Rassegna stampa

18 gennaio 2016

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ANICA - ANICA CITAZIONI

18/01/2016 BorsaItaliana.it 07:30 7 Economia e finanza: gli avvenimenti della settimana -3-

ANICA - CINEMA

17/01/2016 Corriere della Sera - Nazionale 9 «Una natura crudele sul set L'Oscar? È nelle mani di Dio»

18/01/2016 Corriere Economia 11 Valsecchi: «Zalone pronto per andare all'estero»

18/01/2016 La Repubblica - Nazionale 13 Se il cinema francese cerca una via d'uscita dalla maledizione

17/01/2016 La Repubblica - Nazionale 14 Alejandro González Iñárritu

18/01/2016 La Stampa - Nazionale 16 "Il cinema sudamericano ora non ha più paura"

18/01/2016 Il Messaggero - Nazionale 18 Rocky torna sul ma solo grazie a YouTube

18/01/2016 Corriere della Sera - Nazionale 19 Lezione di cinema con Castellitto «Zalone? Mi fa ridere chi lo elogia»

17/01/2016 Corriere della Sera - La Lettura 21 La rivoluzione del piccolo principe

17/01/2016 La Repubblica - Nazionale 24 Da Al Capone a Chapo Guzmán quando al boss piace la fiction

17/01/2016 La Stampa - Nazionale 28 "L'Oscar? Per me conta di più l'ambiente"

17/01/2016 La Stampa - Nazionale 30 "The Danish girl" bandito in Qatar Nudo e transgender restano un tabù

17/01/2016 La Stampa - Torino 31 FilmLab sogni da Oscar con i soldi dell'Europa 16/01/2016 La Stampa - Nazionale 32 C'era una volta E ora c'è di nuovo il West

17/01/2016 Il Messaggero - Roma 34 L'addio ad "Accattone" tra ricordi e polemiche ma il cinema non c'è

17/01/2016 Il Messaggero - Nazionale 35 Di Caprio a Roma lancia la corsa all'Oscar: «I premi sono solo un bonus»

17/01/2016 Il Messaggero - Nazionale 37 «È tutto vero, pochi gli effetti speciali»

16/01/2016 Il Messaggero - Nazionale 38 Diario di due solitudini

16/01/2016 Il Messaggero - Nazionale 39 «Grande Citti il suo volto era storia»

17/01/2016 Avvenire - Nazionale 41 STEVE JOBS I tormenti di un mito

18/01/2016 Libero - Nazionale 43 «Rifiutai il posto fisso. Così nacque Lino Banfi»

17/01/2016 Il Fatto Quotidiano 46 Oscar, il Titanic di Leo

17/01/2016 Il Fatto Quotidiano 48 Il divo va a caccia di Oscar (e intanto fa impazzire i fan)

16/01/2016 Il Fatto Quotidiano 50 Evviva Checco Zalone, ma per favore niente paragoni con Alberto Sordi

18/01/2016 L'Unità - Nazionale 51 Verdone e Albanese raccontano da Fazio la loro commedia degli equivoci, "L'abbiamo fatta grossa"

17/01/2016 L'Unità - Nazionale 53 Ciao amico nostro Accattone, quanto ci mancherai

16/01/2016 L'Unità - Nazionale 54 Radar: Valsecchi e Nesbitt di TaoDue raccontano in che modo si produce un da record come "Quo Vado?"

16/01/2016 Il Manifesto - Nazionale 56 Ritratto emotivo di Caracas , da Leone d'oro

17/01/2016 Il Tempo - Nazionale 58 «Ozpetek mi ha copiato» Il regista in tribunale 17/01/2016 Il Tempo - Nazionale 59 DiCaprio: «Ecco il nostro neorealismo»

17/01/2016 Corriere delle Alpi - Nazionale 60 Nelle sale il primo film per non vedenti

17/01/2016 Il Centro - Nazionale 61 Rocky diventa saggio ma rimane sempre "nato per combattere"

17/01/2016 Il Tirreno - Nazionale 63 Batman sfida Superman e gli alieni rinascono per l'Independence Day

16/01/2016 Pagina99 65 il Qatar si prende la fabbrica dei film

16/01/2016 Pagina99 67 la saga è un business che va da qui all'eternità

16/01/2016 Pagina99 69 horror Tarantino altro che magnifici sette

ANICA - TELEVISIONE

17/01/2016 Corriere della Sera - Nazionale 72 Malinconico e disilluso, Coliandro torna e riconquista i fan

16/01/2016 Corriere della Sera - Nazionale 73 «Mr. Robot», la serie tv dell'anno che attacca i guru dell'informatica

18/01/2016 La Repubblica - Nazionale 75 Nella bottega del nuovo immaginario

16/01/2016 Avvenire - Nazionale 78 DON MATTEO Detective dell'anima

16/01/2016 Il Giornale - Nazionale 80 Superfilm al lunedì su Canale 5

17/01/2016 Libero - Nazionale 81 RITORNO AL PASSATO Da «Shannara» a «Beowulf» passando per «Narnia», la tv saccheggia il fantasy. Preparate spade e mantelli

ANICA WEB - ANICA WEB

17/01/2016 www.repubblica.it 19:25 83 Cinema, l'omaggio di Hollywood a Mario Martone 15/01/2016 www.ilfoglio.it 01:00 84 Il soft power cinese è sbarcato a Hollywood per arrivare allo status di "economia di mercato"

ANICA - ANICA CITAZIONI

1 articolo 18/01/2016 07:30 Sito Web BorsaItaliana.it La proprietà intellettuale è riconducibile alla fonte specificata in testa pagina. Il ritaglio stampa da intendersi per uso privato

Notizie Radiocor - Finanza Economia e finanza: gli avvenimenti della settimana -3-

MARTEDI' 19 gennaio ------ECONOMIA - Verona: conferenza stampa di presentazione 'Motor Bike Expo 2016', fiera dedicata a moto speciali, custom ed accessori. Ore 12,00. PalaExpo, viale del Lavoro, 8 - Bologna: incontro di Nomisma e UniCredit in occasione della presentazione del libro di Franco Mosconi 'La nuova politica industriale tra Unione Europea, Stati-Nazione, Regioni'. Ore 17,30. UniCredit, via Zamboni, 20 - Roma: Missione esplorativa del Comitato economico e sociale europeo - Roma: conferenza stampa Anem, Associazione Nazionale Esercenti Multiplex, Anica, Cinetel e Direzione Generale Cinema sui dati del mercato cinematografico 2015. Ore 12,00. Partecipano, tra gli altri, Riccardo Tozzi, Presidente Anica; Michele Napoli, Presidente Cinetel; Luigi Cuciniello, Presidente Anec; Carlo Bernaschi, Presidente Anem. Presso Agis, Via di Villa Patrizi, 10. - Roma: In occasione del 25 anniversario della legge Antitrust, Lectio Magistralis di Giuliano Amato, Giudice Costituzionale. Ore 16,00. Partecipa, tra gli altri, Giovanni Pitruzzella, Presidente dell'Autorita' Garante della Concorrenza e del Mercato. Presso Auditorium dell'Autorita' Garante, via Monteverdi n.35. - Londra: conferenza stampa di presentazione del World Economic Outlook. Ore 10,00. Bank of England. - Davos: incontro stampa e Webcast PricewaterhouseCoopers International per la presentazione dei risultati annuali. Ore 18,45. Partecipa, tra gli altri, Dennis Nally, Chairman of PricewaterhouseCoopers International. - Strasburgo: il presidente della Commissione Ue, Jean Claude Juncker partecipa all'audizione su strategia Ue. Ore 9,00. red (RADIOCOR) 18-01-16 07:55:46 (0025)PA 5 NNNN

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ANICA - CINEMA

35 articoli 17/01/2016 diffusione:298071 Pag. 35 tiratura:412069 La proprietà intellettuale è riconducibile alla fonte specificata in testa pagina. Il ritaglio stampa da intendersi per uso privato

Il divo «Una natura crudele sul set L'Oscar? È nelle mani di Dio» DiCaprio: dopo «Revenant» farò un documentario sul clima Valerio Cappelli

ROMA «La conquista della natura, la capacità di sopravvivenza... È il film più difficile che abbia mai fatto», dice Leonardo DiCaprio che sente profumo di Oscar. Ma un'impresa è anche riuscire a parlarci. A parte il metal detector, è come prendere l'aereo: check in all'hotel 45 minuti prima dell'incontro, poi bisogna mettersi in fila superando il muro del popolo dell'autografo e quello delle guardie del corpo. Infine appare l'attore, sereno, sorridente, bravissimo a parlare di quello che vuole lui (l'ambiente), tema che rimbalza dal suo nuovo titanico progetto, centrato sul cacciatore di pellicce Hugh Glass aggredito da un orso che, abbandonato dai compagni, perde il figlio e vuole vendicarsi di chi lo ha tradito (Tom Hardy). Alla quinta nomination personale, l'Oscar per Revenant-Redivivo (nelle sale da ieri in 500 copie per la Fox) non dovrebbe sfuggirgli. Il regista è Alejandro González Iñárritu, reduce dalle quattro statuette del 2015 per Birdman : ora le candidature sono dodici («Non mi hanno ispirato i cowboy ma Kurosawa, Coppola... Penso a Dersu Uzula e Apocalypse Now »). Come migliore attore il favorito è DiCaprio, lui lo sa e non può nascondersi, ma l'argomento, naturalmente, lo sfiora soltanto: «Mentre giravo questo film, non pensavo che avrei potuto vincere l'Oscar. È una cosa fuori dal mio controllo. E non è un riconoscimento a motivarmi. Volevo fare un'opera d'arte che resti nel tempo. Siamo sorpresi, contenti e compiaciuti per come è stato accolto, la gente e i colleghi hanno apprezzato lo sforzo e una certa spiritualità... È un capitolo della mia vita. Gli ho dedicato un anno intero». Più tardi a Tv2000, l'emittente di una società che fa capo alla Conferenza Episcopale Italiana, dirà: «Se per l'Oscar è la volta buona? È nelle mani di qualcun altro, magari nelle mani di Dio». Hanno girato nel gelo, in condizioni proibitive. Storia di silenzi e pochi dialoghi in una terra di nessuno quasi priva di leggi. «Non è un film ma un viaggio epico nella vita di un esploratore prima dell'epopea del West, un periodo storico quasi inesplorato al cinema e in letteratura. La vita di Glass è stata tramandata per generazioni intorno al focolare domestico. Semmai è un film di fantascienza. Spero che possa aiutare Hollywood a capire che questo tipo di cinema coraggioso si può fare». Tutti vogliono sapere i dettagli della lunga, crudissima scena dell'attacco che il protagonista subisce dall'orso. Iñárritu dice e non dice: «Ho usato laddove era possibile elementi veri e naturali, mi piaceva esaltare l'aspetto fisico. Allo stesso tempo ho utilizzato la tecnologia in modo intelligente e sottile. Qualunque trucco è presente. È stata una esperienza unica». E DiCaprio spiega perché: «Siamo entrati in quel mondo primordiale con stile neorealista, è una sorta di docu-drama. Il paesaggio grandioso e bello, la crudeltà della natura e i sentimenti più profondi e intimi si compenetrano al mio respiro che appanna l'obiettivo e al sangue che lo sporca. Lo spettatore ha la sensazione di essere una mosca che gira intorno alla scena». Si scivola su ciò che più sta a cuore all'attore, il clima, tema accarezzato dal film: «C'è l'avidità dell'uomo che saccheggia l'ambiente naturale, lo sfruttamento delle risorse prima che si scatenasse la febbre dell'oro. Non riusciamo a imparare le lezioni della Storia. Ci siamo resi conto di come cambia il paesaggio con solo pochi gradi di differenza. Sto producendo un documentario sui cambiamenti climatici, ed è l'unico progetto che ho». © RIPRODUZIONE RISERVATA Mentre giravo questo film non pensavo che avrei potuto vincere È una cosa fuori dal mio controllo Il successo di questa storia estrema può far capire a Hollywood che deve puntare su un certo cinema coraggioso

ANICA - CINEMA - Rassegna Stampa 18/01/2016 - 18/01/2016 9 17/01/2016 diffusione:298071 Pag. 35 tiratura:412069 La proprietà intellettuale è riconducibile alla fonte specificata in testa pagina. Il ritaglio stampa da intendersi per uso privato

Ho voluto realizzare un'opera d'arte Assieme al regista sono entrato in un mondo primordiale con stile neorealista Le nomination precedenti Foto: Prima nomination per il film di Hallström Foto: La seconda volta grazie a Scorsese Foto: Il terzo tentativo con la pellicola di Zwick Foto: Quarta candidatura ancora con Scorsese Foto: Leonardo DiCaprio, 41 anni. Grazie a «Revenant» è arrivato alla sua quinta nomination personale all'Oscar

ANICA - CINEMA - Rassegna Stampa 18/01/2016 - 18/01/2016 10 18/01/2016 Pag. 1 N.2 - 18 gennaio 2016 La proprietà intellettuale è riconducibile alla fonte specificata in testa pagina. Il ritaglio stampa da intendersi per uso privato Film & Affari Valsecchi: «Zalone pronto per andare all'estero» m. silvia sacchi e stefania ulivi

A pagina 11 Che Quo vado? sarebbe stato un successo Pietro Valsecchi lo aveva messo in conto. Non aveva immaginato, invece, che avrebbe battuto tutti i record. Valsecchi, con la sua Taodue, è il produttore di Checco Zalone, l'autore e attore pugliese che sta facendo scrivere fiumi di inchiostro e infiammando i salotti televisivi per lo straordinario successo di Quo vado?: uscito il 1° gennaio, distribuito da Medusa, in meno di due settimane ha superato i 52 milioni di incasso realizzati nel 2013 da Sole a catinelle, diventando il primo incasso di sempre per un film italiano. Ora la corsa è sul campione assoluto, Avatar , avanti di circa dieci milioni di euro. «Sono anch'io sorpreso da questi incassi che si stanno incredibilmente avviando verso i 70 milioni», dice Valsecchi parlando con Corriere Economia . Un'idea il produttore ce l'aveva, ma l'aveva tenuta segreta: «Avevo previsto che avrebbe incassato 52 milioni di euro. Come Sole a catinelle ». Quo vado? è andato oltre. E il successo adesso rischia di smentire anche la legge non scritta della non esportabilità dei campioni del box office italiano. «Il film sta suscitando interesse all'estero per l'eccezionalità del risultato che polverizza gli incassi dei blockbuster Usa - anticipa Valsecchi -. In alcuni Paesi uscirà il film originale e per quanto riguarda i diritti di remake stiamo trattando con Paesi tra cui Spagna, Francia e Inghilterra, non solo per una cessione dei diritti ma per entrare in coproduzione». Scenari Sono soldi. Quanto faccia la differenza lo dice il grafico che riportiamo in pagina. Il bilancio di Taodue, la società fondata da Valsecchi e dalla moglie Camilla Nesbitt, oggi proprietà di Mediaset tramite Rti, evidenzia i grandi risultati in termini di fatturato e di utile netto dovuti nel 2013 a Sole a catinelle . Il 2016 darà un bis. I 50 milioni di giro d'affari del pre-consuntivo 2015 diventeranno 85 quest'anno grazie a Quo vado ?, mentre gli utili lordi passeranno da 10 a 30 milioni. E ora si pone un tema che riguarda il futuro e che fa intravedere sul mercato possibili scenari nuovi. Perché Valsecchi ha già detto che nel giro di cinque anni lascerà la guida di Taodue. Mentre, in parallelo, Zalone sta iniziando a costruirsi una propria organizzazione societaria dove tra gli azionisti figura anche Filippo Valsecchi, figlio diciannovenne di Pietro e Camilla. Finirà che i fondatori di Taodue andranno insieme a Zalone? «No - risponde il produttore -. Quella di Filippo è una scelta personale vista l'amicizia che lo lega a Zalone e che non coinvolge, e non coinvolgerà, me e Camilla». Perché di una cosa Valsecchi si dice sicuro ed è che le imprese e la loro gestione non si passano dai genitori ai figli come se fossero beni immobili. Insomma, quando lascerà la guida di Taodue lo farà in favore di chi dentro la società di produzione ha dimostrato di saper fare. E non andrà «in soccorso» degli eredi (la figlia Virginia, peraltro, lavora per la concorrente Freemantle Media). «I miei figli - dice - faranno la loro strada, non credo sia un bene caricarsi di eredità pesanti. All'interno del gruppo di lavoro Taodue ci sono risorse molto valide che spero potranno prendere in mano le redini della società. Io resterò a dare una mano dall'esterno». Magari mentre si dedica alla scrittura. Ha già pubblicato un romanzo, Prima famiglia , potrà arrivarne un secondo. «Scrivere è continuare la mia passione di narratore di storie che ho portato per 30 anni sugli schemi di cinema e tv; non è una nuova vita ma nuova declinazione di ciò che ho sempre fatto». Il presente Ma intanto c'è il presente da mandare avanti. In azienda, «io mi occupo prevalentemente della parte artistico/creativa e mia moglie Camilla di quella economico-gestionale, ma la divisione dei compiti non è

ANICA - CINEMA - Rassegna Stampa 18/01/2016 - 18/01/2016 11 18/01/2016 Pag. 1 N.2 - 18 gennaio 2016 La proprietà intellettuale è riconducibile alla fonte specificata in testa pagina. Il ritaglio stampa da intendersi per uso privato

così netta. Credo molto nell'intuito e nella sensibilità femminile e senza di lei non avrei mai costruito quello che ho costruito». Quello che intendono «continuare a fare con ancora maggiore determinazione è scovare nuovi talenti, che si stanno affacciando in particolare dal web, e aiutarli a sviluppare le loro potenzialità. Il 21 gennaio esce il film d'esordio del trio The Pills Sempre meglio che lavorare : sono ragazzi abituati a sketch da 5 minuti che abbiamo portato a raccontare una storia da film». Nel frattempo la linea editoriale di Taodue «oltre alla commedia, che è il genere principe del cinema italiano insieme al cinema d'autore, insiste anche sul "racconto della realtà"». Come dimostrano le operazioni Chiamatemi Francesco di Daniele Luchetti e quella legata al film, postumo, di Claudio Caligari Non essere cattivo. Rientra nel dna della Taodue che fin dagli inizi si è confrontata con il cinema d'autore (da Bellocchio a Placido): siamo intervenuti in questo progetto insieme a Raicinema grazie all'entusiasmo e alla passione di Valerio Mastandrea». In Puglia E Zalone? Nome d'arte di Pasquale Luca Medici, 38 anni, il comico pugliese negli ultimi due anni ha costituito la società di produzione Tartare, di cui Valsecchi junior è socio al 50% ed è amministrata da Reginaldo Mamma, che è anche amministratore unico della Eat Movie costituita nel 2013 dalla famiglia Valsecchi al completo, genitori (in minoranza) e figli (in maggioranza). E ha fondato la Officina 5.1 con due produttori cinematografici e un project manager. Risale, invece, a qualche anno prima (2009) una società di produzioni per quello che potremmo definire un impegno sociale di Zalone: Mzl, costituita con la madre Antonietta. Lo scopo sociale è, infatti, «la realizzazione di nuove iniziative produttive nei territori del Mezzogiorno». Ma com'è il contratto che lega Checco a Taodue? Valsecchi non risponde. «A chi mi chiede quanto guadagna Zalone dico: lo sappiamo in tre: io, Zalone e l'Erario». © RIPRODUZIONE RISERVATA Pietro Valsecchi amministraore delegato di Taodue 50% 95% 5% Antonietta Capobianco MZL TARTARE FILM 50% Filippo Valsecchi I NUMERI DI TAODUE, dati in milioni di euro 25% OFFICINA 5.1 25% Fabio Volpentesta 25% Pietro Morana 25% Giuseppe Saponari RTI 100% Taodue Fatturato Risultato operativo Utile netto 85 30 50 10 47,601 7,947 4,779 75,380 25,874 17,369 2016 (1)(2) 2015 (3) 2014 2013 (4) Pparra (1) Stima; (2) l'anno di «Quo vado?»; (3) pre-consuntivo; (4) l'anno di «Sole a catinelle»

ANICA - CINEMA - Rassegna Stampa 18/01/2016 - 18/01/2016 12 18/01/2016 diffusione:289003 Pag. 51 tiratura:424634 La proprietà intellettuale è riconducibile alla fonte specificata in testa pagina. Il ritaglio stampa da intendersi per uso privato R2 SPTETTACOLI Se il cinema francese cerca una via d'uscita dalla maledizione In sala e online "Made in France" e "Taj Mahal" "I drammi che abbiamo vissuto non ci fermano" ARIANNA FINOS

PARIGI ANDARE al cinema, in Francia, è diventato un atto di resistenza. «Dopo gli attacchi del 13 novembre gli ingressi sono calati solo per due settimane a Parigi. Tornare in sala è stato uno scatto di orgoglio nazionale», sostiene Frédérique Bereyziat, giovane manager di Unifrance, l'agenzia per la promozione delle opere francesi all'estero. Alcuni film, però, in sala non ci sono più arrivati. Eclatante il caso di Made in France di Nicolas Boukhrief, film precursore su un attacco orchestrato da jihadisti delle banlieue parigine sugli Champs Elysées con altre azioni simultanee. In locandina la tour Eiffel sorretta da un kalashnikov. Durante il montaggio c'era stata la strage di Charlie Hebdo. L'uscita era slittata al 18 novembre, poi rinviata al 20 gennaio. Ora regista e produttore hanno deciso che il film si vedrà solo online, su e-cinema, dal 29 gennaio. Anche i distributori di Jane got a gun con Natalie Portman hanno rinviato, mentre è uscito Taj Mahal, film di produzione francese sull'attacco terroristico in India del 2008, ed è arrivata in sala anche la commedia L'Hermine con Fabrice Luchini. Per il direttore esecutivo di Unifrance Isabelle Giordano la situazione drammatica in Francia «è uno stimolo in più per i cineasti, Olivier Assayas è già al lavoro». «Ognuno di noi vuole raccontare quel che accade - dice la regista franco israeliana Shirel Amitay - ma in questo clima, nella paura di urtare le sensibilità altrui, è la libertà di espressione a entrare in crisi. Il mio Rendez-vous at Atlit è stato boicottato in Israele perché considerato troppo pro Palestina, e dalla destra francese perché israeliano». Racconta l'attrice Ariane Ascaride: «Mia figlia ha perduto quattro amici alla terrazza di quel Caffè. Sì, un modo per reagire è tornare a uscire. Ma l'arte e la cultura sono le armi più forti: ho fatto un film come Les Heritiers, storia vera di studenti delle banlieue che attraverso un lavoro sull'Olocausto vincono un premio, scoprono che l'arte può cambiare il rapporto con il mondo. Nelle banlieue da trent'anni vedono i loro genitori privi un ruolo sociale. Diventano una massa senza punti di riferimento, facili prede dei lupi che propongono loro un riconoscimento». IL CASO LOCANDINA Tante le polemiche scatenate dalla prima versione della locandina di "Made in France" (nella foto a destra)

ANICA - CINEMA - Rassegna Stampa 18/01/2016 - 18/01/2016 13 17/01/2016 diffusione:289003 Pag. 42 tiratura:424634 La proprietà intellettuale è riconducibile alla fonte specificata in testa pagina. Il ritaglio stampa da intendersi per uso privato LA DOMENICA L'incontro. Revenant Alejandro González Iñárritu MARIA PIA FUSCO

L'infanzia in Messico, la voglia di viaggiare (a diciassette anni imbarcato per un giro del mondo), di scoprire nuove prospettive dalle quali osservare. E la scelta di farlo attraverso il cinema "ma solo perché con la mia vera passione, la musica, avevo fallito". Il premio Oscar con "Birdman" (e ora con dodici candidature per "Revenant") si racconta in un albergo romano assediato dalle fans per la presenza di Leo DiCaprio: "Quello che voglio veramente fare con il mio lavoro non è documentare la realtà, per quello penso che vada assai meglio la televisione. Quello che cerco io è la nostra metafisica. In altre parole è il mistero e non la verità" ROMA L'INCONTRO È IN UNA SALA di un grande albergo romano, presidiato all'esterno da gruppi di giovani e meno giovani donne con il cellulare in agguato per cogliere un sorriso, un saluto, almeno uno sguardo. No, non di Alejandro González Iñárritudi ma di Leonardo DiCaprio e del suo appeal che soprattutto sul pubblico femminile resiste dai tempi di Titanic - tanto più che quest'anno rischia davvero di portarsela a casa la statuetta come attore protagonista. Revenant - Redivivo, ne ha già collezionate dodici di candidature. E se a vincere fosse anche il regista allora sarebbe un vero evento nella storia del cinema, un bis dopo il trionfo dell'anno scorso con Birdman. E dunque non è con Leonardo DiCaprio ma con Alejandro González Iñárritu che abbiamo un appuntamento. Attacca subito: «Leo è una vera star, ma è anche un grande attore, un professionista. Ha lavorato nelle condizioni più difficili, addosso pesanti costumi di scena, strisciando su terreni ghiacciati, in luoghi bui e inospitali. Pochi attori avrebbero accettato di affrontare prove così difficili. Abbiamo girato per nove mesi nella Colombia britannica, potevamo lavorare un'ora e mezzo al giorno, sia per la luce che per la temperatura proibitiva. Leo non ha mai perso entusiasmo, si è immerso nella natura con tutto se stesso. Trovo geniale che qualcuno da qualche parte abbia scritto "NationaLeoGraphic"».Quanto agli Oscar: «Certo, Leo ed io siamo molto contenti dell'accoglienza e dell'attenzione dell'Academy, ma francamente non abbiamo fatto il film pensando all'Oscar. L'impegno era quello di realizzare qualcosa che emozionasse il pubblico di oggi ma che avesse un valore anche per il futuro». Revenant - Redivivo, si sa, racconta una storia di sopravvivenza, la leggenda di Hugh Glass, un cacciatore di pelli che nel 1823, durante una spedizione nella natura incontaminata alla frontiera tra Stati Uniti e Canada, aggredito da un grizzly, ferito e sanguinante, fu abbandonato, solo e senza risorse. Riuscì a sopravvivere e a percorrere oltre 300 chilometri per raggiungere il compagno che lo aveva tradito e che ne aveva ucciso il figlio adolescente, Hawk, che aveva avuto da una donna indiana. Forse meno conosciuta è la storia dell'uomo che l'ha portato sul grande schermo. Alejandro González Iñárritu è nato a Città del Messico cinquantatré anni fa. Si trasferì negli Usa, a Los Angeles, dopo il successo del suo primo film, Amores perros (2000. Ed è proprio nel personaggio di Hawk che Iñárritu si identifica. «Hawk è un misto di razze e malgrado l'affetto del padre resta comunque un outsider, segnato dal colore della pelle. Anch'io ho la pelle scura, vivo a Los Angeles da quindici anni ormai e sin dall'inizio ho imparato a capire che significhi essere un outsider. Poi, grazie al mio lavoro, ho avuto la fortuna e il privilegio di essere stato accettato e persino premiato. Ma milioni di miei concittadini messicani vengono maltrattati, respinti, a volte brutalizzati. L'ignoranza, la non conoscenza del diverso, genera sempre ostilità e paura. E non a caso sono questi i sentimenti che si avvertono nel film: tra le diverse tribu di indiani, tra gli indiani e gli americani, tra i diversi gruppi di cacciatori». Certo, il film è ambientato nei primi anni dell'Ottocento, quando l'America si stava formando come nazione, «ma è anche un film politico che parla dell'oggi, di un mondo che sta affrontando ovunque il problema

ANICA - CINEMA - Rassegna Stampa 18/01/2016 - 18/01/2016 14 17/01/2016 diffusione:289003 Pag. 42 tiratura:424634 La proprietà intellettuale è riconducibile alla fonte specificata in testa pagina. Il ritaglio stampa da intendersi per uso privato

dell'emigrazione e dell'arrivo del diverso, e dunque della paura, del nemico. Con questo non voglio dire che tocchi al cinema raccontare la realtà del mondo, documentarla. Personalmente trovo più interessante un cinema che cerchi il mistero della vita, la percezione più che la realtà». Influenze? «Il neorealismo italiano mi ha influenzato molto, ma oggi cerco storie più metafisiche, qualcosa che mi provochi un'emozione inspiegabile, come un quadro, un pezzo di jazz. È più il percorso spirituale dell'essere umano che mi attrae che la verità di una vicenda, ed è questo il modo con cui ho affrontato il personaggio di Hugh Glass». Non a caso per Revenant - Redivivo cita come riferimenti film come Apocalypse Now o Aguirre, autori come Kurosawa e Tarkovski. «Spero che vada in questo senso anche il gusto del pubblico, che è molto cambiato negli ultimi tempi. Basta pensare al cinema italiano, un cinema che faceva il giro del mondo e oggi mi dicono che gli italiani vogliano soprattutto commedie. Eppure avete Nanni Moretti, Sorrentino e Garrone...». Iñárritu non è uno di quegli autori che sognavano il cinema fin da bambino - «anche se mio padre mi portava spesso a vedere i migliori film che uscivano in Messico» - ma ha vissuto avventurose esperienze giovanili. A diciassette anni si imbarcò su una nave, per due anni girò il mondo e non smentisce la circostanza che sia stato costretto a lasciare il Messico da un potente signore, decisamente contrario al fatto che il ragazzo frequentasse assiduamente sua figlia. Al ritorno ha studiato comunicazione. «Ho cominciato a lavorare alla radio, intervistavo rockstar, trasmettevo concerti, ero bravo credo. La mia vera passione comunque era la musica, avevo una band, suonavo la chitarra, avevo un buon orecchio, ma ero un pessimo esecutore: se avessi continuato sarei stato un musicista frustrato. È grazie al fallimento con la musica che sono passato al cinema. Lavorando per la televisione ho scoperto che mi piaceva il clima del set, la collaborazione tra gli attori, la troupe». La decisione di lasciare Città del Messico è stata favorita da una brutta rapina di cui fu vittima. «Oggi penso di aver fatto la cosa giusta, se fossi rimasto in Messico, immerso in una realtà che conoscevo così bene, favorito dalla lingua e dall'ambiente, sono sicuro che la mia creatività si sarebbe esaurita. Non è stato facile abituarmi agli Stati Uniti, avevo i miei pregiudizi, non sopportavo il nazionalismo di certi americani che credono di essere i migliori del mondo. Ci ho messo otto anni ad abituarmi». Difficile trovare un filo conduttore nei suo film. In 21 grammi racconta il peso dell'anima - «No, non sono un credente ma credo nella spiritualità che ogni essere umano può trovare» - mentre in Babel si intrecciano quattro diverse storie girate in quattro paesi diversi: «Mi aiutato l'esperienza giovanile dei miei giri del mondo, la memoria di società e culture diverso. Ma l'unico filo conduttore forse è la libertà che pretendo in ogni mio film: sono sempre padrone dei miei progetti, non voglio interferenze degli Studios, dal primo all'ultimo film il final cut è il mio. Mi assumo tutte le responsabilità, anche dei miei errori naturalmente, non posso dare colpe a nessuno». I prossimi impegni di Inarritu «mi riguardano come padre. Ho due figli adolescenti. È vero che spesso li porto con me, siamo come un circo viaggiante. Ma negli ultimi tempi li ho trascurati, devo rifarmi». Foto: HO COMINCIATO ALLA RADIO, INTERVISTAVO ROCKSTAR E TRASMETTEVO CONCERTI. AVEVO ANCHE UNA BAND MA ERO UN PESSIMO ESECUTORE SAREI STATO UN MUSICISTA FRUSTRATO Foto: I GUSTI DEL PUBBLICO CAMBIANO. MI DICONO CHE GLI ITALIANI AMINO SOPRATTUTTO LE COMMEDIE. EPPURE AVETE AVUTO IL NEOREALISMO. E AVETE AUTORI COME MORETTI, GARRONE, SORRENTINO Foto: MI MANCA IL MIO PAESE, LA PARTE CHE È RIMASTA LÌ. MI MANCA LA GENTE, LA CORDIALITÀ E LA SEMPLICITÀ LATINA, CON LA DISPONIBILITÀ AL SORRISO L'ASSENZA DELLA COMPETITIVITÀ CHE INVECE IN AMERICA TI INCULCANO FIN DALLA SCUOLA

