Il 'Poggio Delle Mortelle'
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UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI NAPOLI “FEDERICO II” FACOLTÀ DI ARCHITETTURA DOTTORATO DI RICERCA IN STORIA DELL’ARCHITETTURA E DELLA CITTÀ XVII CICLO IL ‘POGGIO DELLE MORTELLE’ NELLA STORIA DELL’ARCHITETTURA NAPOLETANA COORDINATORE: PROF. ARCH. FRANCESCO SAVERIO STARACE TUTORE: PROF. ARCH. MARIA RAFFAELA PESSOLANO CANDIDATO: EMILIO RICCIARDI ANNO 2005 Introduzione Il “poggio delle Mortelle” è una piccola area a sud-ovest della collina di San Martino, tra Chiaia e Montecalvario, aperta sul mare in direzione di Posillipo e celebrata dai cronisti per la bellezza del sito e la salubrità dell’aria; prese questo nome, scriveva nella sua guida il canonico Carlo Celano, “perché da cento settant’anni fa vi erano boschi di mirti che noi chiamiamo mortelle, e le frondi di questi servivano per accomodare i cuoi”1. La spiegazione di Celano fu ripresa da tutti gli scrittori di cose napoletane, con la sola eccezione di Ludovico de la Ville sur-Yllon, che agli inizi del XX secolo, basandosi su un documento di compravendita ritrovato nel Grande Archivio di Napoli, formulò l’ipotesi che il toponimo derivasse dalla famiglia “de Trojanis y Mortela”, che abitava in questi luoghi agli inizi del Seicento2. Quale che ne fosse l’origine, la denominazione “delle Mortelle” si affermò con favore crescente a partire dalla metà del XVII secolo, cancellando la memoria dei nomi più antichi (“il Lucchesino”, “lo Ficaro”, “la Caiola”) che distinguevano i diversi fondi rustici e sostituendo indicazioni più generiche (“sopra Chiaia”, “sopra Toledo”, “sotto Sant’Elmo” oppure, dopo la fondazione della chiesa, “sotto Santa Maria Apparente”). I documenti cinque e secenteschi concordano nel chiamare “piazza delle 1 C. CELANO, Notizie del Bello, dell’Antico e del Curioso della città di Napoli [1692], edizione con aggiunte di G. B. Chiarini, IV (1859), p. 556. 2 Cfr. L. DE LA VILLE SUR-YLLON, Il corso Vittorio Emanuele, in “Napoli nobilissima” I s., IX (1900), pp. 177-181. I Mortelle” il piccolo largo alla sommità dei gradoni di Chiaia, dov’era la casa della famiglia Troyanis y Mortela3, mentre nella settecentesca Topografia di Nicola Carletti l’area è identificata con l’attuale piazzetta Mondragone; in seguito il toponimo si è esteso alla zona circostante4; vico Mortelle è tuttora il nome di una piccola strada fra i gradoni di Chiaia e il Rosario di Palazzo. La storia di questo frammento di Napoli riassume le vicende urbanistiche e l’evoluzione della città durante l’età vicereale. Inserito nel XVI secolo all’interno della murazione cittadina dal viceré Pedro de Toledo, si caratterizzò in un primo momento come zona di piccoli conventi e di ville “di delizie”; la morfologia accidentata dei luoghi e l’intenso sviluppo edilizio, perseguito per tutto il secolo successivo dagli ordini religiosi e dai rappresentanti dei ceti emergenti dei “togati” e della borghesia ricca, ne provocarono la crescita disordinata, conferendogli, secondo l’acuta definizione di Celano, un aspetto di “città benché apparisca borgo”5. L’espansione verso occidente della città, la costruzione di via Toledo e la lottizzazione dei suoli a monte della nuova strada furono i principali motivi del popolamento della collina di San Martino; la zona si presentava all’inizio del XVII secolo come un contesto ancora rurale, caratterizzato da notevoli salti di quota; ville e masserie si appoggiano alla parete tufacea della collina, mentre orti e giardini ricoprivano i terrazzamenti aperti verso il mare. La lontananza dal centro urbano e la quiete dei luoghi li rendevano ideali per 3 ASOB, Archivio antico, inc. 324, foll. 132 e 138; Ivi, inc. 236, fol. 6 [1622]; ASN, Notai del XVII secolo, scheda 107, prot. 7, fol. 1v [1618]; ASN, Monasteri soppressi, vol. 4032, f. 77 [1624], riportato in L. DE LA VILLE SUR-YLLON, Il corso..., cit., p 180. 4 “Region delle Mortelle: Questa fu l’antico terreno detto il Mortellito di Montedragone; ne’ tempi appresso vi furono aperte più vie, e vichi; furonvi fabbricati tanti numerosi edifici, e fuvvi eretto il Conservatorio detto il Ritiro di Montedragone.” (N. CARLETTI, Topografia universale della città di Napoli in Campagna felice, Napoli 1776, p. 273, n. 448.). 