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Prima della Scala

Venerdì 7 dicembre 2018 - ore 18.00 Auditorium Giorgio Gaber Piazza Duca d’Aosta, 3 - Milano in diretta video dal Teatro alla Scala di Milano A T T I L A di Per il sesto anno il Consiglio regionale partecipa al progetto Prima Diffusa del Comune di Milano

Diretta video della Prima della Scala serata organizzata da Ufficio Comunicazione ed Eventi USS Comunicazione, Relazioni esterne e Stampa

Pubblicazione a cura di Emanuele Scataglini Coordinamento: Marzia Steffani Promozione evento: Donatella Modica Testi di: Marzia Steffani, Rossana Perrone, Antonella Piovani, Ema- nuele Scataglini Progetto grafico: Marzia Steffani, Rossana Perrone Stampato presso il Centro Stampa del Consiglio regionale La Prima della Scala ancora una volta in Consiglio

Si dice che non vi sia pubblico che non possa essere rapito dalla forza comunicativa del melodramma, un genere in grado di esprimere un am- pio ventaglio di emozioni e di sublimarle verso un sentimento elevato. L’ è questo: un’unione di musica e narrazione, effetto scenico e virtuosismo vocale. Sono passati quattro secoli da quando fu rappresentato l’Orfeo di Mon- teverdi e ancora oggi l’opera è una forma di spettacolo tra i più rappre- sentati basti pensare che nel 2017 nel mondo è stata messa in scena circa 800 volte. Questo vuol dire che nell’anno passato ogni giorno, nei cinque continenti, almeno due soprani hanno brindato can- tando “Libiamo, libiamo ne' lieti calici”. Il luogo dove si sente parlare di più l’italiano non è quindi il cinema o la radio e nemmeno la televisione, ma i teatri d’opera. Il melodramma italiano è un evento a diffusione globale, basti pensare a quanti paesi trasmettono, oggi, l’Attiladi Giuseppe Verdi. Come Presidente del Consiglio regionale della Lombardia sono molto orgoglioso che il nostro Ente trasmetta la diretta della Prima della Sca- la, un appuntamento a cui aderiamo dal 2013 che è ormai diventato una tradizione per noi e che si inserisce nelle iniziative che durante l’hanno aprono il palazzo ai cittadini della nostra Regione, facendo del Gratta- cielo Pirelli un luogo di eccellenza per la cultura lombarda.

Alessandro FERMI Presidente del Consiglio regionale della Lombardia

7 dicembre 2018

A T T I L A di Giuseppe Verdi

DIRETTORE Riccardo CHAILLY

Regia Davide Livermore Scene Giò Forma Costumi Gianluca Falaschi Luci Antonio Castro Video D-wok

INTERPRETI

Attila Ildar Abdrazakov Odabella Saioa Hernández Ezio George Petean Foresto Fabio Sartori Uldino Francesco Pittari Leone Gianluca Buratto

Presentazione dell’opera (estratto dal sito ufficiale della Scala di Milano)

Il 7 dicembre torna verdiano con , nona opera del composi- tore andata in scena al Teatro La Fenice di Venezia nel 1846. Il Di- rettore musicale Riccardo Chailly approfondisce la lettura delle opere del giovane Verdi dopo aver inau- gurato la Stagione 2015/2016 con Giovanna d’Arco e prosegue con il regista Davide Livermore una colla- borazione che alla Scala ha già avuto un esito felice con il di Donizetti. Opera complessa in cui Verdi sperimenta nuovi percorsi tra ambien- tazione storica, impatto spettacolare, squarci psicologici e incertezze morali, Attila chiede ai cantanti slancio e sicurezza, ma anche capacità di trovare accenti e sfumature. Protagonista è Ildar Abdrazakov, basso di riferimento dei nostri anni, mentre la difficile parte di Odabella è affidata a Saioa Hernández, che debutta alla Scala dopo una rapida ascesa tra le più interessanti voci emergenti. Foresto ha lo squillo sicuro di Fabio Sartori, mentre nella parte di Ezio torna George Petean.

