Capitolo Introduttivo

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Capitolo Introduttivo L‟OPERA DI GAETANO KOCH: ARCHITETTO DI ROMA CAPITALE. di Carmen Manfredi Tesi presentata per la discussione dell‟esame conclusivo del dottorato di ricerca in Storia dell‟Architettura sez. A XXI ciclo Università degli studi di Roma “La Sapienza” 2005-2008 Supervisore: Prof. Arch. Gianfranco Cimbolli Spagnesi Coordinatore: Prof. Arch. Paolo Fancelli Data 22 giugno 2009 1 INDICE CAPITOLO I 4 I.1. IL LINGUAGGIO COMUNE DELLA CITTÀ PRIMA DELLA BRECCIA DI PORTA PIA 4 I.2. LA FORMAZIONE E L‟AMBIENTE CULTURALE. 14 CAPITOLO II 23 LE TIPOLOGIE RESIDENZIALI 23 II.1. TIPOLOGIE DEL TESSUTO EDILIZIO DEI NUOVI QUARTIERI DI ROMA CAPITALE 23 Il contributo di Gaetano Koch nella costruzione dell‟Esquilino, il primo quartiere di Roma capitale. 23 Casa Marotti in via Nazionale e casa Frontini in via Veneto 33 II.2. TIPOLOGIE E TRASFORMAZIONI DEL TESSUTO EDILIZIO NELLA CITTÀ ANTICA 38 Casa Carini in via della Consulta 38 Casa Amici su Corso Vittorio Emanuele II 40 II.3. I VILLINI 43 CAPITOLO III 50 I PALAZZI NOBILIARI 50 III.1. I PALAZZI NOBILIARI DI NUOVA COSTRUZIONE 50 Palazzi: Voghera in via Nazionale, Calabresi e Artom in via XX settembre, Lavaggi e Trocchi su Corso Vittorio Emanuele II, Balestra su via Veneto, Santini in piazza dei Tribunali. 50 Palazzo Amici, Palazzo De Parente, Palazzo Piombino. 74 III.2. TRASFORMAZIONE DEI PALAZZI ESISTENTI NELLA CITTÀ ANTICA 91 CAPITOLO IV 98 LE ARCHITETTURE DELLO SPAZIO URBANO 98 IV.1. PIAZZA VITTORIO EMANUELE II, I PALAZZI DI PIAZZA ESEDRA. 98 CAPITOLO V 121 L‟EDILIZIA SPECIALISTICA 121 V.1. GLI EDIFICI PUBBLICI DEL NUOVO STATO ITALIANO 121 Il palazzo della Banca Nazionale del Regno 121 La biblioteca del Senato, il museo Barracco. 136 V.2. L‟EDILIZIA RELIGIOSA 139 CAPITOLO VI 143 I CARATTERI DEL LINGUAGGIO ARCHITETTONICO DI GAETANO KOCH E LA SUA FORTUNA CRITICA. 143 VI.1. LA FORTUNA CRITICA 143 2 APPENDICE FILOLOGICA 152 Scheda biografica dell‟architetto Gaetano Koch 152 Elenco cronologico delle opere di G. Koch a Roma 155 Schede filologiche delle singole opere 160 RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI 300 INDICE DELLE FIGURE 303 3 Capitolo I I.1. IL LINGUAGGIO COMUNE DELLA CITTÀ PRIMA DELLA BRECCIA DI PORTA PIA All‟indomani della breccia di Porta Pia, il 30 settembre 1870, la giunta di governo presieduta dal generale Raffaele Cadorna istituiva una commissione di architetti ed ingegneri,1 presieduta da Pietro Camporese il Giovane, alla quale si richiedeva di studiare “l’ampliamento e l’abbellimento” della città, “e specialmente il progetto di costruzione dei nuovi quartieri”. La Commissione, nella sua relazione conclusiva (del 10 novembre), stabiliva, come ha osservato il De Angelis d‟Ossat, il «principio dell’inclusione della nuova Roma in quella papale».2 I componenti di tale commissione, d‟altronde, erano quasi tutti architetti che avevano lavorato sotto il pontificato di Pio IX. Con la scelta della città di Roma come capitale del nuovo stato, immediatamente si poneva la questione - in realtà quasi sempre affidata al singolo architetto - del linguaggio architettonico e delle tipologie edilizie da adottare per le nuove costruzioni.3 Probabilmente il momento storico era, per la città, il più propizio all‟introduzione e alla creazione di nuovi organismi architettonici che si adattassero alle moderne esigenze funzionali, anche di rappresentanza, per distinguere la nuova capitale da quella che per tanti secoli era stata il centro della cattolicità e, nello stesso tempo, la sede del potere temporale dei 1I componenti la Commissione erano: Pietro Camporese, Virginio Vespignani, Francesco Fontana, Salvatore Bianchi, Domenico Jannetti, Nicola Carnevali, Alessandro Viviani, Giuseppe Partini, il Trevellini, Antonio Cipolla, Agostino Mercandetti. 2G. DE ANGELIS d‟OSSAT, L’architettura in Roma negli ultimi tre decenni del secolo XIX, Roma 1942, p. 5. 3Il problema del linguaggio da adottare per Roma capitale era strettamente connesso a quello del lungo dibattito sullo stile nazionale connotato in prevalenza dalle posizioni neomedievaliste, capitanate dal Boito, e da quelle che ponevano nel Rinascimento la giusta concordanza col Risorgimento italiano. 