ISSN 0012-3447

LUGLIO - AGOSTO PUBBLICAZIONE BIMESTRALE Vol. LXXXV - N. 4

FONDATORE ANTONIO UCKMAR

DIRETTORE VICTOR UCKMAR UNIVERSITÀ DI GENOVA

DIRETTORE SCIENTIFICO CESARE GLENDI UNIVERSITÀ DI

COMITATO DI DIREZIONE ANDREA AMATUCCI MASSIMO BASILAVECCHIA PIERA FILIPPI UNIVERSITÀ FEDERICO II DI NAPOLI UNIVERSITÀ DI TERAMO UNIVERSITÀ DI BOLOGNA

GUGLIELMO FRANSONI FRANCO GALLO ANTONIO LOVISOLO UNIVERSITÀ DI FOGGIA UNIVERSITÀ LUISS DI ROMA UNIVERSITÀ DI GENOVA

CORRADO MAGNANI GIANNI MARONGIU GIUSEPPE MELIS UNIVERSITÀ DI GENOVA UNIVERSITÀDIGENOVA UNIVERSITÀ LUISS DI ROMA

SEBASTIANO MAURIZIO MESSINA LIVIA SALVINI DARIO STEVANATO UVNIVERSITÀ DI ERONA UNIVERSITÀ LUISS DI ROMA UNIVERSITÀ DI TRIESTE

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Direttore e coordinatore della redazione: Antonio Lovisolo.

Capo redazione: Fabio Graziano.

Comitato di redazione: P. de’ Capitani, F. Capello, G. Corasaniti, C. Corrado Oliva, F. Menti, L.G. Mottura, A. Piccardo, P. Piciocchi, M. Procopio, A. Quattrocchi, N. Raggi, P. Stizza, R. Succio, A. Uricchio, S. Zagà.

Segretaria di redazione: Marila Muscolo.

Hanno collaborato nel 2014: F. Amatucci, A. Baldassarre, F. Capello, S. Carrea, F. Cerioni, M. Ciarleglio, A. Comelli, A. Contrino, G. Corasaniti, E. Core, S. Dalla Bontà, A. Elia, F. Gallo, G. Giangrande, A. Giovannini, F. Graziano, A. Kostner, I. Lanteri, A. Lovisolo, A. Marcheselli, A. Marinello, G. Marino, G. Marongiu, G. Melis, F. Menti, C. Mione, R. Mistrangelo, M. Procopio, P. Puri, F. Rasi, A. Renda, G. Rocco, S.M. Ronco, G. Salanitro, C. Sallustio, M.V. Serranò, L. Strianese, C. Trevisan, S. Zagà.

Tutto ciò che riguarda la Direzione e la redazione (dattiloscritti, libri per recensione - possibilmente in duplice esemplare - pubblicazioni periodiche in cambio) va indirizzato a Diritto e Pratica Tributaria, Via Bacigalupo, 4/15 - 16122 GENOVA (Tel. 010 - 8318871 - Fax 010 - 812656) - E-mail: [email protected]

Il sito di «Diritto e Pratica Tributaria» su internet è denominato: http://www.uckmar.com

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Prof. AVV. VICTOR UCKMAR, Direttore responsabile Iscritto al n. 69 Registro Stampa Tribunale Perugia

Centrofotocomposizione Dorigo S.r.l. - Padova Stampa: GECA s.r.l. - Via Monferrato, 54 - 20098 San Giuliano Milanese (MI) FONDAZIONE «ANTONIO UCKMAR»

I «VENERDÌ DI DIRITTO E PRATICA TRIBUTARIA» IL MARE E IL FISCO Palazzo dei Servizi - Interporto di Nola (NA) - 24-25 ottobre 2014

Venerdì 24 ottobre 2014

ore 08.30 Registrazione dei partecipanti

ore 09.00 Indirizzi di saluto: Cav. Lav. Giovanni Punzo, Prof. Giuseppe Tesauro, Prof. Victor Uckmar

Introduzione ai lavori: Prof. Francesco Berlingieri, Prof. Sergio Maria Carbone, Prof. Pasquale Pistone

ore 09.30 ParteI-LaNave Prof. Franco Gallo - Moderatore Prof. Giuseppe Corasaniti – La tassazione del reddito delle imprese di navigazione Dott. Nicola Coccia – Esperienze della tonnage tax Prof. Antonio Lovisolo – La stabile organizzazione nei traffici marittimi Prof. Alberto Marcheselli – Problemi vecchi e nuovi in materia di noleg- gio occasionale

ore 13.00 - Buffet ore 14.30 - ripresa dei lavori Prof. Fabrizio Amatucci – Differenze di trattamento fiscale Avv. Paolo de’ Capitani di Vimercate – L’uso delle bandiere ombra Prof. Guglielmo Fransoni – Porti turistici e tributi locali Prof. Angelo Contrino – Questioni problematiche (imposte dirette, iva, ac- cise) in tema di nautica da diporto Prof. Giovanni Puoti – La fiscalità della nautica da diporto Prof. Alberto Comelli – L’Iva nei servizi marittimi

ore 17.00 - Coffee break ore 17.30 - ripresa dei lavori

Parte II - Il Territorio Prof. Andrea Amatucci – Moderatore

Prof. Giovanni Acquarone – La regolamentazione delle concessioni de- maniali immobiliari Prof. Alessandro Giovannini – Il mare e i tributi locali Prof. Livia Salvini – La tassazione delle piattaforme petrolifere Prof. Giuseppe Melis – Considerazioni in tema di tasse e diritti marittimi

Sabato 25 ottobre 2014

ore 09.00 Prof. Francesco Tesauro – Moderatore

Prof. Franco Roccatagliata – Zone franche previste dall’Unione Europea Avv. Andrea Quattrocchi – Applicazioni in Italia Avv. Caterina Corrado Oliva – Dazi doganali e accise per la produzione e commercio dei prodotti petroliferi Ing. Walter De Santis – Il ruolo della Dogana Dott. Giovanni De Mari – Le esperienze di un operatore in merito ai con- trolli doganali Prof. Andrea Carinci – Le controversie doganali Prof. Cesare Glendi – Conclusioni

Gli Ordini degli Avvocati e dei Commercialisti ed Esperti Contabili rico- noscono crediti formativi per la partecipazione alla giornata di Venerdì e alla mattina di Sabato. La partecipazione è gratuita, ma è obbligatoria l’iscrizione entro il 30 set- tembre 2014 fino all’esaurimento dei posti disponibili, con priorità per gli abbonati a «Diritto e Pratica Tributaria» FONDAZIONE «ANTONIO UCKMAR»

I «VENERDÌ DI DIRITTO E PRATICA TRIBUTARIA»

Cis di Nola (NA) - 24-25 ottobre 2014 Palazzina dei Servizi - Interporto di Nola

SCHEDA DI ISCRIZIONE AL CONVEGNO Da inviare a: Fondazione Antonio Uckmar via e-mail a: [email protected] oppure via fax: 010 81 26 56

Si prega di compilare la scheda di iscrizione in ogni sua voce e di scrivere i dati a macchina oppure in stampatello.

Cognome –––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––– Nome ––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––– Avvocato [ ] Commercialista [ ] Altra qualifica [ ] Indirizzo ––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––– Tel: ––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––– e-mail: ––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––– Ordine di appartenenza ––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––– Tessera n. ––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––– Codice fiscale ––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––– Riconoscimento dei crediti: SI [ ] NO [ ] Abbonato alla rivista «Diritto e Pratica Tributaria» SI [ ] NO [ ] Letta l’informativa a tergo, autorizzo il trattamento dei miei dati per- sonali per l’invio a mezzo telefax e/o posta ordinaria, e/o a mezzo po- sta elettronica di pubblicità per le edizioni Cedam e Wolters Kluwer. SI[]NO[] Data Firma INFORMATIVA PRIVACY

I dati personali dei soggetti partecipanti al Convegno saranno trattati nel rispetto dei principi di protezione dei dati personali stabiliti dal Codice della Privacy (D.Lgs. 196/2003) e dalle altre norme vigenti in materia. I dati personali saranno registrati su database elettronici di proprietà della Fondazione Antonio Uckmar e di Wolters Kluwer Italia S.r.l., ti- tolari del trattamento. I titolari utilizzeranno i dati conferiti per finalità amministrative e con- tabili. I recapiti postali e l’indirizzo di posta elettronica saranno utiliz- zabili, ai sensi dell’art. 130, comma 4, del D.Lgs. 196/2003, anche a fini di promozione o vendita di prodotti o servizi analoghi al presente Convegno. I dati personali potranno altresì essere, dietro autorizzazione dell’inte- ressato, trattati per l’invio di comunicazioni di carattere pubblicitario e commerciale su prodotti e servizi propri, anche con modalità automa- tizzate. Il Cliente potrà in ogni momento esercitare i diritti di cui all’art. 7 del D.Lgs. 196/2003, fra cui quelli di accedere ai propri dati e ottenerne l’aggiornamento o la cancellazione, di opporsi al trattamento e di ri- chiedere l’elenco aggiornato dei responsabili del trattamento, mediante comunicazione scritta da inviarsi a:

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WOLTER KLUWER ITALIA S.R.L. Strada 1, Palazzo F6 Centro Direzionale Milanofiori 20090 Assago (MI) Fax 0282476403 e-mail: [email protected] DIRITTO E PRATICA TRIBUTARIA PROCEDURA DI REFERAGGIO - LINEE GUIDA

– Gli articoli destinati alla parte prima della Rivista vengono inviati ad uno o due referee, a scelta della Direzione, sulla base delle com- petenze scientifiche del referee rispetto all’argomento trattato nel- l’articolo. – Il referaggio è effettuato con il metodo del doppio anonimato, di modo che il referee non conosca il nominativo dell’autore, e vice- versa. – Entro venti giorni dall’invio per mail il referee esprime la propria valutazione, attraverso la compilazione di una apposita scheda pre- disposta dalla Rivista, e che si conclude con un punteggio ed un giudizio di meritevolezza o non meritevolezza di pubblicazione. –Ilreferee ha facoltà di indicare integrazioni o modificazioni all’arti- colo, che l’autore deve apportare nel termine di venti giorni dalla comunicazione da parte della Rivista. – La Rivista si riserva la facoltà di non pubblicare articoli con refe- raggio positivo o solo parzialmente positivo (in caso di sottoposizio- ne al giudizio di due referee), o di pubblicare articoli con referaggio anche solo parzialmente negativo (in caso di sottoposizione al giudi- zio di due referee). – Gli articoli sottoposti a referaggio sono evidenziati da un asterisco inserito dopo il titolo. AVVISO AGLI ABBONATI

Segnaliamo ai sigg. abbonati che, nella parte prima, è stata inserita la nuova rubrica “Prassi amministrativa”, ritenendosi che i numerosi in- terventi interpretativi dell’Amministrazione finanziaria (circolari, ri- soluzioni, risposte ad interpelli) debbano essere conosciuti sia agli ef- fetti pratici sia perché spesso di guida per lo sviluppo del diritto tri- butario.

Ricordiamo, inoltre, che il “Massimario di giurisprudenza” e la “Ras- segna di questioni costituzionali”, non più presenti sulla Rivista dal 2008, continuano tuttavia a essere pubblicati in www.uckmar.net. Nel sito internet sono altresì accessibili le due banche dati “Massima- rio di giurisprudenza” e “Bollettino bibliografico”, ove sono raccolti i documenti delle omonime rubriche della Rivista, dal 1993 ad oggi. Gli abbonati interessati sono invitati a compilare il sottostante coupon, e inviarlo alla redazione (per posta via Bacigalupo, 4/15 - 16122 Genova, per fax al n. 010/812656 o per e-mail [email protected])

INDICE DEL FASCICOLO N. 4/2014

PARTE PRIMA

Dottrina

CONTRINO A., MARCHESELLI A., Il «redditometro 2.0» tra esigenze di privacy, efficienza dell’accertamento e tutela del contribuente ...... Pag. 679 COMELLI A., I rapporti sotto il profilo dell’iva, tra stabile orga- nizzazione, casa madre e terzi ...... » 700 LOVISOLO A., La «funzione» della stabile organizzazione ed i criteri generali di determinazione del suo reddito, con partico- lare riferimento ai rapporti con la «casa madre» ...... » 719 SERRANÒ M.V., I limiti dei tributi regionali e l’articolo 23 del- la Costituzione ...... » 729 PROCOPIO M., La poco convincente riforma dell’abuso del di- ritto ed i dubbi di legittimità costituzionale (*) ...... » 746 ZAGÀ S., La disciplina impositiva dei redditi delle società sem- plici (*) ...... » 766

Novità legislative (a cura del prof. Massimo Procopio) ...... Pag. 795

Prassi amministrativa ...... Pag. 809

Documenti

Apprezzamento della Confindustria per la proposta di legge del CNEL sulla revisione fiscale. La codificazione della disciplina formale dei tributi ...... Pag. 826 Linee guida per una riforma del terzo settore ...... » 815 MONTI M., Fisco, riforme e dignità nazionale. Così l’Italia riu- scì a salvarsi da sola ...... » 823 DIRITTO E PRATICA TRIBUTARIA N. 4/2014

PANEBIANCO A., Il rischio di ripetere con la Tasi l’errore che commise Monti sull’I.m.u...... Pag. 822 SQUITIERI R., Rapporto 2014 sul coordinamento della finanza pubblica ...... » 820

Bollettino bibliografico ...... Pag. 835

Libri ricevuti ...... Pag. 848

Recensioni

SALSANO F., , ministro delle finanze. Le politi- che per lo sviluppo e i costi dell’unità d’Italia, 2014, Il Muli- no ed., Bologna, p. 261, euro 26,00 (recensione di Franco Gallo) ...... Pag. 849

PARTE SECONDA

Note a sentenza

CIARLEGLIO M., La Consulta estende il prezzo-valore alle ven- dite coattive ...... Pag. 581 GIANGRANDE G., Tìmeo Dànaos et dona ferentes: le sezioni unite della Cassazione in materia di confisca per equivalente ... » 637 KOSTNER A., In tema di motivazione della cartella di pagamen- to ...... » 562 MARINELLO A., Reclamo e mediazione tributaria: i limiti costi- tuzionali della giurisdizione condizionata ...... » 628 MENTI F., Il regime del margine nell’iva e gli adempimenti con- tabili a prova dell’esistenza dei presupposti per la sua applica- zione ...... » 592 MISTRANGELO R., L’opponibilità all’Agenzia delle entrate del- la cessione del credito iva trimestrale ...... » 610 SALLUSTIO C., Overruling e retroattività del principio dell’abu- so del diritto ...... » 527 TREVISAN C., La responsabilità del cessionario o committente per l’omessa regolarizzazione delle fatture emesse dal cedente o prestatore ...... » 667 SOMMARIO

Rassegna di giurisprudenza

ELIA A., Accise su prodotti energetici ed elettricità (2010-2013) - Parte seconda ...... Pag. 676

***

INDICE CRONOLOGICO DELLA GIURISPRUDENZA

Corte costituzionale

23 gennaio 2014, n. 6 ...... Pag. 582 16 aprile 2014, n. 98 ...... » 628

Corte di Cassazione sez. trib., 12 luglio 2013, n. 17232 ...... Pag. 592 sez. trib., 28 agosto 2013, n. 19743 ...... » 667 sez. un. pen., 5 marzo 2014, n. 10561 ...... » 638 sez. VI - T, ord. 17 aprile 2014, n. 8934 ...... » 562

Corti di appello

App. Venezia, 27 maggio 2013, n. 844 ...... Pag. 610

Commissioni tributarie provinciali

Comm. trib. prov. Cosenza, sez. VI, 18 dicembre 2013, n. 869 .... Pag. 527

INDICE ANALITICO DELLA GIURISPRUDENZA

CONTENZIOSO Art. 17-bis, d.lgs. 1992, n. 546, testo originario - Mediazione tri- butaria - Inammissibilità del ricorso in caso di mancata presen- tazione del reclamo - Contrasto con art. 24 Cost. - Questione di legittimità costituzionale - Fondatezza (Corte cost., 16 aprile 2014, n. 98) ...... Pag. 628 Art. 17-bis, d.lgs. 1992, n. 546, testo originario - Mediazione tributaria - Questioni varie di legittimità costituzionale - Inam- DIRITTO E PRATICA TRIBUTARIA N. 4/2014

missibilità o non fondatezza (Corte cost., 16 aprile 2014, n. 98) ...... Pag. 628

IVA Art. 69, r.d. 1923, n. 2440 - Credito iva trimestrale - Cessione a terzi - Opponibilità all’Amministrazione finanziaria - Configu- rabilità - Sussistenza - Conseguenze - Individuazione (App. Venezia, 27 maggio 2013, n. 844) ...... » 610 Artt. 36 e 38, d.l. 2005, n. 41 - Regime del margine - Condizioni di applicabilità - Individuazione (Cass., sez. trib., 12 luglio 2013, n. 17232) ...... » 592

PENALE TRIBUTARIO Art. 322-ter, c.p. - Reati tributari - Confisca per equivalente - Condizioni e limiti - Individuazione (Cass., sez. un. pen., 5 marzo 2014, n. 10561) ...... » 638

QUESTIONI GENERALI Art. 37-bis, d.p.r. 1973, n. 600 - Divieto dell’abuso del diritto - Limiti temporali di applicazione - Individuazione (Comm. trib. prov. Cosenza, sez. VI, 18 dicembre 2013, n. 869) ...... » 527 Artt. 12 e 25, d.p.r. 1973, n. 602 - Art. 3, l. 1990, n. 241 - Art. 7, l. 2000, n. 212 - Cartella di pagamento non preceduta da av- viso di accertamento - Obbligo di motivazione - Necessità - Sussistenza (Cass., sez. VI - T, ord. 17 aprile 2014, n. 8934) .... » 562

REGISTRO Art. 1, 497o comma, l. 2005, n. 266 - Immobili acquisiti a segui- to di espropriazione forzata o pubblico incanto - Determinazio- ne della base imponibile in relazione al prezzo valore - Manca- ta previsione - Violazione art. 3 Cost. - Configurabilità - Sussi- stenza (Corte cost., 23 gennaio 2014, n. 6) ...... » 582

SANZIONI Art. 6, 8o comma, d.lgs. 1997, n. 471 - Fattura irregolare - Rego- larizzazione ad opera del cessionario o committente - Obblighi - Individuazione (Cass., sez. trib., 28 agosto 2013, n. 19743) ... » 667

(*) Contributo sottoposto a revisione anonima da parte di professori ordinari e fuori ruolo e valutato positivamente da due componenti del Comitato scientifico della Rivista. IL «REDDITOMETRO 2.0» TRA ESIGENZE DI PRIVACY, EFFICIENZA DELL’ACCERTAMENTO E TUTELA DEL CONTRIBUENTE (*)

Sintesi: L’articolo analizza il «nuovo» redditometro nella conformazione risultante dall’incisivo intervento del Garante privacy, che ne ha mutato fisionomia e contenuto, chiedendosi se continui a valere la pregressa qualificazione – mediata dalla sussunzione tra gli accertamenti standard – come presunzione semplice. Traendo spunto dalla con- fusione regnante in giurisprudenza (ma non solo), ove si parla sempre di onere del con- tribuente di fornire la «prova contraria», s’illustrano le differenze tra prova contraria, contrasto della prova e differente ampiezza della difesa in presenza di presunzioni lega- li relative e di presunzioni semplici, soffermandosi, quanto al «nuovo» redditometro, sulle diverse posizioni di contribuente, ufficio e giudice tributario in ragione della sua qualificazione come presunzione legale relativa o semplice. Sono analizzati, poi, gli ar- gomenti a favore della continuità nella qualificazione come presunzione semplice, di- mostrandone il concreto depotenziamento per effetto dell’intervento del Garante, che ha allontanato il nuovo redditometro dal modello degli accertamenti standard e ridotto ten- denzialmente la presunzione all’equazione «spese patrimoniali e correnti effettive = red- dito complessivo». Ma si evidenzia che il predetto allontanamento non rende necessita- to, in termini logico-giuridici, il venir meno del carattere di presunzione semplice (in quanto la natura legale o meno non può dipendere dal contenuto che, volta a volta, l’Agenzia intende attribuire al decreto attuativo), ancorché sul piano pratico le differen- ze risultino oramai molto assottigliate: rimangono, comunque, le perplessità di un asset- to che attribuisce a una delle parti in gioco un area di poteri che paiono eccessivi, pur nella pienezza delle garanzie procedimentali e processuali. Queste ultime sono analizza- te nell’ultima paragrafo, esaminando anche le conseguenze, in sede giudiziale, del- l’omessa attivazione del contraddittorio da parte dell’ufficio o, se correttamente aziona- to, del fatto che il contribuente non si giovi del contraddittorio preventivo, o perché non si presenta o perché si presenta ma nulla allega o utilizza solo in parte argomenti, dati e documenti idonei a vincere la presunzione.

SOMMARIO: 1. Il «nuovo» redditometro è ancora un accertamento standardizzato? – 2. (Se- gue): prova contraria, contrasto della prova e strategie difensive. – 3. (Segue): le pre- sunzioni semplici e il più ampio margine per il controllo di ragionevolezza. – 4. (Se-

(*) Il saggio riproduce le relazioni – opportunamente condensate e aggiorna- te, aggiungendo anche l’apparato di note – che sono state svolte dagli Autori al Convegno di studio Il nuovo redditometro. Un difficile equilibrio tra contrasto all’evasione e tassazione di redditi inesistenti, organizzato dal Dipartimento di Studi Giuridici «A. Sraffa» e dal Dipartimento di Accounting dell’Università «L. Bocconi», in collaborazione con il Master in Diritto Tributario (MDT) della stes- sa Università, dove si è tenuto il 29 novembre 2013. 680 DIRITTO E PRATICA TRIBUTARIA N. 4/2014

gue): l’assetto variabile di contribuente, ufficio e giudice tributario di fronte alle pre- sunzioni legali e alle presunzioni semplici. – 5. Abbandono delle medie Istat e allon- tamento dal modello dell’accertamento su base standard.–6.(Segue): il nuovo reddi- tometro come specie del genere accertamento sintetico? Dopo il Garante, indebolita la tesi della necessaria natura di presunzione semplice. – 7. Nuovo redditometro e pre- sunzioni legali: implicazioni critiche. – 8. Contraddittorio obbligatorio, scelte difensi- ve e ricadute in giudizio.

1. – Il «nuovo» redditometro è ancora un accertamento standardizza- to?

La trattazione unitaria dei temi oggetto delle due distinte relazioni (redditometro e accertamenti parametrici, da un lato, e redditometro e strategie difensive, dall’altro) è più che mai opportuna se appena si considera che – come illustreremo meglio infra – le condotte difensive del contribuente sottoposto al «redditometro» si riconnettono e sono condizionate, sia nel procedimento sia nel processo, dall’appartenenza o meno di questo strumento al genus degli accertamenti standardizzati o parametrici (che dir si voglia), in quanto qualificati come presunzio- ni semplici. Da dove origina l’accostamento del redditometro agli accertamenti standardizzati? Si deve, per il «vecchio» redditometro (1), alla Suprema Corte, la quale – richiamando i principi statuiti dalle sezioni unite con le sen-

(1) Con riguardo «vecchio redditometro» species di accertamento sintetico – nelle diverse versioni avvicendatesi a partire dalla sua introduzione con la riforma del ’73 (art. 2, n. 13, della legge di delega 9 ottobre 1971, n. 825, attuato dal le- gislatore delegato con l’art. 38 del d.p.r. 29 settembre 1973, n. 600) – si vedano, senza pretesa di completezza, F. Tesauro, Considerazioni sui parametri ministe- riali di determinazione sintetica del reddito delle persone fisiche, retro, 1983, I, 1949; F. Moschetti, Avviso di accertamento e garanzia del cittadino, retro, 1983, I, 1924; A. Di Pietro, Potere normativo e funzione amministrativa nell’applicazio- ne degli indici di capacità contributiva sull’irpef,inRass. trib., 1984, I, 376 ss.; A. Fantozzi, L’accertamento sintetico e i coefficienti presuntivi di reddito,inRiv. dir. fin. sc. fin., 1985, I, 464 ss.; L. Salvini, Brevi note sul D.M. 21 luglio 1983, in Riv. dir. fin. sc. fin., 1985, I, 598 ss.; F. Tesauro, L’accertamento sintetico del reddito e il redditometro,inBoll. trib., 1986, I, 952 ss.; S. La Rosa, Il redditome- tro avanti la corte costituzionale,inRiv. dir. fin. sc. fin., 1987, II, 595 ss.; R. Lu- pi, Metodi induttivi e presunzioni nell’accertamento tributario, Milano, 1988, 341 ss.; L. Perrone, L’accertamento sintetico del reddito complessivo irpef, retro, 1990, I, 27 ss.; G. Tinelli, L’accertamento sintetico nel sistema dell’irpef, Padova, 1993, 95 ss.; F. Batistoni Ferrara, I principi della riforma tributaria: accertamen- to sintetico e redditometro, retro, 1994, I, 705 ss.; L. Tosi, Le predeterminazioni normative nell’imposizione reddituale, Padova, 1999, 373 ss.; A. Marcheselli, Le presunzioni nel diritto tributario, Torino, 2008, 255 ss.; M. Beghin, Profili siste- matici e questioni aperte in tema di accertamento «sintetico» e «sintetico-reddito- metrico»,inRiv. dir. trib., 2010, I, 717 ss. PARTE PRIMA 681 tenze del 2009 in tema di parametri e studi di settore (2) – con l’ordi- nanza n. 21661 del 2010, prima, e le due sentenze n. 2728 del 2011 e n. 13289 del 2011, poi, ha espressamente inquadrato l’accertamento redditometrico all’interno della più generale categoria degli accerta- menti standardizzati (3). L’orientamento è stato ribadito nella successi- va sentenza n. 23554 del 2012, ove si è chiosato che «l’accertamento sintetico da redditometro disciplinato dal d.p.r. n. 600 del 1973, art. 38, già nella formulazione anteriore a quella successivamente modifi- cata dal d.l. n. 78 del 2010 art. 22, convertito in l. n. 122 del 2010, tende a determinare, attraverso l’utilizzo di presunzioni semplici, il reddito complessivo presunto del contribuente mediante i c.d. elementi indicativi di capacità contributiva stabiliti dai decreti ministeriali con periodicità biennale». Quest’ultimo pronunciamento ha sovvertito l’assetto giurispruden- ziale fino ad allora consolidato – e ribadito dalla stessa Suprema Corte nelle ordinanze n. 14168 del 2012, n. 14896 del 2012, n. 18604 del 2012 – secondo cui la presunzione posta a fondamento del vecchio redditometro sarebbe stata una presunzione legale relativa, con susse- guente possibilità per l’Amministrazione finanziaria di determinare sinteticamente il maggiore reddito imponibile sulla base di elementi e circostanze di fatto certi, che presuppongono la disponibilità di un cor- rispondente reddito, senza dover fornire ulteriori prove (4). Con riferimento al «vecchio» redditometro il punto fermo – quan- to meno ad oggi – è, dunque, l’incasellamento dello stesso nel novero degli accertamenti standardizzati, al pari di quello basato sugli studi di settore, con qualificazione come «semplice» della presunzione posta a suo fondamento. La fisionomia di questa species di accertamento è, tuttavia, cambia- ta con il «nuovo» redditometro delineato nell’attuale art. 38, 5o comma del d.p.r. n. 600, così com’è stato attuato dal d.m. 24 dicembre 2012 (5),

(2) Cfr. Cass., sez. un., 18 dicembre 2009, n. 26635, n. 26636, n. 26637 e n. 26638, in GT - Riv. giur. trib., 2010, 205, con nota di M. Basilavecchia, Ac- certamento e studi di settore: soluzione finale;einCorr. trib., 2010, 255, con nota di A. Marcheselli, Le Sezioni Unite sulla natura presuntiva degli studi di settore. (3) Limitandosi a quest’ultima (Cass., sez. trib., 17 giugno 2011, n. 13289), è stato infatti affermato che l’accertamento redditometrico rientra tra quelli «stan- dardizzati» mediante l’applicazione di parametri o studi di settore, che costitui- scono un sistema di presunzioni semplici. (4) Quest’orientamento, neanche a dirlo, è stato fatto proprio dalla prassi: cfr. Circ. Ag. Entr. 12 marzo 2010, n. 12/E, punto 8.3. (5) Per i primi commenti generali alla nuova disciplina dell’art. 38, commi da 4o a8o, d.p.r. n. 600 del 1973, così come modificato dall’art. 22 del d.l. n. 78 del 2010 (conv. in l. n. 122 del 2010), v. A.M. Gaffuri, I nuovi accertamenti di tipo sintetico,inRiv. trim. dir. trib., 2013, 577 ss.; A. Modolo, L’accertamento sintetico redditometrico e la categoria degli accertamenti standardizzati tra esi- 682 DIRITTO E PRATICA TRIBUTARIA N. 4/2014 oggetto del recente provvedimento del Garante per la Privacy (21 novem- bre 2013) che ne ha «bocciato» in parte i contenuti (con gli effetti, quan- to al nostro tema, che vedremo infra). La domanda che occorre porsi è la seguente: questa giurispruden- za – e, dunque, la qualificazione come presunzione semplice – vale anche per il «nuovo» redditometro? Ci si pone questa domanda perché la prima variabile da cui dipen- de la difesa del contribuente è la «natura» della presunzione alla base del tipo di accertamento in esame. Ed infatti, a seconda che il redditometro sia qualificabile come presunzione legale relativa o presunzione semplice la prova che deve fornire il contribuente per dimostrare che il reddito complessivo deter- minato presuntivamente non sia effettivo, reale, assume una diversa valenza e conformazione. Per comprendere ciò è necessario illustrare brevemente la diffe- renza, in campo tributario, tra «prova contraria» alle presunzioni legali relativa e «argomentazione contraria» in caso di presunzioni semplici, la quale non è sempre evidente: nelle motivazioni degli accertamenti e delle sentenze essa è, infatti, sistematicamente trascurata.

2. – (Segue): prova contraria, contrasto della prova e strategie difen- sive

Nella giurisprudenza tributaria (sia di merito sia di legittimità) si parla sovente di onere del contribuente di fornire la prova contraria anche in presenza di presunzioni semplici, attribuendo ad esse gli ef- fetti delle presunzioni legali relative. Emblematica, in questo senso, è la recente ordinanza n. 2806 del 2013, che riguarda l’accertamento sintetico nella versione anteriore al- genze di contrasto dell’evasione, ricerca del reddito normale e rischi di tassazio- ne del reddito immaginario,inRiv. dir. trib., 2013, 489 ss.; A. Comelli, Poteri e atti nell’imposizione tributaria, Padova, 2012, 404 ss.; G. Marongiu, Il nuovo ac- certamento sintetico e redditometrico, in V. Uckmar - C. Glendi, La concentra- zione della riscossione nell’accertamento, Padova, 2011, 229 ss.; L. Perrone, Il redditometro verso accertamenti di massa (con obbligo del contraddittorio e del- l’invito all’adesione),inRass. trib., 2011, 887 ss.; S. Muleo, Accertamento sinte- tico per spesa e investimenti patrimoniali e oneri impliciti di documentazione,in Corr. trib., 2011, 513; L. Tosi, Art. 38 del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 60,in Commentario breve alle leggi tributarie (coordinato da G. Falsitta, A. Fantozzi, G. Marongiu e F. Moschetti), Tomo II – Accertamento e Sanzioni (a cura di F. Moschetti), Padova, 2011, 238 ss.; E.M. Bagarotto, L’accertamento sintetico dopo le modifiche apportate dal DL n. 78/2010,inRiv. dir. trib., 2010, I, 968 ss.; C. Pino, L’accertamento sintetico e il nuovo redditometro,inCorr. trib., 2010, 2057 ss. Quanto alla prassi amministrativa, v. Circ. Ag. Entr. 31 luglio 2013, n. 24/E, che è stata commentata «a caldo» da D. Liburdi, Il nuovo redditometro e gli indi- rizzi dell’Agenzia delle entrate,inFisco, 2013, 2, 4835 ss. PARTE PRIMA 683 le modifiche recate dal d.l. n. 78 del 2010, ove la Suprema Corte – dopo aver ribadito che esso «consiste nell’applicazione di presunzioni semplici, in virtù delle quali (art. 2727 c.c.) l’ufficio finanziario è le- gittimato a risalire da un fatto noto (nella specie, l’esborso di rilevanti somme di denaro per l’acquisto di quote sociali) a quello ignorato (sussistenza di un certo reddito e, quindi, di capacità contributiva)» – afferma che «la presunzione semplice generava l’inversione dell’onere della prova, trasferendo a Q. l’impegno di dimostrare che il dato di fatto sul quale essa si fondava non corrispondeva alla realtà». A differenza di quanto si potrebbe – di primo acchito – essere in- dotti a pensare, non vi è equivalenza tra presunzioni semplici (ragione- voli) e presunzioni legali relative e, dunque, non è possibile attribuirvi i medesimi effetti. È innegabile che in presenza di una «plausibile» presunzione sem- plice dell’ufficio la contraria argomentazione del contribuente possa apparire «necessaria», così come per la parte onerata da un’inversione dell’onere della prova in senso stretto (se essa non «vince» la presun- zione legale, si perde il ricorso). Ed è parimenti innegabile che nean- che in caso di presunzione legale relativa esista, in termini rigorosa- mente giuridici, l’assoluta necessità del contribuente di offrire la prova contraria, ben potendo, a stretto diritto, il giudice ritenere superata la presunzione legale relativa sulla base di un’opposta presunzione sem- plice valorizzata d’ufficio. In entrambi i casi, dunque, di regola, o il contribuente offre una prova contraria o perde il ricorso; e, in via eccezionale, la prova ido- nea a vincere la presunzione può essere individuata dal giudice in una presunzione semplice, senza eccezione di parte: l’equivalenza tra le due situazioni, che tali circostanze possono sollecitare, è tuttavia solo apparente, e ciò spesso sfugge. L’illazione contenuta nella presunzione potrebbe aver convinto l’ufficio, ma può benissimo non convincere il giudice: ebbene, se si tratta di presunzione semplice, ciò può avvenire anche senza che sia offerta una prova contraria in senso tecnico dal contribuente e, addirit- tura, anche se non sia contestata dal contribuente; se invece si tratta di presunzione legale, l’illazione vincola il giudice e può essere vinta so- lo dalla prova contraria.

3. – (Segue): le presunzioni semplici e il più ampio margine per il controllo di ragionevolezza

Da quanto affermato emerge che in caso di presunzione semplice le chances difensive del contribuente sono più ampie: la presunzione semplice deve convincere anche il giudice, il quale deve verificare se il ragionamento che la sostiene sia ragionevole, e ciò anche senza pro- ve contrarie; per altro verso, il contribuente può contestare la presun- zione semplice, pur senz’averne l’onere, anche senza fornire prove contrarie in senso proprio, ma solo contrapponendo argomenti idonei a 684 DIRITTO E PRATICA TRIBUTARIA N. 4/2014 dimostrare che il ragionamento di carattere presuntivo non regge, in quanto illogico o implausibile in sé. Si può, dunque, dire che la difesa del contribuente contro le pre- sunzioni semplici non passa propriamente attraverso una prova contra- ria, e ciò nel duplice senso che essa non è oggetto di un «onere» e che, a volte, essa non è neppure una «prova», ma soltanto un’argo- mentazione che contrasta la prova (non è necessario allegare dei fatti, può bastare sostenere che il ragionamento non è plausibile). Questa circostanza è spesso ignorata dalla giurisprudenza tributa- ria (sia di merito sia di legittimità), che – come si è visto supra – par- la di onere del contribuente di fornire la prova contraria anche in caso di presunzioni semplici. Invero, in tali casi il contribuente può fornire una prova contraria, se vuole, ma non è onerato in tale senso, potendo limitarsi a contesta- re la plausibilità e l’attendibilità del ragionamento presuntivo; e se il giudice si convince in tale senso deve annullare l’atto impositivo an- che se il contribuente non ha dato alcuna prova contraria. La vicenda probatoria assume una scansione simile a una partita di tennis: l’ufficio «serve» con l’avviso di accertamento; il giudice ve- rifica, in contraddittorio con il contribuente, se l’argomentazione pub- blica è «in campo» (ossia le prove dell’ufficio sono sufficienti in base al contesto); se è così, il contribuente che intenda sottrarsi alla soc- combenza, di regola, deve rimandare la palla nel campo avverso con nuove prove contrapposte. Ebbene, in caso di presunzione semplice non c’è un’inversione dell’onere della prova e il contribuente non è chiamato a fornire una prova contraria, perché in caso di inversione dell’onere della prova – che si verifica in presenza di una presunzione legale relativa – è come se, proseguendo la metafora, il gioco comin- ciasse con il contribuente chiamato a servire e il Fisco già in vantag- gio con match ball a disposizione: se il servizio del contribuente non è «in campo» (non convince il giudice) la partita è persa (ma lo è, natu- ralmente, anche se il Fisco risponde vittoriosamente). Quindi la differenza, in campo tributario, tra presunzione semplice e presunzione legale relativa è netta e determinante sotto il profilo probatorio. E questo vale anche per il redditometro.

4. – (Segue): l’assetto variabile di contribuente, ufficio e giudice tribu- tario di fronte alle presunzioni legali e alle presunzioni semplici

Occorre, a questo punto, calare le osservazioni svolte nello speci- fico contesto del «nuovo» redditometro, per evidenziare le diverse po- sizioni di contribuente, ufficio e giudice tributario in ragione della qualificazione come presunzione legale relativa o semplice. Se il nuovo accertamento redditometrico costituisce una presun- zione legale relativa, in assenza di elementi particolari risultanti dagli atti o dal contraddittorio l’ufficio non ha alcun onere di motivazione PARTE PRIMA 685 sulla plausibilità del risultato ottenuto in applicazione del redditome- tro, ma solo sulla ricorrenza in diritto e in fatto dei presupposti di ap- plicazione dello stesso. E, per altro verso, il contribuente non può con- testare la plausibilità della quantificazione, ma deve fornire una prova contraria in senso proprio, deve, cioè, fornire elementi diversi che smentiscono la presunzione. Se il nuovo redditometro costituisce una presunzione semplice, l’ufficio deve – caso per caso – convincersi e convincere del risultato che deriva dall’applicazione del redditometro, elaborando e valutando criticamente i dati e motivando sulla relativa plausibilità nel caso con- creto: donde, in questa ipotesi, la maggiore probabilità (e la possibilità per il contribuente di denunciare in sede di impugnazione l’esistenza) di vizi dell’accertamento per carenze dell’istruttoria svolta e/o la pre- senza di una motivazione stereotipa. Permanendo l’onere della prova sull’ufficio, il contribuente può contestare in questo caso che il reddi- tometro non sia stato adattato al proprio caso, vuoi perché non sono stati valorizzati i dati raccolti o comunque offerti dal contribuente stesso, vuoi perché non sono stati acquisiti, a monte, secondo i canoni di un’ulteriore, ragionevole istruttoria standard. Quanto al giudice tributario, se il nuovo redditometro costituisce una presunzione legale relativa, egli è vincolato senza alcuno spazio per il suo libero convincimento. È ben vero che in questo caso la «prova contra- ria» potrebbe anche derivare da una presunzione semplice valorizzata se- condo il suo apprezzamento, sulla base del materiale acquisito al giudi- zio. Ciò, tuttavia, diminuisce la rigidità del vincolo ma di certo non lo annulla: il giudice tributario «deve» applicare la presunzione legale, sal- vo che le prove contrapposte la superino, e in tale evenienza il supera- mento della presunzione legale va adeguatamente motivato. Se invece si tratta di presunzione semplice, il giudice deve convincersi della plausi- bilità dell’inferenza. Detto in altri termini, nel primo caso il giudice tri- butario non ha alcun onere di motivazione, se non quello di motivare, ma solo se esistono, sulle ragioni per cui non ha dato seguito alle eventuali allegazioni contrarie del contribuente; nel secondo, invece, egli deve mo- tivare già solo per valorizzare l’induzione ai fini della decisione e, dun- que, l’onere sussiste comunque. Chiarita la fondamentale importanza, per tutti i soggetti coinvolti, della qualificazione del redditometro come presunzione legale relativa o presunzione semplice, è possibile ritornare alla domanda iniziale: il «nuovo» redditometro costituisce come il «vecchio» – almeno secondo l’ultima giurisprudenza della Corte di Cassazione – una presunzione semplice?

5. – Abbandono delle medie Istat e allontamento dal modello dell’ac- certamento su base standard Gli argomenti spendibili a favore della continuità nella qualifica- zione del nuovo redditometro come presunzione semplice possono es- sere aggregati su due poli. 686 DIRITTO E PRATICA TRIBUTARIA N. 4/2014

Il primo è che il nuovo redditometro, al pari del vecchio, presen- terebbe numerosi punti di collegamento strutturali con gli studi di set- tore, che costituiscono una species di accertamento rientrante nel ge- nus degli accertamenti standardizzati e, in quanto tale, qualificabile al- la stregua di una presunzione semplice (6). Analoghe sono, in ispecie, le modalità di derivazione e, quindi, la natura del risultato finale della predeterminazione normativa, ossia il reddito complessivo, nel caso del redditometro, i ricavi complessivi, nel caso degli studi di settore. Entrambe le ricostruzioni esprimerebbe- ro, poi, dati di normalità economica, vale a dire dati medi ordinari, e non dati effettivi che riflettono le specifiche caratteristiche del contri- buente accertato. E, sotto il profilo soggettivo, i suddetti dati di nor- malità economica riguardano molteplici contribuenti aggregati in grup- pi omogenei, in funzione della composizione del nucleo familiare e della localizzazione territoriale, nel redditometro, o delle caratteristiche proprie dei contribuenti, nel caso negli studi di settore. Ancora, quanto ai presupposti di accesso, entrambi gli strumenti accertativi prevedono una soglia d’indifferenza fiscale, lo scostamento di un quinto nel caso del redditometro, la sussistenza delle c.d. gravi incongruenze nel caso degli studi di settore (7), che inibisce, se non superata, la possibilità di rettificare quanto dichiarato dal contribuente. Questi punti di contatto, che militavano indubbiamente a favore del carattere standardizzato del «nuovo» redditometro e della conse- guente natura di presunzione semplice, risultano depotenziati dopo l’intervento del Garante della Privacy (8), i cui temi erano stati antici- pati, ma con effetto di totale paralisi dello strumento, dalla giurispru- denza civilistica e fiscale (9).

(6) Cfr. A. Modolo, L’accertamento sintetico redditometrico e la categoria degli accertamenti standardizzati tra esigenze di contrasto dell’evasione, ricerca del reddito normale e rischi di tassazione del reddito immaginario, cit., 495 ss., nella prospettiva di dimostrare l’estensibilità al nuovo accertamento redditometri- co dei principi statuiti dalla Suprema Corte in materia di accertamenti standardiz- zati. (7) In questo caso, la significatività dello scarto tra quanto accertato e di- chiarato, che nel redditometro è puntualmente quantificata, va provata specifica- mente dall’ufficio ed è lasciata all’apprezzamento del giudice. (8) Si tratta del noto Parere del Garante per la protezione dei dati personali del 21 novembre 2013, contemporaneamente commentato, ma da una diversa pro- spettiva, da M. Basilavecchia, Privacy e accertamento sintetico: primi segnali di riequilibrio,inCorr. trib., 2014, 9 ss. e A. Marcheselli, Redditometro e diritti fondamentali: da Garante e giurisprudenza estera un «assist» ai giudici tributari italiani,inCorr. trib., 2014, 14 ss. (9) Cfr. Trib. Napoli, sez. civ. dist. Pozzuoli, ord. 21 febbraio 2013, il quale ha ritenuto che il d.m. 24 dicembre 2012 dovesse considerarsi nullo (per un com- mento, v. E. Manzon - G. Citarella - D. Stevanato, Redditometro, accertamento in base alla spesa e tutela della «privacy»,inDialoghi trib., 2013, 16 ss. e S. Gior- dano, Potenziali e irreparabili danni alla libertà personale con il nuovo «reddito- PARTE PRIMA 687

L’intervento è stato incisivo. Ed infatti, ai fini della determinazio- ne presuntiva del reddito complessivo (da cui dipendeva la ragionevolez-

metro», con postilla di C. Glendi, in GT - Riv. giur. trib., 2013, 349 ss., Marche- selli, Redditometro: arma liberticida o strumento di giustizia? L’importanza fon- damentale di una applicazione equilibrata degli istituti giuridici, retro, 2013, II, 433-443). I contenuti di questa pronuncia sono stati doppiati, in ambito tributario, da Comm. trib. prov. Reggio Emilia, sez. II, 18 aprile 2013, n. 74 (in GT - Riv. giur. trib., 2013, 893 e s., con nota di C. Florio, Limiti alla irretroattività del «nuovo» redditometro a tutela della buona fede e affidamento del contribuente; nonché in Corr. trib., 2013, 2140, con nota di M. Basilavecchia, Problemi veri e falsi del nuovo redditometro). Il citato provvedimento è stato neutralizzato, ma per ragioni di natura proce- dimentale, da Trib. Napoli, sez. I, ord. 11 luglio 2013, in GT - Riv. giur. trib., 2014, 168, con nota di N. Raggi, Stop al nuovo redditometro in nome della «pri- vacy»; i relativi contenuti sono stati tuttavia ripresi e ribaditi nuovamente in Trib. Napoli, 24 settembre 2013, n. 10508, ove si è motivato come segue: «In definiti- va, già queste constatazioni fanno concludere nel senso di affermare che il decre- to ministeriale è non solo illegittimo, ma radicalmente nullo ai sensi dell’art. 21- septies l. n. 214 del 1990 per carenza di potere e difetto assoluto di attribuzione in quanto emanato del tutto al di fuori del perimetro disegnato dalla normativa primaria e dei suoi presupposti e al di fuori della legalità costituzionale e comu- nitaria, atteso che il c.d. redditometro utilizza categorie concettuali ed elaborazio- ni non previste dalla norma attributiva, che richiede la identificazione di categorie di contribuenti, laddove – per come si vedrà – il d.m. non individua tali categorie ma altro, sottoponendo indirettamente – visto l’ampiezza dei controlli e il riferi- mento ai nuclei familiari – a controllo anche le spese riferibili a soggetti diversi dal contribuente e per il solo fatto di essere appartenenti al medesimo nucleo fa- miliare (si pensi all’acquisto di un medicinale per il congiunto malato oppure del libro di lettura). (...) Ciò in particolare, discende dalle seguenti considerazioni. Specificamente, il regolamento del potere esecutivo: non fa alcuna differenziazio- ne tra cluster di «contribuenti» così come imposto dall’art. 38, d.p.r. n. 600 del 1973 e dall’art. 53 Cost. bensì del tutto autonomamente opera una differenziazio- ne di tipologie familiare suddivise per cinque aree geografiche, ricollocando, quindi, all’interno di ciascuna delle tipologie figure di contribuenti del tutto diffe- renti tra loro l’operaio, l’impiegato, il funzionario, il dirigente, chi ha avuto perio- di di disoccupazione alternati a periodi di forti guadagni etc etc); non può, cioè, non rilevarsi come l’art. 38 parla esplicitamente di «contribuenti» e non già di fa- miglie (non potendo peraltro fare altro essendo ciò imposto dall’art. 53 Cost.); contribuenti che vanno differenziati «anche» in funzione del nucleo familiare e dell’area territoriale di appartenenza: in definitiva, il riferimento al nucleo fami- liare e all’area territoriale sono criteri aggiuntivi che in tutta evidenza devono servire a ulteriormente specificare e, per così dire, concretizzare il cluster di ri- ferimento già di per sé individuato in base a caratteristiche proprie. Il decreto ministeriale invece utilizza tale due criteri di complemento come principali ed esaustivi; utilizza come parametro per determinare le spese medie delle famiglie (peraltro, anche difficilmente armonizzando con Corte cost., 15 luglio 1976, n. 179 che aveva escluso la cumulabilità dei redditi dei coniugi) quelle di cui al Programma statistico nazionale predisposto ai sensi dell’art. 13 d.lgs. 6 settembre 1989, n. 322: si utilizza, cioè, l’attività dell’Istat che nulla ha a che vedere con la 688 DIRITTO E PRATICA TRIBUTARIA N. 4/2014 za e proporzionalità di una così invasiva raccolta di dati a carico del con- tribuente), il Garante ha sostanzialmente imposto l’espunzione di tutte le c.d. spese correnti imputabili mediante riferimento alle «spese medie Istat», con la fondamentale conseguenza di ridurre drasticamente il «peso» nel nuovo redditometro degli elementi «stimati» in base a dati normalità, pur se valorizzati tenendo conto della tipologia di nucleo familiare e dell’area geografica di appartenenza. L’Agenzia delle entrate si è adeguata alle in- dicazioni del Garante, confermando, in un recentissimo intervento (10), l’esclusione delle spese per beni e servizi di uso corrente, il cui conte- nuto induttivo risulta determinato con esclusivo riferimento alle «spese medie Istat», sia dalla selezione dei contribuenti sia dall’oggetto del con- traddittorio, a meno che non possano essere determinate in modo obiet- tivo. Adesso, le «spese medie Istat» – che rappresentano la componente «figurativa» delle spese su cui si fonda la ricostruzione redditometrica del reddito complessivo – possono essere utilizzate solo per calcolare le spe- se connesse ad elementi certi, come quelle collegate al possesso di beni immobili o mobili registrati (11). Per effetto di queste «correzioni» in corsa, la determinazione pre- suntiva del reddito complessivo in base al nuovo redditometro risulta, ora, assisa essenzialmente sulle «spese certe» e sulle «spese per ele- menti certi», da un lato, e sugli incrementi patrimoniali e sulla quota di risparmio, dall’altro (12). specificità della materia tributaria che deve indirizzare la sua indagine alla rico- struzione specifica di individualizzati profili di contribuenti e non già alla rico- struzione di macrocategorie funzionali ad analisi macroeconomiche e sociologiche che proprio per questo sono del tutto eterogenee rispetto al concetto di contri- buente; è infatti appena il caso di osservare che il predetto Programma statistico nazionale è il piano predisposto per legge dall’Istat, nel quale vengono esposte le attività statistiche di interesse pubblico che l’Istat e gli altri enti del SISTAN si impegnano a realizzare nel corso di un triennio, al fine di offrire ai cittadini un’immagine non distorta della società e dell’economia nel suo complesso». (10) Cfr. Circ. Ag. Entr. 11 marzo 2014, n. 6/E, la quale, per molti concetti, fa rinvio alla Circ. Ag. Entr. 31 luglio 2013, n. 24/E, di commento generale alla nuova disciplina del redditometro. Le risposte sul tema fornite dall’Agenzia delle entrate in occasione dell’incontro con la stampa specializzata, tenutosi il 17 gen- naio 2013, si possono leggere in Italia Oggi del 18 gennaio 2013, 24-25. (11) Si pensi, ad esempio, alle spese per il mantenimento dei mezzi di tra- sporto di cui il contribuente ha avuto la disponibilità nel corso del periodo d’im- posta. Se non sono individuabili in modo obiettivo, si fa riferimento alla potenza del mezzo di trasporto espressa in kw e, in base a ciò, è calcolata la relativa spe- sa di carburante, olio, pezzi di ricambio e manutenzione; applicando i parametri contenuti nell’Allegato 1 della Tabella A del d.m. 24 dicembre 2012. Lo stesso vale per i natanti, le imbarcazioni e le navi da diporto, individuando la citata Ta- bella A le spese di manutenzione in base alle medie Istat: in questo caso, il para- metro di riferimento è costituito dalla lunghezza del natante e dalla tipologia (a motore o a vela). In entrambi i casi, vanno poi aggiunte le spese oggettivamente individuabili, quali, ad esempio, le assicurazioni obbligatorie. (12) La spesa relativa al c.d. fitto figurativo può essere attribuita soltanto PARTE PRIMA 689

Ebbene, se è vero – come già evidenziato – che le «spese per ele- menti certi» possono essere determinate anche facendo riferimento alle «spese medie Istat», quando non determinabili in modo obiettivo, è in- dubitabile che il «nuovo» redditometro sia incentrato in misura preva- lente, dopo l’intervento del Garante, su dati di ammontare certo o co- munque oggettivamente determinabili o riscontrabili. Se questo è irrefutabile per i dati di stampo patrimoniale rilevanti, ossia gli incrementi del patrimonio e la quota di risparmio, si può dire lo stesso anche per le due tipologie di spesa rilevanti supra indicate, rappresentando – in contrapposizione a quella «figurativa» costituita dalle «spese medie Istat» – la componente «effettiva» delle spese po- ste a base della ricostruzione redditometrica del reddito complessivo: la prima tipologia annovera, infatti, le spese già presenti nell’anagrafe tributaria o indicate dallo stesso contribuente nella dichiarazione (13); la seconda, poi, le spese relative al mantenimento di cespiti già pre- senti in Anagrafe tributaria, come, ad esempio, le spese connesse al godimento di beni immobili o mobili registrati. Ma se è così, la conclusione pare obbligata: la presunzione su cui si fonda il nuovo redditometro, così come «rimodellato» per effetto del- l’intervento del Garante, deve ritenersi tendenzialmente ridotta all’equa- zione «spese patrimoniali e correnti effettive = reddito complessivo» (14). In base a quanto osservato, infatti, non si può più affermare in modo assoluto che – come gli accertamenti standardizzati – il nuovo redditometro strutturalmente esprime dati medi ordinari, e non dati ef- fettivi del contribuente accertato, con le naturali necessità di adatta- mento e «personalizzazione» che ne conseguirebbero e che normal- mente rappresentano una freccia all’arco della natura di presunzione

dopo la fase di selezione del contribuente e, dunque, essa non rileva ai fini della stessa, come precisato dall’Agenzia delle entrate nella citata Circ. n. 6/E, recepen- do l’indicazione in tale senso del Garante. Tale spesa concorre alla determinazio- ne del maggiore reddito accertabile solo se il contribuente non chiarisce la pro- pria posizione in sede di contraddittorio o, più in radice, non si presenta. (13) Ad esempio, gli oneri relativi alla stipula di un contratto di mutuo, es- sendo i relativi dati già presenti nell’Anagrafe tributaria; i canoni di locazione, es- sendo i relativi contratti sono soggetti a di registrazione; gli oneri per gas ed energia elettrica, ma anche per la telefonia, dovendo i gestori del servizio comu- nicare i dati all’Anagrafe; gli oneri sostenuti per le prestazioni di intermediazione immobiliare, per i collaboratori domestici, per l’acquisto di medicinali e visite mediche costituenti oneri indicati nel modello UNICO; per il pagamento di premi relativi ad assicurazioni danni, infortuni e malattia comunicati all’Anagrafe dagli operatori del settore, ecc. (14) È, dunque, verosimile ipotizzare che, sul piano applicativo, il reddito- metro – che è forma speciale di determinazione sintetica del reddito complessivo – finisca col prevalere sull’accertamento sintetico generale. Per approfondimenti sul tema, con riguardo anche agli studi di settore, M. Beghin, Il rapporto tra stu- di di settore, accertamento sintetico e sintetico-redditometrico,inCorr. trib., 2013, 401 ss. 690 DIRITTO E PRATICA TRIBUTARIA N. 4/2014 semplice (15). Né assume più soverchia rilevanza il fatto che – come accade per gli accertamenti standardizzati – i dati medi ordinari siano stati determinati per gruppi omogenei, essendo divenuto marginale il concorso delle «spese medie Istat» nella ricostruzione presuntiva del reddito complessivo e risultando la loro presenza ancorata comunque ad elementi certi. In questo rinnovato assetto, infine, l’esistenza di analoghe modali- tà di derivazione del risultato finale e di una corrispondente soglia d’indifferenza fiscale, quale presupposto di accesso allo strumento ac- certativo, non pare sufficiente a giustificare la riconduzione del nuovo redditometro tra gli accertamenti standardizzati, tanto più se si consi- dera che la previsione di una soglia di indifferenza fiscale nel reddito- metro, sia nuovo sia vecchio, è comunque giustificabile e giustificata dalla natura presuntiva dell’accertamento.