L’opera di Emanuele Scataglini

Attila, scritta da Giuseppe Verdi su di Temistocle Solera, è tratta dalla tragedia Attila, re degli Unni, di Zacharias Werner, dramma ispirato dal nazionalismo germanico, un tipico soggetto romantico, ambientato in quel Medioevo barbarico che scatenava la fantasia dei letterati contempo- ranei e che non mancò di stimolare anche quella di Verdi. Infatti risulta una delle sue opere giovanili più infuocate, che di lì a poco avrebbe infiammato le platee risorgimentali, pronte a interpretarla come un invito esplicito alla rivolta contro l’oppressione straniera, In particolare le parole “Avrai tu l’universo, resti l’Italia a me” suscitavano applausi ad ogni rappresentazione. Oggi che il sentimento di patria è da tempo sopito nei cuori degli italiani, risulta evidente che una valutazione di quest’opera del primo Verdi deve tenere conto anche del periodo in cui fu scritta, delle sue conoscenze musicali e del tempo che occorse per la sua stesura. L’Attila diede a Verdi un grande successo. Se ne parla per la prima volta in una lettera del 1845 inviata a Francesco Maria Piave, epoca in cui il maestro lavorava all’. L’interesse del compositore si era rivolto a Attila König der Hunnenuna tragedia romantica di Zacharias Werner. L’opera sembra adatta a un dramma wagneriano più che ad un’opera italiana, vi sono presenti le Norne, il Valhalla, Wotan. Attila quindi è vi- sto come un eroe puro che ha una missione redentrice: punire i nemici ed essere misericordioso con chi è di cuore puro. Sarà una donna a fe- rirlo a morte, la principessa Hildegonge desiderosa di vendetta poiché l’eroe aveva ucciso il suo fidanzato. Nella tragedia vi è anche spazio alla dimensione mistica cristiana: è Le- one Magno con i suoi poteri a fermare i barbari alle porte di Roma. Non c’è da stupirsi: l’autore si era avvicinato al cattolicesimo romano e di lì a poco avrebbe preso gli ordini religiosi concludendo la sua vita nella Vien- na della Restaurazione, ove sarebbe diventato un famoso predicatore. Verdi all’inizio intendeva tenersi vicino allo spirito della tragedia, nell’apri- le del 1845 prese contatto con Piave per fare una prima stesura del libret- to. Dopo poco però cambiò idea: e affidò l’opera a Temistocle Solera, con cui come librettista non aveva mai fallito. L’autore diNabucco trasformò il testo originale in qualcosa di totalmente diverso: erano scomparsi tutti i riferimenti al misticismo, semplificata la trama e soprattutto, seguendo lo stile de I Lombardi alla Prima crociata si erano amplificate le scene a sfondo patriottico. Verdi si dimostrò entusiasta del lavoro ritenendo il libretto un ottimo prodotto pieno di azione e adatto ad essere musicato. Incaricato Temistocle Solera della preparazione del libretto, Verdi rice- vette in breve tempo gran parte del lavoro, tanto che nell’autunno del 1845 poteva già stendere la partitura di buona parte dell’opera. Ma Solera, nel frattempo emigrato a Madrid per sfuggire ai suoi debito- ri, non tenne fede agli impegni e Verdi fu costretto a chiedere la collabo- razione di Francesco Maria Piave, che effettuò modifiche importanti e stese per intero l’ultimo atto, intervenendo anche sulla trama del dram- ma originale. L’intervento di Piave, alla fine, si rivelò così radicale da provocare il disappunto di Solera e la fine del suo sodalizio con Verdi. Come di norma nel melodramma italiano, i personaggi sono semplifi- cati nel numero e dimensione psicologica; il libretto inoltre accentua la componente affettiva con l’esaltazione dei sentimenti di amore, odio e vendetta, e sottopone l’intreccio a una forte drammatizzazione. Verdi si prende molta cura nel delineare i personaggi. Un’importan- za centrale spetta alla figura di Odabella, responsabile di buona parte dell’attrazione esercitata dal soggetto su Verdi. Anche gli altri perso- naggi, del resto, sono tratteggiati con attenzine. Attila è un personaggio complesso, diviso tra la sete barbarica di conquista e il terrore ispira- togli dal soprannaturale. Più convenzionale è Foresto, che incarna lo stereotipo dell’innamorato: languido, passivo e ben poco eroico; i suoi interventi corrispondono all’espressione codificata (e convenzionale) del dolore e del rimpianto di una felicità perduta. Anche se alla prima si registrò un’accoglienza poco calorosa a causa del- la prestazione scarsa dei cantanti e di un problema alle candele che ema- navano un odore molto fastidioso, pochissime opere del primo periodo verdiano furono così amate e rappresentate in tutti i teatri della penisola. Dal punto di vista musicale l’opera conserva una sua unità anche se in diversi punti appare eccessivamente vigorosa e con cabalette molto fra- gorose ed un linguaggio eccessivamente colorito. Quello che sembra essere originale nell’opera è l’ele- mento melodico che si distacca dal modello dei classici, Rossini e Donizetti, per diventare tipica- mente verdiano. Sicuramente non ci sono gli elementi che si trovano nel ma allo stesso tempo Verdi, con quest’opera, consolida il proprio stile musicale acquisito nei primi anni di carriera. Tra i direttori d’orchestra che hanno amato quest’opera va citato Ric- cardo Muti che la diresse alla Scala nel 1989 e Giuseppe Sinopoli che la propose alla Staatsoper di Vienna nel 1980.

