria. Prese parte alla rivoluzione ungherese e fuggito in Turchia, durante la guerra di Crimea fu uno dei cinque polacchi che vennero promossi al rango di generale nell’esercito turco. Tra il 1857 e il 1872 fu addetto militare ottomano a Parigi.

103 Adam Jerzy Czartoryski (1770 – 1861). Da giovane viaggiò in Germania e in Gran Bretagna e cercando poi di raggiungere Tadeusz Kosciuszko in Polonia nel 1794 (rivolta contro gli occupanti che si erano spartiti il Paese) venne arrestato in Belgio dal governo austriaco e nel 1795 venne portato a S. Pietroburgo assieme al fratello e gli fu ordinato di prendere servizio per la Russia. Nel 1798 sotto lo zar Paolo I venne nominato ambasciatore di Russia presso la Corte di Carlo Emanuele IV di Savoia che era rimasto senza trono e quindi visitò Napoli e Roma e studiò l’italiano. Tra il 1804 e il 1805 premette per una coalizione anti – francese composta da Russia, Austria e Regno Unito. Nel 1805 scrisse un memoriale ove ridisegnò la carta europea: Austria e Prussia avrebbero dovuto spartirsi la Germania, la Russia avrebbe dovuto acquistare il controllo sui Dardanelli e il Bosforo, oltre che su Corfù e Costantinopoli; l’Austria avrebbe dovuto avere Bosnia, Valacchia, Ragusa, mentre Montenegro, Mostar (Erzegovina) e le altre Isole Ionie sarebbero dovuti divenire uno Stato indipendente. Regno Unito e Russia avrebbero dovuto mantenere l’equilibrio europeo. Non mancava il progetto di uno Stato polacco dalla Vistola a Danzica sotto egida russa. Nel medesimo anno accompagnò lo zar Alessandro a Berlino e a Olmütz come Ministro Capo e considerò la visita in Prussia come un errore. Nel 1807, avendo perso fiducia in Alessandro, venne sostituito. Rimase amico dello zar, tanto che a Parigi nel 1814 offrì ad Alessandro i suoi servigi per il Congresso di Vienna e a seguito delle decisioni prese, Alessandro dovette concedere una costituzione alla neo formata Polonia e ci si sarebbe aspettati che Czartoryski ne diventasse il primo namestnik o viceré, ma lui fu soddisfatto di divenire solo senatore palatino e gestore dell’amministrazione. Partecipò alla rivolta del 1830 – 1831 e alla fine del conflitto venne condannato a morte ma la pena venne commutata nell’esilio. Nel 1843 acquistò l’Hôtel Lambert a Parigi per farlo diventare un centro politico degli esuli polacchi.

104 Giuseppe Carosini, commerciante. Nel 1848 – 1849 venne sorpreso e quindi coinvolto nella rivolta ungherese. Nell’autunno 1848 venne inviato dal Kossuth in Italia per suscitare simpatie alla causa ungherese. Infatti il Paese, staccatosi dall’Austria si trovò completamente solo e non godeva di appoggi internazionali. Il 23 novembre 1848 ebbe un colloquio a Torino con il capo del governo piemontese Perrone di San Martino e il momento fu giudicato propizio per una collaborazione italo – ungherese. Due erano i fattori che conducevano ad attuare una politica balcanica da parte del Regno di Sardegna: da un lato Adam Czartoryski con l’appoggio della Francia nel settembre 1848 avviò un’azione diplomatica per concludere un’alleanza antiasburgica dei popoli governati dall’Au- stria. I magiari però avrebbero dovuto riconoscere i popoli a loro sottomessi: croati, serbi di Vojvodina, rumeni tran silvani e slovacchi assieme ai loro diritti nazionali e di concerto occorreva che i popoli slavi abbandonassero Vienna. Occorreva agire su Belgrado e sui serbi del Principato che da parecchio aiutavano quelli di Vojvodina contro gli ungheresi, anche se alla fine Belgrado era propensa ad un accordo con gli ungheresi. Inoltre a Zagabria si era manifestata un’opposizione liberale al filo – austriaco Josip Jela čić. Torino accolse con favore tali progetti. Dall’altra, il governo Perrone volle aprire un consolato a Belgrado con lo scopo di mediare tra Serbia e Ungheria. Caduto il Perrone, fu la volta del Gioberti e il progetto ebbe un nuovo impulso anche grazie a personaggi come il Vegezzi Ruscalla e Lorenzo Valerio. Tuttavia l’apertura di tale sede diplomatica tardava e quindi fu deciso di inviare il col. Monti assieme al Carosini che era al momento un uomo di Kossuth. I due partirono il 30 dicembre 1848 per lavorare a una pacificazione tra magiari e slavi ma il Carosini si fermò a Belgrado ove il 18 marzo 1849 venne raggiunto da Marcello Cerruti che nel frattempo era stato nominato console del Regno di Sardegna. Il Monti proseguì per Pest. In accordo con gli agenti polacchi, il Carosini e il Cerruti (cfr. nota 58), entrambi tra l’altro di origini genovesi, cercarono di avvicinare i politici serbi e il loro popolo, così come i serbi di Vojvodina e i croati dell’opposizione liberale, onde cercare un accordo con i magiari. Cadde però il governo Gioberti e il successivo governo Chiodo a causa della sconfitta di Novara e il nuovo Premier De Launay ingiunse al Monti e al Carosini di troncare ogni attività. Ma l’attività continuò anche perché occorreva infine trarre in salvo sia La Legione Italiana del Monti sia quanti più magiari si poteva. Qualche mese prima Carosini, più libero di muoversi, organizzò ancora un trasporto di armi, un incontro con l’Andràssy, con il leader dell’opposizione liberale croata Kušlan e per incarico del ministro degli esteri di Pest Batthyàny, vennero intavolati colloqui con i serbi. A metà giugno l’intervento russo in Ungheria bloccò ogni cosa e Carosini ritornato a Belgrado si prodigò per agevolare il ritiro di italiani e magiari in Turchia e su ordine di Kossuth rimase nella capitale serba. E’ in tale momento che si colloca l’attività inglese del Casement. (vedi cap. successivo - Un passaporto ottomano) . Tra il 1850 e il 1851 quando già il consolato Sardo era chiuso, documenti e consegne passarono in mano inglese (console De Fonblanque) e Massimo d’Azeglio fu costretto, malgrado il suo temporeggiare, a richiamare Carosini alla fine del 1851 e a rinunciare a proteggerlo, così che il commerciante genovese fu costretto a rifugiarsi a Costantinopoli sotto l’ala protettrice del barone Romualdo Tecco, ambasciatore del Regno di Sardegna a Costantinopoli, l’organizzatore della fuga degli italiani e dei magiari dall’Ungheria e il garante del Cerruti. I rapporti di Carosini con Kossuth si guastarono. Nel 1852 si ritirò in Piemonte e nel 1853 con la protezione del Cerruti divenne vice – console a Buenos Aires e consegnò una cassa di documenti a Nicomede Bianchi, carte fatte sequestrare immediatamente dal Cerruti e segretate. Ebbe difficoltà finanziarie e negli anni ’60 del XIX secolo lo ritroviamo ancora vivente in Uruguay.