6. – (Segue): il nuovo redditometro come specie del genere accerta- mento sintetico? Dopo il Garante, indebolita la tesi della necessa- ria natura di presunzione semplice Il secondo polo di argomenti a favore della qualificazione come presunzione semplice è sintetizzabile nell’appartenenza (anche) del nuovo redditometro – la quale risulta, oltre che dalla sua collocazione nell’art. 38, anche dall’incipit del 5o comma che lo disciplina – alla categoria più generale dell’accertamento sintetico, che non costituisce un’ipotesi di presunzione legale relativa. Una presunzione è legale se è imposta dalla legge, e non perché è meramente menzionata dalla legge. È legale se la legge prevede che in presenza di un dato indizio non è necessaria la prova di un altro fatto individuato. Se invece la legge dice che per provare quel fatto (il red- dito) è possibile usare un dato indizio (ad esempio, la barca), si tratta di una presunzione semplice. Vediamo, adesso, cosa dice l’art. 38, 4o comma, del d.p.r. n. 600 del 1973, che disciplina l’accertamento sintetico. Esso prevede che l’ufficio, indipendentemente dalle disposizioni recate dai commi prece- denti e dall’art. 39, può sempre determinare sinteticamente il reddito complessivo del contribuente sulla base delle spese di qualsiasi genere sostenute nel corso del periodo di imposta, salva la prova che il rela- tivo finanziamento è avvenuto con redditi diversi da quelli posseduti nello stesso periodo d’imposta, o con redditi esenti o soggetti a rite- nuta alla fonte a titolo d’imposta o, comunque, legalmente esclusi dal- la formazione della base imponibile. Alla luce della premessa effettuata, la domanda è la seguente: la disposizione in esame impone la presunzione?

(15) V., con riguardo al redditometro nella versione anteriore alle «correzio- ni» illustrate nel testo, A. Marcheselli, Accertamenti tributari e difesa del contri- buente, Milano, 2010, 219. PARTE PRIMA 691

La risposta è negativa. Non si prevedono, infatti, né gli indizi da cui partire (spese in genere) né i fatti da ritenersi provati partendo da quegli indizi (reddito in genere), e, inoltre, si dice «può». È, in ispe- cie, sancito che per provare un certo fatto (il reddito complessivo) è possibile usare certi indizi (le spese di qualsiasi genere del periodo): ergo, non può che trattarsi di presunzione semplice. Volendo fare un fantasioso parallelismo, si potrebbe dire che la surriportata disposizione equivale a una norma penale che sancisce quanto segue: Gli assassini si possono scoprire con le impronte digi- tali; ebbene, in presenza di una disposizione di tal fatta nessuno pen- serebbe mai di sostenere che se sulla scena del delitto sono rinvenute le impronte del maggiordomo, il maggiordomo è allora l’assassino, salvo che provi di essere innocente! Ed il successivo 5o comma che reca la disciplina del nuovo reddi- tometro? In questa disposizione è previsto che La determinazione sin- tetica può essere altresì fondata sul contenuto induttivo di elementi in- dicativi di capacità contributiva ... con decreto del Ministero dell’eco- nomia e delle finanze da pubblicare nella Gazz. uff. con periodicità biennale. In tale caso è fatta salva per il contribuente la prova con- traria di cui al 4o comma. A tutta prima, non sembra che vi siano differenze rispetto alla di- sciplina dell’accertamento sintetico generale, perché la disposizione in esame non prevede gli indizi. Essa affida, però, ai decreti ministeriali l’individuazione degli indici presuntivi del reddito complessivo: la dif- ferenza non è di poco conto. Ed infatti, la predeterminazione degli indici integra la normativa primaria, e può apparire integrare la situazione tipica della presunzione legale, dove il fatto noto e quello presunto sono «precostituiti» rispetto al ragionamento giudiziale (e amministrativo) del caso singolo. Si può ipotizzare, insomma, una presunzione legale (relativa) prevista dalla fonte legislativa e integrata per gli aspetti di dettaglio dalla fonte su- bordinata del decreto ministeriale. Tale configurazione non presterebbe il fianco ad obiezioni di ordi- ne costituzionale, non essendo ipotizzabile una violazione dell’art. 23 Cost., il quale esige – com’è noto – che la legge disciplini direttamen- te e integralmente gli elementi costitutivi della fattispecie impositi- va (16): in questo caso, infatti, l’art. 38, 5o comma, «delega» ai decre- ti ministeriali non la fissazione del presupposto, ma l’individuazione degli indici in base ai quali accertare il reddito complessivo del contri- buente. Gli indici di spesa corrente e per incrementi di patrimonio

(16) La Corte costituzionale si è espressa in senso conforme, riconoscendo che tale normativa, anche intesa come fondante una presunzione legale, non vio- lerebbe gli artt. 23 (atteso il carattere relativo della riserva) e 53 Cost. (posto che l’intrinseca ragionevolezza del metodo di accertamento servirebbe, al contrario, a realizzare il principio di capacità contributiva): cfr. Corte cost., 28 luglio 2004, n, 287. 692 DIRITTO E PRATICA TRIBUTARIA N. 4/2014

(quota di risparmio compresa), contenuti nei decreti ministeriali, non costituiscono l’oggetto dell’imposizione, ma solo il fatto noto da cui inferire – e, dunque, tramite cui accertare – il fatto ignoto costituito dal reddito complessivo del contribuente. Non è tassato il reddito con- sumato (le spese correnti e per investimento) e accantonato (la quota risparmio), ma sempre e solo il reddito prodotto presuntivamente rica- vabile dai relativi indici, per la differenza in eccesso rispetto al reddito dichiarato, se il contribuente non la giustifica. E non sembra prestare il fianco ad altro tipo di obiezioni, se si con- sidera che il 5o comma usa l’espressione tecnica di «prova contraria» (è fatta salva per il contribuente – si afferma – la prova contraria di cui al quarto comma) e che, in sostanza, al contribuente è consentita la «li- bera» prova contraria (17). Rispetto al passato la relativa disciplina – che è contenuta adesso nel 4o comma dell’art. 38 – presenta una formulazio- ne molto più ampia, con cui è stato recepito, in sostanza, l’ampliamen- to degli angusti confini probatori della precedente formulazione operato dalla giurisprudenza (18). Il contribuente può dimostrare che il maggior reddito presuntivamente accertato, muovendo dalle spese correnti e per investimento, è il frutto di un’errata imputazione o dell’inesattezza del- le informazioni in possesso dell’amministrazione; è stato finanziato con redditi esenti o soggetti a ritenuta alla fonte a titolo di imposta o, ades- so, con somme legalmente escluse dalla formazione della base imponi- bile o provenienti da terzi (19), tramite il ricorso all’indebitamento o uti- lizzando disinvestimenti patrimoniali, ecc. La prova che il reddito presuntivamente accertato non esiste, o esiste in misura inferiore, potrà essere fornita in ogni modo, anche in via presuntiva.

7. – Nuovo redditometro e presunzioni legali: implicazioni critiche Resta, per contro, sempre praticabile la via già tracciata dalla giu- risprudenza di legittimità più recente, richiamata in apertura, circa la qualificazione come presunzione semplice.

(17) Come osserva L. Perrone, Il redditometro verso accertamenti di massa (con obbligo del contraddittorio e dell’invito all’adesione), cit., 891 ss., «se la norma procedimentale (metodo di accertamento) ostacolasse la possibilità di pro- va contraria (o la rendesse diabolica) rischierebbe di divenire norma sostanziale e di trasformare il presupposto dell’irpef da reddito prodotto in reddito speso o con- sumato». (18) V., in merito, G. Marongiu, Il nuovo accertamento sintetico e reddito- metrico, in V. Uckmar - C. Glendi, La concentrazione della riscossione nell’ac- certamento, cit., 238 ss.; G. Ferranti, La prova contraria negli accertamenti da redditometro,inCorr. trib., 2013, 5 ss. (19) Ad esempio, donazioni, successioni, redditi determinati forfetariamente, come quelli derivanti da attività o cespiti tassati catastalmente, somme riscosse a ti- tolo di risarcimento patrimoniale, redditi conseguiti in altri periodi di imposta, ecc. PARTE PRIMA 693

Tale giurisprudenza ha attribuito rilievo, per giungere a tale con- clusione, al parallelismo con gli studi di settore e all’inscrivibilità nel- la categoria degli accertamenti standardizzati. Ciò potrebbe, in effetti, indurre a ritenere che, venuta meno (pres- soché totalmente, salvo il caso delle spese per elementi certi) la natura standardizzata del nuovo redditometro, venga meno il carattere di pre- sunzione semplice. Tale conclusione non è, a ben vedere, rigorosamente necessita- ta (20). È appena il caso di notare che tra accertamento standardizzato e presunzione semplice non sussiste una relazione di implicazione logico giuridica o una corrispondenza biunivoca. È ovvio, innanzitutto, che possono aversi presunzioni semplici non fondate su dati standard. Ma è anche vero che nulla vieterebbe al legislatore di costruire presunzio- ni legali fondate su dati medi e di settore. L’argomento della standardizzazione è stato utilizzato dalla giuri- sprudenza per sciogliere l’aporia di un dato normativo sostanzialmente ambiguo. Si può dubitare che questo percorso sia stato completamente appa- gante in senso rigorosamente logico giuridico. Poiché l’utilizzazione dei dati standardizzati nel nuovo redditometro non è contenuta né pre- scritta nella fonte legislativa, può suscitare qualche perplessità il fatto che la natura, legale o meno, del redditometro venga a dipendere non dalla legge ma dal contenuto che, volta a volta, l’Agenzia delle entrate intenda attribuirvi. Su un piano dogmatico, la natura di presunzione semplice potreb- be quindi conservare solidi argomenti. Sul piano pratico, invece, la differenza si assottiglia parecchio. Come sopra rilevato, alla configurazione come presunzione legale si accompagna la conseguenza che il contribuente non può contestare la plausibilità del ragionamento. Che il contribuente non potesse contestare la ragionevolezza di ri- costruzioni fondate in gran parte su medie astratte era certamente gra- ve (e quindi leso il diritto di difesa) ed era un motivo assolutamente impellente per concludere per la natura di presunzione semplice del redditometro «ante» intervento del Garante. Che il contribuente non possa contestare la plausibilità del ragionamento «la spesa è alimentata con il reddito», che è ciò cui il nuovo redditometro viene in gran parte ridotto, appare assai meno lesivo delle sue ragioni difensive, specie

(20) La giurisprudenza mostra, in effetti, una certa resistenza a distinguere tra «presunzione semplice menzionata dalla legge» e «presunzione legale prescrit- ta dalla legge», come dimostrano le tormentate vicende degli accertamenti banca- ri, relegati, per il fatto di non essere fondati su dati standard, nella scomoda posi- zione di accertamenti fondati su (alquanto bizzarre) presunzioni legali. In tema si rinvia alle ampie considerazioni critiche contenute in A. Marcheselli, Accertamen- ti tributari e difesa del contribuente, cit.,79ss. 694 DIRITTO E PRATICA TRIBUTARIA N. 4/2014 quando si tratta di spesa certa (meno quando si tratta di spese stimate in base a medie). La questione se si tratti di presunzione semplice o legale relativa appare, quindi, meno drammatica in questa versione di redditometro «minimalista». Detto in altri termini (e chiudendo l’occhio del giurista rigoroso), che la natura della presunzione possa mutare a seconda del contenuto del decreto ministeriale è decisamente inelegante sul piano logico giu- ridico, ma, almeno, non sarebbe incompatibile con l’esigenza empirica di consentire una difesa adeguata. Ammesso che la scelta di valorizzare o meno i dati standard sia rimessa all’Agenzia delle entrate, da tale scelta conseguirebbe l’ade- guamento, a fisarmonica, della natura della presunzione: se si usano i dati standard la presunzione si indebolisce e diventa semplice. Non può comunque non sottacersi una certa perplessità circa tale configurazione, che attribuisce a una delle parti in gioco un area di poteri che paiono eccessivi, ancorché bilanciati ex post dalla degrada- zione della natura della presunzione. In ogni, caso, come si è già rilevato e si rileverà nel paragrafo che segue, il profilo essenziale è la pienezza delle garanzie, procedimentali e processuali.

8. – Contraddittorio obbligatorio, scelte difensive e ricadute in giudi- zio

L’importanza e la necessità di un contradditorio, prima dell’ema- nazione dell’atto impositivo, è stata avvertita fin dall’introduzione nel nostro ordinamento degli accertamenti sintetico e redditometrico, avve- nuta in occasione della riforma del 1973 (21), menzionando l’allora art. 38 la mera facoltà del contribuente di offrire talune prove anche prima della notificazione dell’accertamento. Era stato osservato che «l’ufficio delle imposte, quando constati che un contribuente manifesta “segni esteriori” di ricchezza che fanno sospettare un reddito superiore a quello dichiarato ... dovrebbe – per un principio di buona amministrazione – prima di emettere l’accerta- mento fondato unicamente sui “fatti esteriori”, consentire lo svolgi-

(21) L’art. 2 della legge di delega 9 ottobre 1971, n. 825, prevedeva, al n. 13, la determinazione analitica del reddito complessivo netto sulla base dei sin- goli redditi che lo compongono, salvo ricorso alla determinazione sintetica quan- do vi siano elementi presuntivi di maggiore reddito risultanti da fatti certi. Nor- me particolari disciplineranno la prova da parte del contribuente, in caso di de- terminazione sintetica, del possesso di redditi esenti o soggetti ad imposta sostitu- tiva. Questa direttiva è stata attuata dal legislatore delegato con l’art. 38 del d.p.r. 29 settembre 1973, n. 600, che, fin da allora, ha accolto i due strumenti di accer- tamento in esame. PARTE PRIMA 695 mento d’un procedimento articolato nel quale al contribuente sia dato interloquire con ogni ampiezza di deduzione e di difesa. L’ufficio quindi dovrebbe attribuire ai “segni esteriori” di ricchezza il significa- to di prova d’un maggior reddito non in via immediata, ma solo dopo che il sospetto iniziale abbia trovato conferma nel fatto che il contri- buente non era in grado di dare, nel procedimento, una giustificazione plausibile al divario tra ricchezza avuta a disposizione e reddito pro- dotto. In altre parole, i segni esteriori, da soli, non dovrebbero indurre l’ufficio a formulare l’accertamento, ma dovrebbero soltanto orientare l’ufficio nell’individuazione dei contribuenti su cui svolgere indagini, con l’obiettivo ultimo, non di quantificare la somma di danaro annual- mente necessaria per un certo tenore di vita, ma di individuare il red- dito prodotto (ed imponibile)» (22). È soltanto con le recenti modifiche all’art. 38 – quelle che hanno con- segnato l’attuale testo – che il legislatore fiscale ha, tuttavia, mostrato di aver compreso l’imprescindibilità del contradditorio anticipato nell’am- bito degli accertamenti di tipo sintetico e redditometrico, prevedendo al 7o comma l’obbligo per gli Uffici di avviare un contraddittorio preven- tivo con il contribuente per verificare la sussistenza di documenti, dati, no- tizie e circostanze, sopra illustrate, idonee a superare la presunzione alla base di queste due metodologie di accertamento (23). L’obbligatorietà del contraddittorio – così come, si reputa, l’atti- vazione e l’effettivo svolgimento nei casi di assenza di un obbligo co- dificato – è latore di un fondamentale corollario: se il contribuente ri- sponde, l’ufficio che emette comunque l’avviso di accertamento deve dotarlo di una «motivazione rafforzata», dando specifico conto delle ragioni di mancato accoglimento delle difese svolte dal contribuente per giustificare il maggior reddito. Non può, infatti, che valere anche per il redditometro il principio scolpito dalle sezioni unite per gli studi di settore (24), reputandosi es- so applicabile indipendentemente dalla qualificazione dello strumento di accertamento come presunzione semplice o legale relativa, secondo cui «la motivazione dell’atto di accertamento non può esaurirsi nel mero rilievo del predetto scostamento dai parametri, ma deve essere integrata (anche sotto il profilo probatorio) con le ragioni per le quali sono state disattese le contestazioni sollevate dal contribuente in sede di contraddittorio». Già prima, peraltro, con la sentenza n. 4624 del 2008 la Suprema Corte si era pronunziata nel senso dell’illegittimità di

(22) Così, F. Tesauro, L’accertamento sintetico del reddito delle persone fi- siche; teoria giuridica e prassi degli uffici,inBoll. trib., 1981, 494. (23) V., in argomento, G. Ferranti, La rilevanza del contraddittorio per l’applicazione del nuovo redditometro,inCorr. trib., 2013, 2651; G. Ragucci, Centralità del contraddittorio nell’accertamento sintetico,inCorr. trib., 2012, 3149 ss. (24) Il riferimento è sempre a Cass., sez. un., 18 dicembre 2009, n. 26635, n. 26636, n. 26637 e n. 26638, cit. 696 DIRITTO E PRATICA TRIBUTARIA N. 4/2014 un atto impositivo fondato proprio sul metodo redditometrico perché l’ufficio non aveva dato contezza nella motivazione delle deduzioni difensive presentate dal contribuente a seguito della richiesta di chiari- menti formulata nei suoi confronti. Se l’ufficio decide di accertare i redditi mediante il nuovo reddito- metro, ma lo stesso vale se dovesse ricorrere al metodo sintetico puro, il contraddittorio è, dunque, la sede in cui si svolgono le «prime» dife- se del contribuente. Si tratta di esaminare, adesso, una serie di corollari operativi di grande importanza pratica. Tralasciando l’ipotesi di attivazione e partecipazione del contri- buente al contraddittorio, di cui si è già detto, sono due i casi interes- santi che possono presentarsi: il primo, l’ufficio omette d’invitare il contribuente al contraddittorio, che non viene dunque attivato; il se- condo, l’ufficio invita il contribuente al contraddittorio, ma il contri- buente non si giova del contraddittorio. Quanto al primo caso, il 7o comma dell’art. 38 tace sulle conse- guenze per l’avviso di accertamento dell’omessa attivazione del con- tradditorio da parte dell’ufficio. Pur tacendo, proprio perché obbligatorio, non è affatto plausibile assumere che l’omesso invito sia privo di sanzione, dovendosi in tal caso concludere – con una conclusione che sarebbe logicamente e giu- ridicamente assurda – che la citata disposizione sia tamquam non esset e che, nonostante la prevista obbligatorietà, la lesione del diritto del contribuente al contraddittorio procedimentale sia una questione mera- mente formale. Invero, l’inosservanza dell’obbligo di attivare il contraddittorio anticipato si traduce in una divergenza dal modello normativo di parti- colare gravità che, in quanto tale, pur nel silenzio normativo, rende l’avviso di accertamento nullo, sia per un vizio procedimentale, affe- rente l’istruttoria, sia per un vizio attinente il diritto difesa. Non va dimenticato, infatti, che il contraddittorio nel procedimen- to, per quanto non propriamente costituzionalizzato, è pur sempre un contenuto del «giusto procedimento amministrativo», costituente diret- ta attuazione dei principi di buon andamento e imparzialità della Pub- blica Amministrazione (art. 97 Cost.), e principio generale del diritto europeo, come risulta, fra le altre, dalla nota sentenza Sopropé della CGUE (in causa C-349/07). E in assenza di attuazione del contraddit- torio l’atto impositivo non può che essere nullo, perché sacrifica il principio di imparzialità della pubblica amministrazione sotto il dupli- ce profilo della completezza della istruttoria e del rispetto del diritto di difesa, come riconosciuto dalle sezioni unite, nella nota sentenza n. 18184 del 2013, ma anche dalla Sezione tributaria – trattando dell’art. 12, 7o comma, dello Statuto del contribuente – nell’illuminata e recen- tissima sentenza n. 7315 del 2014 (25).

(25) Con tale sentenza (commentata adesivamente da A. Marcheselli, C’è PARTE PRIMA 697

L’omessa attivazione del contraddittorio, che comporta la nullità dell’atto di accertamento, può essere rilevata di ufficio o deve essere dedotta dal contribuente? La questione va risolta sulla base dei principi. La regola generale è che i vizi dell’accertamento debbono essere dedotti dal contribuente e che l’oggetto del giudizio è segnato dai motivi del ricorso: donde la conclusione che il vizio di omesso contraddittorio va eccepito in sede di ricorso introduttivo, non potendo in caso contrario essere esaminato dal giudice. Ed in effetti, l’omesso contraddittorio è un fatto ben noto al contribuente, il quale può certamente dedurlo fin dall’atto introdutti- vo del giudizio tributario, non è un fatto sopravvenuto. Quanto al secondo caso, ossia il contraddittorio viene offerto dal- l’ufficio ma il contribuente non se ne giova, o perché non si presenta o perché si presenta ma nulla allega, la conseguenza è che l’ufficio può emettere l’accertamento fondandosi solo sul redditometro. Questo non significa, neanche a dirlo, che l’avviso di accertamen-

un giudice a Berlino: ristabilita l’equità nei rapporti Fisco contribuente quanto agli «accertamenti accelerati»,inCorr. trib., 2014, 1370) è stato sancito che la necessità di evitare la decadenza dall’azione impositiva, per la prossimità di sca- denza del termine legale di accertamento, non può costituire ipotesi di «particola- re e motivata urgenza» idonea a legittimare l’inosservanza del termine dilatorio di 60 giorni per l’emanazione dell’avviso di accertamento, di cui all’art. 12, 7o com- ma, dello Statuto dei diritti del contribuente. Con riguardo alla questione del rispetto del contraddittorio procedimentale, è stato ivi osservato, in via generale, quanto segue: «Pur senza assurgere al rango di principio costituzionale (come in generale ritenuto da Corte cost. n. 103 del 1993 e 210 del 1995), il contraddittorio procedimentale rileva alla stregua di cri- terio orientativo per il legislatore e per l’interprete (v. Corte cost. n. 57 del 1997). È un criterio, cioè, che al di là della derivazione dai principi fondamentali di di- ritto comunitario (v. Corte giust., 18 dicembre 2008, causa C-349/07, mentovata dalle sezioni unite, e prima ancora Corte giust., 14 febbraio 1990, causa C-301/ 87) è esso stesso funzionale all’apprezzamento di conformità dell’azione ammini- strativa ai canoni di trasparenza e di buon andamento. In questo senso va rove- sciata l’argomentazione della richiamata Cass. n. 20769 del 2013, nel senso che il principio desumibile dall’art. 97 Cost., inteso da recta ratio, anziché smentire supporta unicamente un’interpretazione rigoristica della norma che – come l’art. 12, 7o comma, – richiede il rispetto di termini funzionali a garantire l’apporto del soggetto direttamente interessato dall’adozione del provvedimento finale. Del resto la buona amministrazione e l’imparzialità si collocano a valle di un altro principio essenziale dell’azione amministrativa, che è il principio di lega- lità. Il quale ultimo, anche al netto delle riserve contenute in singole disposizioni (art. 13 Cost. e ss.), è implicito nell’ordine costituzionale; e, indicando il primato della legge sull’amministrazione (id est, la soggezione dell’azione amministrativa alla legge) impone che l’azione amministrativa, qualunque ne sia l’ambito ogget- tivo, venga infine espletata senza travalicare i limiti dalla legge imposti, secondo i principi generali dell’ordinamento democratico. Invero nessuna posizione di po- tere o di preminenza, in favore dell’amministrazione, può essere affermata se non in coerenza coi limiti di un conferimento in base a legge». 698 DIRITTO E PRATICA TRIBUTARIA N. 4/2014 to sia, allora, automaticamente legittimo e fondato (26), ma solo che non può più essere annullato per omesso contraddittorio (o per difetto di motivazione). In questa ipotesi occorre chiedersi se, dopo essere stato parte del contraddittorio procedimentale, il contribuente possa utilizzare in sede processuale argomenti, dati e documenti non esibiti, né allegati in sede di contraddittorio. La posizione dell’Agenzia sul punto è rigida (27). Se, quanto alla fase procedimentale, viene riconosciuta la possibi- lità di produrre elementi giustificativi nuovi anche in occasione del- l’attivazione, dopo il primo contraddittorio apertosi con l’invito, del procedimento di accertamento con adesione di cui all’art. 5 del d.lgs. n. 218 del 1997 (e ciò, si reputa, sul presupposto che, nonostante i due distinti momenti, il contraddittorio procedimentale sia sostanzialmente unico), l’Agenzia delle entrate ritiene, quanto alla fase processuale, che operi la preclusione a opporre atti e documenti non forniti nel- l’istruttoria amministrativa, richiamando l’orientamento espresso dalla Cassazione nelle sentenze n. 28049 del 2009, n. 17055 del 2012, n. 453 del 2013 e n. 455 del 2013, con la sola eccezione della mancata produ- zione in fase procedimentale per causa non imputabile al contribuente. Trattasi di posizione non condivisibile. Ed infatti, nell’art. 38 non è disciplinata alcuna ipotesi di deca- denza o preclusione, la quale, secondo i principi generali, deve essere prevista in modo espresso, com’è nel caso dell’art. 32, 4o e5o comma, del d.p.r. n. 600 del 1973, per i documenti, libri e registri specifica- mente richiesti e non esibiti; senza considerare, poi, che nella fase del contraddittorio procedimentale, di cui si discute, non è imposto al con- tribuente di munirsi di un difensore tecnico. Non vi sono ragioni, dun- que, per discostarsi dall’insegnamento impartito dalle sezioni unite, in occasione delle sentenze sugli studi di settore (28), secondo cui in se- de processuale il contribuente accertato può proporre ogni eccezione e prova che ritenga utile alla sua difesa, senza essere vincolato all’esito del contraddittorio procedimentale e alle eccezioni sollevate in tale fa- se, e ciò anche se, pur invitato, non si sia presentato (29).

(26) Se, dopo essere stato invitato dall’ufficio, il contribuente non si presen- ta, la mancata comparizione può essere liberamente apprezzata dal giudice, quale argomento di prova, ai sensi dell’art. 116 c.p.c. (27) Posizione esplicita nella Direttiva n. 14 del 2014, e implicita, essendo rimasta silente sul punto, nella risposta fornita dall’Agenzia in occasione dell’in- contro con la stampa specializzata tenutosi il 22 gennaio 2014, ove si è limitata ad effettuare osservazioni sulla possibilità, in occasione del secondo confronto con le modalità dell’art. 5 del d.lgs. n. 218 del 1997, di produrre nuovi elementi giustificativi non forniti nella prima fase di confronto. (28) V., ancora, Cass., sez. un., 18 dicembre 2009, n. 26635, n. 26636, n. 26637 e n. 26638, cit. (29) Se si presenta al contraddittorio procedimentale, ma poi vince in giudi- PARTE PRIMA 699

Un’osservazione conclusiva. La preclusione di cui all’art. 32, 4o comma, presenta limiti rigoro- si, a garanzia del diritto di difesa, che non possono essere obliterati dall’Agenzia delle entrate. Essa può, infatti, trovare applicazione solo in presenza, insieme, di una specifica richiesta o ricerca da parte dell’ufficio e di un rifiuto o di un occultamento da parte del contribuente, e soltanto se quest’ul- timo – vale sottolinearlo – sia stato specificamente informato che la predetta richiesta è effettuata a pena di inutilizzabilità ai sensi della ci- tata disposizione: ricade, naturalmente, sull’ufficio l’onere di provare l’esistenza di tali condizioni (30). In ogni caso, la preclusione non può operare nel caso in cui la mancata esibizione dei documenti richiesti sia dipesa dalla manifesta difficoltà di reperimento degli stessi (si pen- si, ad esempio, al casi di richiesta di esibizione di documenti molto datati) adottando l’ordinaria diligenza. Se le menzionate condizioni non sussistono, e l’ufficio chiede co- munque l’inammissibilità dei documenti allegati al ricorso per la pri- ma volta, è possibile eccepire che nessuna richiesta specifica sia stata mai fatta in precedenza o, se vi è stata, che nessun rifiuto sia stato mai opposto dal contribuente o, ancora, che non vi sia stata alcuna in- formazione circa l’effetto preclusivo in caso di mancato seguito alla richiesta.E–inbase a quanto osservato – anche se dovesse sussistere tale ultima informazione, nessuna preclusione può in ogni caso scatta- re in presenza di richieste meramente esplorative, sovente praticate, con cui l’ufficio chiede la generica esibizione di ogni dato, notizia o documento rilevante ai fini del redditometro.

ANGELO CONTRINO ALBERTO MARCHESELLI

zio, il contribuente potrebbe essere sanzionato dal giudice con la compensazione delle spese, per non aver impedito, con la sua inerzia, l’adozione da parte del- l’amministrazione e la successiva impugnazione di un atto impositivo infondato. (30) Dev’essere anche concesso al contribuente il termine minimo di 15 giorni previsto dall’art. 32 per l’adempimento. I RAPPORTI, SOTTO IL PROFILO DELL’IVA, TRA STABILE ORGANIZZAZIONE, CASA MADRE E TERZI (*)

Sintesi: L’indagine sulla tematica della stabile organizzazione, sempre più ricca di sfaccettature, è espletata esclusivamente sotto il profilo dell’iva e, segnatamente, alla lu- ce della pertinente disciplina eurounitaria e della giurisprudenza della Corte di giustizia europea. Inoltre, sono esaminati i profili più significativi delle operazioni tra la casa madre stabilita in uno Stato membro e la sua stabile organizzazione in altro Stato mem- bro e di quelle tra la stabile organizzazione nel territorio dello Stato ed i soggetti terzi ivi stabiliti. Emerge una disciplina non poco divergente rispetto a quella prevista ai fini delle imposte sui redditi, con particolare riferimento al modello di convenzione OCSE contro le doppie imposizioni. Quale conseguenza, non è consentita un’automatica ed acritica osmosi, a livello di principi, da un settore all’altro dell’imposizione e non può essere condiviso l’orientamento della Suprema Corte suscettibile di valorizzare, sul piano del- l’iva, la disciplina della stabile organizzazione ai fini delle imposte sui redditi, laddove è obliterata la specificità che caratterizza il sistema dell’iva europea. L’approccio al concetto di stabile organizzazione, in considerazione della Diretti- va n. 2006/112/CE e degli artt. 11 e 53 del regolamento n. 282 del 2011, è calibra- to sul profilo del sufficiente grado di permanenza della struttura e dell’idoneità di quest’ultima, mediante una combinazione di mezzi umani e tecnici, a ricevere o esple- tare prestazioni di servizi e/o cessioni di beni. Questa impostazione è non poco prag- matica e consente di enfatizzare i profili fattuali della singola fattispecie, nella prospet- tiva di affrancare il concetto in questione da apprezzamenti di carattere soggettivo, lar- gamente dipendenti dalle conoscenze tecniche e dall’esperienza maturata dal soggetto valutatore.

SOMMARIO: 1. Considerazioni introduttive sulla ricerca, con particolare riferimento all’at- tualità della tematica che ne occupa ed alla necessità di rinnovati approfondimenti. – 2. La stabile organizzazione, ai fini dell’iva, pur in assenza di una vera e propria de- finizione nella Direttiva n. 2006/112/CE. – 3. L’individuazione del concetto di centro di attività stabile e di stabile organizzazione alla luce della giurisprudenza della Corte di giustizia europea ed il non condivisibile orientamento in parte qua della Suprema Corte. – 4. I rapporti tra la casa madre, soggetto passivo stabilito in uno Stato mem- bro e la sua stabile organizzazione situata in un altro Stato membro: unicità del sog-

(*) Il presente scritto riproduce, con alcune integrazioni e l’aggiunta delle note, il testo della relazione svolta al convegno organizzato dalla Fondazione An- tonio Uckmar e dall’Università Bocconi, presso l’Aula magna, in occasione dei «Venerdì di Diritto e Pratica Tributaria», che si è svolto l’11 e 12 ottobre 2013, dal titolo: «La stabile organizzazione». PARTE PRIMA 701

getto passivo, il quale coincide con la casa madre, alla luce dell’arresto FCE Bank.– 5. Le prestazioni di servizi tra la stabile organizzazione nel territorio dello Stato ed i soggetti terzi, nell’ipotesi di effettivo e diretto coinvolgimento della prima nell’esple- tamento delle operazioni, attive e passive. Il problema del soggetto debitore dell’im- posta verso l’erario, alla luce degli artt. 192-bis della direttiva n. 2006/112/CE e 53 del regolamento n. 282 del 2011. – 6. Osservazioni conclusive. La funzione primaria espletata dal concetto di stabile organizzazione, sotto il profilo dell’iva, è riconducibi- le alla necessità di una ripartizione territoriale uniforme tra gli Stati membri, fondata su criteri pragmatici, razionali e largamente oggettivi.

1. – Considerazioni introduttive sulla ricerca, con particolare riferi- mento all’attualità della tematica che ne occupa ed alla necessità di rinnovati approfondimenti

Sotto il profilo metodologico, è opportuno svolgere alcune consi- derazioni preliminari. La presente ricerca sulla stabile organizzazio- ne (1) sarà espletata con esclusivo riferimento all’iva (2), senza consi- derare il medesimo concetto ai fini delle imposte sui redditi (3) e, se-

(1) Affermano, in modo provocatorio, S. Mayr - B. Santacroce, Stabile or- ganizzazione: tematiche e prospettive nel contesto nazionale e internazionale,in Corr. trib., 2013, 1951, quanto segue: «la stabile organizzazione ... che cos’è?» e sottolineano che è stato versato un vero e proprio fiume d’inchiostro, al riguardo, da parte della dottrina nazionale e internazionale. (2) Cfr. A. Benoit - A. Moraine, L’instable notion d’établissement stable en matière de TVA,inRevue de droit fiscal, 2013, 13, 19 ss. (3) Cfr., senza pretesa di esaustività, v. D. Avolio - G. Fort, Stabili organiz- zazioni di banche estere: «fondo di dotazione figurativo» per dedurre gli interessi passivi,inCorr. trib., 2012, 3015 ss.; D. Avolio - P. Ruggiero, Le proposte di modifica al commentario OCSE sulla stabile organizzazione, ivi, 2012, 1112 ss.; D. Avolio - B. Santacroce, Per la stabile organizzazione personale è necessario provare che l’agente ha effettivamente concluso i contratti,inGT - Riv. giur. trib., 2012, 977 ss.; Id., Stabile organizzazione materiale e distacco di personale nel secondo «Discussion Draft» OCSE,inCorr. trib., 2012, 3628 ss.; E. Ceriana, Stabile organizzazione e imposizione sul reddito, retro, 1995, I, 657 ss.; E. Della Valle, La nozione di stabile organizzazione nel nuovo Tuir,inRass. trib., 2004, 1597 ss.; Id., La soggettività tributaria della stabile organizzazione,inLibro del- l’anno del diritto 2012, Roma, 2012, 580; G. Doneddu, Quando la valorizzazione delle «funzioni svolte» e dei «rischi assunti» dal commissionario alla vendita esclude la stabile organizzazione occulta,inGT - Riv. giur. trib., 2013, 323 ss.; G. Fort, Attribuzione dei profitti alla stabile organizzazione «personale»,inCorr. trib., 2013, 3045 ss.; G. Fransoni, La determinazione del reddito delle stabili or- ganizzazioni,inRass. trib., 2005, 73 ss.; A.M. Gaffuri, La determinazione del reddito della stabile organizzazione, ivi, 2002, 86 ss.; Id., Principi generali di tassazione del reddito d’impresa nei rapporti internazionali,inCorr. trib., 2002, 3396 ss.; M. Lang, Il concetto di stabile organizzazione e la sua interpretazione, in Riv. dir. trib. int., 2002, I, 22 ss.; A. Lovisolo, Il concetto di stabile organizza- zione nel regime convenzionale contro la doppia imposizione, retro, 1983, I, 1127 ss.; Id., Profili evolutivi della «stabile organizzazione» nel diritto interno e con- 702 DIRITTO E PRATICA TRIBUTARIA N. 4/2014 gnatamente, le non poco significative affinità, ma anche le differenze, tra la disciplina in parte qua in materia di iva e quella relativa alle imposte sui redditi (che impedisce un’automatica ed acritica osmosi, a livello di principi, da un settore all’altro dell’imposizione) (4), per le quali si rinvia ratione materiae ad altre relazioni presentate in questo convegno (5). Inoltre, al fine di circoscrivere ulteriormente il perimetro di questa ricerca, non saranno esaminate tutte le problematiche afferenti alle sta- bili organizzazioni, sul versante dell’iva (6), ma esclusivamente quelle relative alle operazioni espletate tra esse, le rispettive case madri ed i terzi, alla luce del sistema dell’iva europea (7). A titolo esemplificati- vo, resterà sullo sfondo la pur non trascurabile tematica del diritto al venzionale,inCorr. trib., 2004, 2739 ss.; M. Messina, Il consolidato «non prose- gue» in caso di conferimento di stabile organizzazione, ivi, 2007, 2215 ss.; F. Pa- radisi, Stabile organizzazione (dir. trib.),inEnc. giur. Treccani, XXXIV, 1 ss.; M. Pennesi, Stabile organizzazione occulta: tassazione del reddito per «massa se- parata»,inCorr. trib., 2011, 3115 ss.; Id., Contratti intercompany e stabile orga- nizzazione: quando è possibile escludere il rischio sanzioni, ivi, 2011, 2448 ss.; L. Perrone, La stabile organizzazione,inRass. trib., 2004, 794 ss.; P. Valente, Attribuzione del reddito alla stabile organizzazione: il Rapporto OCSE del 2010, in Fisco, 2010, 1, 7000 ss.; Id., La stabile organizzazione «occulta» nella giuri- sprudenza italiana,inFisc. comm. int., 2012, 5, 30 ss. Si veda anche P. Pilerci - R. Ribaudo, Il trasferimento di beni ad una stabile organizzazione estera nella le- gislazione fiscale tedesca: analisi di compatibilità con i principi fondamentali dell’Unione europea,inRiv. dir. trib. int., 2012, III, 271 ss. (4) In senso contrario, è favorevole ad una interpretazione uniforme del concetto di stabile organizzazione, ai fini dell’iva e delle imposte sui redditi, an- che alla luce della pertinente giurisprudenza della Corte di giustizia europea, E. D’Alfonso, La nozione di stabile organizzazione nelle imposte sui redditi e nel- l’iva,inRass. trib., 2003, 1279 ss. e specialmente 1327. Si veda anche M. Proiet- ti, Stabile organizzazione occulta ed imposte dirette: profili critici in punto di soggettività tributaria, ivi, 2012, 653 ss. e specialmente, sul versante dell’iva, 668 ss. e 676 ss. (5) Cfr. L. Salvini, La stabile organizzazione nelle imposte sui redditi e nel- l’iva: analogie e differenze,inLa stabile organizzazione, Atti preparatori al con- vegno tenutosi a Milano nei giorni 11 e 12 ottobre 2013, 357 ss. A. Tomassini, Stabili organizzazioni e commercio elettronico,inCorr. trib., 2013, 1498, defini- sce le stabili organizzazioni di soggetti non residenti come «quelle entità di fatto che costituiscono centro di imputazione di ricchezza, ancorché prive di personali- tà giuridica e che vedono la loro caratteristica distintiva nel possesso delle facoltà sufficienti a svolgere l’attività idonea al perseguimento dell’oggetto sociale del soggetto straniero». (6) Cfr. R. Baggio, I non residenti, in AA.VV. (a cura di), L’imposta sul valore aggiunto, Torino, 2001, 212 ss.; P. Puri, La stabile organizzazione nel- l’iva,inRiv. dir. trib., 2000, I, 239 ss.; oltre a C. Bierregaard Eskildsen, Pro Ra- ta Deduction by Entities Established in Several VAT Jurisdictions,inInternatio- nal VAT Monitor, 2012, 27 ss. (7) Cfr. F. Rossi Ragazzi, La stabile organizzazione dopo le direttive iva,in Corr. trib., 2010, 821 ss. PARTE PRIMA 703 rimborso dell’iva, eventualmente spettante ai soggetti passivi stabiliti in altri Stati membri, con stabile organizzazione in Italia (8), mentre non saranno esaminati profili di tipo processuale, i quali esulano dal- l’analisi in questione. Trattasi di una indagine che si propone di collocare sotto la lente d’ingrandimento una tematica di grande attualità (9) e sempre più ric- ca di sfaccettature, con particolare riferimento all’individuazione preci- sa del luogo di effettuazione delle prestazioni di servizi, laddove le numerose problematiche, emergenti dall’esame della disciplina in par- te qua, presentano una notevole rilevanza, in egual misura, sul versan- te teorico e su quello applicativo. Tutto questo induce ad approfondire ulteriormente la tematica in esame, collocandola nel sistema dell’iva, quale imposta intrinsecamente europea e si armonizza perfettamente con il programma dell’odierno convegno, formandone un imprescindi- bile segmento del relativo percorso di approfondimento. Alla luce di questa impostazione, sarà approfondito, innanzi tutto, il concetto di stabile organizzazione in considerazione della giurispru- denza della Corte di giustizia europea e della Corte di Cassazione. Successivamente, saranno esaminati, in una duplice direzione, i profili più significativi delle operazioni tra: (a) la casa madre stabilita in uno Stato membro e la sua stabile organizzazione in altro Stato membro; (b) la stabile organizzazione nel territorio dello Stato ed i soggetti ter- zi ivi stabiliti. Dopo aver effettuato questo inquadramento di tipo sistemati- co (10), saranno tratti i più immediati corollari, a titolo di conclusione del percorso di ricerca che ne occupa.

(8) Si veda P. Centore, Il rimborso iva diretto è ammesso anche in presen- za di una stabile organizzazione,inCorr. trib., 2012, 3545 ss., quale commento all’arresto della Corte di giustizia europea 25 ottobre 2012, Daimler, nelle cause riunite C-318/11 e C-319/11; P. Maspes, Il recupero dell’iva per i soggetti non residenti con stabile organizzazione in Italia, ivi, 2009, 2922 ss., che commenta la sentenza della Corte di giustizia Commissione c. Repubblica italiana, 16 luglio 2009, nella causa C-244/08. Da ultimo, v. M. Peirolo, Rimborso iva per il sogget- to estero con stabile organizzazione in Italia,inFisc. comm. int., 2013, 3, 11 ss. V. anche M. Giorgi, Il rimborso dell’iva a soggetti non residenti,inRass. trib., 1999, 1231 ss. (9) Si pensi, ad esempio, al convegno, organizzato dalla Confédération Fiscale Européenne (CFE) il 7 aprile 2011 a Bruxelles, sul quale riferisce T. Mkrtchyan, CFE Forum 2011: Permanent Establishment in Direct and Indirect Tax,inEuropean Taxation, 2011, 256-258. (10) Si veda, sotto il profilo del diritto dell’Unione europea, F. Roccataglia- ta, Nozione comunitaria di stabile organizzazione: armonizzazione o coordina- mento fiscale?,inRiv. dir. trib. int., 2002, I, 28 ss. 704 DIRITTO E PRATICA TRIBUTARIA N. 4/2014

2. – La stabile organizzazione, ai fini dell’iva, pur in assenza di una vera e propria definizione nella direttiva n. 2006/112/CE Non si riscontra, nel testo della direttiva n. 2006/112/CE, alcuna de- finizione della stabile organizzazione. In particolare, negli articoli sulla soggettività passiva (vale a dire dal 9 al 13), non vi sono riferimenti espli- citi a tale concetto. Tuttavia, alcune disposizioni di questa direttiva men- zionano espressamente le stabili organizzazioni (11) e, segnatamente, due articoli in materia di principi generali afferenti al luogo delle prestazio- ni di servizi, vale a dire gli artt. 44 e 45, oltre all’art. 192-bis (12), re- lativo ai debitori dell’imposta verso l’erario, sotto il profilo del «sogget- to passivo che dispone di una stabile organizzazione nel territorio di uno Stato membro in cui è debitore di imposta» (13). Alla luce di queste disposizioni, emerge che la direttiva n. 2006/ 112/CE postula il concetto di stabile organizzazione, pur senza definir- lo espressamente (14) ed i relativi riferimenti, che saranno esaminati, non sono contenuti nelle disposizioni sulla soggettività passiva, bensì, rispettivamente, ai fini della precisa determinazione del luogo delle prestazioni di servizi (artt. 44 e 45) e dei debitori dell’imposta verso l’erario (art. 192-bis). Ne consegue che la stabile organizzazione, in via di principio, non configura un’autonoma entità, caratterizzata da una propria soggettività passiva, separata e distinta nettamente da quella della propria casa madre stabilita in un altro Stato membro (ov- vero in uno Stato terzo). In altre parole, non è previsto espressamente un diaframma, vale a dire un vero e proprio elemento di discontinuità, suscettibile di separa- re nettamente la stabile organizzazione dalla relativa casa madre, sul piano della soggettività passiva, operando, sotto questo profilo, una prospettiva di continuità. All’interno di questa, i nodi da sciogliere so- no collegati prioritariamente alla necessità di individuare oggettivi cri- teri di imputazione, sul versante territoriale, delle operazioni espletate, con particolare riferimento alle prestazioni di servizi, oltre all’esatta individuazione del soggetto debitore dell’imposta, in presenza di un

(11) Cfr. P. Centore, La soggettività parziale ai fini iva della stabile orga- nizzazione,inFiscalità comm. int., 2012, 1, 14 ss.; E. Della Valle - P. Maspes, La stabile organizzazione nel sistema dell’iva,inCorr. trib., 2010, 942 ss. (12) Inserito dall’art. 2, par. 1, n. 6), della direttiva 12 febbraio 2008, n. 2008/8/CE. (13) Per completezza, il concetto di stabile organizzazione è citato anche negli artt. 38, par. 1, 39, par.2e58della direttiva n. 2006/112/CE, quest’ultimo relativo alle «prestazioni di servizi elettronici a persone che non sono soggetti passivi». (14) Per completezza, si sottolinea che cita la stabile organizzazione anche l’art. 3, par. 1, lett. a) della direttiva n. 2008/9/CE del Consiglio, pur senza defi- nire il relativo concetto. Questa direttiva stabilisce norme dettagliate per il rim- borso dell’iva ai soggetti passivi non stabiliti nello Stato membro di rimborso, ma in un altro Stato membro. PARTE PRIMA 705 soggetto passivo stabilito in uno Stato membro, che ha una stabile or- ganizzazione situata nel territorio di un altro Stato membro, all’interno del quale è debitore dell’imposta. Peraltro, il regolamento 15 marzo 2011, n. 282, che contiene le disposizioni di applicazione della direttiva n. 2006/112/CE (15), defi- nisce «il luogo in cui il soggetto passivo ha fissato la sede della pro- pria attività economica» (16), nonché il concetto di stabile organizza- zione, ai fini degli artt. 44, 45 e 192-bis di quest’ultima, secondo una prospettiva che va intesa in senso restrittivo (17). Più precisamente, gli elementi che connotano la stabile organizzazione sono riconducibi- li (18) alla sussistenza, da un lato, di «un grado sufficiente di perma- nenza» e, dall’altro lato, di «una struttura idonea in termini di mezzi umani e tecnici atti a consentirle di ricevere», utilizzare (o fornire) «i servizi che le sono forniti per le esigenze proprie di detta organizza- zione» (ovvero, «di cui assicura la prestazione»). Ne consegue che il concetto di stabile organizzazione, ai fini del regolamento n. 282 del 2011, si caratterizza sotto il duplice profilo della permanenza, che deve presentare «un grado sufficiente» e del- l’esistenza di una struttura, con una combinazione di mezzi umani e tecnici, suscettibile di porla in grado di ricevere e utilizzare i servizi che le sono forniti (ai fini dell’art. 44 della direttiva n. 2006/112/CE), ovvero di fornire i servizi di cui assicura la prestazione (nella prospet- tiva dell’art. 45 della medesima direttiva) (19). Peraltro, se un sogget-

(15) Cfr. per tutti R. Rizzardi, Il regolamento di applicazione del sistema comune iva: come e perché,inCorr. trib., 2011, 1373 ss. e, con specifico riferi- mento alla stabile organizzazione, P. Centore, Rifusione delle regole iva europee sulla stabile organizzazione, ivi, 2011, 497 ss. (16) In virtù dell’art. 10, par. 1 del regolamento n. 282 del 2011, tale luogo coincide con quello nel quale «sono svolte le funzioni dell’amministrazione cen- trale dell’impresa», tenendo conto del luogo nel quale sono prese le decisioni es- senziali sulla gestione generale dell’impresa, del luogo della sua sede legale, non- ché del luogo nel quale si riunisce la direzione (par. 2). Se l’applicazione di que- sti criteri non consente di determinare con certezza il luogo della sede dell’attività economica, «prevale il criterio del luogo in cui vengono prese le decisioni essen- ziali concernenti la gestione generale dell’impresa». Tuttavia, l’indicazione di un indirizzo postale non è suscettibile di far presumere, in assenza di altri elementi, che tale indirizzo corrisponde al luogo nel quale il soggetto passivo ha stabilito la sede della propria attività economica (par. 3). (17) Come afferma espressamente il quinto «considerando» del regolamento n. 282 del 2011, in relazione a tutte le disposizioni di applicazione della direttiva n. 2006/112/CE ivi contenute, espressamente definite come «norme specifiche in ri- sposta a determinate questioni» applicative, non estensibili ad altri casi, nella pro- spettiva di «introdurre un trattamento uniforme in tutto il territorio dell’Unione». (18) Ai sensi dell’art. 11, par.1e2delregolamento n. 282 del 2011. (19) Le disposizioni di questo regolamento che fanno un esplicito riferimen- to al concetto di stabile organizzazione sono numerose: senza pretesa di esaustivi- tà, si vedano gli artt. 20, 21, 22 e 53 del regolamento n. 282 del 2011. 706 DIRITTO E PRATICA TRIBUTARIA N. 4/2014 to passivo dispone di un numero di partita iva in un altro Stato mem- bro, tale fatto non è sufficiente per assumere che abbia in quest’ultimo una stabile organizzazione (20). Questo approccio al concetto di stabile organizzazione si caratte- rizza per essere non poco pragmatico e suscettibile di valorizzare gli elementi di fatto delle singole fattispecie, come senza dubbio dimo- strano i riferimenti al grado di permanenza ed alla struttura dotata di mezzi umani e tecnici. Alla luce di tale definizione, pertanto, sembra- no prevalere i profili fattuali ed oggettivi, nella prospettiva di svinco- lare l’individuazione della stabile organizzazione da una valutazione soggettiva, filtrata dal grado di esperienza, da parte di colui che ap- prezza, di volta in volta, l’esistenza o meno, in concreto, di tale figura. Essa, peraltro, nonostante la definizione in esame, in teoria piuttosto precisa e lineare, sembra avere un perimetro concettuale non privo di ampi margini di incertezza, in sede applicativa, per la presenza di nu- merose sfumature, che richiedono una valutazione oculata ed oggettiva (oltre che imparziale). Sotto altro profilo, il regolamento n. 282 del 2011, in punto di de- finizione dell’istituto che ne occupa, sembra aver recepito gli indirizzi in- terpretativi della Corte di giustizia europea, evidenziando, in parte qua, una innegabile (e financo prevedibile) linea di continuità tra l’esperien- za giurisprudenziale e le norme regolamentari che tale giurisprudenza ha cristallizzato e ulteriormente precisato nella loro portata applicativa. In particolare, esse hanno contribuito a chiarire il luogo in cui si con- siderano espletate le operazioni imponibili, nella prospettiva di determi- nare quest’ultimo in modo uniforme, secondo criteri razionali e, al tem- po stesso, vincolanti, evitando conflitti di competenza tra le autorità fi- scali degli Stati membri dell’Unione Europea che sarebbero oltremodo pregiudizievoli, in caso di doppia imposizione, per i soggetti che svol- gono attività economiche in più Stati membri, ovvero potrebbero provo- care, al contrario, un fenomeno di non imposizione. In entrambi i casi, peraltro, sarebbe pregiudicato l’ordinario meccanismo di funzionamen- to del tributo in questione, con particolare riferimento al principio di neu- tralità, che è la vera stella polare di questa imposta (21).

