Traduttori Italiani Di Lucrezio (1800-1902)
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«EIKASMOS» XVI (2005) Traduttori italiani di Lucrezio (1800-1902) «Quando ho letto qualche Classico, la mia mente tumultua e si confonde. Allora prendo a tradurre il meglio, e quelle bellezze per necessità esami- nate e rimenate a una a una piglian posto nella mia mente, e l’arricchiscono e mi lasciano in pace» (G. Leopardi, Epistolario, a c. di P. Viani, Firen- ze 1883, I 28). Manca, a tutt’oggi, uno studio complessivo e organico sulla presenza e la rice- zione di Lucrezio nella cultura italiana dell’Ottocento. Questa oggettiva lacuna nella bibliografia sul Fortleben lucreziano1 appare tanto più sorprendente perché inversa- mente proporzionale al rinnovato clima di interesse che nel secolo XIX ha circon- dato il poeta latino2. Ancora istruttivo a questo riguardo è il giudizio espresso da Mario Saccenti in un contributo di qualche anno fa: «Lucrezio invero, con tutto ciò che il suo poema significava […] tra razionalismo e sensismo, tra materialismo e meccanicismo e determinismo biologico, conosceva, nell’ultimo trentennio dell’Ot- tocento, la sua più fortunata stagione dopo quella galileiano-gassendiana del Seicen- to: la alimentavano, ora separati ora commisti, un positivismo che incorporava con qualche equivoco e qualche ingenuità concetti evoluzionistico-darwiniani, un socia- 1 Tra i contributi che ripercorrono a grandi linee la fortuna del testo lucreziano, focalizzandone alcuni snodi chiave, si possono ricordare G.D. Hadzsits, Lucretius and His Influence, London- Calcutta-Sidney 1935 (invecchiato ma ancora utile); W. Schmid, Lukrez und der Wandel seines Bildes, «A&A» II (1946) 193-219; L. Alfonsi, L’avventura di Lucrezio nel mondo antico … e oltre, «Entr. Hardt» XXIV (1978) 271-321; V.E. Alfieri, Lucrezio tra l’antico e il moderno, «A&R» n.s. XXIX (1984) 113-128; P. Boyancé, La gloria di Lucrezio, in Lucrezio e l’epicureismo, trad. it. Brescia 19852 (ed. or. Paris 1963), 323-333; M. von Albrecht, Lucrezio nella cultura europea, «Paideia» LVIII (2003) 264-286; H. Jones, La tradizione epicurea. Atomismo e mate- rialismo dall’Antichità all’Età Moderna, trad. it. Genova 1999 (ed. or. London-New York 1992), su Epicuro, ma con numerosi rinvii anche al De rerum natura; di un certo interesse sono i contributi apparsi nella miscellanea Présence de Lucrèce. «Actes du colloque tenu à Tours (3-5 décember 1998)», textes réun. et prés. par R. Poignault, Tours 1999, passim, e per l’età contem- poranea, sebbene si rivolga ad un pubblico di non specialisti, anche W.R. Johnson, Lucretius and the Modern World, London 2000. 2 A un discorso analogo si presta, per la verità, anche il Settecento: Alfonsi, o.c. 271 lamentava infatti che, a fronte dell’attenzione riservata alla ricezione di Lucrezio presso il neoatomismo seicentesco, molto lavoro restasse ancora da fare per quella delicata età di passaggio tra Illuminismo e Preromanticismo che costituisce «un capitolo di solito trascurato dai latinisti, quanto vivace- mente sviluppato da italianisti e storici della cultura e del pensiero». 420 MAGNONI lismo in espansione che pareva derivare dal mondo letterario atteggiamenti e accenti scapigliati, un anticlericalismo rinfocolatosi e allargatosi con e dopo Porta Pia fino a identificarsi con larga parte dell’Italia ufficiale»3. Come si vede, non risulta age- vole ricondurre a unità i diversi fattori – politici, sociali, filosofici, letterari – che nell’arco di un secolo concorsero a riabilitare, in Italia, il nome dell’insanus poeta epicureo, creando le premesse per l’avvento di quella che ancora il Saccenti non esita a definire la «vera e propria congiuntura lucreziana» ottocentesca. Un fatto è certo. Chi intendesse tracciare un ampio affresco della fortuna italiana di Lucrezio nell’Ottocento – sull’esempio di quanto ha fatto Sebastiano Timpanaro per Lucano4 – dovrebbe esaminare la questione almeno sotto tre differenti angolature: la filologia, la filosofia, la letteratura5. È stato già osservato che lo sviluppo, in Italia, di una critica testuale e di un’esegesi del testo lucreziano fondate su base scientifica è intimamente collegato al più generale risveglio della filologia classica che si attua nel nostro Paese nell’ultimo trentennio del secolo6: questo perché, a partire dal 1860, comincia ad essere recepito e messo a frutto il fondamentale lavoro ecdotico ed esegetico condotto sul De rerum natura in Germania e in Inghilterra tra gli anni Venti e la fine dell’Ottocento, lavoro concretizzatosi in una serie di edizioni critiche che sono rimaste, per ragioni diverse, esemplari, dal Lachmann (Berlin 1850) al Brieger (Leipzig 1894), passando per il Bernays (Leipzig 1852) e il Munro (l’Editio maior in tre volumi è del 1886). Tale eredità fu raccolta in Italia da Camillo Giussani: tra il 1896 e il 1898, a Torino, veniva alla luce la sua edizione riccamente commen- tata del De rerum natura7. Un vero «classico» degli studi lucreziani, per usare le parole del Timpanaro8, che si rivela a tutt’oggi strumento prezioso, se non sotto il 3 M. Saccenti, Leopardi e Lucrezio, in Leopardi e il mondo antico. «Atti del V Convegno Internazionale di studi leopardiani (Recanati 22-25 settembre 1980)», Firenze 1982, 120 (= M.S., Occasioni tra l’antico e il moderno, Modena 1989, 32s.). Sulla stessa linea si situa anche il seguente pensiero di Piero Treves: «anti-spiritualismo e anti-cristianesimo, […] le scoperte dei papiri ercolanesi di Filodemo o della scuola epicurea, l’esempio straniero del Guyau, tutto parve felicemente cospirare a re-immettere il poema di Lucrezio nell’universa cultura nostra» (L’idea di Roma e la cultura italiana del secolo XIX, Milano-Napoli 1962, XXXVIII). 