Il libretto dell’opera è disponibile in formato pdf alla pagina http://www.librettidopera.it/zpdf/attila_ts.pdf

L’opera

Prologo

Aquileia, metà del V secolo. Gli Unni saccheggiano la città, guidati da Attila. Entra il generale che ordina di lasciare i morti nella polvere e s'infuria quando vede uno stuolo di donne di Aquileia condotto a lui, poichè aveva ordinato di non risparmiare nessuno. Uldino gli dice che è un omaggio, dato che quelle donne si erano dimostrate abili guerriere quanto i loro fratelli. Attila ne è ammirato, specialmente da Odabella, figlia del signore di Aquileia, la quale medita vendetta contro l'invasore che le ha ucciso la famiglia e quando Attila ammirandone l'audacia, le chiede cosa voglia risponde che rivuole la sua spada. Attila allora le porge la propria. Ricevuta la spada, Odabella pensa di vendicarsi uccidendolo con la sua stessa arma. Nel mentre entra il generale romano Ezio, antico avversario di Attila e da lui ammirato, che gli propone di dominare il mondo ma di lasciare a lui l'Italia. Attila rifiuta ed Ezio parte sdegnato. La seconda scena è a Rio Alto. Dopo una tempesta, alcuni eremiti guar- dano e aiutano i profughi di Aquileia condotti da Foresto, marito di Odabella. Foresto compiange l'amata e giura di ritrovarla e salvare l'Italia. Atto I Ad Odabella, in un campo presso Roma, appare il fantasma del padre. Arriva Foresto, che respinge Odabella, accusandola di tradirlo con Atti- la. Ella risponde che l'unico motivo per cui segue l'invasore è ucciderlo con la sua stessa spada e Foresto è rincuorato dalla donna che ama. Nella sua tenda Attila racconta ad Uldino l’incubo che ha avuto: presso Roma, la voce di un vecchio gli imponeva di non avvicinarsi. Uldino lo invita a scacciare queste visioni ed Attila si prepara ad invadere Roma. In quel momento da lontano giungono dei suoni e compare una proces- sione guidata dal vecchio Leone che gli impone di stare lontano da Roma. Attila è terrorizzato: il sogno premonitore si è avverato.

Atto II

Ezio viene a sapere che l'imperatore Valentiniano ha imposto una tre- gua con gli Unni e ricorda i tempi antichi dell'onore romano. Giunge Foresto che gli comunica l'intenzione di uccidere Attila ed Ezio si ac- corda con lui, pur sapendo che rischia la morte se l'azione fallirà. Al banchetto con i Romani i Druidi avvertono Attila che i presagi sono nefasti, ma lui non li ascolta. A turbare la festa giunge anche un vento che spegne tutti i fuochi e provoca terrore tra gli astanti. I fuochi si riac- cendono, e Foresto dice ad Odabella che Attila sta per bere una coppa avvelenata che ha preparato. Ma Odabella vuole che la vendetta sia solo sua e avverte l'invasore, chiedendogli tuttavia di graziare Foresto. Attila esaudisce il suo desiderio ma le impone di sposarlo.