(20) In virtù dell’art. 11, par. 3 del regolamento n. 282 del 2011. Contra,ai fini del rimborso dell’iva, cfr. Cass., 30 novembre 2012, n. 21380, secondo cui, dall’attribuzione della partita iva ad un soggetto che ne abbia fatto richiesta deri- va, per ragioni di ordine logico-giuridico, la presunzione relativa dell’esistenza di una stabile organizzazione. In questa prospettiva, colui che agisce per ottenere il rimborso deve offrire la dimostrazione della mancanza in concreto degli elementi di ordine personale e materiale, che connotano la nozione di stabile organizzazio- ne. Nello stesso senso, v. Cass., 20 luglio 2012, n. 12633, in GT - Riv. giur. trib., 2013, 32 e 33, con nota critica di M. Sirri - R. Zavatta, Stabile organizzazione e valore sintomatico della partita IVA. (21) Funditus, v. A. Comelli, Iva comunitaria e iva nazionale. Contributo alla teoria generale dell’imposta sul valore aggiunto, Padova, 2000, 302 ss. PARTE PRIMA 707

3. – L’individuazione del concetto di centro di attività stabile e di sta- bile organizzazione alla luce della giurisprudenza della Corte di giustizia europea ed il non condivisibile orientamento in parte qua della Suprema Corte

Passando all’analisi della pertinente giurisprudenza della Corte di giustizia europea (22), come hanno sottolineato sia la sentenza 4 lu- glio 1985, Berkholz (23), sia l’arresto 20 febbraio 1997, DFDS (24), è necessario, affinché un centro di attività stabile, diverso dalla sede del- l’attività economica (25), possa essere preso in considerazione, ai fini dell’individuazione del luogo delle prestazioni di servizi, che esso di- mostri «una consistenza minima», in virtù della «presenza permanente dei mezzi umani e tecnici necessari per determinate prestazioni di ser- vizi». Nel confermare tale assunto, la sentenza 17 luglio 1997, ARO Lease (26) sottolinea che il luogo in cui il prestatore ha stabilito la se- de della propria attività economica si estrinseca nel luogo cui fare rife- rimento a titolo preferenziale, ai sensi dell’art. 9, par. 1 della sesta di- rettiva n. 77/388/CEE. Difatti, il centro di attività stabile, a partire dal quale viene espletata la prestazione di servizi, va considerato esclusi- vamente qualora il riferimento alla sede non sia suscettibile di condur- re ad una soluzione razionale sul piano fiscale, ovvero crei conflitti tra Stati membri. Per essere preso in considerazione, sia pure in via resi- duale, un centro di attività deve presentare «un grado sufficiente di permanenza e una struttura idonea, sul piano del corredo umano e tec- nico, a rendere possibili in modo autonomo le prestazioni di servizi considerate» (27), essendo il principio generale di cui all’art. 9, par. 1,

(22) Cfr. P. Centore, Iva europea. Percorsi commentati della giurispruden- za comunitaria, Milano, 2012, passim. (23) Causa C-168/84, in Racc., 1985, 2257 ss. Si veda C. Corrado Oliva, Le disposizioni fiscali nel diritto dell’Unione europea, in V. Uckmar - G. Corasaniti - P. de’ Capitani di Vimercate - C. Corrado Oliva, Diritto tributario internaziona- le. Manuale, Padova, 2012, 171. (24) Causa C-260/95, in Riv. dir. trib., 1997, II, 579 ss., con nota di S. Ar- mella, Il regime iva delle agenzie di viaggi. (25) Ai sensi dell’art. 9, par. 1, della sesta direttiva del Consiglio 17 mag- gio 1977, n. 388, successivamente rifusa nella direttiva n. 2006/112/CE, il quale considera il luogo delle prestazioni di servizi, che viene stabilito nel «luogo in cui il prestatore ha fissato la sede della propria attività economica o ha costituito un centro di attività stabile, a partire dal quale la prestazione di servizi viene resa», mentre, in assenza di tale sede o di tale centro di attività stabile, si considera «il luogo del suo domicilio o della sua residenza abituale». (26) Causa C-190/95, in Riv. dir. trib., 1998, III, 3 ss., con nota di S. Ar- mella, Il regime iva delle operazioni di leasing dei mezzi di trasporto in ambito comunitario. La sentenza (unitamente a quella denominata Berkholz) è citata nel- l’arresto della Suprema Corte 17 gennaio 2013, n. 1103. (27) La Corte afferma che, se una società di leasing, come nel caso di spe- 708 DIRITTO E PRATICA TRIBUTARIA N. 4/2014 in esame «un criterio sicuro, semplice e concretamente attuabile», il quale tiene «conto della realtà economica». Nel solco tracciato da questo arresto si colloca la sentenza 7 mag- gio 1998, Lease Plan (28), secondo cui «un’impresa stabilita in uno Sta- to membro che concede in locazione o in leasing un certo numero di au- toveicoli a clienti stabiliti in un altro Stato membro, non dispone, per il solo fatto di tale concessione in locazione, di un centro di attività stabi- le nell’altro Stato membro», in assenza in quest’ultimo di proprio perso- nale e di una struttura avente un sufficiente grado di stabilità. La successiva sentenza 23 marzo 2006, FCE Bank (29), confezio- nata per effetto di una domanda di pronuncia pregiudiziale proposta dalla Corte di Cassazione italiana (30), ha esaminato il caso di una se- de secondaria, situata in Italia, di una società (31) stabilita nel Regno Unito, il cui oggetto sociale consisteva nello svolgimento di attività fi- nanziarie. La succursale italiana aveva ricevuto alcune prestazioni di servizi da parte della casa madre relativamente alle materie della con- sulenza, gestione, formazione del personale, del trattamento di dati e di fornitura e gestione di servizi di software. La succursale aveva chiesto il rimborso dell’iva assolta su queste prestazioni ricevute, le quali erano state «autofatturate» e l’ammini- strazione finanziaria aveva opposto il silenzio rifiuto, la cui impugna- zione aveva dato luogo ad un giudizio, che la Corte di Cassazione ha ritenuto di sospendere, sottoponendo tre questioni pregiudiziali alla Corte di giustizia europea. Quest’ultima, nell’arresto citato, afferma che la succursale non sopporta i rischi economici collegati all’esercizio dell’attività crediti- zia, tra i quali, a titolo meramente esemplificativo, il mancato rimbor- so di prestiti da parte di alcuni clienti. La banca, quale persona giuri-

cie, non dispone in un altro Stato membro di personale proprio e nemmeno di una struttura avente un sufficiente grado di stabilità, nell’ambito della quale pos- sano essere redatti contratti, ovvero prese decisioni amministrative, tale struttura non è suscettibile di rendere possibili in modo autonomo le prestazioni di servizi in questione (riconducibili essenzialmente alla locazione di veicoli in leasing, compresa la negoziazione, la stesura, la sottoscrizione e la gestione dei relativi contratti) e non può essere qualificata come un centro di attività stabile in tale Stato, in virtù dell’art. 9, par. 1 della sesta direttiva n. 77/388/CEE. (28) Nella causa C-390/96, in Riv. dir. trib., 1999, III, 3 ss., con nota di P. Pistone, Centro di attività stabile e stabile organizzazione: l’iva richiede un’evo- luzione per il XXI secolo?, relativa ad una società di leasing, come la causa ARO Lease sopra citata. (29) Nella causa C-210/04, in GT - Riv. giur. trib., 2006, 651 ss., con com- mento di P. Centore, «Centro stabile» e «stabile organizzazione» ai fini iva. (30) Trattasi dell’ordinanza della Suprema Corte, 23 aprile 2004, n. 7851, in Riv. dir. trib. int., 2004, 1181 ss., con nota di R. Succio, Rimessa alla Corte di giustizia CE la soggettività giuridico-tributaria, ai fini dell’imposta sul valore ag- giunto, della stabile organizzazione. (31) La FCE Bank. PARTE PRIMA 709 dica, sopporta tali rischi ed è soggetta, nello Stato membro di origine, ad un controllo di solidità finanziaria e di solvibilità. La succursale stabilita in Italia non ha un proprio fondo di dotazione ed è giuridica- mente dipendente dalla casa madre, con la quale forma un unico sog- getto passivo e, quale corollario, l’accordo per la ripartizione dei costi non è stato negoziato da soggetti tra loro indipendenti, vale a dire di- stinti ed autonomi. Proseguendo questa breve ricognizione giurisprudenziale, l’arresto 28 giugno 2007, Planzer Luxembourg (32), sottolinea nuovamente che il centro di attività stabile presuppone «una consistenza minima, data la presenza permanente dei mezzi umani e tecnici necessari per deter- minate prestazioni di servizi» e, conseguentemente, «un grado suffi- ciente di permanenza ed una struttura idonea, sul piano del corredo umano e tecnico, a rendere possibili in modo autonomo le prestazioni di servizi considerate» (33). Alla luce di questa sintetica ricognizione di superficie, emerge che il concetto che ne occupa è largamente differenziato, sul versante del- l’iva, rispetto alla stabile organizzazione ai fini delle imposte sui red- diti, come risulta dal modello di convenzione dell’OCSE (34). Al punto che potrebbe sussistere una stabile organizzazione per uno dei due settori dell’imposizione, ma non per l’altro, secondo una combinazione fattuale che può presentare, in concreto, una molteplici- tà di sfaccettature. La sovrapposizione dei relativi concetti, pertanto, non è consentita, laddove tale approccio interpretativo, che privilegia l’individuazione di una categoria unitaria e unificante, ma che unitaria non è, può condurre a risultati ermeneutici non poco discutibili e fi- nanco fuorvianti (35). Per queste ragioni, non può essere condiviso l’orientamento della Su-

(32) Nella causa C-73/06, massimata in Corr. trib., 2007, 2605, con com- mento di P. Centore. (33) In negativo, afferma la sentenza in esame che «non costituisce un cen- tro di attività stabile un’istallazione fissa utilizzata ai soli fini di effettuare, per conto dell’impresa, attività di carattere preparatorio o ausiliario quali l’assunzione del personale o l’acquisto dei mezzi tecnici necessari allo svolgimento delle atti- vità dell’impresa». (34) Cfr. D. Avolio - B. Santacroce, Il difficile rapporto della giurispruden- za di merito con le indicazioni fornite dall’OCSE,inGT - Riv. giur. trib., 2010, 1080 ss. (35) Svaluta la distinzione sulla base del tipo di imposta (diretta o iva), che determinerebbe un’autonomia ed una soggettività alternata, F. Amatucci, La stabi- le organizzazione nella giurisprudenza della Corte di Giustizia UE,inLa stabile organizzazione, Atti preparatori al convegno tenutosi a Milano nei giorni 11 e 12 ottobre 2013, 17 e 18. Secondo questo Autore, non vi è molta differenza tra le due nozioni, laddove la funzione della stabile organizzazione è sempre quella di collegamento ai fini impositivi, a prescindere dagli obblighi strumentali e di ver- samento, i quali contraddistinguono tale figura ai fini dell’iva. 710 DIRITTO E PRATICA TRIBUTARIA N. 4/2014 prema Corte (36), secondo cui, «in tema di iva, la nozione di stabile or- ganizzazione di una società straniera va desunta dall’art. 5 del modello di convenzione OCSE contro la doppia imposizione e dal suo commen- tario, integrata con i requisiti prescritti dall’art. 9 della sesta direttiva CEE n. 77/388/CEE del Consiglio del 17 maggio 1977 per l’individuazione di un centro di attività stabile» (37). Quest’ultimo, secondo tale prospetti- va, può estrinsecarsi in «un’entità dotata di personalità giuridica, alla qua- le la società straniera abbia affidato anche di fatto la cura di affari», sia pure con l’esclusione delle attività di carattere preparatorio o ausiliario come, ad esempio, la fornitura di know how (38). Al fine di provare l’esple- tamento di tale attività da parte del soggetto nazionale, secondo l’orien- tamento della Suprema Corte, occorre fare riferimento agli elementi in- dicati nell’art. 5 del modello di convenzione OCSE, oltre che ad «ele- menti indiziari, quali l’identità delle persone fisiche che agiscono per l’im- presa straniera e per quella nazionale, ovvero la partecipazione a tratta- tive o alla stipulazione di contratti, indipendentemente dal conferimen- to di poteri di rappresentanza» (39). «Si ha stabile organizzazione di una società straniera in Italia quando questa abbia affidato, anche di fatto, la cura dei propri affari in territorio italiano ad altra struttura munita o no di personalità giuridica». Al riguardo, la commistione tra gli elementi ricavabili dall’art. 5 del modello di convenzione OCSE contro le doppie imposizioni ed i

(36) Sentenza 29 maggio 2012, n. 20678, in Corr. trib., 2012, 2263 ss., con commento di D. Avolio - B. Santacroce, Per la stabile organizzazione basta l’af- fidamento degli affari. (37) Nello stesso senso, cfr. Cass., 28 giugno 2012, n. 10802; Cass., 21 aprile 2011, n. 9166; Cass., 15 febbraio 2008, n. 3889, in Rass. trib., 2008, 750 ss., con commento di P. Centore, La rilevanza (parziale) della stabile organizza- zione ai fini dell’iva; Cass., 28 luglio 2006, n. 17206; con riferimento esplicito al concetto di stabile organizzazione, che va espunto dal modello OCSE, opportuna- mente integrato, ai fini dell’iva, con quello più restrittivo previsto dall’ordinamen- to comunitario, v. Cass., 25 luglio 2002, n. 10925, con massima in Mass. Foro it., 2002, 811. (38) V. le sentenze n. 10802 del 2012, 9166 del 2011, 3889 del 2008 e 17206 del 2006, cit. nella nota precedente. (39) In senso sintonico, cfr. Cass., 7 ottobre 2011, n. 20597, in Corr. trib., 2011, 4015 ss., con commento di M. Pennesi, Le sedi plurime a direzione unita- ria sono stabile organizzazione; Cass. n. 9166 del 2011, cit. Si veda anche P. Va- lente, La stabile organizzazione nelle disposizioni interne e convenzionali e nella sentenza della Corte di Cassazione n. 20597/2011,inFisco, 2011, 1, 6831 ss. Sottolinea l’arresto n. 20597 del 2011, cit., che l’accertamento della sussistenza dei requisiti del centro di attività stabile o della stabile organizzazione dev’essere condotto non solamente sul piano formale, ma anche e soprattutto su quello so- stanziale. Con riferimento alle imposte sui redditi, v. Cass., 9 aprile 2010, n. 8488, in Corr. trib., 2010, 2159 ss., con commento di D. Avolio - B. Santacroce, C’è stabile organizzazione anche se l’agente segue le direttive della società, rela- tivamente all’art. 5 della Convenzione italo-svizzera contro le doppie imposizioni, ratificata con legge n. 943 del 1978. PARTE PRIMA 711 requisiti previsti per l’esistenza di un centro di attività stabile, ai sensi dell’art. 9 della sesta direttiva n. 77/388/CEE, non coglie affatto nel segno, laddove non considera la netta differenza settoriale tra le impo- ste sui redditi e l’iva. L’approccio della Suprema Corte, in altre paro- le, sembra pervenire ad una nozione eclettica di stabile organizzazio- ne, che attinge simultaneamente da più fonti del tutto eterogenee e non è suscettibile di valorizzare appieno le peculiarità (ed i principi gene- rali) del sistema dell’iva.

4. – I rapporti tra la casa madre, soggetto passivo stabilito in uno Stato membro e la sua stabile organizzazione situata in un altro Stato membro: unicità del soggetto passivo, il quale coincide con la casa madre, alla luce dell’arresto FCE Bank

Come già sottolineato in relazione all’arresto FCE Bank, la Corte di giustizia europea ha statuito che la sede secondaria in Italia di una società stabilita nel Regno Unito, esercente l’attività bancaria, «costi- tuisce un soggetto passivo unico», laddove la filiale non sopporta i ri- schi economici connessi all’esercizio di tale attività e non dispone di un proprio fondo di dotazione. Conseguentemente, il ribaltamento di costi tra la casa madre stabilita in uno Stato membro ed un centro di attività stabile situato in un altro Stato membro, «in materia di consu- lenza, gestione, formazione del personale, trattamento di dati, nonché di fornitura e gestione di servizi di software», non è suscettibile di far assumere a tale centro di attività stabile la qualifica di soggetto passi- vo autonomo rispetto alla casa madre (40). La stessa prospettiva, peraltro, è confermata da due successive sentenze della medesima Corte. In virtù dell’arresto 16 luglio 2009, Commissione c. Repubblica italiana (41), alla luce della sesta direttiva n. 77/388/CEE, il centro di attività stabile situato in uno Stato membro e la sede principale situata in un altro Stato membro formano «sempre un solo ed unico soggetto passivo», ai fini dell’iva, senza che gli «ar- gomenti della Repubblica italiana relativi a problemi pratici» possano scalfire tale assunto. Il principio di identità del soggetto passivo è stata ulteriormente ribadito nella recente sentenza 12 settembre 2013, Le Crédit Lyonnais (42), relativa al calcolo del prorata di detrazione del- l’iva, in considerazione degli artt. 17, par.2e5e19,par. 1 della se- sta direttiva n. 77/388/CEE. Ivi la Corte afferma precisamente che la

(40) Sul sistema delle regole doganali, sotto il profilo dei rapporti tra stabile organizzazione e casa madre, cfr. S. Mayr - B. Santacroce, Stabile organizzazione: tematiche e prospettive, cit., loc. cit., 1958 s., i quali sottolineano l’approccio dua- listico, che implica una distinzione tra la stabile organizzazione e la casa madre, con una serie di corollari sia sul versante identificativo, sia su quello accertativo. (41) Nella causa C-244/08, cit., con particolare riferimento al punto 38. (42) Nella causa C-388/11, con riferimento al punto 34. 712 DIRITTO E PRATICA TRIBUTARIA N. 4/2014 stabile organizzazione situata in uno Stato membro e la sede principa- le situata in un altro Stato membro «costituiscono un unico soggetto d’iva» e, in considerazione di questo principio, «un unico soggetto passivo è sottoposto, oltre al regime applicabile nello Stato in cui ha sede, a tanti regimi di detrazione nazionali quanti sono gli Stati mem- bri in cui dispone di stabili organizzazioni» (43), in tal modo preser- vando sia «la ripartizione razionale delle sfere d’applicazione delle normative nazionali in materia di iva», sia la stessa ragione d’essere del prorata di detrazione (44). Alla luce di questi importanti arresti, sotto il profilo delle cessioni di beni e delle prestazioni di servizi, non opera una vera e propria frattura, sul versante soggettivo, tra la casa madre ed il centro di atti- vità stabile o la stabile organizzazione, ma semmai sussiste una linea di astratta continuità, correlata alla unicità del soggetto passivo (45). Tale assunto, peraltro, è confermato dalle seguenti disposizioni: a) l’art. 10 del regolamento n. 282 del 2011, con riferimento al- l’individuazione dei criteri generali, per stabilire il luogo delle opera- zioni imponibili, ai fini dell’applicazione degli artt. 44 e 45 della di- rettiva n. 2006/112/CE; b) l’art. 17, par. 1 di quest’ultima, il quale assimila ad una cessio- ne di beni, espletata a titolo oneroso, il trasferimento di beni mobili ma- teriali, mediante spedizione o trasporto da parte del soggetto passivo o per suo conto, in un altro Stato membro, «per le esigenze della sua im- presa». Tale assimilazione sembra necessaria proprio in virtù della ne- gazione del requisito della terzietà del soggetto (ivi compresa la stabile

(43) Pur essendo la disciplina del diritto di detrazione ampiamente armoniz- zata, in quanto essa costituisce parte integrante del meccanismo ordinario di fun- zionamento dell’iva, in linea di principio, essa non può essere sottoposta a limita- zioni, nella prospettiva di garantire la neutralità dell’imposta con riferimento a tutte le attività economiche, a prescindere dallo scopo o dai risultati di tali attivi- tà, purché esse siano soggette al sistema dell’imposta in questione: cfr., in tal sen- so, i punti 26 e 27 della sentenza Le Crédit Lyonnais, cit. e la giurisprudenza del- la Corte di giustizia europea ivi citata. (44) Ne consegue che, nel calcolo del prorata applicabile da parte della sede principale di un soggetto passivo stabilito in uno Stato membro, non si può tenere conto della cifra d’affari realizzata da tutte le stabili organizzazioni di cui tale sog- getto dispone negli altri Stati membri: cfr. i punti 35 e 36 della sentenza Le Crédit Lyonnais, cit. Una diversa soluzione falserebbe il valore del prorata applicabile al- la sede principale da parte del soggetto passivo, in violazione del principio di neu- tralità dell’iva, che la disciplina delle detrazioni deve attuare e garantire. (45) Per tali motivi, è condivisibile l’assunto di P. Centore, La stabile orga- nizzazione è un normale «taxpayer» ai fini iva?,inCorr. trib., 2013, 1884, se- condo cui «la stabile organizzazione iva non ha una forza attrattiva come quella ai fini reddituali, nel senso che ad essa vanno imputate le operazioni effettiva- mente effettuate, in senso attivo e passivo, e vanno in ogni caso esclusi i rapporti con la casa madre, rimanendo la stabile organizzazione una filiale, priva di alteri- tà rispetto alla sede centrale». PARTE PRIMA 713 organizzazione stabilita in uno Stato membro) che riceve il bene mobi- le materiale, rispetto al soggetto che invia il bene medesimo, vale a di- re la casa madre, stabilita in un altro Stato membro (46). Conseguentemente, è del tutto condivisibile quanto affermato da un’autorevole dottrina (47), secondo cui «l’esistenza della stabile orga- nizzazione non determina una soluzione di continuità nella soggettività del soggetto non residente, essa è solo una struttura operativa che, nei limiti ricavabili dal sistema delle disposizioni della direttiva n. 2006/ 112/CE del 28 novembre 2006, e successive modificazioni, assume una rilevanza quale centro di imputazione di alcuni effetti giuridici connessi all’applicazione dell’iva, senza peraltro assurgere a soggetto autonomo e distinto rispetto al soggetto cui “appartiene”» (48). Tuttavia, si potrebbe pervenire ad una diversa conclusione qualora la stabile organizzazione agisca con un elevato grado di autonomia, ri- spetto alla casa madre, suscettibile di frantumare l’assenza di terzietà, che ordinariamente governa i rapporti in questione. In questa ipotesi, la sta- bile organizzazione assumerebbe la veste giuridica della soggettività pas- siva, in considerazione dell’ampia definizione contenuta nell’art. 9 del- la direttiva n. 2006/112/CE e, lungi dall’essere una mera «scatola vuo- ta», sarebbe autonomamente soggetta ad imposta (49), vale a dire potreb- be espletare operazioni rilevanti, ai fini dell’iva, indipendentemente dal- la casa madre, in quanto soggetto terzo rispetto a quest’ultima (50).

5. – Le prestazioni di servizi tra la stabile organizzazione nel territorio dello Stato ed i soggetti terzi, nell’ipotesi di effettivo e diretto coinvolgimento della prima nell’espletamento delle operazioni, at- tive e passive. Il problema del soggetto debitore dell’imposta ver- so l’erario, alla luce degli artt. 192-bis della direttiva n. 2006/ 112/CE e 53 del regolamento n. 282 del 2011

Non richiede particolari approfondimenti di tipo sistematico la fat- tispecie nella quale il soggetto stabilito in un altro Stato membro effet-

(46) In senso sintonico, cfr. P. Centore, La nuova iva europea e nazionale. L’evoluzione verso il regime definitivo, Milano, 2011, 148. (47) Precisamente da M. Basilavecchia, Novità in tema di detrazione e di stabile organizzazione,inCorr. trib., 2009, 3262. (48) Nella stessa condivisibile prospettiva si colloca A. Fantozzi, La stabile organizzazione,inRiv. dir. trib., 2013, I, 100, laddove afferma che la stabile or- ganizzazione non può essere considerata un autonomo soggetto di diritto tributa- rio, non essendo una organizzazione «padrona di se stessa» e va considerata come parte del soggetto cui appartiene. (49) In senso sintonico, cfr. Corte di giustizia europea, 25 ottobre 2012, Daimler, nelle cause riunite C-318/11 e C-319/11, cit. (50) Nello stesso senso, cfr. P. Centore, La stabile organizzazione è un nor- male «taxpayer» ai fini iva?, cit., loc. cit., 1884 s. 714 DIRITTO E PRATICA TRIBUTARIA N. 4/2014 tui un’operazione verso terzi, sia nell’ipotesi in cui non abbia istituito una stabile organizzazione in Italia, sia in quella che l’abbia istituita, a condizione che tale stabile organizzazione non sia coinvolta, in senso attivo o passivo, nell’operazione medesima, vale a dire a condizione che sia estranea rispetto a tale operazione. Al contrario, occorre soffermarsi sull’ipotesi inversa, vale a dire qualora sussista un effettivo e diretto coinvolgimento della stabile or- ganizzazione nell’effettuazione delle operazioni, attive e passive. Le problematiche non poco delicate emergenti in tale fattispecie sono du- plici, laddove, da un lato, occorre individuare con precisione il luogo delle prestazioni di servizi, al fine di eliminare il potenziale conflitto territoriale tra Stati membri e, dall’altro lato, dev’essere esaminata la tematica del soggetto debitore dell’imposta verso l’erario, alla luce de- gli artt. 192-bis della direttiva n. 2006/112/CE e 53 del regolamento n. 282 del 2011. Sotto il primo profilo, si applicano le disposizioni contenute negli artt. 44 e 45 della direttiva n. 2006/112/CE. Il luogo delle prestazioni di servizi rese a una stabile organizzazione del soggetto passivo coin- cide col luogo in cui è stabilita quest’ultima e non con quello nel qua- le tale soggetto passivo ha fissato la sede della propria attività econo- mica (51). Come già anticipato nel precedente paragrafo 2, il concetto di stabile organizzazione, ai fini dell’applicazione degli artt. 44 e 45 da ultimo citati, è precisamente individuato dall’art. 11, par.1e2del regolamento n. 282 del 2011. Ne consegue che sussiste un assetto ordinamentale sufficientemen- te chiaro con riferimento, sia alle regole relative all’esatta individua- zione del luogo delle prestazioni di servizi, sia ai fini della nozione di stabile organizzazione, in considerazione dell’esperienza giurispruden- ziale della Corte di giustizia europea, la quale, come è già stato sotto- lineato, ha stabilito alcuni importanti principi (52). A tale riguardo, ri- sultano precisati con apprezzabile rigore i profili rispettivamente terri- toriale e soggettivo, nonostante la sovrapposizione di norme collocate in fonti diverse, laddove gli artt. 44 e 45 della direttiva n. 2006/112/ CE postulano l’implementazione negli ordinamenti domestici degli Stati membri, contrariamente all’art. 11 del regolamento n. 282 del 2011, che, come è noto, non presuppone tale recepimento. Conseguentemente, la stessa fattispecie risulta in parte qua disci- plinata da norme che si collocano in tre diversi livelli di atti normati- vi, vale a dire a livello di direttiva (n. 2006/112/CE), regolamento (n. 282 del 2011) e disciplina interna di implementazione della prima, con

(51) In tal senso dispone l’art. 44 della direttiva n. 2006/112/CE. In virtù del successivo art. 45, se una stabile organizzazione effettua prestazioni di servizi a persone che non sono soggetti passivi, il luogo delle prestazioni di tali servizi è quello nel quale è situata la stabile organizzazione e non quello in cui è fissata la sede dell’attività economica della casa madre. (52) Si veda, in proposito, il paragrafo 3 di questa ricerca. PARTE PRIMA 715 la necessità di confrontare, sul versante metodologico, ogni singolo comma della disciplina domestica con quella contenuta nella medesi- ma direttiva, alla luce delle disposizioni regolamentari e della perti- nente giurisprudenza della Corte di giustizia europea. Sotto il profilo del soggetto debitore dell’imposta verso l’erario, occorre considerare l’art. 192-bis della direttiva n. 2006/112/CE, la cui ratio è quella di chiarire e semplificare l’applicazione del sistema di inversione contabile (vale a dire, del reverse charge) (53), in presenza di un soggetto passivo stabilito in uno Stato membro identificato an- che in un altro Stato membro, in cui è debitore d’imposta, attraverso una stabile organizzazione, per effetto dell’espletamento di cessioni di beni, ovvero di prestazioni di servizi (54). Più precisamente, l’art. 192-bis risolve la questione della precisa individuazione del debitore dell’imposta verso l’erario, laddove distingue opportunamente se l’operazione (cessione di beni o prestazione di servizi imponibile) è espletata da o nei confronti del soggetto passivo non stabilito nel terri- torio dello Stato membro in questione, ovvero della sua stabile orga- nizzazione localizzata nel territorio di quest’ultimo Stato, nel quale è debitore di imposta. Difatti, se la controparte è un soggetto passivo non stabilito nel territorio dello Stato membro in cui è debitore dell’imposta o, al con- trario, è ivi stabilito, rileva in modo non poco significativo. Nel primo caso, è applicabile, in via di principio, il regime del re- verse charge (55), vale a dire l’integrazione della fattura (da parte del cessionario del bene o del committente del servizio) emessa senza iva dal soggetto passivo stabilito in un altro Stato membro (56). Nel se- condo caso, invece, la disciplina applicabile sarà quella ordinaria, se- condo cui «l’iva è dovuta dal soggetto passivo che effettua una cessio- ne di beni o una prestazione di servizi imponibile» (57) e dovrà essere emessa la fattura con addebito dell’iva da parte del cedente il bene o del prestatore del servizio. In questa prospettiva, l’art. 192-bis in esame è caratterizzato da un formulazione a dir poco oscura e di non facile comprensione, oltre che da una collocazione infelice, sul versante sistematico. Tale articolo, tuttavia, ha il pregio di risolvere la problematica in questione affermando che un soggetto passivo (casa madre), il quale dispone di una stabile organizzazione nel territorio di uno Stato mem- bro in cui è debitore dell’imposta, è considerato soggetto passivo ivi

(53) Cfr. P. Centore, La nuova iva europea e nazionale, cit., 150 ss. (54) Al riguardo, cfr. gli artt. 193 e seguenti della direttiva n. 2006/112/CE. (55) Secondo le condizioni di applicazione stabilite dagli Stati membri, in considerazione dell’art. 194 della direttiva n. 2006/112/CE. (56) Sul meccanismo del reverse charge, cfr. M. Merkx, Fixed Establish- ments and VAT Liabilities under EU VAT – Between Delusion and Reality,inIn- ternational VAT Monitor, 2012, 22 ss. e specialmente 24 ss. (57) Così dispone l’art. 193 della direttiva n. 2006/112/CE. 716 DIRITTO E PRATICA TRIBUTARIA N. 4/2014 non stabilito, al verificarsi delle seguenti due condizioni: (a) esso ef- fettua in tale Stato una cessione di beni, ovvero una prestazione di ser- vizi imponibile; (b) la stabile organizzazione non partecipa all’opera- zione di cui alla precedente lett. a). Nell’ipotesi in esame, si rende applicabile la disciplina dell’inver- sione contabile (reverse charge), mentre, a parità di altre condizioni, se la stabile organizzazione partecipa all’effettuazione dell’operazione imponibile, si applica il meccanismo ordinario e non quello dell’inver- sione contabile (58).

6. – Osservazioni conclusive. La funzione primaria espletata dal con- cetto di stabile organizzazione, sotto il profilo dell’iva, è ricondu- cibile alla necessità di una ripartizione territoriale uniforme tra gli Stati membri, fondata su criteri pragmatici, razionali e larga- mente oggettivi

Alla luce di quanto affermato, possono essere tratti i più immedia- ti corollari. Innanzi tutto, la tematica della stabile organizzazione, ai fini dell’iva (59), si configura come un concetto sempre più ricco di sfaccettature (60). L’assetto della disciplina ut supra analizzato, sia pure in modo necessariamente sintetico, lascia emergere una nozione non poco di- vergente da quella prevista ai fini delle imposte sui redditi, con parti- colare riferimento al modello di convenzione OCSE contro le doppie imposizioni. Di conseguenza, palesa una forzatura, sul versante rico- struttivo, l’orientamento della Suprema Corte finalizzato a valorizzare, sul piano dell’iva, la disciplina della stabile organizzazione ai fini del-

(58) Cfr., in senso sintonico, P. Centore, Iva europea. Percorsi commentati, cit., 319. (59) Sull’esistenza di una stabile organizzazione, ai fini dell’iva, v. anche Comm. trib. prov. Milano, 12 settembre 1997, in Riv. dir. trib., 1998, IV, 96 ss., con nota di P. Adonnino, L’individuazione della stabile organizzazione e la prova della sua esistenza einGiur. it., 1998, 829 ss., con nota di M. Cerrato, Conside- razioni in tema di stabile organizzazione ai fini dell’iva e delle imposte sui reddi- ti; Comm. trib. prov. Milano, 25 marzo 1999, in Riv. dir. trib., 1999, IV, 189 ss., con nota dello stesso Autore, La stabile organizzazione nelle imposte dirette e nell’iva tra irrilevanza del controllo societario e coincidenza con il concetto di centro di attività stabile. (60) Cfr. C. Clément, La notion d’établissement stable en matière de TVA, in Revue de Jurisprudence fiscal, 1997, 296 ss.; A. Fiorelli - A. Santi, Specificità del concetto di «stabile organizzazione» ai fini dell’imposta sul valore aggiunto, in Rass. trib., 1998, 367 ss.; P. Ludovici, Il regime impositivo della stabile orga- nizzazione agli effetti dell’imposta sul valore aggiunto,inRiv. dir. trib., 1998, I, 67 ss.; Id., Recenti orientamenti di prassi amministrativa in merito all’applicazio- ne dell’iva nei rapporti internazionali, ivi, IV, 249 ss.; G. Smussi - A. Perani, Il concetto di stabile organizzazione ai fini iva,inCorr. trib., 1999, 2783 ss. PARTE PRIMA 717 le imposte sui redditi, laddove non dev’essere affatto obliterata la spe- cificità che caratterizza il sistema dell’iva europea, quale tributo larga- mente armonizzato nell’alveo del diritto dell’Unione europea, rispetto alla sfera dell’imposizione sui redditi, dove la sovranità degli Stati membri resta tuttora non poco ampia. D’altro canto, manca una vera e propria definizione di stabile or- ganizzazione nel testo della direttiva n. 2006/112/CE, mentre utili ele- menti, sul versante ricostruttivo, possono essere ricavati dal testo degli artt. 11 e 53 del regolamento n. 282 del 2011. Da essi scaturisce un concetto largamente ancorato al duplice profilo del sufficiente grado di permanenza della struttura e dell’idoneità di quest’ultima, mediante una combinazione di mezzi umani e tecnici, a ricevere o espletare pre- stazioni di servizi e/o cessioni di beni. Questa impostazione lascia trasparire un approccio pragmatico alla tematica che ne occupa e consente di enfatizzare i profili fattuali della singola fattispecie, riconducibile (o meno) alla stabile organizzazione, nella prospettiva di affrancare largamente quest’ultima da apprezza- menti di carattere soggettivo, dipendenti dalle conoscenze tecniche e dall’esperienza maturata dal soggetto valutatore. Sono state affrontate, inoltre, le problematiche afferenti alle ces- sioni di beni ed alle prestazioni di servizi poste in essere tra il sogget- to passivo stabilito in uno Stato membro e la sua stabile organizzazio- ne, di cui dispone lo stesso soggetto in un altro Stato membro, consi- derando l’unicità del soggetto passivo medesimo, sul versante dell’iva, sia pure con alcune peculiari eccezioni. Più complesso appare l’inquadramento delle operazioni espletate tra il soggetto passivo (casa madre), la sua stabile organizzazione sta- bilita in un altro Stato membro e gli operatori nazionali situati in que- st’ultimo Stato, sotto il profilo dell’applicazione o meno del meccani- smo dell’inversione contabile (reverse charge). Al riguardo, gli artt. 192-bis della direttiva n. 2006/112/CE (nonostante la sua formulazione tutt’altro che chiara e la sua collocazione infelice) e 53 del regolamen- to n. 282 del 2011 offrono all’interprete gli strumenti fondamentali per risolvere, caso per caso, il problema che ne occupa, la cui soluzione è strettamente collegata all’eventuale partecipazione effettiva e concreta della stabile organizzazione all’effettuazione della singola cessione di beni o prestazione di servizi. Se sussiste la partecipazione in questione, si realizzano le condi- zioni per l’applicazione del meccanismo ordinario di funzionamento del tributo, mentre, se la stessa partecipazione non ha luogo, l’opera- zione si considera svolta con un soggetto passivo non stabilito nello Stato in cui quest’ultimo è debitore dell’imposta ed opera il sistema dell’inversione contabile (reverse charge), con integrazione della fattu- ra, a cura del cessionario del bene o del committente del servizio. L’assetto della disciplina in questione appare largamente collegato all’individuazione dei criteri definitori della partecipazione della stabi- le organizzazione all’effettuazione della cessione di beni e/o della pre- stazione di servizi, suscettibile di determinare l’applicazione, ovvero la 718 DIRITTO E PRATICA TRIBUTARIA N. 4/2014 non applicazione del regime dell’inversione contabile (reverse charge), con tutte le conseguenze che ne scaturiscono, sul versante applicativo. Più in generale, la funzione essenziale espletata dal concetto di stabile organizzazione, sotto il profilo dell’iva, è riconducibile alla ne- cessità di una ripartizione territoriale uniforme tra gli Stati mem- bri (61), fondata su criteri pragmatici, razionali e largamente oggettivi. Difatti, occorre evitare potenziali conflitti di competenza territoriale tra gli Stati medesimi (62), qualora un soggetto passivo stabilito in uno Stato membro svolga la propria attività economica in un altro Stato membro, mediante una stabile organizzazione. I suddetti criteri sono finalizzati a stabilire quali regole domesti- che (ancorché largamente armonizzate in tutta l’Unione europea) de- vono essere applicate alle operazioni espletate, anche in relazione al- l’eventuale criterio dell’inversione contabile (reverse charge), con tutti i corollari che discendono da questa precisa e razionale individuazio- ne.

prof. ALBERTO COMELLI Associato di Diritto tributario Università di Parma

(61) Di vere e proprie «ramificazioni territoriali» dei gruppi multinazionali, i quali si comportano come un’impresa unica a livello mondiale, parla A. Tomas- sini, Stabili organizzazioni, cit., loc. cit., 1498. (62) Secondo A. Fantozzi, La stabile organizzazione, cit., loc. cit., 100-103, alla luce della terminologia utilizzata in lingua inglese (permanent establishment) e francese (établissement stable), emerge che la nozione di stabilimento è accop- piata all’aggettivo stabile o permanente, la quale «definisce il radicamento con il territorio sia in termini di durata (permanente cioè non transitorio) che in termini di fissità (cioè stabilità)». Sotto il profilo delle imposte sui redditi, con particolare riferimento all’art. 162 del d.p.r. n. 917 del 1986 e successive modificazioni, la stabile organizzazione presenta un forte radicamento dell’attività d’impresa nel territorio dello Stato, suscettibile di costituire «una strumentalità attiva finalizzata alla produzione del reddito attraverso una stabile organizzazione sia personale che materiale». Trattasi di un mero criterio di collegamento col territorio di una certa attività, nell’ottica di attribuire a quel territorio il reddito prodotto attraverso la stessa attività ed enfatizza la giustificazione del concorso alle spese pubbliche di quel territorio, anziché di quello della casa madre. V. anche Id., L’imposizione fi- scale delle stabili organizzazioni: problematiche e prospettive,inRiv. dir. trib. int., 2002, I, 9 ss. LA «FUNZIONE» DELLA STABILE ORGANIZZAZIONE ED I CRITERI GENERALI DI DETERMINAZIONE DEL SUO REDDITO, CON PARTICOLARE RIFERIMENTO AI RAPPORTI CON LA «CASA MADRE» (*)

Sintesi: La esistenza in uno Stato di una s.o. di una impresa estera, ivi comporta la imposizione dei redditi prodotti tramite tale s.o. in una situazione di astratta parità con le imprese residenti (art.7e24modello OCSE). La s.o. – pur non qualificandosi, in generale e di per se stessa, autonomo soggetto di imposizione – si configura quale centro di imputazione di relazioni giuridiche, fiscal- mente rilevanti, generandosi al riguardo interrelazioni fiscalmente eminenti con la «casa madre», alla stregua di ciò che accade per quanto attiene ai rapporti fra due soggetti di- versi ed autonomi, legati da stretti vincoli soggettivi/oggettivi. Ed infatti i rapporti fra casa madre e s.o. sono caratterizzati da un regime fiscale di alterità edicontrapposizione di interessi, pur in presenza (spesso) di una loro unità soggettiva, giuridica ed economica. Tale alterità e differenziazione fiscale comporta che, al fine della determinazione del reddito della «casa madre» e della sua s.o., rilevi una problematica del tutto analoga a quella delle operazioni intercompany ad iniziare dalla problematica afferente i prezzi di trasferimento olespese di regia elespese promiscue. Invano si cercherebbero specifici strumenti idonei a supportare affidabili soluzioni normative. Al riguardo, si possono invocare i principi sanciti dall’art. 7 comma da 3o a7o del Modello Convenzionale e nell’art. 14, ultimo comma, d.p.r. n. 600 del 1973 ove si impone alle imprese di rilevare nelle scritture contabili i fatti di gestione che inte- ressano le s.o. determinando separatamente i risultati di esercizio di ciascuna di es- se.

SOMMARIO: 1. La funzione della stabile organizzazione ed il principio del «trattamento iso- lato del reddito». – 2. La territorialità dell’imposizione e la conseguente configurazio- ne della s.o. quale autonomo centro di imputazione di «diritti ed obblighi fiscalmente rilevanti» e la sua necessaria «alterità» fiscale rispetto alla casa madre, anche ove sussista una loro identificazione dal punto di vista civilistico. – 3. Ai fini iva: «fun- zione» e rilevanza della s.o.

(*) Relazione svolta al Convegno «La Stabile Organizzazione» tenuto a Mi- lano l’11-12 ottobre 2013 nell’ambito dei «Venerdì di Diritto e Pratica Tributa- ria», organizzato dalla «Fondazione Antonio Uckmar». 720 DIRITTO E PRATICA TRIBUTARIA N. 4/2014

1. – La «funzione» della stabile organizzazione ed il principio del «trattamento isolato del reddito»

1.1. – La esistenza nello Stato estero di una s.o. («materiale» o «personale» che sia (1)) del soggetto non residente genera una sua presenza «qualificata», idonea a sottrarre la imposizione del reddito d’impresa allo Stato di residenza e a radicarla nello Stato della s.o., in una situazione di (astratta) parità con le imprese locali. L’art. 7 par. 1 del Modello convenzionale OCSE – cui si ispira la to- talità delle Convenzioni contro la doppia imposizione sul reddito e sul pa- trimonio – è esplicita in tal senso, prevedendo (2) la imponibilità del red- dito d’impresa nel Paese di residenza, salvo che nell’altro Stato contraen- te “l’impresa non svolga una attività industriale o commerciale ... per mez- zo di una stabile organizzazione ivi situata”, sancendo che, in tal caso, “gli utili dell’impresa sono imponibili nell’altro Stato ma soltanto nella mi- sura in cui detti utili sono attribuibili alla stabile organizzazione”. Principio, questo, fatto proprio anche dalla nostra legislazione in- terna ove all’art. 23 t.u. n. 917 del 1986 si prevede la imponibilità dei non residenti per i redditi d’impresa derivanti da attività esercitate nel territorio dello Stato mediante stabili organizzazioni. 1.2. – Tenuto conto delle due indicate previsioni normative, la de- terminazione del reddito del non residente nello Stato Estero e le sue modalità di imposizione, sono correlate alla «funzione» della s.o. spe- cie nei rapporti con la «casa madre» (o «sede centrale»). Al riguardo, nel sistema previgente la riforma tributaria del 1973, la s.o. si configurava quale criterio di collegamento, la cui semplice esistenza «catalizzava» la imponibilità nei suoi confronti di tutti i red- diti prodotti in Italia dal soggetto non residente, anche senza il tramite della stabile organizzazione pur esistente nello Stato (cfr. art. 145 t.u. n. 645 del 1958). L’art. 145 cit. quale presupposto e soggetti passivi della imposta sulle Società, prevedeva “il possesso di un patrimonio o di un reddito da parte di soggetti tassabili in base al bilancio nonché di società ed associazioni estere operanti in Italia mediante una stabile organizza- zione ancorché non tassabili in base al bilancio”.

(1) In relazione alla definizione del concetto di stabile organizzazione e alla sua articolazione «materiale» o «personale», rimando al mio La Stabile Organiz- zazione, in AA.VV., Diritto Tributario Internazionale, a cura di V. Uckmar, Ce- dam, 2005, 435 ss. (2) Così espressamente prevede il 1o comma dell’art. 7 del Modello OCSE: «Gli utili di un’impresa di uno Stato contraente sono imponibili soltanto in detto Stato, a meno che l’impresa non svolga un’attività industriale o commerciale nel- l’altro Stato contrante per mezzo di una stabile organizzazione ivi situata. Se l’impresa svolge in tal modo la sua attività, gli utili dell’impresa sono imponibili nell’altro Stato, ma soltanto nella misura in cui detti utili sono attribuibili alla stabile organizzazione». PARTE PRIMA 721

Secondo tale previsione normativa «società ed ente non residente» e sua s.o. rappresentavano una sorta di «endiadi», nel senso che l’as- soggettamento ad imposta sulle Società in Italia del non residente era sì riconnessa alla configurabilità nello Stato di una sua s.o.: tuttavia, la sussistenza di tale s.o. comportava la imponibilità dei redditi comun- que prodotti nel territorio dello Stato anche senza il suo tramite. Sotto questo profilo, si poteva ritenere che la stabile organizzazio- ne fosse dotata di una forza di attrazione piena, quale polo di attrazio- ne dei redditi che l’imprenditore estero comunque ritraesse (anche) da (altre) fonti situate nello Stato. Al contrario, nella vigente disciplina, la stabile organizzazione si qualifica come particolare modalità di produzione del reddito d’im- presa, considerato che, in via di principio assume rilievo impositivo nei suoi confronti solo il reddito ad essa direttamente connesso. L’art. 23, 1o comma, lett. e) cit. t.u. n. 917 del 1986 (e l’art. 151 che vi fa rinvio) sono espliciti nel considerare imponibile in Italia il reddito d’impresa del non residente (solo se) derivante da attività esercitata nel territorio dello Stato mediante stabili organizzazioni. O meglio: a tale «previgente» forza di attrazione “piena” della s.o. rispetto alla imposizione del reddito d’impresa del non residente, si è semmai sostituita una forza di attrazione “limitata”, considerando che l’art. 23, 2o comma, lett. i) t.u. n. 917 del 1986 prevede la impo- nibilità in Italia delle «royalties» indipendentemente dal fatto che l’im- prenditore non residente operi in Italia attraverso una s.o. Analogamente tale forza di attrazione “limitata” è riscontrabile in relazione alla imposizione delle plusvalenze e minusvalenze realizzate dalle società non residenti ancorché non conseguenti attraverso la sta- bile organizzazione (art. 151, 2o comma t.u. n. 917 del 1986). In ogni caso – al di là delle pur assai rilevanti ricordate eccezioni – principio fondamentale è quello secondo il quale il reddito d’impre- sa del non residente è assoggettato ad imposta nello Stato estero ma soltanto nella misura in cui detti utili sono attribuibili alla s.o. (art. 7, 1o comma Mod. OCSE art. 23 lett. c) cit.). Regola e principio, poi, espressamente ribadito nel Modello con- venzionale in relazione alla tassazione dei dividendi e degli interessi. Ed infatti l’art. 10, 4o comma del Modello OCSE esclude che i dividendi si considerino di fonte estera (con la conseguente inapplica- bilità della norma convenzionale) ove il beneficiario effettivo dei divi- dendi eserciti nello Stato contraente, ove ha sede la società che li di- stribuisce, un’attività industriale o commerciale per mezzo di una s.o. ivi situata e la partecipazione generatrice dei dividendi si ricolleghi effettivamente a tale s.o.. Speculare previsione normativa è prevista dal successivo art. 11, 4o comma al fine della imposizione degli interessi. Al riguardo si veda anche il 5o comma del medesimo art. 11 (3).

(3) L’art. 11, 4o e5o comma così prevedono: «le disposizioni dei parr. 1 e 722 DIRITTO E PRATICA TRIBUTARIA N. 4/2014

Alla ricordata configurazione della s.o. quale particolare modalità di produzione del reddito d’impresa si ricollega – quasi a mo’ di cor- rollario – il principio del trattamento isolato del reddito (anche d’im- presa) del non residente che operi in Italia in totale mancanza di una s.o. oppure anche in presenza di una sua s.o. ma con riferimento al reddito prodotto nello Stato direttamente dalla «casa madre» (senza l’intervento della sua s.o.). In tali casi, la inesistenza di una s.o. o la non attribuibilità del reddito prodotto alla attività della (pur esistente) s.o. comporta che l’imprenditore non residente è comunque assoggettabile ad imposta in Italia, ma per così dire ad altro titolo rispetto al reddito d’impresa, po- tendo essere titolare, a seconda dei casi di reddito di capitale, di reddi- to fondiario o di un reddito diverso. Tale principio del trattamento isolato comporta quindi la possibile configurabilità di un imprenditore non residente, titolare di reddito ri- conducibile a categorie diverse da quella d’impresa, quale eccezione al principio della necessaria ed imprescindibile vis atractiva del reddito d’impresa, (a questo punto) limitata ai soli imprenditori residenti. In forza delle considerazioni che precedono, appare quindi del tut- to censurabile la Giurisprudenza della Suprema Corte (4) che ha rite- nuto che una Banca non residente, priva di stabile organizzazione in Italia, non fosse soggetta ad imposizione in Italia sugli interessi di fonte italiana, per mancanza del presupposto di territorialità (art. 20, ora articolo 23, del Testo unico), argomentando che, per i non residen- ti, i redditi derivanti da attività commerciali sono tassabili in Italia so- lo se conseguiti per il tramite di una stabile organizzazione (art. 23, lett. f), del Testo unico). In realtà tale banca estera poteva legittima- mente essere considerata titolare di redditi di capitale (5). Il ricordato principio del trattamento isolato, è desumibile dalle

2 non si applicano nel caso in cui il beneficiario effettivo degli interessi, residen- te di uno Stato contraente, eserciti nell’altro Stato contraente dal quale proven- gono gli interessi, un’attività commerciale o industriale per mezzo di una stabile organizzazione ivi situata e il credito degli interessi si ricolleghi effettivamente ad essa. In tal caso sono applicabili le disposizioni dell’art. 7. «Gli interessi si considerano provenienti da uno Stato contraente quando il debitore è un residente di detto Stato. Tuttavia, quando il debitore degli interessi, sia esso residente o no di uno Stato contraente, ha in uno Stato contraente una stabile organizzazione per le cui necessità viene contratto il debito sul quale sono pagati gli interessi e tali interessi sono a carico della stabile organizzazione, gli interessi stessi si considerano provenienti dallo Stato in cui è situata la stabile organizzazione». (4) Cass., 21 aprile 2011, n. 9197, in Fisconline. (5) In proposito si veda C. Garbarino, Forza di attrazione della stabile or- ganizzazione e trattamento isolato del reddito,inRass. trib., 1990, 427 ss.; S. Giorgi, Il principio del trattamento isolato dei redditi e la c.d. «forza di attrazio- ne» della stabile organizzazione: problemi e proposte di soluzione,inAspetti fi- scali delle operazioni internazionali, Milano, 1995, 31 ss. PARTE PRIMA 723 regole che attengono alla imposizione dei non residenti (siano essi persone fisiche o società ed enti: artt.3e23eart. 153 t.u. n. 917 del 1986) che sono comunque assoggettati ad imposta in Italia per tutti i redditi ivi prodotti, applicandosi il principio della necessaria qualifica- zione del reddito prodotto «come d’impresa» solo per le società di persone (art. 5, 3o comma t.u. n. 917 del 1986 e ancor più chiaramen- te: art. 81) e società di capitali residenti, laddove le società non resi- denti (come abbiamo considerato) possono essere titolari anche di red- diti diversi da quelli d’impresa. 1.3. – Giova a questo punto considerare che la applicazione con- giunta, da una parte, del principio del «trattamento isolato» del reddito e, dall’altra, della «attrazione» nella categoria reddito d’impresa solo del reddito prodotto nello Stato attraverso una s.o., comportano che i proventi corrisposti da un soggetto residente alla ivi presente s.o. di un non residente, subiranno il regime impositivo (ad esempio in materia di ritenute alla fonte) dei percettori residenti, laddove se distribuiti di- rettamente alla «casa madre» senza il tramite della (pur esistente) s.o. saranno considerati alla stregua di proventi distribuiti a non residenti. Si richiama al riguardo la già ricordata previsione degli artt. 10 e 11 del Modello OCSE che escludono la applicazione delle indicate norme convenzionali ove (rispettivamente) i dividendi o gli interessi siano distribuiti o corrisposti alla s.o. nello Stato di un imprenditore estero. La esclusione è evidentemente correlata alla circostanza che, in tal caso, i dividendi e gli interessi si qualificano componenti del reddito d’impresa nazionale della s.o. nel Paese, rilevante ai sensi dell’art. 7 del modello convenzionale. Analogamente la disciplina interna (artt. 26 e 27 d.p.r. n. 600 del 1973) al fine della applicazione del prelievo alla fonte (rispettivamen- te) sugli interessi, sui redditi di capitale e sui dividendi, prevedono il medesimo trattamento impositivo per tali redditi percepiti da residenti o da stabili organizzazioni in Italia di non residenti.

