Giulio Andreotti
Total Page:16
File Type:pdf, Size:1020Kb
Giulio Andreotti (Roma, 14 gennaio 1919) è un politico, scrittore e giornalista italiano, uno dei principali esponenti della Democrazia Cristiana. Andreotti è stato al centro della scena politica italiana per tutta la seconda metà del XX secolo. Ha ricoperto più volte numerosi incarichi politici: è stato sette volte Presidente del Consiglio, tra cui quello della "solidarietà nazionale", con l'appoggio del Partito Comunista Italiano, durante il rapimento di Aldo Moro (1978-1979), il governo della non-sfiducia (1976- 1977), con la prima donna-ministro, Tina Anselmi, al dicastero del Lavoro, otto volte ministro della Difesa, cinque volte ministro degli Esteri, due volte ministro delle Finanze, ministro del Bilancio e ministro dell'Industria, una volta ministro del Tesoro e ministro dell'Interno. È sempre stato presente all'Assemblea costituente e nel Parlamento italiano dal 1948, come deputato fino al 1991 ed successivamente da senatore a vita. Nato a Roma da genitori originari di Segni, intraprese la carriera politica nel corso degli studi universitari, durante i quali allacciò contatti, poi mostratisi durevoli, con esponenti delle formazioni cattoliche fra i quali Aldo Moro, al quale successe nell'incarico di presidente nazionale della Federazione Universitaria Cattolica Italiana (1942-1944). Fu segretario di Alcide De Gasperi. Si incontrarono durante la guerra, almeno così vorrebbe una versione pur non priva di fragranza aneddotica, nella Biblioteca Vaticana, in cui De Gasperi era rifugiato (grazie alla extraterritorialità). Il giovane Andreotti desiderava documentarsi sulla Marina Pontificia, e chiese dei testi al riguardo, al che lo statista trentino pare gli abbia bruscamente risposto: "Ma lei non ha proprio niente di meglio di cui occuparsi?" . Durante la guerra scrisse per la «Rivista del Lavoro», pubblicazione di propaganda fascista, assumendo posizioni da taluni definite compiacenti, se non proprio allineate al regime. Partecipò anche alla redazione clandestina de "Il Popolo" e nel 1944, fu eletto nel Consiglio Nazionale della Democrazia Cristiana. Dopo la cessazione delle ostilità, divenne responsabile dei settori giovanili del suo partito. Nel 1946 fu eletto all'Assemblea costituente e, nel 1948, alla Camera dei deputati per la circoscrizione di Roma-Latina-Viterbo-Frosinone. Il pragmatismo e i rapporti con De Gasperi [modifica] Risale a questi anni l'inizio della sua collaborazione con Alcide De Gasperi; del loro rapporto, intenso e stretto nonostante le profonde differenze caratteriali e metodologiche, fu detto che "quando andavano in chiesa insieme, De Gasperi parlava con Dio, Andreotti col prete" [1]. Il motteggio (attribuito ad Indro Montanelli) efficacemente rendeva al meglio la peculiare inclinazione di Andreotti al pragmatismo, alla visione più marcatamente concreta della politica per la quale gli obiettivi si perseguono usando i mezzi che consentono di farli ottenere. Altrettanto noto è l'aneddoto raccontato dall'interessato proprio per descrivere le ragioni di tale inclinazione, che sarebbero la necessità di rapportarsi con un elettorato semplice come quello ciociaro: dovendo tenere un comizio elettorale in un paesino del suo collegio noto per i suoi carciofi, Andreotti esordì chiedendo se gli astanti preferissero parlare di civiltà cristiana o piuttosto di carciofi. Quasi ovviamente, di questi ultimi soltanto si parlò, ed Andreotti fu eletto con amplissimo successo; naturalmente, nel narrare questo aneddoto Andreotti volutamente sottovaluta l'influenza che ebbe, nel suo successo elettorale, l'appoggio del vecchio ceto agrario e del "partito d'ordine" post-fascista, che sarebbe simboleggiato dalla pubblica apparizione che in un suo comizio a Ceccano in quegli anni fece il maresciallo Graziani. Non è facile, effettivamente, immaginare De Gasperi in simili concioni; purtuttavia il sodalizio fu lungo, profondo e duraturo. Esso proiettò Andreotti al centro della fase costitutiva della democrazia del dopoguerra, tanto che portano la sua firma alcuni degli atti simbolicamente fondanti la stessa vita repubblicana: la scelta, con circolare della Presidenza del consiglio, dell'inno di Mameli come inno nazionale; la revisione dell'ordine delle precedenze, introducendovi le autorità repubblicane e parlamentari ma mantenendo ai cardinali di Santa romana chiesa la massima posizione dopo il Capo dello Stato. I primi incarichi di governo: gli anni cinquanta e sessanta [modifica] Fu nel 1947 che Andreotti esordì come uomo di governo, diventando sottosegretario alla Presidenza del Consiglio nel quarto governo De Gasperi carica mantenuta fino al 1954. A questa si sarebbero succedute altri innumerevoli incarichi, tanto che Andreotti fu presente in quasi tutti i governi della Prima