ANICA - CINEMA - Rassegna Stampa 18/01/2016 - 18/01/2016 15 18/01/2016 diffusione:189394 Pag. 28 tiratura:278795 La proprietà intellettuale è riconducibile alla fonte specificata in testa pagina. Il ritaglio stampa da intendersi per uso privato Colloquio "Il cinema sudamericano ora non ha più paura" Esce "Ti guardo", il film Leone d'oro di Lorenzo Vigas "Finalmente possiamo trattare temi tabù per i regimi" FULVIA CAPRARA

Quando, dalla Mostra di Venezia, lo hanno chiamato dicendogli soltanto che doveva essere presente alla cerimonia di premiazione, Lorenzo Vigas, figlio dell'artista Oswaldo, nato a Merida, in Venezuela nel 1967, ha capito che per il suo straordinario film d'esordio Ti guardo doveva esserci un riconoscimento. Non immaginava si trattasse del Leone d'oro, e neanche che il secondo premio (Leone d'argento) andasse a un altro autore sudamericano, Pablo Trapero, argentino, regista del Clan, storia vera della famiglia Puccio, potente organizzazione criminale della provincia di Buenos Aires che negli Anni 80 gestiva il traffico legato ai rapimenti. Alla sceneggiatura di Ti guardo (dal 21 nelle sale), ha lavorato lo scrittore e regista messicano Guillermo Arriaga, classe 1958, lo stesso che ha affiancato Alejandro Gonzalez Inarritu nei suoi primi successi (Amores Perros, 21 grammi, Babel) e che, nel 2008, ha debuttato dietro la macchina da presa con The Burning Plain. Latini anche nei rapporti, grandi amicizie e clamorose separazioni, il Leone d'oro Vigas, il pluricandidato alla statuetta 2016 Inarritu (che farebbe il bis dopo Birdman), il trionfatore degli Oscar 2014 Alfonso Cuaron (con Gravity), il Gran Premio della Giuria dell'ultima Berlinale Pablo Larrain, autore cileno di El Club, sono le punte di diamante di una cinematografia in stato di grazia, ricca di fermenti e promesse: «La nuova ondata - dice Vigas - è iniziata già da un po', e ora se ne stanno raccogliendo i frutti. I modi di raccontare sono diversi, come le forme e i linguaggi, ma la sostanza è uguale, e sta nella necessità di esprimersi in totale libertà, senza timore di dire quello che si ha voglia di dire». La ragione è storica e politica: «Nel mio Paese, oggi, vengono girati film su temi importanti, di cui finora non si era parlato. La paura dominava tutto, io stesso sono cresciuto in quel clima, ma è anche vero che, se non hai sperimentato la paura, non puoi imparare ad essere veramente coraggioso». Metafora di un Paese Al centro di Ti guardo c'è un nodo irrisolto di rapporti genitoriali, da una parte un uomo adulto, Armando (Alfredo Castro), traumatizzato dalle violenze di un padre indegno, dall'altra un ragazzo, Elder (Luis Silva), che il padre non l'ha mai conosciuto: «I legami tra i due si rafforzano proprio per la comune mancanza di punti di riferimento». In questo vuoto incolmabile, oltre lo sviluppo drammatico della vicenda, c'è chi ha letto la metafora di un Paese a lungo affascinato dalla figura del presidente Hugo Chavez, scomparso quasi tre anni fa: «Abbiamo sempre bisogno di personaggi maschili che ci guidino, è la nostalgia del "caudillo", ma anche il trionfo del machismo, in un contesto sociale che, in realtà, è basato sul più potente dei matriarcati». Nel film Armando è un omosessuale malinconico e solitario incapace di stabilire relazioni con gli altri, abituato ad adescare ragazzini nei bassifondi di Caracas. Se li porta a casa, li fa spogliare, non li tocca, li paga e poi li manda via. Con Elder, che è puro, violento e disperato come certi ragazzi di vita pasoliniani, l'equilibrio entra in crisi e niente potrà più essere come prima: «In Venezuela il film esce in aprile e prevedo molte polemiche perché da noi, come in tanti altri Paesi latini, l'omosessualità è ancora un tabù. Ma va benissimo, è giusto che la gente si confronti e discuta». Lorenzo Vigas, che nel frattempo è diventato padre, sta preparando il suo nuovo film The Box, capitolo conclusivo (dopo Los elefantes nunca olvidan e Ti guardo) della trilogia dedicata a paternità e maternità: «Ho lavorato per due anni alla sceneggiatura, adesso sto mettendo in piedi la squadra dei finanziatori, inizierò a girare in settembre, in Messico, perchè ho amici messicani, ma soprattutto perchè lì ci sono tante fosse comuni, un elemento importante della mia storia». c BY NC ND ALCUNI DIRITTI RISERVATI Registi sul podio El Club El Clan

ANICA - CINEMA - Rassegna Stampa 18/01/2016 - 18/01/2016 16 18/01/2016 diffusione:189394 Pag. 28 tiratura:278795 La proprietà intellettuale è riconducibile alla fonte specificata in testa pagina. Il ritaglio stampa da intendersi per uso privato

Ultimo film del cileno Pablo Larraín, vincitore dell'Orso d'argento 2015 A Venezia, il film dell'argentino Pablo Trapero si è aggiudicato il Leone d'argento Mi interessa il tema del padre: è la figura che ci guida nella vita, da noi è anche nostalgia del "caudillo" Lorenzo Vigas Regista, 49 anni, Leone d'oro da esordiente Autore da Oscar L'anno scorso ha vinto l'Oscar con «Birdman», quest'anno «Revenant» è candidato per ben 12 Statuette: il cinema del messicano Alejandro González Iñárritu colleziona i massimi premi Nodi irrisolti È una storia di amore e di solitudine a Caracas quella di «Ti guardo» («Desde allà»), il film di Lorenzo Vigas Nella foto, i due attori principali, Alfredo Castro e Luis Silva in una scena Il film esce nelle sale italiane il 21 gennaio

ANICA - CINEMA - Rassegna Stampa 18/01/2016 - 18/01/2016 17 18/01/2016 diffusione:135752 Pag. 20 tiratura:185831 La proprietà intellettuale è riconducibile alla fonte specificata in testa pagina. Il ritaglio stampa da intendersi per uso privato LA SAGA Rocky torna sul ring ma solo grazie a YouTube NEL SETTIMO EPISODIO SLY ALLENA IL FIGLIO DI APOLLO CREED NE VIENE FUORI UN MATCH DI VITA MOLTO COMMOVENTE Francesco Alò

Il settimo Rocky non vede più Sylvester Stallone dentro il ring. Il personaggio del pugile di Philadelphia creato dall'attore e sceneggiatore italo americano nel lontano 1975, dopo aver visto l'incontro di boxe tra il leggiadro Muhammad Alì e lo sgraziato incassatore bianco Chuck Wepner, è con Rambo la maschera più celebre indossata da Mr. Stallone. Eppure, per la settima fatica (lontana 10 anni dal sesto Rocky Balboa ), Stallone ha deciso di farsi da parte, anche come sceneggiatore, fidandosi di una generazione di ragazzini cresciuti vedendo e rivedendo i suoi film di boxe e redenzione. Ecco nascere allora l'inaspettato Creed - Nato per combattere , pellicola affidata nel ruolo da protagonista a un ventinovenne. E' l'attore nero Michael B. Jordan (già visto in Chronicle e Fantastic 4 ) qui nei panni di Adonis Johnson Creed, figlio di quell'Apollo mitico ex rivale di Balboa poi grande amico fin dal primo Rocky, vincitore di Miglior Film, Regia e Montaggio agli Oscar del 1976. Adonis è cresciuto senza padre (Apollo muore nel 1985 in Rocky IV per mano del russo Ivan Drago) ed ha bisogno di un allenatore. Incontrerà un vecchio Balboa che scarica i barattoli di pomodori fuori del suo ristorante in una gelida Philadelphia. Adonis viene da Los Angeles e non ha radici. Rocky parla da solo al cimitero con le lapidi della moglie Adriana (l'urlo del suo nome alla fine del primo Rocky è una delle battute più ricordate della Storia del Cinema) e del cognato Paulie. Chiaro che i due dovranno fare squadra e chiaro che arriveranno incomprensioni e litigi. Rocky cercherà di allenare la mente del giovane Adonis insegnandogli ad essere il pugile di una comunità (come è sempre stato l'uomo del popolo Balboa), mentre Adonis dovrà prendersi cura del vecchio mentore e dei suoi acciacchi senili. Forse all' orizzonte si stagliano due match decisivi per i due. Uno per la vita, l'altro per il titolo di campione. Poteva essere una mera operazione di marketing ma in realtà il regista appena trentenne Ryan Coogler ha dimostrato di poter modellare un nuovo capitolo di Rocky per le generazioni dei nati a fine anni '80 come lui e il protagonista Jordan. Gli incontri storici Balboa-Creed di Rocky e Rocky II ? Adonis li studia su YouTube (idea geniale). Le scalinate della corsa di fine allenamento, la palestra di Mickey (il primo allenatore di Balboa interpretato dal veterano Burgess Meredith) e la statua di bronzo del campione con le braccia alzate? Tutte location storiche di Philadelphia che Coogler integra dentro un film che è insieme omaggio al passato e nuovo vibrante inizio. Incassi stellari, eserciti di maschi in lacrime (padri e figli potrebbero uscire dalle sale abbracciati e singhiozzanti) e nuovo successo per l'ormai settantenne Stallone, vincitore del Golden Globe e strafavorito per Miglior Attore Non Protagonista agli Oscar del 28 febbraio. Pareva un incontro truccato. In realtà questo settimo film della saga è un match di boxe e vita realmente commovente. Creed DRAMMATICO USA, 133' di Ryan Coogler, con Michael B. Jordan, Sylvester Stallone, Tessa Thompson, Phylicia Rashad, Andre Ward, Tony Bellew

ANICA - CINEMA - Rassegna Stampa 18/01/2016 - 18/01/2016 18 18/01/2016 diffusione:298071 Pag. 39 tiratura:412069 La proprietà intellettuale è riconducibile alla fonte specificata in testa pagina. Il ritaglio stampa da intendersi per uso privato

Lezione di cinema con Castellitto «Zalone? Mi fa ridere chi lo elogia» «È un grande comico, non il sociologo d'Italia. La sinistra sale sul carro del vincitore» Valerio Cappelli

«Col passare del tempo, mi diverte sempre di più far recitare gli altri». Sergio Castellitto, il regista. Sta scrivendo il suo nuovo film, senza titolo ma la storia c'è tutta, e la protagonista sarà Jasmine Trinca. Di cosa si tratta? «È un film sull'ossessione del nostro tempo: il denaro a tutti i costi come unica possibilità per raggiungere questa cosa che si chiama felicità. Il denaro non è più una conseguenza del lavoro o del sacrificio ma di un colpo di fortuna, o di furbizia. Mi colpisce la patologia del gioco d'azzardo. È la storia di una donna di 35 anni che sta cercando di costruirsi un'attività commerciale e raggiungere l'indipendenza economica, per affrancarsi dallo strisciante stalking del marito, da cui è separata. Una specie di Ken Loach ambientato a Centocelle. Il soggetto è di mia moglie, Margaret Mazzantini. Il cinema si scrive quasi sempre con qualcun altro, ci è parso naturale. Ci diciamo tutto, anche se una cosa non ci piace, la franchezza è una forma d'amore». Lei ha detto che a un certo punto bisogna smettere di fare l'attore, e che se lo fai bene dopo un po' lo disprezzi. «Sono contento del mio psicoterapeuta, In Treatment su Sky. Io? Mai fatta analisi: mi confesso in pubblico da 35 anni. Quanto all'intolleranza, sono sempre irritato quando i miei colleghi dicono di fare questo mestiere per comunicare. Lo si fa per una intenzione nevrotica. Un modo per voler essere accettati, perché il mondo si accorga di te. Ma resto attore, sul set quando dirigo mi accorgo di fare gli stessi movimenti di chi recita. La più bella definizione resta quella di Artaud: l'attore è un atleta dell'anima». È difficile mantenere negli anni l'adrenalina del set? «Ogni mestiere incontra lo stereotipo di se stesso, non si continua a fare delle cose ma a ri-fare. Ho cominciato come regista perché come attore avevo perso la spinta studentesca, non sentivo più il panico, che ho visto fino all'ultimo in Mastroianni, infatti era unico. Il panico non è paura: è benzina, è energia. Come attore ho recitato in 70 film, tra cinema e tv. Mi diverte l'idea di partecipare a opere prime, di mescolare esperienza e inesperienza. Con Alba Rohrwacher farò Skin di Mauro Mancini, una storia forte, sul razzismo». Il 25 terrà una master class al cinema Savoy di Roma, per il ciclo moderato da Mario Sesti, in cui ripercorrerà la sua carriera. «Ricordo L'uomo delle stelle di Tornatore, la scena in cui il mio personaggio, il ciarlatano che invita a fare provini, viene picchiato, mio figlio Pietro si avventò sulla tv per difendermi... In quell'incontro, che apre un ciclo con , Radu Mihaileanu, Rocco Papaleo, Franco Battiato, mostro anche le clip dei film che mi hanno influenzato, Orizzonti di gloria di Kubrick, La grande guerra di Monicelli». Lei è un attore... «Un attore cerniera. Ho lavorato con i miei coetanei, Tornatore, Archibugi. Con i maestri, Ferreri, Monicelli, Scola. Poi con Bellocchio e Amelio, fratelli maggiori. Mi sono formato negli Anni 90, quando il nuovo cinema faticava. Non sono un intellettuale, ma un artigiano che crede che il cinema sia un gesto poetico che costa tanti soldi». Che idea si è fatto dell'incasso di Checco Zalone? «Non so quanto c'entri il cinema. Mi sembra un evento rave, quando tutti si riuniscono sul campo. Premesso che mi fa molto ridere, e che di fronte al successo bisogna inchinarsi e domandarsi perché, mi fa altrettanto ridere la sinistra che dopo anni di snobismo sale sul carro del vincitore, eleggendo Zalone a sociologo d'Italia, quando è solo un grande comico che è riuscito a prendere il pubblico dei cinepanettoni e

ANICA - CINEMA - Rassegna Stampa 18/01/2016 - 18/01/2016 19 18/01/2016 diffusione:298071 Pag. 39 tiratura:412069 La proprietà intellettuale è riconducibile alla fonte specificata in testa pagina. Il ritaglio stampa da intendersi per uso privato

quelli che non li andavano a vedere, che era la sinistra. Non penso che il suo successo farà bene al cinema italiano, ma è meglio dei film assistiti che hanno dissipato milioni di euro disprezzando l'idea di cinema che riportasse a casa il proprio denaro. Però il cinema è un'altra cosa, la società me la spiega meglio Irrational Man di Woody Allen». È la vigilia della Berlinale. Fare il giurato ai festival, che tipo di esperienza è? «L'ho fatto a Montreal, a Marrakech, a Roma come presidente di giuria. Non leggevo mai le critiche, col senno di poi mi accorgevo che i nostri commenti erano quasi all'opposto dei critici, e simili a quelli del pubblico. Sono stato giurato a Cannes, presidente era Sean Penn, l'anno in cui vinsero Gomorra e Il divo . Gli altri giurati mi chiamavano per gioco il mafioso. Si creano tensioni. Il nazionalismo nelle giurie in un modo o nell'altro è qualcosa che scatta». © RIPRODUZIONE RISERVATA Record Checco Zalone con «Quo vado» diretto da Nunziante ha incassato oltre 55 milioni di euro: il suo è il film italiano più visto di sempre I festival Nelle giurie scatta il nazionalismo A Cannes i colleghi mi chiamavano «mafioso» Regista Mi diverte sempre di più far recitare gli altri Sto scrivendo un film sull'ossessione dei soldi Foto: In posa Sergio Castellitto è nato a Roma, il 18 agosto 1953. Qui l'attore-regista è in posa davanti al poster di «In Treatment», la serie Sky incentrata su uno psicoterapeu-ta e le sue settimanali sedute con i suoi pazienti

ANICA - CINEMA - Rassegna Stampa 18/01/2016 - 18/01/2016 20 17/01/2016 Pag. 11 N.216 - 17 gennaio 2016 Corriere della Sera - La Lettura La proprietà intellettuale è riconducibile alla fonte specificata in testa pagina. Il ritaglio stampa da intendersi per uso privato

Orizzonti Antropologia Metafore La fiaba di Saint-Exupéry, adesso trasposta in un film, contiene una forte critica dell'utilitarismo dominante E indica un'alternativa: il rilancio della creatività e dei legami sociali, la capacità di porre un limite ai desideri individuali La rivoluzione del piccolo principe adriano favole

Viviamo tempi in cui appare difficile capire le dinamiche della politica e dell'economia, che pure intrecciano quotidianamente le nostre esistenze. In queste situazioni, il linguaggio scientifico e analitico arranca e segna il passo e il parlare per metafore della favola si rivela a volte più adeguato. Sono rimasto piacevolmente colpito dalla versione cinematografica realizzata da Mark Osborne de Il piccolo principe di Antoine de Saint-Exupéry, un libro che rileggo periodicamente da molti anni. Il libro e il film sono ovviamente due prodotti diversi, ma trovo che quest'ultimo abbia saputo calare nella contemporaneità i profondi messaggi antropologici del testo, amplificandoli senza troppo mortificarli. Il piccolo principe è prima di tutto un'incisiva critica all'utilitarismo che informa oggi le nostre vite, ben al di là dell'economia. Non a caso, settant'anni dopo la pubblicazione del libro, l'«uomo d'affari» a cui il piccolo principe diceva: «Io, se possiedo un fazzoletto di seta, posso metterlo intorno al collo e portarmelo via. Se possiedo un fiore, posso cogliere il mio fiore e portarlo con me. Ma tu non puoi cogliere le stelle!» - ha in realtà conquistato l'intero mondo. Le stelle, imprigionate, ora producono energia per il suo pianeta terra. Elevata (nel film) a principio unico di quella che è ormai una non-società tutta centrata sull'individuo, la ricerca dell'interesse diventa hybris incontrollata, desiderio irrefrenabile di ricchezza, potere, devozione e riconoscimento. È come se si fosse realizzata una sintesi diabolica dei diversi personaggi incontrati dal piccolo principe nel suo pellegrinaggio etnografico tra i pianeti: il «re», per il quale «il mondo è molto semplice. Tutti gli uomini sono dei sudditi»; il «vanitoso» dal buffo cappello; lo stesso «uomo d'affari». Utilitarismo e desideri sfrenati producono solitudine. Il piccolo principe è una favola poetica sulla solitudine: è solo il protagonista del libro nel suo pianeta; è straordinariamente sola la protagonista del film nel «progetto di vita» che le ha costruito attorno la madre; sono soli gli abitanti dei pianeti e degli asteroidi; solo l'aviatore nel deserto e nella sua bizzarra casa; sola la volpe, almeno fino all'incontro con il bambino dell'asteroide B 612; sola la rosa nella campana di vetro. Da lettore antropologo, l'aspetto che mi ha sempre colpito di questa grandiosa metafora dei nostri tempi è che non soltanto è incisiva nella capacità di «svelarne» gli aspetti più profondi, ma al tempo stesso nell'indicare delle possibilità alternative. Si tratta in primo luogo di praticare l'ascolto, di disporsi a comprendere l'Altro anche quando appare bizzarro, buffo come l'uomo del lampione («Però è meno assurdo del re, del vanitoso, dell'uomo d'affari e dell'ubriacone. Almeno il suo lavoro ha un senso») e persino arrogante. Il relativismo culturale del piccolo principe è ben lontano dall'accettazione incondizionata di qualunque modello di umanità, ma è fondato sull'attitudine alla comprensione e al riconoscimento della dignità e del senso, quale pre-condizione per attuare un dialogo e agire sulla realtà per trasformarla. Soltanto sforzandosi di capire il pensiero degli altri (la bizzarra richiesta di una pecora per ripulire dai germogli di baobab un asteroide grande poco più di una casa...) si pongono le condizioni per creare legami. La fiducia nell'interdipendenza percorre la favola (nella scatola con i tre fori c'è la pecora). Come si esce dalla non-società individualista, dalla «scuola dell'essenziale», metafora dell'utilitarismo che priva la vita di ogni colore e sfumatura poetica? In primo luogo rimettendo al centro i «legami». L'episodio della volpe è la chiave di volta della favola di Saint-Exupéry. «Che cosa cerchi?», chiede la volpe. «Cerco gli uomini, disse il piccolo principe». «Che cosa vuol dire addomesticare?», chiede quest'ultimo. «È una cosa da molto dimenticata. Vuol dire "creare dei legami"... Tu sarai per me unico al mondo, e io sarò per te unica al mondo». I legami sono quelli tra gli esseri viventi come gli uomini, gli animali, le piante certo, ma anche quelli con gli oggetti. La casa dell'aviatore (nel film) è un trionfo di oggetti d'affetto che rimandano a

ANICA - CINEMA - Rassegna Stampa 18/01/2016 - 18/01/2016 21 17/01/2016 Pag. 11 N.216 - 17 gennaio 2016 Corriere della Sera - La Lettura La proprietà intellettuale è riconducibile alla fonte specificata in testa pagina. Il ritaglio stampa da intendersi per uso privato

storie di vita e a incontri, è il caos della vita che si oppone al freddo raggelante delle case di solitudine tutte uguali in cui vivono gli abitanti della città. Creatività, fantasia, visione prospettica sono gli altri ingredienti per uscire dalla non-società in cui siamo precipitati. Il piccolo principe è anche una favola tutta protesa verso la morte o meglio verso la mortalità. È in fondo il vivere-per-la-morte di cui hanno parlato molti filosofi, l'accettazione e consapevolezza del limite che scardina la hybris del possesso e del potere ed esalta le relazioni e la creatività. Le favole ci salveranno dal mostro che imprigiona le stelle? Alain Caillé, fondatore e animatore del movimento convivialista e antiutilitarista, ne è convinto e infatti ha affidato a un racconto (più volte rappresentato anche a teatro), ispirato al De trinitate di Sant'Agostino, la conclusione del suo ultimo libro Le convivialisme en dix questions (Le Bord de l'Eau, 2015). Una novella «utopica e convivialista» che racconta come gli uomini, dopo aver sfiorato l'annientamento ecologico e sociale, nel 2030 trovano un accordo per limitare, senza negarli, i desideri di ricchezza, potere, riconoscimento ideologico, religioso ed etnico. Abbandonato il sogno di una crescita illimitata e messi da parte i desideri sfrenati che creavano diseguaglianze, il mondo diviene un luogo di pace e benessere condiviso. Utopie «da bambini»? Forse, eppure è curioso notare che il pensiero economico deve molto a un'altra favola che si colloca, per così dire, all'origine dell'utilitarismo moderno e delle sue (i)perversioni contemporanee: La favola delle api , scritta a più riprese da Bernard de Mandeville all'inizio del Settecento. In un alveare ricco e prospero, in cui crescevano parallelamente la ricchezza e l'ingiustizia sociale che produceva pochi ricchi e molti lavoratori affaticati; in un alveare in cui dominavano il vizio, il lusso, la corruzione e lo spreco, Giove - impietosito dalle richieste del popolo - decise di diffondere l'onestà e la giustizia. Avvenne così una profonda trasformazione: crollarono i prezzi delle merci, i furfanti furono smascherati, i politici corrotti vennero cacciati, tutti ora vivevano contenti di poche cose. E tuttavia l'alveare, attaccato dai nemici e indebolito dalla «decrescita», si contrasse rapidamente fino a divenire piccola cosa, una manciata di api che se ne andarono a vivere nel cavo di un albero. La riscoperta dei legami sociali, la consapevolezza della finitudine, i piccoli prìncipi e i desideri contenuti del convivialismo ci precipiteranno nel cavo di un albero? Personalmente non ne sono affatto convinto. Riprendiamoci per intanto le rose, le volpi e le relazioni sociali. © RIPRODUZIONE RISERVATA i La pellicola Dal libro di Antoine de Saint-Exupéry Il piccolo principe è tratto l'omonimo film d'animazione, diretto dal regista Mark Osborne e distribuito nelle sale italiane dal 1° gennaio. Aviatore e scrittore, Saint-Exupéry (1900-1944) nel 1943 pubblicò negli Stati Uniti Il piccolo principe , un bestseller oggi tradotto in 250 lingue Il racconto S'intitola Conte sur la possibilité d'un désir convivial («Racconto sulla possibilità di un desiderio conviviale») lo scritto in cui il sociologo Alain Caillé immagina l'avvento di un modello basato non sul profitto, ma sulla condivisione. Il testo conclude il recente libro di Caillé Le convivialisme en dix questions («Il convivialismo in dieci domande»), edito da Le Bord de l'eau Il tema Adriano Favole ha trattato alcuni aspetti della visione convivialista in un articolo su «la Lettura» #214 intitolato La non-società Il messaggio Al centro del racconto l'attitudine a comprendere l'altro quale condizione per attuare un dialogo, agire sulla realtà e trasformarla La concezione opposta Nella «Favola delle api» di Mandeville si teorizza invece che l'egoismo dei singoli sia fonte di felicità e benessere per l'alveare

ANICA - CINEMA - Rassegna Stampa 18/01/2016 - 18/01/2016 22 17/01/2016 Pag. 11 N.216 - 17 gennaio 2016 Corriere della Sera - La Lettura La proprietà intellettuale è riconducibile alla fonte specificata in testa pagina. Il ritaglio stampa da intendersi per uso privato

Foto: Arnaud e Adeline Nazare Aga, The Little Prince in the dark (2014, scultura in resina dipinta a mano e fibra di vetro): è uno dei lavori che i due artisti hanno dedicato al personaggio di Antoine de Saint-Exupéry

ANICA - CINEMA - Rassegna Stampa 18/01/2016 - 18/01/2016 23 17/01/2016 diffusione:289003 Pag. 1.31.32 tiratura:424634 La proprietà intellettuale è riconducibile alla fonte specificata in testa pagina. Il ritaglio stampa da intendersi per uso privato LA DOMENICA/ LA COPERTINA Da Al Capone a Chapo Guzmán quando al boss piace la fiction ROBERTO SAVIANO

LA NOTIZIA che una star di Hollywood, Sean Penn, e il capo del Cartello di Sinaloa, Joaquín "El Chapo" Guzmán, si siano incontrati affinché il grande attore potesse intervistare il grande narcotrafficante ha fatto il giro del mondo. Ma non poteva stupire chi conosce la logica dei boss delle organizzazioni criminali: El Chapo voleva semplicemente fare un film su se stesso. Si è inclini a credere che sia il cinema a guardare al mondo criminale, mentre molte volte è vero il contrario. ALLE PAGINE 31, 32 E 33 L'arresto di "El Chapo" in Messico LA NOTIZIA CHE UNA STAR di Hollywood, Sean Penn, e il capo del Cartello di Sinaloa, Joaquín "El Chapo" Guzmán, si siano incontrati affinché il grande attore potesse intervistare il grande narcotrafficante ha fatto il giro del mondo. Ma non poteva stupire chi conosce la logica dei boss delle organizzazioni criminali: El Chapo voleva semplicemente fare un film su se stesso. Come ho già scritto in Gomorra, e detto in molte occasioni, spesso si è inclini a credere che sia il cinema a guardare al mondo criminale, mentre molte volte è vero esattamente il contrario: è il mondo criminale che guarda al cinema. I boss sanno che buona parte del miglior cinema e delle migliori serie tv hanno come focus il mondo criminale, e quindi vogliono provare a partecipare alla loro produzione. In questo modo potranno guidare la loro rappresentazione a proprio piacimento per mostrare il loro eroismo e le loro vittorie sull'autorità. È sostanzialmente per questo che, dal Messico all'Italia, le organizzazioni criminali hanno ispirato film o ne hanno tratto ispirazione. Al Capone, il gangster americano, fu il primo a farlo. Fu proprio il suo soprannome, " scarface ", lo sfregiato, a dare nel 1932 il titolo al film di Howard Hawks. Il boss di Chicago inviò sul set a Hollywood alcuni dei suoi uomini per capire come lo stessero ritraendo e soprattutto per assicurarsi che non lo stessero rappresentando come un killer da quattro soldi. In un'intervista avrebbe poi dichiarato poi di disprezzare i gangster movie del tempo, definendoli « terrible kids' stuff », cioé robaccia da ragazzini. Eppure si narra che custodisse assai gelosamente la sua copia personale del film di Hawks. > Quando lo scorso 8 gennaio i soldati della Marina messicana hanno fatto irruzione nel suo ultimo nascondiglio, a Los Mochis, sulla costa del Pacifico, hanno trovato anche alcuni dvd de La Reina del Sur, una telenovela ispirata a una donna a capo di un Cartello, una boss interpretata da Kate Del Castillo, l'attrice che ha poi reso possibile l'incontro tra El Chapo e Sean Penn. Questo perché i boss sentono la necessità di creare attorno a sé un immaginario di potere e glamour che nella realtà non hanno - spesso vivono nascosti sotto terra come topi, mangiando cibo schifoso - e la finzione cinematografica rende questa invenzione possibile. Inoltre, articolando la loro figura sul modello hollywoodiano del capo criminale, violento ma carismatico, e sempre circondato da donne, possono diventare immediatamente e universalmente riconoscibili come persone da temere. A Napoli, durante la faida del 2004, le nuove leve della camorra si ispiravano ai gangster del grande e del piccolo schermo: Matrix, Il Corvo, Pulp Fiction (e più di recente Breaking Bad ). I boss emergenti ne imitano i protagonisti, che tutti conoscono, per creare il loro mito e avere presa sui propri sottoposti. Quando, nel gennaio 2005, Cosimo Di Lauro, figlio e erede del boss Paolo Di Lauro, fu stanato nel suo rifugio, non tentò la fuga. Ma prima che i carabinieri lo portassero davanti alle telecamere facendosi largo tra la gente del quartiere volle pettinarsi i capelli con il gel, se li raccolse in una mezza coda e poi indossò il suo impermeabile nero. Mentre avanzava ammanettato tra la folla il suo sguardo era tenebroso, da duro, alla Brandon Lee. Era Il Corvo. I ragazzini lo fotografarono e l'immagine del Corvo Di Lauro diventò immediatamente uno screensaver per cellulari.