2. – La territorialità dell’imposizione e la conseguente configurazione della s.o. quale autonomo centro di imputazione di «diritti ed ob- blighi fiscalmente rilevanti» e la sua necessaria «alterità» fiscale rispetto alla casa madre, anche ove sussista una loro identifica- zione dal punto di vista civilistico

2.1. – Nella fiscalità internazionale, in forza del principio di «ter- ritorialità», ciascun Stato assoggetta ad imposizione (quanto meno) i redditi prodotti nel proprio territorio anche da parte di soggetti non re- sidenti. Tuttavia, per quanto attiene la determinazione del reddito d’impre- sa, al fine della imposizione del non residente, il principio di territo- rialità richiede che la produzione del reddito avvenga attraverso la pre- senza qualificata di una sua s.o. nello Stato. 724 DIRITTO E PRATICA TRIBUTARIA N. 4/2014

Ed infatti (come abbiamo visto), a livello convenzionale si preve- de (art. 7, 1o comma Modello OCSE) non solo che lo jus impositions è attribuito allo Stato in cui è collocata la s.o. ma anche che il reddito prodotto sia qualificato come «d’impresa» soltanto nella misura in cui detti utili sono attribuibili alla stabile organizzazione (6). Da quanto precede derivano, a mio avviso, le seguenti conseguen- ze concernenti la imponibilità del reddito d’impresa del non residente. La prima, attiene alla rilevanza esclusiva (al fine della imposizio- ne di tale reddito d’impresa), dell’apparato produttivo (più o meno complesso) definito s.o. La seconda, attiene alla qualificazione della s.o. come impresa di- stinta e separata rispetto alla sua «casa madre» (o «sede centrale»). Ed infatti, il 2o comma del medesimo art. 7 prevede (fra l’altro) che il reddito della s.o. sia determinato alla stregua di una “impresa distinta ed autonoma ed in piena indipendenza dall’impresa di cui es- sa costituisce una stabile organizzazione”. Sotto un terzo profilo, si consideri che tale autonomia, indipen- denza e distinzione della s.o., è ribadita anche in relazione alla appli- cazione del fondamentale Principio di non discriminazione (art. 24, par. 3 Modello Convezionale) secondo il quale: “l’imposizione di una s.o. che una impresa di uno Stato contraente ha nell’altro Stato, non può essere in quest’altro Stato meno favorevole dell’imposizione a ca- rico delle imprese di detto altro Stato che svolgono la medesima atti- vità”. Da quanto precede, si delinea un quadro complessivo nel quale la s.o. si configura quale centro di imputazione di situazioni fiscalmente rilevanti, autonomo e diverso rispetto alla «casa madre» (o alla «sede centrale»): tale s.o. nel Paese in cui è collocata, non può essere desti- nataria di un regime impositivo «discriminato» rispetto a quello di im- prese analoghe. 2.2. – La impostazione che precede evidenzia che la determinazio- ne del reddito della s.o., oltre che condividere, in un profilo di astratta parità, la «fiscalità» delle imprese residenti, si trova anche a dover af- frontare i non agevoli risvolti impositivi riconnessi alla circostanza che la s.o. (quanto meno nella sua configurazione «materiale») dal punto di vista civilistico appartiene alla casa madre, dalla quale, invece, dal punto di vista fiscale si qualifica come impresa distinta e separata che agisce in piena indipendenza da essa (art. 7, 2o comma mod. OCSE). Sotto questo profilo, quindi, al fine della determinazione del red- dito della s.o., tenuto conto della sua «autonomia e distinzione» rispet- to alla «sede centrale», si presentano tutti i risvolti problematici che caratterizzano i rapporti fiscali «di gruppo»: primi fra tutti quelli affe- renti i prezzi di trasferimento di beni e servizi fra casa madre e s.o., la deducibilità dei costi promiscui, sostenuti dalla «casa madre» nell’inte- resse delle s.o. (o viceversa) (quali ad es.: spese generali, spese di di-

(6) Vedi il testo dell’art. 7 del Modello Convenzionale riprodotto alla nota 1. PARTE PRIMA 725 rezione, spese di ricerca), la utilizzazione da parte delle s.o. di beni im- materiali (ad es. brevetti) appartenenti alla casa madre (o viceversa). Profili, quindi, che richiamano quelli propri dei rapporti inter company per di più tenuto conto che, in questo caso, (a differenza di quanto avviene per i Gruppi di società) si pongono (sempre per quanto attiene la s.o. «materiale») nell’ambito di un unico soggetto (non solo «economico» ma) anche «giuridico», quale è la casa madre (o la sede centrale) e la sua s.o. all’estero: si pensi ad esempio uno stabilimento produttivo in Italia di una società avente sede principale all’estero. In tal modo, fra casa madre e s.o., si genera una alterità fiscale ed una contrapposizione di interessi fiscalmente rilevanti pur in relazione alla indubbia «unitarietà» civilistica dello stesso soggetto. 2.3. – Nonostante la rilevanza di tali problemi, invano si cerche- rebbero specifici strumenti normativi, sulla base dei quali pervenire in proposito ad affidabili soluzioni impositive. In particolare, la determinazione del reddito della s.o. rispetto alla «casa madre» o alla sua «sede centrale», oltre ad essere affidato al già ricordato principio generale della autonomia della s.o. (prevista dal- l’art. 7, 2o comma cit.) e (all’altrettanto generale) principio di non di- scriminazione rispetto alle imprese residenti (art. 24, 3o comma cit.) trova sempre – a livello convenzionale – supporti normativi solo nel disposto dell’art. 7, commi da 3o a7o. In particolare, il 3o comma ribadisce la deduzione delle spese se- condo il generale principio di inerenza, da valutarsi in relazione al lo- ro sostenimento per gli scopi perseguiti dalla stessa s.o. Previsione di maggior dettaglio è rinvenibile nel disposto dei par. 4 e 5 dell’art. 7 (7) cit., ove rispettivamente (4o comma) si attribuisce rilevanza – anche ai fini convenzionali – ai criteri di imputazione de- gli utili (fra sede centrale e s.o. o fra le diverse s.o. dei medesimi sog- getti) e (5o comma) si esclude che alla s.o. possa essere attribuito “un utile per il fatto che essa ha acquistato beni o merci per l’impresa”: divieto, quest’ultimo che si ricollega alla stessa definizione di s.o. con- figurandosi (in tal caso) una attività meramente preparatoria ed ausi- liaria (art. 5, 4o comma e art. 162, 4o comma, lett. d) t.u. n. 917 del 1986) che esclude la configurabilità di una s.o. quale unità idonea a produrre un reddito autonomo (art. 5, 1o comma) (8).

(7) Tali paragrafi così prevedono: «Qualora uno degli Stati contraenti se- gua la prassi di determinare gli utili da attribuire ad una stabile organizzazione in base al riparto degli utili complessivi dell’impresa fra le diverse parti di essa, la disposizione del par. 2 non impedisce a detto Stato contraente di determinare gli utili imponibili secondo la ripartizione in uso; tuttavia, il metodo di riparto adottato dovrà essere tale che il risultato sia conforme ai principi contenuti nel presente articolo. «Nessun utile può essere attribuito ad una stabile organizzazione per il solo fatto che essa ha acquistato beni o merci per procedere diversamente». (8) Ed infatti la stessa definizione della s.o. individua nel mero «acquisto di 726 DIRITTO E PRATICA TRIBUTARIA N. 4/2014

Né a risultato più affidabile condurrebbe la ricerca, nella discipli- na interna, di specifiche previsioni normative, idonee a supportare una (più) affidabile e certa determinazione del reddito della s.o. specie per quanto attiene i suoi rapporti con la «casa madre» o le altre s.o. dello stesso «Gruppo». Al riguardo, unico significativo riferimento normativo è rinvenibi- le nella previsione dell’art. 14 (ora) ultimo comma d.p.r. n. 600 del 1973 che, con riferimento sia alle s.o. in Italia di soggetti esteri, sia alla ipotesi speculare di s.o. all’estero di soggetti residenti in Italia, prevede l’obbligo di distinta rilevazione nelle scritture contabili dei “fatti di gestione” che interessano le s.o., “determinando separatamen- te i risultati di esercizio di ciascuno di esse”. Previsione abbastanza generica che tuttavia appare in piena sinto- nia con il modello convenzionale ove (art. 7, 1o e2o comma) si riba- disce la «separazione» del reddito della s.o. da quella della «casa ma- dre» e la sua determinazione autonoma. Evidentemente quali siano «i fatti di gestione» rilevanti al fine della distinta rilevazione del reddito della s.o. e quali i criteri della lo- ro valutazione è affidato ai principi generali che governano la determi- nazione del reddito d’impresa: primo fra tutti il principio di «attribui- bilità» (delle componenti positive) alla s.o. piuttosto che alla «casa madre», di «inerenza» (per quelle negative) e di loro competenza tem- porale. In particolare, al riguardo assumono rilevanza i criteri che so- vraintendono la determinazione dei «prezzi di trasferimenti» fra s.o. e casa madre, intesi quali autonomi centri di riferimento fiscalmente ri- levanti in due diversi Paesi, posto che fra essi (come abbiamo visto) sussiste talora anche una identità soggettiva civilistica che (invero) va ben oltre le ipotesi di (semplice) controllo rilevanti ai fini della pro- blematica del «transfer price» (art. 110, 7o comma t.u. n. 917 del 1986), riproducendo al riguardo (direi a maggior ragione) tutta la pro- blematica propria di prezzi di trasferimento. 2.4. – L’oggetto della presente relazione è limitato alla individua- zione dei criteri di determinazione del reddito della s.o., quale conse- guenza della sua funzione di particolare criterio di localizzazione edi modalità di produzione all’estero del reddito d’impresa. Pertanto, mi si impone di non andare oltre nell’affrontare la speci- fica casistica afferente tale determinazione, che qui mi limito ad enun- ciare secondo quanto emerge dalla Giurisprudenza afferente (ad esem- pio) la suddivisione territoriale del reddito promiscuo o la imputazione pro quota del reddito complessivo (fra casa madre e s.o.) o la imputa- zione dei c.d. «costi complessivi» (specie di regia) o la loro suddivi-

beni» una attività meramente preparatoria ed ausiliaria che esclude la configurabi- lità di una s.o. (art. 5, 4o comma Mod. OCSE e art. 162, 4o comma, lett. d) t.u. n. 917 del 1986). PARTE PRIMA 727 sione pro quota, così come consentito anche a livello Convenzionale dal par. 4 dell’art. 7 cit. (9).

3. – Ai fini iva: «funzione» e rilevanza della s.o.

Per mera completezza (esulando tale problematica dall’oggetto della mia relazione), mi limito ad osservare che, ai fini Iva, in relazio- ne al verificarsi del suo presupposto territoriale (art. 7 d.p.r. n. 633 del 1972) assumono rilevanza i soggetti passivi stabiliti nel territorio del- lo Stato, fra i quali è riconducibile la stabile organizzazione (in Italia) di soggetto domiciliato e residente all’estero limitatamente alle opera- zioni da essa rese o ricevute (art. 7, 1o comma, lett. d) cit.). Anche ai fini iva, quindi, la s.o. si qualifica criterio di localizza- zione o particolare modalità di produzione delle operazioni imponibili. In particolare, tale qualificazione soggettiva è rilevante per le «prestazioni di servizi» (art. 7-ter d.p.r. n. 633 del 1972) posto che per le «cessioni di beni» la territorialità della imposizione è eminentemen- te correlata al criterio oggettivo della collocazione territoriale dei beni immobili o mobili e per questi ultimi (anche) del loro regime giuridico nazionale (art. 7-bis d.p.r. n. 633 del 1972). Le «prestazioni di servizi» (ai sensi dell’art. 7-ter cit.) invece so- no soggette ad iva in quanto considerate «effettuate in Italia» se rese a s.o. in Italia di soggetti non residenti o quelle rese da tali s.o. ma nei confronti di committenti, non soggetti passivi (10). A sua volta, ai sensi dell’art. 17, 3o e4o comma d.p.r. n. 633 del 1972, al fine della attribuzione diretta degli obblighi o i diritti afferenti l’applicazione del tributo, si distingue a seconda che il soggetto non residente sia privo in Italia di s.o. ovvero tali prestazioni siano rese o ricevute per il tramite di una sua s.o. in Italia (art. 17, 4o comma cit.). Anche ai fini iva, quindi (come per le imposte dirette), la s.o. esi- stente in Italia si configura quale criterio di «localizzazione» della atti- vità produttiva, necessariamente assumendo rilevanza al fine della ap-

(9) Art. 7 par. 4: «Qualora uno degli Stati contraenti segua la prassi di de- terminare gli utili da attribuire ad una stabile organizzazione in base al riparto degli utili complessivi dell’impresa fra le diverse parti di essa, la disposizione del par. 2 non impedisce a detto Stato contraente di determinare gli utili imponibili secondo la ripartizione in uso; tuttavia, il metodo di riparto adottato dovrà esse- re tale che il risultato sia conforme ai principi contenuti nel presente articolo». Si veda al riguardo, ad esempio: Cass., 1 agosto 2000, n. 10062, in Dir. prat. trib. int., 2001, 512 e retro, 2002, II, 483. (10) E ciò in quanto sono considerati soggetti «stabiliti» in Italia, le imprese non residenti «limitatamente» alle operazioni rese o ricevute da loro s.o. in Italia (art. 7, lett. d) cit.). In proposito si veda la relazione di A. Comelli, I rapporti sotto il profilo dell’iva, tra stabile organizzazione, casa madre e terzi, retro, 2014, I, 700. 728 DIRITTO E PRATICA TRIBUTARIA N. 4/2014 plicazione del tributo solo le operazioni rese o ricevute per il tramite di una s.o. nel territorio dello Stato (art. 17, 4o comma cit.). Ne deriva che, anche ai fini iva, le prestazioni di servizi, rese ad una s.o. di un non residente o da tale s.o. sono considerate alla stregua di operazioni rese (o ricevute) da soggetti residenti. A mio avviso, da quanto precede deriva che, ove la «casa madre» estera, pur possedendo in Italia una propria s.o., operi direttamente nello Stato (anche) tramite un proprio rappresentante fiscale, quest’ul- timo non potrà ritenersi responsabile delle operazioni non «veicolate» suo tramite, essendo state effettuate direttamente dalla s.o. che, proprio per averla posta in essere direttamente, permane responsabile dell’atti- vità svolta, alla stregua di un soggetto residente.

prof. ANTONIO LOVISOLO Università di Genova I LIMITI DEI TRIBUTI REGIONALI E L’ARTICOLO 23 DELLA COSTITUZIONE

Sintesi: Il rinnovato interesse nei confronti del principio di riserva di legge tributa- ria ex art. 23 Cost., è da riferirsi alla individuazione dell’ambito e della portata dell’in- tervento normativo da parte degli enti locali, alla luce dei decreti legislativi sul federa- lismo municipale, nonché su quello regionale e provinciale. Una interpretazione, per così dire, rigida della nozione di tributo proprio lascerebbe pochi margini di intervento alle Regioni a Statuto ordinario, con il doppio limite sia dell’armonia con la Costituzione, che con i principi dell’ordinamento che caratterizzano il sistema tributario statale. È oltremodo necessario procedere al coordinamento tra la potestà legislativa tributa- ria regionale e quella statale, esigenza fortemente presente nella legge costituzionale n. 3 del 2001, sebbene i meccanismi per realizzare il coordinamento tra i vari livelli di go- verno, e le relative difficoltà attuative, appaiono estremamente complessi. La mancata valorizzazione dei tributi propri, a maggior ragione con riferimento alle Regioni a Statuto speciale, rende sempre più evanescente la realizzazione di un autenti- co federalismo fiscale e rischia di generale un appiattimento verso il basso dell’autono- mia tributaria.

SOMMARIO: 1. Introduzione. – 2. I tributi propri e derivati nel contesto del federalismo fi- scale: limiti. – 3. Ulteriore limite alla potestà normativa regionale: l’art. 23 della Co- stituzione. – 4. Considerazioni finali.

1. – Introduzione

Il principio che permea e caratterizza il federalismo europeo ed italiano è riconducibile a quello di sussidiarietà (1), così come deter- minato nell’art. 3B del Trattato di Maastricht, secondo cui «lo Stato deve intervenire solo nelle materie riguardo alle quali gli enti sott’or- dinati, nell’ambito delle rispettive competenze, non possono decidere

(1) Sulla genesi del principio di sussidiarietà, nonché sul tardivo interesse dell’Italia, si veda D’Atena, L’Italia verso il «federalismo». Taccuini di viaggio, Milano, 2001, 315 ss. Quanto alle implicazioni del principio di sussidiarietà con riferimento alla titolarità dell’imposta cfr. Antonini, Sussidiarietà fiscale. La fron- tiera della democrazia, Milano, 2005, 18 ss. il quale giunge a dimostrare come «in un mondo che è profondamente cambiato, le tradizionali garanzie di democra- ticità del principio no taxation without representation abbiano perso gran parte della loro antica efficacia». 730 DIRITTO E PRATICA TRIBUTARIA N. 4/2014 ed agire con efficacia» e ci sembra, altresì, riconducibile alla dottrina sociale della Chiesa ed alla tradizione culturale cristiana europea ed italiana (2). Nonostante sia trascorso circa un lustro dalla legge delega n. 42 del 2009, ancora ci troviamo in presenza di un quadro normativo non esattamente delineato e compiuto tenuto conto che il federalismo fi- scale (3) dovrebbe essere a regime entro il 2016. La questione è innegabilmente riconducibile, dal punto di vista giuridico, alla riforma del titolo V, parte seconda, della Costituzione, approvata con la legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3 (4). In se- guito, con la l. 16 novembre 2005, n. 2544-D, rubricata «Modifiche alla parte II della Costituzione» – ed incentrata mediaticamente sulla

(2) Il principio di sussidiarietà, come criterio ispiratore dell’azione dei pub- blici poteri, è stato formulato da Papa Pio XI nell’enciclica Quadragesimo anno (1931) e ripreso in Mater Magistra (1961). (3) Numerosi sono i contributi della dottrina in tema di federalismo fiscale, senza pretesa di completezza ci limitiamo per il momento a segnalare: Gallo, vo- ce Federalismo fiscale,inEnc. giur., Roma, 1996, 1 ss.; Id., I capisaldi del fede- ralismo fiscale, retro, 2009, I, 220; Uckmar - Tundo, Federalismo fiscale e auto- nomia impositiva dei Comuni,inDir. ed cc., 1999, 17 ss.; Amatucci, voce Auto- nomia finanziaria e tributaria,inEnc. giur., 1998 ed ampia bibliografia ivi citata; F. Amatucci - G.C. di San Luca, I principi costituzionali e comunitari del federa- lismo fiscale, Torino, 2007; Del Federico - Montanari, I principi del coordina- mento tributario,inVerso quale federalismo?, pubblicazione del Dipartimento di Scienze giuridiche dell’Università degli Studi di Trento, Trento, 2010, 101; Del Federico, Il rapporto tra principi del sistema tributario statale e principi fonda- mentali di coordinamento, in AA.VV., L’autonomia delle regioni e degli enti lo- cali tra Corte costituzionale (sentenza n. 102/2008 e ordinanza n. 103/2008) e di- segno di legge delega. Un contributo al dibattito sul federalismo fiscale, Milano, 2009; Uricchio, Federalismo fiscale: la cornice costituzionale e il modello deli- neato dalla riforma «Calderoli», retro, 2009, 287; Giovanardi, L’autonomia tri- butaria degli Enti territoriali, Milano, 2005, 170 ss.; Tosi - Giovanardi, Federali- smo (dir. trib.),inDizionario di diritto pubblico, diretto da Cassese, III, Milano, 2006; Giovannini, Sul federalismo fiscale che non c’è, retro, 2012, 1306; Logoz- zo, Il federalismo fiscale: prospettive della legge n. 42/2009 e autonomia finan- ziaria degli enti locali,inBoll. trib., 2011, 820 ss.; Marongiu, Il c.d. federalismo fiscale tra ambizioni, progetti e realtà, retro, 2011, 220; Buccico, Alcuni spunti di riflessione sull’attuazione del federalismo fiscale,inRass. trib., 2009, 1301 ss.; Fichera, Federalismo fiscale e Unione Europea,inRass. trib., 2010, 1566. (4) In particolare sulla riforma del titolo V della Costituzione Fregni, rifor- ma del titolo V della Costituzione e federalismo fiscale,inRass. trib., 2005, 683; Id., Autonomia tributaria delle regioni e riforma del titolo V della Costituzione, in Berliri - Perrone (a cura di), Diritto tributario e Corte costituzionale, Napoli, 2006, 477; Di Pietro, Federalismo e devoluzione nella recente riforma costituzio- nale: profili fiscali,inRass. trib., 2006, 245; Tundo, Analisi e prospettive per una condivisa attuazione dell’autonomia tributaria di Regioni ed Enti locali, re- tro, 2003, I, 691 ss. Sulla qualificazione dei tributi regionali post riforma costitu- zionale si veda Uricchio, Tributi regionali propri e impropri alla luce della rifor- ma del titolo V Cost.,inFin. loc., 2006, 23 ss. PARTE PRIMA 731 devolution – era stato previsto che alle Regioni venisse attribuita com- petenza legislativa esclusiva in materie ben delineate senza, tuttavia, modificare sostanzialmente l’impalcatura del rinnovato titolo V, ma li- mitandosi ad intervenire sul conferimento della potestà legislativa esclusiva alle Regioni in tema di sanità, istruzione e di polizia regio- nale e locale rappresentando, per così dire, un intervento a macchia di leopardo non adeguatamente coordinato con l’asse portante della no- stra Costituzione. Da un’altra prospettiva, e cioè quanto all’incipit motivazionale re- lativo all’esigenza di federalismo, la spinta propulsiva risale agli albori degli anni Novanta quando un partito politico sollevò la questione set- tentrionale ed avanzò una proposta di secessione del Nord Italia. Sen- za tale input probabilmente la questione non sarebbe mai stata affron- tata in quanto, a nostro avviso, si trattava di una esigenza non avverti- ta come prioritaria per il nostro Paese, prova ne è che, al momento – venendo a mancare la spinta federalista proprio dalla stessa forza poli- tica proponente – la questione oggi sembra aver perso tutta la sua pri- mitiva urgenza ed il suo appeal (5). A dare parziale attuazione alla legge costituzionale n. 3 del 2001, è intervenuta la legge 5 giugno 2003, n. 131, recante la delega al Go- verno in tema di «Disposizioni per l’adeguamento dell’ordinamento della Repubblica alla legge costituzionale 18 ottobre 2003, n. 3» che, in concreto – oltre a riconoscere come vincoli alla potestà legislativa dello Stato quelli derivanti dalle norme di diritto internazionale gene- ralmente riconosciute – demandava l’emanazione di decreti legislativi «meramente ricognitivi dei principi fondamentali che si traggono dalle leggi vigenti» (art. 1, 4o comma) entro un anno dalla data di entrata in vigore della legge medesima. Decisiva è stata la sentenza della Corte costituzionale n. 280 del 2004 in cui viene dichiarata l’illegittimità co- stituzionale del 5o e6o comma dell’art. 1 della suddetta l. n. 131 del 2003 che «indirizzano, in violazione dell’art. 76 della Costituzione, l’attività delegata del Governo in termini di determinazione-innovazio- ne dei medesimi principi sulla base di forme e di ridefinizione delle materia e delle funzioni, senza indicazione dei criteri direttivi» (6). La Corte costituzionale ritiene, invece, non fondata la questione relativa al 4o comma del medesimo art. 1. Al termine di questo excursus giunge la legge 5 maggio 2009, n. 42 (7) intitolata «Delega al Governo in materia di federalismo fiscale,

(5) Della stessa opinione è De Mita, Le basi costituzionali del «federalismo fiscale», Milano, 2009, 85 ss. il quale – in epoca meno recente dell’attuale – af- fermava che la legge delega «è stata fatta per accontentare un partito di governo». (6) Così si esprime la Corte costituzionale con la sentenza n. 280 del 2004 in www.consultaonline.it. Per un puntuale commento cfr. Castelli, Regioni specia- li e legge «la Loggia»: la parola alla Corte costituzionale,inwww.amministra- zioneincammino.luiss.it (7) Già in altra occasione (si veda Serranò, Gli aiuti di Stato ed il federali- 732 DIRITTO E PRATICA TRIBUTARIA N. 4/2014 in attuazione dell’art. 119 della Costituzione» la quale, pur rappresen- tando un passaggio cruciale, ci sembra che abbia lasciato uno spazio eccessivo ai decreti delegati e, quindi, al Governo (8) e che ancora ad oggi è priva di numerosi decreti ministeriali e regolamenti necessari alla sua compiuta realizzazione. E, difatti, «al di là dei roboanti an- nunci ufficiali il cosiddetto federalismo fiscale sarà, quindi, una realtà solo quando saranno definitivi i decreti delegati, sarà conclusa la fase transitoria e saranno sciolti gli innumerevoli dubbi e interrogativi che esso pone» (9), tenuto conto, inoltre, che essa «non costituisce affatto una svolta storica perché è solo un contenitore ricco di principi più ampi della portata della delega e più avaro nella precisazione dei crite- ri direttivi che dovrebbero lasciare prevedere le forme di imposizione per i diversi livelli di governo locale» (10). Nel contesto della crescita economica e sociale territoriale ben si inquadrano, o dovrebbero inquadrarsi, i d.lgs. 14 marzo 2011, n. 23 (relativo al federalismo municipale), 6 maggio 2011, n. 68 (sul federa- lismo regionale e provinciale) ed il d.lgs. 26 novembre 2010, n. 216 (sulle funzioni essenziali degli enti locali minori, fabbisogni e costi standard). Ci sembra, comunque, necessario «evitare gli slogan» (11) secon- do i quali «solo con il federalismo fiscale si potranno ridurre le tasse il che, così detto, non è proprio vero. Il livello di imposizione fiscale può benissimo scendere anche in uno Stato centralista, anzi, col cen- tralismo, di solito, è più facile decidere di ridurre la pressione fiscale. Il federalismo, per contro, può anche far lievitare, anziché contrarre, la spesa pubblica (rendendo così impossibile la riduzione delle imposte), perché, ad esempio, crescono i costi di transazione, ossia i costi che

smo fiscale, Padova, 2011, 77 ss.), limitandoci ad un giudizio complessivo sulla legge delega n. 42 del 2009, avevamo sostenuto che in effetti si trattava di una formulazione normativa assimilabile a disposizioni programmatiche e cioè di una legge delega priva dei requisiti di cui all’art. 76 Cost., e cioè di principi e criteri direttivi ben precisati ed articolati. Questa lacuna era stata, a nostro avviso, non casuale ma voluta probabilmente al fine di consentire che il Governo nell’emana- re i decreti delegati potesse usufruire di una consistente libertà nell’emanare i de- creti delegati. (8) Sui limiti politici ed istituzionali che hanno determinato il varo della legge n. 42 del 2009 si veda l’interessante contributo di De Mita, La lunga mar- cia del procedimento per delega: Enti locali, difficoltà del Parlamento, assenza dei principi e criteri direttivi richiesti,inBoll. trib., 2010, 666. I vari filoni di in- terventi critici sono stati efficacemente ripercorsi da Pignatone, Principi fonda- mentali per il coordinamento del sistema tributario e ricorso alla delega legisla- tiva in materia di federalismo fiscale,inFederalismi.it, n. 5 del 2011. (9) Cfr. Marongiu, Il c.d. federalismo fiscale tra ambizioni, progetti e real- tà, retro, 2011, 220. (10) Cfr. De Mita, Le basi costituzionali del «federalismo fiscale», Milano, 2009, 85 ss. (11) V. Marongiu, op. cit., 227. PARTE PRIMA 733 dipendono dall’accrescimento dei livelli istituzionali e dalle aumentate negoziazioni fra Stato centrale, Regioni, enti locali» (12). Quanto alla modalità di federalismo da attuare, alla luce di quanto sino ad ora affermato, è possibile sostenere che, nel tentativo di ridur- re il gap fra Regioni virtuose/ricche e Regioni dissipatrici/povere, si è deciso per l’attuazione di una sorta di federalismo solidale, ispirato cioè ai principi della cooperazione e della solidarietà, sebbene il ri- schio che si corra sia quello che il federalismo solidale possa degene- rare, qualora si basasse prevalentemente su compartecipazioni ai tributi erariali, anziché su tributi propri, in una sorta di infruttuoso assisten- zialismo. E, dunque, poiché l’Italia si caratterizza per una struttura for- temente unitaria e statocentrica, ci sembra da condividere l’affermazio- ne secondo la quale il modello di federalismo che allo stato si delinea nel nostro Paese sia di tipo dissociativo (13). Riteniamo, in definitiva, che la compiuta attuazione della legge delega n. 42 del 2009, nonché la corretta applicazione dei valori pri- mari enunciati nei fondamentali principi costituzionali tributari di uguaglianza, di solidarietà, di capacità contributiva nella ripartizione del carico tributario ed il principio di riserva di legge, unitamente al- l’abbandono del criterio della spesa storica, debbano essere garantiti a maggior ragione nei momenti di scarsità delle risorse

2. – I tributi propri e derivati nel contesto del federalismo fiscale: li- miti

Il varo della c.d. legge Calderoli n. 42 del 2009 ha consentito che venissero meglio definiti e precisati i concetti di tributi propri e propri derivati. Difatti, l’art. 7, lett. b), della legge delega n. 42 del 2009 sta- bilisce, al n. 1, che sono tributi propri derivati quelli istituiti e regola- ti da leggi statali, il cui gettito è attribuito alle Regioni ed al successi- vo n. 3, definisce tributi propri tout court quelli istituiti dalle Regioni con proprie leggi in relazione a presupposti non già assoggettati ad imposizione erariale. Venendo più nello specifico, quanto alla definizione di tributo proprio, ci sembra opportuno richiamare le ormai note sentenze n. 296 e 297 del 2003 (14), n. 37 del 2004 nonché le più recenti n. 148 del

(12) Cfr. Marongiu, op. loc. ult. cit. (13) È definito così da Marongiu, op. ult. cit., 222 secondo il quale, a mero titolo esemplificativo, «mentre in Germania il federalismo fiscale nasce con la co- stituzione di uno Stato federale, in Italia il processo è avviato all’interno di una Costituzione che riconosce l’autonomia delle Regioni (e degli enti locali) ma non certo la sovranità». (14) Per un breve commento alle sentenze della Corte costituzionale indica- te si veda Ferlazzo Natoli - Serranò, Irap e bollo auto: considerazioni a margine delle sentenze della Consulta nn. 296 e 297,inFisco, 2003, 6076. 734 DIRITTO E PRATICA TRIBUTARIA N. 4/2014

2006, n. 216 del 2009 e n. 357 del 2010, in cui la Corte costituzionale chiarisce la portata dell’espressione «tributo proprio». E, segnatamen- te, le decisioni appena ricordate si fondano sul comune significato che, in base al disposto dell’art. 119 Cost., con la proposizione «... stabili- scono ed applicano tributi ed entrate propri ...», la norma abbia inteso riferirsi «ai soli tributi istituiti dalle Regioni con propria legge nel ri- spetto dei principi del coordinamento con il sistema tributario statale». Chiamata ad esprimersi sull’irap (15), la Consulta è giunta alla con- clusione che tale tributo non potesse essere considerato proprio delle Regioni poiché le stesse, prescindendo dalla titolarità del gettito non hanno che limitati poteri, tenuto conto, altresì, che «il gettito non può essere considerato come elemento di qualificazione del tributo. Non solo perché, per il diritto, è conseguenza delle singole obbligazioni tri- butarie, rappresentazione pecuniaria, cioè, del loro adempimento; ma anche perché la sua destinazione a favore delle regioni, come dato ag- gregato di finanza pubblica nazionale e come strumento di finanzia- mento, in tanto si realizza in quanto è lo Stato a volerla» (16). Considerato che «verrebbero considerate illegittime le norme re- gionali che intervengono in qualsiasi modo su tributi istituiti ed inte- gralmente disciplinati da legge dello Stato» (17) è certamente possibile affermare come al momento siano pressoché paralizzate le attribuzioni delle Regioni. E, pertanto, ci sembra assolutamente da condividere l’affermazione secondo la quale alle Regioni, nel contesto così deli- neato siano state attribuite «solo briciole di vera autodeterminazione impositiva, di autonomia di normazione primaria, cioè, su tributi pro- pri» (18). È opportuno, però, precisare che la sentenza n. 37 del 2004, nel- l’attribuire alle Regioni la possibilità di legiferare, poneva come neces- saria premessa «l’intervento del legislatore statale, il quale, al fine di coordinare l’insieme della finanza pubblica, dovrà non solo fissare i principi cui i legislatori regionali dovranno attenersi, ma anche deter- minare le grandi linee dell’intero sistema tributario, e definire gli spazi e i limiti entro i quali potrà esplicarsi la potestà impositiva, rispettiva- mente, di Stato, regioni ed enti locali» (19).

(15) Per un recente ed efficace contributo sui poteri delle Regioni relativa- mente all’Irap cfr. Amatucci, Il riconoscimento del potere delle Regioni di ridu- zione e azzeramento dell’aliquota irap,inRass. trib., 2013, 1098 ss. (16) Cfr. Giovannini, op. cit., 1316. (17) Così si esprime F. Amatucci, Il riconoscimento del potere delle Regio- ni di riduzione e azzeramento dell’aliquota irap,inRass. trib., 2013, 1093. (18) Cfr. Giovannini, Sul federalismo fiscale che non c’è, retro, 2012, 1306 ss. (19) In senso critico nei confronti della sentenza n. 37 del 2004 si veda il contributo di Basilavecchia - Del Federico - Osculati, Il finanziamento delle re- gioni mediante tributi propri e compartecipazioni, in Zanardi, Per lo sviluppo. Un federalismo fiscale responsabile e solidale, Bologna, 2006. PARTE PRIMA 735

Significative indicazioni, al fine di meglio delimitare la categoria de quo, nonché di meglio individuare gli spazi ed i limiti (20) della le- gislazione regionale, ci vengono altresì fornite dalla sentenza della Consulta n. 102 del 2008 in cui la Corte precisa che le Regioni a Sta- tuto speciale possono istituire tributi propri anche sul medesimo pre- supposto già colpito da tributi erariali, purché nel rispetto della legge di coordinamento, mentre le Regioni ordinarie devono attenersi alla tassazione su un presupposto diverso da quello già inciso da imposte erariali e nel rispetto dei principi del sistema (21). In definitiva, ci sembra di poter affermare quanto alle Regioni a Statuto speciale, alla luce della sentenza n. 102 del 2008 e dell’art. 27 della legge delega n. 42 del 2009 che «se, da un lato, la prima avrebbe ammesso anche l’assunzione di presupposti identici a quelli dei tributi erariali dovendo la Regione rispettare i principi del sistema tributario statale, cui non apparterrebbe il divieto di duplicazione del presupposto, dall’altro, si deve rilevare come l’art. 27 rinvii a norme di attuazione dei rispettivi statuti un ruolo plurimo tra cui, come si legge nel 3o comma, quello importante di definire “i principi fondamentali di coordinamento del sistema tributario con riferimento alla potestà legislativa attribuita dai rispettivi statuti” alle Regioni e province speciali nonché di individua- re “forme di fiscalità di sviluppo”» (22). La circostanza che un’imposta sia stata istituita con legge statale, e che alle Regioni destinatarie del tributo siano espressamente attribui- te competenze di carattere solo attuativo, rende palese che l’imposta stessa – nonostante la sua denominazione come nel caso dell’irap – non può considerarsi tributo proprio della Regione, bensì tributo parte- cipato al 100% dalla Regione (23). E, dunque, «un tributo può essere considerato proprio se l’ente (stato o regione) cui è riferito stabilisce i suoi elementi essenziali, ossia presupposto o evento al cui verificarsi la prestazione patrimoniale si rende dovuta; soggetti passivi e aliquota massima (o misura fissa massima) o criteri direttivi di determinazione quantitativa della prestazione patrimoniale» (24). Ci sembra chiaro che, nonostante la più ampia formulazione della norma di cui all’art. 119 Cost. («le Regioni stabiliscono», in luogo della forma pregressa «alle Regioni sono attribuiti»), l’autonomia tri-

(20) Di «spazi» e «limiti» parla la sentenza della Corte costituzionale n. 37 del 2004. (21) V. Ficari, L’autonomia tributaria delle regioni e degli enti locali tra Corte costituzionale (sentenza n. 102/2008 e ordinanza n. 103/2008) e disegno di legge delega, Milano, 2009, 117 ss.; Perrone, I tributi propri derivati,inRass. trib., 2010, 1598. (22) Cfr. Perrone, I tributi regionali propri derivati,inRass. trib., 2010, 1606. (23) Così l’Irap è stata definita da Vitaletti, in Il Sole 24 Ore del 27 settem- bre 2003. (24) V. Giovannini, op. ult. cit., 1310. 736 DIRITTO E PRATICA TRIBUTARIA N. 4/2014 butaria regionale ne venga fuori decisamente ridimensionata nel senso che è possibile qualificare tributo proprio regionale (25) solo ed esclu- sivamente quello istituito da una legge regionale nel rispetto dei prin- cipi statali di coordinamento della finanza pubblica. In definitiva «un tributo è proprio se il potere che lo stabilisce o lo istituisce comprende anche quello di individuare i suoi elementi essenziali o almeno di sce- glierli in plurimi ventagli, bensì predeterminati da altro ente, ma in se- no ai quali la selezione concreta è affidata a quello cui il tributo è ri- ferito» (26). Il punto cruciale sembra essere riconducibile alla potestà legislati- va e, dunque, sarebbero tributi propri delle Regioni unicamente quelli stabiliti dalle leggi regionali. Tale interpretazione, decisamente rigida, non lascia alcun margine di intervento alle Regioni, se non nelle ri- strette ipotesi sopra individuate e, pertanto, riteniamo sia da condivide- re l’affermazione di chi sostiene come «la fiscalità delle Regioni a sta- tuto ordinario si impernia dunque sui c.d. tributi propri derivati e sulle addizionali, strumenti tributari etero diretti, che solo marginalmente possono considerarsi rientrare nell’autonomia tributaria delle Regio- ni» (27). L’art. 8 del d.lgs. n. 68 del 2011 di attuazione della legge delega n. 42 del 2009 – nell’attribuire alle Regioni tributi che in realtà sono sempre stati qualificati tali (28) – non realizza alcuna significativa in- novazione considerato che non sfugge all’interprete né al tecnico «la scarsa incidenza quantitativa di tali tributi, né i limiti che incontrerà un incremento del gettito attraverso l’istituzione di nuovi tributi propri in relazione a presupposti non attribuiti allo Stato» (29). In definitiva, quanto ai tributi propri derivati, o impropri, «non basta la denominazione di tributo regionale, non basta il radicamento del presupposto di fatto nel territorio della regione, non basta la devo- luzione del gettito alle casse dell’ente locale, per ritenere esistente ed attivabile immediatamente la potestà normativa regionale» (30), ciò

(25) Cfr. Uricchio, op. ult. cit. (26) V. Giovannini, op. cit., 1313. (27) Cfr. Giovanardi, La fiscalità delle Regioni a statuto ordinario nell’at- tuazione del federalismo fiscale,inRass. trib., 2010, 1624; Sacchetto - Bizioli, Può ancora chiamarsi federalismo fiscale una riforma che limita la potestà legi- slativa tributaria delle Regioni?, retro 2009, I, 859. (28) Si tratta della tassa per l’abilitazione all’esercizio professionale, del- l’imposta regionale sulle concessioni statali dei beni del demanio marittimo, del- l’imposta regionale sulle concessioni statali per l’occupazione e l’uso dei beni del patrimonio indisponibile, della tassa per l’occupazione di spazi ed aree pubbliche regionali, delle tasse sulle concessioni regionali, dell’imposta sulle emissioni so- nore degli aeromobili e della tassa automobilistica regionale. (29) Cfr. Fransoni, La territorialità dei tributi regionali e degli enti locali, in Riv. dir. trib., 2011, 807. (30) Si veda Falsitta, Corso istituzionale di diritto tributario,4a ed., Cedam, 2012, 27 ss. PARTE PRIMA 737 che occorre è «l’intervento del legislatore statale volto a determinare le grandi linee del sistema tributario e definire gli spazi ed i limiti en- tro i quali potrà esplicarsi la potestà impositiva, rispettivamente, di Stato, Regioni ed enti locali ... Per ciò, in assenza di tale grande leg- ge-quadro racchiudente i principi del coordinamento tutto resta fermo, in situazione di stallo» (31). Viceversa, quanto alle ipotesi di tributi propri, siamo d’accordo con chi individua un doppio limite nel senso di attribuire alle Regioni spazi di autonomia tributaria «purché in armonia con la Costituzione e purché si rispettino i principi dell’ordinamento incorporati nel sistema tributario statale» (32).

3. – Ulteriore limite alla potestà normativa regionale: l’art. 23 della Costituzione

Il rinnovato interesse nei confronti del principio di riserva di leg- ge, che in materia tributaria si estrinseca nel principio di legalità di cui all’art. 23 Cost. (33), è da attribuirsi al collegamento fra detto articolo e la potestà normativa degli enti locali ed, in particolare, col tema del federalismo fiscale (34). La riforma federalista della quale si sta par- lando non può prescindere dal coordinamento con il principio di riser- va di legge tributaria di cui all’art. 23 Cost., che non risulta affatto, per così dire, intaccato dalla riforma del titolo V e che mantiene inal- terata tutta la portata garantista che ha da sempre caratterizzato l’art. 23 (35). In effetti la disposizione costituzionale de quo, ci indica «la matrice del potere di normazione (legge ordinaria statale o regionale) e gli elementi essenziali corrispondenti a quella matrice, la porzione di disciplina, cioè, riconducibile al potere primario» (36). Riteniamo sia condividere l’affermazione di chi (37) sostiene, re- lativamente alla interpretazione dell’art. 23 Cost., che l’inciso in base alla legge, debba essere inteso come in base alla legge dello Stato e

(31) Cfr. Falsitta, op. ult. cit. (32) Cfr. Falsitta, op. cit., 28. (33) Ci sia consentito il rinvio a Serranò, Il principio di riserva di legge ed il consenso al tributo, Torino, 2008, ed ampia bibliografia ivi citata. (34) Sul tema si vedano le acute osservazioni di Fedele, Federalismo fiscale e riserva di legge,inRass. trib., 2010, 1525 il quale afferma come la riserva di legge in materia di prestazioni imposte rappresenti un «elemento fondante la struttura costituzionale dello Stato liberale e democratico» e «mantiene ancor og- gi, nel nostro come in altri ordinamenti, una funzione decisiva nell’assetto dei po- teri normativi e nella disciplina delle relative competenze». (35) Si veda Falsitta, op. cit.,29ss. (36) Così si esprime Giovannini, Sul federalismo fiscale che non c’è, retro, 2012, 1312. (37) Cfr. Falsitta, op. cit., 76. 738 DIRITTO E PRATICA TRIBUTARIA N. 4/2014 delle Regioni considerato che la legge regionale è «di per sé idonea a soddisfare la riserva di legge». È, altresì, altrettanto ovvio che l’inte- grazione della disciplina legislativa possa avvenire con regolamenti autorizzati o delegati e che «ai fini dell’integrazione non è essenziale la natura normativa dell’atto, sicché si ritiene che la disciplina legisla- tiva mancante possa essere dettata anche da atti amministrativi genera- li avvero addirittura da provvedimenti amministrativi individuali nei li- miti in cui ciò determini una violazione di altri precetti costituziona- li» (38). Può essere utile, sia pur sinteticamente, ripercorrere l’evoluzione e l’interpretazione del principio di riserva di legge seguendo i canoni er- meneutici del diritto positivo quanto alla connotazione spiccatamente territoriale dell’articolo de quo, cioè con riferimento agli ordinamenti di carattere nazionale, cioè di Regioni ed enti locali minori. Nella selezione dei numerosi itinerari interpretativi connessi al- l’art. 23, e nella consapevolezza della estrema varietà dei significati politico-istituzionali che esso riveste, tenteremo di soffermarci essen- zialmente sugli aspetti che contribuiscono in qualche modo a sminuire la portata garantista dell’art. 23. Il principio di cui all’art. 23 fa parte, infatti, del titolo I, parte I della Costituzione dedicato interamente ai «Rapporti civili», a differenza dell’art. 53 che, invece, essendo collo- cato all’interno del titolo IV, è da riferirsi ai «Rapporti politici». Inter- pretando l’art. 23 come un principio sul «potere di normazione e sulla produzione della normativa fiscale» (39), non è mancato chi (40) ha ritenuto che il principio di riserva di legge «vincola il potere di disci- plina normativa di una determinata materia all’uso di un solo tipo di atto normativo con esclusione degli atti normativi subordinati». Non possiamo, comunque, ignorare alcune ulteriori e secondarie finalità dell’art. 23, sebbene ritenute «apparenti» (41) da una significa- tiva dottrina: – il perseguimento della certezza del diritto; – la unitarietà dell’imposizione nel pieno rispetto del principio di eguaglianza; – la garanzia delle minoranze e di tutela di alcune posizioni del singolo. In definitiva, alla luce del quadro delineato, sia pur per linee ge- nerali, è possibile affermare che il principio di riserva di legge, nel nostro caso, non ci sembra riconducibile ad una unica ratio, bensì ad una pluralità di rationes che si vedono, comunque, allineate sotto il comune denominatore del principio democratico, il quale ci sembra

(38) Cfr. Falsitta, op. cit., 77. (39) Così si esprime Lupi, Diritto tributario, Milano, 1996, 13 ss. (40) Così Di Giovine, Introduzione allo studio della riserva di legge nel- l’ordinamento costituzionale italiano, Torino, 1969, 14 ss. (41) Utilizza questo termine Longo, Saggio critico sulle finalità e sull’og- getto dell’articolo 23 della Costituzione, Torino, 1968, 69 ss. PARTE PRIMA 739 ovviamente comprensivo della funzione garantista, del perseguimento dell’equità sostanziale, della giustizia contributiva e tributarie e della finalità della certezza del diritto. Proprio partendo da tale affermazione – ossia dalla consapevolezza che l’art. 23 Cost. assolva innanzitutto ad una funzione democratica – intendiamo muovere le nostre prossime ri- flessioni con particolare attenzione alla nozione di consenso. In realtà lo Statuto albertino all’art. 30, nello stabilire che «nessun tributo può essere imposto o riscosso se non è stato consentito dalle Camere e sanzionato dal Re», introduceva l’importante necessità, nel- l’imporre una prestazione, del preventivo consenso da parte delle Ca- mere, da intendersi come la necessità imprescindibile, al fine di im- porre o riscuotere un tributo, di avere la piena adesione delle stesse. Il termine «consenso» è stato poi inteso e sostituito nella attuale Carta Costituzionale dall’inciso «in base alla legge», riconducendo il precet- to «al più generale principio per cui solo la legge può incidere nella sfera della libertà e proprietà individuale» (42). In realtà il tema del consenso, riconducibile al principio del no taxation without represen- tation, crea un interessante collegamento tra il tema della rappresen- tanza politica e quello della tassazione ed involge la sovranità e la ge- stione del potere conseguente. Esso, in definitiva è da intendersi come espressione embrionale di uno Stato democratico in cui la nobiltà non si assoggettava al sovrano, anzi essa «pretendeva di imporre al sovra- no la necessità del proprio consenso al tributo» (43). L’acuirsi della crisi economica ci sembra il sintomo anche dell’in- debolimento del ruolo del Parlamento nell’ambito della politica fiscale, sempre più frequentemente, infatti, le scelte prescindono dal consenso e ciò comporta un ridimensionamento anche del ruolo dello stesso. Siamo dunque d’accordo con chi (44) afferma che «negli ultimi de- cenni si è registrato un sostanziale affievolimento del ruolo del parla- mento, la cui centralità era invece una delle coordinate portanti del principio no taxation without representation». Ritornando sulla questione posta poc’anzi ci sembra da evidenzia- re la necessità di coordinare la potestà tributaria regionale con quella erariale, necessità che consiste essenzialmente nella esigenza di dar corpo a quel coordinamento tra la potestà legislativa tributaria regiona- le e quella statale, esigenza fortemente presente nella legge costituzio- nale n. 3 del 2001. Va inoltre precisato che le Regioni possono, dun- que, «emanare leggi di coordinamento, nel quadro dei principi fonda- mentali, riservati alla legislazione statale» (45). Nonostante la pre- gnanza di tale esigenza, nulla viene detto nel testo di riforma costitu- zionale sui meccanismi di coordinamento e ciò rende ancora più diffi-

(42) Cfr. Marongiu, I fondamenti costituzionali dell’imposizione tributaria, Torino, 1991, 65 ss. (43) Cfr. Fantozzi, Il diritto tributario, Torino, 2003, 84 ss. (44) V. Antonini, op. cit.,46ss. (45) V. Tesauro, Istituzioni di diritto tributario, Torino, 27 ss. 740 DIRITTO E PRATICA TRIBUTARIA N. 4/2014 coltoso il riparto dei compiti e delle funzioni dei vari livelli di governo nonché la «sistemazione dei rapporti tra potere legislativo ed esecutivo» (46) e la identificazione della qualità e quantità relativa- mente all’esercizio delle deleghe dal potere legislativo e quello regola- mentare. È, comunque, il caso di precisare che il principio di legalità indi- vidua una relazione tra potere legislativo e regolamentare, nella identi- ficazione della qualità e quantità relativamente all’esercizio delle dele- ghe dal potere legislativo a quello regolamentare ed, in effetti, «il principio di legalità sostanziale caratterizza tutte le relazioni tra legge e regolamento: l’esecutivo deve muoversi rispettando i limiti imposti dal legislatore con tutte le conseguenze che in una Costituzione rigida derivano dall’inosservanza della disposizione costituzionale. Sotto que- sto profilo, si può ritenere che il principio di legalità sia sostanzial- mente ancora in vigore nel nostro ordinamento distinguendosi solo «quantitativamente» e non «qualitativamente» dalla riserva di legge, quest’ultima costituirebbe un principio di legalità rinforzato» (47). Ma se i rapporti tra potere regolamentare e art. 23 Cost. appaiono complessi, parimenti complicati ci sembrano i meccanismi di coordi- namento tra i vari livelli di Governo nel senso che, a parer nostro, non è possibile imporre una prestazione di natura personale o patrimoniale in base ad una legge regionale sprovvista di delega. Utilizziamo il ter- mine «delega» per indicare come una legge statale assuma la funzione più che di una legge delega in senso tecnico, di una legge cornice la quale disciplini i principi fondamentali e che – nell’ambito del rappor- to tra fonti concorrenti – attribuisca la regolamentazione delle norme per così dire di dettaglio alla legge regionale che, così, può esercitare la propria potestà normativa concorrente. In caso di assenza dei princi- pi fondamentali stabiliti da una legge dello Stato, la potestà legislativa regionale rimane inalterata in linea di principio, ma con una eccezione riguardo alla potestà di imposizione. Gli elementi essenziali e caratte- rizzanti della prestazione patrimoniale non possono, a nostro avviso, essere disciplinati da una legge regionale, tranne che questa faccia ri- ferimento, appunto, ad una legge c.d. quadro. Più che limitare la pote- stà normativa regionale alla caratterizzazione locale del tributo, ritenia- mo, pertanto, che il limite posto dall’art. 23 Cost., sia sempre valido con riferimento all’ordinamento interno, e cioè che la Regione possa esercitare le potestà legislativa e regolamentare con riferimento all’in- tera tipologia delle prestazioni personali e patrimoniali imposte, e che tale limite non sia scalfito dalla riforma del titolo V. E, tuttavia, ove vi siano dubbi di legittimità costituzionale relativamente ad una legge regionale andata ultra petita, sarà sempre e comunque competente a

(46) Sempre di grande attualità è il contributo di Grippa Salvetti, Riserva di legge e delegificazione nell’ordinamento tributario, Milano, 1988, 7 ss. (47) Cfr. Grippa Salvetti, Riserva di legge e delegificazione nell’ordinamen- to tributario, Milano, 1998, 7 ss. PARTE PRIMA 741 decidere e pronunciarsi la Corte costituzionale come è di recente acca- duto. Le riflessioni, infine, svolte sulla tematica della riserva di legge tributaria ex art. 23 Cost., hanno fatto emergere interessanti collega- menti con la norma interna nel senso che vi è chi (48) ha proposto di ampliare il disposto letterale dell’art. 23 nel senso che l’imposizione di una prestazione di natura personale o patrimoniale deve avvenire non soltanto in base alla legge statale, ma anche, tenuto conto della relati- vità della riserva di legge, in virtù di una legge regionale. Non è man- cato però chi (49) ha affermato che la riserva di legge tributaria abbia natura di riserva prettamente statale sia in considerazione del contenu- to dell’art. 117 che del disposto dell’art. 119 Cost. per cui, a nostro avviso, l’art. 23 della Costituzione assume una connotazione molto di- versa rispetto al passato (50) considerata la incidenza dei tributi locali sulla comunità dei cittadini contribuenti. In conclusione, posta la relatività della riserva di legge è, quindi, di rilevante importanza che il legislatore, nell’ambito di quella che ab- biamo individuato come legge quadro, stabilisca preventivamente e sufficientemente criteri direttivi di base al fine di arginare la discrezio- nalità dell’Amministrazione finanziaria e degli enti locali per far sì che la relatività non venga estremizzata a scapito della certezza del di- ritto e della legittimità dell’imposizione. A tal proposito ci sembra da rammentare la posizione assunta dal- la Corte costituzionale nell’affrontare la questione relativa al c.d. con- tenuto minimo della legge. La Consulta in un primo momento (senten- za n. 51 del 24 giugno 1960) aveva assunto una posizione più rigida, nel senso che il precetto costituzionale di cui all’art. 23 Cost. poteva ritenersi rispettato quando la legge che prevede l’imposizione, pur non fissandone il massimo, determini criteri, condizioni, limiti e controlli idonei a contenere la discrezionalità dell’ente impositore nell’esercizio del potere attribuitogli e ad evitare così che essa possa trasmodare in arbitrio. Dopo circa un trentennio, spazio temporale intercorrente tra le due sentenze, la Consulta è, invece, giunta ad affermare (sentenza n. 236 del 10 giugno 1994), che il principio della riserva di legge, previsto dall’art. 23 Cost., è di carattere relativo, essendo richiesto che la prestazione sia imposta in base alla legge: come tale esso può dirsi rispettato anche in assenza di una espressa indicazione legislati- va dei criteri, limiti e controlli sufficienti a delimitare l’ambito di di- screzionalità dell’amministrazione, purché gli stessi siano in qualche modo desumibili (...), al fine di evitare arbitrii dell’amministrazione. La Corte costituzionale ha così ribaltato la precedente interpretazione

(48) Cfr. Falsitta, op. ult. cit. (49) Cfr. Amatucci, L’ordinamento giuridico della finanza pubblica, Napoli, 2004, 85 ss. (50) Cfr. Fregni, La riforma del titolo V della Costituzione ed il federalismo fiscale, op. cit.,43ss. 742 DIRITTO E PRATICA TRIBUTARIA N. 4/2014 sostenendo che, sebbene in assenza di una espressa previsione legisla- tiva dei criteri, limiti e controlli finalizzati al contenimento della di- screzionalità, il principio di riserva di legge poteva ritenersi rispettato. Tale revirement della Consulta è il segno di una netta inversione di tendenza nel senso che, sia pur affermando la natura garantista del principio di legalità, riferita anche al consenso, si è passati da un orientamento più rigido (riconducibile alla presenza di una legge che determinasse criteri, condizioni, limiti e controlli ai fini di meglio esercitare il potere impositivo) ad uno certamente più flessibile (assen- za dei medesimi paletti), ma probabilmente più rischioso.