105 Karol Gregorovicz. Di lui parlano fonti polacche soprattutto riguardo alla sua attività di agente dell’ Hôtel Lambert in Croazia. Già nella primavere del 1849 fu concepito dai polacchi di Parigi un piano per defenestrare il Bano Jela čić considerato troppo austriacante. Fu deciso che la cosa avvenisse con l’aiuto dell’opposizione croata che si attivò particolarmente dopo che Francesco Giuseppe promulgò la costituzione ottriata di inizio marzo 1849. Il principale fautore di tale soluzione fu Karol Gregorovicz, nuovo agente polacco inviato a Zagabria proprio all’inizio di marzo perché conosceva bene il Paese e aveva numerosi contatti politici. Tra il 1846 e il 1848 visse a Karlovac one insegnò francese e divenne uno dei redattori della “ Danica ” (Stella del mattino) edita da Ljudevit Gaj. Dopo essere stato in Serbia e in Vojvodina, nella seconda metà del 1848 va in Croazia per un’attività d’informazione e propaganda ove è ben assistito dall’opposizione liberale. Venne in contatto con personaggi gravitanti attorno all’associazione “ Slavenska lipa ” (Tiglio slavo) e alla redazione della rivista “ Slavenski jug ” (Sud slavo) che rappresentavano l’opposizione a Jela čić. Attorno alla rivista citata si raggruppavano gli uomini di Kušlan che conosceva Gregorovicz fin dai tempi di Karlovac. Un accordo con i magiari avrebbe provocato il rovesciamento del Bano. L’agitatore di professione Gregorovicz però non firmava mai i suoi articoli poiché sul quotidiano zagabrese in tedesco “ Südslawische Zeitung ” (Il giornale slavo meridionale) troviamo O O ossia Oskar Otto, nome falso con cui egli soggiornava in Croazia e sullo “ Slavonski jug ” del 1 maggio 1849 troviamo G o 6. I croati chiesero almeno 25.000 fucili a Czartoryski a Parigi in cambio del colpo di stato, ma costui per prendere tempo dirottò gli emissari croati a Belgrado dicendo che colà avrebbero trovato i mezzi che cercavano. Il Principe polacco non era soddisfatto del lavoro di Gregorovicz e può anche darsi che fosse male informato dagli stessi agenti polacchi di Belgrado. L’Hôtel Lambert avrebbe voluto al posto di Jela čić il generale polacco Jozef Bem poiché costui godeva di un certo favore nei circoli militari croati tanto che il più vicino collaboratore e biografo del Bano croato Josip Neustädter descrisse il Bem come “ il più geniale e il più pericoloso di tutti i condottieri dell’esercito rivoluzionario magiaro ”. (cfr. Ban Jela čić i doga đaji u Hrvatskoj od 1848 – Zagreb 1998 – tomo II, p.166). Ma il Bano Jela čić rispose ad un articolo particolarmente caustico che denotava le intenzioni del Gregorovicz e dell’Hôtel Lambert, con diverse restrizioni sulla libertà di stampa. Per esempio la nuova legge imponeva ad ogni testata dei depositi cauzionali e lo “Slavenski jug ” avrebbe dovuto pagare 2.000 fiorini che non possedeva e venendosi così a trovare in ristrettezze finanziarie Kušlan venne consigliato da Gregorovicz a recarsi a Belgrado dall’altro agente della rete polacca Ludwik Zwierkowski – Lenoir che il 29 maggio 1849 organizzò un incontro Kušlan - Andrassy (inviato ungherese). Il croato si presentò come il rappresentante designato dei numerosi partiti di opposizione croati antiasburgici. Chiese quindi di agevolare l’entrata di Bem in Croazia onde nominarlo Bano e pregò il governo magiaro di prestare i 2.000 fiorini di cauzione da depositare. Il premier Batthyàny venne informato di ogni sviluppo ma la venuta dei russi pose fine ad ogni complotto. Il 29 luglio 1849 Karol Gregorovicz venne arrestato a Zagabria ed espulso dopo due mesi.

106 Ljudevit Gaj (1809 – 1872). Politico, scrittore, lessicografo e linguista croato. Di madre tedesca e di padre slovacco. I suoi primi componimenti poetici sono in tedesco. Tuttavia impiegava pure il dialetto kajkavo (nota 65) natio e nel 1826 scrisse “ Pesma od Zagorja ” (Canto dallo Zagorje). Fu all’estero per cinque anni a studiare legge e lettere a Vienna, a Graz, Budapest e Lipsia e qui maturò il concetto di fratellanza panslava e di nazione croata. Per unire e fondere le nazioni slavo – meridionali occorreva una lingua unica e nel 1830 pubblicò a Buda il libro “ Kratka osnova horvatsko – slavenskog pravopisanja ” (Il breve fondamento dell’ortografia croato – slava) in croato e tedesco ove sosteneva di trarre dal ceco la grafia boema con segni diacritici per unificare i vari sistemi ortografici in uso. Nel 1834 pubblicò il “ Novine Horvatske ” (Il giornale croato) in kajkavo con un supplemento letterario chiamato “ Danica ” (Stella del mattino) che nel 1835 divenne il “Ilirske narodne novine ” (Giornale nazionale illirico) e adottò lo štokavo (nota 65). Era nato l’Illirismo che unificò linguisticamente Croazia, Montenegro, Serbia e Bosnia – Erzegovina. Nel 1840 fu comunque in Russia per vedere se i fratelli slavi maggiori potevano essere d’aiuto alla causa slavo – meridionale e durante la rivoluzione del 1848 ebbe rapporti di un certo rilievo con Vienna, impedendo che il movimento nazionale croato si schierasse contro gli Asburgo nella speranza di un’ampia autonomia, il che era più o meno la linea dello Jela čić. Infatti l’ Ilirska stranka o Partito illirico (nel 1843 il nome illirico venne proibito) poi Narodna Stranka o Partito Nazionale venne fondato proprio da L. Gaj, da Ivan Kukuljevi ć Sakcinski e da Ivan Mažurani ć, nazionalista e fortemente antimagiaro, moderato in seno all’Austria, l’unica salvezza per la Croazia.

107 Josip Jela čić (1801 – 1859). Fu Bano di Croazia dal 23 marzo 1848 al 19 maggio 1859. Servì per quarant’anni nell’I. R . Esercito e il 23 marzo 1848 venne posto dal governo imperiale, al comando di tutte le forze armate presenti in Croazia e nominato Bano. La Dieta del 5 giugno 1848 proclamò l’indipendenza del Regno Unito di Croazia, Slavonia e Dalmazia, dall’Ungheria, il tutto senza il consenso di Vienna che in un primo tempo appoggiò le istanze magiare. Lo Jela čić venne destituito tra giugno e settembre 1848. Ma esplose la rivolta ungherese e Josip Jela čić venne richiamato in fretta e furia e con 40.000 uomini passò la Drava e puntò verso Pest. Tuttavia dovette ritirarsi verso Vienna e alla fine di ottobre vinse lo scontro di Schwechat che consentì la presa di Vienna. Jela čić avrebbe voluto immediatamente schiacciare i magiari ma la Corete asburgica lo mise a comandare un corpo d’armata a sud dell’Ungheria. Mantenendo sempre la carica di Bano, aveva già abolito la servitù della gleba che l’Ungheria manteneva ancora e nel 1854 riuscì a far elevare Zagabria da diocesi ad arcidiocesi emancipando ecclesiasticamente la Croazia dall’Ungheria.

108 – Nikola Kresti ć (1824 – 1887). Serbo ortodosso di Croazia. Studiò filosofia a Pest e legge a Zagabria ove cominciò ad esercitare nel 1847. Con Eduard Vrban čić fondò nel 1848 il giornale “Novine Saborske ” (Il giornale del Parlamento) e con Dragutin Kušlan fu redattore dello “ Slavenski jug ” nel marzo 1849. Nel 1861 divenne deputato per il Narodna Stranka (Partito Nazionale). Nel 1862 entra con Ivan Mažurani ć nel partito rifondato con il nome Samostalna Narodna Stranka o Partito Nazionale Autonomo. Nel 1873 partecipò ai negoziati per la revisione del nagodba o compromesso del 1868 tra Croazia e Ungheria ove tenne però un atteggiamento pro magiaro. Dal 1872 al 1884 fu Presidente del Sabor. * Dragojlo, Dragutin Kušlan (1817 – 1867), pure lui serbo di Croazia. Fu avvocato, politico, pubblicista e illirista che operò in particolare nel circolo liberale di Karlovac ove lavorarono pure I.I Tkalac e I. Mažurani ć che nel 1847 su istanza del Kušlan fondò il Narodna stranka come partito liberal – nazionale non conservatore. Nel 1848 fu membro della delegazione inviata a Vienna con le proposte croate e venne nominato membro del Consiglio Banale (Banski vije ć) e membro della delegazione croata al congresso panslavo di Praga. Accettò l’austroslavismo con uno stato federale o confederale con a capo Vienna. Sia per i risultati del congresso praghese che per la dittatura di Jela čić, le sue posizioni si radicalizzarono e fondò con Nikola Kresti ć (agosto 1848 – febbraio 1849) lo “ Slavenski jug ” giornale avverso all’Austria e portavoce dell’associazione “ Slavenska lipa ”. Fondò pure il “ Prijatelj puka ” (L’amico del popolo) che uscì nel 1848 con 15 numeri, ove si rivolgeva al popolo in gran parte composto di contadini e spiegava con parole piane e comprensibili i concetti del liberalismo, del parlamentarismo e dell’austroslavismo. Con la costituzione ottriata del marzo 1849 Kušlan abbandonò l’austroslavismo e collaborò con lo Czartoryski nel cercare un’alleanza croato – magiara contro l’Austria (nota 105). Con il neoassolutismo nel 1857 gli venne inibito il lavoro da avvocato ma nel 1860 con il ritorno delle garanzie costituzionali divenne secondo vice presidente del Sabor. Se da un lato si batteva per una grande autonomia croata dall’altro era fautore di un accordo con l’Ungheria in funzione anticentralista, tanto che Vienna si sarebbe potuta accontentare di una confederazione. Tra il 1865 e il 1867 aderisce al Partito Liberale Nazionale (NLS) pensando che Croazia e Ungheria avrebbero dovuto essere su di un piano egualitario; invece il nagodba o compromesso del 1868 andò nella direzione opposta. Ebbe un ruolo imprecisato nei piani di Eugen Kvaternik nel provocare sollevamenti contro il governo austriaco.