ANICA - CINEMA - Rassegna Stampa 18/01/2016 - 18/01/2016 24 17/01/2016 diffusione:289003 Pag. 1.31.32 tiratura:424634 La proprietà intellettuale è riconducibile alla fonte specificata in testa pagina. Il ritaglio stampa da intendersi per uso privato

E ancora. Dopo l'uscita dei primi film di Quentin Tarantino i killer di camorra sembrarono aver dimenticato come si sparava: non tenevano più la pistola dritta, ma la giravano con la canna di piatto. Come nei suoi film. In questo modo, però, colpivano spesso alle gambe o al basso ventre, trovandosi poi a dover finire la vittima sparandole alla nuca. Il cinema non stava più imitando la vita vera, la stava influenzando. Gli anti-eroi di Tarantino sono diventati modelli di riferimento nel mondo mafioso perché è esattamente da quel mondo che provengono, il mondo dei renegades di tutti i tempi e di tutti i luoghi. Perché è così che vogliono apparire i boss: rinnegati, incompresi, eroi negativi con un passato di grandi tormenti, vendicatori di se stessi e dei disperati, tutori di un nuovo equilibrio contro uno stato ostile. Le guardaspalle del boss di camorra Immacolata Capone, uccisa nel novembre 2004, vestivano come Uma Thurman in Kill Bill: caschetto biondo e tuta giallo fosforescente. E Romeo P. e Giuseppe M., due minorenni di Casal di Principe che a causa delle loro continue scorribande, che infastidivano anche i boss del Casertano, vennero uccisi nel 2004, prima di sparare ripetevano sempre il brano pronunciato da Jules Winnfield in Pulp Fiction: "Ezechiele 25,17. Il cammino dell'uomo timorato è minacciato da ogni parte dall'iniquità degli esseri egoisti e dalla tirannia degli uomini malvagi". Un antieroe sprezzante del pericolo: così vuole essere percepito il camorrista. Cesare Pagano, boss degli "scissionisti" di Scampia, nel 2010 venne arrestato dalla polizia. Era inserito nella lista dei latitanti più ricercati dalle forze dell'ordine. Quando uscì dalla questuPULP FICTION ra di Napoli per essere trasferito in carcere indossava una maglietta con la foto di Steve McQueen, l'attore maledetto che da ragazzino era stato in riformatorio e icona, con Papillon, della grande fuga dall'isola del Diavolo. Ma il cinema introduce anche linguaggi nuovi nelle dinamiche di mafia. La parola "padrino" non era mai stata usata nelle mafie italiane prima che, nel 1972, uscisse il film di Francis Ford Coppola. Prima di allora il termine usato per indicare un capofamiglia o un affiliato era sempre stato "compare". Fu dopo il film, negli Stati Uniti, che le famiglie mafiose d'origine italiana iniziarono a usare il termine "padrino". Così come cominciarono a indossare gessati e occhiali scuri, e a ripetere frasi tratte dal film. Luciano Liggio, boss di Cosa Nostra fino a metà degli anni '70, si faceva fotografare con la mascella sporgente come don Vito, mentre per John Gotti lo stile del capofamiglia del Padrino diventò una seconda pelle - tanto da essere soprannominato per la sua eleganza "The Dapper Don". Quanto a Bernardo Provenzano, nei primi anni '90, quando già era in cima alla lista dei superlatitanti ricercati per mafia, a rischio di essere arrestato volle comunque recarsi in un affollato cinema del centro di Palermo per vedere l'ultima parte della trilogia del Padrino. Tra tutti, però, il film in assoluto più amato dai mafiosi di mezzo mondo è Scarface, regia di Brian De Palma, anno 1983, il boss Toni Montana interpretato da Al Pacino. È il film che ha cambiato il modo in cui intere generazioni di affiliati volevano vedersi ed essere visti. Walter Schiavone, per esempio. A Casal di Principe possedeva una villa talmente fastosa che tutti in paese la chiamavano "Hollywood". Si racconta che per progettarla il boss della camorra avesse consegnato al suo architetto la cassetta Vhs di Scarface chiedendogli di costruirgliene una identica a quella di Tony Montana. Ma ville nello stravagante stile Montana sono state costruite dai vari boss in varie parti d'Italia: il capo della cosca Alvaro di Sinopoli, vicino Reggio Calabria, stava facendo costruire un vero e proprio palazzo per la sua famiglia: venne scoperto dai finanzieri ancora in fase di cantiere mentre lui era in carcere. Un'altra villa enorme è stata costruita in provincia di Bologna dai Mancuso, i cui uomini la usavano come base per trattare l'acquisto di ingenti partite di cocaina con narcos spagnoli e colombiani. Ma la passione dei criminali per Scarface non si ferma all'architettura: a Napoli alcuni boss hanno gabbie con tigri e leoni in giardino, proprio come Tony Montana nel film. Cosa fare quindi? È ovvio che non dobbiamo smettere di girare film sul crimine organizzato. È un mondo che non può non essere raccontato. L'unica cosa che possiamo fare, però, è fare attenzione. Assicurandoci, per esempio, che il boss non stia usando il film o la serie tv o l'intervista magari per

ANICA - CINEMA - Rassegna Stampa 18/01/2016 - 18/01/2016 25 17/01/2016 diffusione:289003 Pag. 1.31.32 tiratura:424634 La proprietà intellettuale è riconducibile alla fonte specificata in testa pagina. Il ritaglio stampa da intendersi per uso privato

mandare un messaggio, magari - come parrebbe nel caso nel caso dell'intervista di Sean Penn all'El Chapo evaso dal carcere - a El Mayo Zambada, suo socio di sempre nel Cartello di Sinaloa ma forse anche suo rivale interno. El Chapo deve anche aver scorto la possibilità di fare qualcosa di diverso, di dire qualche verità in più sul nostro tempo, come solo i grandi film di mafia sanno fare. Perché nei film di mafia, come nella realtà della mafia, alla fine tutti sono immersi nelle dinamiche del potere, tutti si muovono in un mondo dove se vuoi ottenere qualcosa devi usare ogni mezzo possibile: il sotterfugio, il sorriso o il mitra. Un mondo dove vince chi è preparato a rischiare la prigione - oppure la morte - pur di ottenere potere. Una versione di questo articolo è apparsa il 12 gennaiosu The Guardian Se El Chapo legge Saviano Durante la caccia al super narco trafficante messicano El Chapo Guzman, evaso dal carcere la scorsa estate e poi nuovamente catturato lo scorso 8 gennaio, gli uomini delle forze di sicurezza messicane hanno trovato in uno dei suoi nascondigli, sulla sua branda, una copia dell'ultimo libro di Roberto Saviano, "Zero Zero Zero". Il video del ritrovamento è stato diffuso da "El Universal", uno dei giornali più diffusi in Messico secobdo cui il rifugio case in cui il criminale si nascondeva si trova a Las Piedrosas, nel complesso montuoso messicano della Sierra Madre Occidentale. All'epoca El Chapo riuscì a scappare dalle forze messicane. In "Zero Zero Zero" Saviano documenta il traffico internazionale della cocaina, "materia" in cui Guzman è evidentemente un esperto. Foto: SCARFACE QUI SOPRA, IL PRIMO (ISPIRATO ALLO "SFREGIATO" AL CAPONE) DI HOWARD HAWKS (1932). A DESTRA, IL REMAKE DELL'83 DI BRIAN DE PALMA CON AL PACINO LA VILLA LE COLONNE, LE DUE SCALE GEMELLE: PER LA SUA VILLA (A SINISTRA) IL BOSS WALTER SCHIAVONE SI È ISPIRATO ALLA SCALINATA DI "SCARFACE" (IN ALTO) IL PADRINO SOPRA, JOHN GOTTI, L'ELEGANTE PADRINO DI NEW YORK E, A SINISTRA, BRANDO "PADRINO" DI FRANCIS FORD COPPOLA (1972) SOPRANO LA CELEBRE SERIE RACCONTA LA VITA DI TONY SOPRANO, BOSS DELLA MAFIA ITALOAMERICANA KILLER, DROGA E VIOLENZA NEL CAPOLAVORO DI TARANTINO (1994), CON UNA GIOVANISSIMA UMA THURMAN KILL BILL IL CORVO COSIMO DI LAURO, DEL CLAN DI SECONDIGLIANO, MENTRE VIENE ARRESTATO NEL 2005: LA SUA IMMAGINE, VOLUTAMENTE ISPIRATA AL PERSONAGGIO INTERPRETATO DA BRANDON LEE NE "IL CORVO" (1994), DIVENTERÀ SCREENSAVER DI CELLULARI DI MOLTI GIOVANI AFFILIATI ALLA CAMORRA A UMA THURMAN, PROTAGONISTA DEL FILM DI QUENTIN TARANTINO (2003), SI ISPIRAVANO LE GUARDASPALLE DELLA BOSS DI CAMORRA IMMACOLATA CAPONE. A DESTRA, "NON È UN PAESE PER VECCHI" DEI FRATELLI COEN (2007) Foto: BRAVI RAGAZZI "CARLITO'S WAY", (1993), "DONNIE BRASCO" (1997), "C'ERA UNA VOLTA IN AMERICA" (1984) E "QUEI BRAVI RAGAZZI" (1990): LA MAFIA IN QUATTRO GRANDI FILM INTOCCABILI SOPRA, AL CAPONE E, ACCANTO, DE NIRO NE "GLI INTOCCABILI" DI DE PALMA (1987) PROPRIO NEL RUOLO DI AL CAPONE. A SINISTRA, "LUCKY LUCIANO" DI FRANCESCO ROSI (1973) E QUI SOTTO IL VERO LUCKY LUCIANO IN UNA FOTO SEGNALETICA PAPILLON NELLA FOTO A SINISTRA, CESARE PAGANO, SUPERBOSS DI SCAMPIA, NEL 2010 MENTRE VIENE ARRESTATO: INDOSSA LA MAGLIETTA DEL SUO IDOLO, STEVE MCQUEEN, L'ATTORE CHE DA RAGAZZO FINÌ IN RIFORMATORIOE CHE SULLO SCHERMO SI TRASFORMA IN "PAPILLON" GOMORRA IL FILM DI GARRONE (2008) DAL LIBRO OMONIMO DI SAVIANO. A DESTRA UNA SERIE TV MOLTO AMATA DAL PUBBLICO CRIMINALE REGINE A SIN ISTRA: L'ATTRICE KATE DEL CASTILLO PROTAGONISTA DELLA TELENOVELA "LA REINA DEL SUR" MOLTO AMATA ANCHE DA EL CHAPO EL CHAPO SEAN PENN STRINGE LA MANO AL SUPER

ANICA - CINEMA - Rassegna Stampa 18/01/2016 - 18/01/2016 26 17/01/2016 diffusione:289003 Pag. 1.31.32 tiratura:424634 La proprietà intellettuale è riconducibile alla fonte specificata in testa pagina. Il ritaglio stampa da intendersi per uso privato

TRAFFICANTE MESSICANO EVASO (E POI RIARRESTATO) PER L'INTERVISTA AL "ROLLING STONE". ULTIMA FOTO A DESTRA: BENICIO DEL TORO È "ESCOBAR"

ANICA - CINEMA - Rassegna Stampa 18/01/2016 - 18/01/2016 27 17/01/2016 diffusione:189394 Pag. 1 tiratura:278795 La proprietà intellettuale è riconducibile alla fonte specificata in testa pagina. Il ritaglio stampa da intendersi per uso privato PARLA DICAPRIO "L'Oscar? Per me conta di più l'ambiente" FULVIA CAPRARA

INTERVISTA DI Fulvia Caprara A PAG. 27 Lontano dalla solitudine gelida e angosciosa che ha segnato la prova più difficile della sua vita d'attore. Lontano dalle fan e dai paparazzi che lo hanno accolto l'altra sera nella capitale e che, fin dall'inizio della carriera gli hanno fatto guadagnare la fama di divo allergico alla popolarità. Lontano anche da quella teoria di bionde statuarie, tutte più o meno identiche, che riempiono tra un film e l'altro i suoi riposi di guerriero, Leonardo DiCaprio, a Roma per il lancio di Revenant , da ieri in 500 sale con 20thCentury Fox, ha l'aria vagamente annoiata di un alunno distratto durante una lezione poco avvincente. Più che rispondere alle domande, sembra che attenda paziente la fine dell'interrogazione. Si risveglia solo davanti a una tazzina di caffè, guarda goloso il vassoio di pasticcini e, appena può, riprende a disegnare sul suo foglio. Una maschera indiana? No, precisa con un mezzo sorriso, «è una medusa». La sua prova straordinaria ha fatto scrivere a un giornalista americano che il film di Iñárritu, candidato a una pioggia di Oscar, è un po' «National Leographic». La verità è che DiCaprio ha compiuto un miracolo recitativo. Sullo schermo, nei panni dell'esploratore Hugh Glass aggredito da un grizzly, è diventato brutto, sporco e cattivo; nella realtà ha ancora lo sguardo infantile del re del mondo di Titanic . Tutto fa pensare che Revenant le farà guadagnare quell'Oscar che secondo molti avrebbe già dovuto ottenere per altre prove. Lei che ne dice? «Sono felice dell'accoglienza ricevuta dal film, io e Alejandro siamo contenti che il nostro sforzo sia stato apprezzato. Ed è bello vedere che questo riconoscimento arriva da chi fa il nostro stesso mestiere. Ma non sono i premi la ragione per cui si fa un film». Nella cinquina degli attori protagonisti c'è qualcuno che teme o apprezza di più? «Non faccio mai paragoni con i miei colleghi, queste valutazioni toccano ad altri». Questo è il suo ruolo più fisico, recita molto senza parlare e, quando lo fa, usa parole indiane. È stato difficile? «Sì, sul set ci hanno aiutato a imparare qualcosa della lingua dei nativi. Il mio personaggio viene attaccato da un orso alla gola, per molto tempo non può aprire bocca, ho cercato di creare una forma di recitazione silenziosa, una specie di battito, di respiro che fosse in sintonia col racconto». Il tema dominante di «Revenant» è il rapporto dell'uomo con la natura, un argomento cui lei si dedica da tempo con passione. Che cosa le ha insegnato di nuovo questa esperienza? «Soprattutto che non siamo ancora riusciti a imparare niente dalla storia che ci ha preceduto. Intere generazioni, in nome del mito della Frontiera, si sono misurate con la natura per sopravvivere o per tentare di sottometterla. I diritti delle popolazioni indigene sono stati calpestati e i luoghi con più risorse sono stati oggetto di razzie. Prima le pelli, poi l'oro, poi il petrolio... anche oggi non siamo capaci di salvaguardare ciò che è ancora incontaminato. Basta pensare ai problemi climatici: mi ha colpito molto, andando in zone diversissime, dalla Groenlandia all'Argentina, verificare il modo in cui il clima è mutato. Toccare con mano il potere e insieme la fragilità della natura». Che cosa ha provato nella sequenza dell'attacco dell'orso? «È stata una scena che ha richiesto molto coraggio, Iñárritu ha voluto trasformare lo spettatore in una mosca che gira intorno al combattimento, come se volesse far percepire al pubblico il mio fiato e quello dell'animale». I suoi prossimi impegni? «Questo film è stato per tutti e due, molto di più per Iñárritu, un viaggio epico, un capitolo importante delle nostre vite. Ora è come se ci fossimo seduti, non sappiamo che cosa verrà dopo. L'unica cosa a cui sto lavorando è il mio nuovo documentario». Ha già un titolo? «No, lo sto realizzando con il regista di The Cove Louie Psihoyos. Il tema è il mutamento climatico, il 2015 è stato l'anno più caldo della storia del pianeta».Da questo film sono uscito con la consapevolezza che l'uomo non è riuscito a imparare niente dalla storia Ho toccato con mano potere e fragilità della natura Ho cercato una recitazione silenziosa, una specie di battito in sintonia con il racconto. I miei pensieri ora vanno a un nuovo documentario sul clima

ANICA - CINEMA - Rassegna Stampa 18/01/2016 - 18/01/2016 28 17/01/2016 diffusione:189394 Pag. 1 tiratura:278795 La proprietà intellettuale è riconducibile alla fonte specificata in testa pagina. Il ritaglio stampa da intendersi per uso privato

Foto: AP L'attore Leonardo DiCaprio, 41 anni, ieri a Roma all'hotel St. Regis Sul set Il regista Alejandro González Iñárritu con Leonardo DiCaprio durante la lavorazione del film «Revenant»

ANICA - CINEMA - Rassegna Stampa 18/01/2016 - 18/01/2016 29 17/01/2016 diffusione:189394 Pag. 16 tiratura:278795 La proprietà intellettuale è riconducibile alla fonte specificata in testa pagina. Il ritaglio stampa da intendersi per uso privato il caso "The Danish girl" bandito in Qatar Nudo e transgender restano un tabù Ritirato dalle sale il film del premio Oscar Tom Hooper FRANCESCA PACI

Èdurata un paio di giorni la programmazione qatarina di «The Danish Girl», il film del premio Oscar inglese Tom Hooper sulla vita della pioniera transgender Lili Elbe già in corsa per la statuetta del miglior attore protagonista. Uscita a Doha lo scorso weekend la pellicola è subito incappata nel veto del ministro della Cultura che martedì ne ha annunciato via Twitter la messa al bando, ringraziando generici cittadini per la loro «risoluta vigilanza». Dopo poco, di «The Danish Girl» non restava traccia nemmeno sui tamburini dei siti Novo Cinemas, Cineco Movies, Marhaba. Pur in assenza di motivazioni ufficiali è facile immaginare che la proscrizione sia legata al soggetto del film, che contiene diverse scene di nudo: prova ne sia il successivo dibattito online tra chi plaude lo stop alla «depravazione morale» e chi difende il diritto alla normalità dalla «devianza mentale dei censori». Sebbene negli ultimi anni abbia investito molto in soft power, differenziando i propri investimenti in occidente dalla moda al calcio alle aste di arte contemporanea, il Qatar è un Paese estremamente conservatore, dove un anno fa il ministro dello sport Salah bin Ghanem bin Nasser al-Ali interpellato sull'eventuale accoglienza di atleti gay ai Mondiali del 2022 replicò: «È esattamente come per l'alcol». Ossia, vietato. Nel caso dei film la messa al bando fa a dir poco sorridere, nota la critica cinematografica egiziana Magda Khairallah: «È irragionevole perché la gente andrà comunque a scaricarsi il film su Internet». Ma i moralizzatori resistono. Negli ultimi anni in quel di Doha il cartellino rosso è toccato al bollywoodiano «Raaz 3», alle video -epopee «Noah» e «Exodus», a «The Wolf of Wall Street», sforbiciato dai previdenti distributori di almeno un quarto delle scene riguardanti sesso e droga. Le autorità pretendono di agire nel nome del comune senso del pudore: secondo un sondaggio della Northwestern University del Qatar l'80% degli spettatori del grande schermo ritiene giusto oscurare quanto potrebbe offendere la sensibilità sociale. In realtà non è solo il Qatar. Due anni fa a giubilare la storia del patriarca biblico interpretato da Russell Crowe si scomodò l'università cairota al Azhar, il Vaticano sunnita, seguito a stretto giro da Bahrein e Emirati Arabi Uniti. Si sostenne allora che la rappresentazione di un archetipo come Noè avrebbe sbeffeggiato la tradizione iconoclasta dell'Islam (sebbene nelle telenovelas di Ramadan come «Al Hassan wa Al Hussein» compaiano i nipoti di Maometto). Quando pochi mesi dopo uscì «Exodus» il divieto ebbe argomenti politici: la fuga di Mosè, spiegarono i censori, proponeva «una visione sionista della Storia». E buio fu perfino in Marocco. Ma è quando entra in ballo il sesso (donne, gay e, nemmeno a dirlo, transgender) che gli autonominatisi tutori del bene comune si scatenano per proteggere da Hollywood il mercato delle anime: il 34% degli spettatori mediorientali giudica infatti «moralmente offensivi» i film americani, ma il 45% di loro ammette di guardali (con piacere). c Foto: /AP Foto: Vietato Una scena del film di Hooper vietato. La trama è ispirata alle vite delle pittrici danesi Lili Elbe e Gerda Wegener

ANICA - CINEMA - Rassegna Stampa 18/01/2016 - 18/01/2016 30 17/01/2016 diffusione:189394 Pag. 49 Ed. Torino tiratura:278795 La proprietà intellettuale è riconducibile alla fonte specificata in testa pagina. Il ritaglio stampa da intendersi per uso privato Tre candidature per il laboratorio finanziato al 53% da fondi stranieri FilmLab sogni da Oscar con i soldi dell'Europa francesca rosso

Da Torino a Hollywood. Sono ben 3 gli «alumni», allievi del TorinoFilmLab nominati agli Oscar 2016: l'ungherese Laszlo Nemes con «Son of Saul» e il giordano Naji Abu Nowar con «Theeb», pronti a conquistare la statuetta come migliore film straniero, e Basil Khalil, nato a Nazareth da padre palestinese e madre inglese con «Ave Maria» in lizza per il miglior cortometraggio. «Nemes - racconta con orgoglio ed entusiasmo Savina Neirotti, direttrice e anima del FilmLab - ha partecipato al programma di sviluppo di sceneggiature Script&Pitch 5 anni fa con il progetto del suo secondo film "Sunset", con cui è tornato al TorinoFilmLab lo scorso anno nel programma FrameWork per registi e produttori. Durante il TFL Meeting Event ha vinto un premo di 50.000 € per la realizzazione di "Sunset". Al TorinoFilmLab ha incontrato Matthieu Taponier che è diventato l'editor di "Son of Saul" perché la cosa più importante del Lab è creare una comunità, una rete di scambio di competenze, idee e relazioni». Grande laboratorio «Son of Soul» ha vinto il Grand Prix al Festival di Cannes 2015 e il Golden Globe come Miglior Film Straniero nel 2016 e «Theeb» ha vinto il premio per la miglior regia alla Mostra del Cinema di Venezia nel 2014. Continua Savina Neirotti: «Naji Abu Nowar e Basil Khalil hanno partecipato al programma Interchange del TorinoFilmLab, dedicato allo sviluppo di coproduzioni con i Paesi del mondo arabo». Il TorinoFilmLab è un laboratorio internazionale, nato 8 anni fa, che sostiene i talenti emergenti di tutto il mondo, con particolare attenzione alle opere prime e seconde, attraverso attività di formazione (per sceneggiatori, registi, produttori, story editor e designers), sviluppo, finanziamento e sostegno alla distribuzione. La ricerca di fondi «La nostra unicità - spiega Neirotti - è proprio quella di mettere insieme i 3 aspetti: i corsi, il mercato di produzione e il fondo di produzione e distribuzione. Ad esempio il Sundance non ha fondi e il mercato di Rotterdam si occupa di coproduzione. Noi possiamo fare tutto perché Alberto Barbera è esperto di fondi, io di formazione, ci restava solo il mercato». Ma come si sostiene il FilmLab? Neirotti aggiunge: «Su un budget di 1.480.000 di euro del 2015: 520.000 arrivano dalla Comunità Europea (è il terzo maggiore contributo assegnato del programma Media per la formazione) e siamo uno dei cinque mercati di coproduzione europei che può assegnare premi di produzione e distribuzione con soldi Media; 260.000 da 15 partner stranieri di 10 Paesi: Polonia, Germania, Belgio, Francia, Macedonia, Svizzera, Croazia, Repubblica Ceca, Olanda, Spagna; 300.000 dal ministero per i Beni Culturali; 330.000 dalla Regione Piemonte e 70.000 dai partecipanti. La Regione investe quindi il 23% del totale dei Fondi, il ministero il 20%, il restante 57% arriva dall'Europa». Torino, un riferimento E anche la ricaduta sul territorio è importante. «Portiamo Torino nel mondo - conclude Neirotti -. La città è ormai un riferimento nel mondo del cinema. E durante il Meeting Event a novembre i 200 produttori che vengono in Piemonte se ne innamorano e non vedono l'ora di tornarci». BY NC ND ALCUNI DIRITTI RISERVATI Torino Film Festival Nato nel 1982 come Festival internazionale Cinema Giovani. Lo scorso anno ha avuto un incremento del 10% dei biglietti venduti, passati dai 26.900 del 2014 a 29.700 Ç Film Commission Sono quasi 800 le produzioni realizzate da Film Commission Torino Piemonte operativa dal 2000: primo scopo la promozione del Piemonte e di Torino nei film, nei documentari, negli spot Ç Festival Cinema Gay Fondato da Ottavio Mai e Giovanni Minerba nel 1986 è il più antico festival sul tema in Europa e terzo nel mondo. Il prossimo Torino Gay and Lesbian Film Festival si svolgerà dal 4 al 9 maggio Ç Venticinque schermi Aiace In 25 sale i soci Aiace possono assistere agli spettacoli a prezzo ridotto. L'associazione ha lanciato una campagna a sostegno del cinema, testimonial registi e personalità della cultura

ANICA - CINEMA - Rassegna Stampa 18/01/2016 - 18/01/2016 31 16/01/2016 diffusione:189394 Pag. 29 tiratura:278795 La proprietà intellettuale è riconducibile alla fonte specificata in testa pagina. Il ritaglio stampa da intendersi per uso privato La storia C'era una volta E ora c'è di nuovo il West Tarantino e Iñárritu guidano un'ondata di film di genere Lo stile e i valori della Frontiera sono più attuali che mai FULVIA CAPRARA ROMA

Uomini di legge e criminali senza scrupoli, pianur e a s s o l a t e e b o s c h i ghiacciati, giubbe blu e frecce acuminate, dollari d'onore e cavalieri pallidi. Genere cardine del cinema Usa, ispirato alla fase più saliente della storia politica americana, la colonizzazione delle regioni occidentali del Paese, il western rivive, ciclicamente, momenti di gloria che ne rilanciano il fascino contagiando tv, moda, letteratura. Se l'inverno cinematografico del 2016 resterà legato ai due titoli-evento più attesi, The Hateful Eight di Quentin Tarantino e Revenant di Alejandro G onzalez Iñárritu, la primavera e l'estate in arrivo continueranno a vedere eserciti di ragazze svolazzanti di frange, con pantaloni a zampa come quelli d e i m a n d r i a n i , s t i v a l i d a cowboy e capelli alla squaw. Le s a l e c i n e m a t o g ra f i c h e c h e stanno per accogliere il western pulp di Tarantino sono già addobbate in stile saloon, con porte di legno scorticato e scritte in vernice. Le serie tv, punta di diamante della comunicazione audiovisiva, sono già oltre, con la quarta stagione di Hell on Wheels , dedicata dagli ideatori Tony e Joy Gay ton alla costruzione della prima ferrovia transcontinentale, e con Texas Rising (passata su Sky Atlantic) in cui il regista Roland Joffé descrive gli a n n i i n f u o c at i d e l l a G u e r ra d'Indipendenza del Texas contro il Messico, di cui era ancora parte. La pubblicità si adegua e le Poste italiane girano uno spot genere vecchio West per far capire ai risparmiatori che i buoni, ovvero i titoli certi, esistono ancora, garantiti dallo Stato. A o g n i r i t o r n o i l we s t e r n c a m b i a f a c c i a , s o t t o l i n e a aspetti in linea con le nuove ansie sociali, interpreta le paure diffuse, si reinventa in chiavi rivo l u z i o n a r i e, a m b i e n t a l i s t e, multietniche. Maestro di riletture coraggiose e provocazioni sanguinarie, Quentin Tarantino colloca i suoi magnifici otto sullo sfondo raggelato di un Wyoming battuto dalla tempesta. L'inizio con la diligenza che avanza nella neve è stato paragonato all'avvio di Ombre rosse , ma lo sviluppo, nel chiuso oppressivo della locanda dove i cattivi incontrano altri cattivi, senza redenzione né salvezza, si rifà al modello italiano, dal maestro Sergio Leone al Sergio Corbucci del Silenzio , girato in pieno '68, con Klaus Kinski e JeanLouis Trintignant. Il freddo, protagonista insieme a Leonardo DiCaprio del tumultuoso Revenant , è un altro classico elemento western, basta pensare ai Compari di Robert Altman con Julie Christie e Warren Beatty. E così la pioggia, colonna sonora degli Spietati di Clint Eastwood che nel 1992, con quattro Oscar, sancì una delle rinascite del genere. Due anni prima, nel 1990, Kevin Costner aveva fatto incetta di statuette con Balla coi lupi , western animalista inserito dall'American Film Institute nella classifica dei migliori cento film Usa di tutti i tempi. Sulla scia dell'attesissima esplosione tarantiniana, mentre Antoine Fuqua prepara The Magnificent Seven , remake dei Magnifici sette , a sua volta ispirato ai Sette samurai di Kurosawa, arriveranno sugli schermi molte altre nuove declinazioni del mito della Frontiera. D a T h e Ke e ping Room di Daniel Barber, con t r e d o n n e d e l S u d c h e c o m e Rossella O'Hara in Vi a c o l v e n t o t e n go n o t e s t a agli istinti violenti di un gruppo di assassini, a Bone Tomahawk di S. Craig Zahler con Kurt Russell sceriffo senza paura, da Slow West di John MacLean con Michael Fassbender, premiato al Sundance Festival, a Jane Gota Gun d i Gavin O'Connor, star Natalie Portman, eroina con la pistola. Il western, come l'Araba Fenice, rinasce ogni volta dalle sue ceneri, con la forza dei suoi valori primordiali, con il fascino dell'avventura allo stato brado, modellandosi sulle diverse stagioni dell'immaginario. c In arrivo Keeping Room Donne del Sud contro una banda di killer Bone Tomahawk Kurt Russell (nella foto) sceriffo senza paura Jane Got a Gun Natalie Portman (foto) con il fucile Foto: Kurt Russell e Samuel L. Jackson nel Wyoming innevato di «The Hateful Eight» di Tarantino, che esce in Italia il 4 febbraio

ANICA - CINEMA - Rassegna Stampa 18/01/2016 - 18/01/2016 32 16/01/2016 diffusione:189394 Pag. 29 tiratura:278795 La proprietà intellettuale è riconducibile alla fonte specificata in testa pagina. Il ritaglio stampa da intendersi per uso privato

Foto: Leo DiCaprio protagonista di «Revenant» Foto: Un'immagine western dello spot di Poste italiane

ANICA - CINEMA - Rassegna Stampa 18/01/2016 - 18/01/2016 33 17/01/2016 diffusione:135752 Pag. 50 Ed. Roma tiratura:185831 La proprietà intellettuale è riconducibile alla fonte specificata in testa pagina. Il ritaglio stampa da intendersi per uso privato LE ESEQUIE L'addio ad "Accattone" tra ricordi e polemiche ma il cinema non c'è Ieri i funerali religiosi a Fiumicino con i parenti e i vecchi amici pescatori IL FIGLIO: «È STATO DIMENTICATO DA TUTTI» NINETTO DAVOLI: «ABBIAMO FATTO TANTI FILM INSIEME, SE NE VA UN PEZZO DI STORIA» Mirko Polisano

(Foto IPPOLITI) Accattone è morto solo. Povero e malato. Dimenticato dal suo mondo, quello del cinema. Nel giorno dell'ultimo saluto a Franco Citti, l'attore diventato famoso per aver interpretato il ruolo del protagonista nel film più conosciuto di Pier Paolo Pasolini, l'unico volto noto era quello dell'amico di sempre Ninetto Davoli. Nella piccola chiesa "Stella Maris" di via delle Meduse, ieri mattina, la prima fila era occupata dai familiari di Citti che gli sono stati accanto finché il suo cuore non ha cessato di battere: i figli Paolo e Marina, la moglie Santina e la sorella Adriana. Poi i tanti affezionati, gli appassionati delle sue pellicole che hanno voluto esserci per rendergli omaggio. «Io sono nato nel quartiere della Vittoria - racconta un giovane che insieme a due amici ha lasciato tre rose sul feretro - attraverso Franco ho scoperto che la Roma più vera e più bella era da un'altra parte. Senza Citti e senza i suoi film non l'avrei mai saputo, forse. Già sentiamo la sua mancanza». I RICORDI «È andato via un pezzo di me stesso, sono straziato - ricorda quasi in lacrime l'attore Ninetto Davoli, che insieme a Citti ha girato tanti film, da Minestrone a Casotto, che hanno avuto come location le spiagge di Ostia - con Pier Paolo, Sergio ed io avevamo fatto un gruppo e avevamo condiviso tante cose: un'altra parte ancora se ne va via. Per me è una perdita di un amico e di un grande compagno di vita. È andato via un pezzo di storia del cinema italiano. È morto Accattone». Non sono mancati i Ragazzi di Vita che sono cresciuti giocando a calcio con Pasolini. Tra questi anche Paolo Pilati, al secolo Tarzanetto. «Franco - ha detto invece don Alcibiade Pizzuti che ha celebrato le esequie - lascia un'immagine unica, vera, forte: un'immagine estremamente religiosa». A porgere l'omaggio delle istituzioni, nella camera ardente allestita poco prima dei funerali a Villa Guglielmi, il sindaco di Fiumicino Esterino Montino e il presidente della Regione Lazio Nicola Zingaretti. IL FIGLIO «La Regione - ha fatto sapere Zingaretti- troverà l'occasione affinché non si dimentichi il contributo che ha dato al nostro cinema». Lo sfogo più duro è quello del figlio Paolo. «Si sono scordati completamente di mio padre - ha voluto precisare- avrei gradito che si ricordassero di lui anche in vita. In tempi recenti ho parlato con gli assessori per avere un po' di spazio negli eventi estivi, ma niente. È stato riconosciuto dal comune solo dopo la morte». L'amministrazione soltanto adesso ha infatti deciso di dedicare all' attore la rassegna di appuntamenti culturali chiamata "Metropolitana Fiumicino Estate". Ma Franco Citti qualche riconoscimento lo avrebbe voluto in vita. Foto: Ninetto Davoli accanto alla bara di Citti

ANICA - CINEMA - Rassegna Stampa 18/01/2016 - 18/01/2016 34 17/01/2016 diffusione:135752 Pag. 1 tiratura:185831 La proprietà intellettuale è riconducibile alla fonte specificata in testa pagina. Il ritaglio stampa da intendersi per uso privato L'intervista Di Caprio a Roma lancia la corsa all'Oscar: «I premi sono solo un bonus» Gloria Satta