4. – Considerazioni finali

Come abbiamo avuto modo di vedere fino a qui, le sia pur sacro- sante motivazioni che hanno spinto verso la nascita del federalismo fi- scale hanno dovuto fare i conti con non poche difficoltà attuative. L’ampiezza ed indeterminatezza della legge delega n. 42 del 2009 ci è sembrata difficilmente conciliabile con i principi e le garanzie costitu- zionali – riconducibili all’uguaglianza, alla solidarietà, alla capacità contributiva nella ripartizione a livello erariale e locale della spesa pubblica ed al principio di riserva di legge – che dovrebbero costituire le massime tutele nei confronti del contribuente a maggior ragione nei momenti di crisi economica (51). Abbiamo, sia pur rapidamente, mes- so in luce come si sia gradualmente abbandonato un obsoleto modello di finanza derivata, per introdurre meccanismi in grado di maggior- mente responsabilizzare le comunità locali, sebbene gli strumenti nor- mativi siano rimasti sostanzialmente invariati anche con particolare ri- ferimento alle Regioni a Statuto speciale. Ed è proprio affrontando, sia pur sommariamente, i limiti all’autonomia ed alla imposizione di for- me di tributi propri che riteniamo utile ed opportuno rammentare che «l’autonomia speciale della Regione siciliana fu a suo tempo consacra- ta in uno Statuto avente valore di legge costituzionale, a conclusione di una tormentata fase storica caratterizzata dalle spinte separatiste che in Sicilia erano sorte nel secondo dopoguerra a fronte di uno Stato che da molti siciliani era avvertito come troppo lontano o del tutto assente; ed ha poi visto nel tempo gradualmente riassorbiti molti dei suoi aspetti di accentuata specialità, parallelamente allo spegnersi delle istanze, appunto, separatiste» (52). Considerato il tenore della normati-

(51) Si veda Uricchio, Il federalismo della crisi o la crisi del federalismo, Bari, 2012. (52) Cfr. La Rosa, Il riparto delle competenze tributarie nell’esperienza dell’autonomia regionale siciliana», in Atti del convegno svoltosi a Taormina Re- gionalismo fiscale tra autonomie locali e diritto dell’Unione Europea,27e28 aprile 2012, organizzato dalla Fondazione Antonio Uckmar. PARTE PRIMA 743 va, occorre precisare che, quanto alla Regione siciliana (53), l’obietti- vo dovrà essere quello di ottenere l’attuazione delle disposizioni statu- tarie inerenti ai temi relativi all’autonomia finanziaria e impositiva e, in particolare, agli artt. 14, 17, 36 e 37, nonché il mantenimento di tutte quelle prerogative statutarie che fanno della Regione Sicilia (54) una regione fortemente dotata di una specialità in materia finanziaria e tributaria. In caso contrario, si assisterebbe ad un livellamento degli Statuti ed alla perdita della specialità statutaria. Un contributo ulteriore a chiarimento dei termini della questione è stato offerto dalla dottrina (55) che in subiecta materia ha individuato una distinzione fra i limiti alla potestà normativa ed i limiti alla pote- stà di imposizione. È stato affermato, infatti, che «la prima di queste specie di limiti è quella che concerne l’ambito segnato dalla legge tri- butaria siciliana, ed essa ha un evidente carattere giuridico; la seconda riguarderebbe i limiti dati dalle necessità finanziarie della regione, la quale, come ente politico e non semplicemente amministrativo, deve, al pari dello Stato, determinare le entrate in rapporto alle spese, conse- guenti alle leggi, che essa emana per il raggiungimento dei suoi fini istituzionali» (56). Tuttavia a noi sembra che tale distinzione sia at- tualmente sempre più sfumata. Venendo più nello specifico, l’art. 14 dello Statuto siciliano si oc- cupa di legislazione esclusiva (57), ma tra le materia indicate non è prevista quella tributaria. Quanto all’art. 17, poi, si indicano altre ma- terie, per le quali è prevista una legislazione concorrente della regione, e neppure fra le materie indicate è inclusa quella tributaria. Nel suc- cessivo art. 36 si trovano, probabilmente, le cause di questa assenza laddove si stabilisce che «al fabbisogno finanziario della regione si provvede con i redditi patrimoniali della regione e a mezzo di tributi deliberati dalla medesima». In tal caso non sono indicati i limiti previsti dagli artt. 14 e 17 St.

(53) Per recenti contributi sul tema si vedano Marongiu, La fiscalità sicilia- na nel restaurato regno borbonico,inAtti del Convegno «Regionalismo fiscale tra autonomie locali e diritto dell’Unione Europea, Taormina 27-28 aprile 2012, 221; La Scala, L’autonomia statutaria della Regione Siciliana in materia finan- ziaria e tributaria,inAtti del Convegno «Regionalismo fiscale tra autonomie lo- cali e diritto dell’Unione Europea, Taormina 27-28 aprile 2012, 209 ss. (54) Si rammenta che lo Statuto siciliano è stato approvato col d.lgs. 15 maggio 1946, n. 455 e, in seguito, convertito nella legge costituzionale 26 feb- braio 1948, n. 2. (55) Cfr. Orlando Cascio, Lo statuto siciliano nella giurisprudenza dell’Alta Corte: la potestà tributaria regionale e i suoi limiti,inIl dir. pubbl. della regione Sicilia, 1950, 80 ss. (56) Cfr. Orlando Cascio, op. cit. (57) Interessanti considerazioni sull’impatto della riforma con riferimento alle regioni a statuto speciale sono state svolte da Ficari, Prime note sull’autono- mia tributaria delle Regioni a Statuto speciale (e della Sardegna in particolare), in Rass. trib., 2001, 1286. 744 DIRITTO E PRATICA TRIBUTARIA N. 4/2014 e rispettivamente: «nei limiti delle leggi costituzionali dello Stato» e «entro i limiti dei principi e interessi generali cui si informa la legisla- zione dello Stato». Tutto ciò farebbe pensare di primo acchito che il legislatore abbia voluto precisare che trattasi di una potestà tributaria assoluta o esclusi- va avvalorata, inoltre, dall’art. 37 nel quale si autorizza la Sicilia a ri- scuotere una quota di imposta relativa al reddito prodotto da imprese industriali e commerciali che hanno la sede centrale fuori dal territorio siciliano, ma che in esso hanno stabilimenti e impianti. In altri termini, e alla luce di quanto sino ad ora affermato, «l’an- cora diffuso convincimento dell’avere la Regione siciliana, in materia tributaria, competenze normative tributarie primarie concorrenti con quelle dello Stato–eadesse assimilabili – non trova riscontri signifi- cativi sul piano del diritto vivente» (58) e ciò ci sembra avvalorato, a maggior ragione, in seguito all’emanazione del d.lgs. 14 marzo 2011, n. 23 in tema di federalismo municipale che ha visto la Regione Sici- lia adire alla Corte costituzionale proprio al fine di rivendicare la spe- cialità statutaria della suddetta Regione (59). Concludendo, il riconoscimento di vasti poteri e di una peculiare specialità in capo alla Regione siciliana, deve pur sempre fare i conti con una normativa che preclude alla stessa Regione: – di incidere su tributi statali; – di intervenire negli ambiti procedimentali e processuali; – di disporre di tributi propri diversi da quelli erariali. Di conseguenza, la mancata valorizzazione dei tributi propri – a maggior ragione con riferimento alle Regioni a Statuto speciale carat- terizzate da una maggiore autonomia – rende sempre più evanescente la realizzazione di un autentico federalismo fiscale e rischia di genera- re un appiattimento verso il basso dell’autonomia tributaria (60). Ma, traendo le conclusioni di quanto fino ad ora affermato, l’al- ternarsi di spinte di volta in volta centrifughe e centripete, di accentra- mento, decentramento e poi nuovamente accentramento, vedono al momento – al fine di garantire una unità di indirizzo – le Regioni tito- lari solo di una minima ed insignificante forma di autonomia quanto ai tributi propri. La preoccupazione di garantire uniformità è talmente dilagante «da rendere pressoché inesistente il potere di disciplina degli aspetti non strutturali del tributo; ma un legislatore così preoccupato dell’uni-

(58) Cfr. La Rosa, op. cit., 190 ss. (59) Per una puntuale ricostruzione della questione si veda La Scala, L’au- tonomia statutaria della Regione Siciliana in materia finanziaria e tributaria, in Atti del Convegno di Taormina, op. cit., 209 ss. (60) Dello stesso parere è Ferlazzo Natoli relazione tenuta presso l’Univer- sità di Messina in occasione del convegno celebrativo del 64esimo anniversario di Autonomia della Regione Siciliana «L’autonomia siciliana oggi: un valore da di- fendere e rilanciare», 15 maggio 2010. PARTE PRIMA 745 formità, semplicemente non dovrebbe optare per il federalismo, invece a parole sempre individuato come un obiettivo irrinunciabile» (61). Assistiamo, quindi, ad atteggiamenti che si traducono in scelte politi- che contraddittorie ed incoerenti, basti pensare allo scollamento tra il testo Costituzionale di cui alla riforma del titolo V, che riconosceva importanti poteri alle Regioni, ed alla legge delega n. 42 del 2009 che, invece, mortifica tale spinta autonomistica (62). Tale perplessità è, fra l’altro, comprovata dal fatto che «la recente riforma federalista (realizzata con i vari decreti delegati in attuazione della legge delega n. 42 del 2011), pur ampliando gli spazi di autono- mia tributaria degli enti locali, ha sostanzialmente mantenuto gli stessi strumenti normativi di esercizio dell’autonomia stessa» (63) e, poiché la riserva di legge di cui all’art. 23 Cost. esclude che gli elementi ca- ratterizzanti dell’imposizione possano essere individuati ricorrendo ad una fonte di normazione secondaria, ci sembra opportuno, in conclu- sione, ribadire che «dovrà essere la legge statale ovvero la legge re- gionale a fissare gli elementi qualificatori della fattispecie impositiva, pur se con connotati di flessibilità superiore rispetto a quelli usual- mente applicati nell’ambito della fiscalità statale». Infine, una lettura evolutiva dell’art. 23 Cost. impone che, alla lu- ce dell’art. 117 Cost., esso debba intendersi come riserva di legge sta- tale e regionale, nella consapevolezza che «occorre restituire stabilità alle regole, e serietà e ponderatezza ai processi che le modifica- no» (64).

prof. MARIA VITTORIA SERRANÒ Associato di Diritto tributario Università di Messina

(61) Cfr. Basilavecchia, La crisi nella produzione delle norme tributarie: soluzioni auspicabili e interventi possibili,inNeotera, 2012, 1, 32 ss. (62) In tal senso si veda Giovanardi, op. ult. cit., 1625, il quale afferma co- me la scelta del delegante sia «influenzata dalla preoccupazione di non privilegia- re le esigenze dell’autonomia a scapito di quelle delle solidarietà in una situazio- ne caratterizzata da eclatanti squilibri tra le diverse aree del paese...». (63) Così Boria, La potestà regolamentare e l’autonomia tributaria degli enti locali,inRiv. dir. trib., 2013, 417. (64) Cfr. Basilavecchia, op. ult. cit., 34. LA POCO CONVINCENTE RIFORMA DELL’ABUSO DEL DIRITTO ED I DUBBI DI LEGITTIMITÀ COSTITUZIONALE (*)

Sintesi: Una soddisfacente codificazione di una norma generale antielusiva è dive- nuta un rilevante problema la cui soluzione legale non appare più differibile. È impen- sabile che il fenomeno dell’elusione (o abuso del diritto) possa trovare una pacifica so- luzione per mezzo della giurisprudenza, sia di merito che di legittimità. La prassi socie- taria ha infatti ampiamente dimostrato come le innumerevoli pronunce susseguitesi, so- prattutto in questi ultimi anni, non solo non abbiano risolto il problema, ma addirittura abbiano alimentato i dubbi e le incertezze riguardo l’individuazione delle condotte elu- sive relativamente alle operazioni effettuate nell’esercizio di attività imprenditoriali. Un’occasione imperdibile per congegnare una idonea formulazione della nozione di norma antiabuso è offerta dall’art. 5 della recente legge delega 11 marzo 2014, n. 23 contenente delega per la revisione del sistema fiscale. I principi ed i criteri contenuti nell’art. 5 della citata legge fanno tuttavia presagire che la norma antielusiva, una volta approvata, risulterà, non solo insoddisfacente, ma, temiamo, anche di dubbia legittimità costituzionale in alcuni profili tutt’altro che marginali della emananda norma. Il nostro intervento, oltre ad evidenziare l’irrazionalità dell’attuale clausola antielusiva e di taluni principi e criteri contenuti nella delega legislativa, intende fornire alcuni spunti di rifles- sione riguardo al contenuto della «nuova» norma.

SOMMARIO: 1. Considerazioni introduttive. – 2. L’irrazionalità dell’attuale norma ed i pro- fili di illegittimità costituzionale. – 3. La legge delega n. 23 del 2014 ed i principi in essa contenuti in tema di abuso del diritto. – 4. Una soluzione de iure condendo.

1. – Considerazioni introduttive

1.1. – Quello di una soddisfacente codificazione di una norma ge- nerale antielusiva che, è bene chiarirlo, ha origini prettamente giuri- sprudenziali, è divenuto un rilevante problema la cui soluzione legale non appare più differibile. Le scelte operate dalle imprese, spesso pro- pedeutiche alla crescita economica del Paese, richiedono, invero, che esse trovino il necessario sostrato nella certezza delle norme contenute nel sistema tributario.

(*) Contributo sottoposto a revisione anonima da parte di professori ordinari e fuori ruolo italiani e valutato positivamente da due componenti del Comitato scientifico della Rivista. PARTE PRIMA 747

Com’è noto, né la clausola contenuta nell’art. 10 della l. 29 di- cembre 1990, n. 408, né quella attualmente dettata dall’art. 37-bis del d.p.r. 29 settembre 1973, n. 600 sembrano aver risolto in modo soddi- sfacente la problematica di cui ci occuperemo nel prosieguo del nostro intervento. Ed è da escludere, a nostro avviso, che il fenomeno del- l’elusione (o abuso del diritto) possa trovare una valida soluzione per mezzo della giurisprudenza, sia di merito che di legittimità, nonché della dottrina tributaristica, ancorché i contributi in merito siano stati copiosi e, in non rare occasioni, pregevoli. La prassi societaria ha in- fatti ampiamente dimostrato che le innumerevoli pronunce susseguite- si, soprattutto in questi ultimi anni, non solo non hanno risolto il pro- blema, ma addirittura hanno alimentato i dubbi e le incertezze riguar- do l’individuazione univoca delle condotte elusive relativamente alle operazioni effettuate nell’esercizio di attività imprenditoriali. 1.2. – È bene sottolineare, in via preliminare, che una norma ge- nerale antielusiva che esaurisca alla «radice» l’ormai risalente proble- ma del fenomeno in parola – divenuto, specialmente a decorrere dal- l’anno 2005 (1), di rilevantissima portata nell’ambito del contenzioso tributario – risulta indubbiamente di difficile concezione (2). L’anno 2008 è stato caratterizzato da una serie di pronunce della Suprema Corte di rilevante interesse che si sono intrecciate con quelle emanate dalla Corte di giustizia, soprattutto con la «storica» sentenza 21 feb- braio 2006, causa C-255/02 (Halifax pic e a.c. Commissioners of Cu- stoms e Exice) con la quale il Giudice europeo ha elaborato una no- zione di abuso del diritto del tutto indipendente dalle ipotesi di frode precisando che per essere considerate elusive le operazioni devono avere «essenzialmente lo scopo di ottenere un vantaggio fiscale...». A tale sentenza ha fatto seguito la sentenza 21 febbraio 2008, causa C-425/06 (Part Service) emanata in riferimento all’imposta sul valore aggiunto con la quale la Corte ha enunciato il principio secondo cui l’esistenza di una pratica abusiva può essere riconosciuta qualora il perseguimento di un vantaggio fiscale costituisca lo scopo essenziale dell’operazione sottoposta a sindacato di merito da parte dell’Ammini- strazione finanziaria dei singoli Stati.

1.3. – Quanto precede è sintomatico della delicatezza del proble- ma che deve trovare un’adeguata soluzione legislativa improntata alla certezza del diritto che favorisca le scelte imprenditoriali; soluzione che appare tutt’altro che agevole e resa più delicata dal fatto che la nozione di abuso del diritto prescinde – la circostanza è ben nota – da qualsiasi riferimento alla natura fittizia o fraudolenta di una operazio-

(1) Si ricordano, per tutte, le sentenze n. 20318 e 22938 del 2005 e le sen- tenze n. 12301, 12302 e 21221 del 2006. (2) È utile osservare, in proposito, che la sola Suprema Corte ha emanato dall’anno 2008 all’anno 2013 circa 5.000 sentenze. 748 DIRITTO E PRATICA TRIBUTARIA N. 4/2014 ne economica; il comportamento abusivo consiste, infatti, proprio nel fatto che, a differenza degli atti dolosi, il soggetto passivo ha posto in essere operazioni ineccepibili sul piano legale-formale, oltreché rea- li (3). Ed è noto come per elusione si intenda il complesso di atti at- traverso i quali i soggetti passivi di imposta tengono un comportamen- to formalmente corrispondente a quello prescritto dalle leggi tributarie che, tuttavia, consentono di evitare (rectius, eludere) l’applicazione della disposizione più onerosa (4). L’attività elusiva si manifesta, dun- que, nella realizzazione di quei negozi-giuridici ritenuti più opportuni e previsti dall’ordinamento, in luogo di altri, finalizzati a conseguire un risparmio di imposta (5) e consiste, in definitiva – a differenza del- l’evasione che rappresenta un mezzo attraverso il quale il soggetto passivo di imposta viola una disposizione imperativa, non adempien- do, in tutto o in parte, all’obbligazione tributaria (6) – nell’evitare l’obbligazione tributaria (in tutto o in parte) senza violare la legge at- traverso l’effettuazione di atti giuridici che consentono un risparmio di imposta (7) indipendentemente dall’esistenza della frode con la quale il soggetto ha realizzato l’operazione (8). Nella prassi imprenditoriale, l’esistenza di pratiche elusive appare, in numerosissime occasioni, ben difficile da individuare; di qui la ne- cessità di prevedere opportuni «strumenti» legali che siano idonei ad enunciare principi antiabuso che appaiano sufficienti ad evitare le con- troversie tra i soggetti passivi d’imposta e l’Amministrazione finanzia- ria attribuendo, nel contempo, maggiore certezza alle scelte imprendi- toriali. 1.4. – Un’occasione imperdibile per congegnare una idonea for- mulazione della nozione di norma antiabuso è offerta dall’art. 5 della recente legge delega 11 marzo 2014, n. 23, contenente delega per la revisione del sistema fiscale. La delega, com’è noto, deve essere attua- ta dal Governo entro dodici mesi dalla sua entrata in vigore e, cioè,

(3) Vedi, in tal senso, sentenza Halifax (punto 2). (4) Micheli, Le presunzioni e la frode alla legge nel diritto tributario,in Riv. dir. fin. sc. fin., 1976, 396; Gallo, Elusione, risparmio d’imposta e frode alla legge,inGiur. comm., 1989, 377; D’Ayala Valva, I problemi dell’evasione ed elusione nell’attuale normativa, retro, 1989, 1154 ss. (5) Falsitta, Interpretazione, elusione fiscale e potestà amministrative,in Riv. dir. trib., 1996, 257 ss. (6) Tabellini, L’elusione fiscale, Milano, 1989; Lovisolo, L’evasione ed elu- sione tributaria, voce Evasione ed elusione tributaria,inEnc. giur., 1984, I, 1286; Antonini, Evasione ed elusione d’imposta,inGiur. it., 1989, IV, 97; Ga- leotti Flori, L’elusione tributaria,inFisco, 1989, 1985; Cipollina, Elusione fisca- le,inRiv. dir. fin. sc. fin., 1988, I, 122. (7) Lovisolo, L’evasione cit.,2. (8) Una definizione analoga è stata fornita, in passato, da Zizzo, Evasione ed elusione fiscale nella legislazione e nella giurisprudenza degli Stati Uniti d’America,inRass. trib., 1986, I, 232. PARTE PRIMA 749 entro il 27 marzo 2015. Per espressa previsione contenuta nella dele- ga, «I decreti legislativi sono adottati, nel rispetto dei principi costitu- zionali, in particolare di quelli di cui agli articoli3e53della Costitu- zione, nonché del diritto dell’Unione europea, e di quelli dello statuto dei diritti del contribuente di cui alla l. 27 luglio 2000, n. 212» (vedi art. 1, 1o comma). Vedremo, tuttavia, che i principi ed i criteri conte- nuti nell’art. 5 della citata legge fanno presagire che la norma antielu- siva potrebbe risultare, non solo insoddisfacente ma, temiamo, anche di dubbia legittimità costituzionale in alcuni profili tutt’altro che mar- ginali della emananda norma (9). Dobbiamo precisare, da ultimo, che nel corso del nostro interven- to le due locuzioni «abuso del diritto» e «elusione d’imposta» verran- no utilizzate indifferentemente dal momento che «il divieto di abuso

(9) Per comodità del lettore si riporta, di seguito, l’art. 5 della legge delega n. 23 del 2014. «1. Il Governo è delegato ad attuare, con i decreti legislativi di cui all’arti- colo 1, la revisione delle vigenti disposizioni antielusive al fine di unificarle al principio generale del divieto dell’abuso del diritto, in applicazione dei seguenti principi e criteri direttivi, coordinandoli con quelli contenuti nella raccomandazio- ne della Commissione europea sulla pianificazione fiscale aggressiva n. 2012/772/ UE del 6 dicembre 2012: a) definire la condotta abusiva come uso distorto di strumenti giuridici ido- nei ad ottenere un risparmio d’imposta, ancorché tale condotta non sia in contra- sto con alcuna specifica disposizione; b) garantire la libertà di scelta del contribuente tra diverse operazioni com- portanti anche un diverso carico fiscale e, a tal fine: 1) considerare lo scopo di ottenere indebiti vantaggi fiscali come causa prevalente dell’operazione abusiva; 2) escludere la configurabilità di una condotta abusiva se l’operazione o la serie di operazioni è giustificata da ragioni extrafiscali non marginali; stabilire che costituiscono ragioni extrafiscali anche quelle che non producono necessaria- mente una redditività immediata dell’operazione, ma rispondono ad esigenze di natura organizzativa e determinano un miglioramento strutturale e funzionale del- l’azienda del contribuente; c) prevedere l’inopponibilità degli strumenti giuridici di cui alla lettera a) all’Amministrazione finanziaria e il conseguente potere della stessa di disconosce- re il relativo risparmio di imposta; d) disciplinare il regime della prova ponendo a carico dell’Amministrazione finanziaria l’onere di dimostrare il disegno abusivo e le eventuali modalità di ma- nipolazione e di alterazione funzionale degli strumenti giuridici utilizzati, nonché la loro mancata conformità a una normale logica di mercato, prevedendo, invece, che gravi sul contribuente l’onere di allegare l’esistenza di valide ragioni extrafi- scali alternative o concorrenti che giustifichino il ricorso a tali strumenti; e) prevedere una formale e puntuale individuazione della condotta abusiva nella motivazione dell’accertamento fiscale, a pena di nullità dell’accertamento stesso; f) prevedere specifiche regole procedimentali che garantiscano un efficace contraddittorio con l’amministrazione finanziaria e salvaguardino il diritto di dife- sa in ogni fase del procedimento di accertamento tributario». 750 DIRITTO E PRATICA TRIBUTARIA N. 4/2014 del diritto è un generale principio antielusivo» (vedi, in tal senso, Cass. n. 30055 del 2008) (10).

2. – L’irrazionalità dell’attuale norma ed i profili di illegittimità costi- tuzionale

2.1. – Sul tema in parola la dottrina tributaristica è intervenuta con numerosi e pregevoli contributi in questi ultimi anni (11); come abbiamo già osservato, la problematica risulta tuttavia sostanzialmente irrisolta. Le difficoltà che incontra l’interprete sono da ricercarsi nel- l’estrema incertezza di distinguere, in talune operazioni, il fine (non dichiarato) di ottenere un vantaggio prevalentemente fiscale, che il soggetto passivo d’imposta intende perseguire mediante la loro effet- tuazione, in relazione alle opportunità (lecite) offerte dall’ordinamento all’operatore economico. A riprova di tali nostri dubbi depongono, tra tutte, le note sentenze n. 30055, 30056 e 30057 emanate dalle sezioni uni- te della Cassazione e depositate il 23 dicembre 2008 che, come avremo modo di osservare tra breve, appaiono a nostro avviso discutibilissime. 2.2. – Attualmente la norma è strutturata in modo certamente po- co razionale e, sotto alcuni profili, di dubbia legittimità costituzionale. La disposizione contenuta nell’art. 37-bis del d.p.r. n. 600 del 1973 di- spone, invero, che sono inopponibili all’Amministrazione finanziaria gli atti, i fatti e i negozi, anche collegati tra loro, qualora siano: 1. pri- vi di valide ragioni economiche; 2. diretti ad aggirare obblighi o divie- ti previsti dall’ordinamento tributario o ad ottenere riduzioni d’imposta o rimborsi altrimenti indebiti. Tali presupposti appaiono, in via gene- rale, ragionevoli. Il vero vulnus si ravvisa nella parte in cui la norma prevede che al verificarsi dei predetti presupposti è la stessa Ammini- strazione finanziaria che disconosce direttamente i vantaggi tributari

(10) Va peraltro sottolineato che la stessa rubrica del richiamato art. 5 della leg- ge n. 23 del 2014 accomuna i due termini («Abuso del diritto ed elusione fiscale»). (11) Citiamo, per tutti, Lupi, Diritto tributario – Parte generale,8a ed., Mi- lano, 2005, 102; Tabellini, L’elusione della norma tributaria, Milano, 2007; La Rosa, Sugli incerti confini tra l’evasione, l’elusione e l’assenza del presupposto soggettivo dell’iva,inRiv. dir. trib., 2006, 619; Beghin, L’elusione tributaria tra inopponibilità dei vantaggi fiscali, nullità dei contratti ed «invasivo» esercizio della funzione giurisprudenziale,inElusione fiscale - La nullità civilistica come strumento generale antielusivo - Riflessioni a margine di recenti orientamenti della Cassazione civile – Atti del convegno tenutosi presso la Facoltà di Giuri- sprudenza dell’Università di Padova il 15 settembre 2006; Procopio, L’ormai im- procrastinabile soluzione legislativa dell’abuso del diritto, retro, 2011, I, 237; Id., Attività delocalizzate, tra principio di inerenza ed elusione d’imposta, retro, 2011, II, 1155; Id., L’irrisolto problema dell’elusione fiscale e la necessità di un interven- to del legislatore, Id., retro, 2009, I, 357; Elusione (od abuso del diritto): la Corte di Cassazione si allinea all’orientamento comunitario, retro, 2008, I, 919. PARTE PRIMA 751 derivanti dall’effettuazione delle operazioni da parte dei soggetti passi- vi d’imposta applicando le relative imposte (e sanzioni). Realizzandosi dette condizioni, l’Amministrazione finanziaria chiede ai contribuenti chiarimenti da inviare per iscritto (entro 60 giorni) nei quali devono essere indicati i motivi dell’effettuazione dell’operazione. La richiamata disposizione attribuisce agli organi di controllo del- l’Amministrazione finanziaria un notevole ed inammissibile potere di- screzionale consentendogli di richiedere le prestazioni patrimoniali qualora, a suo (di fatto insindacabile) giudizio, le operazioni poste in essere dagli operatori economici siano effettuate, strumentalmente, al fine di conseguire un vantaggio fiscale non spettante. L’illegittimità di una siffatta norma appare, a nostro avviso, sin troppo evidente: contra- riamente a quanto espressamente disposto dall’art. 2697 del codice ci- vile, è il contribuente a dover fornire la dimostrazione dell’utilità eco- nomica dell’operazione effettuata. Si è in presenza, in numerosissimi casi, della c.d. «prova diabolica». Ora, vale la pena di sottolineare che se la condotta elusiva può apparire, in non rare occasioni, del tutto palese, la presunzione del- l’esistenza dell’elusività di un’operazione può, in altrettante occasioni, essere frutto di pure e fantasiose congetture elaborate dagli organi di controllo dell’Amministrazione finanziaria che, nella generalità dei ca- si, sono avallate dai Giudici di legittimità (e le sentenze n. 8481 e 8487 del 2009 emanate dalla Cassazione ne sono una evidente testi- monianza). Esse, unitamente alle citate decisioni del 23 dicembre 2008, sono apparse inopportune per l’apparato produttivo nazionale poiché hanno incoraggiato, ed incoraggiano tutt’ora, l’Amministrazio- ne finanziaria ad emanare con sempre maggiore frequenza avvisi di accertamento basati su asseriti abusi del diritto in verità del tutto ine- sistenti nella consapevolezza che il suo operato troverà l’assenso dei Giudici Supremi. In definitiva, la norma così concepita appare chiaramente vessato- ria in quanto «spoglia» il contribuente di ogni difesa dei suoi legittimi interessi economici inducendolo a dover necessariamente scegliere, tra le varie operazioni previste dall’ordinamento, quella maggiormente onerosa; scelta operata per evitare l’emanazione di avvisi di accerta- mento da parte dell’Amministrazione finanziaria! Non si dimentichi, in proposito, che solo in rarissimi casi le osservazioni svolte dai contri- buenti vengono prese in considerazione. Ne è dimostrazione che, con recentissima ordinanza 6 maggio 2014, n. 9712, la Cassazione ha rite- nuto illegittimo l’avviso di accertamento qualora l’Amministrazione fi- nanziaria non illustri le ragioni per le quali ritenga di disattendere le argomentazioni addotte dal soggetto passivo d’imposta durante il con- traddittorio (12). Tale pronuncia appare di notevole interesse in quanto

(12) In proposito, i Giudici di legittimità hanno richiamato i principi emana- ti dalla Corte costituzionale con sentenza 26 marzo-1 aprile 2003, n. 105 secondo 752 DIRITTO E PRATICA TRIBUTARIA N. 4/2014 ribadisce l’obbligo per gli uffici di motivare la mancata condivisione delle giustificazioni addotte dal contribuente durante le fasi del con- traddittorio. È evidente che l’ufficio può non tenere nella debita consi- derazione le argomentazione addotte dal contribuente; è altrettanto evi- dente, tuttavia, che in questa ipotesi deve fornire adeguate motivazioni riguardo le ragioni che hanno indotto, l’ufficio medesimo, a disatten- dere i chiarimenti forniti dal soggetto passivo d’imposta. Solo in que- sto modo può attribuirsi una concreta valenza al contraddittorio il qua- le, senza un’adeguata motivazione, si svuoterebbe di ogni reale signifi- cato. Per questa ragione non possiamo che condividere l’opinione di un autore secondo cui «i contorni dell’abuso e della elusione rimango- no ancora fortemente sfumati, oscillando da una visione che coglie con fatica la differenza con il risparmio lecito d’imposta, ad una che sostanzialmente accomuna abuso, elusione e frode» (13). 2.3. – La giurisprudenza tributaria è ricchissima di fattispecie che, pur apparendo del tutto legittime, sia sul piano civile che tributario, sono state tuttavia ritenute quasi sempre elusive. Si segnalano, per tut- te, le «storiche» pronunce, da noi già citate, emanate dalla Suprema Corte n. 30055, 30056 e 30057 del 23 dicembre 2008 assunte a sezio- ni unite. Tali sentenze si sono caratterizzate per aver sottolineato che il divieto di abuso del diritto (o elusione fiscale) è un principio imma- nente contenuto nell’art. 53 Cost. e che il fenomeno in parola è (con- seguentemente) rilevabile d’ufficio da parte dello stesso giudice tribu- tario in qualunque grado di giudizio. Le precisazioni che precedono meritano una breve riflessione, e ciò in quanto riteniamo che la condivisibile costituzionalizzazione del divieto di abuso del diritto sia stata eccessivamente enfatizzata, sia dalla dottrina che dalla giurisprudenza tributaria (14). È fuor di dub- bio, invero, che le clausole antielusive o di abuso del diritto (15) – che trovano la loro origine nei principi comunitari in materia di abuso cui, in tema di accertamento standardizzato mediante l’applicazione di parametri o studi di settore, la gravità, precisione e concordanza della presunzione semplice nasce solo in esito al contraddittorio che va attivato obbligatoriamente prima del- l’emissione dell’atto, pena la nullità dello stesso. In questa sede, il contribuente ha l’onere di giustificare con ogni mezzo lo scostamento e l’esclusione dagli standard considerati. Il giudice tributario è successivamente tenuto a valutare l’eventuale ap- plicabilità al caso concreto alla luce delle prove fornite da entrambe le parti. (13) Basilavecchia, Elusione ed abuso del diritto: una integrazione possibi- le,inGT - Riv. giur. trib., 2008, 742. (14) Tale convincimento era stato evidenziato, in precedenza, da Procopio, Elusione (od abuso del diritto): la cassazione si allinea all’orientamento comuni- tario cit., 919 ss. (15) Nessuna distinzione va a nostro avviso operata tra elusione ed abuso del diritto in quanto entrambe sono dirette a raggirare norme imperative attraver- so la realizzazione di atti legali tipici espressamente previsti dalla normativa lega- le. Una distinzione va invece effettuata tra operazioni elusive ed evasive. PARTE PRIMA 753 del diritto (16) – risultano, di fatto e di diritto, immanenti nei sistemi delle imposte e della stessa Carta costituzionale, con la conseguenza che possono non trovare efficacia nei confronti dell’Amministrazione finanziaria quelle operazioni effettuate con il solo fine di eludere una disposizione maggiormente onerosa rispetto a quella posta in essere essenzialmente (e non esclusivamente) per trarne dei vantaggi tributa- ri (17). Ora, è noto come l’art. 53 contenga tre distinti principi e criteri e, in particolare, quelli della: 1. solidarietà che si realizza mediante il concorso generalizzato dei consociati alle pubbliche spese; 2. applica- zione della giusta imposta la quale è dovuta solo se si ravvisi, nei confronti del soggetto passivo di imposta, una capacità contributiva certa ed effettiva; 3. redistribuzione del reddito tra i consociati-contri- buenti che si concretizza nell’applicazione delle imposte secondo crite- ri di progressività. Nell’ambito del rispetto di detti principi e criteri è dunque del tutto evidente che il divieto di operazioni elusive è un principio immanente contenuto, non solo nell’art. 53 ma, soprattutto, negli articoli2e3Cost. È infatti indiscutibile che l’artificiosa erosio- ne della base imponibile conseguente ad atti, fatti e, in genere, ad ope- razioni elusive, genera negativi effetti nei confronti dei consociati ri- guardo la solidarietà e l’uguaglianza, e ciò per effetto del minor con- corso alle spese pubbliche (18). Ne deriva, da un lato, che il principio della capacità contributiva è idoneo a far ritenere inefficaci, sul piano tributario, quelle operazioni che sono effettuate con il fine di conse- guire un vantaggio fiscale e, dall’altro, che il principio stesso costitui- sce un «baluardo» a favore dei soggetti passivi d’imposta e, nel con- tempo, un limite per il legislatore e per l’Amministrazione finanziaria (e per gli stessi Giudici tributari) nel senso che si può esigere una pre- stazione pecuniaria a condizione che si ravvisi l’esistenza di una capa- cità contributiva certa ed effettiva. È quindi evidente che le conclusio- ni alle quali è pervenuta la Cassazione in merito all’esistenza di un implicito divieto di operazioni elusive nella Costituzione appaiono del tutto pacifiche.

(16) Vedi, in tal senso, Corte di giustizia, 14 dicembre 2000, causa C-110/ 99, Emsland-Starke Gmbh. (17) In tal senso si è espressa Corte di giustizia, 21 febbraio 2008, causa C-425/06 con la quale ha statuito che la Direttiva n. 2006/112/Cee deve essere in- terpretata nel senso che l’esistenza di una pratica abusiva può essere riconosciuta qualora il perseguimento di un vantaggio fiscale costituisca lo scopo essenziale dell’operazione o delle operazioni controverse, in GT - Riv. giur. trib., 2008, 750 con nota di Centore, Lo «spettro» dell’abuso sulle operazioni soggette ad IVA, 753 ss. (18) Di tale avviso si è anche mostrato, in dottrina, Lovisolo, Abuso del di- ritto e clausola generale antielusiva alla ricerca di un principio,inRiv. dir. trib., 2009, I, 87 ss. 754 DIRITTO E PRATICA TRIBUTARIA N. 4/2014

2.4. – Senza voler entrare nel merito delle citate pronunce delle sezioni unite della Suprema Corte – peraltro ben note agli studiosi e pratici del diritto tributario – osserviamo che le conclusioni alle quali essa è pervenuta appaiono tutt’altro che convincenti atteso che le ope- razioni ivi considerate, non solo non violavano alcuna norma del di- ritto positivo tributario (19), ma negli anni nei quali le contestate operazioni erano state effettuate non esisteva, nel nostro ordinamen- to, una clausola generale antielusione. L’art. 10 della citata l. n. 409 del 1990 si limitava infatti ad affermare che all’Amministrazione fi- nanziaria era consentito disconoscere ai fini fiscali la parte di costo delle partecipazioni sociali sostenute e comunque i vantaggi tributari conseguiti in ben precisate operazioni societarie e, precisamente, quel- le relative alle fusioni, concentrazione, trasformazione, scorporo e ri- duzione di capitale allo scopo esclusivo di ottenere fraudolentemente un risparmio d’imposta. Come può osservarsi trattavasi di fattispecie del tutto diverse da quelle sottoposte al giudizio della Cassazio- ne (20). Le argomentazioni che precedono sono state confermate dalla stessa Suprema Corte la quale, pur prendendo (ovviamente) atto che la fattispecie non si rendeva applicabile ratione temporis, ha affermato che tale circostanza non esclude la possibilità di rilevare comunque l’abusività della condotta. E ciò alla luce dei principi costituzionali quali quello della capacità contributiva e della progressività dell’impo- sta di cui all’art. 53 Cost. Detti principi costituirebbero infatti «il fon- damento sia delle norme impositive in senso stretto, sia di quelle che attribuiscono al soggetto passivo d’imposta vantaggi o benefici di qualsiasi genere». La Corte ha in tal modo seguito la via già tracciata da precedenti pronunce (Cass. n. 10257 del 2008; n. 25374 del 2008) con le quali è stato riconosciuto un generale principio antielusivo fon- dato – in tema di tributi non armonizzati quali le imposte dirette – non già nella giurisprudenza comunitaria, ma negli stessi principi costitu- zionali che informano l’ordinamento italiano. Tale affermazione non è stata condivisa in dottrina e ciò nel presupposto che l’art. 53 contiene un «... meta-principio generale antielusivo, posto che lo stesso com-

(19) Per una analisi delle sentenze n. 30055, 30056 e 30057, vedi Procopio, L’irrisolto problema cit., 359 ss. (20) La richiamata norma disponeva, inoltre (vedi ultimo comma), che le disposizioni antielusive si rendevano applicabili alle predette operazioni deliberate a decorrere dal 1 novembre 1990, e ciò all’evidente fine di conferire certezza alla norma stessa, e solo nell’anno 1992, vale a dire in un periodo d’imposta succes- sivo agli anni in contestazione, il legislatore tributario ha inserito una norma an- tielusiva ad hoc diretta a vietare il credito d’imposta conseguente all’acquisto, da parte dei fondi comuni d’investimento o delle sicav, di azioni o quote di parteci- pazione nelle società od enti di natura commerciale (vedi art. 14, comma 6-bis, del t.u.i.r. n. 917 del 1986 così aggiunto dall’art. 7-bis,1o comma, lett. a) del d.l. 9 settembre 1992, n. 372). PARTE PRIMA 755 porterebbe una disapplicazione delle regole del gioco, su cui i contri- buenti hanno, bene o male, fatto affidamento...» (21).

2.5. – La Cassazione, con le sentenze del 2008, è andata ben oltre il compito che il legislatore e la stessa Costituzione le consentivano. Ci riferiamo, segnatamente, all’eccezione sollevata in ordine alla rile- vabilità d’ufficio della condotta antiabuso fornendo, in tal modo, un inammissibile assist all’ufficio che tale eccezione non aveva sollevato in nessuno dei precedenti gradi di giudizio (22). È fuor di dubbio, in- fatti, come l’abuso del diritto, conseguente ad atti e comportamenti, non possa che essere rilevato dalla sola Amministrazione finanziaria nell’ambito dei suoi compiti istituzionali di attività di controllo dive- nendo presupposto per l’emanazione di avvisi di accertamento (23). È solo nel corso della fase contenziosa che il Giudice potrà decidere se il soggetto passivo abbia effettuato operazioni elusive recependo, in tal modo, le ragioni dell’Amministrazione finanziaria. Aver dichiarato d’ufficio inopponibili all’Amministrazione finanziaria le operazioni non ritenute elusive da parte dello stesso ufficio ha comportato una inaccettabile condotta sotto due diversi punti di vista. Il primo, di cui si è appena fatto menzione, è quello di aver fatta propria una preroga- tiva di esclusiva competenza dell’ufficio; il secondo errore commesso dalle sezioni unite è invece consistito nella limitazione del diritto alla difesa con conseguente violazione dell’art. 24 Cost. La Cassazione avrebbe infatti dovuto rinviare il processo al precedente Giudice atteso che il soggetto passivo d’imposta non aveva avuto la possibilità di controdedurre di fronte all’eccezione relativa all’esistenza di abuso del diritto non sollevata in alcuna fase del dibattimento. È sin troppo evi- dente, infatti, che la Cassazione, anche a voler ammettere che potesse d’ufficio sollevare la questione di abuso del diritto, non poteva deci- derla nel «merito», ma avrebbe dovuto quanto meno rimetterla alla commissione per verificare se la richiamata procedura fosse stata os- servata e comunque se non sussistevano valide ragioni «economiche» prevalenti su quelle fiscali (24). La condotta della Suprema Corte è quindi apparsa inaccettabile e quindi censurabile. La sintetica ricostruzione, da noi svolta, delle fattispecie esamina-

(21) Lupi - Stevanato, Tecniche interpretative e pretesa immanenza di una norma generale antielusiva,inCorr. trib., 2009, 409. (22) Tale enunciazione di principio non è condivisa in dottrina da Lupi e Stevanato (Tecniche cit., 406) a parere dei quali la valutazione circa l’elusività di un comportamento «... può avvenire soltanto nell’ambito dell’attività di accerta- mento (e non certo essere rilevata d’ufficio dal giudice, magari solo in sede di giudizio di legittimità)». (23) Dello stesso avviso, Basilavecchia, Elusione e abuso del diritto: una integrazione possibile,inGT - Riv. giur. trib., 2008, 741. (24) In tal modo si è espressa una prestigiosa dottrina (Uckmar, L’abuso del diritto è quello della cassazione,inItalia Oggi dell’8 aprile 2009). 756 DIRITTO E PRATICA TRIBUTARIA N. 4/2014 te dal Giudice di legittimità, lungi dal voler riaprire un dibattito dottri- nale, dimostra, in modo incontrovertibile, come la norma antiabuso non possa essere risolta dalla giurisprudenza, ma vada disciplinata di- rettamente dal legislatore tributario con una disposizione improntata a principi e criteri di certezza, trasparenza e buona fede che riduca sen- sibilmente i margini di discrezionalità dell’Amministrazione finanzia- ria.

3. – La legge delega n. 23 del 2014 ed i principi in essa contenuti in tema di abuso del diritto

3.1. – Le osservazioni da noi sin qui svolte dimostrano la sensibi- lità avvertita dal legislatore tributario di prevedere, nell’ambito della revisione del sistema tributario di cui alla citata legge delega n. 23 del 2014, la modifica della disciplina dell’abuso del diritto e dell’elusione fiscale (vedi art. 5). Alcuni principi e criteri direttivi contenuti nel richiamato art. 5 della citata legge delega non sembrano, tuttavia, per nulla idonei a ri- solvere in modo soddisfacente il problema de qua. Essi contengono, da un parte, alcune evidenti ovvietà; facciamo riferimento, in partico- lare, ai principi secondo cui la nuova norma dovrebbe definire la con- dotta abusiva come uso distorto di strumenti giuridici idonei ad ottene- re un risparmio d’imposta ancorché tale condotta non sia in contrasto con alcuna specifica disposizione (lettera a) dell’art. 5, e garantire la scelta del contribuente tra diverse operazioni comportanti anche un di- verso carico fiscale (lettera b)). 3.1.1. – Con riferimento al primo dei riportati principi, è sin trop- po evidente che l’elusione non può che essere realizzata attraverso l’uso distorto di strumenti giuridici utilizzati dal soggetto passivo fina- lizzato ad ottenere un illecito risparmio d’imposta e che non può esse- re preclusa al soggetto passivo d’imposta la facoltà di individuare e realizzare, tra quelle lecite, l’operazione economica che gli consenta di ottenere un legittimo risparmio d’imposta. Il legislatore delegante ha quindi preso atto di tali ovvietà atteso che il fisiologico risparmio d’imposta è generalmente collegato all’utilizzo di una normativa pa- riordinata rispetto ad altri strumenti giuridici utilizzabili. E non sono certamente rari i casi in cui un determinato obiettivo è a volte rag- giungibile per mezzo di più regimi giuridici, tutti ammessi dall’ordina- mento tributario nazionale, anche se alcuni di essi sono più onerosi di altri. Ad esempio, il trasferimento di un complesso aziendale può esse- re conseguito sia mediante una cessione diretta dell’azienda, sia attra- verso la cessione delle quote societarie che detengono il possesso della stessa azienda. Si tratta di due disposizioni collocate su un piano strut- turale di pari dignità, dove le norme sulle plusvalenze generate nel reddito d’impresa e quelle relative, invece, ai redditi diversi conseguiti dalle persone fisiche rappresentano due possibili alternative che il si- PARTE PRIMA 757 stema mette a disposizione del contribuente e tra le quali il contri- buente può liberamente scegliere anche in base al fattore fiscale (25). Ciò non significa, tuttavia, come ricordato dalla stessa Cassazione con sentenza n. 8772 del 2008, che non può essere preclusa al sogget- to passivo la possibilità di scegliere la via fiscalmente meno onerosa tra quelle che l’ordinamento gli consente purché, ovviamente, il sog- getto stesso rispetti le modalità previste dal sistema. In tal senso si è pure espresso un autore (26) il quale, dopo aver premesso che non po- teva rientrare in una norma generale di antielusione quel comporta- mento attraverso il quale il soggetto passivo d’imposta avesse pianifi- cato e ottimizzato la sua attività aziendale perseguendo un risparmio d’imposta unitamente ad un reale obiettivo economico, evidenziava quegli atti, fatti e contatti per i quali, essendo difficile rinvenire finali- tà extrafiscali che li giustificassero, considerava gli atti medesimi me- ritevoli di rientrare in una norma generale di antielusione (27). È appena il caso di sottolineare che alle medesime conclusioni era pervenuta la Commissione Biasco la quale, nell’ambito delle proposte formulate al Governo in ordine alle modifiche da apportare al t.u.i.r. n. 917 in materia di reddito d’impresa, aveva auspicato che non deve considerarsi elusiva la scelta tra i vari regimi giuridici consentiti dal sistema ritenendo quindi illegittima la norma di cui al più volte richia- mato art. 37-bis del d.p.r. n. 600 del 1973 nella parte in cui obbliga, di fatto, le imprese a scegliere, tra le varie soluzioni previste dalla leg- ge, quella maggiormente onerosa sul piano tributario. Secondo l’orien-

(25) La stessa relazione governativa di accompagnamento allo schema di decreto legislativo divenuto, a seguito della sua approvazione, d.lgs. n. 358 del 1997 – che mediante il suo art. 7 ha introdotto l’art. 37-bis al d.p.r. n. 600 del 1973 – forniva, con riferimento alla norma antielusiva, un criterio tendenziale per distinguere l’elusione rispetto al mero risparmio d’imposta che viene conseguito quando, tra vari comportamenti posti dal sistema fiscale su un piano di pari digni- tà, il soggetto adotta quello fiscalmente meno oneroso. Se il soggetto si limitava a scegliere tra due alternative che in modo strutturale l’ordinamento gli metteva a disposizione non si verificava alcuna ipotesi di aggiramento. Tale principio è sta- to affermato dalla stessa relazione governativa la quale, sul particolare punto ha precisato che «una diversa soluzione finirebbe per contrastare con un principio diffuso in tutti gli ordinamenti tributari dei Paesi sviluppati, che consentono ai soggetti passivi d’imposta di regolare i propri affari nel modo fiscalmente meno oneroso, e dove le norme antielusione scattano solo quando l’abuso di questa li- bertà dà luogo a manipolazioni, scappatoie e stratagemmi, che – pur formalmente legali – finiscono per stravolgere i principi del sistema». (26) Gallo, Elusione senza rischio: il fisco indifeso di fronte a un fenomeno tutto italiano, retro, 1991, I, 257 ss. (27) Lo stesso autore si mostrava contrario a sistemi fondati esclusivamente sulla costruzione normativa di specifiche verità interinali e di presunzioni legali antielusive dal momento che tali impostazioni sembravano il frutto non del tutto disinteressato di un eccesso di formalismo giuridico applicato a danno dell’inte- resse fiscale. 758 DIRITTO E PRATICA TRIBUTARIA N. 4/2014 tamento della Commissione non si realizza alcun intento elusivo quan- do il soggetto si limita ad adottare, per convenienza fiscale ed in mo- do consapevole, un negozio giuridico espressamente previsto dall’ordi- namento atteso che con tale operato il soggetto stesso intende ottimiz- zare il risultato della gestione con conseguenti benefici per la colletti- vità (per il potenziamento della struttura imprenditoriale che ne consegue). In caso contrario, invero, l’Amministrazione finanziaria ri- sulterebbe legittimata a sindacare numerosissime operazioni economi- che. Si pensi, al riguardo, ed a puro titolo esemplificativo, al caso del- l’imprenditore che decida di spedire o consegnare i propri prodotti ad un proprio cliente il primo giorno dell’anno successivo a quello nel quale il prodotto poteva essere consegnato. In siffatto modo, per un giorno, viene a procrastinarsi il pagamento dell’imposta di un anno. È infatti noto come l’art. 109, 2o comma, lett. a), del t.u.i.r. n. 917 del 1986 disponga che per le cessioni di beni i relativi ricavi si considera- no conseguiti all’atto della loro consegna o spedizione. La convenien- za per l’imprenditore potrà apparire ancora maggiore in caso di ridu- zione dell’aliquota d’imposta come peraltro si è verificato con la l. 27 dicembre 2007, n. 244 che ha ridotto le aliquote ires ed irap, rispetti- vamente, al 27,50 ed al 3,90 per cento. Appare del tutto evidente, co- me in tale esempio, la consegna al 1 gennaio dell’anno successivo sia finalizzata a conseguire un doppio vantaggio economico-finanziario che si concretizza nella liquidazione delle imposte con un anno di ri- tardo e nella riduzione dell’onere delle imposte medesime. Ma è altret- tanto evidente che detta condotta non può certamente essere oggetto di sindacato di merito da parte degli organi di controllo dell’Amministra- zione finanziaria atteso che in detta ipotesi si realizzerebbe il fenome- no della c.d. «rimozione dell’imposta» ben differente, evidentemente, dalla elusione. Va rammentato, al riguardo, che l’art. 41 Cost. prevede che l’iniziativa economica privata è libera ancorché (ovviamente) essa iniziativa non possa essere svolta in contrasto con l’utilità sociale. Trattasi, com’è agevole rilevare, di formule di puro stile che non con- tribuiscono in alcun modo a risolvere l’ormai risalente problema del- l’elusione fiscale. Puntuale è quindi apparsa l’affermazione della Cassazione la qua- le, con sentenza n. 1372 del 2011, ha sottolineato che l’applicazione del principio dell’abuso del diritto deve essere guidata da una partico- lare cautela «essendo necessario trovare una giusta linea di confine tra pianificazione fiscale eccessivamente aggressiva e libertà di scelta del- le forme giuridiche, soprattutto quando si tratta di attività d’impresa». La Suprema Corte sembrerebbe quindi aver posto una «barriera» al- l’orientamento giurisprudenziale a sostegno della tesi dell’Amministra- zione finanziaria (diretta ad allargare la «latitudine» delle operazioni ritenute elusive) e fa seguito alle precedenti decisioni della stessa Cas- sazione 21 gennaio 2009, n. 1465 e 12 novembre 2010, n. 22994 che sono anch’esse apparse in controtendenza rispetto all’orientamento della Suprema Corte che, alla fine dell’anno 2008, sembrava essersi ormai consolidato a favore delle ristrettive tesi ministeriali. PARTE PRIMA 759

3.2. – Insidiosissimo appare il principio secondo cui la (presunta) operazione abusiva può aver tratto origine da operazioni economiche realizzate prevalentemente allo scopo di ottenere indebiti vantaggi fi- scali. Se tale principio verrà codificato nel decreto legislativo che do- vrà essere emanato dal Governo, la naturale conseguenza sarà quella di attribuire agli organi di controllo dell’Amministrazione finanziaria un inconcepibile potere discrezionale stante l’ampia «latitudine» del- l’avverbio «prevalente»: l’Amministrazione finanziaria può cioè ritene- re pretestuosamente elusiva, per difetto di causa, un’operazione sul presupposto che lo scopo di ottenere illeciti vantaggi ha rappresentato la causa prevalente per realizzare l’operazione medesima. In tal caso si violerebbe, in modo eclatante, l’art. 23 Cost. in tema di riserva di leg- ge. Ed è ben noto come tale precetto costituzionale abbia tratto origine dalla esigenza, avvertita dai nostri Padri costituenti, di eliminare ogni potere discrezionale alla Pubblica amministrazione disponendo una ri- serva di legge secondo cui le prestazioni patrimoniali e personali pos- sono essere disposte solo dal Parlamento. Il legislatore tributario dovrà quindi disporre, nell’attuazione della delega, che la causa dell’elusività dell’operazione non può che derivare da fini aventi l’esclusiva volontà di ottenere un vantaggio fiscale. È solo in questo modo che può deli- mitarsi il potere discrezionale dell’Agenzia delle entrate evitando, con- seguentemente, che essa stessa possa «abusare» dei suoi poteri ritenen- do, assertivamente, che un’operazione economica derivi, prevalente- mente, dalla volontà di trarre un indebito vantaggio fiscale (28). 3.3. – Queste nostre prime riflessioni – che riteniamo addirittura ovvie – trovano conferma nella recente sentenza 29 dicembre 2013, n. 685 emanata dalla Corte costituzionale francese alla quale era stata ri- messa la relativa eccezione di legittimità in quanto il legislatore trans- alpino, con la legge finanziaria per l’anno 2013, aveva disposto che l’intento elusivo poteva dedursi nella condotta avente «come motivo principale quello di eludere o di ridurre l’onere fiscale». In precedenza la norma antiabuso francese definiva la condotta elusiva come il com- portamento diretto «all’esclusivo scopo di eludere o ridurre l’onere fi- scale»; di qui l’eccezione di legittimità costituzionale. La Suprema Corte francese, con la citata sentenza n. 685 del 2013, ha precisato esattamente quanto da noi sostenuto, nel senso che la modifica dell’avverbio esclusivo con quello principale produce l’ef- fetto di attribuire «un margine di apprezzamento importante all’Ammi- nistrazione finanziaria» mentre i principi contenuti nella dichiarazione dei diritti dell’uomo (vedi articoli 4, 5, 6 e 16) impongono al legisla- tore di «adottare disposizioni di legge sufficientemente precise e nor- me non equivoche al fine di proteggere le persone da interpretazioni

(28) Di questo avviso si è mostrato, in dottrina, Manzitti, Sull’abuso del di- ritto occorre ripristinare il ruolo della legge,inIl Sole 24 Ore del 23 aprile 2014. 760 DIRITTO E PRATICA TRIBUTARIA N. 4/2014 contrarie alla Costituzione o dal rischio di arbitrio, senza che si debba riversare sull’autorità amministrativa o giudiziaria il compito di creare regole, compito che la Costituzione assegna solo alla legge». Come abbiamo già sottolineato, sia le nostre osservazioni che i puntuali principi elaborati, pur nella loro semplicità, dalla Corte costi- tuzionale francese, appaiono di elementare portata; singolare (rectius, inammissibile) appare quindi l’operato del nostro legislatore delegante per aver impunemente sancito, nella legge delega n. 23 del 2014, di «considerare lo scopo di ottenere indebiti vantaggi fiscali come causa prevalente dell’operazione abusiva» rendendo in tal modo maggior- mente penalizzante la norma antielusiva attualmente prevista. Ci auspichiamo che il legislatore delegato possa, sull’esempio for- nito dal Giudice delle leggi transalpino, elaborare una norma antiabuso che sia maggiormente rispondente ai canoni costituzionali. 3.4. – Per completezza dobbiamo osservare che la norma antielu- sione tedesca diviene invece applicabile allorché lo scopo di consegui- re un vantaggio tributario risulti esclusivo. Occorre tuttavia osservare, che la stessa giurisprudenza germanica nutre una scarsa fiducia circa l’efficacia della clausola generale antielusione (29). La stessa Ammini- strazione finanziaria si mostra prudente nell’applicare la norma, giac- ché l’onere della prova è posto a suo carico (30). – Il medesimo prin- cipio è previsto nel diritto elvetico e, come abbiamo appena precisato, in quello francese. In Inghilterra e negli Stati Uniti viceversa, è suffi- ciente la sola prevalenza di conseguire un risparmio d’imposta. 3.5. – Per le argomentazioni sin qui addotte, sorprende non poco la circostanza che, sia i Giudici di merito che la Suprema Corte, non abbiano ancora sollevato alcuna eccezione di legittimità costituzionale con riferimento al contenuto dell’art. 37-bis del d.p.r. n. 600 del 1973. La Suprema Corte ha peraltro inopinatamente sollevato una eccezione (vedi ordinanza 5 novembre 2013, n. 24739) di tale ultima norma ri- guardo il «meccanismo» procedimentale in quanto a suo avviso sareb- be irragionevole prevedere un contraddittorio a pena di nullità per l’elusione e non invece per le ipotesi di abuso del diritto. Il motivo «centrale» del rinvio al Giudice delle leggi si ravvisa nel punto in cui, secondo il suo convincimento, la norma non terrebbe in considerazio- ne che l’elusione si pone in contrasto con il principio fondamentale di capacità contributiva; di qui, la previsione secondo cui ammettere l’au- tomatica nullità dell’avviso a causa dell’omesso contraddittorio porte- rebbe ad annullare pretese fiscali fondate per motivi sorprendentemen- te ritenuti formalistici.

