Ferdinando Ranalli Nacque Nel Teramano Il 2 Febbraio 1813 Da Una Famiglia Agiata, Il Padre Fu Sindaco Di Nereto, Poi Funzionario a Teramo E a L’Aquila
Total Page:16
File Type:pdf, Size:1020Kb
Ferdinando Ranalli nacque nel Teramano il 2 febbraio 1813 da una famiglia agiata, il padre fu sindaco di Nereto, poi funzionario a Teramo e a L’Aquila. Avviato al sacerdozio, studiò nelle Marche. Visse a Firenze e a Pisa, dove nel 1849 ebbe la cattedra di storia, assegnatagli dal governo di Francesco Domenico Guerrazzi. Questa sua opera, che mettiamo a disposizione di amici e naviganti, sgradita ai Borboni, costrinse il padre a lasciare gli incarichi pubblici. Dopo l’unità d’Italia fu membro del Consiglio superiore della Pubblica Istruzione nel 1865, poi deputato nella X legislatura. Il pregio di quest’opera, al di là del linguaggio erudito e toscaneggiante, è quello di descrivere gli avvenimenti del 1848 nei vari stati italiani, cercando di attenersi ai fatti e alla documentazione in suo possesso. Affatto tenero con i Borbone, non tralascia però di sottolineare le intemperanze e le velleità dei liberali. Riportiamo un ampio stralcio sugli avvenimenti del 15 maggio a Napoli. “Erano le otto ore della sera, e i deputati continuavano a disputare. I più erano d’accordo, e cercavano anco le vie della moderazione, ma non sapevano trovarle, o per poco accorgimento, o perché erano sviati da’ pochi deputati senza freno, la maggior parte calabresi; i quali volevano a partiti estremi venire. Alla fine, non sapendo fare altro, deliberarono di mandar fuori un editto dell’assemblea, pregando il popolo a tranquillarsi. E in questa, si davano la posta pel giorno dopo, affine di condursi ordinatamente al luogo della publica adunanza, quando uditosi che i deputati Piccolellis e Cacace erano l’un dopo l'altro chiamati a palazzo, sospesero la publicazione dell’editto, e il dipartirsi dalla sala, aspettando di sentire l’effetto di quella conferenza col re. A mezza notte tornò il Cacace, e disse; contentarsi il re che alla forma del giuramento da lui usata il 29 febraio, si aggiungesse: «salvo lo ampliamento delle leggi dipendenti dallo statuto.» Intanto il popolo, come interviene in questi casi, e particolarmente in città popolosa e imaginosa, come Napoli, era andato assembrandosi intorno al palazzo di Montoliveto e pingendosi dentro la corte: né mancavano deputati imprudentissimi che di quando in quando gl’indirizzavano parole di concitazione; talché le cose cominciavano a prendere sembiante di tumulto. Il re, a cui non dovevano mancare attenti rapportatori di quanto accadeva a Montoliveto, impaurito (o forse anche per venire ad un esperimento della sua potenza) ordinò, o lo indussero a ordinare, che i principali luoghi della città fossero occupati da milizie regolari, nel tempo che i deputati discutevano se la forma del giuramento colla giunta riferita dal Cacace dovesse accettarsi; ed essendo raccolti da dodici ore, e noiati per lo digiuno e la stanchezza, erano in sull’accordarsi di vincerla senz’altra disputazione, quando entrato precipitoso Giovanni la Cecilia, abbenché deputato non fosse, con voce e gesti da forsennato, grida: «signori, le milizie sono uscite degli alloggi: elle volgonsi ad assaltare il popolo, e i suoi rappresentanti: non altro rimanere che abbarcarsi per le vie e difendersi.» I deputati da prima allibirono; poi con voto unanime risposero, ch'essi riprovavano quel pensiero: e in pari tempo mandarono alcuni capi della guardia cittadina, che erano altresì deputati, affinché, presa buona informazione dello stato delle cose, adoperassero d’impedire disordini. Ma già lo abbarcarsi delle vie era cominciato, e i militi cittadini, anziché vietare, o non facevano alcuna opera, o davano mano. E ben allora si provò tutto il male fatto da’ primi ministri costituzionali di non ben ordinare a tempo la guardia civica, rimasta un pezzo senza capi; e quando poi definitivamente gli acquistò, aveva fatto l’abito a niuna disciplina: ovvero detti capi non riescirono a dargliela. Credevano i più che la milizia civile fosse una congregazione di uomini armati da fare ognuno quel che voleva. Né parmi da tacere che la mala composizione di essa servì a mettere sempre più in chiaro quanto rimanesse ancora per forbire quei popoli da’ rei costumi acquistati nella lunga servitù; imperocché se nelle altre parti d’Italia non mancarono ambizioni di gradi, in nessun luogo partorirono i gareggiamenti che in Napoli s’accesero; i quali poi nelle provincie, dove era maggiore bestialità, cambiavansi in risse, uccisioni e tumulti; e mentre nessuno o pochi volevano servire da semplici militi, ognuno di essere graduato spasimava; e in alcuni comuni bisognò accrescere il numero delle compagnie per satollare più cupidigie di comando. Così quelle genti intendevano la libertà. Al primo asserragliarsi delle strade, preso il re da maggiore spavento, e chiamato