Repubblica. Fu Ministro della Difesa, nei primi anni sessanta quando esplose lo scandalo dei fascicoli SIFAR e del Piano Solo, un presunto progetto di un golpe neofascista, promosso secondo il settimanale L'Espresso dal generale missino De Lorenzo. L'incarico ministeriale rivestito da Andreotti fu onerato, da una successiva legge, della responsabilità della distruzione dei fascicoli, con cui il Sifar aveva schedato importanti politici italiani, di cui aveva composto dei ritratti poco favorevoli; alcuni, però, sostengono che Andreotti non abbia però proceduto alla distruzione dei fascicoli, ma li abbia conservati nel suo celebre e misterioso archivio cartaceo che, negli ultimi anni della sua carriera parlamentare, aveva sede nel suo ufficio di piazza in Lucina. Quasi a rimarcare la differente cifra della sua condotta, Francesco Cossiga, che nella veste di sottosegretario alla Difesa procedette parallelamente all'espunzione con omissis del rapporto della commissione ministeriale di inchiesta del generale Manes sul piano Solo, ha sempre pubblicamente vantato il suo intervento censorio, dichiarando di averlo svolto nella piena legalità. I primi anni settanta: Andreotti Presidente del Consiglio [modifica] In visita alla Casa Bianca nel 1973 Nel 1972, Giulio Andreotti diventa per la prima volta, Presidente del Consiglio, incarico che reggerà, alla guida di due esecutivi di centro-destra, fino al 1973. Continua a ricoprire incarichi di primo piano, nei successivi esecutivi. Nel ruolo di ministro della difesa, rilascia una famosa intervista a Massimo Caprara con cui rivela le coperture istituzionali dell'indagato per la strage di piazza Fontana, Guido Giannettini. Inaugura così un metodo di estrema spregiudicatezza, con cui i democristiani nati di destra affrontano e sfruttano l'ondata di sinistra della società italiana degli anni settanta, per guadagnare meriti che li accreditino come la componente più "aperturista" del cosiddetto Palazzo. Ovviamente, quando si trattò di confermare le circostanze (dell'apposizione del segreto politico-militare) davanti alla corte di asisse di Catanzaro, nel 1977, si trincerò dietro una sfilza di "non ricordo". Nel ruolo di Ministro degli Esteri esalta le sue abilità di mediatore, già emerse nella capacità di mediare fra le varie correnti della DC. Infatti egli si impegnò a comporre, nel segno della mediazione, importanti relazioni orientate verso la distensione. Sempre coerente con la scelta atlantica, fatta dal suo maestro, Alcide De Gasperi, nella divisione di schieramenti della guerra fredda, coltivò proficui rapporti anche con i paesi del Mediterraneo, aprendo il filone del filoarabismo che fino ad allora era stato percorso solo in via non governativa (dall'ENI di Enrico Mattei). Dopo l'Atto di Helsinki, che diede valenza internazionale alla richiesta occidentale di democratizzazione dell'Est, colse l'occasione per un'intensa stagione di affari economici tra l'Italia e l'Unione sovietica. La non-sfiducia e la solidarietà nazionale: Andreotti ritorna a Palazzo Chigi [modifica] Da sinistra Andreotti con Takeo Fukuda, Jimmy Carter, Helmut Schmidt e Valéry Giscard d'Estaing al summit meeting del G7 a Bonn 1978 Nel 1976, il governo, presieduto da Aldo Moro, perse la fiducia dei socialisti in Parlamento e il Paese si avviò alle elezioni anticipate, che videro un forte aumento del Partito Comunista Italiano, guidato da Enrico Berlinguer. La Democrazia Cristiana, riuscì, anche se solo per pochi voti a restare il partito di maggioranza relativa. Forte del buon risultato elettorale, Berlinguer propose, appoggiato anche da Moro e Fanfani, di dare concretezza al compromesso storico, ovvero alla formazione di un governo di coalizione fra Pci e Dc. Dentro la Dc, fu proprio Andreotti ad essere prescelto per guidare il primo esperimento in questa direzione: egli varò nel luglio del 1976 il suo terzo governo, il governo detto della "non sfiducia" perché, pur essendo un monocolore, si reggeva grazie all'astensione dei partiti dell'"arco costituzionale" (tutti tranne il MSI-DN). Questo governo cadde però nel gennaio del 1978. Pochi giorni prima del suo sequestro, Aldo Moro spinse alla creazione di un nuovo esecutivo, presieduto sempre da Andreotti, un monocolore DC: stavolta il sostegno parlamentare di tutti i partiti (ad eccezione del Movimento Sociale Italiano) si espresse con il voto favorevole alla fiducia, contrattata già prima del sequestro ma riconfermata con rafforzata decisione per fronteggiare il delicato periodo che l'Italia viveva, con il sequestro da parte delle Brigate Rosse, di Aldo Moro. Era la solidarietà nazionale. Il ruolo di Andreotti nella gestione del sequestro Moro è tuttora incerto. Andreotti fu un teorico della "linea ferma" e rifiutò ogni trattativa con i terroristi. Dopo l'omicidio di Moro, nel maggio del