(29) Kruse, Il risparmio d’imposta, l’elusione fiscale e l’evasione,inTratta- to di dir. trib., Padova, 1994, 209 ss. (30) Fischer, L’elusione fiscale. Riflessioni sul diritto tedesco. Relazione presentata al convegno su L’elusione fiscale nell’esperienza europea. PARTE PRIMA 761

La Suprema Corte non ha evidentemente ben compreso che l’elu- sione è ben differente dall’evasione fiscale e che la limitazione del di- ritto alla difesa che essa, nel caso di specie vorrebbe evidentemente sopprimere, si pone in evidente contrasto con l’art. 24 Cost. Il primo di tali fenomeni si caratterizza, nella quasi totalità dei casi, nell’effet- tuazione di operazioni che, sebbene dirette a ridurre il carico fiscale, si distinguono per essere realizzate con strumenti giuridici previsti dal- l’ordinamento e che il conseguimento di un risparmio d’imposta è solo presunto; è quindi sin troppo evidente che, trattandosi, si ribadisce, di situazioni c.d. border line possono tuttavia essere giustificate dal con- tribuente. Di qui, la legittimità del termine di 60 giorni: l’illegittimità costituzionale intravista dalla Suprema Corte è quindi sintomatica di un inutile e dannoso, oltreché inammissibile, «patriottismo» fine a se stesso. 3.6. – Condivisibili appaiono, viceversa, le previsioni che consen- tono di escludere la condotta abusiva se l’operazione (o la serie di operazioni) è giustificata da ragioni extrafiscali non marginali – inten- dendosi per tali anche quelle che non producono necessariamente una redditività immediata dell’operazione ma rispondono ad esigenze di natura organizzativa e determinano un miglioramento strutturale e fun- zionale dell’azienda del contribuente –, nonché di porre a carico del- l’Amministrazione finanziaria l’onere di dimostrare il disegno abusivo e le eventuali modalità di manipolazione e di alterazione funzionale degli strumenti giuridici utilizzati, nonché la loro mancata conformità a una normale logica di mercato. Corretto, appare a nostro avviso, il principio secondo cui gravi sul contribuente l’onere di dimostrare l’esistenza di valide ragioni extrafiscali alternative o concorrenti che giustifichino il ricorso a tali strumenti. In tale ipotesi il legislatore de- legato dovrà prevedere una formale e puntuale individuazione della condotta abusiva nella motivazione dell’accertamento fiscale, a pena di nullità dell’accertamento stesso, e congegnare specifiche regole proce- dimentali che garantiscano un efficace contraddittorio con l’Ammini- strazione finanziaria e salvaguardino il diritto di difesa in ogni fase del procedimento di accertamento tributario. È appena il caso di precisare che le osservazioni che precedono trovano puntuale riscontro nelle affermazioni della Cassazione, la qua- le, con la citata sentenza n. 1372 del 2011, ha precisato che una ope- razione economica, oltre allo scopo di ottenere vantaggi fiscali, può perseguire diversi obiettivi, di natura commerciale, finanziaria, conta- bile ed integra gli estremi del comportamento abusivo qualora e nella misura in cui tale scopo si ponga come elemento predominante ed as- sorbente della transazione tenuto conto sia della volontà delle parti im- plicate che del contesto fattuale e giuridico in cui la transazione stessa viene posta in essere, con la conseguenza che il divieto di comporta- menti abusivi non vale più ove quelle operazioni possono spiegarsi al- trimenti che con il mero conseguimento di risparmi di imposta. È in ogni caso onere dell’Amministrazione finanziaria, ha osservato la Cas- 762 DIRITTO E PRATICA TRIBUTARIA N. 4/2014 sazione, prospettare il disegno elusivo a sostegno delle operate rettifi- che, ma anche le supposte modalità di manipolazione o di alterazione di schemi classici rinvenute come irragionevoli in una normale logica di mercato se non per pervenire a quel risultato di vantaggio fiscale così come incombe al contribuente dimostrare l’esistenza di ragioni economiche alternative o concorrenti di reale spessore che giustifichi- no operazioni così strutturate. L’importanza della enunciazione di detti principi da parte del Giu- dice di legittimità si individua nell’aver sottolineato, in primo luogo, che il perseguimento di fini non economici non giustifica l’Ammini- strazione finanziaria a ritenere esistente, sic et simpliciter, l’intento elusivo. L’onere della prova deve in ogni caso essere posto a carico dell’Amministrazione finanziaria che deve compiutamente dimostrare le ragioni per le quali ritiene un’operazione elusiva di obblighi di leg- ge. L’art. 5 delle legge delega realizza, in definitiva, una politica di modernizzazione riguardo le ragioni, non necessariamente di natura economica, che il soggetto passivo d’imposta può ritenere di compiere nell’interesse dell’impresa senza il (fondato) timore che la sua scelta possa essere oggetto di sindacato di merito da parte degli organi di controllo dell’Amministrazione finanziaria. 3.7. – A conclusione di queste osservazioni non può che confer- marsi che, nel loro complesso, sia l’attuale norma che quella «disegna- ta» dal legislatore delegante, oltre ad apparire asistematiche, sembrano violare i principi costituzionali di cui agli articoli 23 (riserva di legge), 24 (diritto alla difesa) e 53 (capacità contributiva) e, in ogni caso, non rispondenti a criteri di giustizia tributaria giacché attribuiscono, al- l’Amministrazione finanziaria, un inaccettabile potere discrezionale. È sin troppo evidente, invero, che uno stato moderno e democratico deve codificare il divieto di comportamenti elusivi in modo da evitare, da un lato, che i soggetti passivi d’imposta possano ottenere illeciti ri- sparmi d’imposta generando, in tal modo, ingiustificate discriminazio- ni tra i consociati tenuti al pagamento delle imposte secondo i «para- metri» fissati, non solo dalla normativa tributaria, ma anche dalla stes- sa Costituzione; dall’altro, è tuttavia innegabile che è «dovere» del le- gislatore tributario concepire una norma antielusiva che consenta ai contribuenti un sufficiente quadro di certezza riguardo la scelta delle operazioni da effettuare senza avere eccessivi timori che le scelte me- desime saranno con ogni probabilità contestate dagli organi di control- lo dell’Amministrazione finanziaria evitando, in tal modo, «salti» d’imposta mediante la realizzazione strumentale di negozi che, in as- senza di riduzioni d’imposta od altri analoghi vantaggi, non sarebbero stati posti in essere. In presenza di detti negozi la giusta imposta non può dunque che essere determinata in funzione della operazione che sarebbe stata effettuata in mancanza dei cennati benefici. È fuor di dubbio, dunque, come la volontà di contrastare il fenomeno dell’elu- sione tributaria nasca, oltre che da motivi etici, soprattutto da l’indi- PARTE PRIMA 763 sponibile principio di uguaglianza. È questa la ragione per la quale, a nostro avviso, si rende applicabile, anche alla materia tributaria, l’art. 1344 del codice civile in quanto il contratto in frode a legge si fonda sulla intenzione di ottenere indebiti vantaggi tributari violando gli arti- coli2e53Cost., vale a dire, interessi di ordine collettivo oltre, benin- teso, le norme contenute nel diritto tributario positivo (31).

4. – Una soluzione de iure condendo

4.1. – Al termine del nostro lavoro non possiamo non ipotizzare quali dovrebbero essere le guide lines sulle quali il Governo dovrebbe basarsi per l’emanazione del decreto delegato. 4.2. – La «nuova» norma antielusiva dovrebbe prevedere che le operazioni che, in astratto, possono formare oggetto di sindacato di merito da parte degli organi di controllo dell’Amministrazione finan- ziaria dovrebbero essere limitate a quelle insolite (rectius, abnormi) vale a dire a quegli atti che per le modalità di attuazione risultano ef- fettuati al prevalente fine di conseguire un risparmio di imposta (32). La norma dovrebbe prevedere che la presunzione di elusività di una operazione non può, cioè, che essere basata su rigorosi elementi di fat- to diretti a dimostrare che le operazioni stesse, per la loro intrinseca natura, potevano essere realizzate con negozi giuridici maggiormente appropriati all’operazione effettuata e che, pur di conseguire indebiti vantaggi tributari, il soggetto passivo d’imposta ha posto in essere atti inusuali. La «nuova» norma dovrebbe quindi sancire espressamente la prevalenza della sostanza sulla forma (substance over form). Una sif- fatta previsione è peraltro già contemplata dal nostro sistema tributa- rio; facciamo riferimento, in punto di fatto, all’art. 20 del t.u. 26 aprile 1986, n. 131 il quale dispone che l’imposta si applica secondo la in- trinseca natura e gli effetti giuridici degli atti presentati alla registra- zione, anche se non vi corrisponda il titolo o la forma apparente.

4.3. – L’auspicata modifica all’art. 37-bis, del d.p.r. n. 600 del 1973 dovrebbe in definitiva essere congegnata nel senso di consentire all’Amministrazione finanziaria di ritenere effettuate con fini elusivi

(31) A favore dell’applicabilità dell’art. 1344 c.c., vedi, Gallo, Brevi spunti in tema di elusione e frode alla legge (nel reddito d’impresa),inRass. trib., 1989, 11 ss.; Santonastaso, I negozi in frode alla legge fiscale, retro, 1970, 511. (32) La Corte di giustizia europea ha precisato, con sentenza n. 22932 del 2005, che i singoli non possono avvalersi abusivamente delle norme comunitarie dovendosi intendere per operazione abusiva quell’operazione o quella concatena- zione di operazioni commerciali anormali compiute al solo scopo di beneficiare dei vantaggi concessi dalle norme comunitarie andando in tal modo oltre le fina- lità sottese alle norme comunitarie aggirate. 764 DIRITTO E PRATICA TRIBUTARIA N. 4/2014 tutte quelle operazioni realizzate con fatti, atti e negozi, anche collega- ti tra loro nel tempo che, per le loro caratteristiche, appaiono oggetti- vamente inusuali e dai quali derivano, tuttavia, vantaggi tributari che non sarebbero stati conseguiti se le operazioni fossero state effettuate secondo la loro natura. È utile al riguardo ricordare che un’analoga di- sposizione è contenuta nel sistema fiscale tedesco e, in particolare, nel par. 42 della Abgabenordung (la legge di gestione delle imposte) la quale dispone testualmente che «la legge tributaria non può essere ag- girata mediante abuso delle possibilità di forme giuridiche. Se sussiste abuso, la pretesa tributaria sorge così come sorgerebbe in presenza di una forma giuridica adeguata alla situazione economica». Non appare inoltre irragionevole osservare che la locuzione «ra- gioni economiche» è stata utilizzata, dal legislatore tributario, in via del tutto residuale ricomprendendo qualunque convenienza economica che non sia, ovviamente, di natura fiscale (33). 4.4. – L’onere della prova, per le ragioni sin qui esposte, non po- trebbe naturalmente che ricadere sugli organi di controllo dell’Ammi- nistrazione finanziaria i quali oltre a specificare, con adeguate motiva- zioni, le ragioni per le quali l’operazione è ritenuta elusiva, dovrebbe- ro descrivere quale operazione avrebbe dovuto effettuare il contribuen- te. In questo modo si limiterebbero drasticamente gli accertamenti strumentali chiaramente finalizzati ad incrementare con dubbia legitti- mità il gettito tributario. È utile in proposito rammentare che la Cassa- zione, con sentenza n. 3947 del 2011, ha precisato che per censurare un’operazione sotto il profilo dell’abuso del diritto l’Amministrazione finanziaria deve evidenziare il risparmio fiscale ottenuto in concreto dal soggetto passivo d’imposta e chiarire le ragioni dell’irrazionalità economica dell’operazione stessa. La Cassazione è pervenuta alla riportata conclusione sull’assunto che l’Agenzia delle entrate aveva omesso di dimostrare sia il rispar- mio fiscale in concreto conseguito dalla società sia i motivi presi a ba- se per ritenere l’operazione economica irrazionale. Il Giudice di legit- timità, pur riconoscendo la possibilità per l’Amministrazione finanzia- ria di disconoscere gli effetti abusivi di negozi posti in essere dai sog- getti passivi d’imposta, ha in definitiva ritenuto legittimo il ricorso a tali presunzioni solo quando queste ultime siano sostenute da elementi di fatto diretti a dimostrare l’effettiva esistenza di un «disegno» diretto a conseguire, ai danni della collettività, un illegittimo risparmio d’im- posta. La Cassazione ha peraltro «ammonito» il Giudice di merito il quale avrebbe dovuto accertare l’effettiva consistenza dei motivi ad- dotti dall’ufficio.

(33) Desideri, Operazioni Societarie elusive: 10 questioni da meditare,in Corr. trib., 1992, 1293; Tabellini, Fusioni di società ed elusione di imposta,in Rass. trib., 1994, 1150 ss. PARTE PRIMA 765

4.5. – Dovrebbe, infine, essere previsto che l’elusività di una ope- razione deve essere sollevata solo dall’Amministrazione finanziaria già nell’avviso di accertamento e che, a tal fine, si rende applicabile l’art. 57 del d.lgs. n. 546 del 1992 in tema di divieto dello ius novorum con la conseguenza che la stessa Amministrazione finanziaria non può ec- cepire eccezioni di elusività nei gradi di giudizio successivi al primo. In coerenza con tale tassativo principio l’eccezione in parola non può essere rilevata d’ufficio da parte del giudice tributario.

4.6. – Al termine delle osservazioni che precedono, e sulla base delle nostre argomentazioni, possiamo ipotizzare una norma antiabuso così concepita: «1. Un’operazione si ritiene elusiva se effettuata con strumenti giuridici che, nel loro complesso, appaiono insoliti e che, per gli effet- ti voluti dalle parti, si mostri in contrasto rispetto alla sua intrinseca natura, sempreché sia stata realizzata esclusivamente al fine di ottenere vantaggi fiscali di qualsiasi natura e senza valide ragioni. 2. Qualora l’Amministrazione finanziaria ritenga sussistere i pre- supposti di cui al 1o comma, emana l’avviso di accertamento previa ri- chiesta al contribuente, anche per lettera raccomandata, a pena di nul- lità, di chiarimenti da inviare entro 60 giorni dalla data di ricezione della richiesta nella quale devono essere indicati analiticamente i moti- vi per i quali si ritiene applicabile il 1o comma nonché la dimostrazio- ne dell’elusività dell’operazione indicando, altresì, quale operazione avrebbe dovuto essere effettuata dal contribuente. L’avviso di accerta- mento è nullo se emanato anteriormente alla predetta scadenza di 60 giorni. 3. Se l’Amministrazione finanziaria non ritiene validi i chiarimen- ti forniti dal contribuente, disconosce i vantaggi tributari conseguiti mediante gli atti, i fatti e i negozi di cui al 1o comma, applicando le imposte determinate in base alle disposizioni eluse, al netto delle im- poste dovute per effetto del comportamento del contribuente. 4. L’eccezione dell’intento elusivo deve essere contenuta espressa- mente nell’avviso di accertamento; si applica l’art. 57 del d.lgs. 31 di- cembre 1992, n. 546. L’eccezione non può essere fatta valere d’ufficio dal giudice in nessun grado di giudizio».

prof. MASSIMO PROCOPIO Professore a contratto di Diritto tributario Università Luiss di Roma LA DISCIPLINA IMPOSITIVA DEI REDDITI DELLE SOCIETÀ SEMPLICI (*)

Sintesi: Nel presente contributo vengono esaminate le principali peculiarità che contraddistinguono la disciplina impositiva dei redditi delle società semplici rispetto a quella delle altre società di persone (commerciali). In particolare, potendo avere per og- getto esclusivamente l’esercizio di attività economiche lucrative non commerciali, le so- cietà semplici si distinguono dalle società di persone commerciali per la diversa tipolo- gia del reddito conseguito, con tutte le conseguenze e (soprattutto) le problematiche in- terpretative che questo comporta in sede di applicazione del regime impositivo di c.d. trasparenza fiscale (il quale, invero, costituisce l’unico elemento di condivisione con le società di persone commerciali). Sotto tale profilo vengono esaminate anche le princi- pali problematiche interpretative poste dalla disciplina impositiva delle ipotesi di «usci- ta» del socio dalla società semplice.

SOMMARIO: 1. La disciplina impositiva dei redditi delle società semplici: profili introdutti- vi. – 2. Il regime di trasparenza fiscale delle società semplici: le principali peculiarità rispetto alla disciplina impositiva delle società di persone commerciali. – 3. La deter- minazione del reddito delle società semplici e la sua imputazione per trasparenza ai soci. – 4. La rilevanza fiscale della distribuzione ai soci dell’utile prodotto dalla so- cietà semplice. – 5. La disciplina impositiva delle ipotesi di «uscita» del socio dalla società semplice.

1. – La disciplina impositiva dei redditi delle società semplici: profili introduttivi

La disciplina impositiva dei redditi delle società semplici è (inevi- tabilmente) condizionata da quella che, sotto il profilo civilistico, co- stituisce la principale peculiarità di tale tipologia di società di persone, ossia la sua inidoneità (ex art. 2249 c.c.) ad essere utilizzata per l’eser- cizio di attività commerciali. Difatti, la società semplice, quale forma più elementare di società, può avere per oggetto esclusivamente l’esercizio di attività economi- che lucrative non commerciali. Per tale ragione, sotto l’influenza della tradizionale bipartizione

(*) Contributo sottoposto a revisione anonima da parte di professori ordinari e fuori ruolo italiani e valutato positivamente da due componenti del Comitato scientifico della Rivista. PARTE PRIMA 767 delle attività economiche tra impresa commerciale ed impresa agricola, a cui è ispirato il codice civile, la disciplina delle società semplici ivi contenuta (artt. 2251 ss., c.c.) sembrerebbe «spingere» tale forma so- cietaria verso la seconda tipologia di attività economica, con un conse- guente (alquanto limitato) «fisiologico» ambito di operatività della stessa circoscritto essenzialmente all’esercizio di attività agricole (1). In verità, secondo i più recenti orientamenti (2) tale impostazione dovrebbe ritenersi superata dall’evoluzione della realtà economica e, in parte, anche da quella normativa. In particolare, secondo tali recenti orientamenti l’ambito di operatività delle società semplici non sarebbe affatto circoscritto al solo esercizio di attività agricole, potendo essere utilizzate anche per l’esercizio (in forma associata) di arti e professio- ni oppure per il mero godimento di beni, come, ad esempio, per lo svolgimento dell’attività di gestione «statica» di immobili (3).

(1) Nell’ambito della dottrina commerciale è stato osservato come la società semplice «fu peculiarmente concepita per» le attività agricole, anche se, «in con- creto appaiono riconducibili alla società semplice quasi esclusivamente le attività agricole esercitate in società di fatto: infatti, raramente accadrà che le parti, vo- lendo scegliere una forma societaria, adoperino la società semplice, in quanto le esigenze di accesso alle agevolazioni creditizie e fiscali previste per le attività agricole consiglieranno di utilizzare invece la società cooperativa a responsabilità limitata o illimitata, ovvero una società di capitali» (in questi termini F. Di Saba- to, Diritto delle società, Milano, 2011, 3a ed., 90). Sul punto si veda anche F. Galgano, Le società in genere. Le società di persone,inTrattato di diritto civile e commerciale, già diretto da A. Cicu - F. Messineo - L. Mengoni, continuato da P. Schlesinger, Milano, 2007, 172 ss. In ambito tributario cfr. N. Montuori - P.P. Caruso, Società semplice e mera detenzione di beni fruttiferi: un abbinamento da rispolverare?,inBoll. trib., 2008, 619. (2) Si veda, in particolare, G. Baralis, Una «nuova» società semplice: la so- cietà immobiliare di mero godimento e la società semplice di mero godimento in genere, CNN Studi, 25 marzo 2003, Studio n. 4256 (consultabile sul sito www- .notariato.it); M.C. Lupetti, Se siano ammissibili società semplici di «mero godi- mento»,inLe Società, 2009, 1026 ss., ai quali si rinvia anche per la ricostruzione delle varie posizioni dottrinali e giurisprudenziali sul tema, oltre che per i relativi riferimenti bibliografici e giurisprudenziali. (3) Con specifico riferimento all’attività di locazione di immobili, in dottri- na si è sostenuto che andrebbe qualificata come attività imprenditoriale (dunque commerciale) l’attività di ricerca, acquisto e successiva locazione di immobili, se effettuata secondo evidenti criteri speculativi; di contro, non andrebbe qualificata come imprenditoriale, l’attività consistente nel mero acquisto di immobili, effet- tuato senza i connotati della speculatività, per scopo di godimento. In tal senso cfr. M. Casanova, Impresa e azienda,inTrattato di Diritto civile italiano, Torino, 1974, 78; T. Ascarelli, Corso di diritto commerciale, Milano, 1962, 162-163; E. Zanelli, La nozione di oggetto sociale, Milano, 1962, 337. Per un approfondimen- to di tali questioni si veda G. Baralis, Una «nuova» società semplice: la società immobiliare di mero godimento e la società semplice di mero godimento in gene- re, cit., passim. Peraltro, sul punto è qui opportuno ricordare come secondo una parte della dottrina (G. Ferri jr., L’oggetto sociale statutario, CNN Studi, 22 lu- 768 DIRITTO E PRATICA TRIBUTARIA N. 4/2014

In merito a quest’ultimo punto, in questa sede è interessante ricor- dare come tale specifica modalità di utilizzo della società semplice (id est funzionale al mero godimento di beni) per diverso tempo sia stata osteggiata dal prevalente orientamento dottrinale e giurisprudenziale, soprattutto perché la previsione di cui all’art. 2248 c.c. sottrarrebbe al- l’ambito di operatività delle società in genere, ivi incluse le società semplici, l’attività di mero godimento di beni, affidandola in via esclu- siva al diverso istituto della comunione (4).

glio 2002, Studio n. 3936) la nozione di attività economica di cui all’art. 2247 c.c. sarebbe più ampia rispetto alla nozione codicistica di «impresa» e tale consta- tazione dovrebbe condurre a ritenere che anche l’attività di mera fruizione in co- mune dei frutti civili (se relativa a più beni) darebbe luogo ad un’attività sociale di tipo «commerciale» ex art. 2247 c.c. Tuttavia, se si seguisse tale impostazione si porrebbe un ulteriore problema, in quanto le società semplici aventi tale ogget- to dovrebbero, conseguentemente, qualificarsi come «commerciali», ma tale quali- ficazione si scontrerebbe con la regola della inammissibilità di società semplici aventi un oggetto di carattere commerciale. Ed ancora, con riferimento agli inter- venti del legislatore tributario di cui di dirà a breve, è stato osservato (G. Baralis, Una «nuova» società semplice: la società immobiliare di mero godimento e la società semplice di mero godimento in genere, cit., 4) come l’impostazione dottri- nale poco sopra indicata «renderebbe inspiegabile il percorso legislativo: se, infat- ti, l’attività di godimento di frutti civili può essere attività canonicamente impren- ditoriale, le esistenti società di gestione non costituiscono un abuso e l’attività del legislatore tributario sarebbe quasi un non sense. Salvo ritenere che l’attività di godimento dia luogo a impresa “civile” ma l’autore citato lo nega; salvo ritenere che il legislatore si sia riferito solo alle società in cui i soci di fatto godono essi stessi dei beni sociali o alle società che locano il loro unico bene a terzi (e co- munque chi segue tale linea di pensiero dovrebbe pur sempre spiegare “come mai” questi enti si possano chiamare ancora “società”). Ma questa restrizione è indebita». Ed in effetti, oltre a tale considerazione, appare anche condivisibile l’ulteriore osservazione di quest’ultimo Autore secondo cui l’attività di mera per- cezione dei frutti derivanti dalla locazione di immobili non può essere considera- ta, di per sé, un’attività produttiva (id est commerciale) perché espressione di una attività di gestione di tipo «statico» (di rentier); di contro, potrebbe diventare un’attività di tipo produttivo (quindi commerciale) nella misura in cui tale attività assuma i connotati («imprenditoriali» appunto) di un «servizio» rientrante nel- l’ambito delle attività di cui all’art. 2195 c.c. (in tal senso cfr. sempre G. Baralis, Una «nuova» società semplice: la società immobiliare di mero godimento e la società semplice di mero godimento in genere, cit., 4, cui si rinvia per ulteriori ri- ferimenti bibliografici sul tema). Da ultimo, sempre sul punto si ricorda anche che, secondo altra parte della dottrina (P. Ferrero, Le società immobiliari, profili descrittivi e profili di validità, in AA.VV., La casa di abitazione tra normativa vigente e prospettive, Milano, II, 1986, 33-37), la nozione di attività economica andrebbe distinta tra attività im- prenditoriale ex art. 2195 c.c. (propria delle società commerciali), ed attività eco- nomica anche di mero godimento che può dar luogo, alternativamente, ad una co- munione di godimento oppure ad una società semplice. (4) Nell’ambito della dottrina commerciale tradizionale, ha escluso la com- patibilità dell’attività di mero godimento di beni con il fenomeno societario, tra PARTE PRIMA 769

Tuttavia, negli ultimi tempi – come detto – si registrano muta- menti interpretativi volti, invece, a ritenere giuridicamente ammissibili anche società semplici di mero godimento di beni (5). In tal senso, uno dei principali «agganci normativi» per sostenere questo nuovo approccio interpretativo è stato individuato proprio nella normativa fiscale e, in specie, nella tendenza del Legislatore ad agevo- lare, sotto il profilo fiscale, la trasformazione in società semplici di so- cietà commerciali aventi (di fatto) per oggetto esclusivo il mero godi- mento di beni immobili non strumentali, di beni mobili registrati o di quote di partecipazione in società. Si tratta, cioè, di provvedimenti normativi (6) attraverso i quali si è cercato di contrastare il fenomeno delle cc.dd. «società senza impresa», agevolandone, sotto il profilo fi- scale, lo scioglimento oppure la trasformazione in società semplice. Ebbene, proprio questi interventi normativi, seppure di natura fi- scale a carattere temporaneo (anche se reiterati nel tempo), sono stati

gli altri, G.F. Campobasso, Diritto commerciale. II Diritto delle società, Torino, 2013, 34-35. In particolare, secondo quest’ultimo Autore, dal disposto di cui al- l’art. 2248 c.c. sarebbe desumibile che «il legislatore ha voluto fissare il principio che il regime patrimoniale delle società è applicabile solo quando i beni sono de- stinati allo svolgimento di un’attività di impresa. (...) In breve, l’art. 2248 può e deve essere letto nel senso che sono vietate le società di mero godimento. Esse costituiscono un abuso dell’istituto societario ed un abuso a danno dei creditori personali dei comproprietari. Non bisogna tuttavia cadere in facili ma non corrette generalizzazioni. Vietate sono solo le società di mero godimento, mentre (...) non vi è incompatibilità fra godimento dei beni ed attività produttiva. La stessa attivi- tà può costituire nel contempo godimento di beni preesistenti e attività produttiva di nuovi beni o servizi. Certamente illegittime sono perciò le c.d. società immobi- liari di comodo; società il cui patrimonio attivo è costituito esclusivamente dagli immobili conferiti dai soci e la cui attività si esaurisce nel concedere tali immobi- li in locazione a terzi o agli stessi soci, senza produrre e fornire agli uni o agli al- tri alcun servizio collaterale. Tali società, costituite essenzialmente per ragioni di evasione fiscale, sono nulle per violazione di norma imperativa, anche se il feno- meno non è agevolmente reprimibile». (5) Sul punto si vedano, tra gli altri, G. Baralis, Una «nuova» società sem- plice: la società immobiliare di mero godimento e la società semplice di mero godimento in genere, cit., 1 ss.; M.C. Lupetti, Se siano ammissibili società sem- plici di «mero godimento», cit., 1026 ss.; N. Montuori - P.P. Caruso, Società semplice e mera detenzione di beni fruttiferi: un abbinamento da rispolverare?, cit., 619 ss.; L. Corsini, La società semplice e la gestione di patrimoni di fami- glia,inFisco, 2007, 3956 ss.; R. Lupi, Le assegnazioni agevolate ai soci: l’art. 29 della L. 27 dicembre 1997, n. 449 alla luce dei principi generali,inRass. trib., 1999, 361 ss.; A. Vignoli, Le società di mero godimento tra assegnazione agevolata e trasformazione in società semplice,inRass. trib., 1998, 749 ss. (6) In tal senso si veda l’art. 29, l. n. 449, del 27 dicembre 1997, come mo- dificato dall’art. 13, l. n. 449 del 18 febbraio 1999. Tale disciplina è poi stata rei- terata dall’art. 3, commi da 7o a10o, l. n. 448 del 28 dicembre 2001 e, più recen- temente, dall’art. 1, commi da 111o a 117o, l. n. 296 del 27 dicembre 2006 e dal- l’art. 1, 129o comma, l. n. 244 del 24 dicembre 2007. 770 DIRITTO E PRATICA TRIBUTARIA N. 4/2014 letti come indicativi di un cambio di rotta sotto il profilo civilistico, nel senso che il necessario presupposto (civilistico) degli stessi sareb- be rappresentato dal fatto che, così facendo, l’ordinamento giuridico avrebbe iniziato a vedere nelle società semplici il naturale strumento per l’esercizio, in forma societaria, dell’attività di gestione statica di beni, quale alternativa alla forma giuridica della comunione di godi- mento, così da raccogliere (pur con le dovute differenze) l’eredità del- le «società particolari» (cc.dd. «società civili») di mero godimento contemplate dall’abrogato art. 1705 del codice civile del 1865 (espunte dal codice civile del 1942) (7). Peraltro, in tal senso è stato anche osservato (8) come questa so- luzione interpretativa sembrerebbe trovare un’ulteriore conferma anche nella disciplina di cui all’art. 2, d.lgs. 18 maggio 2001, n. 228; difatti, quest’ultima, nell’attribuire valore dichiarativo (ai sensi dell’art. 2193 c.c.) alla pubblicità nel registro delle imprese («sezione speciale») pre- vista per le «società semplici esercenti attività agricola», sembrerebbe lasciar presumere l’esistenza di società semplici aventi un oggetto di- verso dall’attività agricola (in particolare, attività di gestione statica di patrimoni), per le quali l’iscrizione in tale registro varrebbe solo come pubblicità notizia. Ebbene, le (poco sopra) descritte attività economiche che possono costituire oggetto tipico delle società semplici e, più in generale, la circostanza che alle società semplici sia consentito solo l’esercizio di attività economiche lucrative non commerciali, come anticipato, condi- ziona inevitabilmente le modalità di imposizione dei redditi prodotti da tale tipologia di società. In particolare, come si vedrà meglio a breve, questa specifica ca- ratterizzazione delle società semplici costituisce la ragione giustifica- trice delle divergenze esistenti tra la disciplina reddituale di tale tipo societario rispetto alla disciplina reddituale degli altri tipi di società di persone (id est quelle commerciali), con cui, tuttavia, condivide la struttura impositiva di base, ossia il c.d. regime di trasparenza fiscale ex art. 5, T.U. delle imposte sui redditi, approvato con d.p.r. 22 di- cembre 1986, n. 917 (t.u.i.r.) (9).

(7) Per un’analisi del passaggio dalla società civile (prevista dall’abrogato codice civile del 1865) alla società semplice e sulle relative differenze organizza- tive e di disciplina si veda R. Bolaffi, La società semplice: contributo alla teoria delle società di persone, Milano, 1975, 1 ss. Più recentemente, per un confronto tra la società semplice e la «società civile» si veda F. Galgano, Le società in ge- nere. Le società di persone, cit., 170 ss. (8) Si veda M.C. Lupetti, Se siano ammissibili società semplici di «mero godimento», cit., 1027. (9) Per un’approfondita analisi del principio di trasparenza fiscale, quale si- stema di imposizione dei redditi delle società di persone, si veda P. Boria, Il prin- cipio di trasparenza nella imposizione delle società di persone, Milano, 1996, passim. Più recentemente, sia pure con specifico riferimento al regime (opzionale) PARTE PRIMA 771

Difatti, sebbene il corpus normativo del trattamento impositivo dei redditi delle società semplici sia costituito da una molteplicità di norme sparse un po’ ovunque all’interno del t.u.i.r. (in verità, non sempre direttamente concepite per le società semplici ma a queste ulti- me, comunque, applicabili), è fuor di dubbio che la principale disposi- zione normativa di rifermento (da cui consegue l’applicazione delle al- tre) è costituita proprio dal citato art. 5, t.u.i.r., il quale, nel definire il regime di trasparenza fiscale dei redditi prodotti in forma associata, dispone testualmente quanto segue: i redditi delle società semplici, in nome collettivo e in accomandita semplice residenti nel territorio del- lo Stato sono imputati a ciascun socio, indipendentemente dalla perce- zione, proporzionalmente alla sua quota di partecipazione agli utili. Pertanto, anche le società semplici, similmente alle società di per- sone commerciali (ed alle società ed associazioni equiparate ex art. 5, 3o comma, t.u.i.r.), pur costituendo centri di imputazione di situazioni giuridicamente rilevanti, tuttavia, non sono soggette all’obbligo di ver- samento dell’irpef (così come non sono neppure soggette all’obbligo di versamento dell’ires) (10), in quanto il reddito dalle stesse conse-

di trasparenza fiscale delle società di capitali, si veda F. Rasi, La tassazione per trasparenza delle società di capitali a ristretta base proprietaria. Profili rico- struttivi di un modello impositivo, Padova, 2012, passim (in particolare, per una ricostruzione storica dell’evoluzione normativa del principio di imputazione giuri- dica dei redditi societari direttamente in capo ai soci, cfr. pag. 3, nota 4). (10) La dottrina tradizionale ha sempre ritenuto che, così come per le socie- tà di persone commerciali, anche per le società semplici occorre distinguere (uti- lizzando le definizioni di F. Rasi, La tassazione per trasparenza delle società di capitali a ristretta base proprietaria. Profili ricostruttivi di un modello impositi- vo, cit., 4) tra una «soggettività in senso sostanziale», riferibile ai soci perché su di loro incombe l’obbligo di pagare l’imposta, ed una «soggettività in senso for- male», riferibile alla società in quanto destinataria degli obblighi di natura forma- le prodromici all’adempimento dell’obbligo di pagare l’imposta, nonché (e per l’effetto) in quanto «soggetto passivo» della procedura di accertamento dei redditi societari (accertamento che è, comunque, destinato a riflettersi sui soci). In tal senso cfr., tra gli altri, C. Magnani, Sull’accertamento dei redditi di partecipazio- ne delle società di persone, in AA.VV., La riforma delle imposte dirette, Bari, 1973, 237; E. Potito, Soggetto passivo di imposta,inEnc. dir., XLII, Milano, 1990, 1226; G.A. Micheli - G. Tremonti, Obbligazioni (diritto tributario),inEnc. dir., XXIX, Milano, 1979, 431; A. Berliri, Corso istituzionale di diritto tributa- rio, Milano, 1978, vol. II, 32 ss.; N. d’Amati, La progettazione giuridica del red- dito, Padova, 1973, 221; G.A. Micheli, Società di persone e società di capitali di fronte alla legge tributaria,inOpere minori di diritto tributario, vol. II, Milano, 1982, 371; G. Puoti, L’imposta sul reddito delle persone fisiche,inTrattato di di- ritto tributario, A. Amatucci (a cura di), IV, Padova, 1994, 9 ss., nota 2. Tutta- via, per una impostazione parzialmente differente cfr. P. Boria, Il principio di tra- sparenza nella imposizione delle società di persone, cit., 347 ss. In particolare, quest’ultimo Autore sul punto ha cura di precisare (in modo sostanzialmente con- divisibile) quanto segue: «la contestuale elezione delle società di persone e dei soci a centri di riferibilità di fattispecie giuridiche significa che entrambi assumo- 772 DIRITTO E PRATICA TRIBUTARIA N. 4/2014 guito viene automaticamente ripartito tra i soci (id est imputato loro per trasparenza) ed assoggettato ad imposta in capo a questi ultimi (pertanto, assoggettato ad irpef se il socio è soggetto a tale tributo per- sonale ovvero assoggettato ad ires se il socio è uno dei soggetti di cui all’art. 73, t.u.i.r. (11)). Più precisamente, il reddito o la perdita delle società di persone (nella specie, delle società semplici (12)) viene imputato (per traspa-

no il ruolo di soggetto giuridico nella disciplina dell’irpef. Sulla premessa infatti che l’organizzazione delle società di persone presenta l’astratta idoneità ad essere considerata un soggetto giuridico in quanto avente i connotati di una organizza- zione di attività, per riconoscere in concreto la soggettività giuridica è sufficiente riscontrare una effettiva imputazione di fattispecie all’organizzazione medesima; la qual cosa si riscontra appunto quanto alla riferibilità dell’attività e dei beni. La dottrina tributaria, peraltro, nella descrizione del fenomeno giuridico della “tra- sparenza” non sembra aver avuto compiutamente presente la soggettività delle so- cietà personali. Essa, infatti, classifica tradizionalmente le società di persone co- me soggetti passivi dell’obbligazione tributaria per l’ilor, ma non anche per l’ir- pef in cui la qualifica di soggetti passivi dell’obbligo di pagare l’imposta spetta direttamente ai soci; piuttosto, quanto all’irpef, le società di persone vengono de- finite come soggetti passivi della procedura di accertamento. Siffatto genere di definizioni appare fuorviante ove induca a ritenere che esiste un diverso grado di soggettività a seconda del tipo di imposta: una soggettività piena, con titolarità cioè di tutte le situazioni giuridiche tipiche del diritto tributario, ivi inclusa quella principale dell’obbligazione tributaria, ed una soggettività ridotta, con titolarità li- mitata soltanto alla procedura di accertamento. In realtà, considerando come detto che la soggettività giuridica degli enti collettivi è da rintracciare quando sono im- putati in capo all’organizzazione fatti che compongono fattispecie e in specie quando l’attività viene considerata nel mondo giuridico come posta in essere dal- l’ente collettivo, se ne può dedurre che le società di persone sono da considerare soggetti giuridici sia per l’irpef che per l’ilor, in quanto riconosciute in entrambi i casi come i centri di imputazione dell’attività. Esiste dunque un’unica qualifica di soggetto giuridico, che non è suscettibile di venire graduata in relazione al nume- ro di norme imputate ad un centro decisionale. Le definizioni di soggetto passivo dell’obbligazione tributaria e di soggetto passivo dell’accertamento presentano in- vece una loro validità, più descrittiva che tecnicamente precisa, ove si riferiscano esclusivamente al tipo di fattispecie giuridiche imputate al soggetto: in tal caso esse stanno ad indicare in sostanza il complesso di situazioni giuridiche per cui si applica lo schema imputazione/organizzazione». (11) La possibilità che il socio di una società semplice sia una società di capitali deve ritenersi ammissibile alla luce della «nuova» previsione di cui al- l’art. 2361, 2o comma, c.c., introdotta a seguito della riforma del diritto societario (ex d.lgs. n. 6 del 2003). In tal senso (anche per i relativi riferimenti bibliografici sull’argomento) si veda U. Tombari, La partecipazione di società di capitali in società di persone come nuovo «modello di organizzazione dell’attività di impre- sa», CNN Studio n. 6072/I del 24 marzo 2006 (consultabile sul sito www.notaria- to.it). (12) Con specifico riferimento alle componenti negative di reddito generate dall’attività e dai beni della società semplice, si rinvia alle considerazioni svolte infra in merito alla «questione» del riconoscimento di una «forma» di rilevanza PARTE PRIMA 773 renza) in capo a ciascun socio indipendentemente dalla effettiva perce- zione e proporzionalmente alla rispettiva quota di partecipazione agli utili. Si assiste, quindi, ad una netta distinzione tra il momento della percezione materiale del reddito da parte del socio ed il momento del- l’assoggettamento ad imposta di tale reddito direttamente in capo al socio (quest’ultimo da individuarsi in quello in cui «emerge la “nuova ricchezza”, patrimonio comune degli associati» (13)). Fra l’altro, tale impostazione (che poggia su di una presunzione legale assoluta di per- cezione degli utili da parte dei soci delle società di persone) è ritenuta compatibile con il principio di capacità contributiva (ex art. 53 Cost.) in ragione della «immedesimazione» esistente tra la società di persone ed i singoli soci (anche quelli non amministratori) (14), i quali, tra l’altro, «vantano un immediato diritto ad apprendere la quota di utile di loro spettanza e possono, in maniera diretta e penetrante, orientare le scelte imprenditoriali della società» (15). In ragione di ciò, la legge tributaria considera la società semplice (similmente alle società di persone commerciali ed alle società ed as- sociazioni equiparate ex art. 5, 3o comma, t.u.i.r.) un autonomo centro di imputazione di situazioni giuridicamente rilevanti, a cui, dunque, sono riferibili attività e beni e, conseguentemente, fattispecie impositi- ve che andranno determinate (nella loro base imponibile) in capo alla società semplice e da quest’ultima dichiarate; tuttavia, in applicazione dello schema di imposizione per trasparenza, sulla società semplice non incombe (anche) il relativo obbligo di versamento delle imposte sui redditi (il quale incombe, invece, sui singoli soci). Pertanto, sulla società semplice (16) incombono tutti gli obblighi strumentali alla determinazione del reddito imponibile (in particolare, quello dichiarativo) e, conseguentemente, a quest’ultima è attribuita anche la «soggettività passiva» ai fini delle attività di accertamento del reddito dalla stessa conseguito, i cui effetti sono, comunque, destinati a riflettersi in capo ai soci (17). fiscale per quelle componenti negative di reddito che in base alle ordinarie regole di determinazione delle singole categorie reddituali non sarebbero deducibili dalla relativa base imponibile. (13) In questi termini Cass., 2 agosto 2002, n. 11550 (in banca dati Fi- sconline). (14) Cfr. M. Leo, Le imposte sui redditi nel testo Unico, Milano, 2010, 106. (15) In questi termini F. Rasi, La tassazione per trasparenza delle società di capitali a ristretta base proprietaria. Profili ricostruttivi di un modello impositivo, cit., 4, il quale, a sua volta, richiama, P. Filippi, Redditi prodotti in forma associa- ta,inEnc. giur., V, Roma, 1988, 1. Ed in effetti, come correttamente osservato da tali Autori, sono essenzialmente queste le ragioni per le quali il modello impositi- vo della trasparenza è stato tradizionalmente riservato alle società di persone. (16) Occorre, peraltro, ricordare che, ai sensi dell’art. 23, 1o comma, d.p.r. n. 600 del 1973, anche le società semplici assumono la qualifica di sostituto di imposta, con tutti i conseguenti obblighi che ciò comporta. (17) Sul punto si rinvia alle considerazioni già svolte nella precedente nota n. 10. 774 DIRITTO E PRATICA TRIBUTARIA N. 4/2014

2. – Il regime di trasparenza fiscale delle società semplici: le principa- li peculiarità rispetto alla disciplina impositiva delle società di persone commerciali

Ciò posto, nel prosieguo l’attenzione sarà incentrata, soprattutto, sul- la evidenziazione delle principali peculiarità del trattamento impositivo dei redditi delle società semplici rispetto al trattamento impositivo riser- vato ai redditi delle altre società di persone (id est quelle commerciali). Una prima peculiarità concerne l’ambito soggettivo di applicazio- ne del regime di imposizione per trasparenza previsto dall’art. 5, t.u.i.r. Difatti, ai sensi del comma 1 della citata disposizione, tale regi- me si applica alle società semplici (così come alle società di persone commerciali ed alle società ed associazioni equiparate ex art. 5, 3o comma, t.u.i.r.) a condizione che siano residenti nel territorio dello Stato (18). A tal riguardo, occorre ricordare che la definizione (ai fini fiscali) della nozione di «residenza» è contenuta nel 3o comma, lett. d), del ci- tato art. 5. In forza di tale disposizione si considerano fiscalmente re- sidenti nel territorio dello Stato le società di persone, incluse, quindi, le società semplici, che per la maggior parte del periodo di imposta hanno la sede legale o la sede dell’amministrazione o l’oggetto prin- cipale nel territorio dello Stato, con la precisazione che l’oggetto prin- cipale è determinato in base all’atto costitutivo, a condizione che que- st’ultimo sia stato redatto in forma di atto pubblico o di scrittura pri- vata autenticata; in mancanza, l’oggetto principale deve essere deter- minato in base all’attività effettivamente esercitata, dunque, sulla base di una indagine di tipo fattuale. Ebbene, tale ultima previsione ha, senza dubbio, maggiori possibi- lità di applicazione proprio con riferimento alle società semplici, in quanto – si ricorda – ai sensi dell’art. 2251 c.c. nella società semplice il contratto non è soggetto a forme speciali, salve quelle richieste dal- la natura dei beni conferiti (19). Ciò significa che l’atto costitutivo di

(18) Difatti, alle società di persone, ivi incluse le società semplici, così co- me alle società ed associazioni equiparate (ex art. 5, 3o comma, t.u.i.r.), non resi- denti nel territorio dello Stato, si applicano le disposizioni normative del t.u.i.r. relative all’ires concernenti le società e gli enti non residenti. Ciò significa che una società semplice fiscalmente non residente in Italia è soggetta all’ires limita- tamente ai redditi prodotti nel territorio dello Stato (ex art. 23, t.u.i.r.), non tro- vando applicazione in questi casi il regime di imposizione per trasparenza ex art. 5, t.u.i.r. In tal senso cfr. M. Leo, Le imposte sui redditi nel testo Unico, 105. Seppure con riferimento alla disciplina delle imposte sui redditi recata dal «vec- chio t.u.i.r.», cfr. R. Schiavolin, I soggetti passivi – Redditi prodotti in forma as- sociata,inGiurisprudenza sistematica di diritto tributario – L’imposta sul reddi- to delle persone fisiche, diretta da F. Tesauro, I, Torino, 1994, 124; P. Boria, Il principio di trasparenza nella imposizione delle società di persone, cit., 31. (19) Il rispetto dei requisiti di forma si impone solo per gli atti di conferi- PARTE PRIMA 775 una società semplice non solo non richiede la forma dell’atto pubblico o quella della scrittura privata autenticata, ma non richiede neppure la forma scritta ad substantiam, potendo essere costituita anche mediante un contratto verbale ovvero per fatti concludenti (20); inoltre, come già ricordato, anche l’iscrizione nella «sezione speciale» del registro delle imprese, se per le società semplici esercenti attività agricole as- solve ad una funzione di pubblicità dichiarativa, per tutte le altre so- cietà semplici tale iscrizione assolve soltanto ad una mera funzione di certificazione anagrafica e di pubblicità notizia, come tale potenzial- mente suscettibile di essere omessa (21). Le considerazioni da ultimo svolte in merito alla libertà di forma che caratterizza l’atto costitutivo delle società semplici sono destinate ad assumere rilevanza anche ai fini della previsione di cui all’art. 5, 1o e2o comma, t.u.i.r., la quale, all’interno del sistema di imputazione per trasparenza in capo ai soci dei redditi conseguiti dalle società di persone, stabilisce i criteri per la quantificazione della parte di reddito imponibile che (determinato in capo alla società) deve essere imputato per trasparenza in capo al singolo socio ai fini dell’assoggettamento ad imposta. In particolare, come già ricordato, ai sensi del 1o comma della ci- tata disposizione, l’imputazione in capo a ciascun socio del reddito imponibile della società deve avvenire proporzionalmente alla sua quota di partecipazione agli utili; inoltre, il successivo 2o comma pre- cisa che le quote di partecipazione agli utili si presumono proporzio- nate al valore dei conferimenti dei soci se non risultano determinate diversamente dall’atto pubblico o dalla scrittura privata autenticata di costituzione o da altro atto pubblico o scrittura privata autenticata di data anteriore all’inizio del periodo d’imposta (22); se il valore dei

mento in società semplici, in ragione della forma specificatamente richiesta dalla legge di circolazione del bene conferito. (20) A tal riguardo si ricorda che ai sensi dell’art. 5, 3o comma, lett. b), t.u.i.r., le società di fatto, ai fini delle imposte sui redditi, sono equiparate alle so- cietà semplici se non hanno per oggetto l’esercizio di attività commerciali. (21) Diversamente, si ricorda che per le società di persone commerciali la regolarità della costituzione è data dall’esistenza di un atto costitutivo redatto a norma dell’art. 2295 c.c. per la società in nome collettivo ed a norma dell’art. 2316 c.c. per le società in accomandita semplice, pubblicato con il deposito per l’iscrizione nel registro delle imprese. (22) A tal riguardo, si ricorda che ai sensi dell’art. 5, 3o comma, lett. c), t.u.i.r., le associazioni senza personalità giuridica costituite fra persone fisiche per l’esercizio in forma associata di arti e professioni sono equiparate alle socie- tà semplici, ma l’atto o la scrittura di cui al 2o comma può essere redatto fino alla presentazione della dichiarazione dei redditi dell’associazione. In altri termi- ni, soltanto in questa ipotesi la scrittura concernente la ripartizione del reddito prodotto nel periodo di imposta può essere redatta anche dopo la chiusura dello stesso e fino al momento della presentazione della dichiarazione dei redditi. È stato chiarito come tale disposizione non rappresenti una deroga della regola ge- 776 DIRITTO E PRATICA TRIBUTARIA N. 4/2014 conferimenti non risulta determinato, le quote si presumono uguali. Orbene, è evidente come la libertà di forma che caratterizza la co- stituzione della società semplice renda certamente più probabile, ri- spetto alle società di persone commerciali, l’applicazione della predet- ta regola presuntiva prevista dall’ultimo periodo del citato 2o comma. Ciò detto, la principale peculiarità del trattamento impositivo dei redditi conseguiti dalle società semplici rispetto a quello previsto per i redditi conseguiti dalle società di persone commerciali è senza dubbio rappresentata dalla diversa tipologia del reddito conseguito. Difatti, mentre le società di persone commerciali, in forza della presunzione assoluta (23) posta dall’art. 6, 3o comma, t.u.i.r., realizzano sempre reddito d’impresa, a prescindere dalla relativa fonte di produzione, al contrario, le società semplici non possono conseguire tale tipologia di reddito perché, come già ricordato, alle stesse è precluso (sotto il pro- filo civilistico) l’esercizio di attività commerciali (24). Questo significa che i redditi delle società semplici vanno qualifi- cati nelle diverse categorie reddituali di cui all’art. 6, 1o comma, t.u.i.r., in ragione della relativa fonte di produzione, ossia alla luce della natura dell’attività svolta in concreto dalla società semplice (25),

nerale secondo cui nei confronti delle società ed associazioni di cui all’art. 5, t.u.i.r., il reddito si determina una sola volta, al termine del periodo di imposta, e tale reddito deve essere ripartito esclusivamente tra coloro che risultano essere so- ci o associati alla predetta data. Difatti, la (poco sopra riportata) disposizione di cui all’art. 5, 3o comma, t.u.i.r., nel prevedere la possibilità di fissare le quote di partecipazione al termine del periodo di imposta anziché prima dell’inizio del pe- riodo stesso, non rappresenta una deroga alla predetta regola generale poiché tale possibilità è stata prevista per tenere conto della differente attività svolta dalle as- sociazioni professionali rispetto a quella svolta dalle altre società (e, in specie, a quella svolta dalle società commerciali), poiché per le associazioni tra professio- nisti ciò che assume rilevanza non è il valore del conferimento e degli apporti in capitale, bensì (principalmente) il lavoro dei singoli professionisti che può variare nel corso degli anni. In tal senso cfr. M. Leo, Le imposte sui redditi nel testo Unico, 111-112. (23) In tal senso si veda, per tutti, P. Boria, Il principio di trasparenza nel- la imposizione delle società di persone, cit., 130. (24) Peraltro, l’assenza di commercialità delle società semplici è destinata ad assumere rilevanza anche ai fini dell’irap. Difatti, se, da un lato, la società semplice rientra tra i soggetti passivi irap, tuttavia, dall’altro, non potendo essere costituita per l’esercizio di attività commerciali, la stessa è destinata ad essere as- soggettata a tale imposta essenzialmente nei casi in cui sia stata costituita per l’esercizio di attività agricole oppure per l’esercizio in forma associata di arti e professioni, rispetto a cui si porrà il problema di stabilire se la sussistenza del presupposto della «autonoma organizzazione» (ex art. 2, d.lgs. n. 446 del 1997) debba essere verificata di volta in volta ovvero se tale presupposto debba, comun- que, presumersi come sussistente in ragione della forma societaria utilizzata per l’esercizio di attività economiche rilevanti ai fini irap. (25) In tal senso si veda P. Boria, Il principio di trasparenza nella imposi- zione delle società di persone, cit., 156, il quale, anche se con riferimento alla di- PARTE PRIMA 777 dunque, al di fuori di qualsiasi presunzione di legge, similmente a quello che accade per la determinazione dei redditi delle persone fisi- che residenti e dei soggetti non residenti. In altri termini, il reddito (complessivo) imponibile delle società semplici viene determinato (ai sensi degli artt. 3 ed 8, t.u.i.r.) som- mando i redditi appartenenti a ciascuna categoria reddituale, con esclu- sione, quindi, dei redditi esenti e di quelli assoggettati a ritenuta alla fonte a titolo di imposta o ad imposta sostitutiva, al netto degli oneri deducibili.