Satta a pag. 25 Riuscirà finalmente a vincere l'Oscar? «Non è per avere i premi che ho girato Revenant - Redivivo . Sono felicissimo di ricevere le attenzioni dei colleghi dell'Academy ma le mie motivazioni sono altre». Quali? «Ogni volta che sono sul set mi sforzo di realizzare un'opera d'arte destinata a rimanere, mi importa solo quello». Ed eccolo Leonardo DiCaprio, il favorito dell'Oscar, 41 anni e 206 premi vinti, uno più importante dell'altro, ma mai la statuetta nonostante le cinque nomination. Eccolo, con la camicia grigia intonata ai celebri occhi di ghiaccio, il pizzetto, i capelli all'indietro e il corpo sempre più massiccio ma più che mai seducente, carismatico. Reduce dal terzo Golden Globe e dal bagno di folla romano alla Casa del Cinema, dove Revenant Redivivo è stato proiettato in anteprima davanti a 120 vip, DiCaprio è venuto con il regista del film candidato a 12 Oscar, il messicano Alejandro González Iñárritu. I due si scambiano sguardi d'intesa, si parlano all'orecchio, si sorridono complici: è un affiatamento nato sul set del film, girato in condizioni estreme lungo otto mesi tra i ghiacci del Canada e dell'Argentina. Al centro della storia, ispirata a un fatto vero, il leggendario cacciatore di pelli Hugh Glass che nel 1822, nell'innevato MidWest, venne abbandonato dai compagni agonizzante dopo l'assalto di un orso Grizzly. E, miracolosamente sopravvissuto, cercò la vendetta. Un'interpretazione da premio, quella di DiCaprio, che esprime emozioni violente solo attraverso gli occhi e si sottopone a prove fisiche estreme. Aria assorta, occhi che sprizzano intelligenza, l'attore racconta la sua nuova sfida, il suo cinema, l'impegno ambientalista che da più di vent'anni rappresenta la sua seconda pelle. Cosa l'ha spinta a girare questo film? «La prospettiva di lavorare con Iñárritu. E' un talento visionario e ci sono pochi registi come lui in grado di realizzare un'opera epica e al tempo stesso poetica. E' partito da una storia leggendaria americana ed è andato oltre, in profondità, raccontando la vittoria dello spirito umano su ostacoli che sembrano insormontabili». Come ha affrontato l'impresa The Revenant? «Come se fosse un film di fantascienza: esistono pochissime informazioni su quel periodo storico in cui l'America non era ancora l'America, ma una landa selvaggia com'è oggi l'Amazzonia». E come si è documentato? «Ho letto i rarissimi documenti esistenti sui cacciatori di pellicce: quell'epoca e quegli uomini non sono stati raccontati né da scrittori, né da immagini». Qual è il messaggio del film? «Revenant ha la capacità unica di sviluppare un legame profondo tra l'incredibile epicità dei paesaggi e i sentimenti intimi dei personaggi. E' un'epopea fortemente simbolica che racconta la capacità dell'uomo di sopravvivere nella natura ma anche di violarla, invadendo i territori delle popolazioni indigene. La storia si ripete e non abbiamo imparato nulla dagli errori del passato». Che intende? «L'uomo per avidità ha continuato a violare i diritti delle popolazioni indigene, a danneggiare paesaggi e persone, sfruttandone le risorse. Durante le riprese ho anche toccato con mano le conseguenze del cambiamento climatico. Faceva molta paura vedere come il mutamento di un solo grado potesse avere conseguenze devastanti». E come si esprime, in questo momento, la sua battaglia per la difesa dell'ambiente? «Produrrò un documentario del regista di The Cove, Louie Psihoyos, proprio sui cambiamenti climatici. È il mio unico progetto, per il momento». La scena più impressionante è l'aggressione dell'orso: cosa ha pensato mentre la girava? «Che per il pubblico sarebbe stata una delle esperienze cinematografiche più sconvolgenti. Iñárritu ha saputo mettere lo spettatore al centro della scena e, d'accordo con il direttore della fotografia Emmanuel Chivo Lubezki, ha voluto far percepire agli spettatori quello che a livello viscerale vivono i personaggi». Quanto è stato difficile esprimere le emozioni senza parlare? «Molto, sapevo che avrei avuto una recitazione molto fisica, completamente diversa dalle mie precedenti. E' stata questa la mia vera sfida». Si aspettava di lavorare in condizioni proibitive? «Nessuno avrebbe potuto prevedere le difficoltà che abbiamo incontrato. Ma il bello è che tutti gli sforzi si vedono sullo schermo». Cosa ha dovuto imparare di pratico? «Le tecniche di sopravvivenza, ad usare un moschetto, indossare la pelle di un orso, accendere

ANICA - CINEMA - Rassegna Stampa 18/01/2016 - 18/01/2016 35 17/01/2016 diffusione:135752 Pag. 1 tiratura:185831 La proprietà intellettuale è riconducibile alla fonte specificata in testa pagina. Il ritaglio stampa da intendersi per uso privato

il fuoco, sopravvivere alla temperature glaciali. Gli uomini di quell'epoca, loro sì, erano dei veri duri». Considerate le sue convinzioni, pensa che Revenant - Redivivo sia un film politico? «Parla dello sfruttamento della natura in nome del commercio, ma è un film poetico. Racconta qualcosa che succede sistematicamente anche oggi. E il pubblico, non ho dubbi, lo capirà perfettamente». Foto: Leoanrdo DiCaprio a Roma e, sotto, in una scena del film

ANICA - CINEMA - Rassegna Stampa 18/01/2016 - 18/01/2016 36 17/01/2016 diffusione:135752 Pag. 25 tiratura:185831 La proprietà intellettuale è riconducibile alla fonte specificata in testa pagina. Il ritaglio stampa da intendersi per uso privato Il regista «È tutto vero, pochi gli effetti speciali» Gl. S.

«L'esperienza di Birdman mi ha insegnato a girare dei film in cui il pubblico abbia un ruolo attivo e possa entrare nella fisicità della storia», dice Alejandro González Iñárritu, 52 anni. Con Revenant Redivivo, che ha ottenuto 12 candidature all'Oscar (tra cui le principali: miglior film, migliore regia, miglior protagonista DiCaprio, miglior attore non protagonista Tom Hardy, fotografia) e appena uscito nelle nostre sale con Fox, il regista messicano potrebbe fare il bis del 2015, quando il suo Birdman vinse quattro statuette. E oggi, per questo film di sapore e ambientazione completamente diverse, Iñárritu ha puntato tutto sulla magia della natura: «È tutto vero quello che si vede. Gli effetti digitali sono ridotti al minimo, li ho usati essenzialmente nella scena dell'assalto dell'orso», spiega, «nel resto del film volevo che il pubblico provasse delle emozioni da documentario, come se gli animali e le emozioni fossero ripresi in tempo reale». Un giornale americano ha soprannominato il film "National Leographic"... «L'idea mi piace molto», sorride il regista. Un'altra spinta a girare Revenant Redivivo, aggiunge, è venuta dal desiderio di parlare della «Grande Frontiera e dell'inzio degli Stati Uniti come nazione: è un periodo poco raccontato».

ANICA - CINEMA - Rassegna Stampa 18/01/2016 - 18/01/2016 37 16/01/2016 diffusione:135752 Pag. 23 tiratura:185831 La proprietà intellettuale è riconducibile alla fonte specificata in testa pagina. Il ritaglio stampa da intendersi per uso privato IL CASO Diario di due solitudini L'omosessualità, il complesso rapporto padre-figlio, la Caracas delle gang giovanili arriva nelle sale il 21 "Ti guardo", film di Lorenzo Vigas, Leone d'Oro a Venezia Gloria Satta

Solitudine, omosessualità, il complesso rapporto padre-figlio, la Caracas delle gang giovanili e dei fortissimi contrasti sociali: esce il 21, con "Cinema" di Valerio De Paolis, Ti guardo , il film vincitore del Leone d'oro all'ultima Mostra di Venezia. Ex biologo molecolare al suo esordio nel cinema, il regista Lorenzo Vigas, venezuelano, 47 anni e un bambino di un mese, ha puntato tutto sui due protagonisti: il magnifico attore cileno Alfredo Castro e l'esordiente Luis Silva. Interpretano rispettivamente un uomo solitario, incapace di relazionarsi con gli altri e abituato ad adescare "ragazzi di vita" al semplice scopo di guardarli, e un diciottenne esuberante e aggressivo che viene dalla strada e finisce inesorabilmente per legarsi a lui. «Questo film», spiega Vigas, uomo colto e comunicativo, «è il secondo capitolo di una trilogia dedicata ai rapporti traumatici tra padri e figli iniziata con il mio cortometraggio Gli elefanti non dimenticano mai e destinata a concludersi con il film che girerò in estate, The box ». E' un tema che l'affascina forse perché suo padre, scomparso due anni fa, era il grande artista Osvaldo Vigas e ha condizionato la sua vita? «Assolutamente no, con lui ho avuto un rapporto affettuosissimo e complice e oggi mi occupo della sua Fondazione. Il tema è un archetipo della cultura latinoamericana: nel nostro continente il padre è quasi sempre assente, o perché è emigrato o perché è stato ucciso. Il film mette in primo piano la carenza affettiva che accomuna i protagonisti e determina il loro rapporto». IDENTITA' Nelle intenzioni del regista, Ti guardo vuole essere anche una riflessione sull'identità venezuelana illustrata dal contrasto tra i due personaggi: uno taciturno ed emotivamente inerte, l'altro caloroso ed estroverso. «Il mio Paese attraversa un momento molto delicato dal punto di vista politico ed economico. E' caratterizzato dalle contraddizioni e delle grandi distanze: tra il governo e il popolo e tra le classi sociali», spiega Vigas. «Da qualche anno mi sono trasferito a Città del Messico, dove c'è un gran fermento intellettuale. Tanto per fare un esempio, lo scrittore Guillermo Arriaga è stato tra i primi a incoraggiarmi. Ma resto venezuelano e quando posso giro film nel mio magnifico Paese». Ti guardo fa inevitabilmente pensare a Pasolini e ai suoi ragazzi di vita: il regista-scrittore friulano è tra i suoi riferimenti artistici? «Amo i film di Pasolini per i temi che trattano, ma per quanto riguarda la forma il mio modello è Bresson. Ma quando ho cominciato a fare cinema al liceo, per hobby, i miei idoli erano De Palma e Argento». Il Leone d'oro, primo premio cinematografico internazionale andato al Venezuela, ha felicemente rivoluzionato la vita e la carriera di Vigas. «Quando sono tornato da Venezia, sono stato accolto come un eroe nazionale», racconta il regista. «Ora molte cose si muovono, ho più facilità a trovare i finanziamenti e per il momento accompagno Ti guardo in tutto il mondo. Nel mio Paese uscirà ad aprile: sono ansioso ed eccitato e non escludo che provocherà polemiche perché sfida un tabù come l'omofobia». Sarà invece girato in Messico The Box , il cui protagonista è un ragazzo di 14 anni che cerca i resti di suo padre in una fossa comune. Ti guardo irrompe sulla scena dominata da grandi registi latinoamericani come Iñárritu, Del Toro, Cuaròn. Avete qualcosa in comune? «Stilisticamente nulla. Ma ad accomunarci è la necessità di distinguerci dal cinema nordamericano e raccontare storie che nessuno racconta. Senza inibizioni e senza paura». . Foto: SOLITUDINI Una sequenza del film "Ti guardo" Foto: IL REGISTA VENEZUELANO «NEL MIO PAESE FORTI CONTRADDIZIONI E GRANDI DISTANZE TRA IL GOVERNO E LA POPOLAZIONE» Foto: IL LEONE Il regista Lorenzo Vigas a Venezia

ANICA - CINEMA - Rassegna Stampa 18/01/2016 - 18/01/2016 38 16/01/2016 diffusione:135752 Pag. 24 tiratura:185831 La proprietà intellettuale è riconducibile alla fonte specificata in testa pagina. Il ritaglio stampa da intendersi per uso privato L'INTERVISTA «Grande Citti il suo volto era storia» Gigi Proietti ricorda l'attore scomparso. Il set di "Casotto", la "maschera" di Accattone, la creatività dell'artista, l'anima di una borgata che non c'è più Leonardo Jattarelli

Cinquantacinque anni fa, era l'agosto del 1961, l'Italia e poco più tardi il mondo intero avrebbero conosciuto una nuova "maschera", quella di Accattone , affidata al volto unico di Franco Citti. Il film di Pasolini veniva presentato alla Mostra di Venezia in quella che allora si chiamava "sezione informativa". Negli anni del Boom, Pasolini spiazzava l'immaginifico popolare e, come sempre, andava controcorrente; il suo essere "corsaro" metteva a fuoco il piccolo Paese borgataro, sofferente, devastato da ferite sociali mostrate in tutta la loro ferocia. Franco Citti ne era la perfetta immagine. Incarnava esattamente ciò che il regista aveva partorito nella propria mente: «Ho voluto rappresentare la degradazione e l'umile condizione umana di un personaggio che vive nel fango e nella polvere delle borgate di Roma». La dolorosa scomparsa di Franco Citti, oggi, rappresenta in qualche modo anche la conclamata fine dell'Accattone di una volta. Oggi esiste il nomade urbano: «I borgatari del duemila - ci disse una volta lo scrittore Walter Siti, curatore delle opere complete di Pasolini- vogliono somigliare ai giovani della media borghesia». Cosa rimane dunque di Franco Citti e della sua "maschera" non solo nel cinema ma nell'anima di chi l'ha conosciuto? Gigi Proietti nel '77 è sul set di Casotto , diretto dal fratello di Franco, Sergio Citti, ma al fianco dell'attore scomparso giovedì scorso. Un incontro «illuminante» per Proietti che piange «un amico, un vero artista». Proietti, un ricordo di quei giorni? «Vorrei dire intanto che il volto di Franco Citti appartiene direi quasi in sovrimpressione a tutto un certo cinema d'autore anche se lui non vi parteciperà sempre direttamente. Era un'icona, un volto unico, un viso che non ha eguali. Pasolini ebbe una grande intuizione. Franco ha rappresentato una fetta di storia del cinema, era una "maschera" attraverso la quale si poteva leggere tanta periferia romana di un certo tipo. Quello di "Casotto" è stato un bel periodo, molto creativo. Ci ha permesso di conoscerci a fondo». Ecco, cosa ha scoperto di lui? «Era un uomo diverso da come l'immaginavo, pieno di creatività. Un animo grande e lo ringrazio perché insieme abbiamo riso molto e con un modo solo nostro di ridere. C'era un umorismo non consueto che nasceva anche solo da uno sguardo, tanto che si pensava anche di costruire una coppia comica. Ma sono quelle cose che si dicono al ristorante tra una portata e l'altra. Il ridere è un modo per scoprirsi; ironizzare sulle stesse cose accomuna molto, si diventa amici prima. E poi la creatività non è mai seriosa». Le raccontava anche di Pasolini e del loro rapporto artistico? «Non ho mai conosciuto personalmente Pasolini, purtroppo. Ma ricordo come sia Franco che suo fratello Sergio ne parlassero sempre con enorme rispetto. Più tardi però ho pensato che Franco non erano solo un attore nella mani di un grande regista. Perché era molto creativo, aveva molte idee, voleva fare film assolutamente originali. Inconsueti, ecco». Parlare oggi di borgate romane ha ancora lo stesso significato, la stessa valenza di una volta? «La borgata di Pasolini era filtrata da una visione tragica ma aveva anche altri aspetti. Anche io c'ho passato la mia adolescenza; erano le borgate del dopoguerra, dove la vita "graffiata" conviveva con una straordinaria vivacità. Si aveva voglia di andare avanti con la consapevolezza che sì, forse era possibile cambiare. Una consapevolezza che ora credo sia venuta meno». Oggi l'immigrazione ha modificato un po' tutto, forse anche il dialetto... «Allora le borgate si somigliavano molto. Ora credo di no. Oggi Roma è una metropoli più inconoscibile e penso anche più cattiva di un tempo. Ad un certo punto, diversi anni fa, mi venne l'idea di mettere su una radio dedicata alle borgate: doveva chiamarsi "Radio raccordo anulare". Perché il problema non è unire le tante culture ma farle comunicare tra loro. Pensiamo solo ad Ostia, per fare un esempio, che è una "città" più grande di Bologna. Bisognerebbe riflettere su questo». Quale caratteristica di Franco Citti rimarrà indelebile nella sua mente? «La sua potenza. Riusciva a raccontare una storia con una sola inquadratura». .

ANICA - CINEMA - Rassegna Stampa 18/01/2016 - 18/01/2016 39 16/01/2016 diffusione:135752 Pag. 24 tiratura:185831 La proprietà intellettuale è riconducibile alla fonte specificata in testa pagina. Il ritaglio stampa da intendersi per uso privato

Foto: «Parlava di Pasolini con enorme rispetto» Foto: IL SET Pasolini e Franco Citti durante le riprese di Accattone. Sotto, Gigi Proietti Foto: «NON DIMENTICHERÒ LA SUA POTENZA RIUSCIVA A RACCONTARE CON UNA SOLA INQUADRATURA»

ANICA - CINEMA - Rassegna Stampa 18/01/2016 - 18/01/2016 40 17/01/2016 diffusione:85021 Pag. 22 tiratura:120193 La proprietà intellettuale è riconducibile alla fonte specificata in testa pagina. Il ritaglio stampa da intendersi per uso privato Cinema / agora' spettacoli STEVE JOBS I tormenti di un mito Rispetto al pessimo film di Stern, la pellicola diretta da Boyle e scritta da Sorkin restituisce il genio e il cuore del fondatore di Apple ALESSANDRA DE LUCA

e uno di quei film capaci di riscrivere le regole di un genere spesso afflitto da pigrizia creativa, il biopic , e di restituirci l'essenza di una persona in maniera del tutto anticonvenzionale. Più che una fotografia, Steve Jobs diretto da Danny Boyle, scritto da Aaron Sorkin, fresco di nomination all'Oscar, e interpretato da Michael Fassbender, anch'egli candidato alla preziosa statuetta, è un quadro impressionista. Splendori e miserie, genio e crudeltà del visionario fondatore di Apple ci vengono infatti restituiti non attraverso il solito racconto cronologico dei suoi successi e dei suoi fallimenti (come faceva il pessimo Jobs diretto da Joshua Michael Stern e interpretato da Ashton Kutcher), ma condensando i conflitti più significativi della sua vita nei minuti che precedono i lanci dei tre prodotti più importanti nell'arco della carriera di Jobs. Un dietro le quinte esistenziale e astratto, capace di riassumere battaglie, tormenti, gioie, ossessioni, errori e rivincite di una vita spesa a reinventare quella degli altri. Si parte dunque con il Macintosh nel 1984, poi si salta al NeXTbube del 1988 per finire con l'iMac del 1998. Tre atti di quaranta minuti ciascuno, realizzati come se fossero tre piccoli film, ambientati in tre spazi diversi di San Francisco, patria della seconda rivoluzione industriale. Se la leggenda nasce infatti all'Auditorium Flint al Community College De Anza, nel cuore di Cupertino, luogo dove realmente si svolse la presentazione del computer destinato a diventare per la prima volta parte integrante della vita di ciascuno di noi, il lancio del NeXTcube, atto di vendetta contro la Apple che aveva licenziato Jobs, ha luogo all'Opera, capace di restituire un'enfasi tutta teatrale alla rivalsa del genio offeso, mentre l'iMac ci proietta nel futuro anche grazie alle architetture avanguardistiche della Davies Symphony Hall. A ogni epoca e luogo corrisponde un'atmosfera diversa, restituita da uno sgranato 16mm per la prima parte, da un più morbido 35mm per la seconda e dal digitale della rivoluzionaria personaggio shakespeariano, come Amleto, Re Lear o il distruttivo Macbeth (interpretato proprio da Fassbender nel film di Justin Kurzel in questi giorni sugli schermi), tormentato da spinte contrastanti, attaccato da ex compagni di viaggio che gli rimproverano l'aver voltato le spalle a loro e al passato. La vivace scrittura di Sorkin, che aveva scritto anche Social network sul fondatore di Facebook Mark Zuckerberg e che per Jobs si ispira alla biografia scritta dal giornalista Walter Isaacson, regala ritmo ed energia ai lunghissimi dialoghi che costituiscono lo scheletro del film, che inchiodano il pubblico alla poltrona per due ore e non smettono di ipnotizzarlo neppure quando il discorso si fa un po' più tecnico. Lo Steve Jobs di Sorkin e Boyle sarà pure un uomo impossibile, dominato da un ego incontenibile, ma non è certo privo del senso dell'umorismo, esercitato anche grazie alla sua fedele e devota assistente, Joanna Hoffman, personaggio che può contare sulla performance di Kate Winslet, candidata all'Oscar come miglior attrice non protagonista e già vincitrice del Golden Globe. I fitti scambi di battute tra loro, l'alchimia tra i due attori sono ai massimi livelli così come pure lasciano il segno gli scambi di Jobs con John Sculley, amministratore delegato della Apple, con Andy Hertzfeld, ingegnere del software, e con Steve Wozniak (interpretato da un sorprendente Seth Rogen, quasi sempre visto in ruoli comici), co-creatore del personal computer nel leggendario garage di Los Altos e deluso dall'ostinata irriconoscenza dell'amico Steve. «I tuoi prodotti sono meglio di te», gli dice con profonda amarezza. E non spaventi il fatto che il film, ambientato quasi esclusivamente in interni, abbia un impianto teatrale: gli attori sono in moto perpetuo (pare che Jobs discutesse delle cose più importanti camminando), seguiti dalla steadycam , freneticamente impegnati negli ultimi preparativi prima di ogni presentazione, caparbiamente intenzionati a far prevalere il proprio punto di vista, a rincorrere qualcuno per una risposta, a farsi inseguire per non darne. Si ride della testardaggine di Jobs, della sua pretesa di far dire « Hallo » a un computer che quel giorno non vuole saperne di parlare,

ANICA - CINEMA - Rassegna Stampa 18/01/2016 - 18/01/2016 41 17/01/2016 diffusione:85021 Pag. 22 tiratura:120193 La proprietà intellettuale è riconducibile alla fonte specificata in testa pagina. Il ritaglio stampa da intendersi per uso privato

della sua determinazione a essere "cattivo", quasi che dolcezza, disponibilità e comprensione possano mettere a rischio il proprio talento. E non si rimane indifferenti al suo progressivo avvicinarsi a quella ragazzina che sembra avere la sua stessa scintilla. Lui, che secondo alcuni aveva un chip al posto del cuore, saprà trovare finalmente le parole giuste per parlare con la sua migliore creazione e per comunicarle quell'amore che nessun computer al mondo sarebbe capace di offrire. telecamera Alexa per la terza. Una struttura narrativa dunque adatta a raccontare tutta la complessità e le contraddizioni di un uomo che ha cambiato per sempre il modo in cui interagiamo gli uni con gli altri, ma che non ha saputo abbinare talento e bontà, che ha dedicato la propria vita al futuro e all'innovazione, ma non coltivato rapporti affettivi soddisfacenti. Ci metterà molti anni per amare sua figlia, che all'inizio si era rifiutato di riconoscere, proprio lui che non aveva mai accettato di essere stato abbandonato dai propri genitori e adottato. Una ferita attraverso la quale rileggere molti capitoli della vita di Jobs che nel film è quasi un Foto: Steve Jobs Foto: PROTAGONISTA. Michael Fassbender interpreta magistralmente Steve Jobs, nel film diretto da Danny Boyle e scritto da Aaron Sorkin, fresco di nomination all'Oscar Foto: (Ap/Universal)

ANICA - CINEMA - Rassegna Stampa 18/01/2016 - 18/01/2016 42 18/01/2016 Pag. 1.15 La proprietà intellettuale è riconducibile alla fonte specificata in testa pagina. Il ritaglio stampa da intendersi per uso privato L'attore comico e il cameo nel film di Zalone «Rifiutai il posto fisso. Così nacque Lino Banfi» "«Agli inizi ero disperato e un senatore mi trovò un lavoro in banca: ma non andai. Che snobismo in Rai. Il pugliesismo? Iniziò con me» LUCA TELESE

«Persino io nella mia vita ho sfiorato il posto fisso, sai?» Non ci credo Lino. «Giuro: tu sai che per un comico, uno zingaro, nomade e precario per definizione, come me, è un assurdo, però ero così vicino alla canna del gas...» Racconta. «Sarà stato forse il 1965 o il '66, ero già a Roma: facevo il cabarettista, ma ero disperato, veramente disperato». Perché? «O non mi pagavano proprio, oppure dicevano di pagarmi e non poi non me li davano». L'anno più nero della tua vita? «Senza dubbio: debiti, strozzini, due cravattari che mi venivano a cercare a casa, due zingari che facevano paura...» E tu? «Stavo per gettare la spugna e ora nessuno saprebbe chi è Lino Banfi». Perché? «Eravamo in tre, con una bimba piccola, e non si metteva insieme il pranzo con la cena». Non avevi successo? «Macché: sbarcavo il lunario nell'avanspettacolo, Rosanna, mia figlia, aveva tre quattro anni, e io tornavo a casa senza in tasca i soldi per comprare la carne o il latte». E quindi? «Mi dissi: Basta! Così non reggo! Decisi di provare a prendere pure io il posto fisso». E come si faceva? «Semplice. Chiamai mio padre che mi disse: "Lino! C'è sempre a Roma quel senatore Iannuzzi che mi vuole bene..."». E tu lo chiami? «"Senatore, mi aiuti!". "Beh? Non vu fe cchiù l'artist?"». Gli spieghi che non ci riesci. E lui? «Mi fa: "Lino, tu si nu disastr! Nun ti sì né laureat, né diplomat!! Ti faccio entrare in banca, come usciere: ma appena entri alla Cassa di Risparmio devi studiare e diplomarti, così ti posso far fare cassiere"». Geniale. Ti faceva addirittura tutoraggio... «Eeeeh, la prima Repubblica, non si scorda mai, come dice Checco! Ma...» Ma? «Non ero felice: dovevo prendere servizio lunedì, era sabato. Terrore. Io e Lucia nel letto. Io non dico nulla. Lei non dice nulla». E poi? (Con una faccia Lino diventa sua moglie, con uno sguardo se stesso) «"Non dormi?" E io: "No"». E lei? «"Ancora stappensaie a la Banc?". Io: "Sì". (Sospiro). "Ma perché devo avere a fianco un marito infelice?"». E tu zitto? «Muto. Ancora lei: (Sospiro). "Lino, vù fa l'artist? Fa l'artist!"». Santa donna! «Devo tutto a quella frase. Spero di averla ripagata con una vita di amore». E il senatore Iannuzzi? «Ci rimase molto male, disperato. Diceva: "L'ho messo alla cassa di risparmio e non mi ha fatto un solo giorno di lavoro!!!". Ah ah ah». Lino Banfi è il personaggio chiave di Quo vado , il politicone prima Repubblica che procura il mitico «postofisso» a Checco. Ma nessuno sapeva che nel momento più drammatico della sua vita Lino aveva avuto anche lui il suo protettore. Lo incontro a Cinecittà, dove sta registrando l'ennesima scena nei panni di Nonno Libero. Il giorno prima di andare in onda gli arrivano le paginette con le battute, lui se le studia in macchina, quando arriva sa già tutto a memoria. Gli chiedo come faccia. Risponde con un sorriso solare, e si fa clap-clap sulla fronte: «Sono un vecchione che tende al rimbambito: eppure questo muscoletto qui continua non tradirmi, eh eh eh!». Dovevo raccogliere una breve intervista per una puntata di Matrix su Zalone, lui mi investe con un racconto fantastico. Infatti il suo ruolo in Quo vado non è una partecipazione amichevole come tante, ma un piccolo tributo che Nunziante e Medici hanno immaginato su misura per lui: un ideale scambio di testimone tra due generazioni anagraficamente distanti ma artisticamente affini. Lino ne è convinto: «Checco ci ha vendicato!». Chi? «Noi artigiani della comicità». Nel film diventi per Zalone come Virgilio che guida Dante nell'inferno... «Seeeeh, ti ringrazio. Ma io sono solo una pedina piccola di questo film: eppure ho accettato di fare questo cameo per il modo bello con cui me lo hanno chiesto». Vi eravate conosciuti già? «Sì, a rate: avevo visto Luca a Telenorba, quando non lo conosceva nessuno. Resto di stucco per il talento e chiedo: ma chi è questo mostro?» Cosa ti rispondono? «È uno di Capurso vicino Bari. E io quel ghigno non me lo scordo più». Seconda puntata? «Dopo il record di incassi di Cado dalle nubi , un giorno, il mio ufficio stampa mi passa al telefono uno che parla come me: "Madónn benedett l'incoronéta!!!, io ti adoro, maestro!". Era Checco». È stato subito amore. «Li ho conosciuti, e devo parlare al plurale, perché

ANICA - CINEMA - Rassegna Stampa 18/01/2016 - 18/01/2016 43 18/01/2016 Pag. 1.15 La proprietà intellettuale è riconducibile alla fonte specificata in testa pagina. Il ritaglio stampa da intendersi per uso privato

Checco e Gennaro Nunziante vivono in simbiosi con le reciproche famiglie, scrivono e pensano in maniera artigiana finché non sono sicuri di quello che vogliono!» E poi? «Passano la pratica a Valsecchi: più che un produttore un mecenate». Lo dici quasi con invidia... «Loro dicono "Andiamo in Norvegia", e lui ce li porta! Ai miei tempi i produttori mi avrebbero risposto: "Ma che chezzo vuoi!? - lo puoi scrivere chezzo, non è volgare! - vattene a girare al Terminillo, altro che Norvegia!"». Stai dicendo che quel successo non ci sarebbe senza questo lavoro di squadra? «Certo. Checco è il nostro vendicatore, il vendicatore dello spirito bistrattato della vera comicità nazionalpopolaresca italiana. Uno spirito di cui, anche io, mi sento un umile interprete». Sei diventato quasi di famiglia... «Ho girato con loro solo tre giorni ma sono bastati». A cosa? «Ho scoperto che la mamma di Luca è itticodipendente, come me: ci siano fatti una scorpacciata di ricci insieme». Sei il nonno d'Italia. «Lo sai che quest'anno faccio gli anni come altri tre grandi vecchioni con la B. di questo Paese?» E chi sono? «Oltre Banfi? Bergoglio, Baudo e Berlusconi. Ti basta?» Ti senti il padre di una lingua comica? «Ho aperto io la strada della pugliesità? Forse. Ma fu quasi per caso». Cioè? «Noi non abbiamo avuto una scuola o dei modelli, gli Angelo Musco e gli Eduardo De Filippo». Sei tu il capostipite. «Il pugliesismo, se davvero esiste, cominció con me quando ero ragazzo e con i miei amici scherzavo e facevo le zingarate». Che curriculum avevi? «Nessuno. Io ho cominciato a recitare come studente, poi da seminarista fallito, e poi sono fuggito di casa per girare i peggiori teatri d'Italia, eh eh...» Non mi hai detto delle prime gag... «Tutto nasce dalle burle che facevo mimando quei contadini pugliesi che quando parlavano non sapevano se si doveva dire "cravatta" o "cravattola", e si arrampicavano in costruzioni linguistiche improbabili, declinazioni strampalate...» Tu questi tic li digerisci e li rielabori... «Capiii che quella lingua si poteva reinventare: in una delle prime comparsate in Rai esordii prendendo in giro Pippo». Intendi Baudo? «Proprio lui. Mi presentó e io risposi: "Ciao Pippobaudolo!!". E giù risate. Un giorno mi trovo davanti Iva Zanicchi e le grido: "Zaniccoli!!". Funzionava». Per questo Gennaro e Checco ti hanno voluto con loro... «L'hanno detto: "Per noi è un tributo perché tu hai aperto la strada al pugliesismo su cui ci siano incamminati anche noi"». Ti pare poco? «Per me è tutto! Sai, tutti chiedono se questo film è di destra o di sinistra...» Domanda legittima. «Ehhhh... Tutti cercano di montare sul cavallo del successo di Zalone! Col chevolo puoi scrivere chevolo - che tre anni fa ci sarebbe stata questa ressa!» Ti ha convinto quel messaggio? «Certo! Zalone e Nunziante, fra una gag e l'altra, parlano di Jobs act-act-act, di Cocoocó, di cocooppró, di esodati, di flessibilizzati! Ma dov'era finito il cinema cosiddetto impegnato?» Dici che Quo vado ha occupato uno spazio vuoto? «Certo. Ma mi pare che gli.... intellettueli dei miei stivali non lo avessero capito». Senti molto questa divisione fra cinema italiano di serie A e di Serie B? «A noi non solo non ci danno un premio, ma nemmeno ce lo fanno consegnare». Maddai! «Se a qualcuno gli dicono che il premio glielo porta Lino Banfi gli prende la sincope!» Non esagerare... «Come dice Checco: a noi quelli della famiglia del signor Di Donatello non ci conoscono proprio». Quand'è che sei passato dai cravattari del '66 al successo? «Solo un anno dopo, come un miracolo». Che accadde? «Al termine di uno spettacolo mi chiama il vecchio De Laurentiis e mi fa: Senti, io ti sistemo! Tu fai cinque film con me e io ti do due milioni al mese». E quanto erano? «Come se tu oggi passassi dai debiti a ventimila euro al mese!» Il film che ti ha fatto guadagnare di più? « Vieni avanti cretino! » Il primo da protagonista? «Pasquale Zagaria. Adesso nel web circola una scena con un amico prete, davanti al Colosseo, che fu totalmente improvvisata...» Quella degli schiaffoni? «Già. Quel giorno ci inventammo il barese con i sottotitoli in arabo: se lo avessimo fatto oggi l'Isis ci avrebbe sgozzato». Poi sei cresciuto nel cuore della Rai... «Carlo Fuscagni mi voleva bene. Agnes mi amava. Ma i dirigenti Rai dicevano: "Mi vergogno a dirlo ma a me Banfi mi fa pisciare dalle risate"». Non mi pare gravissimo... «Io lavoro con la Rai ma i regali di Natale me li manda Pier Silvio. Capisci? In un certo mondo c'è un certo snobismo». Snobismo? «Ti faccio un esempio: Marco Risi ha detto che il punto nero della su carriera è aver girato Il commissario Lo Gatto con Banfi. E non è vero! Era felice». Queste cose ti fanno soffrire. «Un giorno Caprara, del Mattino - un amico - mi raccontó che sulla piazza Rossa, in un festival, L'Allenatore nel pallone era proiettato vicino a Kaos dei fratelli Taviani. E che