Atto III

Foresto è deluso dal comportamento di Odabella, quando viene a sa- pere da Uldino che i Romani sono nel campo, pronti ad uccidere Attila. Arriva anche Ezio e, dopo di lui, Odabella che si sente colpevole, vede l'ombra paterna maledirla e viene ripudiata dall'amato Foresto. Attila entra ed esorta ad abbandonarsi ai piaceri, ma i tre lo fermano, intenzionati ad eliminarlo. Attila allora ricorda loro tutti i favori fatti: ad Ezio la salvezza di Roma, a Foresto la grazia, ad Odabella il trono. Oda- bella non regge e lo pugnala, mentre i Romani dilagano per il campo uccidendo gli Unni. Giuseppe Verdi Giuseppe Verdi nasce il 10 otto- bre 1813 a Roncole di Busseto, in provincia di Parma. Il padre, Carlo Verdi, è un oste, la madre una fila- trice. Fin da bambino prende le- zioni di musica dall’organista del paese, esercitandosi su una spinet- ta scordata regalatagli dal padre. Gli studi musicali proseguono in questo modo sconclusionato e poco ortodosso fino a quando Antonio Barezzi, commerciante e musicofilo di Busseto, affezionato alla fami- glia Verdi e al piccolo Giuseppe, lo accoglie in casa sua, pagandogli studi più regolari ed accademici. Nel 1832 Verdi si trasferisce a Milano e si presenta al Conservatorio, ma non viene ammesso per scorretta posizione della mano nel suona- re e per raggiunti limiti di età. Poco dopo viene richiamato a Busseto e, nel 1836, sposa la figlia di Barezzi, Margherita. Nei due anni successivi nascono Virginia e Icilio. Intanto Verdi comincia a dare corpo alla sua vena compositiva, già de- cisamente orientata al teatro e all'opera, mentre nell'ambiente milane- se conosce il repertorio dei classici viennesi. Nel 1839 esordisce alla Scala di Milano con , conte di San Bo- nifacio ottenendo un discreto successo, purtroppo offuscato dall'im- provvisa morte, nel 1840, prima di Margherita, poi dei due figli. Pro- strato e affranto non si dà per vinto. Proprio in questo periodo scrive un'opera buffaUn giorno di regno, che si rivela però un fiasco. Amareggiato, Verdi pensa di abbandonare per sempre la musica, ma solo due anni più tardi, nel 1842, il suo ottiene alla Scala un incredibile successo, anche grazie all’interpretazione di una stella della lirica del tempo, il . Iniziano quelli che Verdi chiamerà "gli anni di galera", anni contras- segnati da un lavoro durissimo a causa delle continue richieste e del poco tempo a disposizione per soddisfarle. Nel 1848 si trasferisce a Parigi e compone tra il 1851 ed il 1853 la co- siddetta "Trilogia popolare":, Trovatore e Traviata. Il successo di queste opere è clamoroso. Conquistata la giusta fama si trasferisce con la Strepponi nel podere di Sant'Agata dove vivrà gran parte del tempo. Nel 1857 va in scena la pri- ma versione del e nel 1859 viene rappresentato . Viene eletto deputato del primo Parlamento italiano e nel 1874 è nomi- nato senatore. In questo periodo compone diversi capolavori tra cui: , e la Messa da , scritta e pensata per la morte di Alessandro Manzoni. Nel 1887, all'età di ottant'anni, dà vita a , confrontandosi ancora una volta con Shakespeare; nel 1893 con l'opera buffaFalstaff dà l’addio al teatro e si ritira definitivamente a Sant'Agata. Il 21 gennaio 1901 mentre si trova a Milano durante la sua solita perma- nenza invernale presso il Grand Hotel et de Milan, Verdi viene colpito da un ictus cerebrale. A poco a poco diviene sempre più debole fino a spegnersi il 27 gennaio, all'età di 87 anni. Temistocle Solera di Emanuele Scataglini Temistocle Solera nasce a Ferrara il 25 dicembre 1816. Librettista e compositore, trascorre la sua infanzia in un forzato esilio a Vienna perché figlio di un magistrato che, per le proprie posizioni an- tiaustriache, venne arrestato nel 1821 e condannato a vent’anni di car- cere nella fortezza dello Spielberg. Nel 1826, dopo aver frequentato gratuitamente il Collegio Imperiale di Vienna, Temistocle Solera torna a Milano, dove completa gli studi e pubblica due raccolte di poesie che riscuotono un buon successo per- mettendo al letterato di farsi conoscere anche in ambienti teatrali. Il suo nome però è legato principalmente ai libretti scritti per Giusep- pe Verdi: l'Oberto, conte di S. Bonifacio (rielaborazione da un libretto di Antonio Piazza), il Nabucco, I Lombardi alla prima crociata, la Giovanna d'Arco e l'Attila. Durante la versificazione del terzo atto dell’opera dedicata al Re degli Unni, Solera, per sfuggire ai suoi creditori, parte improvvisamente per la Spagna e Verdi, per completare l’opera, si vede costretto a rivolgersi a Francesco Maria Piave. Dopo la prima rappresentazione di Attila, il 17 marzo 1846, la loro col- laborazione termina. Negli ultimi anni di vita Solera rientra a Milano, dove muore il 21 aprile 1878. Riccardo Chailly Nasce a Milano il 20 febbraio 1953, in una famiglia di musicisti, studia nei con- servatori di Perugia, Roma e Milano. In seguito studia direzione d’orchestra con Franco Ferrara a Siena. A vent’anni diventa assistente di Claudio Abbado al Teatro alla Scala di Milano. Nel 1974 debutta come direttore d’or- chestra con Madama Butterflya Chicago. Nel 1977 dirige la ripresa nel di Parma di Simon Boccane- gra di Giuseppe Verdi con Leo Nucci. Alla Scala ha debuttato come direttore d'orchestra nel 1978 nella ripre- sa de di Giuseppe Verdi. In poco tempo ha diretto nei più prestigiosi teatri lirici del mondo e numerosissime orchestre sinfoniche. Nel gennaio 2015 sostituisce Daniel Barenboim nel ruolo di Direttore principale del Teatro alla Scala e dal novembre è Direttore principale della Filarmonica della Scala.