109 Thomas de Grenier de Fonblanque (1793 – 1861), di famiglia ugonotta rifugiatasi in Inghilterra, visconte, console generale e incaricato d’affari in Serbia (1842 – 1859). Assume ad interim il posto del Cerruti e durante la campagna di Crimea informò e adulò con lettere ad hoc , Loed Raglan. Salvo un breve periodo negli Stati Uniti, de Fonblanque passò tutta la vita a Belgrado non apprezzando mai né la Serbia né la sua classe politica. Si diede da fare per una riforma federale dell’Impero ottomano, si batté per un vicereame serbo e per l’introduzione di un sistema parlamentare e di riforme economiche. La sua corrispondenza rivela un sentimento patriottico ed egli è con ciò convinto di offrire un servizio alla Patria e al ministero degli esteri in attesa di una promozione che non verrà mai proprio per la sua mediocrità.

110 Albert Nugent – Wetmeath, di famiglia comitale scozzese con possedimenti in Irlanda e in Croazia. Nacque a Napoli nel 1811 poiché il papà era il generale Laval Nugent (1777 – 1862) nato irlandese con avi provenienti dalla Scozia, che al tempo delle guerre napoleoniche corse a battersi per l’Austria. In Croazia acquistò i possedimenti di Trsat (castello di Tersatto vicino a Fiume), e Bosiljevo (castello nella regione di Karlovac). Laval fu membro della società economica croato – slavona e fu un precoce illirista. Albert, suo figlio, prestò servizio nell’esercito austriaco. Con la venuta del Bano Haller nel 1842, Nugent si presentò a Zagabria alla testa dei suoi serežani (truppe di élite in seno alle truppe confinarie) a tutela del Partito Nazionale (HNS) contro i fautori dell’Ungheria o magiaroni. Nel 1843 nell’assemblea elettorale della županja (unità amministrativa che per estensione può corrispondere a una regione, più sovente a una provincia o alla capitale) di Zagabria si pervenne a scontri tra le due fazioni poiché i serežani si eressero a guardie d’onore dell’illirismo contro il partito filo – ungherese. Nugent fece pervenire di contrabbando in Croazia la testata “ Branislav ” (Colui che difende la gloria, Il guerriero) che iniziò ad uscire a Belgrado nel 1844, finanziato dal gruppo liberale di Karlovac (Tkalac, Mažurani ć ecc.) Allo scoppio della rivoluzione del 1848 si trovava a Vienna e fu membro della delegazione che in aprile parlò all’Imperatore delle richieste croate. Nugent pertanto si era già scontrato con il governo Batthyàny. Delegato del consiglio banale o Banski vije ć, condusse a Zagabria da Novi Sad in Vojvodina, il metropolita e arcivescovo serbo ortodosso di Karlovac, Josif Raja čić (ora pure patriarca di Vojvodina) che tra il 13 e il 15 maggio 1848 (Assemblea di maggio) a Sremski Karlovac proclamò la Vojvodina serba leale verso il potere centrale. Tale situazione durò fino al novembre 1849. Ovviamente i magiari si risentirono anche perché in Vojvodina avevano una forte minoranza. L’8 giugno 1848 Nugent diviene commissario banale di Slavonia e Srijem. Dopo il 1850 divenne colonnello e negli anni ’60 abbandonò la Croazia e si recò in Inghilterra ove morì nel 1896.

111 Franz Seraph von Stadion (1806 – 1853). Nel 1841 era governatore del Litorale Austriaco a Trieste e rimase confermato in tale carica fino al 1846. Dal 1847 al 1848 fu governatore di Galizia e nel 1848 – 1849 fu ministro dell’interno e dell’educazione. Sostenne il governo costituzionale ma promulgò la costituzione ottriata (4 marzo – 7 marzo 1849) che fu in vigore fino alla sua revoca nel 1851 con la Silvester patent (del 31 dicembre 1851). Gli Asburgo così ritornarono nei loro pieni poteri dopo le concessioni del 1848 e soprattutto venne penalizzata l’Ungheria, ridimensionata nel territorio e nello status all’interno dell’Impero. Dopo la costituzione di marzo infatti si assiste alla seconda ondata della rivoluzione ungherese.

112 Franjo Kulmer (1806 – 1853), politico croato e barone. Fu critico verso l’idea jugoslava e verso la collaborazione con i politici serbi , legittimista e lealista verso Vienna, politico assai influente a Corte, propose la nomina a Bano dello Jela čić. Fu l’esponente più reazionario tra i politici croati tanto da cercare nuovamente d’instaurare la servitù della gleba che lo stesso Jela čić nel 1848 aveva abolito.

113 Kàzmér Batthyàny (1807 – 1854), fu ministro degli esteri durante la rivoluzione magiara; all’inizio fu un politico conservatore ma dopo un viaggio in Europa occidentale divenne un liberale e nella Camera dei Magnati appoggiò le riforme dell’industria e delle comunicazioni. Fu un protezionista in economia ma fu favorevole all’abolizione della servitù della gleba. Combatté a Délvidék contro i ribelli serbi e nel 1849 divenne appunto ministro degli esteri, il che dimostra chiaramente la volontà di Pest di separarsi dall’Austria. Fu poi ministro dell’agricoltura, del commercio e dell’industria e nell’agosto 1849 emigrò in Turchia con L. Kossuth e dal 1851 visse a Parigi.

114 Vuk Karadži ć (1787 – 1864) filologo e linguista serbo, riformatore della lingua serba, autore del primo dizionario serbo della lingua riformata, tradusse in serbo moderno il Nuovo Testamento. Frequentò il ginnasio a Sremski Karlovac e poi fu a Petrinja ove imparò latino e tedesco. Dopo la fondazione della Scuola Superiore Belgradese (1808) Vuk fu uno dei primi studenti a frequentarla. A Vienna incontrò lo sloveno Jernej Kopitar – linguista e slavista – e tale esperienza aiutò Karadži ć a riformare l’ortografia serba. In ciò fu molto influenzato da Sava Makalj che abolì l’uso dello slavone ecclesiastico per adottare un dialetto kajkavo (65) cirillico cui a un suono corrispondeva una lettera, senza doppioni o ridondanze. A Karadži ć va comunque ascritto il merito di aver pubblicato le Srpske narodne pjesme ( Српске народне пјесме o Canti popolari serbi) prima in due volumi, che con il tempo giunsero fino a nove. Per volere di P.P Njegoš l’ortografia di Karadži ć si espanse anche in Montenegro. Pur scrivendo in cirillico quindi, egli assume i segni diacritici rapportandosi al dialetto dell’Erzegovina orientale. Assieme a Đuro Dani čić (che tradusse il Vecchio Testamento da una Bibbia tedesca), firmarono il cosiddetto Accordo letterario di Vienna del 1850 che venne pure sottoscritto dallo sloveno Franc Mikloši ć e dai croati Ivan Kukuljevi ć Sakcinski, Ivan Mažurani ć, Dimitrije Demeter (di origine greca) ecc. Solo nel 1878 la Serbia divenne completamente indipendente e possedeva due poli culturali: Belgrado e Novi Sad. L’accordo di Vienna (Karadži ć era già morto) venne abbandonato a favore dello sviluppo di una trasformazione ekavika (65) della jat ( ė) protoslava, il linguaggio della maggioranza dei serbi. Così non si arrivò mai a una lingua sola jekavika (65) come il dialetto Erzegovese, ma sempre e solo ad almeno due lingue, croato e serbo.

Un passaporto ottomano

115 Gyula Andràssy ( il Vecchio) (1823 – 1890), conte e statista. Fu inviato dal Kossuth (1849) in missione a Costantinopoli come plenipotenziario ma la Porta non gli riconobbe alcun carattere diplomatico. Andò in esilio a Londra e nel 1851 l’Austria lo condannò a morte. Nel 1857 fu graziato e nel 1869 fu eletto nella Dieta Magiara. Ebbe una parte importante nel nagodba o compromesso del 1867 che portò alla costituzione dell’Austria – Ungheria e in ciò venne appoggiato dall’Imperatrice Elisabetta. Dal 1867 al 1872 fu Presidente del Consiglio e si alleò con Bismarck onde mantenere la supremazia magiara sull’Austria e per opporsi ad ogni introduzione del federalismo nell’Impero asburgico; inoltre si batté per una neutralità dell’Austria nel conflitto franco – prussiano. Fu Presidente del ministero comune di Austria – Ungheria e fu ministro degli esteri dal 1871 al 1879. Malgrado fosse avversario della Russia, accettò l’Alleanza dei tre Imperatori durante la crisi orientale del 1875 – 1878 e in cambio della neutralità nella guerra russo – turca ottenne il placet russo all’occupazione della Bosnia Erzegovina, diritto che venne confermato con il Trattato di Berlino. Non riuscì ad impedire il risveglio delle nazionalità balcaniche.