ANICA - CINEMA - Rassegna Stampa 18/01/2016 - 18/01/2016 44 18/01/2016 Pag. 1.15 La proprietà intellettuale è riconducibile alla fonte specificata in testa pagina. Il ritaglio stampa da intendersi per uso privato

succede?, dico io. "Si stanno sbellicando dalle risate", risponde lui. Gli faccio: perché non lo scrivi? E lui mi fa: "Linù, eheheh..."». Cosa voleva dire? «Che non avrebbe fatto piacere al suo giornale». Cosa pensi delle provocazioni di Quo Vado ? «Il posto fisso era meglio del Jobs act-act-act perché ha dato certezze ad un Paese insicuro». Proprio tu, lo dici, che lo hai rifiutato? «Sì, perché più invecchio o raccolgo riconoscimenti, e più penso a quelli che si perdono, ai più anziani». Pensi agli altri? «Io adesso sono Nonno Libero davvero, perché penso ai tanti nonni che soffrono e non ce la fanno, e lo so perché con me si confidano». Come vorresti che fosse ricordata la tua comicità? «Non ho la pretesa che sia arte. Sarei felice di essere ricordato per quello che sono stato davvero». Cosa? «Un servizio sociale emotivo. Un farmaco. Un calmante. Eh eh eh...» FENOMENO CHECCO Ho visto Zalone a Telenorba, quando non lo conosceva nessuno. Sono rimasto di stucco per il talento: ma chi è questo mostro? VIALE MAZZINI I dirigenti Rai dicevano: "Mi vergogno a dirlo ma Banfi mi fa pisciare dalle risate". Lavoro con loro ma i regali di Natale me li manda Pier Silvio. Capisci? Foto: Lino Banfi è nato ad Andria il 9 luglio 1936 [LaPresse]

ANICA - CINEMA - Rassegna Stampa 18/01/2016 - 18/01/2016 45 17/01/2016 diffusione:41548 Pag. 1 tiratura:96288 La proprietà intellettuale è riconducibile alla fonte specificata in testa pagina. Il ritaglio stampa da intendersi per uso privato DiCaprio cola a picco dopo le nomination DESTINI Oscar, il Titanic di Leo SELVAGGIA LUCARELLI

Fu già tutto chiar o n e l 1 9 9 7 quando uscì T it anic , Rose non spostò di mezzo millimetro le sue regali chiappe su quella tavola galleggiante e Jack colò a picco rigido come uno stoccafisso che Leonardo DiCaprio sarebbe stato sempre l ' elemento sacrificabile in quel di Hollywood. Quell ' anno, per dire, l ' Academy candidò Tit an ic al l ' Oscar in qualsiasi categoria possibile (ne vinse 11), dal miglior film al miglior trucco al miglior iceberg mai apparso su uno schermo per arrivare al miglior buffet post-produzione. Perfino quella culona egoista di Rose (Kate Winslet) si beccò la candidatura come miglior attrice protagonista nonostante più di uno spettatore avesse desiderato che nel lanciare il cuore dell ' oceano negli abissi, perdesse l ' equilibrio sul parapetto e andasse a fondo assieme al gioiello. Per ragioni del tutto misteriose, l ' unico elemento di quel film considerato dall ' Academy quanto Pippo Civati nello scenario politico del Paese, fu proprio Leonardo DiCaprio. Per T i t anic Leo non ebbe nessuna candidatura. GIUSTO una nomination ai Golden Globe che poi vinse Peter Fonda, uno che in 76 anni di vita ha vinto solo un premio (quel Golden Globe) giusto per scipparlo a DiCaprio, poi non ha mai più vinto manco un Gratta e Vinci. Dopo T itanic passano sette anni in cui DiCaprio fa film così così, poi si ferma un paio di anni e forse medita di venire in Italia, aprire una pizzeria al taglio e di accettare il ruolo di Garko ne Il bello delle donne , poi azzecca un paio di pellicole e nel 2005 arriva una nuova candidatura agli Oscar: miglior attore protagonista per The aviator . Peccato che proprio quello stesso anno sia candidato all ' Oscar per Ray anche l ' attore di colore Jamie Foxx, il quale per prepararsi a interpretare Ray Charles vive praticamente per mesi con una benda sugli occhi, lavorando accanto al cantante cieco. Come se DiCaprio non fosse già abbastanza sfigato, poco dopo l ' uscita di Ray muore pure Ray Charles, quindi a quel punto ha tante probabilità di scippare l ' Oscar a Jamie Foxx quante ne ha Mario Monti di inventarsi una seconda vita da cabarettista. E infatti l ' Oscar va a Foxx per Ray e DiCaprio si sente di nuovo Jack che va a fondo nelle acque gelate dell ' oceano mentre Rose galleggia col suo bel culone al caldo. Nel 2007 siamo punto e a capo. DiCaprio viene ricandidato all ' Oscar come miglior attore protagonista per Blood diamond e l ' Oscar va a un altro attore di colore, Forest Whitaker per L ' ultimo re di Scozia . Ora, a parte che a Hollywood inclusi Will Smith e Morgan Freeman ci saranno al massimo otto attori di colore di cui ormai è evidente che la metà sono scritturati solo per scippare gli oscar a DiCaprio, a parte che DiCaprio è l ' u n ic o attore bianco a subire il razzismo al contrario, questo Forest Whitaker è uno che nel 2000 fu candidato ai Razzie Awards come peggior attore, nel 2007 va in nomination agli Oscar contro DiCaprio, vince e poi il massimo del ruolo che ottiene è qualche comparsata in ER medici in prima linea . È UN PO ' come se in Italia Vaporidis soffiasse il David di Donatello a Toni Servillo e poi andasse a fare Un posto al sole . Nel 2014 pare la volta buona. DiCaprio riceve la candidatura all ' Oscar per The wolf of Wall Street . Per interpretare il ruolo del cinico broker newyorkese non si tira indietro davanti a nulla: rotola dalle scale strafatto di acidi, partecipa a orge sull ' aereo e si fa letteralmente infilare una candela nelle chiappe. Sfiga vuole che intanto da un paio di anni Matthew McConaughey, fino a quel momento una specie di tronista mancato protagonista di pellicole per bimbominkia tipo Prima o poi mi sposo o Co me farsi lasciare in 10 giorni , avesse deciso di darsi al cinema impegnato. E se DiCaprio dopo due decenni deve ancora farsi perdonare Titanic , naturalmente McConaughey ottiene la prescrizione in appena due anni e vince l ' Oscar con Dallas Buyers Club scippando lo ancora una volta a DiCaprio che se la prende nuovamente nel didietro (e non stiamo parlando di candele). Nel 2016 arriva la candidatura con The Revenant . Per ottenere la statuina DiCaprio è stato nove mesi nel ghiaccio, ha dormito in carcasse di animali e questa volta, visto che la candela non gli è valsa l ' Oscar, si fa inchiappettare da un orso. Ci sarebbero tutti i presupposti per una vittoria se non fosse che intanto, il giorno in cui per questo ruolo ha vinto il Golden Globe, mentre i siti

ANICA - CINEMA - Rassegna Stampa 18/01/2016 - 18/01/2016 46 17/01/2016 diffusione:41548 Pag. 1 tiratura:96288 La proprietà intellettuale è riconducibile alla fonte specificata in testa pagina. Il ritaglio stampa da intendersi per uso privato

stavano battendo la notizia, è morto David Bowie. Foto: Razzismo al contrario Sei nomination e mai una statuetta Nel frattempo hanno vinto (quasi) tutti i neri di Holl y wo o d Il cinico DiCaprio in una scena di " The wolf of Wall Street " Ansa

ANICA - CINEMA - Rassegna Stampa 18/01/2016 - 18/01/2016 47 17/01/2016 diffusione:41548 Pag. 22 tiratura:96288 La proprietà intellettuale è riconducibile alla fonte specificata in testa pagina. Il ritaglio stampa da intendersi per uso privato CINEMA DiCaprio a Roma per il lancio di " The Revenant " Il divo va a caccia di Oscar (e intanto fa impazzire i fan) La volta buona? L ' attore americano spera nella vittoria, così come il regista Iñárritu (che replicherebbe dopo lo scorso anno). Bagno di folla nella Capitale e carabinieri al seguito ANNA MARIA PASETTI

ltre un ' ora di ritardo per 20 minuti di udienza, transennati in un salone del St. Regis Hotel col divieto di fotografare, videoriprendere ed emettere qualunque forma di vivacità. La policy protettiva del divismo da major penetra drasticamente la conferenza stampa romana di Leonardo DiCaprio e Alejandro G. Iñárritu, giunti a promuovere il loro The Revenant - Redivivo , in uscita ieri per la 20th Century Fox in 500 sale. Fuori dall ' h otel, naturalmente, fan in delirio, così com ' era accaduto due sere fa alla premiére " esclusiva " alla Casa del Cinema. Già, perché nonostante il sexy boy del T i ta ni c sia naufragato da anni, la stella di DiCaprio continua a far urlare generazioni di ragazzine/i, a riprova che il Mito non affonda. LEO OGGI si cura più dell ' am biente e del riscaldamento climatico - non a caso a Hollywood lo chiamano National Le ogra phi c - che non della propria immagine, peraltro raffinata e sobria dentro all ' eleganza di una giacca scura, pantalone grigio e camicia color perla. Un figurino composto che fa a pugni col devastato " re d iv iv o " in pelle d ' orso del film di cui è lo straordinario protagonista e per il quale è (finalmente) a un passo dall ' Oscar. La sua è una delle 12 candidature di cui gode il kolossal visceral-esistenzialista The Revenant dopo aver intascato i tre principali Golden Globe: in pochi scommetteranno contro il trionfo del film la notte del 28 febbraio, incluso il probabile bis del regista messicano, già iridato dall ' Acade my lo scorso anno per B i rdman . Inevitabile, dunque, che Leo sia chiamato a rispondere sul tormentone-Oscar: " Siamo incredibilmente felici della reazione dell ' Ac ad em y per un film così difficile, un ' opera che io preferisco considerare un viaggio dentro al cuore d el l ' esistenza che non un ' esperienza cinematografica. Film così non sono facili da finanziare, il meccanismo dei premi supera il nostro controllo e noi non lo asserviamo, ma se arrivano possono aiutare i professionisti a continuare la propria avventura artistica " . In The Revenant si racconta con buona licenza alla fantasia della realmente accaduta nonché sovrumana sopravvivenza del cacciatore di pelli Hugh Glass, ridotto in brandelli da una femmina di grizzly tra le nevi delle Montagne Rocciose. Abbandonato in fin di vita dai compagni, specie dal feroce John Fitzgerald (un pazzesco Tom Hardy), " r e s u s ci t a " da morte certa animato dalla sete di vendetta per il figliolo ucciso. Questo accadeva nella natura selvaggia americana del 1823, " un immaginario che la storia dei libri non documenta se non in rari diari e cronache g io rn a li st i ch e " commenta Iñárritu che accosta il suo film più alla fantascienza che non al western, seppur di assalto alla frontiera (e ai relativi nativi) si tratti. " Il mio sguardo in questo caso si è nutrito più di Tarkovskij, Herzog, Kurosawa e Kubrick, delle loro epica esistenzialista e visionarietà viscerale " . Concepito da Iñárritu 6 anni fa, " The Revenant de ve a Bi rd m an la competenza tecnologica per poterlo realizzare: un lavoro che incrocia documentarismo e finzione " . CHIAMATO a " danzare con la macchina da presa " del supremo talento Emmanuel " Chi vo " Lubezki (il direttore della fotografia, 2 premi Oscar e 7 nomination), DiCaprio da parte sua si è messo anima e (soprattutto) corpo nel servire la monumentale sfida come meglio non poteva, annunciando a noi astanti - semmai non lo avessimo ancora capito - che " si è trattato del film più estremo, fisico, impressionante e incredibile nel quale abbia lavorato, un ' esperienza unica in termini di percezione partecipativa e di epica esistenziale " . In altre parole, l ' uomo che combatte la natura usando la Natura stessa. Di fatto The Revenant è una pregiatissima e mastodontica opera filosofica " formato-cinema " che si nutre del pensiero hobbesiano: un ' umanità primordiale che travolge e si fa travolgere fondendosi nella natura senza soluzione di continuità. Il film di Iñárritu ci porta laddove la forma immaginaria riesce - spesso senza dialoghi - a farsi tematica di sopravvivenza, paternità, vendetta e conquista. Ovvero laddove il respiro dell ' Eroe che appanna l ' obiet tivo arriva a trasformarsi nella messa a fuoco di una nuova vita. Biografia

ANICA - CINEMA - Rassegna Stampa 18/01/2016 - 18/01/2016 48 17/01/2016 diffusione:41548 Pag. 22 tiratura:96288 La proprietà intellettuale è riconducibile alla fonte specificata in testa pagina. Il ritaglio stampa da intendersi per uso privato

LEONARDO DICAPRIO Nato a Los Angeles nel 1974, ha esordito in alcuni spot tv e nella soap "Santa Barbara ". Il primo ruolo importante fu nell'adattamento cinematografico del libro di memorie "Voglia di ricominciare " ( 1993) al fianco di Robert De Niro. Ha collaborato con registi come Eastwood, Spielberg, Allen, Tarantino e soprattutto con il suo mentore Scorsese. Candidato sei volte all'Oscar, non ne ha ancora vinto uno Redivivo Leonardo Di- Caprio, 41 anni, in una scena del film di Iñárritu

ANICA - CINEMA - Rassegna Stampa 18/01/2016 - 18/01/2016 49 16/01/2016 diffusione:41548 Pag. 20 tiratura:96288 La proprietà intellettuale è riconducibile alla fonte specificata in testa pagina. Il ritaglio stampa da intendersi per uso privato ONDA SU ONDA Il marketing è una scienza esatta, però non esageriamo Evviva Checco Zalone, ma per favore niente paragoni con Alberto Sordi » LORIS MAZZETTI

Tutti i film di Checco Zalone sbancano al botteghino. Quo vado? è già il film più visto di sempre, secondo solo ad Avatar di James Cameron. Gli altri, Sole a catinelle e Che bella giornata sono terzo e quinto. Zalone è campione d ' a s c o lto anche nella pay-tv: i suoi quattro film sono tra i primi cinque della classifica. Come in Rai non ci sono solo quelli che mettono avanti gli orologi per anticipare il brindisi del buon anno, convinti di aumentare gli ascolti, ma anche programmi che fanno servizio pubblico come i documentari Cose nostre , dedicati a giornalisti nel mirino delle mafie (Rai1), così al cinema non ci sono solo i cinepanettoni, il film di Zalone non c ' entra nulla con questo genere. Sul comico pugliese non vorrei essere frainteso. Lo considero bravo e fa molto ridere senza essere superficiale come Alessandro Siani, ma ho letto cose sui suoi film che voi umani ... Quo vado? (preferisco di gran lunga Sole a catinelle ), ha il merito di aver sdoganato l ' artista dall ' essere considerato un comico di destra grazie alla beatificazione dei Brunetta per l ' antisindacalismo dei suoi personaggi. Che pena quella parte della sinistra che ieri lo schifava e oggi ne parla come di un fenomeno. Zalone fa moda, non andare a vederlo significa emarginarsi. Il marketing è una scienza esatta che spesso prescinde dal valore di ciò che comunica: il film è diventato evento a prescindere. Anche Italiano medio di Maccio Capatonda, che non ha nulla da invidiare al film di Zalone, se avesse avuto la stessa promozione e il numero di copie (1.200) di Quo vado? il pubblico lo avrebbe seguito con maggior interesse. Chi paragona Checco Zalone ad Alberto Sordi gli fa solo del male, il suo film sta a La grande guerra , Tutti a casa , I vitelloni , Un americano a Roma , Il marchese del Grillo , Detenuto in attesa di giudizio come il muratore bergamasco di Bertolino sta a Renzo Piano.

ANICA - CINEMA - Rassegna Stampa 18/01/2016 - 18/01/2016 50 18/01/2016 Pag. 1 L'Unità La proprietà intellettuale è riconducibile alla fonte specificata in testa pagina. Il ritaglio stampa da intendersi per uso privato

Verdone e Albanese raccontano da Fazio la loro commedia degli equivoci, "L'abbiamo fatta grossa" Sandro Colori

Verdone e Albanese raccontano da Fazio la loro commedia degli equivoci, "L'abbiamo fatta grossa" P. 11 davanti a Fabio Fazio a "Che tempo che fa" su Rai3 per distrubuire pillole della storia. Che vuole essere imprevedibile, lieve e comprensiva verso chi non è baciato dalla fortuna ma ha una profonda umanità. «Siamo all'inizio, se il film va bene ne faremo altri», mette in chiaro Verdone perché è quello che tanti si chiedono, ovvero se la collabo razione proseguirà. L'intesa, assicura la nuova coppia artistica, è stata totale. Al punto che l'artista romano, noto ipocondriaco, ha suggerito al collega di farsi controllare un neo, l'altro ha provveduto solo dopo ripetuti consigli e alla fine lo ha ringraziato. La trama Verdone snocciola la trama: «Lui è uno mollato giustamente dalla moglie per ché è un farfallone, essendo un attore di teatro mediocre dimentica le battute e nell'ambiente è noto per dimenticarle», lo introduce Verdone. «È l'incontro di due persone sole e disperate che cercano, per un errore, di scappare, inseguire e farsi inseguire da malavitoAforza di puntare tanto sulle commedie, e con Checco Zalone che macina incassi stra tosferici e "Quo vado?" distribuito con lo stratosferico numero di 1500 copie, quasi il doppio di "Star Wars", il cinema italiano rischia di mietere vittime per una concorrenza fratricida tra artisti. In qualunque modo la si veda, l'accop piata in arrivo nelle sale il 28 gennaio con Carlo Verdone e Antonio Albanese è inedita e vede due pesi massimi capaci di una comicità venata di infinite sfumature in azione. "L'abbiamo fatta grossa" (prodotto da Filmauro) vede Yuri Pelagatto (interpretato da Albanese) attore teatrale che dimen tica le battute, si è separato, assolda un investigatore squattrinato, Arturo Merlino, impersonato dal regista-attore romano, e il ritrovamento casuale di una borsa con un milione di euro innesca una sequela di imprevisti . Tra i passaggi per promuovere il film i due artisti ieri sera si sono seduti si che vogliono riconquistare una valigetta», chiosa Albanese. Va da sé che il contenuto della valigia non è quello che l'attore (che un passato da protagonista porno dalle doti nascoste e inequivocabili) e il detective cercavano. «Lui - Verdone indica Albanese teme che la moglie se la intenda con l'av vocato di lei, viene da me e dice e posso fare un'intercettazione per sapere da quanto va avanti la storia tra la moglie e il suo lega le. Accetto, commetto un errore e da quello parte un festival degli errori non voluti che ci porta in una situazione tragica e molto comica, molto pericolosa». L'equivo co sta tutto nella valigetta. Per una squenza di eventi quanto i due cercano finisce in mano a dei preti, è destinato a degli immigrati, e Verdone e Albanese ne inventano di tutte per recuperare il "tesoro". Le commedie della stagione Altri film con le tonalità della comme dia, su vari registri beninteso, seguiranno a partire da febbraio. L'11 febbraio esce "Tiramisù": Fabio De Luigi debutta alla regia in una pellicola in cui è un informatore scientifico che fa carriera grazie ai dolci della moglie. Stessa data d'uscita per "Perfetti sconosciuti" di Paolo Genovese, sul caos che si scatena a una cena di amici (nel cast, fra gli altri, Kasia Smutniak, Marco Gial lini, Alba Rohrwacher, Valerio Mastandrea, Edoardo Leo) quando viene lanciata l'idea di guardare ognuno nel cellulare dell'al tro. Portando alla luce fatti e intrighi imbarazzanti. È tornato alla regia Rocco Papaleo con "Onda su onda" (18 febbraio) sull'incontro a bordo di una nave verso Montevideo fra il cuoco solitario Ruggero (Alessandro Gassman) e il cantante Gegè (Papaleo). A marzo, il 3, arriva "La pazza gioia" di Paolo Virzì, sull'imprevedibile ami cizia nata dalla fuga da una comunità di Beatrice (Valeria Bruni Tedeschi), sedicente contessa, che incontra la fragile Donatella (Micaela Ramazzotti). Fausto Brizzi ironizza su eterni Peter Pan e donne non più giovani e disincantate in "Forever Young" con Sabrina Ferilli, Fabrizio Bentivoglio, Luisa Ranieri e Teo Teocoli. Dalla commedia canadese "La grande seduzione" nasce il remake di Massimo Gaudioso, "Un paese quasi perfetto" (24 marzo), con Fabio Volo e Miriam Leone. Massimo Boldi e Max Tortora sono due colleghi che si odiano in "La coppia dei cam pioni" di Giulio Base (5 maggio). Tortora è anche fra gli interpreti con, tra gli

ANICA - CINEMA - Rassegna Stampa 18/01/2016 - 18/01/2016 51 18/01/2016 Pag. 1 L'Unità La proprietà intellettuale è riconducibile alla fonte specificata in testa pagina. Il ritaglio stampa da intendersi per uso privato

altri, Ricky Memphis e Paola Minaccioni di "Miami Beach" (1° giugno) di Carlo Vanzina. Foto: Verdone racconta: «Un festival degli errori ci porta in una situazione tragica e comica» "L'abbiamo fatta grossa". Verdone e Albanese sul set del film. Foto: Ansa

ANICA - CINEMA - Rassegna Stampa 18/01/2016 - 18/01/2016 52 17/01/2016 Pag. 21 L'Unità La proprietà intellettuale è riconducibile alla fonte specificata in testa pagina. Il ritaglio stampa da intendersi per uso privato

Ciao amico nostro Accattone, quanto ci mancherai L'addio intimo e semplice a Franco Citti. Ninetto Davoli: sono straziato Sergio Tipuzzi

Accanto ai familiari, c 'erano gli amici più cari, quelli del bar e delle battute di p esca, i pescatori ma anche dei giovani appassionati di cinema, a dare ieri mattina l'ultimo saluto, a Fiumicino, all'attore F ranco Citti. Ai funerali, nella parrocchia Santa Maria Stella M aris, oltre a Ninetto Davoli, a Paolo Pilati 'Tarzanetto', uno d ei "ragazzi di vita", e ai produttori cinematografici G ianfranco Piccioli e Francesco Torelli e al regista David Grieco, non c'erano altre f igure del mondo della cultura e del cinema italiano. Un fune rale semplice come quello che, forse, avrebbe voluto l o stesso Franco. Tanta commozione ma anche un dolore composto q uello dei familiari, la moglie Santina, i figli Paolo e Marina, l a sorella Adriana, davanti al feretro, attorniato da fiori, d ove spiccava la locandina di Accattone , il film che lo r appresenta di più, tra i suoi ruoli, nell'immaginario c inematografico. E proprio il figlio Paolo ha ricordato il padre così: « Oggi qui non vedo la morte, ma la gioia. Papà continua a vivere con noi e i suoi film. Solo per citare un aneddoto, mi ricordo quando morì Pasolini, mi chiese di cucirgli uno smoking tutto bianco: questo era papà e fino all'ultimo, nonostante la lunga malattia, era ancora entusiasta di vivere». Il celebrante, padre Alcibiade Pizzuti, meditando sul Vangelo d i Luca, "il Vangelo dei poveri", ha detto nell'omelia che « Franco ci lascia un'immagine unica, vera e forte, un'immagine e stremamente religiosa » . « Franco C itti è stata una presenza ed una maschera monumentale nel c inema italiano e non solo » , aveva detto in mattinata il p residente della Regione, Nicola Zingaretti, rendendo omaggio a ll'artista alla camera ardente. All'uscita della chiesa il feretro è stato salutato da lunghi a pplausi. « Sono straziato: è andato via un pezzo di me. Avendo fatto un gruppo con Pierpaolo, Sergio ed io: un'altra parte ancora di quell'epoca della mia vita se ne va via - spiega Ninetto Davoli visibilmente commosso - Ho perso un grande amico e compagno di vita e va via un grande pezzo di storia del cinema italiano. Lui ha segnato un'epoca di vita e lascia una traccia profonda ed indimenticabile nel cinema: Accattone è lui, una faccia meravigliosa, e di una gran de bravura. Un'impronta che non si può dimenticare. Tanti ricordi, gioie, divertimenti, mi legano a lui. Basta ricordare quando girammo con Roberto Benigni 'Il minestrone' proprio a Fiumicino: ci siamo divertiti da morire. Oggi sono veramente straziato e Franco spero sia ricordato sempre per quel che ha donato alla cultura italiana » . Fran co Citti sarà tumulato nel cimitero di Santa N infa, che si trova tra Fiumicino e Maccarese. « Oggi Franco sarebbe stato contento - ha detto uno degli amici p escatori - a salutarlo c'erano gli amici veri, i pescatori, la g ente semplice e ciò è quanto basta. Andava sempre a pescare al v ecchio Faro, luogo che lui amava tanto, ed era contento di come f osse stato rimesso a posto il porticciolo di piccole barche, f requentato proprio da chi ama la pesca » . Foto: Dietro il feretro, nella chiesa di Fiumicino, la famiglia e i compagni di una vita Foto: Le esequie. Il poster del film di Pasolini accanto alla bara . Ansa

ANICA - CINEMA - Rassegna Stampa 18/01/2016 - 18/01/2016 53 16/01/2016 Pag. 1 L'Unità La proprietà intellettuale è riconducibile alla fonte specificata in testa pagina. Il ritaglio stampa da intendersi per uso privato

Radar: Valsecchi e Nesbitt di TaoDue raccontano in che modo si produce un film da record come "Quo Vado?" Antonella Matranga

Radar: Valsecchi e Nesbitt di TaoDue raccontano in che modo si produce un film da record come "Quo Vado?" P. 18 Èil produttore più famoso e invidiato del momento, capace con Quo Vado? di Checco Zalone, di doppiare come incassi persino se stesso. È Pietro Valsecchi, bresciano trapiantato a Roma, da vent'anni alla guida, con la moglie Camilla Nesbitt, della società TaoDue, artefice negli ultimi anni degli exploit più redditizi del cinema italiano. « Qualche anno fa, racconta Pietro Valsecchi, cercavo un comico che potesse fare con me un nuovo percorso. Mio figlio mi parlò di Checco Zalone. Lo vidi alle Invasioni barbariche e me ne innamorai. Lo chiamai subito e da quel momento è nato questo lungo sodalizio che ci ha portato, insieme a Gennaro Nunziante, fino a qui. Ma non è stato così semplice. Nessuno voleva un nuovo comico. Ho dovuto imporlo. Rischiare. Molti mi dicevano: "Ma quello è una spalla, non un protagonista". E invece Zalone è un artista vero, al di fuori degli schemi. Oggi si mangiano tutti le mani». E in Italia non si parla d'altro. Intere trasmissioni dedicate al fenomeno Zalone. « Il fatto che i vari talkshow parlino di Checco Zalone, come se non ci fossero cose più importanti di cui occuparsi, ci fa comprendere il vuoto assoluto di questi programmi, che ripropongono sempre lo stesso meccanismo, le stesse facce. La nostra tv non promuove nuove idee, nuovi autori, non sperimenta. Siamo vecchi. Da trent'anni facciamo sempre la stessa cosa. E' terribile. Forse i grandi comunicatori dovrebbero cominciare ad analizzare la reazione degli italiani al fenomeno Zalone, non il contrario». Tornatore, incalzato dai giornalisti a dire la sua sul successo di Zalone, ha risposto che è molto contento, perché così non si parla più di crisi del cinema e perché in questo modo si dà l'opportunità al produttore di investire in nuovi progetti. « Una risposta saggia, da uomo che ama il cinema, lo ringrazio molto per questo. Noi siamo una società che fa scouting. Abbiamo lanciato "I soliti idioti", stiamo pensando ad un film con il giovane comico Edoardo Ferrario e abbiamo fatto debuttare i "The Pills", anche loro suggeritemi dai miei figli, e anche questa non è stata un operazione semplice. Abbiamo lavorato parecchio, montato e rimontato il film, fino a quando non è venuto dritto». "The Pills, sempre meglio che lavorare", uscirà il 21 Gennaio con 350 copie, che sono importanti per un debutto. Punta su un cinema esclusivamente comico? « No. Abbiamo realizzato il film su Papa Bergoglio con Daniele Luchetti, abbiamo co-prodotto "Non essere cattivo" di Claudio Caligari, abbiamo iniziato il cinema con la storia di "Eleonora Borghese", poi tanti altri fra cui "Un eroe Borghese" di Michele Placido. Se devo dire la verità e ripensare agli anni 70, a quel cinema che ho amato e che mi ha portato a Roma, quello che va da "La classe operaia va in paradiso" di Petri, che ha generato il sogno di un movimento studentesco, al cinema di Zampa, Germi, Monicelli, fino a "Professione Reporter" di Antonioni, che invece ha raccontato la crisi proprio di quel movimento, allora dico che quel cinema non esiste più. Per questo preferisco fare la commedia» Come TaoDue avete realizzato tantissime serie televisive di grande successo ( Distretto di Polizia, Ris, Squadra Antimafia, Il Capo dei Capi , etc.) dove, caso unico in Italia, si sono viste per la prima volta donne al comando. « Sono io che seguo la parte femminile delle produzioni, interviene Camilla Nesbitt. Così come ho voluto fortemente per i film di Checco Zalone, attrici di grande talento e alta preparazione drammatica, come Sonia Bergamasco e la giovane Eleonora Giovanardi. Anche perché non amo il vizio del cinema italiano che, per quanto riguarda le donne, propone sempre le stesse attrici. So quanto sia dicile per le donne in quest'ambiente. Per esempio, se fossi rimasta da sola a fare questo mestiere, non ce l'avrei mai fatta. Adesso il mio sogno più grande è quello di trovare l'equivalente donna di Checco Zalone. Manca molto la comicità femminile nel cinema. Serve una grande personalità, quindi se c'è qualche giovane artista che pensa di avere talento e vuole proporsi, che si metta in contatto subito con me» Eppure nonostante la vendita, per esempio di "Ris" in Francia o il successo internazionale di altre serie,