il ministro Manna, succeduto nell’erario al conte Ferretti, lo mandò in fretta a’ deputati per dir loro, ch'ei consentiva fare la ceremonia di adunare il parlamento all’ora deliberata senza obligo che giurassero. Del quale annunzio lieti oltre modo i deputati, senza indugio notificarono per bando che, essendo tolta ogni differenza fra essi e il principe, raccomandavano di togliere le sbarre dalle vie, procacciando ognuno che la quiete fosse alla città prontamente restituita. Furono parole vane. Già gli eccessivi uomini eransi intramessi; i quali non so se fossero republicani, ma è certo che erano gente perduta; e per giunta pessima dicono, che vi si accozzassero alcuni Francesi sbarcati dal navilio che sotto il comando del vice ammiraglio Baudin nel porto di Napoli dimorava; e secondando il costume della loro patria, non poco contribuissero a invogliare i Napoletani del subito por mano a’ serragli delle strade. Ma quando poi cominciò la strage dei cittadini, gli aizzatori, ancora in ciò secondando lor costume, rimasero sulle navi spettatori indifferenti.” Ovviamente consigliamo agli amici di leggere anche altre opere, come “Avvenimenti di Napoli del 15 maggio 1848” di Gennaro Marulli. Buona lettura e tornate a trovarci. Zenone di Elea – Ottobre 2019 LE ISTORIE ITALIANE DI FERDINANDO RANALLI DAL 1846 AL 1853 VOLUME PRIMO FIRENZE TIPOGRAFIA DI EMILIO TORELLI 1855 AVVERTIMENTO DELL’AUTORE Se io abbia fatto bene a scrivere degli ultimi avvenimenti italiani, giudicheranno gli altri. Ma devo e voglio confessare di aver commesso un grandissimo errore di cominciare a scriverli, e quel che è peggio, consentire che l’Opera si cominciasse a publicare innanzi che i sopraddetti avvenimenti si compissero e se ne chiarissero le ragioni e cagioni per documenti e notizie accertate. Quindi era inevitabile che inesatti e tal volta torti giudizi di uomini e di cose non ne derivassero: da fare per avventura attribuire a mal animo o a passione dello scrittore quel che da non buone o non compiute informazioni proveniva; senza dire che scrivendo mentre le cose avvenivano, e particolarmente in mezzo a quel bollore di spiriti degli anni 1848 e 1849, non era possibile non ritrarre del modo esagerato ed enfatico, con cui allora si favellava e sentenziava de fatti publici, cotanto disdicevole alla gravità delle istorie; che devono procedere temperate, e sfuggire le minuzie, le declamazioni e quanto sappia di satira. Né poteva io altrimenti riparare al mio fallo, che tornando a scrivere l’Opera; quasi facendo conto del publicato come se non fosse, anzi rifiutandolo per la massima parte. E messomi a questa impresa, stimai conveniente di non lasciare la narrazione alle cose del 1848 (colle quali hanno termine i due volumi publicati) ma condurla a tutto il 1853; essendo i fatti di detti anni per modo fra loro connessi da formare un subbietto solo. Tu, lettore benevolo, conoscerai se io avendo così rifatto e compito il lavoro, né per esso risparmiato cura e diligenza, l'abbia renduto meno indegno della publica grazia. FERDINANDO RANALLI - LE ISTORIE ITALIANE - VOLUME PRIMO - LIBRO PRIMO * 3 ISTORIE ITALIANE ___________________________________________ LIBRO PRIMO SOMMARIO Proposta dell'opera. — Breve esposizione dello stato d’Europa avanti il giugno del 1846. — Beneficii della filosofia del secolo passato. — Inclinazione de' principi alle riforme. — Rivoluzione di Francia del 1789. — Effetti in Italia. — Impero di Napoleone. —Ristorazione delle vecchie monarchie. — Rivoluzione di Spagna e di Napoli del 1820. — Rivoluzione di Francia del 1830. — Inganno funestissimo per l’Italia. — Della così detta Giovine Italia. — Della nuova scuola piemontese. — Fatti di Rimini del 1845. — Morte di Gregorio XVI. — Opinioni diverse intorno a questo pontefice. — Conclave. — Parti che vi dominavano. — Elezione del cardinale Mastai sotto nome di Pio IX. — Desiderio publico d un perdono per colpe di maestà. — Pareri contrari se contentarlo o no. — Liete speranze suscitate dal nuovo papa. — Pubblicazione dell’atto del perdono. — Esultazioni popolari. — Pio IX idoleggiato. — Le dottrine del Gioberti levate al cielo. — Prime parole del papa indirizzate a’ cardinali in concistoro. — Di quanto si fece in Roma e nelle provincie sì per contrariare e si per favorire i benefizi del perdono. — Apparenze di felicità publica. — Elezione del cardinale Gizzi a segretario di stato. — Prove e mostre di riforme. — Ordine a’ capi delle provincie e a’ magistrati municipali per lo miglioramento della educazione popolare. — Attraversamenti e festeggiamenti per quest’ordine. — Festa in Roma del dì 8 settembre. — Consulte e commissioni per una migliore distribuzione di uffici, e per una riforma negli ordini giudiziali e amministrativi. — Solennità del possesso il dì 4 novembre. —Prima enciclica di Pio IX. — Banchetto nel teatro Aliberti. — Inondazione del Tevere. — Principio dello