116 Artùr Görgey (1818 – 1916). Nobile e militare ungherese. Nel 1845 studia chimica all’università di Praga e nel 1848 entra negli Honved (difensori della Patria) magiari, con il grado di capitano. Ottenne diversi successi contro i croati ma dovette ritirarsi davanti alle truppe di Windisch – Grätz. Venne ai ferri corti con il governo e con Kossuth poiché accusava la politica d’indebita ingerenza nelle faccende militari e segnatamente nei suoi piani. Si ritirò sui Monti Metalliferi slovacchi e cominciò ad agire di propria iniziativa. Nel 1849 riottenne il comando e vinse Windisch – Grätz in diversi scontri, ma perse tempo nell’assedio di Buda ove rimase operativa la Dieta magiara, non attaccò i confini austriaci e rimase inoperoso per diverso tempo. Rifiutò il bastone di feldmaresciallo che Kossuth gli offriva e in dissapore con il governo, divenne comunque ministro della guerra mantenendo il comando delle truppe sul campo. Alle dimissioni di Kossuth da presidente – reggente, Görgey divenne dittatore militare con poteri speciali ma ormai russi e austriaci lo circondavano da ogni lato ed egli si arrese ai russi a Vilàgos con 22.000 uomini tra fanti e cavalieri. Non subì la corte marziale ma venne confinato a Klagenfurt e nel 1867 venne graziato e tornò in Ungheria. Il fatto che non venisse inquisito condusse l’opinione pubblica magiara ad accusarlo di tradimento. Lavorò come ingegnere ferroviario e poi si ritirò a Visegràd.

Malgrado tutte le giustificazioni sul suo operato affidate alle pagine di diversi libri, gli fu difficile venire accettato dal popolo ungherese come un buon patriota.

117 John Ponsonby, primo visconte (creato nel 1834) di Ponsonby (1770 – 1855), politico e diplomatico inglese, membro del Parlamento irlandese (Camera dei Comuni) e poi della medesima Camera ma del Regno Unito. Alla morte del padre il 9 novembre 1806 divenne barone ed ebbe un incarico nelle Isole Ionie, dal 1826 al 1828 è a Buenos Aires indi a Rio de Janeiro. Protesse gli interessi inglesi collaborando alla formazione di due Stati cuscinetto nel mondo: l’Uruguay e il Belgio. Infine fu ambasciatore a Costantinopoli e a Vienna. A Costantinopoli ebbe contatti con il plenipotenziario del Regno di Sardegna barone Romualdo Tecco, l’artefice della politica balcanica di Torino; a Vienna fu dal 1846 al 1850.

118 Ferenc Pulsky (1814 – 1897). Politico e scrittore magiaro; studiò legge e filosofia e nel 1840 venne eletto alla Dieta ungherese. Dopo essersi occupato di finanza in Ungheria e a Vienna divenne un membro del Comitato Nazionale di Difesa. Nel 1851 è a Londra e poi negli USA con Kossuth. Nel 1852 è condannato a morte in contumacia e nel 1860 è in Italia e nel 1862 prende parte alla fallita spedizione di Garibaldi contro Roma e venne imprigionato a Napoli. Nel 166 venne amnistiato dall’Austria e tornò in Ungheria. Dal 1867 al 1876 e nuovamente nel 1884 fece parte della Dieta ungherese aderendo ai moderati – liberali di Deàk. Già massone in Ungheria, ufficialmente venne iniziato nel 1863 a Torino nella Loggia Dante alighieri e in poco tempo divenne 33° grado di rito Scozzese. Al ritorno in Ungheria ristabilì la libera Muratoria con la Loggia Unità e Patria (Egység a hazàban) indi divenne primo Gran Maestro della Loggia di S. Giovanni. Dopo il ristabilimento della Gran Loggia Simbolica di Ungheria risultante dalla Loggia di S. Giovanni e dal Grande Oriente, nel 1866 ne divenne Gran Maestro.

Ante Paveli ć

119 Ustascia (ustaša). Letteralmente vuol dire insorto e anticamente veniva usato per designare i croati che si rivoltavano ai turchi.

120 Enrico Corradini (1865- 1931), politico, scrittore e senatore, uomo di punta del nazionalismo che nel 1903 fonda la rivista “ Il Regno ” con Giovanni Papini, Vilfredo Pareto e Giuseppe Prezzolini e nel 1910 è tra i fondatori dell’Associazione Nazionalista Italiana. Nel 1911 appoggia la guerra di Libia e in collaborazione con Alfredo Rocco e Luigi Federzoni fondò il settimanale “ L’Idea Nazionale ” che nel 1914 divenne quotidiano. Il suo era un nazionalismo nutrito do corporativismo e di populismo. Appoggiò l’intervento nel 1915 e l’impresa di Fiume nel 1919 e invitò D’Annunzio a marciare su Roma; aderì al Partito Nazionale Fascista e divenne senatore nel 1923. Quando Luigi Federzoni divenne ministro nel 1928, il Corradini venne politicamente emarginato, ma dal gennaio 1925 al dicembre 1929 fu membro del Gran Consiglio. * Alfredo Rocco (1875 – 1935). Professore di diritto in diversi atenei italiani, dal 1919 al 1922 diresse “ L’Idea Nazionale ” e nel 1921 venne eletto deputato. Dal 1925 al 1932 fu ministro di grazia e giustizia e degli affari di culto e il suo nome è legato al codice penale e di procedura penale del 1930, il primo ancora in vigore. Divenne senatore nel 1934. * Luigi Federzoni (1878 – 1967), politico e scrittore. Già si è detto della collaborazione con Corradini e Rocco in seno al nazionalismo italiano; nel 1913 divenne deputato nazionalista. Più volte ministro fascista, quando resse gli interni nominò Arturo Bocchini capo della Polizia e poi si dimise per contrasti con l’ala dura del fascismo (Farinacci). Dal 1928 fu senatore e poi presidente del Senato. Nella seduta del Gran Consiglio del 25 luglio 1943 votò contro Mussolini.

121 Uscocchi. Profughi cristiani in genere croati. Costoro sfuggendo all’avanzata ottomana si erano rifugiati sull’Adriatico eleggendo Segna (Senj) cittadina allora sotto l’Austria, come loro centro principale. A partire dal 1540 Venezia fornì una scorta ai mercantili turchi in Adriatico, ma l?Austria appoggiando gli uscocchi, fece sì che costoro d’ora in poi assalissero il traffico veneziano e saccheggiassero cittadine e isole sotto il dominio di Venezia. Dopo Lepanto Venezia aveva firmato la pace con il Turco e gli uscocchi continuarono ad inasprire i saccheggi e la pirateria contro navi dello Stato Pontificio, di Ragusa ecc. Questa situazione portò alla guerra degli uscocchi o di Gradisca che durò tre anni fino al 1617. L’Austria abbandonò gli uscocchi al proprio destino e la maggior parte di loro venne deportata a Žumberak (Samoborsko gorje, nelle vicinanze di Zagabria).

122 Marco Antonio de Dominis. (1560 – 1624). Gesuita, matematico, fisico, filosofo, vescovo di Segna (Senj) dal 1600 al 1602, nobile originario di Arbe (Rab). Dal 1596 fu amministratore del vescovado di Segna (Senj) e quattro anni più tardi ne divenne vescovo, per poi essere nominato arcivescovo di Spalato. Qui scrisse un’opera che puntava al dialogo ecumenico tra le Chiese: “De republica ecclesiastica ” ; tra il 1606 e il 1607 è a Roma e poi a Venezia. Dopo aver scritto un trattato di fisica nel 1611, nel 1615 ebbe uno scontro con il clero e rinunciò al titolo di arcivescovo di Spalato per andare a Heidelberg ed elevare una forte critica alla Chiesa Cattolica e poi in Inghilterra ove a Cambridge gli viene conferito il dottorato in teologia, primo dalmata ad ottenere tale titolo in un ateneo inglese. Nel 1617 il suo “De republica ” è messo all’Indice ma nel 1622 con l’elezione del nuovo Papa Gregorio XV tornò a Roma ove due anni dopo ebbe uno scontro con l’Inquisizione. Incarcerato a Castel S. Angelo, vi morì.