4 Aspetti della fortuna di Lucano tra Sette e Ottocento, in Aspetti e figure della cultura ottocentesca, Pisa 1980, 1-80. 5 Accenni sparsi alla rinascita lucreziana del secolo scorso si trovano in Treves, o.c. passim, nonché Id., Lo studio dell’antichità classica nell’Ottocento, Milano-Napoli 1962 e Tradizione classica e rinnovamento della storiografia, Milano-Napoli 1992. 6 In proposito mi limito a rinviare a E. Degani, Italia. La filologia greca nel secolo XX, in Filologia e storia. «Scritti di Enzo Degani», Hildesheim 2004, 1046-1120, con bibliografia. 7 Nella Prefazione che apre il primo volume degli Studi lucreziani, lo studioso, dopo avere ricordato le principali tappe della fortuna critica di Lucrezio nell’Ottocento, dichiara di volere «informare i lettori italiani del movimento moderno degli studi lucreziani, assai poco noti in generale» (VI). 8 S. Timpanaro, Il primo cinquantennio della «Rivista di Filologia e d’Istruzione Classica», «RFIC» s. 3 C (1972) 435 e n. 1, dove si ravvisa nello «splendido commento» lucreziano del Traduttori italiani di Lucrezio (1800-1902) 421 profilo della constitutio textus, certamente per la dottrina e l’acume dispiegati nell’esegesi delle questioni filosofiche. Quanto poi agli altri due aspetti della rina- scita di Lucrezio nell’Ottocento – la letteratura e la filosofia – va detto che entrambi dischiudono prospettive di studio tanto attraenti quanto problematiche. Il primo chiama in causa la vexata quaestio delle possibili interferenze che la lettura del poema lucreziano – diretta o mediata – potè suscitare nelle due massime personalità poetiche del nostro primo Ottocento: Foscolo, che di Lucrezio fu anche traduttore, in prosa e in versi (vd. infra pp. 428s.), e Leopardi, la cui effettiva frequentazione con il testo lucreziano, viceversa, è ancora oggetto di discordanti valutazioni9; il secondo versante, in verità assai meno indagato, riguarda l’accoglienza riservata al De rerum natura in àmbito positivistico, quando la personalità e l’opera di Lucrezio divennero oggetto di ammirazione e autentico culto fra quanti – filosofi, critici militanti, letterati – si professavano seguaci della dottrina darwiniana10: fra i primi certamente Gaetano Trezza, il «prete darwinista» secondo la definizione di Papini11, e il poeta Mario Rapisardi, traduttore integrale di Lucrezio, sul quale avremo modo di tornare più avanti. Di questa rinascita lucreziana ottocentesca intenderei illustrare una facies decisamente meno nota, ma non per questo meno istruttiva: quella delle traduzioni. A ben vedere, i volgarizzamenti del De rerum natura rappresentano, se non il più significativo, certamente uno dei più pronunciati elementi di novità e di Giussani «il più diretto precedente» dei lavori del Bignone sulla filosofia epicurea: l’Epicuro laterziano del 1920 e l’Aristotele perduto e la formazione filosofica di Epicuro del 1936. 9 Per un quadro d’insieme sulle traduzioni foscoliane di Lucrezio si veda U. Foscolo, Let- ture di Lucrezio. Dal De rerum natura al sonetto Alla sera, a c. di F. Longoni, Milano 1990. Per il vivace dibattito innescato dalla recente pubblicazione del frammento poetico foscoliano certa- mente ispirato all’inno a Venere di Lucrezio, si vedano anche V. Di Benedetto, Lo scrittoio di Ugo Foscolo, Torino 1990, 193-197 (editio princeps con commento); M. Gigante, Foscolo e Lucrezio: un nuovo testo, «A&R» n.s. XXXV (1990) 112-114; F. Giancotti, Venere e Voluttà: un abbozzo poetico di Ugo Foscolo e Lucrezio, in AA.VV., «Studi classici e cristiani offerti a F. Corsaro», Catania 1994, 293-317. Sul tema Lucrezio e Leopardi segnaliamo da ultimo P. Mazzocchini, Lucrezio in Leopardi: ulteriori note ed osservazioni, «Orpheus» n.s. XXIV (2003) 148-184, con ampia bibliografia. 10 È il caso di accennare al fatto che il fervore mostrato dal Positivismo verso il poeta della ratio epicurea non fu esente da grossolani fraintendimenti di natura metodologica, con il risultato di «elevare un concetto scientifico moderno a criterio d’interpretazione storica e [...] rifletterlo paradossalmente a ritroso su un passato pre-scientifico» (P. Casini, Zoogonia e “trasformismo” nella fisica epicurea, «GCFI» s. 3 XVII [1963] 179). Il passo lucreziano che più si prestava a ragionamenti di questa natura è senza dubbio V 855-877, dove il Bailey stesso rileva «an even greater affinity to the Darwinian idea of the survival of the fittest» (Titi Lucreti Cari De rerum natura libri sex. Ed. with proleg., crit. app., transl. and comm. by C.