ANICA - CINEMA - Rassegna Stampa 18/01/2016 - 18/01/2016 54 16/01/2016 Pag. 1 L'Unità La proprietà intellettuale è riconducibile alla fonte specificata in testa pagina. Il ritaglio stampa da intendersi per uso privato

non si riesce a raggiungere il livello altissimo delle serie americane. Come mai? « Perché in America è cambiata la distribuzione - riprende il discorso Pietro Valsecchi - i prodotti vanno su tanti tavoli di distribuzione, da Netfix ad Amazon, ed è una distribuzione globale. Noi spendiamo poco, abbiamo problemi di lingua, ci rivolgiamo ad un pubblico generalista . Se facessimo per Canale 5 qualcosa che assomiglia a "True Detective", serie di alta qualità, venduta in tutto il mondo, faremmo pochi spettatori». In Francia le multinazionali della comunicazione sono costrette a versare l'1% del fatturato alla cultura. Perché in Italia non ci viene in mente una cosa del genere? « Perché in Italia la cultura è un bene acquisito, siamo immersi nell'arte, e non capiamo che può diventare uno dei business più redditizi per questo paese. Nel resto dell'Europa la parola "politica"significa pensare al bene del paese, qui no, non c'è nessuna preparazione. È uscito per Mondadori " Prima famiglia", il suo primo romanzo. « Era da tanto tempo che volevo raccontare questa storia dove mischio storie personali, fantasia, fatti della vita di Frank Capra, e tanto altro ma non riuscivo a trovare il filo logico. Poi mi ha dato una mano il grande sceneggiatore e scrittore Nicholas Pileggi, con i consigli, raccontandomi anche la sua storia e indirizzandomi bene e alla fine ho trovato il quadro su tutto. E' una storia di passione, di amore e di morte, che parte dai primi del 900 e che ha dentro di se tanto cinema». Foto: E nel frattempo il comico pugliese ha battuto ogni record: 54 milioni di incassi

ANICA - CINEMA - Rassegna Stampa 18/01/2016 - 18/01/2016 55 16/01/2016 diffusione:10709 Pag. 18 tiratura:41364 ALIAS La proprietà intellettuale è riconducibile alla fonte specificata in testa pagina. Il ritaglio stampa da intendersi per uso privato IL FILM INTERVISTA LORENZO VIGAS Ritratto emotivo di Caracas , da Leone d'oro Incontro con il regista di «Desde allá», (che esce nelle nostre sale con il titolo «Ti guardo») interpretato dal grande attore cileno Alfredo Castro, un esordio nel profondo della società venezuelana «Desde allá» si può leggere come un ritratto urbano e I personaggi sembrano tutti analfabeti emotivi. Li usa anche Lei vive molto in Messico. Come le appare il suo paese quando ci ritorna? È una sensazione molto forte. FABIO BOZZATO

Esce il 21 gennaio nelle sale italiane, distribuito da Cinema di Valerio De Paolis, Desde allá , il film del venezuelano Lorenzo Vigas, vincitore dell'ultima Mostra del Cinema a Venezia. Il titolo scelto, «Ti guardo», rende poco quello originale che allude invece non solo agli sguardi che tessono la storia, ma anche ad una geografia sociale e sentimentale dove i punti di vista e di partenza sono sempre lontanissimi. È il primo Leone d'oro vinto da un film latinoamericano a Venezia ed è un'opera prima. Classe 1967 e figlio di Oswaldo, un famoso artista venezuelano, Lorenzo Vigas ha una traiettoria curiosa: biologo molecolare, ha studiato cinema a New York e ha alle spalle solo un cortometraggio pur di successo, Los elefantes no olvidan . Ora che il Venezuela sta vivendo una crisi economica drammatica e un terremoto politico (che ha visto per la prima volta il chavismo sbaragliato dall'opposizione nelle elezioni parlamentari di dicembre), Desde allá assume quasi un valore di documento. E trascina davvero lo spettatore tra le strade di Caracas e nelle viscere della società venezuelana. Lui stesso, alla consegna del premio al Lido, ha dedicato il Leone al suo Paese, convinto che «si troverà un modo per dialogare e riconciliarsi». Ma Vigas non si spinge oltre, dallo scontro politico se ne sta molto alla larga. Desde allá è una storia di cortocircuiti. Armando (interpretato magistralmente dal cileno Alfredo Castro) è un odontotecnico di mezza età che cerca ragazzi per strada e li paga solo per guardarli, non vuole assolutamente essere toccato. Elder, uno di loro (Luis Silva, al suo esordio) dopo una prima reazione violenta, inizia a legarsi a lui sempre di più. Li divide tutto, fuorché la comune assenza del padre, che poi è un topos dell'idiosincrasia venezuelana. «Perché questo non è tanto un film su una relazione omosessuale - ci dice Lorenzo Vigas - Quanto sull'incontro e lo scontro di due classi sociali». L'attrazione e la repulsione di classe. Il rancore perpetuo che alimenta la società venezuelana prende corpo nella relazione struggente e micidiale tra i due ed è messa in piega visivamente tra le strade violente dei barrios, negli impeccabili grattacieli finanziari fino al lusso delle ville upper-class. sociale di Caracas? Lo definirei un ritratto emotivo. La città nel film fa parte delle emozioni dei suoi abitanti. È un'emozione in più. È qualcosa di sempre presente nelle immagini. Per renderlo al meglio, abbiamo girato in modo molto mimetico. Senza essere invasivi, senza chiudere le strade, a volte nascondendoci. Volevamo la gente di Caracas fin dentro la pellicola e puntavamo a catturare l'energia della città. come metafora del paese? Sì, assolutamente. È un paese molto fisico, dove tutti afferrano gli altri, ci si tocca, ci si spinge, ci si stringe. Il personaggio principale invece non si lascia toccare, non ha alcuna relazione con le persone. Lo sconcerto che provocano questi due atteggiamenti è esattamente la metafora della situazione che vive oggi il mio paese. Quando sono in Venezuela ci si abitua a situazioni molto tristi, fin dalle piccole cose, come dover metterti in coda per ore per poter comprare persino lo shampoo. Quando esci ti rendi conto quanto oggi sia una realtà aliena. Il Messico ha enormi problemi, tutti in Latino America condividiamo situazioni difficili, ma quello che si vive in Venezuela mi colpisce molto. Alfredo Castro è cileno, Guillermo Arriaga (il co-produttore) è messicano: quanto l'hanno aiutata i loro sguardi esterni? Non mi hanno influenzato tanto come regista, ma mi hanno aiutato a organizzare il materiale e a mettere a fuoco un mio personale sguardo. Sono entrambi ottimi amici e abbiamo condiviso un lavoro di equipe. Sono persone con cui condivido una visione sul mondo e sulla vita. Perché alla fine il cinema non è che il riflesso del mondo e della vita. Ma la visione sulla storia è intimamente mia. Negli ultimi 15 anni l'arte contemporanea in Venezuela, pur avendo straordinari artisti, è rimasta ai margini dell'interesse dello Stato e con un mercato poco curioso. Cos'è successo invece con il cinema? Nel caso del cinema c'è stato un buon appoggio,

ANICA - CINEMA - Rassegna Stampa 18/01/2016 - 18/01/2016 56 16/01/2016 diffusione:10709 Pag. 18 tiratura:41364 ALIAS La proprietà intellettuale è riconducibile alla fonte specificata in testa pagina. Il ritaglio stampa da intendersi per uso privato

grazie ad una istituzione che è autonoma, il Cenac, il Centro Nacional Autónomo de Cinematografía. La legge sul cinema riconosce vantaggi fiscali alle imprese private e audiovisive che vogliano investire nella produzione di progetti cinematografici. E così è stato anche per la mia pellicola. Ma il vero successo del Cenac sta soprattutto nell'autonomia che il presidente Juan Carlos Lozada è riuscito a garantire. «Desde allá» verrà proiettato in Venezuela? Che reazioni ci saranno? Dopo un tour in alcuni festival importanti, come Toronto e San Sebastian arriverà nelle sale anche in Venezuela. Quanto alle reazioni, sono sicuro che saranno molto diverse, di rifiuto e di ammirazione. Sono cosciente di aver toccato temi forti dal punto di vista sociale, politico, economico. Ci saranno reazioni di tutti i tipi. D'altronde non l'ho fatto perché piacesse a tutti, ma per aprire una discussione. Foto: In pagina: un ritratto di Lorenzo Viga; una scena con Alfredo Castro e Luis Silva, in basso una scena del film

ANICA - CINEMA - Rassegna Stampa 18/01/2016 - 18/01/2016 57 17/01/2016 diffusione:26396 Pag. 1 tiratura:43828 La proprietà intellettuale è riconducibile alla fonte specificata in testa pagina. Il ritaglio stampa da intendersi per uso privato Due i film contestati «Ozpetek mi ha copiato» Il regista in tribunale Valeria Di Corrado

Di Corrado a pagina 12 La cabriolet rossa, la protagonista femminile che si cambia le scarpe in macchina, la scazzottata tra fratelli, il giardino con la dracena centenaria e la presenza costante del colore blu. Sono queste alcune delle tante analogie narrative che sarebbero presenti in «Mine vaganti» e «Allacciate le cinture» e che hanno portato Massimo Rambaldi, scrittore bolognese di 38 anni, a fare causa al regista italo-turco Ferzan Ozpetek, ai co-sceneggiatori, ai produttori e alle case di produzione dei due film. Le pellicole altro non sono, secondo la difesa di Rambaldi, «un caso di produzione illecita sotto diverso nome» dei suoi romanzi «Diana (un'avventura estiva)» e «Passioni diverse», pubblicati, rispettivamente, nel 2003 e nel 2005 con lo pseudonimo di Marco Poggi. In «Mine vaganti», uscito nelle sale nel 2010, e in «Allacciate le cinture», uscito nel 2014, «si rilevano - si legge nell'atto di citazione - pose, abiti, scene, colori e soggetti talora quasi identici a quelli di foto dello stesso Rambaldi, o di altri soggetti, da lui posti su Facebook». «Alla fine del 2008 ho inviato i miei libri a Ozpetek - racconta il giovane scrittore - Mi erano piaciuti i suoi film, per la loro vena malinconica. Speravo mi contattasse per propormi un contratto. Anni dopo, invece, ho visto "Mine vaganti" e "Allacciate le cinture" e mi sono accorto che c'erano tantissimi riferimenti alle mie storie, ai miei personaggi e persino a me. Per questo lo ritengo un plagio, non solo artistico, ma personale. Sono i particolari che l'hanno tradito». Nella lunga disamina che fa nella sua citazione, mettendo a confronto i film e i libri, spiega come Tommaso, il protagonista di «Mine vaganti», interpretato da Riccardo Scamarcio, lavora in un'azienda, ma vorrebbe fare lo scrittore, esattamente come il personaggio di nome Marco del romanzo «Diana». Tommaso è omosessuale, come lo scrittore protagonista del libro «Passioni Diverse», e la famiglia non l'accetta e gli impone un altro lavoro, più concreto, come la famiglia di Marco in «Diana». La madre di Scamarcio cerca di dissuaderlo dal fare lo scrittore, come fa la madre di Marco nel romanzo «Diana». «Mi sono sentito preso in giro da Ozpetek, mi sarebbe bastato che mi avesse citato nei titoli di coda - spiega Rambaldi - Tutti mi dicono che è da pazzi fare una guerra a un colosso, ma io non sarei riuscito a sopravvivere. Sono una "mina vagante"». Nella citazione, lo scrittore ha chiesto al Tribunale di Roma di condannare Ozpetek (che non si è ancora costituito in giudizio), insieme agli altri sette convenuti, a corrispondergli «tutti i proventi che sono derivati e deriveranno dall'utilizzo commerciale, dalla diffusione e dalla proiezione dei due film» e a risarcirlo di tutti i danni morali e patrimoniali subiti. Foto: Regista Ferzan Ozpetek

ANICA - CINEMA - Rassegna Stampa 18/01/2016 - 18/01/2016 58 17/01/2016 diffusione:26396 Pag. 22 tiratura:43828 La proprietà intellettuale è riconducibile alla fonte specificata in testa pagina. Il ritaglio stampa da intendersi per uso privato A Roma Il divo presenta «Revenant-Redivivo» favorito nella corsa alle statuette dell'Academy DiCaprio: «Ecco il nostro neorealismo» Sull'Oscar: «Magari ma i film non si fanno per vincere premi» Alejandro Iñárritu: «Mi sono ispirato ad Apocalypse Now» L'attore «La storia di Hugh Glass si può raccontare attorno a un fuoco» Il regista «Prima di iniziare a girare ho pianificato tutti nei dettagli» Carlo Antini

«Sullo schermo si vede il vapore del mio respiro e gli schizzi di sangue. Così lo spettatore può entrare in contatto viscerale con i personaggi. È una sorta di neorealismo, un docu-drama in cui l'ambiente si fonde alle sensazioni più profonde dei protagonisti». A parlare è Leonardo DiCaprio, ieri a Roma per parlare del nuovo «Revenant-Redivivo», film destinato a diventare l'asso pigliatutto degli Oscar 2016. DiCaprio è consapevole che, dopo sei nomination mancate, questa potrebbe essere davvero la volta buona. Ma preferisce non darlo a vedere: «I film non si fanno per gli Oscar - si schermisce - Quel che conta è che i premi, se mai dovessero esserci, aiutino il film ad arrivare alla gente e convincano gli studios a puntare di più su progetti di questo tipo che sono vere e proprie opere d'arte». Salvo poi, in un sussulto diplomatico, chiarire: «Certo fa piacere veder riconosciuto il proprio lavoro». Nella pellicola Di Caprio interpreta Hugh Glass, figura mitica del folklore americano, tra i grandi esploratori della frontiera, di quel West che prima di diventare selvaggio era solo vergine: «Questo film è stato un viaggio fisico e spirituale che ci ha impegnati a fondo per un anno - spiega l'attore - È stato un vero e proprio capitolo della nostra vita. Il modo in cui Alejandro e "Chivo" Lubezki hanno lavorato per questo progetto è stato qualcosa di unico, di epico, che ci ha immersi totalmente nella storia e nei suoi personaggi». «Revenant-Redivivo» racconta l'inizio della leggenda di Glass, quando nel 1823 era un semplice cacciatore di pellicce al soldo delle compagnie di conciatori americani. Durante una di queste spedizioni inizia la grande epopea del personaggio e la sua drammatica lotta per la sopravvivenza, in una natura letale, tra uomini che possono essere fratelli e coltelli insieme. «Non esiste documentazione storica di questi avvenimenti prosegue DiCaprio - se non dai diari di alcuni esploratori e negli aneddoti degli indigeni. Quella di Glass è una storia che si racconta attorno a un fuoco. Una grande epopea di eroi, avidi e dominatori della natura». Parlando di «Revenant» non si può fare a meno di elogiare il lavoro svolto alla fotografia da Emmanuel "Chivo" Lubezki. Il regista messicano Iñárritu precisa: «L'organizzazione di un film come questo richiede un processo molto complicato e l'impiego di diversi reparti. La prima cosa di cui parlo con i collaboratori sono gli obiettivi che vorrei raggiungere, poi ci si siede a tavolino a pianificare ogni dettaglio. Quindi sono i tecnici a provare le varie macchine e tutto quanto deve essere impiegato. Senza contare le varie scelte a livello narrativo. Prima di iniziare a girare cerco di stabilire tutto e nei dettagli. Questo è un lavoro che portiamo a termine almeno sei mesi prima». Iñárritu approfondisce i dettagli del suo lavoro: «Quando ho iniziato questo progetto volevo creare la sensazione del documentario. Il pubblico doveva avere la sensazione di trovarsi immerso in quella natura, con quei personaggi in quel preciso momento. Il pubblico doveva vivere la storia in una sorta di soggettiva». Quanto alle fonti di ispirazione: «Non avevo in mente dei western - conclude il regista - Pensavo più a qualcosa come "Apocalypse Now" o "Dersu Uzala" che certamente mi hanno ispirato di più». Foto: In coppia A destra il regista messicano Alejandro González Iñárritu e Leonardo DiCaprio

ANICA - CINEMA - Rassegna Stampa 18/01/2016 - 18/01/2016 59 17/01/2016 diffusione:5398 Pag. 28 tiratura:7054 La proprietà intellettuale è riconducibile alla fonte specificata in testa pagina. Il ritaglio stampa da intendersi per uso privato

Nelle sale il primo film per non vedenti Da febbraio "Il colore dell'erba", un paesaggio sonoro per una storia vera Nelle sale il primo film per non vedenti

Nelle sale il primo film per non vedenti Da febbraio "Il colore dell'erba", un paesaggio sonoro per una storia vera ROMA Arriva nelle sale cinematografiche il primo film per ipovedenti e non vedenti. È il documentario "Il colore dell'erba" di Juliane Biasi Hendel, prodotto da Kuraj e da Indyca, con il sostegno del Mibact, di Trentino Film Commission, Piemonte Doc Film Fund e Rai3 e con il patrocinio dell'UICI - Unione Italiana Ciechi e Ipovedenti. Il film sarà presentato in anteprima italiana lunedì 18 gennaio a Torino e da febbraio sarà nelle principali città italiane. Frutto di un lavoro di oltre quattro anni, racconta la storia vera di due ragazze non vedenti in cammino verso l'indipendenza. Non possono vedere ciò che le circonda, ma le paure, le emozioni, gli impegni che la vita impone sono le stesse di tutti i loro coetanei. Una passeggiata da sole fino a un lago diventa una sfida appassionata che le porta a misurarsi con se stesse. Un'impresa che è metafora dell'adolescenza. Edizione speciale per le sale, il film offre un'esperienza sensoriale unica grazie alla costruzione di un vero e proprio paesaggio sonoro che rende il film visibile "a occhi chiusi". Ideato per essere percepito anche da un pubblico di non vedenti, il film si avvale del contributo del sound designer Mirco Mencacci, istituzione nel mondo del sonoro e anch'egli non vedente, già collaboratore di Antonioni, Marco Tullio Giordana e Ferzan Ozpetek. Ha creato un universo sonoro che restituisce il mondo non solo fisico ma anche emotivo delle protagoniste nel quale immergere gli spettatori e che, per la prima volta al cinema, permette di unire nella visione persone vedenti e non vedenti. Juliane Biasi Hendel ha da sempre incentrato il suo lavoro di artista e regista su temi sociali che riguardano soprattutto la devianza e le discriminazioni delle differenze. "Il colore dell'erba" è il suo quinto lungometraggio. Nel 2005 ha fondato la casa di produzione Kuraj con cui ha, fra gli altri, coprodotto anche quest'ultimo film.

ANICA - CINEMA - Rassegna Stampa 18/01/2016 - 18/01/2016 60 17/01/2016 diffusione:16868 Pag. 39 tiratura:23481 La proprietà intellettuale è riconducibile alla fonte specificata in testa pagina. Il ritaglio stampa da intendersi per uso privato

Rocky diventa saggio ma rimane sempre "nato per combattere" Con il film "Creed" Stallone punta alla sua prima statuetta a 40 anni dalla doppia nomination ottenuta per lo storico film Rocky diventa saggio ma rimane sempre "nato per combattere"

Rocky diventa saggio ma rimane sempre "nato per combattere" Con il film "Creed" Stallone punta alla sua prima statuetta a 40 anni dalla doppia nomination ottenuta per lo storico film di Paolo Lughi Follie e paradossi dell'Oscar. A quarant'anni dalla doppia nomination per "Rocky" (1976), dopo una carriera gloriosa per fama e incassi ma a completo digiuno di segnalazioni dell'Academy (con un record però di nomination per i Razzies), Sylvester Stallone potrebbe vincere la sua prima statuetta tornando a calarsi nei panni proprio del suo primo personaggio. Accade in "Creed. Nato per combattere", dove Sly interpreta un Balboa "vecchio manager", grazie a cui è stato appena nominato come miglior attore non protagonista. E dire che ai tempi di "Rocky", pur non vincendo, Stallone era stato la terza personalità della storia degli Oscar a ricevere la doppia nomination come miglior attore e miglior sceneggiatore, addirittura nel solco di miti quali Charlie Chaplin ("Il grande dittatore") e Orson Welles ("Quarto potere"). Ma va detto subito che quest'ultimo Rocky/Stallone è davvero ancora più grande senza guantoni e da vecchio, malato di cancro e con voglia di paternità come appare in "Creed", settimo atto della saga del pugile che ha appena regalato a Sly anche il primo Golden Globe. Eppure il film non rinuncia a nessuno dei cliché della serie. Ovvero il pugile che vuole farcela, gli allenamenti con le galline da rincorrere, il grande campione in ritiro e soprattutto i tanti pugni da prendere nella prima parte del match, e poi il riscatto finale. All'ultimo minuto. Tutte cose a cui i fedelissimi del pugile di origine italiana e dal cuore buono sono da sempre abituati, e a cui la produzione di questo film non ha certo rinunciato. Ma chi ci mette un po' di rabbia in più è il giovane regista di colore Ryan Coogler, talento del "new black cinema" rivelatosi al Sundance due anni fa con "Fruitvale Station". Del resto anche il primo "Rocky" era un tipico film "indie", storia di un pugile proletario girata in 28 giorni con solo un milione di dollari, entrata di forza nel salotto buono degli Oscar. Ricordate dunque Apollo Creed, il primo storico avversario di Balboa, e la sua morte in "Rocky IV" per mano di Ivan ti-spiezzo-in-due" Drago? Qui Adonis Johnson - il sempre ottimo Michael B. Jordan - è suo figlio illegittimo e inizialmente ignaro. Il ragazzo non ha infatti mai conosciuto il padre, morto prima della sua nascita. Ma la voglia di picchiare scorre nel suo sangue e così quando Adonis va a Filadelfia, dopo aver rinunciato a un dignitoso lavoro a un certo punto va a cercare Rocky e gli chiede di essere il suo allenatore. Rocky vive da solo. Si è ritirato da tutto e si tiene lontano anche dalle palestre. Tra le sue poche occupazioni, la visita quotidiana alla tomba dell'amata Adriana. Ma l'insistenza di quel ragazzo alla fine coglie nel segno, nel cuore del vecchio Rocky, a cui gli anni hanno portato la giusta ironia, e accade esattamente quello che deve accadere. Sly accetta di allenarlo. Non solo. Lo accoglie anche nella sua casa e diventa per lui come un padre. Il fatto è che Adonis gli ricorda lui da ragazzo (lui nel primo film). E rivede nel ragazzo anche la forza e la determinazione di Apollo. Come accade in questi casi arriva, anzitempo, un impossibile rivale per il protetto di Rocky, ovvero "Pretty" Ricky Conlan (Tony Bellew), un campione dei medio massimi che picchia davvero sodo. Ce la farà il giovane di colore, che ha tutti i tipici sensi di colpa di un ingombrante cognome? Nessuno dubiti sul prevedibile finale, ma in questo film c'è anche un altro match, quello di Sly contro un cancro. Lui non ha voglia di curarsi come aveva fatto senza successo la sua Adriana, ma alla fine Sly si butterà anche in quest'ultima battaglia. Con questo ennesimo e imprevedibile successo ormai incamerato (a parte i premi, "Creed" ha già incassato oltre 100 milioni di dollari negli Usa), va dato il merito a Stallone di essere stato uno dei pochi, con le sue saghe di Rocky e Rambo, a essere riuscito a fidelizzare il pubblico attraverso quarant'anni, rivolgendosi allo stesso tempo alle nuove e alle

ANICA - CINEMA - Rassegna Stampa 18/01/2016 - 18/01/2016 61 17/01/2016 diffusione:16868 Pag. 39 tiratura:23481 La proprietà intellettuale è riconducibile alla fonte specificata in testa pagina. Il ritaglio stampa da intendersi per uso privato

vecchie generazioni, catturando nella logica della nostalgia padri, figli e nipoti come solo 007 e Star Wars hanno saputo fare. ©RIPRODUZIONE RISERVATA

ANICA - CINEMA - Rassegna Stampa 18/01/2016 - 18/01/2016 62 17/01/2016 diffusione:50768 Pag. 59 tiratura:66494 La proprietà intellettuale è riconducibile alla fonte specificata in testa pagina. Il ritaglio stampa da intendersi per uso privato

Batman sfida Superman e gli alieni rinascono per l'Independence Day Un anno di film fra supereroi, dark comedies e fantasy I classici Star Trek e Star Wars ma anche vampiri e dei egizi Il blockbuster è Suicide squad con i supercattivi della D.C. Comics Tornano Ghostbusters Tartarughe Ninja e Iron Man contro Captain America Batman sfida Superman e gli alieni rinascono per l'Independence Day

Batman sfida Superman e gli alieni rinascono per l'Independence Day Un anno di film fra supereroi, dark comedies e fantasy I classici Star Trek e Star Wars ma anche vampiri e dei egizi Il blockbuster è Suicide squad con i supercattivi della D.C. Comics Tornano Ghostbusters Tartarughe Ninja e Iron Man contro Captain America di LUCIANO DONZELLA C'era una volta la fantascienza, ma anche il fantasy, i cartoons, i graphic novels, le dark comedies. Anzi, anziché fantascienza chiamiamola sci-fi, così sono tutti termini anglofoni, alcuni anche difficilmente traducibile. Non è un caso, almeno al cinema, dove sembra che Hollywood e dintorni detengano il monopolio della fantasia. Nove film su dieci di questi generi e sottogeneri arrivano dagli States. Questione di soldi: gli effetti speciali sempre più incredibili costano, e il supereroe, il mago, l'alieno non sopravvivono senza. Chi prova a farne a meno, vedi Salvatores col suo ragazzo invisibile, va incontro a flop sicuro. E allora vediamo cosa sta per scendere sul pianeta Terra in questo 2016, 15 anni dopo l'Odissea kubrickiana che della fantascienza ha fatto un arte. Isaac Asimov, Philip K. Dick, Ray Bradbury non abitano più qui, e anche gli stessi autori Marvel e D.C. Comics sono ormai stati strizzati come spugne. Sembra di leggere appunto i vecchi fumetti che dopo anni di successi sono costretti a rimpastare le storie più assurde, a far vivere ai loro eroi avventure ipotetiche con nemici sempre più improbabili. Così, tanto per dire, su questa linea nelle sale vedremo Batman contro Superman, e Iron Man contro Capitan America. Ma cominciamo dalla sci-fi vera e propria. Fantascienza. A 20 anni da Indipendence Day (1996), Roland Emmerich racconta un nuovo attacco dei suoi alieni invasori brutti e cattivi in Independence Day: Resurgence (nelle sale il 23 giugno). Come il primo, punta a battere diversi record al botteghino. Così come ha fatto di recente il settimo episodio di Star Wars, e come si ripropone di fare intorno al prossimo natale data per la quale è previsto il ritorno nel mondo di Guerre stellari con il primo dei tre spin-off previsti, Rogue one di Gareth Edwards, con Felicity Jones e Mads Mikkelsen, con un gruppo di soldati dell'Alleanza Ribelle deciso a rubare i piani della Morte Nera (a metà dicembre 2016). Occupato con Star Wars, JJ Abrams ha ceduto la regia a Justin Lin (Fast & Furious) per Star Trek Beyond, terzo capitolo del reboot di quella che forse è ancora la più amata fra le saghe fantascientifiche (dal 21 luglio). Dopo il clou toccato con 2012, il filone apocalittico è sembrato un po' inaridirsi, ma ecco in arrivo ispirato al primo volume della trilogia di Rick Yancey, l La quinta onda di J Blakeson, nel quale Chloe Grace Moretz è Cassie, adolescente che in un mondo devastato da quattro invasioni aliene cerca di salvare il fratellino. (dal 4 febbraio). Prosegue anche la saga di Divergent con il terzo capitolo, Allegiant di Robert Schwentke: Tris (Shailene Woodley) e Tobias (Theo James), fuori dal loro mondo, finiscono in custodia del misterioso Dipartimento di Sanità Genetica (9 marzo, Eagle/Leone Film Group). Supereroi. Ed eccoci al nocciolo duro, al core business della macchina da guerra hollywoodiana.La carrellata di superhero movies è aperta dall'irriverente Deadpool di Tim Miller, con Ryan Reynolds nei panni dell'ironico eroe-antieroe Marvel (11 febbraio). Ma quello che si annuncia come il vero blockbuster è Suicide squad di David Ayer dove vanno in scena tutti insieme i supercattivi di casa D.C. Comics come Deadshot (Will Smith), Joker (Jared Leto) Harley Quinn (Margot Robbie) e Incantatrice (Cara Delevingne) (dal 18 agosto). Per la serie quelle strane sfide ci sarà da scoprire i motivi di quella che oppone l'uomo pipistrello versione Ben Affleck in Batman v Superman: Dawn of Justice di Zack Snyder, a Henry Cavill di nuovo nei panni dell'uomo d'acciaio (dal 24 marzo). Altrettanto insolita quella che vede Capitan America, il soldato supereroe col volto di Chris Evans, a

ANICA - CINEMA - Rassegna Stampa 18/01/2016 - 18/01/2016 63 17/01/2016 diffusione:50768 Pag. 59 tiratura:66494 La proprietà intellettuale è riconducibile alla fonte specificata in testa pagina. Il ritaglio stampa da intendersi per uso privato

capo di una fazione di Vendicatori opposta a quella guidata da Iron Man (Robert Downey Jr), in Captain America: Civil War di Anthony e Joe Russo (dal 4 maggio). Bryan Singer riporta in pista i mutanti con X- Men: Apocalypse, dove il pericolo viene dal primo e il più potente della specie, Apocalypse (Oscar Isaac) (dal 19 maggio). Infine ancora con la Marvel per Doctor Strange di Scott Derrickson dove Benedict Cumberbatch interpreta il neurochirurgo/grande mago Stephen Strange (dal 26 ottobre). Fantasy. Poche le proposte fantasy, sono lontani i tempi d'oro del Signore degli anelli. A breve uscirà Garm Wars-L'ultimo druido, primo film in inglese del maestro giapponese Mamoru Oshii, che racconta il segreto dietro un'eterna guerra fra soldati-cloni (dal 18 gennaio). Reduce da quasi 400 milioni di dollari di incassi, esce poi Monster Hunt di Raman Hui, mix live action e Cgi sullo scontro in una Cina medievale fra creature fantastiche e umani (a marzo). L'universo guerresco con orchi e umani di uno dei videogiochi più amati, arriva al cinema in Warcraft - L'inizio diretto da Duncan Jones (Moon) (dal 2 giugno). Dark comedies. Tim Burton sempre più Maestro del genere ha pronto il suo La Casa per bambini speciali di Miss Peregrine, favola nera tratta dal bestseller di Ransom Riggs. (a Natale 2016 ). Gli appassionati del fenomeno letterario Piccoli brividi ritroveranno mostri pericolosi e burloni nell'omonima comedy fantasy/horror di Rob Letterman con Jack Black (dal 21 gennaio). Morti viventi e personaggi di Jane Austen nella commedia horror Orgoglio, pregiudizio e zombie di Burr Steers, dal romanzo di Seth Grahame-Smith (dal 4 febbraio).Torna anche FRankenstein: dal capolavoro di Mary Shelley nasce Victor - La storia segreta del Dottor Frankenstein di Paul McGuigan con Daniel Radcliffe e James McAvoy (dal 7 aprile). Kate Beckinsale è per la quinta volta l'implacabile Selene contro i vampiri di Underworld: Next Generation di Anna Foerster (dal 3 novembre). Mitologia, favole e altro. Il mortale Bek (Brenton Thwaites) e il potente dio Horus (Nikolaj Coster-Waldau) insieme combattono la divinità delle tenebre Set (Gerard Butler) in Gods of Egypt di Alex Proyas (dal 25 febbraio). Sequel anche per i caciaroni rettili umanoidi mascherati che in Tartarughe Ninja: Fuori dall'Ombra di David Green devono difendersi da Shredder (dal 7 luglio). Dopo molti anni di attesa tornano anche i Ghostbusters nel terzo capitolo con la vecchia squadra quasi invariata e un team rosa di acchiappafantasmi, da Kristen Wiig a Melissa McCarthy, diretta da Paul Feig (dal 28 luglio). Infine dovrebbe debuttare un'altra attesa trasposizione di un videogioco cult, Assassin's Creed di Justin Kurzel, con Michael Fassbender nel ruolo del discendente di un membro della società segreta degli Assassini (a Natale 2016).