123 Juraj Dobrila (1812 – 1882). Vescovo croato che divenne sacerdote nel 1837 e nel 1839 iniziò gli studi di teologia all’Augustineum di Vienna che terminò nel 1842. Dal 1857 al 1875 fu vescovo di Parenzo e Pola e dal 1875 alla morte, vescovo di Trieste e Capodistria. Studiò con J. J. Strossmayer di cui fu sempre amico e sostenne sempre croati e sloveni dell’Istria nelle loro rivendicazioni. Nel 1848 divenne membro dello Slavjansko društvo o Società slava di Trieste. Sostenne l’introduzione dello slavo nelle scuole e nella vita pubblica e nel 1854 diede alle stampe un libro di preghiere in croato ( Oče, budi volja tvoja! Padre, sia fatta la tua volontà!) e sostenne la pubblicazione del “ Naša sloga ” (La nostra concordia) primo giornale croato in Istria nel 1870. Nel 1889 fu pubblicato postumo un secondo libro di preghiere. Fu membro della Dieta o Sabor di Parenzo fin dal 1861 e suo rappresentante al Parlamento di Vienna fino al 1867. Nel 1870 partecipò al Concilio Vaticano I sostenendo lo Strossmayer che si opponeva al dogma dell’infallibilità papale. Di Matko Laginja, avvocato e politico croato dell’Istria, è sufficiente quanto si reperisce nel testo.

124 Carlo Francesco Giovanni Combi, giurista, politico e storico (1827 – 1884). Si laureò a Pavia nel 1853 in giurisprudenza. Fece parte degli storici raccolti attorno a Pietro Kandler (conservatore dei monumenti per il Litorale e studente a Pavia oltre che a Vienna). Di tendenze liberal – nazionalistiche, la sua opera più nota è “ La Porta Orientale ”, un almanacco ove in vari articoli esprime il programma patriottico italiano, per il quale l’Istria fin dai tempi di Roma aveva conservato l’italianità. Con il Luciani rappresentò l’ala destra del movimento irredentista, tanto che nel 1864 venne criticato dallo stesso Kandler ; perse il lavoro da insegnante al liceo di Capodistria nel 1861 ed entrò nel Comitato politico centrale veneto e tra il 1859 e il 1866 fu massimamente preso dall’azione propagandistica a favore dell’Italia, tanto che sotto minaccia di esilio a Temešvar nella primavera del 1865 lasciò Capodistria e andò a lavorare nelle migrazione triestino – istriana a Torino e a Milano. Dopo le sconfitte di Lissa e Custoza nel 1866, fece appello agli istriani sloveni e croati perché accettassero la cultura italiana, considerandoli popoli senza cultura. Tuttavia nei suoi studi storici e politici usciti postumi nel 1886, dimostra chiaramente di non conoscere la cultura slava e il coinvolgimento in essa di sloveni e croati, popoli da lui negati. * Antonio Madonizza (1806 – 1870) , politico e avvocato laureato a Padova, esercitò la professione a Trieste e dal 1845 a Capodistria. A Trieste fondò la rivista “ La Favilla ” (1836 – 1846) di simpatie slave. Nel 1848 si legò all’ambiente dei politici istriani filo – italiani e venne eletto al Parlamento di Vienna. Era moderato sia verso l’Austria che verso gli slavi. Nel 1849 con il De Franceschi e il Fachinetti richiese l’autonomia amministrativa dell’Istria e il riconoscimento della prevalente nazionalità italiana non volendo un’aggregazione di questa alla Confederazione Germanica. Con l’elezione nel 1862 alla Dieta o Sabor di Parenzo, rientrò nell’agone politico e nel 1867 fu cofondatore del quotidiano “ La Provincia dell’Istria ”. * Tommaso Luciani (1818 – 1894) . Fu podestà di Albona fino al 1849 e poi dal 1859 al 1861. Nel 1848 reclutò volontari da inviare alla difesa di Venezia, da inserire nella Legione dalmato – istriana con lo scopo dichiarato di annettere l’Istria a Venezia oltre che eventualmente all’Italia. Nel 1859 è fautore dell’unione all’Italia e nel 1861 è a Milano per patrocinare la causa istriana, quella giuliana e quella trentina oltre che quella veneta e divenne amico di Garibaldi. Nel 1866 fu l’uomo di punta del comitato triestino – istriano ma viste frustrate le sue speranze per la sconfitta italiana, si ritirò a vita privata. * Francesco Vidulich (1819 – 1889). Laureato in giurisprudenza, di origini croate, costituisce un tipico esempio di snazionalizzato istriano – isolano in quanto slavo originario di Lussinpiccolo. Fu italofilo di orientamento irredentista e fu pure vice presidente del Parlamento per i territori cisleithani (sotto diretta amministrazione asburgica, territorio al di qua del fiume Leitha, affluente del Danubio) e presidente della Dieta parentina.

125 Petar Studenac (1811 – 1898) divenne sacerdote nel 1834 e nel 1838 divenne parroico di Canfanaro (Kanfanar). Studenac fu il parroco di tutti parlando correntemente tre lingue: croato, italiano e tedesco. Fu legato alla Croazia e scrisse diverse volte agli illiristi di Zagabria e inviò pure le proprie poesie a Ljudevit Gaj affinché le pubblicasse sulla “ Danica ”. Fu un esponente del risveglio croato nell’Istria e dal 1842 fu membro della “ Matica Ilirska ” e diffuse tra il popolo l’insegnamento del croato scritto e parlato. Con lui abbiamo ricordato almeno tre dei più importanti “narodnjaci ” istriani del XIX secolo, ossia fautori del diritto di espressione nazionale croato: il vescovo Dobrila, l’avv. Laginja e da ultimo lo Studenac.

126 Marchese Gianpaolo Polesini (1818 – 1882), laureato a Padova in giurisprudenza, studiò precedentemente a Udine e a Vienna. Nel 1848 simpatizzò per il separatismo e la liberazione dell’Istria e nel 1857 fu deputato a Vienna. Nel 1861 fu capitano provinciale e presiedette la Dieta di Parenzo. Come podestà di Parenzo fondò la Società Agraria Istriana e fu in corrispondenza con Madonizza, Luciani e Kandler.

127 Vittorio Mazzotti del Servizio Informazioni Militari (SIM) era il perno dell’organizzazione dei gruppi eversivi, addetto con funzioni speciali alla legazione italiana di Vienna (1926 – 1933) era anche l’ex responsabile milanese del Comitato per l’indipendenza del Montenegro, scippato a re Nikola dai serbi. L’Italia avrebbe voluto qui uno Stato indipendente, ma Belgrado, appoggiata dalla Francia precedette le mosse italiane e occupò Podgorica, la capitale, sciogliendo armi in pugno il Parlamento e annettendo con il Trattato di Pace il piccolo Montenegro al Regno dei Serbi, Croati e Sloveni. (SHS) La prima sezione del SIM o Stati Esteri veniva detta “situazione” e con essa collaborarono gli addetti militari presso le ambasciate. A Torino vi era un ufficio “statistica” del SIM, punta avanzata verso la Francia per ordire attentati e omicidi. Oltre alla sezione suddetta del SIM vi era un ufficio Croazia del ministero degli affari esteri che si occupava degli irredentisti e un altro ufficio Croazia si trovava presso il ministero dell’interno e seguiva gli addestramenti militari e paramilitari in Italia, di estremisti croati, macedoni e kosovari.

128 Stjepan Dui ć (1877 – 1934) . Da parte di madre era cugino di Ante Star čevi ć, nazionalista croato, analizzò a fondo i pericoli di una Grande Serbia per la Croazia. Servì nell’esercito austro – ungarico in Bosnia e in Serbia e nel 1918 fu posto al comando dell’Orient Korps composto da croati cattolici e da musulmani di Bosnia. Tale Korpus sarebbe dovuto andare in Siria ma alla fine venne impiegato in Albania, in Serbia e in Macedonia. Nel 1918 fu per breve tempo ufficiale nella 1° Armata serba del nuovo Stato SHS ma nel 1919, date le dimissioni, andò in esilio e collaborò con organizzazioni di emigranti croati in Austria e in Ungheria e con la costituenda Legione croata con cui si voleva liberare il paese. Ebbe scontri durissimi con Ivo Frank figlio di Josip, capo del Partito del Diritto, tanto che i due si spararono a vicenda. Dopo la dipartita di Paveli ć, Dui ć, amico di Vittorio Mazzotti, organizza la costituzione di formazioni militari ustaša e viene ucciso nel 1934 a Karlowy Vary (Karlsbad) dai servizi segreti jugoslavi.