5 C. CELANO, op. cit., IV (1859), p. 584. II le fondazioni degli ordini religiosi riformati, desiderosi di solitudine e di vita austera; l’area ancora selvaggia, ricoperta dalla vegetazione e con percorsi stradali approssimativi e disagevoli, accolse chiese scavate nella roccia e piccoli ospedali, fondati qui per le virtù terapeutiche dell’aria di mezza collina. Le case religiose si allinearono in successione da Santa Maria Apparente a Santa Lucia al Monte, lungo lo stesso percorso utilizzato in seguito per il tracciato del corso Maria Teresa (poi corso Vittorio Emanuele). Nel 1509 Giovan Battista Spinelli, conte di Cariati, prende a censo una grande casa colonica dai monaci di San Martino, proprietari dell’area compresa tra la sommità della collina di Sant’Elmo e la chiesa dell’Incoronata; nelle falde della collina il conte intraprende l’allevamento di bachi da seta, piantando numerosi alberi di gelso, dai quale prese il nome l’intera contrada a valle del palazzo Cariati, chiamata appunto “delle Celse”. La zona a valle di Santa Maria Apparente, all’estremità occidentale della collina, si caratterizzò intorno alla metà del XVI secolo come area a prevalente destinazione rurale; ma proprio la fondazione del convento francescano, secondo i cronisti, indusse la prima trasformazione dell’area, popolatasi in breve tempo di ville affacciate sul mare, tra le quali emergevano la masseria del mercante Giovan Tommaso Borrello e la villa del marchese Carlo Tappia, centro di una vasta tenuta agricola disposta su più terrazzamenti; morto il marchese senza discendenti maschi, la villa fu acquistata da alcune Domenicane del monastero della Sapienza e trasformata in monastero. Nel Settecento il poggio fu celebrato da vedutisti e letterati come una delle III più incantevoli zone della città, ma nell’Ottocento la soppressione delle congregazioni religiose e la mutata fortuna di molte famiglie patrizie sancirono per questi luoghi l’inizio della decadenza. Le trasformazioni susseguitesi senza ordine privarono la zona delle connotazioni originarie: la rete degli antichi tracciati viari fu distrutta dall’apertura del corso Vittorio Emanuele, mentre gli edifici più rappresentativi vennero stravolti da interventi per nulla rispettosi delle peculiarità legate alla destinazione originaria. La frammentazione delle proprietà ha portato nell’ultimo secolo alla perdita dell’unitarietà dei lotti originari, erosi dall’edilizia minore che, incuneandosi negli spazi liberi, ha distrutto quasi tutte le aree verdi, ma il quartiere ha conservato in parte le testimonianze degli antichi splendori, che permettono di leggerne la stratificazione nonostante il degrado che da troppo tempo affligge l’intera zona. La prima parte del presente lavoro è stata dedicata all’analisi dell’intera area sotto l’aspetto sia architettonico sia urbanistico, senza trascurare di esaminare l’immagine della zona nel corso dei secoli; in questa parte sono stati riportati anche numerosi documenti d’archivio e le planimetrie relative alle architetture della zona. La seconda parte della tesi contiene una serie di appendici che integrano i quattro capitoli iniziali; oltre alla bibliografia e all’elenco delle fonti archivistiche sono stati compilati un elenco delle fonti iconografiche, uno delle piante inedite ritrovate nel corso della ricerca, una bibliografia ragionata su tutti gli edifici presenti nell’area e una serie di brevi schede su tutti gli architetti che vi hanno lavorato, aggiornando in questo modo il catalogo delle loro opere. Per le appendici documentarie relative al terzo e al quarto capitolo si è preferito trascrivere solo i documenti che contenevano descrizioni e “apprezzi” delle IV architetture presentate; per le altre carte d’archivio le parti di maggiore interesse sono state riportate nelle note ai singoli capitoli. V Tra collina e mare: l’immagine dei luoghi I punti di riferimento Il poggio delle Mortelle, che nel corso dell’Età Moderna acquista e mantiene una sua particolare fisionomia, si può individuare all’interno del contesto cittadino attraverso una duplice serie di punti di riferimento. Una, della quale fanno parte le colline e il mare, legata al paesaggio circostante; l’altra, fatta di porte urbane, strade e palazzi, rispetto alla città e in particolare ai nuovi quartieri abitati dagli Spagnoli. L’intera area giace a mezza costa sul colle di Sant’Elmo, affacciata sul mare; alla sommità della collina si trova la certosa di San Martino, circondata da giardini che ne accentuano lo splendido isolamento nei confronti della città in basso. Tuttavia il principale riferimento visivo è il forte di Sant’Elmo, posato “come il pugno del re cattolico”1 sulla città, in modo da guardarla dagli aggressori esterni ma anche dalle rivolte interne. A ovest la punta di Posillipo chiude l’orizzonte visivo, mentre il solco di Santa Maria Apparente, che scende fino a palazzo d’Avalos e alla spiaggia di Chiaia, delimita il confine occidentale del poggio. Da sud ovest a sud est, a semicer- chio, si estende il mare, con sullo sfondo Capri e la costiera sorrentina; più a est, nell’entroterra, il Vesuvio e le piccole alture del territorio nolano. Il rapporto con la città è mediato da una serie di emergenze architettoniche e urbanistiche; a sud ovest la porta di Chiaia e palazzo Cellammare, al limite delle mu- 1 M. YOURCENAR, Anna, soror, in Come l’acqua che scorre, Torino 1983, p. 43. 1 ra