Ildar Abdrazakov Attila Ildar Abdrazakov si è afferma- to come uno dei più ricercati bassi d’opera. Da quando ha debuttato alla Scala nel 2001 a 25 anni, il cantante russo è diventato un pilastro dei principali te- atri d’opera del mondo. La sua voce potente e raffina- ta unita alla sua irresistibile presenza scenica ha spinto i critici a parlare di lui come di un basso sensazionale che ha praticamente tutto: suono imponente, legato bellis- simo, gran quantità di finezza. Saioa Hernández Odabella Saioa Hernández è nata a Madrid e ha studiato con Santiago Calderón, Renat- ta Scotto e Monsterrat Caballè. Il sopra- no spagnolo, si è fatta apprezzare per la corposa bellezza di un timbro morbido, pieno e sonoro nel registro medio bas- so ma capace di sicure salite all’acuto. La sua voce ha un colore, una brunitura davvero rari a trovarsi per bellezza e in- cisività di interpretazione. Dal momento dell’annuncio del suo de- butto alla Scala di Milano in occasione della prima del 7 dicembre nella parte di Odabella in Attila di Verdi, Saioa Her- nàndez è emersa come una nuova star dell’opera lirica.

Davide Livermore Torinese di nascita, dal 2015 è Sovrin- tendente e Direttore artistico del Pa- lau de les Arts Reina Sofía di Valencia dove è anche Direttore artistico del Centro di perfezionamento “Plácido Domingo”. Attivo come regista d’ope- ra e di prosa dal 1 998, nella sua bril- lante ed eclettica carriera ha lavorato in moltissimi ruoli oltre a esibirsi come cantante nei più importanti teatri del mondo accanto ad artisti del calibro di Luciano Pavarotti, Plácido Domingo, José Carreras, Mirella Freni e con registi quali Luca Ronco- ni, Andrei Tarkovsky, Zhang Yimou. Allievo di Carlo Majer, è un convinto sostenitore del teatro pubblico e della funzione di promozione sociale della cultura. Il Coro della Scala Il Coro della Scala è simbolo, in Italia e nel mondo, di eccellenza artistica. La qualità difficilmente eguagliabile nel repertorio operistico nasce in primo luogo dal rapporto idiomatico con la lingua del melodramma e dal conseguente respiro naturale con la parola cantata; qualità conser- vata grazie al lavoro paziente e meticoloso imposto negli anni da mae- stri del coro dalle sensibilità più diverse, mossi però dal medesimo rigore. Bruno Casoni, attuale Maestro del Coro, consolida con una grande disci- plina ritmica, e con uno speciale lavoro di “costruzione dello strumento”, quel tipico suono da palcoscenico operistico, potente e struggente allo stesso tempo, che impressiona pubblico e critici di ogni parte del mondo. Sebbene il Coro sia principalmente impegnato nell'opera, la sua ver- satilità gli permette di affrontare repertori diversi: da quello sinfonico corale a quello da camera, dal repertorio polifonico al Novecento e alla contemporaneità.