129 Roberto Forges Davanzati (1880 – 1936). Giornalista e politico, ex socialista, nel 1910 divenne nazionalista e fu cofondatore del quotidiano “ L’idea nazionale ” di cui divenne direttore nel 1922. Fu però contrario alla fusione con il Partito Fascista. Dal 1923 in poi tuttavia, fece parte dell’ala intransigente del partito. Nel dicembre del 1925 divenne direttore della “ Tribuna ”. Nel 1934 fu nominato senatore.

130 Amm. Umberto Cagni (1863 – 1932). Nel 1881 è guardiamarina e nel 1889 incontra Luigi Amedeo di Savoia, il futuro duca degli Abruzzi divenendo suo ufficiale d’ordinanza. Insieme parteciparono alla scalata del M. S. Elia in Alaska. Nel 1898 il duca degli Abruzzi preparò una spedizione nel Mare Artico e nel 1899 navigando con la baleniera Stella Polare arrivò all’isola Principe Rodolfo ove fissò il campo base. L’11 marzo 1900 Cagni prese il comando della colonna di slitte su tre gruppi e vennero raggiunti gli 86°34’49 nord che fino al 1903 furono la latitudine più alta toccata dall’uomo. Occorre vedere se si parla di polo nord geografico o magnetico. Nel 1902 è capitano di fregata sui cacciatorpediniere e nel 1906 viene richiamato da Luigi Amedeo di Savoia per l’esplorazione del Ruvenzori. Divenne capitano di vascello e comandò diverse corazzate: la Napoli, la Sicilia e la Re Umberto con cui nel 1911 bombardò Tripoli che occupò fino all’arrivo delle truppe del gen. Caneva. Ricevette l’Ordine Militare di Savoia e la promozione a contrammiraglio. Tra il 1912 e il 1913 dimostrò interesse per quelli che allora venivano detti “idroplani” gli antenati degli idrovolanti. Aveva intuito l’importanza degli arerei di supporto alle navi. Dopo un periodo di collocamento in disponibilità per aver fatto incagliare l’incrociatore S. Giorgio, nel 1914 venne richiamato in servizio. Fu convinto interventista e si deve a lui l’utilizzazione dei pontoni galleggianti muniti di artiglierie di medio calibro provenienti da navi ormai obsolete, tra Grado e Monfalcone onde bombardare le posizioni avversarie. Fu a Valona, a Brindisi e a La Spezia. Il 5 novembre 1918 fu incaricato di occupare Pola ove dovette vedersela con il neo costituito Stato serbo – croato e sloveno, con i francesi e con gli austriaci (cechi, ungheresi ecc.) che smobilitavano. Il nuovo Stato slavo meridionale venne proclamato il 29 ottobre 1918 a Zagabria dal Comitato Nazionale che chiese l’unione con il Regno di Serbia. Con non poche difficoltà i forti di Pola vennero occupati tra il 5 e il 22 novembre. Un ruolo importante ebbe il tenente Sem Benelli dei servizi italiani, sbarcato a Pola per primo su una torpediniera al comando di Costanzo Ciano. Nel 1919/1920 consigliò D’Annunzio a trattare con il governo italiano per la questione di Fiume. Nel febbraio 1920 divenne senatore e il 1°ottobre 1923 venne collocato a riposo;sostenne il regime fascista e fu discusso presidente della commissione d’inchiesta sulla spedizione Nobile.

131 Enrico Millo (1865 – 1930), conte, militare e politico, nel 1884 è guardiamarina. Durante la guerra italo – turca il capitano di fregata Enrico Millo nella notte tra il 18 e il 19 luglio 1912 forzò i Dardanelli per 22 km. senza riportare danni. Nel 1913 diviene senatore e durante il primo conflitto mondiale comandò con il grado di ammiraglio e con poco successo, le operazioni in Adriatico. Dal 1918 al 1920 fu governatore della Dalmazia e il 14 novembre 1919 accolse a Zara D’Annunzio che era impegnato a Fiume e dichiarò verbalmente che s’impegnava a tenere la Dalmazia fino all’annes- sione all’Italia, cosa che non ebbe mai luogo. Nel 1922 è commissario per il porto di Napoli.

132 Ivo Frank (1877 – 1939), politico, avvocato e leader del Partito Croato del Diritto (HSP), figlio di Josip Frank. Nel 1895 venne incarcerato per aver distrutto simboli e bandiere magiari a Zagabria; nel 1902 fu protagonista nei disordini antiserbi ma venne scagionato da ogni accusa e liberato. Lo stesso accadde all’indomani dell’attentato di Sarajevo nel 1914. Fu membro del Sabor nel 1911 e tra il 1913 e il 1918. Nel 1914 è in Galizia come ufficiale d’artiglieria. In Parlamento si batté strenuamente contro gli interessi imperialistici dell’Italia e della Serbia. Apparteneva al gruppo raccolto attorno all’erede al trono l’Arciduca Francesco Ferdinando che voleva un Impero “a tre” ossia Austria – Ungheria e Croazia e Frank fino alla fine cercò un dialogo sia con gli Asburgo che con i magiari onde definire la posizione della Croazia in seno all’Impero. Venne arrestato dal nuovo Regno dei Serbi, Croati e Sloveni e liberato a Natale 1918. Nel 1919 è in Austria ove opera un Comitato croato mirante all’autonomia di Croazia, Montenegro e all’annessione della Vojvodina all’Ungheria. Collaborò con il Consolato Generale di Montenegro a Roma e con gli italiani per una restaurazione in Montenegro. Dopo il Trattato di Rapallo del 1920 abbandonò la politica e si ritirò a Budapest dove nel 1927 scrisse una lettera all’ambasciatore italiano in Ungheria Conte Ercole Durini di Monza onde riallacciare i rapporti con l’Italia.

133 Eugenio Colseschi (1888 – 1969), avvocato, politico e militare. Segretario di D’Annunzio nell’impresa di Fiume, in collaborazione con Giovanni Giuriati (poi pezzo grosso del regime fascista) diede vita a trattati stipulati dalla Reggenza del Quarnaro e i movimenti antijugoslavi e nazionalisti di Croazia, Slovenia, Montenegro, Kosovo, Macedonia e Vojvodina. Confluì nel movimento fascista e nel 1929 venne eletto deputato, mentre nel 1939 divenne consigliere della Camera dei Fasci e delle Corporazioni (settore previdenza e credito). Sostenne l’universalismo fascista con i Comitati d’Azione per l’Universalità di Roma o CAUR sia per avere sotto controllo filo –fascisti stranieri residenti in Italia che per creare una rete tra il partito guida di Roma e i vari partiti fascisti europei in Finlandia, nelle Repubbliche Baltiche e nei Balcani. Aderì alla RSI e nel dopoguerra fu docente all’Istituto per gli Studi Sociali.

134 Mile Budak (1889 – 1945), politico, scrittore e ideologo croato. Nel 1912 venne arrestato per aver partecipato all’assassinio del Bano Slavko Cuvaj e nel 1914 divenne ufficiale nell’esercito austro – ungarico. Nel 1915 venne catturato dai serbi e come prigioniero dovette compiere la difficile ritirata attraverso l’Albania assieme ai resti dell’esercito serbo. (1915 – 1916). Tornato a Zagabria nel 1920 si laurea in legge e va a lavorare nell’ufficio di Ante Paveli ć. Venne eletto nel comune di Zagabria per il Partito Croato del Diritto (HSP) e diventa capo di tutto il partito nel momento in cui Paveli ć emigra. Nel 1929 collabora per breve tempo con Vlatko Ma ček in quel momento della coalizione contadino – democratica o SDK. Nel medesimo anno è in carcere e nel 1932 subisce un attentato. Il 2 febbraio 1933 emigra prima in Austria indi in Germania e in Italia. Nel 1934 è a Berlino dove dà alle stampe pubblicazioni sul problema croato e nel 1935 Paveli ć lo nomina comandante dei campi di addestramento in Italia. Fu a Lipari, Palermo, Messina e Napoli ove si diede a scrivere romanzi. Qualche studioso lo dice massone. Fino al trattato costitutivo della Banovina Croata nel 1939, si tenne su posizioni più moderate simili a quelle del Partito Contadino Creato (HSS) ma poi insorse violentemente contro tale accordo e il settimanale “Hrvatski narod” viene sequestrato e lo stesso Budak viene incarcerato. Nel 1941 alla proclamazione dello Stato Indipentente di Croazia o NDH si trova in ospedale e nel dicembre 1941 è membro dell’Accademia delle Scienze; più volte ministro, fugge da Zagabria il 6 maggio 1945 ma viene riconsegnato dagli inglesi agli jugoslavi che lo condannano a morte.