4 pontefici. La città, infatti, era reduce, come osserva lo Spagnesi,4 da alcune scelte “mancate” durante l‟ultimo secolo, tra cui, in primo luogo, il rifiuto del neoclassicismo, partito da qui e sviluppatosi in Europa, a favore di un ritorno alla maniera tradizionale. Una tradizione architettonica mai del tutto interrotta, legata agli organismi e ai sintagmi del tardo cinquecento di matrice sangallesca, esplicitato nelle opere del Vignola (1507-1573), del Della Porta (1533- 1602), di D. Fontana (1543-1607) etc., aveva caratterizzato il linguaggio della città da allora, a meno di alcune alternative clamorose. Il peculiare contributo di Antonio da Sangallo il Giovane (1484-1546), con il rinnovamento tipologico attuato, in particolare, nella definizione dell‟organismo del palazzo nobiliare romano, resterà di fondamentale importanza, non solo per quelli che operarono subito dopo di lui, ma per tutta l‟architettura romana a venire. La linea operativa tracciata da questi architetti, infatti verrà percorsa in maniera continua, senza interruzione, mediante l‟opera dei cosiddetti «Architetti della generazione di mezzo»5, tra cui G. Rainaldi (1570-1655) con il palazzo Verospi in via del Corso, F. Peparelli con il palazzo Del Bufalo Ferraioli, in piazza Colonna o, ancora, N. Sebregondi (1580/90-1652), con il palazzo Crescenzi Bonelli De Dominicis in via della Rotonda, e, anche durante il periodo delle innovazioni barocche, nell‟ambito di quell‟architettura, espressione del tessuto edilizio della città, da G. A. De Rossi (1616-1695) - con i palazzi Altieri, D‟Aste, Nunez, Muti Bussi 4«Il giovane stato italiano, forte del suo “liberalismo” poteva inserirsi al momento giusto nella città, giunta ormai ad una fase di involuzione. Alla modernità delle sue strutture politico-amministrative avrebbe potuto, e dovuto, accompagnare quel rinnovamento culturale e sociale che già allora si andava manifestando nelle regioni più avanzate del settentrione d’Italia, e che in architettura troverà una rispondenza nell’opera dell’Antonelli.» G. SPAGNESI, Architettura e Architetti, estratto da Roma un secolo 1870- 1970, Roma 1970, pp.137-170. 5Oltre a Hieronimo Rainaldi, si possono ricordare il Rosati, il Soria, il Maruscelli, etc. 5 - e G. B. Contini (1642-1723) fino a Gaspare Morelli (1732-1812), con la realizzazione di palazzo Braschi, senza tralasciare i numerosi palazzetti per residenze multiple con botteghe al pianterreno del XVII e XVIII secolo (tra cui palazzo Serny in piazza di Spagna, ed altri come il palazzetto in via dell‟Arancio, 39-42, quelli in via del Babuino, 46 e 63- 66 e in via di Monte Brianzo, 51). D‟altra parte, una volta contestata l‟architettura borrominiana, fin dal noto discorso del Bellori, del 1664, all‟Accademia di S. Luca, oltre al ricorso, sempre valido, all‟eredità tardo manierista romana, tra la fine del XVII secolo e la prima metà del XVIII, si andava delineando quell‟affermazione del linguaggio classico nell‟architettura barocca, che, dopo una lunga maturazione, iniziata grazie anche alle opere e alle teorie di C. Fontana (1634-1714) - le cui direttive culturali, certamente di ispirazione classica, tendevano alla razionalità e ad uno spiccato interesse nei riguardi della scienze - e successivamente, rispecchiata dal Pascoli nelle Vite - in cui recupera i valori della conoscenza scientifica, del carattere funzionale dell‟architettura, che considera prima fra le arti, di tutta la tradizione figurativa del tardo manierismo romano, per terminare con l‟esaltazione dell‟opera michelangiolesca e berniniana - culminerà, sotto il pontificato di Clemente XII Corsini (1730-40), con i concorsi (del 1732) della facciata della basilica di S. Giovanni in Laterano - vinto dal fiorentino Alessandro Galilei - e della fontana di Trevi, dal Salvi. In seguito, la partenza del Fuga (1699-1782) da Roma (nel 1750) per Napoli segnerà l‟arrestarsi graduale di ogni possibile esito di quell‟architettura che aveva portato avanti il linguaggio classico del «barocco», e che trova nella villa Albani (1760) del Marchionni (1702-1786) l‟ultima espressione. 6 Quando, nel 1755, ha inizio il Neoclassicismo in Europa, grazie alla presenza, a Roma, del Winckelman e del Mengs, l‟ambiente culturale romano, pur essendo predisposto ad accogliere gli ideali dell‟antichità classica, non riuscì a concretizzarne le teorie attraverso la conseguente realizzazione di opere, se non in pochissimi episodi. Le più importanti opere di architettura neoclassica costruite a Roma hanno tutte carattere specialistico e di grande rappresentanza, come il complesso del museo Clementino-Pio (iniziato da Clemente XIV e terminato da Pio VI), opera del Simonetti (per la quale l‟autore si rifà all‟antichità classica romana, prendendo a modello la Domus Aurea e l‟impianto delle terme romane), la sistemazione della villa Borghese (1781-1784), da parte dell‟Asprucci (1723-1808), con il “tempio di Esculapio”, la chiesetta di Piazza di Siena e le “finte rovine”, e, nel 1817 l‟Ala Chiaramonti dei Musei Vaticani, ad opera dello Stern (1771-1820). E così l‟opera del Valadier, il cui intervento neoclassico si ritrova non tanto nella soluzione realizzata per la piazza del Popolo, caratterizzata da una logica di impronta barocca, quanto nei primi progetti del 1793,6 in cui si riscontra un chiaro e dichiarato riferimento ai duplicibus porticibus delle piazze greche, descritti da Vitruvio nel Libro V, con i due lunghissimi porticati, a due ordini, convergenti
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