3. – La determinazione del reddito delle società semplici e la sua im- putazione per trasparenza ai soci

Al fine di determinare il reddito complessivo imponibile della so- cietà semplice occorre, dunque, guardare all’attività oggettivamente svolta da quest’ultima, senza l’«assistenza» di alcuna presunzione di legge che qualifichi a priori il reddito dalla stessa conseguito, così co- me invece accade per le società di persone commerciali. Pertanto, escludendo l’esercizio di attività commerciali (26) e (per ovvie ragioni) l’esercizio di attività di lavoro dipendente, ne consegue che i redditi derivanti dalle attività potenzialmente esercitabili dalle società semplici sono riconducibili soltanto alle seguenti quattro cate- gorie reddituali: redditi di lavoro autonomo, redditi fondiari, redditi di capitali e redditi diversi (27).

sciplina del «vecchio t.u.i.r.», ha affermato che «l’assenza di una norma analoga all’art. 6 ultimo comma produce rilevanti effetti sul piano della qualificazione dell’attività e, di conseguenza, sulla classificazione del relativo reddito. A diffe- renza delle società “a forma commerciale”, le attività economiche delle società semplici sono qualificate non in modo unitario, bensì in modo atomistico sulla base delle caratteristiche oggettive di ciascuna di esse. È dunque ipotizzabile l’esercizio di attività inquadrabili come fonte di redditi fondiari, redditi di capita- le, redditi di lavoro autonomo o redditi diversi». (26) Si ricorda che l’eventuale esercizio di un’attività commerciale da parte di una società semplice comporterebbe la sua riqualificazione in società in nome collettivo irregolare ed il reddito da quest’ultima prodotto andrebbe interamente (ri)qualificato come reddito di impresa (ex art. 6, 3o comma, t.u.i.r.). (27) Sembrerebbe ammettere, invece, la possibilità anche per le società sem- plici di conseguire reddito d’impresa L. Corsini, La società semplice e la gestione di patrimoni di famiglia, 3957 ss. In particolare, sul punto tale Autore afferma te- stualmente: «nessuna norma del testo unico delle imposte dirette dice che la socie- tà semplice non può conseguire un reddito d’impresa. Non lo dice la norma che di- spone dei redditi prodotti in forma associata (art. 5 del t.u.i.r.). Non lo dice la nor- ma che dispone dei redditi d’impresa (art. 55 del t.u.i.r.). Anzi la società semplice agricola che eccede i parametri di riferimento, producendo o vendendo oltre deter- minati limiti (art. 32 del t.u.i.r.) consegue reddito d’impresa anche se non organiz- zata in forma di impresa (art. 55, 1o comma, del t.u.i.r.). Allora la società semplice 778 DIRITTO E PRATICA TRIBUTARIA N. 4/2014

Tuttavia, se non pone problemi la qualificazione dei redditi realiz- zati dalle società semplici che esercitano attività agricole ed i redditi delle società semplici costituite per l’esercizio (in forma societaria) di arti e professioni (da qualificarsi in termini, rispettivamente, di redditi fondiari e di redditi di lavoro autonomo), diversamente, al fine di qua- lificare il reddito delle società semplici di mero godimento di beni (id est aventi ad oggetto la mera gestione statica di beni), è necessario in- dividuare la tipologia dei cespiti patrimoniali appartenenti alla società semplice, i cui frutti costituiscono, per l’appunto, il ritorno economico («lucro») dell’attività sociale. Peraltro, con specifico riferimento alle società semplici di mero godimento di beni, al di là delle problematiche civilistiche (prima ri- cordate) in merito alla configurabilità di un oggetto sociale costituito da una attività di mera gestione statica di beni, è qui opportuno segna- lare che un oggetto sociale di tal genere potrebbe, invero, porre anche problemi di «riqualificazione», ai fini fiscali, di tale tipologia di attivi- tà economica in attività commerciale (e, quindi, di riqualificazione dei redditi derivanti da tale attività in termini di reddito d’impresa). In tal senso, è stato osservato che ai fini delle imposte sui redditi «il crinale tra attività commerciali e di mero godimento è segnato dal- l’art. 55 del t.u.i.r.» (28). Questa disposizione, nel definire la categoria può conseguire un reddito d’impresa, non potendosi accettare che tale categoria di reddito sia proponibile per il solo “reddito dell’impresa agricola”, con la costituzio- ne di una nuova categoria incompresa nella classificazione – a numero chiuso – del- l’art. 6 del t.u.i.r. (...) La deroga alla determinazione del reddito in base al bilancio (art. 83 del t.u.i.r.) prevista dalla Finanziaria 2007 per le società di persone e le so- cietà a responsabilità limitata che svolgono esclusivamente attività agricola confer- ma che l’attività d’impresa è proponibile per tutti i soggetti passivi d’imposta e che il reddito – d’impresa o meno – non qualifica il soggetto che tale reddito produce». La particolarità delle società semplici, sempre secondo il citato Autore, sarebbe rap- presentata dal fatto che nel caso delle società semplici non si verifica (come avvie- ne, invece, per le società di persone commerciali) l’assorbimento di tutti i redditi con- seguiti nella categoria del reddito d’impresa, ma tale reddito (quello d’impresa) si sommerebbe ai redditi appartenenti alle altre categorie reddituali conseguiti dalla so- cietà semplice, concorrendo con questi alla determinazione del reddito complessi- vo imponibile della società semplice. Si tratta di una tesi, questa, che, seppure ben argomentata, tuttavia si scontra inevitabilmente con il dato civilistico dell’esclusione delle società semplici dal novero delle società che possono esercitare attività commerciali. Pertanto, come già ricordato, l’eventuale esercizio di un’attività commerciale da parte di una so- cietà semplice comporterebbe, in automatico, la sua riqualificazione (sul piano ci- vilistico) in società in nome collettivo irregolare (quindi, in una società di persone commerciale), con tutte le relative conseguenze fiscali, prima fra tutte l’applica- zione della presunzione assoluta di cui all’art. 6, 3o comma, t.u.i.r., ossia la riqua- lificazione in reddito di impresa di tutti i redditi conseguiti dalla società a pre- scindere dalla relativa fonte di produzione. (28) In questi termini M. Montuori - P.P. Caruso, Società semplice e mera detenzione di beni fruttiferi: un abbinamento da rispolverare?, cit., 621. PARTE PRIMA 779 dei redditi d’impresa, rinvia all’elenco delle attività commerciali di cui all’art. 2195 c.c., le quali sono idonee a dar luogo a tale categoria red- dituale anche se non organizzate in forma di impresa. Ebbene, sul punto è stato condivisibilmente osservato come quest’ultima precisa- zione (anche se non organizzate in forma di impresa) renda «ancora più incerta la linea di demarcazione con l’attività di mero godimento, appannaggio delle società semplici. Da un lato, infatti, l’assenza di una organizzazione dedicata all’attività non costituisce indizio decisivo della non commercialità. Dall’altro, stando alla lettera della legge, an- che un’attività di servizi consistente nella gestione dei cespiti patrimo- niali sarà qualificabile come commerciale sul piano fiscale, purché sia svolta in maniera economica, abituale e continuativa. Di fatto, nei casi limite, l’entità del patrimonio amministrato, la sua diversificazione ed evoluzione nel tempo, faranno da ago della bilancia, determinando un rischio più o meno elevato di riqualificazione. Sotto questo aspetto, ra- gioni di prudenza indurrebbero a confinare la società semplice alle ge- stioni di masse patrimoniali poco problematiche, in termini quantitativi o qualitativi» (29). Dalle considerazioni sopra svolte consegue che – come già antici- pato – i redditi potenzialmente realizzabili dalle società semplici sono i seguenti: i) redditi di lavoro autonomo, nell’ipotesi in cui, attraverso la società semplice, vengano esercitate (in forma associata) arti e pro- fessioni (ex art. 53, t.u.i.r.); ii) redditi fondiari sub specie di redditi agrari (ex art. 32, t.u.i.r.), nell’ipotesi di società semplici costituite per l’esercizio di attività agricole; iii) redditi fondiari, sub specie di redditi dominicali (ex art. 27, t.u.i.r.) e di redditi di fabbricati (ex art. 36, t.u.i.r.), nell’ipotesi di società semplici intestatarie di cespiti immobi- liari, tenuti a disposizione ovvero concessi in locazione; iv) redditi di capitale, nell’ipotesi di società semplici intestatarie di attività finanzia- rie (ad esempio, partecipazioni azionarie, quote societarie, obbligazio- ni, strumenti finanziari, ecc...) e, più in generale, di una qualsiasi for- ma di impiego di capitale in grado di generare redditi di capitale ai sensi dell’art. 44, t.u.i.r.; v) redditi diversi, tutte le volte in cui le so- cietà semplici realizzino una delle diverse fattispecie impositive indivi- duate dall’art. 67, t.u.i.r. Più precisamente, con specifico riferimento a tale ultima categoria reddituale, le società semplici potrebbero conse-

(29) In questi termini sempre M. Montuori - P.P. Caruso, Società semplice e mera detenzione di beni fruttiferi: un abbinamento da rispolverare?, cit., 621 (enfasi degli Autori). Peraltro, con specifico riferimento all’ipotesi di società semplici che svolgo- no (anche o solo) attività di «gestione statica» di partecipazioni, ai fini della con- figurabilità o meno di un’attività commerciale possono, senza dubbio, tornare utili le indicazioni interpretative fornite dalla Corte di Giustizia UE, 10 gennaio 2006, causa C-222/04 e da Cass., sez. un., n. 1576 del 22 gennaio 2009 (entrambe in banca dati Fisconline) in merito alla configurabilità di un’attività commerciale nel caso di fondazioni titolari di partecipazioni bancarie di controllo. 780 DIRITTO E PRATICA TRIBUTARIA N. 4/2014 guire, a titolo esemplificativo, redditi diversi consistenti in: i) plusva- lenze finanziarie o plusvalenze immobiliari (nell’ipotesi di cessione a titolo oneroso, rispettivamente, di attività finanziarie o di diritti reali immobiliari); ii) proventi periodici derivanti dall’utilizzazione di beni immateriali, quali marchi, brevetti, formule, nell’ipotesi in cui la so- cietà semplice li abbia acquistati a titolo oneroso o li abbia ricevuti a seguito di conferimento da parte dei soci (30); iii) attività occasionali di commercio o di lavoro autonomo, laddove ne sussistano i relativi presupposti [ex art. 67, lett. i)edl), t.u.i.r.]. Ciò posto, appaiono opportune alcune puntualizzazioni in merito alla determinazione di alcune specifiche categorie reddituali. In particolare, con riferimento alle società semplici, il principio di imputazione per trasparenza (ex art. 5, t.u.i.r.) è destinato a trovare un’importante deroga in presenza di quei redditi (redditi di capitale e redditi diversi, sopratutto di natura finanziaria) che sono soggetti a ri- tenute alla fonte a titolo di imposta o ad imposta sostitutiva. In questi casi, infatti, la società semplice fungerà essa stessa da soggetto passivo del regime di imposizione di tipo «reale» (consistente nell’applicazione di ritenute alla fonte a titolo di imposta o di imposte sostitutive) e, per l’effetto, tale reddito non verrà mai imputato per trasparenza ai soci. Questo è quello che, a titolo esemplificativo, accade per i proventi percepiti dalle società semplici con riferimento ad obbligazioni e titoli similari, ai sensi dell’art. 26, 1o e4o comma, d.p.r. n. 600 del 1973. Allo stesso modo, anche gli interessi sui depositi e sui conti correnti bancari percepiti dalle società semplici sono soggetti a ritenuta alla fonte a titolo di imposta. Di contro, tale trattamento impositivo «premiale» non è ricono- sciuto (31) sui dividendi percepiti dalla società semplice relativamente a partecipazioni non qualificate perché, in forza del dato testuale del- l’art. 27, 1o comma, d.p.r. n. 600 del 1973, la ritenuta alla fonte a tito- lo di imposta ivi prevista si applica soltanto sui dividendi percepiti da persone fisiche residenti non imprenditori; questo implica che i divi- dendi percepiti dalla società semplice, in relazione a partecipazioni qualificate o non qualificate [ex art. 67, 1o comma, lett. c), t.u.i.r.] in

(30) Tali proventi sarebbero, invece, classificabili tra i redditi di lavoro au- tonomo nella diversa ipotesi (in verità, meno probabile) in cui la società semplice sia stata «protagonista dell’attività di autore ed inventore prodromica allo sfrutta- mento commerciale» (in questi termini N. Montuori, Società semplice e mera de- tenzione di beni fruttiferi: considerazioni in merito al raccordo tra fiscalità della società e dei soci,inFisco, 2007, 5019). (31) Così come la società semplice non è incisa dal prelievo alla fonte a ti- tolo di imposta con riferimento alla percezione degli altri redditi di capitale indi- cati nell’art. 26, 5o comma, d.p.r. n. 600 del 1973 (ad esempio, interessi attivi per prestiti non bancari); in questi casi, infatti, la ritenuta alla fonte è operata a titolo di acconto e la società semplice è tenuta ad includere il provento nel reddito complessivo, da imputarsi per trasparenza ai soci. PARTE PRIMA 781 società italiane o estere, concorrono in ogni caso alla formazione del reddito (complessivo) imponibile della società semplice (imputato per trasparenza ai soci) nella misura del 49,72 per cento del loro ammon- tare (salva l’applicazione, ai sensi dell’art. 47, 4o comma, t.u.i.r., del regime di piena imponibilità per i dividendi provenienti da società re- sidenti in Stati o territori diversi da quelli indicati nella white list di cui all’art. 168-bis, t.u.i.r.). Pertanto, il regime di tassazione dei dividendi percepiti dalle so- cietà semplici è differente da quello previsto per i dividendi percepiti dalle persone fisiche: mentre per le persone fisiche il regime di tassa- zione dei dividendi è legato all’entità della partecipazione posseduta, di contro, nell’ipotesi in cui il socio sia una società semplice il regime di tassazione dei dividendi da quest’ultima percepiti prescinde dall’en- tità della partecipazione posseduta. Ed ancora, un’ulteriore deroga al principio di imputazione per tra- sparenza del reddito delle società semplici potrebbe verificarsi anche nell’ipotesi in cui la società semplice dichiari di optare per l’imposta sostitutiva del 20 per cento sulla plusvalenza (reddito diverso) realiz- zata a seguito di cessione a titolo oneroso di beni immobili, diversi dai terreni edificabili, acquistati o costruiti da non più di cinque anni (ex art. 1, 496o e 498o comma, l. 23 dicembre 2005, n. 266). Sempre in tema di redditi diversi (in questo caso, di natura finanzia- ria), è inoltre opportuno ricordare che le plusvalenze su partecipazioni qua- lificate [ex art. 67, 1o comma, lett. c), t.u.i.r.] realizzate dalle società sem- plici beneficiano sempre del regime di esenzione parziale (nella misura del 50,28 per cento della plusvalenza realizzata), a prescindere, quindi, dalla sussistenza dei requisiti oggettivi e soggettivi richiesti (per le so- cietà di capitali e, in generale, per i soggetti ires) dal regime della par- ticipation exemption di cui all’art. 87, t.u.i.r.; mentre le plusvalenze su partecipazioni non qualificate [ex art. 67, 1o comma, lett. c bis), t.u.i.r.] realizzate dalle società semplici sono soggette al regime di imposizione sostitutiva. Pertanto, diversamente dal regime impositivo dei dividendi, il regime impositivo delle plusvalenze su partecipazioni, realizzate dal- le società semplici, è simile a quello previsto per le persone fisiche. In ogni caso, al di là di tali puntualizzazioni, ciò che in questa se- de preme sottolineare è che il reddito delle società semplici viene deter- minato con le regole proprie di ciascuna categoria reddituale, similmen- te alle persone fisiche (ed ai soggetti non residenti) che posseggono le medesime tipologie reddituali. I singoli redditi, così distintamente deter- minati, concorrono, quindi, a formare (ex art. 8, t.u.i.r.) il reddito com- plessivo imponibile della società semplice, con esclusione dei redditi esen- ti e dei redditi assoggettati a ritenuta alla fonte a titolo di imposta o ad imposta sostitutiva. Tale reddito complessivo imponibile viene dichiara- to dalla società semplice nella propria dichiarazione dei redditi; tuttavia, il suo assoggettamento ad imposta avviene direttamente (in forza del prin- cipio di imputazione per trasparenza) in capo a ciascun socio, a cui vie- ne imputato proporzionalmente alla sua quota di partecipazione agli uti- li ed a prescindere dalla effettiva percezione dello stesso. 782 DIRITTO E PRATICA TRIBUTARIA N. 4/2014

A tal riguardo è opportuno ricordare che attraverso il riconosci- mento (ex art. 10, 3o comma, t.u.i.r.) della deducibilità di determinati oneri (id est di determinate componenti negative di reddito), dal reddi- to complessivo dei soci, si è cercato di fornire una soluzione legislati- va al problema della deducibilità di alcune spese sostenute dalla socie- tà semplice (32). Difatti, in ragione della determinazione «atomistica» dei redditi conseguiti dalla società semplice, in dottrina è stato osser- vato che «determinate componenti negative di reddito possono non as- sumere alcun rilievo nel calcolo della base imponibile se inquadrate nell’ambito di alcune categorie reddituali (si pensi ai redditi fondiari, oppure a quelli di capitale (33)), a differenza delle società commercia- li in cui le stesse componenti negative, ove presentino le caratteristi- che generalmente richieste dal principio di inerenza, sono considerate rilevanti ai fini della determinazione del reddito d’impresa. Onde evi- tare un trattamento deteriore dei soci di società semplici, potrebbe in astratto ipotizzarsi una deduzione di tali componenti negative dal red- dito complessivo dei singoli soci a titolo di oneri deducibili. Le com- ponenti negative non verrebbero considerate nell’ambito del reddito societario e, dunque, prima della imputazione pro quota ex art. 5, ben- sì direttamente in relazione al reddito complessivo dei singoli soci. La “trasparenza” verrebbe realizzata in modo singolare: (...) nel caso di specie ad essere imputato non sarebbe immediatamente il risultato del- l’attività, bensì la singola componente negativa che confluisce nell’at- tività societaria ed è destinata a concorrere alla formazione del risulta- to». Ebbene, tale soluzione interpretativa, inizialmente condivisa dalla giurisprudenza di legittimità (34), è stata in seguito recepita anche in

(32) In verità, è interessante ricordare come, inizialmente, la Corte costitu- zionale, con l’ordinanza 4 novembre 1987, n. 368, avesse ritenuto infondata la questione di legittimità costituzionale sollevata sul punto, alla luce della diversità della disciplina impositiva delle società semplici rispetto alla disciplina impositiva delle altre società di persone commerciali; del pari, la Corte costituzionale aveva anche escluso la possibilità di ravvisare una disparità di trattamento rispetto alle persone fisiche (che potevano, invece, usufruire della deduzione dell’onere dal proprio reddito imponibile), costituendo la società semplice un soggetto ontologi- camente distinto dalle persone fisiche. Tuttavia, successivamente la Corte di cas- sazione (Cass., 3 agosto 1988, n. 4811, in Boll. trib., 1988, 1718; Cass., 15 no- vembre 1989, n. 7410, in Riv. dir. trib., 1991, II, 258), nonostante tale pronuncia della Corte costituzionale, ravvisando dei profili di incoerenza della disciplina de qua (che la Corte costituzionale sembrava, invece, aver escluso), aveva ammesso (in via interpretativa) la deducibilità dal reddito complessivo dei singoli soci delle componenti negative sostenute dalla società semplice, a condizione che tali com- ponenti negative rientrassero tra gli oneri (normativamente) deducibili dal reddito complessivo delle persone fisiche. (33) Difatti, la determinazione della base imponibile di tali categorie reddi- tuali, di regola, avviene al lordo di eventuali componenti negative di reddito. (34) Si vedano le sentenze citate nella precedente nota 32. PARTE PRIMA 783 sede legislativa; difatti, l’art. 10, 3o comma, t.u.i.r., nella versione at- tualmente in vigore, accogliendo il principio dell’imputazione diretta- mente in capo ai soci degli oneri (recte, di alcuni degli oneri) sostenu- ti dalla società semplice nell’ambito della propria attività, dispone che gli oneri di cui alle lettere f), g)eh) del 1o comma sostenuti dalle so- cietà semplici di cui all’articolo 5 si deducono dal reddito complessi- vo dei singoli soci nella stessa proporzione prevista nel medesimo ar- ticolo 5 ai fini della imputazione del reddito (35). Occorre ricordare inoltre che nella stessa misura in cui avviene l’imputazione per trasparenza in capo ai soci dei redditi imponibili conseguiti dalla società semplice si ripartiscono anche le detrazioni di imposta da quest’ultima subite, nonché eventuali crediti di imposta non utilizzati o non utilizzabili dalla società, compatibilmente con quanto previsto dalle relative norme. Parimenti, nella stessa misura vengono trasmesse ai soci anche le ritenute alla fonte a titolo di acconto subite dalla società semplice. In particolare, nel caso di società semplici aventi ad oggetto l’esercizio di arti e professioni, spesso accade che le ritenute trasmesse al socio so- no più elevate dell’irpef e delle relative addizionali che il socio è te- nuto a versare, con la conseguenza che quest’ultimo viene a trovarsi in una situazione di continuo credito di imposta (da chiedere a rimborso). Al fine di evitare tale situazione è ammesso (36) che i soci diano il loro (preventivo) consenso affinché le ritenute che residuano (dopo aver operato il loro scomputo dall’irpef e dalle relative addizionali do- vute da ciascun socio) vengano utilizzate dalla medesima società sem- plice, in compensazione con i pagamenti di altri tributi e contributi dalla stessa dovuti. In altri termini, le ritenute alla fonte a titolo d’ac- conto subite dalla società semplice, in primo luogo, vengono propor- zionalmente attribuite ai soci e da questi ultimi utilizzate in compensa- zione dell’irpef e delle relative addizionali dagli stessi dovute; nel ca- so in cui residui un’eccedenza di ritenute, tale eccedenza può essere riattribuita (da tutti o soltanto da alcuni dei soci) alla società semplice, la quale potrà utilizzarla in compensazione con altri tributi e contributi da quest’ultima dovuti. L’unica condizione richiesta è che il consenso del socio a tale riattribuzione risulti da un apposito atto avente data certa anteriore a quella in cui la società semplice utilizza in compensa- zione tale eccedenza di ritenute; inoltre, il predetto consenso scritto può riguardare l’eccedenza di ritenute di un singolo periodo di impo-

(35) La citata disposizione prosegue disponendo che nella stessa proporzio- ne è deducibile, per quote costanti nel periodo d’imposta in cui avviene il paga- mento e nei quattro successivi, l’imposta di cui all’articolo 3 del d.p.r. 26 ottobre 1972, n. 643, corrisposta dalle società stesse; si tratta, cioè, dell’Invim decennale (oramai abrogata) dovuta dalle società di ogni tipo ed oggetto per gli immobili di loro proprietà. (36) Grazie all’interpretazione estensiva indicata dall’Agenzia delle entrate nella circ. n. 56/E del 23 dicembre 2009 (in banca dati Fisconline). 784 DIRITTO E PRATICA TRIBUTARIA N. 4/2014 sta (da rinnovare annualmente) oppure può essere a tempo indetermi- nato, salvo revoca (sempre con atto avente data certa) da parte del so- cio (37). Chiaramente, i rapporti di debito/credito tra socio e società, derivanti dalla predetta riattribuzione di ritenute, sotto il profilo fiscale sono considerati delle mere movimentazioni patrimoniali (assimilabili alle movimentazioni di utili di cui si dirà a breve), come tali privi di qualsiasi rilevanza ai fini impositivi.

4. – La rilevanza fiscale della distribuzione ai soci dell’utile prodotto dalla società semplice

Una diretta conseguenza del sistema di imposizione per trasparen- za è rappresentata dalla circostanza che la successiva distribuzione ai soci dei redditi conseguiti dalla società semplice (id est del risultato economico positivo della società semplice) non è assoggettata ad alcu- na imposizione in capo ai soci, trattandosi di una mera movimentazio- ne patrimoniale (id est di una mera movimentazione di redditi già tas- sati). In tal senso depone, infatti, l’art. 47, t.u.i.r., il quale è chiaro nel- l’escludere che l’utile distribuito ai soci dalle società di persone (ivi incluse, quindi, le società semplici) configuri per i soci reddito di ca- pitale. Tutto ciò implica che il socio della società semplice non subirà al- cuna imposizione anche nell’ipotesi in cui percepisca utili in misura eccedente rispetto a quelli imputati per trasparenza. Sul punto è oppor- tuno segnalare, infatti, che l’ipotesi in cui l’utile civilistico ecceda il reddito imputato per trasparenza ai soci, se può ritenersi poco frequen- te per le società di persone commerciali deve, invece, ritenersi di più frequente verificabilità per le società semplici, proprio in ragione della circostanza (poco sopra ricordata) che le società semplici (con riferi- mento a diverse fattispecie reddituali) accedono (in modo quasi simile alle persone fisiche non imprenditori) a regimi di imposizione «pre- miali», in ragione del riconoscimento di regimi di esenzione da impo- sta oppure per l’applicazione di regimi di imposizione di tipo «reale», consistenti nell’applicazione di ritenute alla fonte a titolo di imposta o di imposte sostitutive. Ebbene, i redditi della società semplice che su- biscono questo tipo di tassazione «premiale» sono esclusi dal concorso alla formazione del reddito complessivo imponibile della società e, conseguentemente, dalla relativa imputazione per trasparenza (ai fini dell’assoggettamento ad imposta) in capo ai soci. Da qui, dunque, la

(37) Peraltro, il consenso de quo può anche essere manifestato, in via gene- ralizzata, da parte di tutti i soci, anche mediante un’apposita norma inserita nel- l’atto costitutivo; nel qual caso la relativa revoca può avvenire solo attraverso una modifica dell’atto costitutivo. PARTE PRIMA 785 possibilità – abbastanza frequente per le società semplici – che il red- dito complessivo imponibile della società, imputato per trasparenza ai soci, risulti essere inferiore all’importo dell’utile a questi ultimi effetti- vamente distribuito. Sul punto occorre, inoltre, ricordare che l’unico effetto fiscale (in- direttamente) generato in capo ai soci dalla distribuzione di utili da parte della società semplice, è rappresentato dalla variazione del costo fiscalmente riconosciuto della partecipazione in tale società, similmen- te a quanto accade nell’ipotesi di utile distribuito ai soci dalle società di persone commerciali. Difatti, ai sensi dell’art. 68, 6o comma, t.u.i.r., per le partecipa- zioni nelle società indicate dall’art. 5, il costo è aumentato o diminui- to dei redditi e delle perdite imputate al socio e dal costo si scompu- tano, fino a concorrenza dei redditi già imputati, gli utili distribuiti al socio. Questo significa che il costo fiscalmente riconosciuto della parte- cipazione nella società semplice deve essere aumentato in misura pari al reddito imponibile imputato per trasparenza al socio e deve essere diminuito all’atto della distribuzione di utili, tuttavia, non già in misu- ra pari all’intero importo della quota di utile effettivamente percepita dal socio, ma solo fino a concorrenza dei redditi già imputati. Pertan- to, nell’ipotesi (come ricordato, più frequente per le società semplici rispetto alle società di persone commerciali) in cui l’utile distribuito al socio risulti essere di importo superiore rispetto al reddito imponibile allo stesso imputato per trasparenza (ed in capo a quest’ultimo assog- gettato ad imposizione), tale «eccedenza» di utile è priva di qualsiasi rilevanza fiscale, visto che la stessa non solo non costituisce reddito (di capitale) per il socio percipiente, ma non è neppure destinata ad in- cidere sul costo fiscalmente riconosciuto della sua partecipazione nella società semplice, in quanto la rettifica in diminuzione di tale costo fi- scale (ex art. 68, 6o comma, t.u.i.r.) è circoscritta – come detto – ad un importo pari alla sola parte di utile distribuito che è stata imputata per trasparenza in capo al socio, con esclusione, quindi, della parte di utile che non ha concorso a formare il reddito complessivo imponibile della società semplice (e che, per l’effetto, non è stata imputata per trasparenza in capo ai soci) perché esente oppure perché ha subito ri- tenute alla fonte a titolo di imposta ovvero è stata assoggettata ad im- poste sostitutive (38). In conclusione può, quindi, affermarsi che il costo fiscalmente ri- conosciuto della partecipazione nella società semplice è determinato da una «parte fissa», rappresentata dal costo di acquisto o di sottoscri- zione, incrementato di eventuali rivalutazioni fiscalmente riconosciute e di eventuali apporti di capitale, e da una «parte variabile», connessa

(38) In tal senso, seppure con riferimento al regime opzionale della traspa- renza delle società di capitali ex artt. 115 e 116, t.u.i.r., cfr. Agenzia delle entrate, circ. n. 36/E del 4 agosto 2004 (in banca dati Fisconline). 786 DIRITTO E PRATICA TRIBUTARIA N. 4/2014 alle (poco sopra descritte) rettifiche in aumento ed in diminuzione, in ragione, rispettivamente, dell’importo dei redditi imponibili imputati per trasparenza ai soci e dell’importo degli utili a questi ultimi distri- buiti (ricordando che l’importo degli utili distribuiti assume rilevanza, ai fini della predetta rettifica in diminuzione, solo fino a concorrenza della parte di tali utili che ha concorso a formare il reddito imponibile della società semplice e che, per l’effetto, è stata imputata per traspa- renza ai soci) (39). Ovviamente, le rettifiche in diminuzione del costo fiscale della partecipazione, conseguenti alla distribuzione di utile ai soci, sono de- stinate ad intaccare soltanto la «parte variabile» di tale costo, nel sen- so che diminuiranno soltanto la parte di incremento del costo fiscale conseguente all’imputazione per trasparenza dell’utile imponibile, ma non potranno mai intaccare la «parte fissa» di tale costo (come detto, costituita dal costo di acquisto o di sottoscrizione, incrementato di eventuali rivalutazioni fiscalmente riconosciute e di eventuali apporti di capitale). Si fa inoltre presente che, nell’ipotesi in cui l’utile civilistico di- stribuito ai soci dalla società semplice sia costituito in parte da utile assoggettato ad imposizione per trasparenza ed in parte da utile che non ha concorso a formare il reddito complessivo imponibile della so- cietà semplice (e, quindi, non imputato per trasparenza ai soci) perché esente o perché assoggettato a ritenute alla fonte a titolo di imposta o ad imposte sostitutive, l’art. 68, 6o comma, t.u.i.r., per come formula- to, pone una presunzione assoluta di prioritaria distribuzione della par- te di utile assoggettata ad imposizione per trasparenza in capo ai so- ci (40). Questo significa che, se l’utile distribuito ha una composizione «mista», ossia solo in parte assoggettato ad imposizione per trasparen- za, lo stesso, comunque, è destinato prioritariamente a ridurre il costo fiscale della partecipazione sino a concorrenza di tale parte di tale uti- le assoggettata ad imposizione per trasparenza.

5. – La disciplina impositiva delle ipotesi di «uscita» del socio dalla società semplice

La determinazione (nei modi appena descritti) del costo fiscale della partecipazione nella società semplice è destinata ad assumere ri- levanza non solo nell’ipotesi di cessione a titolo oneroso della parteci-

(39) In senso conforme cfr. N. Montuori, Società semplice e mera detenzio- ne di beni fruttiferi: considerazioni in merito al raccordo tra la fiscalità della so- cietà e dei soci, cit., 5020. (40) In tal senso si veda sempre N. Montuori, Società semplice e mera de- tenzione di beni fruttiferi: considerazioni in merito al raccordo tra la fiscalità della società e dei soci, cit., 5020. PARTE PRIMA 787 pazione (41) e nell’ipotesi di donazione della stessa (42), ma anche – per quel che maggiormente interessa in questa sede – in tutte le ipote- si di scioglimento del rapporto sociale contemplate dall’art. 20-bis, t.u.i.r., ossia in conseguenza dello scioglimento e liquidazione della società ovvero a seguito di recesso, di esclusione, di riscatto e di ridu- zione del capitale esuberante. Difatti, con riferimento al regime di imposizione dei soci «in usci- ta» dalla società semplice è destinata a trovare applicazione la disposi- zione di cui all’art. 20-bis, t.u.i.r., ciò in forza del rinvio ivi contenuto all’art. 17, 1o comma, lett. l), t.u.i.r. (relativo al regime di tassazione separata), il quale, a sua volta, contiene un rinvio generico ai soci del- le società indicate nell’articolo 5, ivi inclusi, quindi, anche i soci delle società semplici. Il citato art. 20-bis, t.u.i.r., in primo luogo, qualifica come redditi di partecipazione (e non già come redditi di capitale) i redditi compre- si nelle somme attribuite o nei beni assegnati ai soci (43) delle società di persone di cui all’art. 5, t.u.i.r., quindi, anche ai soci della società semplice, nei casi di recesso, esclusione e riduzione del capitale, oppu- re in dipendenza di liquidazione della società; in secondo luogo, ai fini della determinazione della base imponibile di tali redditi, prevede l’ap- plicazione (44) delle disposizioni dell’art. 47, 7o comma, t.u.i.r., le quali, essendo state concepite per le società di capitali, si applicano al- le società di persone in quanto compatibili; in terzo luogo, in forza del rinvio (ivi contenuto) all’art. 17, 1o comma, lett. l), t.u.i.r., i redditi imponibili così determinati sono soggetti al regime di tassazione sepa- rata ove ne sussistano i relativi presupposti applicativi (45).

(41) Rilevando ai fini della determinazione della plusvalenza imponibile, quale importo da sottrarsi al corrispettivo percepito, ex artt. 67 e 68 t.u.i.r. (42) Rilevando ai fini della determinazione, in capo al donatario, del costo fiscalmente riconosciuto della partecipazione da quest’ultimo ricevuta in donazio- ne. Difatti ai sensi dell’art. 68, 6o comma, t.u.i.r., nel caso di acquisto per dona- zione si assume come costo il costo del donante. (43) Ovvero agli eredi in caso di morte del socio. (44) Indipendentemente dalla sussistenza o meno dei presupposti per l’ap- plicabilità agli stessi del regime di tassazione separata ex art. 17, 1o comma, lett. l), t.u.i.r. (45) Si ricorda che in forza del citato art. 17, 1o comma, lett. l), t.u.i.r., l’imposta si applica separatamente sui seguenti redditi: (...) redditi compresi nelle somme attribuite o nel valore normale dei beni assegnati ai soci delle società in- dicate nell’art. 5 nei casi di recesso, esclusione e riduzione del capitale o agli eredi in caso di morte del socio, e redditi imputati ai soci in dipendenza di liqui- dazione, anche concorsuale, delle società stesse, se il periodo di tempo intercorso tra la costituzione della società e la comunicazione del recesso o dell’esclusione, la deliberazione di riduzione del capitale, la morte del socio o l’inizio della liqui- dazione è superiore a cinque anni. In questa sede è opportuno ricordare, inoltre, che i redditi derivanti dalle so- cietà semplici, non essendo classificabili tra i redditi d’impresa, non rientravano 788 DIRITTO E PRATICA TRIBUTARIA N. 4/2014

Orbene, occorre anzitutto precisare che la previsione, contenuta nel citato art. 20-bis, t.u.i.r., della clausola in quanto compatibili, rife- rita all’applicazione delle disposizioni di cui all’art. 47, 7o comma, t.u.i.r., con specifico riferimento alle società semplici, implica che la regola impositiva prevista da tale ultima disposizione (art. 47, 7o com- ma, t.u.i.r.) – in forza della quale l’utile imponibile da attribuire al so- cio uscente è pari alla differenza tra, da un lato, la somma di denaro o il valore normale dei beni ricevuti e, dall’altro, il costo fiscale della partecipazione – essendo stata concepita per le società di capitali, deb- ba essere coordinata con la previsione di cui all’art. 68, 6o comma, t.u.i.r., che, sia pure con riferimento al reddito diverso realizzato a se- guito della vendita a terzi della partecipazione, richiede l’effettuazione delle rettifiche in aumento ed in diminuzione del costo fiscale della partecipazione con le modalità poco sopra descritte. In altri termini, anche ai fini della determinazione del reddito im- ponibile nei casi (qui esaminati) di «uscita» del socio dalla società semplice, il costo fiscalmente riconosciuto della partecipazione (da sottrarre alla somma o il valore normale dei beni ricevuti dal socio in occasione della «uscita» dalla società) deve essere «aggiornato» (ai sensi dell’art. 68, 6o comma, t.u.i.r.) mediante le predette rettifiche in aumento e in diminuzione, in ragione, cioè, di quelli che (sino a quel momento) sono stati, rispettivamente, i redditi imputati per trasparenza e gli utili distribuiti al socio (questi ultimi solo sino a concorrenza dei redditi imputati per trasparenza). Inoltre, sempre con riferimento alla disposizione di cui al citato art. 20-bis, t.u.i.r., si condivide l’osservazione secondo cui un’ulteriore «implicazione dell’espressione in quanto compatibili attinente al parti- colare caso delle società semplici dovrebbe consistere nella possibilità di trascurare, in occasione dello scioglimento del rapporto sociale, le somme devolute fino a concorso dei redditi esenti o assoggettati ad imposizione sostitutiva in capo alla società semplice. Ciò dovrebbe di- scendere dal principio generale di trasmissibilità delle agevolazioni fi- scali di cui gode la società di persone al socio. Osserviamo, infatti, da un lato che la tassazione in capo alla società si considera definitiva per tutti i redditi da essa realizzati, dall’altro che il socio è soggetto a tassazione soltanto in ragione dei proventi realizzati che sono confluiti

nell’ambito applicativo dello speciale regime opzionale di tassazione separata pre- visto dall’art. 1, 40o e41o comma, l. n. 244 del 2007, perché circoscritto soltanto alle persone fisiche titolari di redditi d’impresa e di redditi da partecipazione in società in nome collettivo e in accomandita semplice residenti nel territorio dello Stato. Peraltro, questo speciale regime opzionale non ha mai trovato attuazione, non essendo stato adottato il decreto del Ministero dell’economia e delle finanze che avrebbe dovuto introdurre le relative disposizioni attuative. Per un’analisi di tale specifico regime di tassazione separata cfr. G. Fransoni, La tassazione sepa- rata dei redditi delle imprese individuali e delle società di persone,inRass. trib., 2008, 326. PARTE PRIMA 789 nell’imponibile fiscale generale della società. Nessun dubbio, sotto questo aspetto, sussisterebbe in merito al diritto del socio di sfuggire al prelievo ricorrendo all’espediente di incassare prima dello sciogli- mento del rapporto sociale gli utili esenti o assoggettati a miti imposte sostitutive. Lo stesso trattamento andrebbe riservato al caso in cui que- gli stessi utili siano distribuiti in occasione dello scioglimento del rap- porto» (46). Infine, un’ultima considerazione appare opportuna in merito alla qualificazione dei redditi in esame in termini di redditi di partecipa- zione (ex art. 20-bis, t.u.i.r.). A tal riguardo, occorre ricordare, anzitutto, la precisazione del- l’Agenzia delle entrate (47) secondo cui «i redditi di partecipazione non costituiscono una autonoma categoria reddituale ma assumono la natura della categoria reddituale da cui traggono origine» (48).

(46) In questi termini N. Montuori - P.P. Caruso, Società semplice e mera detenzione di beni fruttiferi: un abbinamento da rispolverare?, cit., 623, i quali sul punto osservano anche che «in entrambi i casi, comunque, è palese la conve- nienza di monetizzare il bene esente o agevolato in capo alla società semplice e di procedere successivamente alla distribuzione della liquidità. Nel caso di asse- gnazione diretta del bene al socio, infatti, il suo valore normale concorrerebbe a formare il reddito di partecipazione soggetto per intero alle aliquote progressive, a prescindere dal fatto che il suo realizzo in capo alla società sarebbe soggetto ad un trattamento fiscale di favore» (enfasi degli Autori). (47) Cfr. Agenzia delle entrate, circ. n. 6/E del 13 febbraio 2006 (in banca dati Fisconline). (48) Sul punto, in precedenza, ha manifestato una posizione interpretativa in parte differente, P. Boria, Il principio di trasparenza nella imposizione delle so- cietà di persone, cit., 273 ss., secondo cui i redditi di partecipazione rappresente- rebbero una «categoria di reddito autonoma, che si aggiunge alle sei previste dal- l’art. 6 t.u.i.r.». In tal senso l’Autore afferma quanto segue: «(...) è da notare per un verso che le categorie di reddito sono tipicamente previste nell’art. 6, 1o com- ma t.u.i.r. e tra di esse non viene menzionata la categoria dei redditi di partecipa- zione; ciò lascerebbe intendere la inconfigurabilità di una autonoma categoria red- dituale. Per altro verso occorre rilevare che l’elencazione e la successiva discipli- na delle sei categorie risponde precipuamente alla esigenza di fissare per ciascuna di esse diversi criteri di individuazione del presupposto e di determinazione del reddito; e che tale esigenza per i proventi di società personali trova uno specifico regolamento proprio nell’art. 5 t.u.i.r. I redditi di partecipazione in società perso- nali come si è visto presentano una peculiare configurazione del presupposto di imposta, con determinazione della base imponibile ad un doppio livello: dapprima in riferimento al tipo di attività posta in essere dalla società; e poi in relazione al tempo ed alla quantificazione dell’imponibile sulla base dei criteri indicati nel- l’art. 5 t.u.i.r. Tale ultima norma assolve dunque alla funzione di stabilire i criteri di determinazione del reddito di ciascun socio. In questa prospettiva non mi sen- tirei così sicuro di escludere che i redditi di partecipazione possano venire inqua- drati come una categoria di reddito autonoma, che si aggiunge alle sei previste nell’art. 6 t.u.i.r.». Ciò posto, tuttavia, nel prosieguo l’Autore chiarisce ulterior- mente il proprio pensiero, affermando quanto segue: «(...) Probabilmente si tratta 790 DIRITTO E PRATICA TRIBUTARIA N. 4/2014

Ebbene, questa (condivisibile) precisazione non crea alcuna pro- blematica se riferita ai redditi delle società di persone commerciali, perché aventi sempre e comunque natura di reddito d’impresa; di con- tro, può creare non poche difficoltà applicative se riferita alle società semplici, visto il carattere eterogeneo dei redditi che queste ultime po- trebbero conseguire. Difatti, al fine di individuare la natura dei redditi di partecipazio- ne attribuiti al socio uscente dalla società semplice occorre guardare «a valle, all’attività in concreto svolta dalla società/fonte, analoga- mente a quanto avviene per quelli imputati in via ordinaria» (49). Ciò significa che la natura dei redditi di partecipazione in esame an- drà determinata sulla base di un’indagine di tipo «atomistico», in ra- gione, cioè, dell’origine potenzialmente eterogenea degli utili attribuiti al socio uscente in sede di liquidazione della relativa quota partecipa- tiva. Ma se tale regola interpretativa appare corretta in linea di princi- pio, da un punto di vista applicativo potrebbe creare non poche diffi- coltà, in primo luogo perché – come detto – gli utili attribuiti al socio uscente possono avere un’origine «mista», in ragione dell’eterogeneità delle attività e dei beni della società semplice e, per l’effetto, della eterogeneità delle fattispecie impositive da quest’ultima realizzate, ren- dendo, quindi, difficoltosa l’esatta individuazione delle diverse catego- rie reddituali a cui tali utili andrebbero ricondotti (anche e soprattutto ai fini della esatta determinazione della relativa misura imponibile); in secondo luogo, perché si condivide l’osservazione (50) secondo cui,

soltanto di intendersi sul significato da attribuire alle espressioni: i redditi di par- tecipazione in società personali non costituiscono una categoria di reddito a sé stante, se con ciò si vuole intendere che al fine di calcolare il risultato prodotto dalla società (il primo livello dunque) valgono le regole di determinazione del reddito di impresa o di una delle altre categorie reddituali tipiche; configurano in- vece una categoria di reddito autonoma e specifica, se con ciò si vuole indicare la peculiarità del criterio mediante il quale entrano a far parte del reddito complessi- vo del contribuente». (49) In questi termini N. Montuori, Società semplice e mera detenzione di beni fruttiferi: considerazioni in merito al raccordo tra la fiscalità della società e dei soci, cit., 5021. (50) Il riferimento è sempre a N. Montuori, Società semplice e mera deten- zione di beni fruttiferi: considerazioni in merito al raccordo tra la fiscalità della società e dei soci, cit., 5021, a cui si rinvia per un approfondimento di tali pro- blematiche. L’Autore, ad esempio, indica l’ipotesi in cui la società semplice è proprietaria di un immobile concesso in locazione al momento della liquidazione della quota sociale, il quale, laddove sia posseduto da più di cinque anni, se cedu- to, non realizzerebbe un reddito diverso, con conseguente non imponibilità del re- lativo utile futuro. Ebbene, in una fattispecie di tal genere si pone un evidente problema di individuazione della categoria di reddito in cui far confluire la plu- svalenza latente, relativa a tale immobile, liquidata a favore del socio uscente. A tal riguardo, secondo il citato Autore potrebbe seguirsi la seguente (condivisibile) PARTE PRIMA 791 con specifico riferimento alla parte della liquidazione della quota par- tecipativa relativa agli utili futuri, la relativa qualificazione reddituale «oltre che dalla natura del bene/fonte (...) dipende anche dalla partico- lare modalità di realizzo (conseguimento di rendimenti periodici o alienazione del bene)» (51). Ed ancora, per le medesime ragioni, non appare meno problemati- ca la questione relativa alla possibile deducibilità dal reddito imponibi- le complessivo della società semplice della c.d. «differenza da reces- so» corrisposta al socio in occasione della sua «uscita» dalla società. Si ricorda, infatti, che – così come chiarito anche dall’Agenzia delle entrate con specifico riferimento alle società di persone commer- ciali (52) – l’importo liquidato dalla società di persone a favore del socio uscente a titolo di «differenza da recesso» costituisce un compo- nente deducibile dal reddito (d’impresa) della società nell’esercizio in cui sorge il diritto alla liquidazione della quota. Più precisamente, a fronte dell’importo corrisposto dalla società di persone al socio uscente (importo, di regola, superiore al valore della corrispondente quota del patrimonio netto contabile riferibile al socio, perché comprensivo anche della quota parte dei plusvalori latenti in seno alla società), per la parte di tale importo riferibile al rimborso della quota di patrimonio netto contabile la società procede all’annul- soluzione: «qualora la liquidazione del socio avvenga in denaro ed i beni riman- gono nella disponibilità della società semplice, sembra ragionevole accogliere la qualificazione reddituale associata all’ipotesi di perdurante sfruttamento del bene da parte della società. Qualora, invece, la società opti per l’assegnazione in natura di beni al socio, alla quota di differenziale imputabile al bene assegnato andrebbe riservato il trattamento cui la società sarebbe stata sottoposta in caso di cessione a terzi, anche ai fini dell’ammissione ad eventuali esenzioni. Non sembra ammissi- bile, invece, l’estensione al socio delle modalità di tassazione di tipo reale (rite- nute a titolo d’imposta, imposte sostitutive, ritenute alla fonte) che la società avrebbe scontato qualora avesse ceduto o sfruttato in proprio il patrimonio. Il meccanismo delineato dall’art. 20-bis, infatti, e la classificazione del reddito come “di partecipazione” sembrano condurre inevitabilmente ad un’impostazione dello stesso alla persona del socio». (51) Si ricorda, infatti, che ai sensi dell’art. 2289 c.c., ogniqualvolta il rap- porto sociale viene sciolto limitatamente ad un socio (ossia nelle ipotesi di morte, recesso ed esclusione) sorge in capo a quest’ultimo, o ai suoi eredi, il diritto a percepire l’equivalente in denaro del valore della partecipazione sociale. La citata disposizione precisa che la liquidazione della quota deve essere effettuata in base alla situazione patrimoniale della società nel giorno dello scioglimento del rappor- to sociale, considerando anche gli utili e le perdite relative alle operazioni sociali in corso in tale data (dunque, rispettivamente, nel tempo della morte, del recesso o dell’esclusione del socio). Eventuali passività insorte successivamente e non ri- conducibili alla pregressa gestione sono invece irrilevanti, non potendo essere im- putate economicamente alla posizione del socio che è venuta meno (in tal senso cfr. Cass., sez. I, n. 1182 del 2006). (52) Cfr. Agenzia delle entrate, ris. n. 64/E del 25 febbraio 2008 e circ. n. 47/E del 18 giugno 2008 (par. 7.5), entrambe in banca dati Fisconline. 792 DIRITTO E PRATICA TRIBUTARIA N. 4/2014 lamento della quota di capitale sociale detenuta dal socio uscente ed alla corrispondente riduzione delle eventuali riserve, sia di utili che di capitale; quanto, invece, alla parte di tale importo riferibile al maggior valore economico del patrimonio societario (c.d. «differenza da reces- so»), come (correttamente) confermato dalla citata prassi ministeriale, questa è deducibile nella determinazione del reddito d’impresa della società di persone nell’esercizio in cui sorge il diritto alla liquidazione della quota in capo al socio. Difatti, pur in assenza di una espressa previsione normativa in tal senso, si tratta di una soluzione interpretativa necessitata dall’esigenza di evitare fenomeni di doppia imposizione, ossia evitare che il medesi- mo plusvalore venga assoggettato ad imposizione sia in capo al socio uscente, sia in capo ai soci rimasti nella società (53). Ciò posto, è evidente come tale soluzione interpretativa presenti delle oggettive difficoltà applicative se riferita alla «differenza da re- cesso» corrisposta al socio uscente di una società semplice, non poten- do essere dedotta dal reddito d’impresa di tale società per il mero fatto che – si è visto – la società semplice (diversamente dalle società di persone commerciali) non produce reddito d’impresa. Pertanto, la (poco sopra descritta) soluzione interpretativa della deducibilità della «differenza da recesso» nella determinazione del reddito imponibile delle società di persone (commerciali), se riferita alle società semplici, richiede inevitabilmente degli ulteriori sforzi in- terpretativi. In particolare, partendo dall’assunto secondo cui «i redditi di par- tecipazione non costituiscono una autonoma categoria reddituale ma assumono la natura della categoria reddituale da cui traggono origi- ne» (54), (anche) la natura della «differenza da recesso» – che, come detto, costituisce reddito di partecipazione per il socio uscente – deve essere individuata analizzando la sua origine, ossia guardando all’atti- vità in concreto svolta dalla società/fonte, con la conseguenza di dover riconoscere rilevanza fiscale nella determinazione del reddito comples- sivo della società semplice soltanto a quella parte della «differenza da recesso» che (simmetricamente) viene assoggettata ad imposizione in capo al socio uscente (da determinarsi nei modi poco sopra indicati). Ebbene, se tale soluzione interpretativa appare corretta in linea di principio, tuttavia, la stessa presenta non poche problematicità sotto il profilo applicativo, anche e soprattutto per l’assenza di qualsiasi riferi-

(53) In particolare, la doppia imposizione si verificherebbe se l’utile attri- buito al socio uscente (assoggettato ad imposizione in capo a quest’ultimo al mo- mento della liquidazione della quota) venisse successivamente assoggettato, una seconda volta, ad imposizione in capo ai soci rimasti nella società, a seguito del- l’imputazione per trasparenza dell’utile dell’esercizio in corso ovvero dell’utile realizzato dalla società semplice al momento del realizzo del plusvalore latente che è stato liquidato al socio che è uscito dalla società. (54) Cfr. Agenzia delle entrate, circ. 13 febbraio 2006, n. 6/E prima citata. PARTE PRIMA 793 mento normativo, oltre che per l’assenza di chiarimenti di prassi sul punto. Provando ad abbozzare delle ipotesi, la rilevanza fiscale della «differenza da recesso» in capo ai restanti soci della società semplice si potrebbe ottenere, ad esempio, mediante il riconoscimento di un maggiore costo fiscale dell’immobile della società, in misura corri- spondente all’importo del relativo plusvalore («differenza da recesso») che è stato assoggettato ad imposizione in capo al socio uscente; in questo modo si eviterebbe che, al momento del futuro realizzo di tale plusvalore latente a seguito della cessione dell’immobile da parte della società semplice, si possa verificare un fenomeno di doppia imposizio- ne a causa dell’imputazione per trasparenza in capo ai restanti soci dell’utile così realizzato dalla società semplice [sempre che al momen- to di tale cessione sussistano i presupposti per il realizzo di un reddito diverso ex art. 67, 1o comma, lett. a)eb), t.u.i.r.]. Ed ancora, un’altra soluzione (sempre di natura interpretativa) volta ad evitare possibili fenomeni di doppia imposizione, da applicare nella diversa ipotesi in cui la «differenza da recesso» (assoggettata ad imposizione in capo al socio uscente) sia costituita, ad esempio, dalla liquidazione di maggiori valori relativi a rendimenti periodici di deter- minate attività o di determinati beni della società semplice (ad esem- pio, canoni di locazione di immobili oppure proventi derivanti da atti- vità finanziarie non assoggettati a ritenuta alla fonte a titolo di imposta o ad imposta sostitutiva), potrebbe essere rappresentata dall’imputazio- ne per trasparenza, in capo ai restanti soci della società semplice, di un minore reddito imponibile, id est del reddito imponibile conseguito dalla società al netto della quota di tale reddito già assoggettata ad im- posizione in capo all’ormai ex socio a cui è stata liquidata la quota partecipativa. Chiaramente, il tutto si complicherebbe ulteriormente nelle ipotesi in cui l’origine della «differenza da recesso» (assoggettata ad imposi- zione in capo al socio uscente) abbia una composizione «mista»; difat- ti, in queste ipotesi dovrebbero individuarsi le percentuali di incidenza delle diverse «fonti» della «differenza da recesso» e, sulla base di tali percentuali, individuare le possibili e diverse soluzioni da adottare per evitare fenomeni di doppia imposizione. Peraltro, laddove tale procedura di calcolo dovesse risultare ecces- sivamente complicata si potrebbe pensare ad una soluzione «di sempli- cità», attribuendo rilevanza fiscale, in capo ai restanti soci, alla «diffe- renza da recesso» (assoggettata ad imposta in capo al socio uscente), attraverso un incremento di pari importo del costo fiscale delle parte- cipazioni nella società semplice da questi ultimi possedute; chiaramen- te, tale incremento dovrà avvenire per ciascun socio in proporzione al- la rispettiva quota di partecipazione agli utili. In ogni caso, in questa sede è importante segnalare come quelle appena descritte rappresentino delle soluzioni interpretative non solo prive di solidi «agganci normativi» e di conferme da parte dell’Ammi- nistrazione finanziaria, ma, per di più, non sempre in grado di rappre- 794 DIRITTO E PRATICA TRIBUTARIA N. 4/2014 sentare la «giusta soluzione», in quanto potrebbe anche accadere che la «differenza da recesso», assoggettata ad imposizione in capo al so- cio uscente al momento della liquidazione della quota, sia relativa a maggiori valori che al momento del loro successivo realizzo da parte della società semplice non daranno luogo alla determinazione, in capo a quest’ultima, di alcun reddito imponibile (si pensi, ad esempio, al plusvalore latente relativo ad un immobile della società semplice che viene liquidato a favore del socio uscente e che la stessa società rea- lizzerà in futuro mediante una cessione a titolo oneroso dell’immobile inidonea a generare un reddito diverso, perché effettuata dopo il de- corso di un quinquennio dalla data di acquisto). In ragione di ciò, si è dell’avviso che le poco sopra descritte pro- blematicità poste dalla disciplina impositiva dei redditi derivanti dalle società semplici dovrebbero essere risolte non tanto o non solo attra- verso maggiori indicazioni interpretative da parte dell’Amministrazio- ne finanziaria (comunque auspicabili), ma anche e sopratutto attraver- so degli interventi legislativi che introducano delle «regole di semplifi- cazione» nella determinazione di tali redditi, in grado di ridurre il più possibile il rischio di fenomeni di doppia imposizione e di «asimme- trie fiscali».

avv. STEFANO ZAGÀ Dottore di ricerca in Pubblica amministrazione dell’economia e delle finanze NOVITÀ LEGISLATIVE a cura del prof. Massimo Procopio

28. – Legge 23 maggio 2014, n. 80 (G.U. 27 maggio 2014, n. 121). Con- versione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 28 marzo 2014, n. 47, recante misure urgenti per l’emergenza abitativa, per il mercato delle costru- zioni e per Expo 2015.