135 Milan Stojadinovi ć detto Stoja (1888 – 1961), politico ed economista jugoslavo di origine serba. Nel 1910 si laurea in giurisprudenza e nel 1911 in economia a Belgrado.

Prosegue gli studi in Francia, Germania e Gran Bretagna. Nel 1914 lavora al ministero delle finanze e segue il governo in esilio a Corfù ove tra il 1916 e il 1918 riesce a operare una stabilizzazione del dinaro; militò nel Partito Radicale Popolare (NRS) che cessò di esistere nel 1929 con la dittatura di re Alessandro e nel 1935 fondò un nuovo partito denominato Comunità Radicale Jugoslava (JRZ) e divenne Primo Ministro, carica che tenne dal 1935 al 1939 e ministro degli esteri. Conscio della potenza oppressiva dei paesi dell’Asse, Stojadinović cercò di avere buoni rapporti soprattutto con Roma. La moglie Augusta, conosciuta a Corfù, di padre greco e madre tedesca lo aiutò molto soprattutto nei colloqui con il conte Ciano su cui pare avesse influenza, data anche la sua rara bellezza. Stojadinovi ć firmò così nel 1937 un trattato di non aggressione con l’Italia detto appunto Patto Ciano – Stojadinovi ć e un trattato di amicizia con la Francia per bilanciare il conto. Nel medesimo anno cercò pure di attuare un Concordato con la S. Sede che però non riuscì a causa dell’avversione della Chiesa ortodossa serba. Nel 1938 venne rieletto Primo Ministro ma molti gli rimproveravano di non aver saputo pacificare i croati, di aver dato un potere esagerato alle sue “camicie verdi” in tutto simili a quelle nere italiane e infine di non aver assicurato prosperità alla Jugoslavia come promesso. Il principe Paolo Kara đor đevi ć (reggente dopo la morte di re Alessandro a Marsiglia nel 1934) lo sostituì il 5 febbraio 1939 con Dragisa Cvetkovi ć. Dopo l’occupazione italiana dell’Albania che Ciano e Stojadinovi ć avevano previsto di fare insieme, il filo – inglese principe Paolo, probabilmente legato alle logge massoniche, in accordo con Giorgio VI lo fece deportare all’isola di Mauritius ove rimase fino al 1945. Nel 1946 andò a Rio de Janeiro e poi a Buenos Aires ove divenne consigliere economico e fondatore del quotidiano “ El economista ”. Nel 1954 progettò con Ante Paveli ć un colpo di Stato nella Jugoslavia comunista onde fondare due entità statali indipendenti: una croata e una serba.

136 Dragisa Cvetkovi ć (1893 – 1969), politico jugoslavo di origine serba. Fu Primo Ministro dal 1939 al 1941 e con l’accordo siglato con il leader croato Vladko Ma ček, vicepresidente del consiglio e capo del Partito Contadino croato (HSS), creò la Banovina di Croazia nel 1939. Abbandonò la Serbia nel 1944 e attraverso la Bulgaria e la Turchia si stabilì definitivamente in Francia. La Banovina era un’unità autonoma costituita il 26 agosto 1939 per dare autonomia ai croati in seno al Regno di Jugoslavia e cessò di esistere nell’aprile 1941 con l’invasione degli eserciti dell’Asse. Essa comprendeva in pratica la Croazia, la Slavonia, la Dalmazia, la Bosnia Croata. L’Erzegovina e lo Srijem. In pratica quasi una Grande Croazia.

*Vladko Ma ček (1879 – 1964), politico e avvocato croato, leader del Partito Contadino. Tra il 1929 e il 1934 al tempo della dittatura di re Alessandro Kara đor đevi ć, venne più volte arrestato. Con l’invasione dell’Asse si ritirò a vita privata ma subì arresti e controlli. Il 6 maggio 1945 si consegnò agli anglo – americani e si trasferì poi a Parigi, Londra e Washington. Lottò contro il titoismo sostenendo l’autonomia croata.

137 Ivan Šubaši ć (1892 – 1955). Partecipò alla prima guerra mondiale e al termine di questa entrò nel Partito Contadino Croato. Nel 1935 fu eletto deputato e nel 1939 divenne Bano della Banovina croata o Banato Autonomo di Croazia. Crollata la Jugoslavia, nel 1941 andò in esilio con il Primo Ministro Dušan Simovi ć e re Pietro II, prima negli USA e poi a Londra. Nel luglio del 1944 in seguito alle dimissioni di Božidar Puri ć da Premier, re Pietro incaricò il Šubaši ć (entrambi erano massoni) di formare un nuovo governo dal quale però vennero esclusi tutti i serbi. Liberata Belgrado nel 1944 dai sovietici di Tolbukhin e dagli jugoslavi, Šubaši ć rientrò in Jugoslavia e stipulò un accordo con Tito (su cui oggi si discute della appartenenza o meno alla Massoneria), poi sottoposto a Londra e a Mosca, ove Šubaši ć avrebbe dovuto essere il primo presidente della Repubblica Popolare Federale di Croazia (FNRH). Il 22 gennaio 1945 re Pietro lo destituì ma fu costretto a riassumerlo per la pressione degli esuli e dell’opinione pubblica. Fu ministro della difesa nel primo governo Tito e poi si ritirò a vita privata a Zagabria ove morì nel 1955.

138 Dušan Simovi ć (1882 – 1962) generale e politico serbo. Partecipò alle guerre balcaniche e alla prima guerra mondiale e dopo il conflitto fu uno degli artefici della rinascita dell’aeronautica jugoslava di cui fu il comandante in capo fino al 1940. Fu protagonista del putsch filo – inglese del 27 marzo 1941 ove arrestò ed esiliò il principe Paolo (prigioniero in Grecia e poi in Kenia degli inglesi) divenuto filo – tedesco per necessità e fece arrestare capo del governo e ministro degli esteri proclamando infine Pietro II re. Il principe Paolo si era visto costretto a firmare il Patto Tripartito il 25 marzo 1941 dopo Ungheria, Romania, Bulgaria e Slovacchia. Dušan Simovi ć prese contatti con gli Alleati occidentali e incontrò il generale inglese John Dill dando l’illusione di avere dalla sua parte la Jugoslavia. Tuttavia occorre anche vedere quanto cinismo ci fosse da parte degli inglesi che ben sapevano i piani di Hitler verso la Jugoslavia. Fino al 16 gennaio 1942 fu Premier a Londra del governo in esilio. Tornò in Jugoslavia dopo l’ascesa di Tito e si dedicò a scrivere opere di carattere militare.

139 Conte Josip Bombelles o de Bombelles (1894 – 1942) di famiglia di origini francesi (Orléans) o secondo alcuni portoghese, in Croazia fin dal XVIII secolo. Nel 1914 partecipò alla fondazione della prima industria croata per la produzione di films “ Croatia ” a Zagabria di cui fu uno dei dirigenti. Acquistò il castello di Klenovik nei pressi di Varaždin di cui fu padrone per tre anni e poi lo vendette all’ufficio centrale per l’assicurazione dei lavoratori. Collaborò con i ricchi industriali Amedeo e Alfredo Carnelutti membri di spicco del Partito Contadino Croato ed emissari di Vladko Ma ček in Italia poiché figli di un console italiano in Croazia e amici di Dino Alfieri. Il che dimostra che gli italiani non avevano solo Paveli ć. Come il padre, Josip Bombelles amava l’automobilismo ed è noto un suo lavoro del 1930 sull’uso dell’alcol per i motori a scoppio. Secondo molte fonti era massone e secondo altre informatore del Principe Paolo e quindi era al servizio dello stato maggiore jugoslavo. Possedeva anche la cittadinanza inglese. Era una spia dai giochi infiniti. L’Inghilterra lo impiegò per fermare, senza successo, l’alleanza dell’Italia con la Germania. A Ciano si presentò come emissario di Ma ček e a questi e a Paveli ć non andava a genio per i suoi insuccessi. Sebbene poi avesse messo in contatto Ciano e Paveli ć il 23 gennaio 1940 onde organizzare il piano d’insurrezione in Croazia e attuare la secessione da Belgrado, cadde in disgrazia presso entrambi. Era ambizioso perché nel nuovo governo croato avrebbe mirato al ministero delle finanze. In più può darsi che Ciano e Paveli ć avessero subodorato che Bombelles menava solo il can per l’aia. Il vento della politica girò e per il momento l’Italia rinuncio ad ogni piano di rivolta in Croazia. Ma ček aveva infatti informato tramite i Carnelutti, che i tedeschi avevano scoperto che Bombelles era sul libro paga di Belgrado e la notizia attraverso canali croati viene fatta filtrare anche a Paveli ć che nel maggio 1940 dà ad intendere a Ciano che Bombelles fa il doppio gioco. Evidentemente i tedeschi avevano ben altri piani di guerra che non quelli assai “economici” dell’Italia. Infatti se la rivolta in Croazia fosse avvenuta, quante forze italiane avrebbero dovuto poi portarsi al confine orientale per invadere la Croazia considerando le divisioni binarie (due reggimenti per tre battaglioni più uno di artiglieria) e la scarsa preparazione dell’esercito? Il che non era precisamente il problema della Germania. Inoltre vi erano senza dubbio delle trattative con Ma ček perché il Partito Contadino si era dotato (con la Banovina) di una milizia armata molto più numerosa degli ustascia. Bombelles fu vittima di un attentato degli ustascia che andò a vuoto. Con l’avvento dello Stato indipendente di Croazia nel 1941 egli si trova a Zagabria ove viene arrestato e condotto nel campo di Stara Gradiška (altri dicono Jasenovac) ed eliminato nel marzo 1942 come spia e massone.