ANICA - CINEMA - Rassegna Stampa 18/01/2016 - 18/01/2016 64 16/01/2016 Pag. 18 N.3 - 16 gennaio 2016 La proprietà intellettuale è riconducibile alla fonte specificata in testa pagina. Il ritaglio stampa da intendersi per uso privato

il Qatar si prende la fabbrica dei film La major ha lanciato Tarantino e i Cohen producendo capolavori come II paziente inglese Affari L'emiro al Thani tratta per acquistare . Dopo il calcio e le tv, la monarchia del Golfo si prepara a scalare anche la collina dell'immaginario A comprare sarà la BelnMedia, holding dei contenuti che è anche operatore di pay tv DANIELE DOGLIO

• Alla presenza dei paperoni arabi nei consigli di amministrazione di grandi società, spesso strategiche, del mondo occidentale siamo abituati. Anche nei media e nelle industrie del contenuto. Basta pensare al signor principe al Waaled bin Talal della famiglia reale saudita, che con la sua Kingdom Holdings ha ancora importanti quote azionarie di Disney, Time, Warner, NewsCorp, 21st CenturyFox. E per molti anni, grazie ai buoni uffici di Tarak Ben Ammar, anche di Fininvest e Mediaset nel cui Consiglio è stato presente fin dalla quotazione del 1995. Partecipazioni rigorosamente finanziarie guidate da pure logiche di profitto. Niente di cui preoccuparsi. Almeno finora. La novità è che l'altro grande attore della politica del Golfo, il Qatar, potrebbe presto diventare socio di maggioranza di Miramax, una delle principali major hollywoodiane. Un'operazione da valutare con attenzione, perché media e content industries hanno a che fare con la creazione di immaginari e con la produzione di significato, temi "sensibili" in questi tempi in cui bastano internet e digitale per costruire una narrazione potente, come insegna la macchina di propaganda del califfo. La famiglia al Thani, titolare di una monarchia che in Qatar impone la sharia come legge dello Stato, è stata fra le prime finanziatrici di Daesh, per scelta anti-iraniana e in funzione anti-Assad. Eppure in tutta Europa si fanno ponti d'oro per favorire le sue iniziative di investimento immobiliare, industriale e commerciale gestite attraverso la Qatar Investment Agency (Qia), nono per dimensione fra i fondi sovrani (che in questo caso equivale al Fondo famigliare), con i suoi 250 miliardi di dollari di attivi (dati Sovereign Wealth Fund Institute) e con un piano di investimenti per 35 miliardi negli Stati Uniti da qui al 2020. Oltre a Harrods, Sainsbury e Barclays Bank in Inghilterra, Porta Nuova in Italia, Volkswagen e Porsche in Germania, Lagardère, Total, Vivendi, Veolia, Suez, Eads, Areva in Francia, l'Emiro muove le sue pedine nella industria del contenuto con un dinamismo rimarchevole. Adesso pare che la Qia stia trattando per entrare nella Disney, che da tempo già fornisce programmi al canale Children della sua Al Jazeera. E presto chiuderà l'accordo per l'acquisto di Miramax dal miliardario Thomas Barrack, che con altri investitori (fra cui la stessa Qia) l'aveva rilevata da Disney nel 2010 per 660 milioni di dollari. In questo caso a comprare sarà la sua BelnMedia, holding dei contenuti che è anche operatore organico di pay Tv con un pacchetto di 34 canali di sport, intrattenimento famigliare e film hollywoodiani venduti in 24> paesi di cinque continenti. Miramax è una delle ex grandi case di produzione indipendente di Hollywood, quella fondata dai fratelli Weinsteen, che nella sua migliore stagione ha lanciato Tarantino e i fratelli Cohen regalandoci opere come Non è un paese per vecchi, Pulp Fiction, Kill Bill, Oscar come Shakespeare in Love o II paziente inglese e altri 700 titoli del suo prestigioso catalogo. L'acquisto permette a BelnMedia di potenziare la sua offerta di intrattenimento, ma anche di mettere un piede a Hollywood. Solo buon fiuto per gli affari ? Può darsi, anche se a noi il connubio fra televisione, diritti cinematografici e squadre di calcio richiama una convergenza di interessi che ha spianato la strada al successo politico di un noto imprenditore venti e più anni fa. Vero che acquistare i diritti globali di un grande catalogo cinematografico (in gara per un Oscar 2016 con Ian McKellan del nuovo Sherlock Holmes ) non equivale ad acquisire le competenze di autori, produttori, sceneggiatori e maestranze. Tuttavia, se è vero che bastano internet e il digitale per costruire qualsiasi narrazione, avere accesso "strutturato" alla capacità creativa e produttiva di Hollywood è decisamente un'altra storia. Soprattutto in un periodo di nuovi fermenti di "indipendenza" creativa e produttiva che hanno bisogno di sostanziosi finanziamenti. Vedi il mezzo miliardo di dollari che JP Morgan Chase ha messo a disposizione per lanciare , il nuovo consorzio che punta a produrre

ANICA - CINEMA - Rassegna Stampa 18/01/2016 - 18/01/2016 65 16/01/2016 Pag. 18 N.3 - 16 gennaio 2016 La proprietà intellettuale è riconducibile alla fonte specificata in testa pagina. Il ritaglio stampa da intendersi per uso privato

cinema, televisione e contenuti digitali lontano dalle majors, e in cui convergono la Dreamworks di Spielberg (che ha appena lasciato Disney), la e lo stesso Amblin. Insomma come sempre i soldi sono molto importanti e il dinamismo con cui si muove la famiglia al Thani in questo campo può riservare sorprese. Della sua Tv, Al Jaazera, si continua a dire gran bene. In effetti pare che almeno in quella che vediamo noi, AJ English, non siano sottoposti a censure, mentre AJ America, nata con l'acquisizione di CurrentTv da Al Gore (l'ex vice di Clinton che vinse un Oscar ma non ha avuto molta fortuna come imprenditore tv), che si era inabissata nel web pur essendo accessibile via cavo e via satellite in 60 milioni di case americane, chiuderà a fine aprile. Di quella araba sono note le vicende spesso tragiche di suoi giornalisti arrestati nelle tante piazze Tahrir, incarcerati e spesso condannati per spionaggio nel Medio Oriente in fiamme. Ma la famiglia al Thani punta a conquistare altri e importanti pezzi del nostro immaginario, televisivo e non solo. Per esempio quello del calcio, dove, ai Campionati Mondiali del 2022 ottenuti forse con qualche bustarella di troppo e oggetto di proteste delle Onlus per le pratiche schiavistiche con cui si rispetteranno i tempi di costruzione degli impianti, si aggiungono il Saint-Germain, il Manchester City, il Malaga, squadre di primo livello in Francia, Gran Bretagna e Spagna, di proprietà, attraverso la Qatar Sport Investments, di uno o dell'altro membro della famiglia, che è anche main sponsor del Barcellona, campione di tutto, attraverso la controllata Qatar Airways. Il calcio, che parla alle masse arabe in Medio Oriente e in Asia, ma anche in paesi europei ad alta intensità di popolazioni islamiche di seconda e terza generazione. Il calcio, dove da qualche anno fa incetta di diritti tv, prima attraverso BelnSport, nata nel 2013 da una costola di AlJazeera, poi con BelnMedia. E ancora, i diritti per le partite dei principali campionati di calcio: non solo in Medio Oriente e Nord Africa, ma negli Usa (due canali con il meglio del calcio mondiale), in Francia (diritti del campionato nazionale e della Champions League), in Spagna (diritti nazionali e esteri de La Liga), dove ha raddoppiato l'offerta satellitare con un canale dedicato al campionato nazionale per i prossimi tre anni. In Gran Bretagna è bastato che a giugno scorso girasse voce che BelnSport avrebbe partecipato all'asta per i diritti della Premier League 2016-2018 per spingere Sky e Bt a chiudere l'accordo con una offerta monstre da sei miliardi di sterline (quasi sette miliardi di euro). Insomma potrebbe succedere nel campo della comunicazione quello che sta accadendo con i Fondi Sovrani, che investono e salvano molte imprese, rilanciando le nostre stanche economie, in cambio di profitti e soprattutto di accesso al know-how e a tecnologie di punta con cui un giorno potranno fare a meno di noi. Finora l'immaginario era un problema nostro, nostri erano i format espressivi. Ma con milioni di dollari investiti per conquistare Hollywood, anche quest'ultimo asset rischia di sfuggirci di mano. Foto: FADIAL-ASSAAD/REUTERS/CONTRASTO Foto: SCHERMI II presentatore Abdul Samad Nasser negli studi di Al Jazeera, la tv satellitare che ha ilsuoquartiergeneralea Doha, Qatar. L'emittente ha avuto un ruolo fondamentale nel raccontare le proteste nel Nordafrica e in Medio Oriente durante le cosiddette primaverearabeealcuni suoi giornalisti sono stati arrestati e condannati per spionaggio

ANICA - CINEMA - Rassegna Stampa 18/01/2016 - 18/01/2016 66 16/01/2016 Pag. 28 N.3 - 16 gennaio 2016 La proprietà intellettuale è riconducibile alla fonte specificata in testa pagina. Il ritaglio stampa da intendersi per uso privato

la saga è un business che va da qui all'eternità Disney era in crisi. Poi ha comprato Marvei e Lucasfilm, e il valore è cresciuto del 420% FERDINANDO COTUGNO

• Anche in Cina, mercato difficile e ambito per Hollywood, f II risveglio della forza è riuscito a piazzare un record. Il 10 gennaio Disney ha annunciato che il settimo episodio della saga di Star Wars ha fatto il miglior primo weekend di programmazione di sempre, con 53 milioni di dollari. In un Paese dove aprono tredici nuove sale ogni giorno, è un'ottima notizia soprattutto per il vero maestro Jedi di questa storia, l'ad di Disney Bob Iger; ma se ci mettiamo alla giusta distanza, anche questo dato è solo un tassello di un piano così lungo da essere quasi inquietante. Sono state annunciate le date di uscita dei prossimi cinque film, uno all'anno fino al 2020. E nemmeno questo ^ rende l'idea. «Star Wars porterà frutti per i prossimi 10, 20, addirittura 100 anni. Questo è un piano potenzialmente centennale per la Disney, che si muoverà attraverso ogni possibile diramazione». Lo spiega Paul Dergarabedian, analista capo di Rentrak, società che fa analisi di box office per Hollywood, forse senza rendersi conto che sta raccontando un piano di marketing che non riguarda noi ma i nostri nipoti. A questo punto la domanda: "Vivremo abbastanza per vedere come va a finire la saga?" non è così pretestuosa. Noi invecchieremo, questa si espanderà a dismisura, un universo di finzione che cresce seguendo le leggi di quello fisico, producendo nipoti e discendenti di Luke Skywalker e Han Solo. La spiegazione, ovviamente, non è creativa, ma industriale: è così che si fanno i soldi a Hollywood, non più con gli attori o i registi ma con gli universi. Lo dicono i numeri. Nel 2012, Disney ha comprato Lucasfilm, quindi Star Wars, per poco più di 4 miliardi di dollari. Il risveglio della forza all'inizio di gen naio, di solo box office globale, ha superato 1 miliardo e 700 mila dollari. Nel 2017 uscirà Episodio Vili, la terza trilogia si chiuderà nel 2019 con Episodio IX. A Natale prossimo vedremo Rogue One: a Star Wars Story, diretto da Gareth Edwards (regista di Godzilla), primo di una trilogia parallela di spin-off ambientata nello stesso universo ma con storie e attori diversi. Se anche solo la vita economica di un film si limitasse ai biglietti venduti in sala, questo piano quinquennale porterebbe ricavi per 10-12 miliardi di dollari. Ma col box office non siamo nemmeno all'antipasto, come raccontano i calcoli di Aswath Damodaran, docente di finanza alla Stern School of Business della New York University. Prendiamo lo streaming: «Dal 2017, secondo i miei modelli, ogni dollaro guadagnato in sala corrisponderà a 1 dollaro e 20 sul web». E da tempo si vocifera che Disney stia lavorando a un suo servizio di streaming tipo . Una seconda voce riguarda il merchandising, che vale 1,80 dollari per ogni dollaro di box office (e questa cifra di Damodaran è prudente): secondo le ricerche di Macquarie Group, da solo II risveglio della forza farà vendere giocattoli e gadget per 5 miliardi di dollari nel corso del 2016. Ci sono poi i cari vecchi libri: dal 1977 ad oggi ne sono usciti 360, e quelli in arrivo varranno 0,20 centesimi per ogni dollaro in sala. Da sommare, infine, i videogiochi e gli spin off televisivi tratti dalla saga: con questi arriviamo a un altro dollaro aggiuntivo per ogni dollaro guadagnato in sala. Una prospettiva di incassi per singolo film che supera i 7 miliardi di dollari. «Se siete dei puristi della saga, ci sarà da inorridire. Ma se siete azionisti Disney, la forza sarà con voi». Anche il linguaggio che usiamo per raccontare l'industria della settima arte va aggiornato. Da anni i critici si lamentano perché Hollywood produce troppi sequel, prequel, reboot, tutti rimasticamenti di storie che già conosciamo. Ma Star Wars dimostra di andare oltre: «Questi non sono film, ma "gigantosauri" cinematografici, prodotti di enormi imprese finanziarie concepiti, impacchettati e venduti come tali», spiega Mark Harris, critico di Entertainment Weekly. Per indicare questa metamorfosi dell'industria del cinema globale si parlava di franchise, come le catene di junk food o le squadre Nba. Ma il nuovo termine in voga è I.P., intellectual properties, e la spiegazione più semplice la si legge sul New Yorker: «Le I.P. non fanno più affidamento sulla rischiosa attrattiva dei singoli attori, ma sul valore intellettuale di una storia e di personaggi che il pubblico già conosce». Nessuno vuole più correre rischi, il

ANICA - CINEMA - Rassegna Stampa 18/01/2016 - 18/01/2016 67 16/01/2016 Pag. 28 N.3 - 16 gennaio 2016 La proprietà intellettuale è riconducibile alla fonte specificata in testa pagina. Il ritaglio stampa da intendersi per uso privato

pubblico è scorbutico, le carriere delle star inaffidabili, i registi discontinui, il metodo che funziona meglio economicamente è creare un universo e farlo abitare stabilmente, anno dopo anno, allo spettatore ( Star Wars, gli eroi Marvel, Jurassic World, Hogwarts). Film troppo grandi per essere ignorati (e per fallire), anche perché Hollywood, a differenza di Wall Street, non avrà nessuno a salvarla se si distruggerà. Nel 2013, in un intervento alla University of Southern California, Spielberg aveva lanciato l'avvertimento. Hollywood non sopravviverebbe all'effetto a catena di un big meltdown: «Quando tre o quattro o una mezza dozzina di film ad altissimo budget andranno male tutti insieme ci sarà un'implosione che cambierà il paradigma per tutti, il modello alla base di questi blockbusters costosi, pieni di effetti speciali e pensati per un mercato globale crollerà». La contromisura è proprio il modello Star Wars, ed è in atto da quasi un decennio. I tre film che hanno dominato al botteghino nel 2015, Il risveglio della forza, Jurassic World e Avengers: Age of Ultron, fanno parte di franchise attivi da anni. Allo stesso modo, dal 2006 ad oggi, nove dei dieci film che hanno dominato le rispettive annate erano collegati a un universo narrativo più ampio ( , Pirati dei Caraibi, Toy Story, Hunger Games, Spiderman, con il cecchino di Clint Eastwood American Sniper come unica eccezione). Il futuro non sarà diverso. Marvel (comprata da Disney nel 2009) ha strutturato il suo universo in tre fasi e programmato tredici film interconnessi fino al 2020; Warner Bros, ci sta provando con un altro mondo parallelo, quello tratto dai fumetti DC Comics, a partire dall'atteso Batman v Superman: Dawn of Justice; Universal vuole creare una realtà parallela mettendo a reddito i suoi mostri (Frankenstein, Dracula, la Mummia); Paramount farà lo stesso con i Transformers. In questo scenario cambiano anche i processi creativi, mutano le competenze richieste: «Gli studios cercano autori che sappiano trascinare personaggi e storie in trame che durano decenni, che funzionino nei prequel, nelle serie tv, nei giochi e nei videogiochi, usando le tecniche narrative della televisione e dei fumetti», scrive Adam Rogers su Wired. «Un processo che con Marvel si è strutturato e che Lucasfilm ha industrializzato». Non a Cciso due marchi Disney, che prima di cominciare a ragionare per universi e di lanciarsi nella sua campagna di acquisizioni era finita sull'orlo dell'irrilevanza. Con la guida dell'ad Bob Iger, il valore è cresciuto del 420% e ha distribuito 51 miliardi di dollari agli azionisti. Per ora, quindi, il terremoto previsto da Spielberg non arriverà, e sappiamo già cosa vedremo al cinema nei prossimi cinque, dieci anni. Il problema, semmai, è quello che non vedremo: la scomparsa dei film a medio budget, fatti dagli studios, diretti da registi importanti e indirizzati a un pubblico adulto: «Sta diventando impossibile fare un lungometraggio che costi tra i 500 mila e gli 80 milioni di dollari», si è lamentato Matthew Weiner (creatore di Mad Meri) al New York Times. E il motivo per cui registi come John Waters o David Lynch non fanno film da un decennio, Steven Soderbergh ha lasciato il cinema e Francis Ford Coppola riesce solo ad autofinanziarsi: o microbudget o Avengers, sta sparendo tutta la fascia intermedia. Il problema è che lì si producevano molti dei film che hanno fatto la storia del cinema. Chi finanziera i prossimi Velluto blu, Il Padrino, Fa' la cosa giusta, si chiedeva Jason Bailey in un post su Flavorwire? Già, chi? Foto: GADGET metto Foto: di Star Wars disegnato Foto: da Peggyvan Neer eTheovanderLaan perii brand olandese SNURK Foto: CAMERA PRESS/CONTRASTO

ANICA - CINEMA - Rassegna Stampa 18/01/2016 - 18/01/2016 68 16/01/2016 Pag. 30 N.3 - 16 gennaio 2016 La proprietà intellettuale è riconducibile alla fonte specificata in testa pagina. Il ritaglio stampa da intendersi per uso privato

horror Tarantino altro che magnifici sette Squadre | Da Kurt Russell a Jennifer JasonLeigh, a Samuel L. Jacskon, un cast ineguagliabile - per gli Hateful Eight del cineasta californiano. Attraverso orizzonti infiniti e traumi dimenticati Come in Django, l'eroe è un giustiziere nero, che combatte i razzisti e li supera in crudeltà 10 milioni di dollari spesi per attrezzare 100 sale nordamericane alla proiezione analogica ROBERTO SILVESTRI

• Quentin Tarantino in The Hateful Eight va oltre Pulp fiction e Inglorious Bastards. Più e t azione mentale. Dall'amore infantile per l'arte combinatoria di Godard, di cui non dimentica il furore donchisciottesco (la pellicola contro il digitale) questo movie man che non osadefinirsi regista passa a quello adulto perTruffaut, radiografo dei sentimenti profondi, storicamente determinati, commuovente nella sua compassione profondapergli altri. «La lavorazione di un film somiglia al percorso di una diligenza nel far west: all'inizio uno spera di fare un bel viaggio, poi comincia a domandarsi se arriverà mai a destinazione». Così Fran§ois Truffaut, in Effetto Notte, equipara il piacere rischioso di girare un film a quello di guardare un western. Ma la diligenza di Tarantino non spera di fare un bel viaggio. Trasporta otto personaggi odiosi. Banditi, rinnegati, generali razzisti, tagliagole, boia, cacciatori di taglie, belve assetate di sangue, ex ufficiali nordisti troppo spietati, quasi folli, messicani scellerati, sceriffi dal passato equivoco. E si ritroveranno, tutti e otto, sette uomini e una donna, sette bianchi e un nero, armati, intrappolati dalla neve, e per oltre tre ore, in uno stesso spazio claustrofobico. Gli attori formano un magic team ineguagliabile: Kurt Russell, Samuel L. Jacskon, Jennifer Jason Leigh (che sembra Sissy Spacek di Carrie ), Walton Goggins, Tim Roth, Michael Madsen, Zoe Bell eBruce Dern. Si sfidano apertamente, al chiuso e intirizziti, a parole e coi grilletti, dentro la stazione di posta di Minnie, tra uno stufato sospetto, un fumante caffè corretto, un bar sempre ape rto, un letto a due piazze, uno scantinato infido, e ovviamente, il tabacco Red Apple, la marca onnipre* sente inventata da Tarantino. La tradizionale abilità di scrittore di chi sa rigenerare filoni moribondi come Yhold up (il film di rapina), il grìndhouse e il bellico antinazista, supererà la prova? Molti critici potenti (dal Los Angeles Times ai Cahiers du cinema) storcono il naso. Che noia. Non è ludico, inventivo e dinamico come al solito. E invece piacere schermico c'è. Nel gioco al massacro da grand guignol complicata da un uso non banale del suspense. Nel piacere colpevole dei generi meno frequentabili, gore e splatter, a cui l'arte digitale aggiunge l'alta definizione quando si tratta di far saltare teste e segare arti. Non solo. C'è sempre un meno cattivo da scovare, se non interessano le serie tv (e a Tarantino non interessano) dove è solo il più cattivo che conta. In un ambiente raccolto, poi, di piccole dimensioni, la recitazione da Kammerspiel , tra Murnau e II Grande Fratello, privilegia l'analisi intimistica e psicologica ed è curata come se fosse sotto una continua lente d'ingrandimento. Movimenti sinuosi e circolari della macchina da presa, lunghi monologhi in primo piano, umorismo macabro, messa afuoco altalenante, situazioni sorprendenti, come in un saloon di Agatha Christie annerito da Howard Hawks, provocano cortocircuiti e scatenano, se il copione è perfetto, fertili agganci con il fuori campo, con la Storia. Mai raccontata così. E questo il piacere colpevole del western classico. Come, alle scaturigini di The Hateful Eight, Rawhide (in Italia L'uomo dell'est) del 1951, di Henry Hathaway, sceneggiato dal fordiano Dudley Nichols: l'equipaggio di una diligenza in balia di quattro fuorilegge... Si devono superare, nei western come negli horror - visto che è anche il Carpenter di La Cosa a essere chiamato in causa come riferimento principale ostacoli, pregiudizi, nemici, anche quelli dentro di noi. Attraversare orizzonti infiniti, frontiere, tabù, traumi dimenticati, zone dark, l'uomo nero, che in Ombre rosse è l'Apache, in Johnny Guitar il bandito mascherato, in Dogville, quasi un neowestern stilizzato e claustrofobico come questo, il rimosso di un passato da incubo. Gli odiosi otto. Gioco cupo, al limite dell'horror. Otto bastardi impegnati in un gioco al massacro. Altro che il radioso I magnifici sette. 60 milioni di dollari di budget. 5 mesi di riprese, al gelo. Un progetto che due anni fa si dava per inattuabile. Il copione, diffuso fraudolentemente online, di questo western tra i ghiacci fece quasi fallire il progetto. Scottante

ANICA - CINEMA - Rassegna Stampa 18/01/2016 - 18/01/2016 69 16/01/2016 Pag. 30 N.3 - 16 gennaio 2016 La proprietà intellettuale è riconducibile alla fonte specificata in testa pagina. Il ritaglio stampa da intendersi per uso privato

politicamente, perché il semi-eroe è un giustiziere nero, come in Django. Una sorta di Lee Van Cleef che combatte a oltranza, pipa in bocca, i razzisti, ma li supera in crudeltà, e ben oltre la Guerra civile e la cosiddetta "era della ricostruzione". Gli stati secessionisti furono infatti puniti con 5 anni di governo (1865- 1870) degli ex schiavi. Un trauma storico-culturale, per i bianchi, secondo il Griffith di Nascita di una nazione, da cui nacque il famigerato Kkk, una legislazione segregazionista dura da smantellare e da cui l'inconscio sudista non si è mai ripreso. Tarantino continuerà a torturare il suprematismo bianco nell'annunciata terza parte della trilogia, «perché il razzismo oggi è a mille, come alla fine della Guerra civile». E mentre è annunciato un The Birth ofthe nation diretto dal cineaste nero Nate Parker, sulla ribellione armata degli schiavi della Virginia guidati nel 1831 da Nat Turner, continua lo stillicidio di african- american impallinati dalle polizie locali irritate dalla presidenza Obama. «I neri sono al sicuri solo quando i bianchi sono disarmati». Questa battuta è il cuore di The Hateful Eight. Non a caso Tarantino ha manifestato per il controllo delle armi, contro la scarcerazione dei poliziotti incriminati ed è sotto boicottaggio questurino. Anche perché " nigger" questa volta si pronuncia solo 64 volte, la metà circa che in Django. Però l'offensiva espressione è su schermo gigante. Infatti il film è stato ripreso in superbo Panavision 70mm, e la sua proiezione ottimale dovrebbe essere in pellicola.. Una follia, produttiva, insomma, che non ha fermato Harvey Weinstein. 10 milioni di dollari li ha spesi solo per addestrare i proiezionisti e attrezzare almeno 100 sale nordamericane alla proiezione analogica, con macchine d'epoca. Erano stati non più di una dozzina i film in 70mm, kolossal prodotti tra gli anni 50 e 60 e concepiti per tenere il piccolo schermo tv a distanza: Ben Hur, L'ammutinamento del Bounty con Brando, La più grande storia mai raccontata, Karthum e anche una coproduzione sovietico francese con Marina Vlady diretta da Jutkevic nel I960.... L'effetto è quello di un cinemascope raddoppiato. Quasi un Imax. In Italia in film si potrà vedere, come Tarantino lo ha concepito, dal 4 febbraio, solo a Melzo, provincia di Milano, e al Lumière di Bologna, la sala della Cineteca. La Film Commission del Colorado ha poi stanziato 5 milioni di dollari per attirare la troupe nei pressi diTelluride, anche se il plot parla del limitrofo Wyoming, lo stato dove vige la pena di morte, nominò il primo governatore donna, nel 1925, ed è la patria di Nuvola Rossa, Buffalo Bill e Dick Cheney. Tarantino naturalmente eccelle nella recitazione degli attori (da buon allievo del grande Alan Garfield) e perfezione il gioco polifonico, l'ottetto da camera, già sperimentato inLe Iene, grazie anche al cromatismo del direttore della fotografia che inventa interferenze e rifrazioni argentee, strumentalizzando ogni fiocco di neve che si infila nelle fissure lignee. E qui ricorda Vilmos Zsigmond dei Compari di Altman più che Fango sudore e polvere da sparo. Continua il gioco temporale. Si dilatano scene che il cinema di solito taglia, e si usala tecnica "prima le risposte, poi le domande", raccontando dopo quel che "il canone" esigerebbe ben spiegato prima. Non amate la violenza eccessiva in un western? Ma è come non sopportare le scene di danza in un musical. Non vi piace essere colpiti nelle parti basse? Eppure qui, se si supera l'efferatezza, ci si avvicinerà a un serio finish morale. Alcune deviazioni tarantiniane piene di umorismo autano. Come la scena nella quale uno sterminatore di Minnie e famiglia trova nella stalla un bel cappello bianco ma è indeciso se prenderselo o tenersi il suo, nero. Foto: THE NEW YORK TIMES/CONTRASTO Foto: INTERPRETI Nelle immagini sopra: Kurt Russell, Jennifer Jason Leigh e Bruce Dern in una scena del film The Hateful Eight. Quentin Tarantino e Jennifer Jason Leigh a New Yorkalla premiere del film ilM dicembre 2015 Foto: WEINSTEIN COMPANY/COURTESYEVERETT/CONTRASTO

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ANICA - TELEVISIONE

6 articoli 17/01/2016 diffusione:298071 Pag. 35 tiratura:412069 La proprietà intellettuale è riconducibile alla fonte specificata in testa pagina. Il ritaglio stampa da intendersi per uso privato

La serie interrotta cinque anni fa Malinconico e disilluso, Coliandro torna e riconquista i fan Il protagonista Giampaolo Morelli: «L'affetto per il mio ispettore non s'è mai spento tra il pubblico» Laura Martellini

Le reazioni sui social fanno pensare a una persona cara persa, e poi ritrovata: «Quanto ci sei mancato, ispettore», «Era ora tornassi, Coliandro». A cinque anni di distanza dall'ultima messa in onda, L'ispettore Coliandro s'è ripresentato venerdì su Rai2, ed è stato un successo di ascolti: oltre 3,2 milioni di spettatori e 12,6% di share, quanto basta per premiare il ritorno della fiction su Rai2, dopo molto tempo. «Coliandro - spiega Tinni Andreatta direttrice di Rai Fiction - spicca per innovazione e simpatia. Un personaggio diverso da tutti, grazie alla scrittura di Carlo Lucarelli, alla regia dei Manetti Bros, all'interpretazione di Giampaolo Morelli». La sensazione di ripartire con il passo giusto era nell'aria: «La quarta serie si fermò alla seconda puntata per questioni di budget, ma l'affetto per il personaggio non s'è mai spento fra i fan, nonostante la tv sia parecchio cambiata convertendosi a Internet e al download - racconta Morelli -. Coliandro è il più umano fra gli investigatori tv. Malinconico, solitario, disilluso. Il sindacato di polizia Siulp gli ha consegnato il premio Franco Fedeli, ed è la prima volta che accade con un personaggio di fiction! Non è cambiato rispetto agli inizi, solo le mie rughe in più denotano il passare del tempo». Timori di non sfilarsi più l'occhiale scuro dell'ispettore? «Magari accadesse, non capitano spesso personaggi così. Non mi spiacerebbe, come non mi ha disturbato essere identificato come Lollo Love dopo Song 'e Napule dei Manetti Bros». Il «primo» Coliandro, quello impaginato da Carlo Lucarelli in romanzi di successo, è del 1991: «Poi dalla letteratura sono passato alla sceneggiatura della fiction e non so se lo riporterei in un libro - precisa l'autore -. L'ispettore all'epoca era disperato e incattivito. Non riuscirei a rifarlo così. Ormai è divenuta una scrittura corale. A una festa paesana, sono caduto da una panca. Ci siamo guardati: "Questa la mettiamo!"». Coliandro/Montalbano: «Ma no, è ancora presto, vediamo l'Auditel. Però il fenomeno c'è, su Facebook le ragazzine si mettono in posa da Coliandro». Verso una sesta stagione? «Abbiamo cartelle per andare ben oltre la sesta». © RIPRODUZIONE RISERVATA Il profilo «L'ispettore Coliandro» è la serie ideata dallo scrittore Carlo Lucarelli e diretta dai Manetti Bros. Protagonista Giampaolo Morelli, ispettore sbadato e pressoché incapace Foto: Giampaolo Morelli, 41 anni, è «L'ispettore Coliandro»

ANICA - TELEVISIONE - Rassegna Stampa 18/01/2016 - 18/01/2016 72 16/01/2016 diffusione:298071 Pag. 55 tiratura:412069 La proprietà intellettuale è riconducibile alla fonte specificata in testa pagina. Il ritaglio stampa da intendersi per uso privato La rivelazione «Mr. Robot», la serie tv dell'anno che attacca i guru dell'informatica Vittoria ai Golden Globe per l'hacker che vuole liberare la gente dai debiti con le banche Ero un nerd ed ero un fan di Steve Jobs Sembrava contro Microsoft, poi l'ho visto insieme a Bill Gates... Quante delusioni quando si tratta dei nostri eroi La Primavera Araba è stata una delle ispirazioni per la serie Lì c'era la gioventù arrabbiata che era stufa del mondo e della società che gli stava intorno Renato Franco