Bruno Casoni Nato a Milano, dopo aver conseguito i diplomi di pianoforte, composizione, musica corale e di- rezione di coro al Conservatorio Giuseppe Ver- di, è stato direttore del Coro del Teatro di Ca- gliari e, dal 1983, è diventato altro maestro del Coro presso il Teatro alla Scala di Milano, inca- rico mantenuto fino al 1994 quando è diventato direttore del Coro di Voci Bianche del Teatro alla Scala. Parallelamente ha collaborato con numerose istituzioni e festival mu- sicali italiani e stranieri sia come direttore di coro sia come direttore d’orchestra. Nel 1994 è stato nominato Direttore del Coro del Teatro Regio di Torino, alla guida del quale ha ottenuto unanimi consensi svolgendo inoltre un intenso lavoro per ampliarne il repertorio concertistico. Nel 2002 è stato nominato Direttore del Coro del Teatro alla Scala. Friedrich Ludwig Zacharias Werner di Marzia Steffani

L’autore della tragedia che ha ispirato Verdi nacque a Königsberg, nella Prussia Orientale il 18 novembre 1768. Sua madre morì in preda a manie religiose e Werner ne ereditò l’indole debole e squilibrata. Studiò legge all’università di Königsberg, ma la sua visione della vita fu plasmata dalla filosofia di Jean-Jacques Rousseau e dai suoi discepoli tedeschi. In seguito la vita dello scrittore oscillò tra l’aspirazione allo stato di natura, che lo con- dusse ad una vita disordinata e l’ammirazione sentimentale, comune a molti dei romantici, per la Chiesa cattolica romana, ammirazione che nel 1811 lo portò alla conversione. Venne poi ordinato sacerdote e rinunciò a scrivere in favore del pulpi- to, divenne un popolare predicatore a Vienna, dove nel 1814, nel corso del celebre Congresso, i suoi sermoni eloquenti, seppur fanatici, furono ascoltati da folle di fedeli. Nel corso dei suoi viaggi e per via epistolare, Werner poté conoscere molte eminenti personalità letterarie del suo tempo e riuscì così a far rappresentare le sue opere, che ottennero molto successo, tra cuiAttila Re degli Unni, in seguito musicata da Giuseppe Verdi. Morì a Vienna il 17 gennaio 1823.