140 Filippo Anfuso (1901 – 1963) . Come giornalista collaborò con la Nazione e La Stampa in qualità di corrispondente dalla Germania e seguì l’impresa di D’Annunzio. Laureato in giurisprudenza, entrò in diplomazia nel 1925 e successivamente andò a Monaco di Baviera, Berlino, Budapest, Pechino e Atene. Partecipò alla guerra di Spagna ufficialmente come tenente d’artiglieria, ma in realtà il 24 novembre 1936 garantirà il sostegno dell’Italia a Franco. E’ citato tra i mandanti dell’assassinio dei fratelli Rosselli assieme a G. Ciano e M. Roatta capo del SIM, il cui ufficio “statistica” torinese ebbe un ruolo in tale delitto politico compiuto dai membri della Cagoule organizzazione di estrema destra francese. Nel 1938 divenne capo gabinetto del ministro degli esteri Galeazzo Ciano e fu qui che incontrò l’amico Amedeo Carnelutti emissario di Ma ček. Nel 1941 fu in missione in Croazia e in Grecia e nel 1942 a Budapest, tutto dove il conflitto si estendeva. Era comunque fautore dello sganciamento dalla Germania come il suo amico Ciano. Aderì alla RSI e divenne ambasciatore a Berlino e il 26 marzo 1945 divenne sottosegretario agli esteri. Condannato a morte nel 1945 si rifugiò in Francia ove venne arrestato e indagato per due anni e infine venne rilasciato e si rifugiò in Spagna. Una sentenza della Corte d’Appello di Perugia del 1949 lo assolse da ogni addebito, un prodotto dell’amnistia Togliatti del 1946. Nel 1950 rientra in Italia e diviene membro dello MSI e per tre legislature fu deputato.

141 Strategie territoriali dei principali movimenti slavi.

Gli italiani uscirono perdenti non solo dalla guerra, ma tutto il castello costoso di complotti che era stato messo in opera si sciolse come neve al sole anche perché va ribadito che ogni fazione slava in lotta, riguardo a Istria e Dalmazia, possedeva le medesime idee e concordava con le altre sul piano delle acquisizioni territoriali. Il 20 dicembre 1941 Draža Mihailovi ć, capo del movimento četnik , emise delle istruzioni in cui tra l’altro si diceva: “Il nostro paese si trova ancora sempre in guerra con i nostri nemici secolari, i tedeschi e gli italiani… Gli scopi delle nostre formazioni sono: 1)- La lotta per la liberazione dell’intiero nostro paese sotto lo scettro di S. A. Re Pietro II; 2)- Instaurare una Grande Jugoslavia e in essa una Grande Serbia etnicamente pulita nei confini di Serbia, Montenegro, Bosnia - Erzegovina, Srem, Banato e Ba čka; 3)- Lotta per includere nel nostro Stato, anche tutti i territori slavi non ancora liberi sotto gli italiani e i tedeschi (Trieste- Gorizia- l’Istria e la Carinzia), come anche la Bulgaria e l’Albania settentrionale con Scutari. 4)- Pulizia del territorio statale da tutte le minoranze nazionali e da tutti gli elementi non nazionali.” (cfr. Etni čko Čiš ćenje (Pulizia etnica) – Grmek – Gjidara – Šima c- Nakladni Zavod Globus- Zagreb - 1993 p.144 – ne esiste anche un’edizione in francese).

Vasa Ćubrilovi ć, uno degli attentatori di Sarajevo 1914 e quindi ex - Mano Nera, che da četnik divenne comunista, probabile massone, nel 1944 scriveva per la nuova Jugoslavia federativa e democratica ( p.154 op. cit .) che l’espatrio degli Italiani andava incoraggiato. E nel suo “ Manjinski problem u novoj Jugoslaviji “ del 03-11-1944, scrisse: ”Noi non abbiamo richieste territoriali contro l’Italia, all’infuori dell’Istria e di Gorizia . Perciò col diritto dei vincitori siamo giustificati nel richiedere agli Italiani di riprendersi le loro minoranze in Istria e Dalmazia ”.Tutti gli Italiani insediati dopo il primo dicembre 1918 avrebbero dovuto andarsene. Naturalmente la pubblicazione era rivolta pure verso magiari, tedeschi e albanesi.

Paveli ć, dal canto suo, già non aveva reso tutta la Dalmazia agli italiani come pattuito e poi istituì l’Autorità per l’amministrazione civile. Il 10 settembre 1943 (l’armistizio era stato firmato l’8 settembre) inviò il dr. Oskar Turina, sottosegretario agli Esteri, come autorità per il territorio liberato del Gorski Kotar, del Litorale Croato (Hrvatsko Primorje) e l’Istria e per i territori delle grandi contee di Modruš, Vinodol e Podgorje, Ga čka e Lika, con sede a Rijeka (Fiume ). Il dr. Bruno Nardelli divenne l’Autorità per la Dalmazia liberata e per le grandi contee di Bribir, Sidraga e Ćetina con sede a Split (Spalato). Lo status esclusivo di tali zone liberate dagli italiani, venne proclamato il 20 maggio 1944, anche se il progetto ebbe inizio già nella primavera del 1943, probabilmente prevedendo il crollo italiano. L’istituzione era diretta da Zagabria e nel febbraio 1944 si spostò da Rijeka (Fiume) a Kraljevica (Porto Re) e questo perché i tedeschi non volevano ingerenze nell’Adriatische Künstenland in quanto zona operativa annessa al Reich. A Kraljevica l’ufficio dell’Autorità fu chiuso e rimase così un’istituzione burocratica senza scopo pratico. A Zara venne posto un Consolato dell’NDH perché l’autorità venne respinta dalle autorità della RSI che comunque erano sotto l’occhio vigile dei tedeschi; l’ufficio per la Dalmazia a Spalato venne chiuso il 31/12/1943 perché non più necessario. Anche l’NDH croato avrebbe voluto annettersi gli stessi territori. (Nikica Bari ć - Uspostava i djelovanje prave NDH u dijelovima Dalmacije nakon kapitulacije Italije - Zavod za Hrvatsku Povijest Vol.31 - Zagreb - 1998 . Mario Mikoli ć - Istra 1941 - 1947 izd/ed. Barbat – Zagreb - 2003 - pp. 315 - 318). In realtà il 12 settembre 1943 lo stesso Paveli ć propose a Hitler la linea di confine al M. Maggiore (Učka ) ma i tedeschi medesimi, diventati improvvisamente amanti del diritto internazionale, ricordarono a Paveli č che con l’Italia erano stati firmati i Trattati di Rapallo del 1920 e di Roma del 1924, mai abrogati e sempre in vigore; inoltre l’NDH non ebbe mai rapporti né col Governo Badoglio del Sud Italia, né con la RSI che peraltro non avevano alcun potere in tali regioni e quindi dovevano dipendere dal parere dei tedeschi, un comportamento ben diverso rispetto ai desiderata croati. Quello che gli italiani non avevano compreso a fondo e quando lo compresero fu troppo tardi, è che in ogni caso avrebbero perso dei territori, perfino se avessero vinto la guerra con i tedeschi.

Il libro si propone di passare in rassegna a partire dal XVII secolo fino ad oggi, i profili storici dei croati in città e in Piemonte. Molto è stato scritto sui polacchi, sui magiari e su altre nazionalità e sui croati poco o nulla. Vi sono personaggi di spicco nella storia d’Italia e non tutti sono dei militari. Alcuni sono politici, altri letterati e musicisti. Molti sono del tutto sconosciuti all’interno delle masse di esuli che ci regalò la storia del XIX e del XX secolo. Ecco un testo che sistematicamente apporta alcune considerazioni sull’operato di un’etnia che è pure una nostra minoranza linguistica.