Uno sceneggiatore poco conosciuto, un attore non ancora esploso. Quello che poteva sembrare un oggetto misterioso e un azzardo economico, si è rivelata la miglior serie dell'anno. Prima la consacrazione di Entertainment Weekly , poi quella ai Golden Globe dove Mr. Robot ha vinto il premio come miglior serie drammatica. Atmosfere da cyber-thriller, il tema sempre affascinante dell'impatto che la tecnologia ha sulle nostre vite e di un controllo invasivo a cui ci stiamo sempre più anestetizzando, un gruppo che secondo i canoni dominanti verrebbe definito visionario mosso dall'idea di sovvertire le logiche del capitale con una insurrezione per via informatica, il sogno è ridistribuire la ricchezza e ridurre il divario tra ricchi e poveri. Nei panni del protagonista Elliot Alderson (il semi-sconosciuto Rami Malek, 34 anni) ingegnere che lavora come esperto di sicurezza informatica. Sociofobico (non gli piace essere toccato), depresso e dipendente dalla morfina, la mente di Elliot è pesantemente influenzata dai deliri paranoici e dalle allucinazioni che gli causano grossi problemi nel relazionarsi con le persone e lo fanno vivere in un costante stato di ansia. Ingegnere di giorno ma hacker giustiziere di notte - sempre in felpa e cappuccio -, perché nella vita privata Elliot tratta le persone come computer da hackerare per scoprirne i segreti più bassi e spesso muovendosi come una sorta di vendicatore informatico, pronto a smascherare pedofili piuttosto che fidanzati che tradiscono amiche e colleghe. «Spero sempre di sbagliarmi quando hackero qualcuno, ma la gente trova sempre il modo di deludermi», commenta mentre controlla il suo personale cimitero digitale dove archivia tutte le sue prove. Un giorno Elliot viene avvicinato da Mr. Robot (Christian Slater, premiato come miglior attore non protagonista ai Globe), un enigmatico anarchico-insurrezionalista, che intende introdurlo in un gruppo di «hacktivisti», che usano i computer e le reti come strumenti di cambiamento. Il loro manifesto è liberare l'umanità dai debiti con le banche. La mente è lo sceneggiatore 38enne Sam Esmail, creatore della serie che arriva dal 3 marzo su Premium Stories (il canale pay di Mediaset): «Ero un nerd, stavo sul mio computer per tutto il tempo, ero un fan di Steve Jobs, ero ossessionato da lui. All'inzio sembrava contro Microsoft, poi un giorno l'ho visto insieme a Bill Gates e hanno unito le forze. Ricordo di essere rimasto tanto scoraggiato e disilluso. Penso che ci siano un sacco di continue delusioni quando si tratta dei nostri eroi, purtroppo». In Mr. Robot spesso il protagonista parla con un suo amico immaginario che, in fondo, non è che il pubblico che guarda. È in uno di questi dialoghi con se stesso che se la prende con Steve Jobs: «Tutti pensano fosse un grande uomo ma ha fatto i miliardi sfruttando i bambini. Tutto il mondo non è che un grande imbroglio». E compaiono le immagini del dopato Lance Armstrong, del molestatore Bill Cosby, del violento Mel Gibson, mentre quando si vedono Zuckerberg e il logo di Facebook l'accusa è per i social media che «agiscono come surrogato dell'intimità». Se i rimandi evidenti sono a fenomeni come Occupy Wall Street e Anonymous, lo spunto gli è arrivato dalle agitazioni e proteste che cinque anni fa hanno scosso il Nord Africa: «Sono egiziano e sono andato in Egitto subito dopo la Primavera Araba. Quella è sicuramente stata una delle ispirazioni per la serie, perché l'intera Primavera Araba aveva a che fare con questa gioventù arrabbiata che era stufa del mondo e della società che gli stava intorno. La leva che avevano in mano sul controllo a cui la vecchia generazione li costringeva era proprio la tecnologia, e l'hanno usata. Hanno incanalato quella rabbia in qualcosa di

ANICA - TELEVISIONE - Rassegna Stampa 18/01/2016 - 18/01/2016 73 16/01/2016 diffusione:298071 Pag. 55 tiratura:412069 La proprietà intellettuale è riconducibile alla fonte specificata in testa pagina. Il ritaglio stampa da intendersi per uso privato

veramente positivo e produttivo e questo ha davvero fatto la differenza». © RIPRODUZIONE RISERVATA In arrivo «Mr. Robot» è la serie che arriva dal 3 marzo su Premium Stories (il canale pay di Mediaset). Ai Golden Globe ha vinto come miglior serie drammatica Creata dallo sceneggiatore 38enne Sam Esmail (foto in alto), «Mr. Robot» ha per protagonista Rami Malek (foto a destra), che interpreta un ingegnere che lavora di giorno come esperto di sicurezza informatica e di notte agisce come hacker, con il sogno di liberare l'umanità dai debiti con le banche Nel cast anche Christian Slater e Portia Doubleday

ANICA - TELEVISIONE - Rassegna Stampa 18/01/2016 - 18/01/2016 74 18/01/2016 diffusione:289003 Pag. 48 tiratura:424634 La proprietà intellettuale è riconducibile alla fonte specificata in testa pagina. Il ritaglio stampa da intendersi per uso privato

R2 CULTURA/ Il caso Se le serie tv sono diventati i grandi romanzi del XXI secolo, i loro autori sono i nuovi Dickens e Dumas. Ecco i segreti degli "showrunner" Nella bottega del nuovo immaginario CLAUDIA MORGOGLIONE

Kevin Williamson, autore della serie tv "The Following", si ispira al Rinascimento: «Lavoriamo alla maniera dei pittori: pennellata dopo pennellata, finiamo per dipingere l'intero quadro». Aaron Sorkin, Oscar per il film "The Social Network" e padre dei televisivi "The West Wing" e "The Newsroom", esalta il gioco di squadra: «Quando scrivo ho molti più giorni no che giorni sì, così per avere successo cerco uno staff di bravi sceneggiatori e cerco script solidi, che richieda no minime correzioni». Matthew Weiner, l'inventore di Mad Men, sostiene invece che all'inizio nulla è chiaro, solo in seguito la trama si scioglie: «Un esempio per tutti? Non sapevo che Don Draper e Roger Sterling (due dei suoi personaggi principali, ndr) fossero amici fino all'ottava puntata». Mentre John Fields, creatore di The Americans, soffre la maledizione del ricominciare daccapo: «Pensavo di sapere ogni cosa della storia fin dall'inizio, ma poi circa a metà abbiamo lasciato stare in funzione di qualcosa di meglio». Piccoli grandi segreti, svelati dai padroni dell'immaginario del nostro tempo. Contenuti in un libro, Showrunner, pubblicato qui in Italia da Dino Audino editore e firmato da Neil Landau, docente di sceneggiatura alla Ucla e già "papà" di Melrose Place. Un volume ricco di testimonianze, che ci fa entrare finalmente nella fabbrica letteraria contemporanea più potente che ci sia. Perché se da decenni - grazie a diari, taccuini, studi critici - sappiamo molto del metodo dei grandi scrittori passati, conosciamo poco la "bottega" dei creatori di serie tv (detti showrunner, appunto: di solito sono anche capo-sceneggiatori e produttori esecutivi). Artefici delle storie che oggi più ci emozionano: i veri romanzi contemporanei, secondo un'opinione critica diventata patrimonio comune. Cominciamo dalla loro parola d'ordine. Formulata da Jeff Melvoin, direttore del Writers Guild of American Showrunner Training Program: «Sceneggiature di qualità, in tempo». Ne deriva che questo genere di scrittura è influenzato da due fattori principali: la serialità, cioè la strutturazione in episodi (composti da un prologo facoltativo e da una narrazione divisa in un massimo di sei atti), e il consegnare alle scadenze previste. Due ostacoli non da poco a cui in alcuni casi si aggiungono le difficoltà dell'adattamento - da libri, film o serial di altri paesi. L'importante è trovare qualcosa di originale che catturi l'attenzione, che per Beau Willimon di House of Cards sono i commenti di Kevin Spacey nel corso dell'azione: «La sua voce è più potente delle effettive dinamiche che adattiamo». Sui contenuti, però, ogni showrunner ha la sua ricetta. La più tranchant è la formula Glen Mazzara di The Waking Dead: «Raccontare di gente fica che fa cose da paura». Sembra semplice, non lo è: come dice Sorkin, «si tratta di un intero anno in cui ogni settimana si deve consegnare una tesi universitaria». Una bella fatica di Sisifo. Come Dickens, in fondo, sapeva già. VINCE GILLIGAN ("BREAKING BAD") Si lavora episodio per episodio e anche l'eroe può morire In una serie tv gli attori influenzano molto la scrittura. Un buon esempio è nel fatto che, anche se mi costa ammetterlo, Aaron Paul (coprotagonista di Breaking Bad, ndr ), nel ruolo di Jesse Pinkman, all'inizio della serie doveva costituire solo un piccolo meccanismo della trama. Nell'episodio pilota era stato pensato solo con una pura funzione meccanica. Mi piacerebbe dire che avevo capito tutto quanto fin dall'inizio, ma sarebbe una bugia. Io avrei scaricato Jesse e avrei cercato qualcosa di più interessante per la seconda stagione. Invece guarda dove ti porta la fortuna quando scopri di avere un attore eccezionale come Aaron Paul che ha aggiunto così tanto valore alla serie che non è stato più possibile eliminare il personaggio. Quanto al nostro metodo, lavoriamo soprattutto di episodio in episodio, tutti insieme su un unico blocco di storie. Ho sei sceneggiatori e li voglio nella stanza con me ogni minuto del giorno.

ANICA - TELEVISIONE - Rassegna Stampa 18/01/2016 - 18/01/2016 75 18/01/2016 diffusione:289003 Pag. 48 tiratura:424634 La proprietà intellettuale è riconducibile alla fonte specificata in testa pagina. Il ritaglio stampa da intendersi per uso privato

E per tenere l'attenzione del pubblico, la teoria migliore è dargli il minimo necessario. Dargli solo ciò che rende interessante la storia. E niente di più. Bisogna stare attenti a non sparare nel mucchio. Se si corre a razzo, l'effetto sarà stancarlo. Tenere il giusto ritmo narrativo è davvero la cosa più complicata. Vince Gilligan SHONDA RHIMES ("GREY'S ANATOMY", "SCANDAL") Io conosco già il finale il bello è come arrivarci In genere, vado nella writer's room all'inizio della stagione e dico: «Ecco come finirà la stagione» e presento il finale. Ognuno sa dove stiamo andando, così lavoriamo per creare una mappa per arrivarci. Nella mappa non tutto è pianificato, è una cosa più istintiva. Sul piano dei contenuti, quando presentai Scandal un dirigente della rete mi disse: «Olivia Pope (il personaggio principale, ndr) può non avere una relazione con il presidente degli Stati Uniti?». Ho risposto: «Olivia Pope farà sesso col presidente nello Studio Ovale, sulla sua scrivania, al quarto episodio. Altrimenti non farò questa serie». Quello che volevo dire era che io scrivo solo su personaggi imperfetti. Non credo che si debba essere carini per essere interessanti, bisogna essere invece pieni di difetti e fuori di testa. Sono queste le cose per cui vale la pena scrivere, che per uno scrittore (indipendentemente se sia per la tv o meno) meritano di essere scritte. La parte peggiore del mio lavoro è sentirmi responsabile di tanta gente: ci sono circa ottocento persone che hanno un lavoro per questi episodi pilota che ho scritto, e voglio che nessuno lo perda. È una cosa che mi tiene sveglia la notte. Shonda Rhimes ALEX GANSA ("HOMELAND") La gente torna ogni settimana solo se anticipi ciò che sanno Credo sia stato Joseph Conrad a dire: «Scrivere è come estrarre carbone a mani nude». E noi scendiamo nella miniera, cercando di trovare la vena di storie da porta- re alla luce. Qualche volta sono evidenti all'inizio della stagione. Sapevamo dove stesse andando la relazione tra Brody e Carrie (i personaggi principali di Homeland, ndr ). Questo era qualcosa che sapevamo di dover progettare fin dall'inizio della stagione. Volevamo essere sicuri, specialmente durante la prima serie di episodi, che avremmo concluso con qualcosa che davvero avrebbe fatto tornare il pubblico ogni settimana. Era decisamente una strategia narrativa e qualcosa su cui avevamo lavorato nella writers'room. Dato che le tecniche per appassionare il pubblico sono universali e la gente le ha già viste tanto spesso, sapevamo che ci sarebbe stato un certo evento potente che doveva avvenire nel corso della stagione. E quello che abbiamo fatto con la narrazione è stato di farlo succedere prima che il pubblico se lo aspettasse. Tutti sapevano che Brody e Carrie avrebbero avuto una qualche relazione sessuale o sentimentale, ma il fatto che avvenga nel quarto episodio ha colpito tutti. E questo ha reso tutto più innovativo di quanto sarebbe stato se l'avessimo tirata per le lunghe. Alex Gansa DAVID SHORE ("DR. HOUSE") Il protagonista è sacro e non deve cambiare mai Nella scrittura di Dr. House la tipologia di situazioni da cui eravamo attratti era quella in cui la malattia era abbastanza seria da causare i sintomi di una malattia mor- tale, ma abbastanza vaga da potersi nascondere sotto un mucchio di altre. Tanto che era diventata una gag come venisse immancabilmente menzionato il lupus, molto difficile da diagnosticare. Sul piano temporale, all'inizio di stagione conoscevamo già l'arco narrativo più o meno fino alla metà delle puntate. Ci incontravamo in gruppo per un paio di settimane e immaginavamo dove volevamo portare i personaggi per arrivare il più lontano possibile, ma di solito finiva per essere solo la metà stagione. E poi c'è la

ANICA - TELEVISIONE - Rassegna Stampa 18/01/2016 - 18/01/2016 76 18/01/2016 diffusione:289003 Pag. 48 tiratura:424634 La proprietà intellettuale è riconducibile alla fonte specificata in testa pagina. Il ritaglio stampa da intendersi per uso privato

questione della scrittura del personaggio principale. Hugh Laurie (l'attore protagonista, ndr) diceva spesso che la differenza tra la tv e il cinema è che nel cinema il personaggio cambia mentre tutti intorno restano gli stessi, mentre nella tv accade l'esatto opposto. C'è qualcosa di vero in questo: i miei personaggi non sono cambiati. Io credo effettivamente che le persone non cambino poi tanto, e io non volevo che House cambiasse. Mi piaceva così com'era. Le persone pensavano di volere che cambiasse, ma non lo volevano veramente. David Shore Foto: IL LIBRO Showrunner di Neil Landau (Dino Audino editore, trad. di Claudio Maccari, pagg. 224, 19 euro)

ANICA - TELEVISIONE - Rassegna Stampa 18/01/2016 - 18/01/2016 77 16/01/2016 diffusione:85021 Pag. 23 tiratura:120193 La proprietà intellettuale è riconducibile alla fonte specificata in testa pagina. Il ritaglio stampa da intendersi per uso privato Intervista AGORÀ spettacoli DON MATTEO Detective dell'anima Matilde e Luca Bernabei della Lux Vide, spiegano i segreti della serie record «Una squadra di lavoro di duecento persone, valori e leggerezza E la credibilità di Terence Hill e Frassica» ANGELA CALVINI

Don Matteo dopo 10 edizioni è più giovane che mai. La fiction di Raiuno con protagonista Terence Hill, (dopo il boom degli oltre 9 milioni di spettatori dell'esordio di una settimana fa) ha conquistato la prima serata tv di giovedì con 8 milioni 371 mila di spettatori e il 29.63% di share nel primo episodio e 7 milioni 761 mila spettatori con il 32.65%). Insomma, uno spettatore su tre non si perde una puntata delle avventure del prete detective e dei suoi simpatici amici, che ci accompagnerà ancora per 10 serate. Sono orgogliosi, ma non si sorprendono di questo ennesimo successo, Luca e Matilde Bernabei, figli del "mitico" Ettore Bernabei, che con la loro Lux Vide producono Don Matteo , ma anche altri successi come Un passo dal cielo e Che Dio ci aiuti . Due produttori appassionati che all'unisono ci raccontano la loro visione di tv, orientata al grande pubblico di famiglie, tenendo la barra al centro sulla qualità. Luca e Matilde, ma qual è il segreto di "Don Matteo"? «Innanzitutto c'è il mito di Terence Hill, che ha una credibilità che lo fa amare dal pubblico. Lui non è mai sceso a patti con la banalità. La sua presenza è indubbiamente un grande traino. E poi la forza del personaggio, un prete che aiuta chi sbaglia a pentirsi, ad ammettere i propri errori. Lui gli fa capire: "Sappi che c'è un Dio che ti ama" nonostante i tuoi peccati. Queste persone trovano la loro pace, ma anche il pubblico a casa si rasserena, perché tutti noi sbagliamo». In linea col Giubileo della Misericordia «Infatti la prima puntata è stata girata proprio in quest'ottica. Apparentemente si tratta di storie semplici, ma vengono anche trattati temi forti come il traffico di minori e la violenza sulle donne» Un prete tv amato dalla gente, vuole anche rappresentare in qualche modo una realtà che spesso non appare? «Premesso che il genere "crime" è il più seguito in assoluto, don Matteo è qualcosa di più, è un detective dell'anima. E ricorda che in un momento così complesso, ci sono tanti preti che si occupano di chi ha bisogno con generosità, pensiamo ai 3000 senzatetto accolti dalla Caritas di Roma. Siamo orgogliosi di essere cattolici e credenti, e proprio per questo dobbiamo avere il coraggio di dirlo senza paura. Dobbiamo ribadire che i valori della Chiesa sono soprattutto i valori dell'uomo. E invitare a rimettere al centro della politica la famiglia» Famiglia che è anche il vostro target tv. «C'è il pregiudizio che Don Matteo lo guardino solo gli anziani. Invece è visto dal 30% del target sino a 14 anni. Don Matteo ha riportato la famiglia unita davanti al televisore, da 0 a 90 anni». C'è anche la grande famiglia di don Matteo. «L'altro punto di forza è che le storie sono ambientate nella provincia italiana, dove tante persone vivono e lavorano. E i personaggi che le animano, sono ormai diventati di famiglia. Il cast è sempre lo stesso, a partire dalla pepata perpetua Natalina (Nathalie Guetta). Amato anche il capitano dei carabinieri, dapprima benissimo interpretato da Favio Insinna, e oggi da Simone Montedoro che è un autentico gentiluomo. Ma, soprattutto, il maresciallo Cecchini interpretato in modo irresistibile da Nino Frassica. Frassica è un uomo credibile, fa questo maresciallo da 15 anni e gli piace. E si vede. È un attore di razza, lavora parola per parola sulle battute per fare sorridere». Sembra tutto così leggero e semplice, in "Don Matteo", ma sappiamo che dietro c'è un grande lavoro. «Può sembrare banale, ma la semplicità è estremamente complessa. Duecento persone lavorano alla serie, a partire dal nostro sceneggiatore Mario Ruggeri che è l'autentico re della fiction italiana, uno capace di portare al 30% di share Don Matteo e al 27% Un passo dal cielo ». Si può fare un paragone con il successo della comicità familiare di Checco Zalone? «Noi in qualche modo lavoriamo come il regista Gennaro Nunziante. Dietro al successo di Quo vado? ci sono due anni di lavoro, uno studio sul pubblico, ma anche una grande attenzione alla sceneggiatura. Il pubblico non va sottovalutato. Infatti in Quo vado? dietro la risata c'è la riflessione. Zalone e don Matteo rappresentano un simbolo del Paese che ha voglia di riprendersi e di scuotersi». La critica, però, osanna soprattutto le serie tv della pay tv,

ANICA - TELEVISIONE - Rassegna Stampa 18/01/2016 - 18/01/2016 78 16/01/2016 diffusione:85021 Pag. 23 tiratura:120193 La proprietà intellettuale è riconducibile alla fonte specificata in testa pagina. Il ritaglio stampa da intendersi per uso privato

americane e non, perché sarebbero più innovative. «Una certa offerta tv parla a una nicchia di pubblico, alla borghesia cittadina, che è il suo target. La tv generalista, invece, deve parlare alla massa, proponendo però qualità e valori. Lo dimostrano il successo di serie come Montalbano e Don Matteo ». Questo fa parte della vostra linea editoriale. Che ne dice papà Ettore? «Ci segue e ci incoraggia. Con i prodotti Lux si può stare sereni, nessuno sarà scioccato. La nostra scuola è, ovviamente, la tv anni 50 e 60 di Ettore Bernabei, una televisione dove c'era sempre un pensiero lungo per il Paese». Foto: FICTION Foto: Terence Hill e Nino Frassica, nei panni di don Matteo e del maresciallo Cecchini Foto: LUX VIDE. Luca e Matilde Bernabei

ANICA - TELEVISIONE - Rassegna Stampa 18/01/2016 - 18/01/2016 79 16/01/2016 diffusione:83734 Pag. 33 tiratura:155835 La proprietà intellettuale è riconducibile alla fonte specificata in testa pagina. Il ritaglio stampa da intendersi per uso privato SULL'ONDA DI ZALONE Superfilm al lunedì su Canale 5

Il fenomeno Zalone traina non solo il cinema nelle sale, ma anche quello in televisione. Canale 5 (ricordiamo che Quo Vado è distribuito dalla Medusa) ha così deciso di programmare i sette superfilm delle ultime stagioni, a partire dal penultimo successo di Zalone Sole a catinelle , ogni lunedì a partire dal prossimo in prima serata. Si parte ovviamente con Sole a catinelle , che è il secondo incasso italiano di tutti i tempi (Dopo Quo vado , infatti Zalone è riuscito nell'impresa di battere se stesso e mantenere il primo posto tra i film italiani più visti di tutti i tempi). A seguire lunedì 25 andrà in onda 50 sfumature di grigio (che è stato il caso cinematografico del 2015), e nelle settimane successive si vedranno Jurassic world (il quarto incasso più alto della storia del cinema mondiale), Fast & Furious 6 , Fast & Furious 7 (gli ultimi 2 capitoli di una delle saghe più amate), American Sniper (Oscar 2015 vinto dal regista Clint Eastwood), Gravity (che vinse sette Oscar nel 2014). Tutti film che hanno segnato i record al box office delle ultime stagioni. E film che arrivano per la prima volta gratuitamente in tv (dopo il passaggio su Premium Cinema). Ecco, per ricordare quanto questi film sono piaciuti al pubblico, la classifica dei sette superfilm di Canale 5 in ordine di incasso ottenuto al box office. Sole a catinelle : 52.000.000; 50 sfumature di grigio: 19.630.000; Fast & Furious 7: 18.658.000; Jurassic World: 14.733.000; Fast & Furious 6: 12.833.000; American Snipers: 6.733.000; Gravity 6.418.000. Foto: Una scena di «Sole a catinelle»

ANICA - TELEVISIONE - Rassegna Stampa 18/01/2016 - 18/01/2016 80 17/01/2016 Pag. 29 La proprietà intellettuale è riconducibile alla fonte specificata in testa pagina. Il ritaglio stampa da intendersi per uso privato Serie e film RITORNO AL PASSATO Da «Shannara» a «Beowulf» passando per «Narnia», la tv saccheggia il fantasy. Preparate spade e mantelli CLAUDIA CASIRAGHI

In principio, fu Il Signore degli Anelli a riscrivere le regole del fantasy cinematografico. Allora, quando il primo capitolo della saga creata da J.R.R. Tolkien arrivò in sala, elfi, troll e hobbit smisero di essere personaggi di nicchia - costruiti con dovizia di dettagli per il solo divertimento dei «geek». Il fantasy, corredato di influenze epiche, spalancò le porte alle masse, diventando una moda tutt'altro che passeggera. Sebbene da quel 2001 e dalle 13 nomination agli Oscar siano passati anni, il genere ha continuato ad essere apprezzato al punto da indurre il carrozzone di Hollywood a produrre film a profusione. Ultimo, in linea temporale, ad essere messo in cantiere, è stato La Sedia d'Argento , quarto capitolo della saga di Narnia . Il film, annunciato sei anni dopo l'uscita internazionale de Il Viaggio del Veliero , avrà un cast rinnovato e un rinnovato team di autori. Visti i tempi biblici serviti alla produzione per convincersi dell'operazione, utilizzare i vecchiattori è parso impossibile.Caspian ed Eustachio Scrubb, prima interpretati da Ben Barnes e Will Poulter, avranno, dunque, volti nuovi. Come nuovi saranno i crismi del caso. Nel mondo custodito dalle porticine di un armadio, le regole note dovranno cedere il passo al richiamo della modernità. Sembra, infatti, che il produttore Mark Gordon non voglia accontentarsi del solo lascito di C.S. Lewis, autore dei romanzi che compongono la saga. Per scongiurare il pericolo del «già visto», ha promesso meraviglie. E, a ben guardare, ha fatto bene. Non fosse altro che per controbattere le iniziative della televisione. Negli ultimi anni il fantasy, di gran moda al cinema, ha preso piede in campo televisivo, arraffando belle storie e ancor più bei palinsesti. Game of Thrones ha fatto incetta di premi, dimostrando di essere la punta di diamante della Hbo - già regina del via cavo a stelle e strisce. Poi, è venuto il turno delle Shannara Chronicles che, nella prima serata di venerdì 15 gennaio, hanno debuttato su Sky Atlantic Hd, portando in auge un mondo in cui eterno motore di tutto è la lotta tra Bene e Male. Luce e demoni, oscurità ed elfi. In seguito, quelle stesse atmosfere da Alto Medioevo hanno fatto la propria comparsa nelle serie tv inglese ispirata alla leggenda di Beowulf . Intitolata come l'omonimo poema epico dell'VIII secolo, la produzione seriale ha visto la luce con l'inizio del 2016, quando il gioco di troni a Herot l'ha fatto da padrone sugli schermi anglosassoni. In Italia, ancora, non si è parlato di mandare in onda Beowulf . Ma le alternative all'epica inglese sono tante e numerose. Su Netflix, è stata resa disponibile a partire da gennaio Shadowhunters - The Mortal Instruments . La serie, ideata da Cassandra Clare, è tagliata come le altre sugli interessi del pubblico young adult . Troppo vecchi per essere equiparati alla masnada di adolescenti da divano, troppo giovani per essere visti alla stregua di uomini fatti e finiti, gli young adult dettano i ritmi del fantasy televisivo. Cibandosi (quasi) esclusivamente di lotte per il potere, intrighi e battaglie. Shadowhunters racconta loro di creature ibride, mezze umane mezze angeliche, cadute sulla Terra per proteggerla dai demoni. Trollhunters racconterà, invece, di una dimensione magica, di rapimenti e legami fraterni. La serie, adattamento in versione animata di omonimi libri, porterà la firma registica di Guillermo Del Toro e sbarcherà sul colosso dello streaming ben prima che qualcuno possa avvertire la necessità di trasformare, ancora una volta, la carta stampata in realtà. GRANDI SAGHE Nella foto a destra, una immagine della serie «Shannara Chronicles». A sinistra, i protagonisti di «Beowulf»

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2 articoli 17/01/2016 19:25 diffusione:8 Sito Web www.repubblica.it La proprietà intellettuale è riconducibile alla fonte specificata in testa pagina. Il ritaglio stampa da intendersi per uso privato

Cinema, l'omaggio di Hollywood a Mario Martone pagerank: 8

Cinema, l'omaggio di Hollywood a Mario Martone Elio Germano sul set del film di Mario Martone "Il giovane favoloso" Omaggio a Hollywood per Mario Martone: il regista napoletano sarà protagonista della retrospettiva sul cinema italiano contemporaneo all'undicesimo Los Angeles, Italia - Film, Fashion and Art Fest, che si svolgerà al Chinese Theatre, sull'Hollywood Boulevard, dal 21 al 27 febbraio, nella settimana che precede l'assegnazione degli Oscar. Da "Il giovane favoloso" sulla vita di Giacomo Leopardi al corto "Pastorale cilentana", la retrospettiva include titoli come "Morte di un matematico napoletano", "L'amore molesto", tratto dal romanzo di Elena Ferrante, autrice ormai di culto anche negli States, e poi ancora "Teatro di guerra", "L'odore del sangue", "Noi credevamo". "Attraverso le opere di Martone, uno dei protagonisti della cultura italiana di questi anni, dall'innovazione del teatro al grande schermo - annuncia Marina Cicogna, portavoce del board dell'Istituto Capri nel mondo che organizza l'evento - portiamo al festival una testimonianza della vitalità del nostro cinema d'autore, ma anche un originale racconto della storia d'Italia e un omaggio a Napoli, in un momento di rinnovato interesse per la città, anche da parte dei media americani". Tra gli eventi già annunciati della manifestazione, il tributo al musicista Ennio Morricone, candidato all' Oscar per la colonna sonora di "The Hateful Eight" di Quentin Tarantino, e già vincitore del Golden Globe. Il festival è sostenuto dal Mibact (DG Cinema), del Maeci in collaborazione con Ice, Anica, Siae, Mediaset e Ambi Group con il patrocinio della Camera di commercio di Hollywood, del Consolato generale italiano, dell'Istituto italiano di cultura di Los Angeles e seguito in esclusiva per l'Italia dal canale televisivo Iris.

ANICA WEB - ANICA WEB - Rassegna Stampa 18/01/2016 - 18/01/2016 83 15/01/2016 01:00 Sito Web www.ilfoglio.it La proprietà intellettuale è riconducibile alla fonte specificata in testa pagina. Il ritaglio stampa da intendersi per uso privato

Il soft power cinese è sbarcato a Hollywood per arrivare allo status di "economia di mercato" pagerank: 7

Anche Rai e governo italiano prendono le misure, non a caso di Giancarlo Salemi | 15 Gennaio 2016 ore 15:17 COMMENTA 0 | | Da paese emergente che vendeva t-shirt a pochi euro a paese dominante nel campo della cultura e della comunicazione. La Cina del presidente Xi Jinping ha deciso di cambiare immagine. Non vuole più essere lo stato predatore ma quello che si impone nel campo della comunicazione, con un'immagine che esalta il potenziale storico ed economico del Celeste Impero. ARTICOLI CORRELATI La Borsa cinese è solo un diversivo per mercati già squilibrati Il soft power - definizione del politologo americano Joseph Nye - cinese è di fatto già in atto. L'ultimo colpo è arrivato qualche giorno fa attraverso il gruppo Wanda, società da 45 miliardi di dollari di ricavi annui, che ha acquistato per 3,5 miliardi dollari lo studio , quello che, per intenderci, ha sfornato la trilogia di Batman, Godzilla e la serie Fast and Furius. Entrare ad Hollywood dalla porta principale non è un caso. Il numero uno di Wanda, il magnate Jianlin Wang ha già fatto sapere che gli "Studios se vogliono attirare gli spettatori cinesi, devono adeguarsi anche ad un nuovo linguaggio e a nuovi racconti". Ed ecco subito pronto il primo film da produrre The Big Wall, la Grande Muraglia, un kolossal d'avventura che uscirà a fine anno e può contare in un cast di prim'ordine con Matt Damon, Pedro Pascal e Willem Dafoe, ma anche star cinesi come Andy Lau, Jing Tian, e Wang Junkai. Lo sbarco a Hollywood è tutt'altro quindi che casuale e non è solo una questione di business. Già lo scorso settembre in concomitanza con la storica visita di Stato del presidente Xi in America, un'altro colosso cinese, China Media Capitale aveva firmato una partnership con Warner Bros facendo nascere una nuova società, Flagship Entertainment Group, con sede ad Hong Kong e uffici a Pechino e Los Angeles, per la produzione di pellicole cinoamericane. Non a caso il mercato cinematografico cinese è il secondo al mondo dietro a quello americano e sta continuando a crescere senza sosta: per il 2015 si parla di incassi di oltre 5 miliardi di dollari (+7 per cento rispetto al 2014). Abbandonata la linea promossa da Deng Xiaoping, la cosiddetta "taoguang yanghui" "nascondere le proprie capacità e restare in attesa", cioè mantenere un basso profilo a livello internazionale, oggi il governo cinese ha adottato una nuova serie di misure che comprende termini come "crescita pacifica", "sviluppo condiviso" e "società armoniosa". Così la pianificazione della diffusione culturale è diventata un cruccio del Partito comunista e parte subito dopo l'ingresso della Cina nel Wto, avvenuto nel dicembre del 2001. Qualche anno più tardi (2004) e per primo nella Corea del Sud, sono nati gli Istituti Confucio nel mondo che oggi sono oltre un centinaio, compreso il nostro paese dove a , grazie al frutto di un accordo di collaborazione tra la Scuola Superiore Sant'Anna e l'Università di Chongqing, si cerca di diffondere il bene della cultura cinese. Operazioni di soft power che passano anche dall'utilizzo dei media con la creazione del canale news dell'agenzia di stampa Xinhua in lingua inglese oltre alla diffusione dei canali della CCTV, televisione centrale cinese, già visibili negli Stati Uniti e in Europa. Non a caso lo scorso settembre una delegazione composta da rappresentanti di Rai, Anica e Univideo guidata dal sottosegretario alle Comunicazioni Antonello Giacomelli è volata in Cina per incontrare i vertici della tv di stato, China Radio International, China National Radio, Shanghai Media Group, Wanda Media e Dragon tv. Una missione per rendere appetibile il nostro paese alla Cina e condividere l'obiettivo dei cinesi di internazionalizzare i loro prodotti, arricchendo la loro "dieta mediatica" con prodotti italiani, favorendo la coproduzione tra i due paesi.

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La nuova immagine della Cina nel mondo, di super potenza dialogante e forte in economia, di "fabbrica del mondo" che traina i destini della globalizzazione, ha ovviamente obiettivi politici non da poco. L'ultimo che si sta negoziando proprio a Bruxelles è il riconoscimento di status di economia di mercato che permetterebbe il definitivo salto di qualità all'Impero di mezzo. Ma questo è un altro film. Che i cinesi vorrebbero sceneggiare ovviamente a loro vantaggio.

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