Attila ”Flagello di Dio”. O forse no? di Rossana Perrone Era o non era il “Flagello di Dio”? Certo non era un fiorellino di campo… ma la nomea che lo ha avvolto nei secoli è in gran parte posticcia. La fonte, pressoché unica, sulla sua vita è lo storico bizantino Prisco, che co- nobbe personalmente il sovrano unno facendone un ritratto quasi lusinghiero. Descrivendo il banchetto cui prese parte, evidenziò come Attila spiccasse per mo- rigeratezza: beveva (poco) in una cop- pa di legno, mangiava solo carne e non elaborate leccornie, non indossava gioielli: il solo segno distintivo del suo status era l’eccezionale pulizia delle sue sobrie vesti. E’ possibile che il ritratto fatto da Prisco rispondesse più a canoni lette- rari dell’epoca che a veridicità storica. In questo caso l’esaltazione della sobrietà dei barbari e di Attila serviva a denunciare, indirettamente, la de- cadenza bizantina. Diversa la narrazione fantasiosa di Ammiano Marcel- lino, che nel IV secolo, senza aver mai visto un unno in vita sua, attinse ad un già vasto e consolidato repertorio retorico per descrivere quel po- polo come una sorta di incrocio tra l’umano e il demoniaco. Pochi anni dopo, questa descrizione apocalittica di Marcellino, si radicò nell’immaginario dell’epoca trapiantarondosi e colorandosi nei secoli suc- cessivi di ulteriori leggende sulla ferocia del re unno. A questo immaginario, divenuto nel tempo luogo comune, si richiama- rono anche gli storici successivi, sempre senza avere conoscenza diretta degli Unni e del suo sovrano; d’altra parte l’orda di Attila si era dissolta quasi immediatamente dopo la sua morte. Questa immagine retorica di Attila, si colorì sempre più fino a consegna- re, già alla fine del Medioevo, la figura compiuta del “Flagello di Dio”, ripresa più volte come personaggio stereotipato in una miriade di opere letterarie successive fino ai giorni nostri con alcune eccezioni: in -Un gheria Attila non solo non è accompagnato da alcuna nomea negativa anzi è considerato una sorta di eroe nazionale in quanto l’antica Panno- nia, cuore dell’impero unno e del suo sovrano, corrisponde all’attuale Ungheria, dove il nome Attila è ancora oggi molto comune e la storia della cultura magiara fornisce del sovrano un’immagine eroica e caval- leresca. Anche In Turchia e in Russia Attila gode di buona reputazione: nel primo caso perché ci si richiama alle radici turche del popolo unno, nel secondo perché se ne fa un contraltare all’Europa anche se in realtà gli Unni erano una mescolanza di popoli, per lo più germanici. In Italia la figura di Attila ha sempre rappresentato una vera e propria piaga biblica, la punizione divina dei peccati commessi dai cristiani, ma perchè considerare gli Unni i barbari e invasori per antonomasia quan- do altri popoli hanno esercitato analoghe brutalità e spietate invasioni? L’ossessione del diverso, dell’altro, del barbaro crudele e invasore, si è sublimata nella figura del re unno: ancora oggi si continua a ricordare che “dove passava lui non cresceva più l’erba”, il suo nome è associato alla peggiore devastazione tanto da essere astutamente prestato a taglia- erba, diserbanti, decespugliatori.

Tra storia e leggenda: un insolito mistero sulla morte di Attila Con una vita come quella il più grande sovrano degli Unni, colui che ri- uscì a tenere a bada gli eserciti romani per lungo tempo raggiungendo la massima estensione del suo impero, come poteva morire se non in bat- taglia accanto ai propri soldati o assassinato da uno scagnozzo romano? Eppure non accadde nulla di tutto ciò. Il Flagello di Dio, il più grande guerriero della sua epoca, morì nel suo letto per una emorragia. A rac- contarlo è sempre lo storico bizantino Prisco; egli riferisce che la notte, dopo un banchetto che celebrava il suo ultimo matrimonio con con una gota di nome Krimhilda, Attila ebbe una copiosa epistassi e morì soffocato. I suoi guerrieri, dopo aver scoperto la sua morte, si tagliarono i capelli e si sfregiarono con le loro spade in segno di lutto, così che “il più gran- de di tutti i guerrieri dovette essere pianto senza lamenti femminili e senza lacrime, ma con il sangue dei suoi uomini”. Al contrario della sua vita priva di sfarzi, la sua sepoltura non fu affat- to sobria, fu sepolto in una vistosa bara a pareti triple, ciascuna con uno strato d’oro, argento e ferro, piena di tesori. Sempre secondo Prisco, la se- poltura avvenne in una notte di novi- lunio, in una fossa scavata da schiavi che vennero uccisi poco dopo dalle guardie incaricate di sorvegliare l’e- sito del funerale. Esse stesse vennero poi epurate perchè fosse mantenuto il segreto sull’ubicazione della sepol- tura. Unico indizio: il sepolcro dovrebbe trovarsi prossimo ad un im- portante corso d’acqua, come nella tradizione religiosa unna. Attila cinema e musica La prima rappresentazione cinematografica dì Attila risale al 1918 con il film muto Attila del 1918 diretto da Febo Mari; sempre nella settima arte, nel 1954, Attila con Anthony Quinn e Sophia Loren e Il re dei barbari, diretto da Douglas Sirk. La tecnica e il rito film del 1971 diretto da Miklós Jancsó, narra le avventure di Attila, assurto a pretesto per condannare la tirannide e descriverne le conseguenze. Di non facile comprensione, vanta però una grande originalità narrativa e una fotografia suggestiva. Infine la miniserie televisiva del 2001 Attila - Il cuore e la spada. L’ope- ra vede lo scontro fra due mondi e due uomini che li hanno rappre- sentati, incarnandone lo spirito e i supremi valori: Attila re degli Unni e il generale romano Flavio Ezio. Solo la parodia del terrunciello Aba- tantuono, nel film trash di Castellano e Pipolo, è riuscita a scalfire la terribile fama del re degli Unni, quintessenza del male. Ci si chiede però, perché conside- rare gli Unni i barbari e invasori per an- tonomasia quando altri popoli hanno esercitato analoghe brutalità e spietate invasioni? Attila “fratello” di Dio, diceva Abatantuono. Anche la musica pop si è ispirata al mito di Attila: Antonello Venditti con Attila e la Stella presente nell’album Lilly del 1975, un testo che raccon- ta come il Re degli Unni, stregato dalla bellezza di Roma, decida di non distruggerla https://goo.gl/9SCwmK i Pooh invece, nell’album Dove comincia il sole del 2010 immaginano Attila ed il suo rapporto con la Morte, descritta come una donna bellis- sima quanto terribile, e gli dedicano il testo L’Aquila e il Falco. https://goo.gl/mV57wH Dove passa Leone Magno non cresce più Attila di Antonella Piovani

Secolo V d.C. – Vandali, Alamanni, Burgundi, Franchi, Svevi, Alani, Ostrogoti e Visigoti insidiano su tutti i fronti l’impero di Roma, ormai avviato al tramonto. Infine gli Unni. Già nel 451 in Gallia, nei pressi dell’attuale Chalon l’esercito romano con in capo il Generale Ezio e quello unno comandato dal temuto e violento Attila, si erano scontrati in una terribile battaglia che aveva visto la distruzione totale dei due eserciti. L’anno dopo gli Unni puntano sull’Italia e dopo aver distrutto Aquile- ia, si dirigono verso Roma. Fu allora che l’Imperatore d’Occidente Valentiniano III decide di ri- correre al negoziato e invia una delegazione presieduta da Papa Leone I. Il contatto avviene sulle sponde del Mincio, non lontano da Mantova. Leone I detto Magno e il barbaro per antonomasia si distanziano dai loro seguiti e soli, uno di fronte all’altro parlano. L’esito del colloquio è del tutto inaspettato, Attila sorprendentemente abbandona il suo progetto militare e politico e si ritira. Roma è salva! Alcuni studiosi sostengono che Leone pagò in oro Attila affinché si allontanasse al più presto, altri suppongono che fu a causa di un’epide- mia di colera e malaria che avrebbe decimato l’esercito unno. Fuori dal contesto storico invece, la più affascinante delle interpreta- zioni pone l’episodio all’interno dell’immaginazione e ne dà una ver- sione la cui lettura, in chiave mitologica di matrice cristiana, racconta che Papa Leone sia stato aiutato dalle figure gigantesche degli apostoli Pietro e Paolo che, profilandosi nel cielo, scortano il Pontefice nel fati- dico incontro con il “Flagello di Dio” il quale, atterrito, si prostra nella polvere lasciando attoniti gli Unni. La scena viene evocata nell’impressionante affresco che Raffaello -di pinge nelle Stanze Vaticane: Leone su un destriero bianco sfida Attila sullo sfondo della Roma imperiale, sotto un cielo tempestoso squarcia- to da folgori e dall’epifania maestosa dei santi Pietro e Paolo. Raffaello, “Incontro di Leone Magno con Attila”, 1513-1514, Roma, Palazzo Vaticano

Quale che sia stata la verità, l’eco che seguì il fatto avvolse Leone in un’aureola gloriosa, consegnandolo alla storia come il testimone fermo e vigoroso, autorevole e nobile del primato di Pietro, del quale il Papa è erede, successore e difensore della dignità della Roma imperiale e cri- stiana.

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