1. Premessa – La l. 23 maggio 2014, n. 80 (1), di conversione del d.l. 28 marzo 2014, n. 47 (c.d. «Decreto casa») recante misure urgenti per l’emergenza abitativa, per il mercato delle costruzioni e per Expo 2015 – pubblicata sulla Gazz. uff. del 27 maggio 2014, n. 121 – contiene numerose disposizioni dirette al recupero degli alloggi sociali (2) e delle cosiddette case popolari, con l’obiettivo dichiarato di aumentare l’offerta di detti immobili sul mercato grazie alla ristrutturazione di quelli attualmente inutilizzabili. Il decreto contiene inoltre misure dirette a contrastare l’occupazione abusiva de- gli immobili. Di notevole interesse è anche lo svincolo del bonus mobili dal- l’importo delle spese di ristrutturazione. Si illustrano di seguito le misure tributarie di maggior interesse contenu- te nel decreto a seguito della conversione in legge.

2. Disposizioni principali

Detrazioni fiscali per ristrutturazioni edilizie – L’art. 7, commi 2-bis e 2-ter, della l. n. 80 del 2014, ha apportato modifiche alla disciplina delle de- trazioni irpef spettanti per le ristrutturazioni edilizie e l’acquisto di mobili. Più in particolare per il periodo compreso tra il 6 giugno 2013 e il 31 dicem- bre 2014 potrà usufruirsi della detrazione per le spese sostenute per l’acquisto

(1) Entrata in vigore il 28 maggio 2014. (2) Viene definito alloggio sociale l’unità immobiliare adibita a uso resi- denziale quando sia realizzata o recuperata da soggetti pubblici e privati, nonché dall’ente gestore comunque denominato, e da concedere in locazione per ridurre il disagio abitativo di individui e nuclei familiari svantaggiati che non sono in grado di accedere alla locazione di alloggi alle condizioni di mercato. Viene an- che considerato alloggio sociale l’unità abitativa: destinata alla locazione, con vincolo di destinazione d’uso, comunque non inferiore a 15 anni, all’edilizia uni- versitaria convenzionata; destinata alla locazione con patto di futura vendita, per un periodo non inferiore ad 8 anni. Il patto può anche riguardare la futura asse- gnazione. 796 DIRITTO E PRATICA TRIBUTARIA N. 4/2014 di mobili anche ove dette spese superino quelle sostenute per i connessi lavo- ri di ristrutturazione. Detrazioni fiscali per conduttori di alloggi sociali – L’art. 7, 1o e2o comma, ha introdotto agevolazioni fiscali per il triennio 2014-2016 in favore dei conduttori di alloggi sociali adibiti ad abitazione principale ai quali spetta una detrazione complessiva pari a: – 900 euro, se il reddito complessivo non supera 15.493,71 euro; – 450 euro, se il reddito complessivo è compreso tra 15.493,72 e 30.987,41 euro. Riscatto dell’alloggio sociale – L’art. 8 del d.l. n. 47 del 2014, ha intro- dotto la facoltà di inserire la clausola di riscatto dell’unità immobiliare e le relative condizioni economiche nelle convenzioni che disciplinano le modalità di locazione degli alloggi sociali nonché la possibilità per il conduttore – fino alla data del riscatto dell’alloggio sociale – di imputare i corrispettivi pagati al locatore in parte in conto del prezzo di acquisto futuro dell’alloggio e in parte in conto affitto. In dette ipotesi, ai fini delle imposte sui redditi e del- l’irap, i corrispettivi si considerano fiscalmente quali canoni di locazione; ri- correndone le condizioni, tali corrispettivi sono parzialmente esenti dalle im- poste sui redditi e dall’irap. Ai fini irpef, ove ne ricorrano le condizioni, il conduttore potrà usufruire della detrazione per canoni di locazione prevista dall’art. 7 del provvedimento in esame. Ai fini irap, le società personali e gli imprenditori individuali possono dedurre dall’imponibile anche i costi dei ca- noni di locazione di beni strumentali. In caso di riscatto dell’unità immobilia- re, l’esercizio di competenza in cui si considerano conseguiti i corrispettivi derivanti dalla cessione è quello in cui avviene l’effetto traslativo della pro- prietà del bene. Le eventuali imposte correlate agli «acconti-prezzo» costitui- scono un credito di imposta. La relativa disciplina di dettaglio è demandata ad un decreto attuativo. Le nuove disposizioni si applicano ai contratti di locazione stipulati a far data dal 28 maggio 2014. L’esercizio del diritto di riscatto dell’immobile è subordinato alle seguenti tre condizioni: – la clausola di riscatto non può essere invocata prima del decorso di almeno 7 anni dalla stipula del contratto; – il conduttore deve essere privo di altra abitazione di proprietà adegua- ta alle esigenze del nucleo familiare; – chi esercita il riscatto non può rivendere l’immobile prima dello sca- dere dei 5 anni. Cedolare secca per contratti a canone concordato, riduzione dell’aliquo- ta – L’art. 9 della legge in commento, ha disposto la riduzione dell’aliquota dal 15 al 10 per cento, per il quadriennio 2014-2017, della c.d. «cedolare sec- ca» per i contratti a canone concordato stipulati nei maggiori comuni italiani (e nei comuni confinanti), negli altri capoluoghi di provincia o nei comuni ad alta tensione abitativa. Viene esteso il regime della cedolare secca anche alle abitazioni locate a cooperative edilizie per la locazione o a enti senza scopo di lucro, purché sublocate a studenti universitari e date a disposizione dei co- muni con rinuncia all’aggiornamento del canone di locazione o assegnazione. È stata altresì consentita l’applicazione dell’aliquota ridotta al 10 per cento della cedolare secca ai contratti di locazione stipulati nei comuni per i quali sia stato deliberato, negli ultimi cinque anni (prima dell’entrata in vigore del- la legge in commento), lo stato di emergenza a seguito di eventi calamitosi. PARTE PRIMA 797

Previsto entro 30 giorni dall’entrata in vigore del decreto l’aggiornamento dell’elenco dei Comuni ad alta tensione abitativa. Imposizione sui redditi dell’investitore – L’art. 6 del «decreto casa» di- spone che i redditi derivanti dalla locazione di alloggi sociali, di nuova co- struzione o per i quali sono stati realizzati interventi di manutenzione straor- dinaria o di recupero su un fabbricato preesistente di un alloggio sociale, non concorrono alla formazione del reddito d’impresa ai fini delle imposte sui redditi né alla formazione del valore della produzione netta ai fini irap, nella misura del 40 per cento. La previsione è valida fino all’eventuale riscatto del- l’unità immobiliare da parte del conduttore e, comunque, per un periodo non superiore a dieci anni dalla data di ultimazione dei lavori di nuova costruzio- ne o di realizzazione mediante interventi di manutenzione straordinaria o di recupero su un fabbricato preesistente. I.m.u. su immobili posseduti da cittadini residenti all’estero – L’9-bis del decreto n. 47 del 2014 ha assoggettato dal 2015 al regime I.m.u. previsto per l’abitazione principale, l’unità immobiliare posseduta dai cittadini italiani pensionati non residenti nel territorio dello Stato e iscritti all’Anagrafe degli Italiani residenti all’Estero (Aire), a titolo di proprietà o di usufrutto in Italia, purché non locata o data in comodato d’uso. Su detti immobili la Ta.r.i. e la Ta.s.i. sono applicate nella misura agevolata di un terzo. Detti immobili pur- ché non rientrino negli immobili «di lusso» (categorie catastali A/1, A/8 ed A/9), godranno ex lege dell’esenzione da I.m.u.; diversamente usufruiranno dell’aliquota agevolata allo 0,4 per cento e della detrazione di 200 euro previ- sta dalla legge. 29. D.l. 9 giugno 2014, n. 88 (G.U. 10 giugno 2014, n. 132). Disposi- zioni urgenti in materia di versamento della prima rata Ta.s.i. per l’anno 2014. Il d.l. 9 giugno 2014, n. 88 (G.U. n. 132 del 10 giugno 2014) – recante Disposizioni urgenti in materia di versamento della prima rata Ta.s.i. per l’anno 2014 – sostituisce integralmente gli ultimi tre periodi del 688o comma dell’art. 1 della l. 27 dicembre 2013, n. 147 c.d. «Legge di stabilità 2014», in materia di tributo per i servizi indivisibili (Ta.s.i.), prevedendo che, a decor- rere dall’anno 2015, i comuni sono tenuti ad assicurare la massima semplifi- cazione degli adempimenti dei soggetti passivi d’imposta rendendo disponibili i modelli di pagamento preventivamente compilati su loro richiesta, ovvero procedendo autonomamente all’invio degli stessi modelli. Il decreto ha stabilito, per l’anno 2014, un regime derogatorio rispetto a quello ordinario delineato nello stesso 688o comma destinato a entrare in vi- gore dal 2015. Sulla base delle deliberazioni di approvazione delle aliquote e delle detrazioni pubblicate nel sito informatico del Ministero dell’economia e delle finanze alla data del 31 maggio 2014, i contribuenti hanno versato la prima rata del nuovo tributo entro il 16 giugno 2014. Nel caso di mancato in- vio delle deliberazioni entro il termine del 23 maggio 2014, il versamento della prima rata della Ta.s.i. è stato differito al 16 ottobre 2014 sulla base delle deliberazioni concernenti le aliquote e le detrazioni nonché dei regola- menti della Ta.s.i. pubblicati nel medesimo sito alla data del 18 settembre 2014, con obbligo per i comuni di invio entro il 10 settembre 2014. La norma ha altresì disciplinato il versamento della Ta.s.i. nell’ipotesi di mancato invio delle deliberazioni entro l’anzidetto termine del 10 settembre 798 DIRITTO E PRATICA TRIBUTARIA N. 4/2014

2014, prevedendo, quindi, in capo al contribuente l’obbligo di versamento del tributo anche in assenza delle delibere con cui il comune regolamenta la Ta.s.i. In tal caso, i contribuenti saranno infatti tenuti a versare l’imposta in un’unica soluzione entro il termine del 16 dicembre 2014, applicando l’aliquota di ba- se pari all’1 per mille e, comunque, entro il limite massimo previsto dal pri- mo periodo del 677o comma dell’art. 1 della legge di stabilità 2014, il quale dispone che «il comune... può determinare l’aliquota rispettando in ogni caso il vincolo in base al quale la somma delle aliquote della Ta.s.i. e dell’I.m.u. per ciascuna tipologia di immobile non sia superiore all’aliquota massima consentita dalla legge statale per l’I.m.u. al 31 dicembre 2013, fissata al 10,6 per mille e ad altre minori aliquote, in relazione alle diverse tipologie di im- mobile». La Ta.s.i. – dovuta dall’occupante, nel caso di mancato invio della deli- bera entro il termine del 10 settembre 2014, ovvero nel caso di mancata de- terminazione della percentuale di cui al 681o comma dell’art. 1 della legge di stabilità 2014 – è pari al 10 per cento dell’ammontare complessivo del tributo, determinato con riferimento alle condizioni del titolare del diritto reale. La modifica, intervenendo sulla norma che prevedeva il versamento del- la Ta.s.i. all’1 per mille sin dalla prima rata in caso di mancato invio delle deliberazioni entro il 23 maggio 2014, comporta l’erogazione a favore dei co- muni appartenenti alle regioni a statuto ordinario, alla Regione siciliana e alla regione Sardegna, entro il 20 giugno 2014, di un importo corrispondente al 50 per cento del gettito annuo della Ta.s.i. stimato ad aliquota di base. Con apposito decreto del Ministero dell’economia e delle finanze saranno indicati, per ciascuno dei predetti comuni, gli importi da erogare. Il decreto legge in commento prevede, infine, la procedura per recupera- re le somme nel caso in cui le anticipazioni complessivamente erogate siano superiori all’importo spettante per l’anno 2014 a titolo di Fondo di solidarietà comunale.

30. Legge 23 giugno 2014, n. 89 (G.U. 23 giugno 2014, n. 143). Con- versione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 24 aprile 2014, n. 66, recante misure urgenti per la competitività e la giustizia sociale. Deleghe al Governo per il completamento della revisione della struttura del bilancio del- lo Stato, per il riordino della disciplina per la gestione del bilancio e il po- tenziamento della funzione del bilancio di cassa, nonché per l’adozione di un testo unico in materia di contabilità di Stato e di tesoreria.

1. Premessa – La l. 23 giugno 2014, n. 89 – pubblicata sulla Gazz. uff. 23 giugno 2014, n. 143 di conversione del d.l. 24 aprile 2014, n. 66 c.d. «Decreto irpef» – reca misure urgenti per la competitività e la giustizia so- ciale. Deleghe al Governo per il completamento della revisione della struttu- ra del bilancio dello Stato, per il riordino della disciplina per la gestione del bilancio e il potenziamento della funzione del bilancio di cassa, nonché per l’adozione di un testo unico in materia di contabilità di Stato e di teso- reria. I commi da2a10dell’art. 1 della legge in commento, intervengono su alcuni termini di delega contenuti nella l. 31 dicembre 2009, n. 196 (c.d. «Legge di contabilità e finanza pubblica») il cui termine di esercizio è scadu- to al 1o gennaio 2014, rinviando al 31 dicembre 2015 la riforma della struttu- ra del bilancio dello Stato ed il riordino della disciplina della gestione del bi- PARTE PRIMA 799 lancio con potenziamento del bilancio di cassa e al 31 dicembre 2016 la pre- disposizione di un testo unico delle disposizioni in materia di contabilità di Stato. L’11o comma del medesimo art. 1, reca una nuova formulazione dell’in- varianza finanziaria della legge di delega fiscale, prevedendo a tal fine la possibilità di compensazione contabile tra i decreti legislativi attuativi, me- diante la costituzione di un apposito fondo cui affluiscono le risorse finanzia- re disposte dai decreti legislativi presentati prima o contestualmente a quelli che comportano oneri. Si illustrano di seguito le principali modifiche apportate in sede di con- versione al decreto irpef.

2. Principali modifiche

2.1. Riduzione del cuneo fiscale – L’art. 1 del d.l. n. 66 del 2014, con riferimento al c.d bonus 80 euro concesso ai lavoratori dipendenti con redditi fino a 24 mila euro, contiene una norma di indirizzo delegando alla legge di stabilità 2015 il compito di prevedere misure fiscali dirette all’ampliamento della platea dei beneficiari dell’agevolazione che privilegino il carico di fami- glia e, in particolare, le famiglie monoreddito con almeno due o più figli a carico. Rispetto alla versione originaria del decreto irpef, il medesimo art. 1 prevede che le somme erogate dai sostituti d’imposta possano essere recupe- rate tramite compensazione esterna (ex art. 17 del d.lgs. n. 241 del 1997) mentre gli enti pubblici e le amministrazioni statali possono recuperarle altre- sì mediante la riduzione dei versamenti delle ritenute e, per l’eventuale ecce- denza, dei contributi previdenziali. Le modifiche introdotte hanno inoltre am- pliato la platea dei soggetti chiamati al riconoscimento diretto del credito; do- vranno infatti erogare automaticamente il bonus tutti i sostituti di imposta e non solo, pertanto, quelli indicati agli artt. 23 e 29 del d.p.r. n. 600 del 1973.

2.2. Trattamento fiscale dei redditi di natura finanziaria e altre disposi- zioni fiscali – L’art. 4, commi da 1 a 10, reca una serie di disposizioni di coordinamento in ordine all’applicazione di quanto previsto dal precedente art. 3 in materia di tassazione dei rendimenti degli strumenti finanziari. In se- de di conversione sono stati inseriti i commi 6-bis e6-ter relativi, rispettiva- mente, all’introduzione, in via transitoria, di un credito di imposta in favore delle Casse di previdenza private per compensare la maggiore aliquota del 26 per cento ed ad un aumento all’11,5 per cento (dall’11 per cento), per l’anno 2014, dell’aliquota dell’imposta sostitutiva sul risultato dei fondi pensione per sterilizzare gli effetti del mancato innalzamento della tassazione delle rendite finanziarie sulle casse di previdenza privatizzate. Il nuovo 11o comma dell’art. 4, modifica le disposizioni della legge di stabilità 2014 che consentono la rivalutazione dei beni d’impresa mediante il pagamento di un’imposta sostitutiva ripristinando la possibilità di versare det- ta imposta in tre rate (16 giugno, 16 settembre e 16 dicembre 2014) senza pagamento degli interessi, ma compensando gli importi da versare e rideter- minando la scadenza di pagamento delle stesse. Il 12o comma prevede che il versamento dell’imposta sostitutiva sulla ri- valutazione delle quote di partecipazione al capitale di Banca d’Italia ivi pre- visto sia effettuato in un’unica soluzione nella misura del 26 per cento del valore nominale delle quote al netto del valore fiscalmente riconosciuto al 31 dicembre 2013. 800 DIRITTO E PRATICA TRIBUTARIA N. 4/2014

Il comma 12-bis, anch’esso introdotto in sede di conversione, è diretto al contenimento delle spese di personale delle aziende speciali, delle istituzioni e delle società partecipate dalle amministrazioni locali, da realizzare sulla ba- se di un atto di indirizzo adottato dall’ente locale controllante. L’aggiunto comma 12-ter consente alle società cooperative la distribu- zione degli utili ai soci finanziatori anche quando le riserve sono state utiliz- zate a copertura delle perdite e dette riserve non siano state ricostituite. La disposizione consente di beneficiare anche in tali ipotesi della detassazione dell’utile destinato alle riserve. Il comma 12-quater interviene sulla disciplina relativa al versamento della Ta.s.i. per l’anno 2014, prorogando il versamento della prima rata al 16 ottobre per i comuni che non hanno deliberato l’aliquota (3). Ai comuni per i quali si applica il differimento dell’imposta viene erogata un’anticipazione pari al 50 per cento del gettito annuo stimato ad aliquota di base. Il comma 1-bis dell’art. 5, attraverso una integrazione all’art. 10, 4o comma, del d.lgs. n. 23 del 2011 (c.d. «federalismo municipale»), ripristina determinate agevolazioni fiscali relative ai trasferimenti riguardanti la restitu- zione di terre a comuni, scioglimenti e liquidazioni di usi civici. L’art. 5-bis, apporta modifiche al regime delle entrate riscosse dal Mini- stero degli Affari Esteri. Per il riconoscimento della cittadinanza italiana a persona maggiorenne dovranno essere versati 300 euro mentre per il rilascio dei passaporti ordinari l’importo viene elevato a 73,50 euro.

2.3. Razionalizzazione della spesa pubblica per beni e servizi – L’art. 8 individua gli obblighi di pubblicazione dei dati relativi alla spesa delle pub- bliche amministrazioni e alla tempestività dei pagamenti. Il medesimo artico- lo dispone, inoltre, una riduzione della spesa per acquisto di beni e servizi per complessivi 2,1 miliardi a decorrere dal 2014. A tal fine le amministra- zioni interessate possono anche procedere alla riduzione del 5 per cento degli importi dei contratti in essere. Il modificato art. 11 contiene misure dirette al contenimento dei com- pensi riconosciuti alle banche per il servizio di pagamento di imposte e con- tributi versati con il modello F24. Per i versamenti superiori a mille euro o in presenza di compensazioni, viene introdotto dal 1o ottobre 2014 l’obbligo di utilizzare il modello F24 on line, esclusivamente mediante i servizi telematici messi a disposizione dall’Agenzia delle entrate (Entratel o Fisconline) nel ca- so di saldo a zero, mediante i servizi telematici dell’Agenzia delle entrate e gli intermediari abilitati (es. banche) nel caso di saldo positivo. Rispetto alla versione originaria del decreto è stata inoltre eliminata la possibilità, per i soggetti abilitati, di inviare la delega di versamento di un soggetto terzo me- diante i servizi telematici degli intermediari. L’art. 11-bis (4), ha disposto che i soggetti passivi d’imposta decaduti da dilazioni dell’Agente della riscossione alla data del 22 giugno 2013, potranno presentare una istanza entro il 31 luglio 2014 per chiedere una nuova ratea- zione fino a 72 mensilità non prorogabile. La previsione tende a rimettere in termini i contribuenti che non hanno potuto beneficiare della disciplina di maggior favore sulle rateazioni introdotta con il d.l. 21 giugno 2013, n. 69

(3) I Comuni sono tenuti a inviare le deliberazioni, esclusivamente in via telematica, entro il 10 settembre 2014. (4) Inserito in sede di conversione. PARTE PRIMA 801

(c.d. «Decreto del fare») (5). Ai sensi di quest’ultimo provvedimento, la de- cadenza dalle rateazioni si verificava solo con il mancato pagamento di com- plessive otto rate, mentre la disciplina previgente disponeva che era sufficien- te il mancato pagamento di due rate consecutive. È utile osservare a riguardo che non si tratta di una completa remissione in termini, poiché ai soggetti in- teressati vengono precluse alcune opportunità concesse agli altri debitori con il richiamato «Decreto del fare». Rispetto alle dilazioni ordinarie, infatti: 1) non è ammessa la maxi rateazione sino a 120 rate; 2) non è prevista la proroga per un ulteriore periodo di tempo; 3) non vale la condizione di decadenza di otto rate, ma quella molto più restrittiva delle due rate non pagate, anche non consecutive. L’esistenza di procedimenti esecutivi in corso non dovrebbe inoltre pre- cludere la concessione del beneficio; il debitore potrà pertanto tentare di so- spendere i pignoramenti in corso presentando la domanda di rateazione in esame. È stata altresì abrogata la disposizione di cui all’art. 10, comma 13- ter, del d.l. n. 201 del 2011 in forza della quale le dilazioni decadute alla da- ta di entrata in vigore della l. n. 214 del 2012 possono essere prorogate fino a 72 rate, qualora il contribuente provi il peggioramento della sua posizione economica. È infatti evidente che dette situazioni sono ricomprese nell’ambi- to della nuova disciplina. Il modificato art. 12-bis del decreto irpef – il quale prevede che i canoni delle concessioni demaniali marittime dovuti a partire dall’anno 2014 siano versati entro la data del 15 settembre di ciascun anno – ha differito il termine per il riordino complessivo della materia delle concessioni demaniali maritti- me al 15 ottobre 2014.

2.4. Pagamento dei debiti della pubblica amministrazione – L’art. 27 in- troduce (1o comma) nuove modalità di monitoraggio dei debiti delle pubbli- che amministrazioni, dei relativi pagamenti e dell’eventuale verificarsi di ri- tardi rispetto ai termini stabiliti dalla Direttiva europea, attraverso un adegua- mento delle funzionalità della Piattaforma elettronica per la gestione telemati- ca del rilascio delle certificazioni. Il 2o comma, in particolare, modifica la disciplina della certificazione dei crediti relativi a somme dovute per somministrazioni, forniture e appalti, non- ché per prestazioni professionali, ampliando il perimetro delle amministrazio- ni pubbliche tenute alla certificazione dei debiti non estinti. Il medesimo comma ridefinisce, di conseguenza, i soggetti cui compete la nomina dei commissari ad acta, in caso di mancata certificazione da parte dell’ammini- strazione debitrice nei tempi previsti (30 giorni), introducendo sanzioni a ca- rico delle stesse amministrazioni e dei dirigenti responsabili nei casi di ina- dempimento dell’obbligo di certificazione nei tempi previsti, ed infine riba- dendo l’obbligatorietà dell’indicazione della data prevista di pagamento nella certificazione. L’art. 37 introduce strumenti diretti a favorire la cessione dei crediti di parte corrente certificati da parte di pubbliche amministrazioni diverse dallo Stato. Detti crediti devono essere certi, liquidi ed esigibili e riguardare som- ministrazioni, forniture ed appalti e prestazioni professionali, maturati al 31 dicembre 2013 e certificati, alla data di entrata in vigore della legge in com- mento. Per tali debiti è prevista la concessione della garanzia dello Stato a

(5) Convertito nella l. n. 98 del 2013. 802 DIRITTO E PRATICA TRIBUTARIA N. 4/2014 partire dal momento dell’effettuazione di operazioni di cessione ovvero di ri- definizione con banche o intermediari finanziari. La Cassa depositi e prestiti e le istituzioni finanziarie dell’Ue e internazionali possono acquisire dalle banche e dagli intermediari finanziari, i crediti assistiti dalla garanzia dello Stato, anche al fine di effettuare operazioni di ridefinizione dei termini e del- le condizioni di pagamento dei relativi debiti. Per la concessione delle predet- te garanzie, sono attribuite risorse pari a 150 milioni per il 2014 all’apposito Fondo di garanzia istituito presso il Ministero dell’economia e delle finanze. Viene altresì istituito un Fondo di riserva, con una dotazione di 1.000 milioni per il 2014, per integrare le risorse dovute per le garanzie concesse dallo Sta- to. L’aggiunto art. 38-bis dispone che la cessione dei crediti, liquidi ed esi- gibili, maturati al 31 dicembre 2013, nonché le operazioni di ridefinizione dei relativi debiti sono esenti da imposte, tasse e diritti di qualsiasi tipo, fatta sal- va l’iva. L’art. 39 modifica la disciplina della compensabilità dei crediti vantati nei confronti della pubblica amministrazione, eliminando il limite temporale (che si riferiva ai crediti maturati al 31 dicembre 2012) in precedenza previ- sto dalla legge per l’utilizzo di tale istituto; la possibilità di compensazione dei crediti verso la PA è dunque estesa anche a quelli maturati dal 1o gennaio 2013. 31. D.l. 24 giugno 2014, n. 90 (G.U. del 24 giugno 2014, n. 144). Misu- re urgenti per la semplificazione e la trasparenza amministrativa e per l’effi- cienza degli uffici giudiziari. Il d.l. 24 giugno 2014, n. 90 – pubblicato sulla Gazz. uff. del 24 giugno 2014, n. 144 – recante Misure urgenti per la semplificazione e la trasparenza amministrativa e per l’efficienza degli uffici giudiziari (c.d. «Decreto P.A.») contiene importanti disposizioni relative al pubblico impiego che dovrebbero agevolare il «ricambio generazionale» e avviare un più efficace contrasto alla corruzione. Numerose sono inoltre le norme dirette a snellire e semplificare i processi amministrativi e quelli civili, puntando soprattutto sui procedimenti telematici. Circa le disposizioni di carattere fiscale si segnalano quelle in materia di diminuzione dei diritti camerali e di aumento del contributo unificato nel pro- cesso civile. Oneri camerali – L’art. 28 del decreto in commento ha ridotto del 50 per cento il diritto annuale – dovuto dalle imprese iscritte o annotate nel regi- stro delle imprese e dai soggetti iscritti nel repertorio delle notizie economi- che e amministrative (Rea) alle Camere di commercio – a decorrere dal 2015. Com’è noto il diritto è dovuto alla Camera di commercio nella cui circoscri- zione territoriale è iscritta o annotata la sede principale dell’impresa, nonché le sue eventuali sedi secondarie e unità locali. Le imprese che hanno unità lo- cali o sedi secondarie situate in province diverse da quella della sede princi- pale devono versare un diritto a ciascuna delle Camere di commercio compe- tenti per territorio. Le imprese con sede legale all’estero devono pagare un diritto per ogni unità locale o sede secondaria alla Camera di commercio di iscrizione. Aumento del contributo unificato – L’art. 53, a copertura delle minori entrate previste dall’attuazione dal capo II del titolo IV del d.l. n. 90, e cioè PARTE PRIMA 803 le norme per garantire l’effettività del processo telematico, prevede l’aumento del contributo unificato di cui all’art. 13 del d.lgs. n. 115 del 2002, i cui im- porti vengono modificati.

32. D.l. 24 giugno 2014, n. 91 (G.U. 24 giugno 2014, n. 144). Disposi- zioni urgenti per il settore agricolo, la tutela ambientale e l’efficientamento energetico dell’edilizia scolastica e universitaria, il rilancio e lo sviluppo del- le imprese, il contenimento dei costi gravanti sulle tariffe elettriche, nonché per la definizione immediata di adempimenti derivanti dalla normativa euro- pea.

1. Premessa. – Il d.l. 24 giugno 2014, n. 91 – pubblicato sulla Gazz. uff. 24 giugno 2014, n. 144 recante Disposizioni urgenti per il settore agricolo, la tutela ambientale e l’efficientamento energetico dell’edilizia scolastica e uni- versitaria, il rilancio e lo sviluppo delle imprese, il contenimento dei costi gravanti sulle tariffe elettriche, nonché per la definizione immediata di adem- pimenti derivanti dalla normativa europea – contiene numerose disposizioni dirette al rilancio e allo sviluppo delle imprese, al contenimento dei costi gra- vanti sulle tariffe elettriche, nonché norme per il settore agricolo, per la tutela ambientale e l’efficientamento energetico dell’edilizia scolastica e universita- ria. Le misure destinate alle imprese prevedono incentivi agli investimenti del manifatturiero (con un credito d’imposta che ammonta complessivamente a circa 1,2 miliardi), la patrimonializzazione delle imprese con il rafforzamento dell’ACE (Aiuti per la crescita economica), norme di deregulation per Borsa e canali non bancari ai fini della concessione del credito alle imprese, nonché il taglio del 10 per cento delle bollette a favore delle Pmi. Si illustrano di seguito le principali disposizioni di carattere fiscale e so- cietario contenute nel decreto in commento.

2. Interventi per il sostegno del Made in . – L’art. 3, 1o comma, specifica i termini del credito d’imposta da applicarsi alle spese relative alla realizzazione e l’ampliamento di infrastrutture informatiche finalizzate al po- tenziamento del commercio elettronico che è riconosciuto alle imprese pro- duttrici di prodotti alimentari di cui all’Allegato I del Trattato sul funziona- mento dell’Unione europea (TFUE) e alle piccole e medie imprese. Il credito è riconosciuto alle imprese, anche costituite in forma cooperativa o in consor- zi, nella misura del 40 per cento delle spese sostenute e fino 50.000 euro, nel periodo d’imposta in corso al 31 dicembre 2014 e nei due successivi. Alle medesime imprese è riconosciuto un credito nella misura del 40 per cento delle spese sostenute e fino 400.000 euro, nel periodo d’imposta in corso al 31 dicembre 2014 e nei due successivi da applicarsi alle spese per i nuovi in- vestimenti sostenuti per lo sviluppo di nuovi prodotti, pratiche, processi e tec- nologie, nonché per la cooperazione di filiera. Detto credito – che deve essere indicato nella dichiarazione dei redditi relativa al periodo di imposta per il qua- le è concesso – è utilizzabile solamente in compensazione ai sensi del d.lgs. n. 241 del 1997. Il riconoscimento del credito d’imposta è tuttavia subordina- to all’approvazione della Commissione europea (6) e ciò all’evidente fine di evitare una contestazione (rectius, procedura d’infrazione) per indebiti aiuti di stato tassativamente proibiti dall’art. 108 del Trattato dell’Unione europea.

(6) Art. 108, par. 3, del TFUE. 804 DIRITTO E PRATICA TRIBUTARIA N. 4/2014

3. Disposizioni per l’incentivo all’assunzione di giovani lavoratori agri- coli – L’art. 5, al fine di promuovere forme di occupazione stabile in agricol- tura a favore di giovani compresi tra i 18ei35anni di età, istituisce un in- centivo per i datori di lavoro che assumono, con contratto di lavoro a tempo indeterminato o determinato di durata almeno triennale, lavoratori privi di im- piego regolarmente retribuito da almeno sei mesi e privi di un diploma di istruzione secondaria di secondo grado. Tali assunzioni devono comportare un incremento occupazionale netto e devono essere effettuate tra il 1o luglio 2014 e il 30 giugno 2015. L’incentivo è pari a un terzo della retribuzione lor- da imponibile ai fini previdenziali corrisposta per ciascuna giornata di lavoro che determini un incremento occupazionale, per un periodo di 18 mesi, ed è corrisposto al datore di lavoro unicamente mediante compensazione dei con- tributi dovuti secondo le regole vigenti per il versamento dei contributi in agricoltura. Dette assunzioni sono conseguentemente escluse dall’applicazione dell’incentivo previsto dall’art. 1 del d.l. n. 76 del 2013 (7). Il 13o e14o comma estendono, previa autorizzazione della Commissione europea, le deduzioni per lavoro dipendente, nella misura del 50 per cento degli importi previsti, anche alle imprese agricole soggette ad irap nel caso di assunzioni di lavoratori a tempo determinato – in ragione delle specificità dell’impiego in agricoltura – purché la durata sia di almeno tre anni e per al- meno 150 giornate l’anno. La disposizione si applica a decorrere dal periodo di imposta 2014, senza tuttavia incidere sull’acconto dovuto nell’anno 2014. L’art. 7, 1o comma, prevede che ai coltivatori diretti e agli imprenditori agricoli professionali di età inferiore ai trentacinque anni venga riconosciuta una detrazione del 19 per cento delle spese sostenute per i canoni di affitto dei terreni agricoli, entro il limite di 80 euro per ciascun ettaro preso in affit- to e fino a un massimo di euro 1.200 annui a decorrere dal periodo d’imposta 2014.

4. Credito d’imposta per investimenti in nuovi beni strumentali –Il principale intervento è contenuto nell’art. 18 del decreto in commento (inseri- to all’interno del capo III) il quale dispone che ai titolari di reddito d’impresa (e non quindi di lavoro autonomo) che investano in beni strumentali nuovi (come i macchinari) destinati a strutture produttive ubicate in Italia realizzate dalla data di entrata in vigore del decreto e fino al 30 giugno 2015, è ricono- sciuto un credito d’imposta pari al 15 per cento delle spese sostenute in ecce- denza rispetto alla media degli investimenti in beni strumentali realizzati nei cinque periodi di imposta precedenti, con facoltà di escludere dal calcolo del- la media il periodo in cui l’investimento è stato maggiore. I beni strumentali cui il decreto fa riferimento sono solo quelli compresi nella divisione 28 della tabella Ateco, con esclusione quindi dei beni immateriali e degli immobili. Detto credito va ripartito e utilizzato in tre quote annuali dello stesso importo e indicato nella dichiarazione dei redditi relativa al periodo d’imposta di rico- noscimento ed in quelle dei periodi d’imposta successivi nei quali il credito è

(7) Incentivo a favore dei datori di lavoro che assumano, con contratto di lavoro a tempo indeterminato, lavoratori aventi di età compresa tra i 18 ed i 29 anni privi di impiego regolarmente retribuito da almeno sei mesi e privi di un di- ploma di scuola media superiore o professionale. Il valore mensile dell’incentivo, pari a un terzo della retribuzione mensile lorda per un periodo di 18 mesi, non può superare l’importo di seicentocinquanta euro per lavoratore assunto. PARTE PRIMA 805 utilizzato. Tali somme non concorrono alla formazione del reddito, né della base imponibile dell’irap. Il credito d’imposta, fruito esclusivamente in com- pensazione in sede di versamento dei tributi e contributi, non è tuttavia dovu- to per gli investimenti di importo inferiore a 10 mila euro. L’agevolazione riguarda tutti i soggetti residenti nel territorio dello Stato titolari di reddito d’impresa indipendentemente dalla natura giuridica dalla di- mensione e dal settore produttivo di appartenenza degli stessi nonché dal- l’adozione di particolari regimi d’imposta o contabili. L’agevolazione si ap- plica anche alle stabili organizzazioni nel territorio dello Stato di soggetti non residenti. Il 2o comma del medesimo art. 18 è rivolto alle «imprese con un’attività inferiore ai cinque anni» (start-up) e alle «imprese costituite successivamente alla data di entrata in vigore del decreto». Per le prime viene disposto che il calcolo dell’eccedenza di investimenti rispetto alla media degli anni preceden- ti coinvolga i soli esercizi intercorsi dalla loro costituzione, sempre con facol- tà di escludere il periodo in cui l’investimento è stato maggiore. Le seconde, invece, determineranno il credito d’imposta con riguardo al valore complessi- vo degli investimenti realizzati in ciascun periodo d’imposta. L’incentivo è revocato qualora i beni vengano ceduti (o destinati a fina- lità estranee all’esercizio dell’impresa) prima del secondo esercizio successivo a quello di realizzazione dell’investimento o se i beni medesimi, entro il ter- mine previsto dall’art. 43 del d.p.r. 29 settembre 1973, n. 600, vengono collo- cati in strutture produttive estere. In questo caso sorge l’obbligo di restituire il credito indebitamente fruito entro il termine per il versamento a saldo del- l’imposta sui redditi dovuta per il periodo in cui si verificano le anzidette ipotesi.

5. Modifiche alla disciplina ACE – L’art. 19 del decreto in commento introduce una maggiorazione dell’incentivo alla ricapitalizzazione nell’eserci- zio di ammissione e nei due successivi; la disposizione richiede, tuttavia, una preventiva autorizzazione della Commissione europea al fine, come già sotto- lineato, di evitare una procedura di infrazione per aiuti di stato. Più in parti- colare il richiamato art. 19 prevede a favore delle società quotate nei mercati dell’Ue un potenziamento dell’incentivo previsto dal d.l. n. 201 del 2011 per i soggetti che aumentano il patrimonio con conferimenti in denaro o utili ac- cantonati a riserva. Le società che quoteranno le azioni in mercati regolamen- tati italiani, o di Paesi Ue o aderenti allo Spazio economico europeo, potran- no infatti usufruire, nell’esercizio di quotazione e nei due successivi, di un moltiplicatore del 40 per cento da applicare all’incremento patrimoniale rile- vante realizzato in ciascuno dei suddetti tre periodi rispetto all’esercizio pre- cedente. Non è invece soggetta alla maggiorazione del 40 per cento la base ACE accumulata negli esercizi anteriori (8).

(8) Ad esempio, una società che, nell’anno precedente alla quotazione (2014), ha accumulato una base ACE netta di 5 milioni di euro (incrementi patri- moniali per conferimenti in denaro e utili a riserva stratificati dall’esercizio 2011 in poi, al netto di rimborsi e distribuzioni ai soci) e che, nell’esercizio successivo (quello in cui avviene l’ammissione dei titoli), realizza un ulteriore incremento di 10 milioni (utile 2014 destinato a riserva e aumento di capitale versato nel 2015, con importo già ragguagliato al tempo) usufruirà del seguente bonus: la base 806 DIRITTO E PRATICA TRIBUTARIA N. 4/2014

Anche per la «super ACE» delle neo-quotate restano confermate le altre procedure di calcolo e in particolare il limite del patrimonio netto di fine esercizio. Tornando all’esempio sopra riportato se, nel bilancio al 31 dicem- bre 2015 (esercizio di quotazione), il patrimonio netto è pari a 18 milioni, sa- rà questa la base dell’incentivo e la deduzione sarà limitata a 810 mila (4,5 per cento di 18 milioni). A decorrere dal terzo esercizio successivo a quello di ammissione alla quotazione in borsa il potenziamento viene meno e la base ACE (compresa quella derivante da incrementi realizzati nei tre periodi super agevolati) torna ad essere conteggiata con criteri ordinari. La norma riguarda le società la cui quotazione avviene dal 25 giugno 2014 (data di entrata in vigore del d.l. n. 91), ma la sua concreta applicazione è subordinata alla autorizzazione della Commissione europea ai sensi del ri- chiamato art. 108 del Trattato dell’Unione europea. Un ulteriore intervento migliorativo della disciplina relativa agli aiuti per la crescita economica, contenuto nel decreto in commento, riguarda tutte le società di persone e di capitali. Per consentire alle imprese l’utilizzo dell’in- centivo anche in esercizi in perdita fiscale (o comunque con redditi imponibi- li incapienti rispetto alla deduzione spettante), l’art. 19 stabilisce la facoltà di convertire le eccedenze di ACE inutilizzate in crediti di imposta. In luogo del riporto a nuovo attualmente previsto (e che sarà consentito anche in futuro), le società potranno cioè trasformare le eccedenze di ACE in crediti d’impo- sta, applicando le vigenti aliquote ires (27,5 per cento) o irpef (scaglioni pre- visti dall’art. 11 del t.u.i.r. n. 917 del 1986) i quali potranno essere utilizzati, previa ripartizione in cinque quote annuali per il pagamento dell’irap. La di- sposizione si applica dall’esercizio 2014 (Unico 2015) e dovrebbe estendersi anche alle eccedenze formatesi in anni precedenti. Ad esempio, una s.r.l. che nel modello Unico 2015 evidenzia eccedenze di deduzioni ACE per 100.000 euro potrà convertirle in un credito di 27.500 euro, da impiegare, 5.500 euro all’anno (dal 2015 al 2019), a detrazione dell’irap. La nuova possibilità di conversione dovrà essere coordinata con le regole sul consolidato fiscale, che attualmente prevedono l’obbligo di trasferire alla fiscal unit l’ACE di ciascu- na società nei limiti del reddito imponibile del gruppo. Dovrà dunque essere chiarito se questo obbligo (ribadito anche dalla recente circ. n. 12/E del 2014) può essere derogato al fine di operare la conversione in crediti di imposta o se quest’ultima riguarderà solo gli importi che eccedono l’imponibile del con- solidato.

6. Misure a favore delle emissioni di obbligazioni societarie –Il1o comma dell’art. 21 estende il regime dell’imposta sostitutiva di cui al d.lgs. 1o aprile 1996, n. 239, anche agli interessi ed altri proventi delle obbligazioni e titoli similari e cambiali finanziarie non quotate emesse da società non quo- tate e detenute da investitori qualificati. Con le novità introdotte dal decreto in commento troverà applicazione il regime speciale di cui al citato d.lgs. n. 239 ai sensi del quale non verrà applicata alcuna ritenuta alla fonte all’atto della percezione di interessi relativi a titoli di debito emessi da soggetti passi- vi ires residenti in Italia anche qualora tali titoli di debito, sebbene non quo-

ACE sarà pari a 19 milioni (i 5 milioni pregressi oltre ai 10 del 2015, questi ulti- mi incrementati del 40 per cento), con una deduzione dal reddito ires pari a 855 mila euro (19 milioni moltiplicati per il coefficiente 4,5 per cento valido per il 2015) contro 675 mila euro a disposizione delle altre società. PARTE PRIMA 807 tati, siano detenuti da uno o più investitori qualificati. In tal modo le società di minori dimensioni potranno emettere titoli di debito con un trattamento fi- scale agevolato e non dovranno sopportare i costi di negoziazione dei titoli stessi. Questa misura è diretta a rimuovere le incongruenze normative che pe- nalizzano le operazioni c.d. di private placement, molto diffuse sui mercati internazionali e idonee a consentire la provvista a favore delle imprese italia- ne anche da parte di soggetti finanziatori che investono unicamente in stru- menti finanziari negoziabili. Sono stati eliminati altresì due articoli del codice civile (2412 e 2413) per consentire alle s.p.a. e s.r.l. interessate all’emissione di titoli obbligazionari di avere meno vincoli alla quotazione dei bond fuori dai mercati regolamentati e l’apertura della sottoscrizione anche a investitori non qualificati. L’altra novità rilevante è quella relativa alla soppressione della ritenuta di cui all’art. 26, 1o comma, del d.p.r. n. 600 del 1973, in relazione agli inte- ressi derivanti da obbligazioni corrisposti a Oicr, istituiti in Italia o in uno Stato membro dell’Unione europea, il cui patrimonio sia investito in misura superiore al 50 per cento in tali titoli e le cui quote siano detenute esclusiva- mente da investitori qualificati. Viene, infine, soppressa la ritenuta di cui al richiamato art. 26 anche con riferimento agli interessi e altri proventi corri- sposti a società per la cartolarizzazione dei crediti, che emettono titoli detenu- ti da investitori qualificati e il cui patrimonio sia investito in misura superiore al 50 per cento in tali obbligazioni, titoli similari o cambiali finanziarie. 7. Misure a favore del credito alle imprese – Al fine di favorire i finan- ziamenti alle imprese, il 1o comma dell’art. 22 estende anche agli enti credi- tizi, alle imprese di assicurazioni costituite e autorizzate ai sensi di normative emanate da Stati membri dell’Unione europea e ai fondi comuni di investi- mento in strumenti di credito stabiliti in Stati membri dell’Unione europea, o aderenti allo spazio economico europeo che consentono un adeguato scambio di informazioni, il regime di esenzione da ritenuta alla fonte sugli interessi, attualmente riservato soltanto ai soggetti residenti in Italia. Con questa misu- ra, limitata ai finanziamenti a favore di soggetti che esercitano attività di im- presa in qualsiasi forma, si intende eliminare il rischio di doppia imposizione giuridica, che economicamente risulta di norma traslato sul debitore, favoren- do l’accesso delle imprese italiane a costi competitivi anche a fonti di finan- ziamento estere. Tra queste rientrano i cosiddetti «fondi di credito» che di- spongono di ampie riserve di liquidità per finanziare le imprese. Il 2o comma estende l’ambito oggettivo e soggettivo di applicazione del regime sostitutivo delle imposte gravanti sui finanziamenti a medio e lungo termine. È infatti stabilito che, oltre alle cessioni di credito stipulate in rela- zione ai finanziamenti che beneficiano del regime, anche le eventuali succes- sive cessioni dei relativi crediti o contratti unitamente ai trasferimenti delle garanzie ad essi relativi ricadano nell’ambito di applicazione dell’imposta so- stitutiva. Al fine di incrementare l’offerta fiscalmente agevolata di credito anche da parte di soggetti non residenti, potranno fruire del regime in oggetto anche soggetti non bancari, quali imprese di assicurazioni e organismi di investi- mento collettivo del risparmio, e delle società di cartolarizzazione, che posso- no raccogliere la provvista sul mercato dei capitali mediante l’emissione di strumenti finanziari. Il 3o e4o comma consentono alle imprese di assicurazione residenti di svolgere l’attività di concessione di finanziamenti sotto qualsiasi forma, 808 DIRITTO E PRATICA TRIBUTARIA N. 4/2014 esclusivamente nei confronti delle imprese. Questa apertura è volta a consen- tire a tali soggetti, che possono svolgere un importante ruolo di investitori di lungo periodo, l’accesso diretto al mercato del credito. Ad oggi, le imprese di assicurazione possono investire in crediti, ma è loro preclusa l’attività di con- cessione diretta di finanziamenti.

prof. MASSIMO PROCOPIO PRASSI AMMINISTRATIVA (*)

ACCISE Circolare 5 del 6 maggio 2014 Agenzia delle Dogane e dei Monopoli - Direzione centrale antifrode e controlli - Determinazione direttoriale prot. 140839 del 4 dicembre 2013, concernente l’assetto del deposito fiscale e le modalità di accertamento, con- tabilizzazione e controllo della produzione per i microbirrifici. Istruzioni ope- rative.

ACE Circolare 12 del 23 maggio 2014 Agenzia delle entrate - Direzione Centrale Normativa - Chiarimenti in tema di «Aiuto alla crescita economica» (ACE) - Articolo 1 del d.l. 6 dicem- bre 2011, n. 201, convertito, con modificazioni, dalla l. 22 dicembre 2011, n. 214 e Decreto del Ministro dell’economia e delle finanze del 14 marzo 2012.

ADDIZIONALE IRES Circolare 15 del 5 giugno 2014 Agenzia delle entrate - Direzione Centrale Normativa - Addizionale del- l’imposta sul reddito delle società per gli enti creditizi e finanziari e per le imprese assicurative - D.l. 30 novembre 2013, n. 133, convertito con modifi- cazioni dalla l. 29 gennaio 2014, n. 5.

AGEVOLAZIONI Circolare 16 del 11 giugno 2014 Agenzia delle entrate - Direzione Centrale Normativa - Articolo 25 e se- guenti del d.l. 18 ottobre 2012, n. 179, convertito con modificazioni dalla l.

(*) Frequenti sono gli interventi dell’Amministrazione finanziaria con circo- lari, risoluzioni, risposte ad interpelli, che gli operatori debbono conoscere sia agli effetti pratici sia perché spesso di guida per lo sviluppo del diritto tributario. Mol- ti sfuggono all’attenzione e quindi riteniamo opportuno pubblicare i titoli e gli estremi degli argomenti trattati. Tutti i documenti segnalati sono reperibili nel sito www.finanze.it, sub «Documentazione». 810 DIRITTO E PRATICA TRIBUTARIA N. 4/2014

17 dicembre 2012, n. 221 - Agevolazioni fiscali in favore delle start-up inno- vative e degli incubatori certificati.

Risoluzione 61 del 11 giugno 2014

Agenzia delle entrate - Direzione Centrale Normativa - Agevolazioni fi- scali di cui al d.l. 28 aprile 2009, n. 39 c.d. «decreto Abruzzo»: applicabilità alle imposte di registro, ipotecaria e catastale.

BOLLO Risoluzione 67 del 30 giugno 2014

Agenzia delle entrate - Direzione Centrale Normativa - Applicabilità del- l’imposta di bollo alle fatture emesse dalle ASP.

CODICI TRIBUTO Risoluzione 48 del 7 maggio 2014

Agenzia delle entrate - Direzione Centrale Servizi ai Contribuenti - Isti- tuzione del codice tributo per il recupero da parte dei sostituti d’imposta delle somme erogate ai sensi dell’articolo 1 del d.l. 24 aprile 2014, n. 66, mediante il modello di pagamento F24.

Risoluzione 49 del 8 maggio 2014

Agenzia delle entrate - Direzione Centrale Servizi ai Contribuenti - Isti- tuzione della causale contributo per la riscossione, tramite modello F24, dei contributi da destinare al finanziamento dell’Ente Bilaterale Confimprese Ita- lia - CSE dell’artigianato in breve «EBICC ARTIGIANATO».

Risoluzione 50 del 13 maggio 2014

Agenzia delle entrate - Direzione Centrale Servizi ai Contribuenti - Isti- tuzione dei codici tributo per il versamento, tramite il modello F24, della quota dell’imposta sui redditi, dovuta dalle imprese aventi domicilio fiscale fuori dal territorio della Regione siciliana che in esso possiedono stabilimenti e impianti, in attuazione dell’articolo 37 dello Statuto speciale della Regione siciliana, approvato con r.d.l. 15 maggio 1946, n. 455.

Risoluzione 51 del 13 maggio 2014

Agenzia delle entrate - Direzione Centrale Servizi ai Contribuenti - Isti- tuzione del codice tributo per l’utilizzo, tramite modello F24, delle agevola- PARTE PRIMA 811 zioni a favore delle micro e piccole imprese localizzate nel territorio dei co- muni della provincia di Carbonia-Iglesias, nell’ambito dei programmi di svi- luppo e degli interventi compresi nell’accordo di programma «Piano Sulcis», da effettuarsi in riduzione dei versamenti ai sensi dell’articolo 17 del d.lgs. 9 luglio 1997, n. 241 - Decreto del Ministro dello sviluppo economico di con- certo con il Ministro dell’economia e delle finanze 10 aprile 2013, in attua- zione dell’articolo 37, comma 4-bis del d.l. 18 ottobre 2012, n. 179, converti- to, con modificazioni, dalla l. 17 dicembre 2012, n. 221.

Risoluzione 54 del 29 maggio 2014

Agenzia delle entrate - Direzione Centrale Servizi ai Contribuenti - Isti- tuzione dei codici tributo per il versamento, tramite modello F24 Accise, dei contributi previdenziali e assistenziali dovuti dagli iscritti all’Ente Nazionale di Previdenza e Assistenza della Professione Infermieristica - E.N.P.A.P.I.

Risoluzione 55 del 29 maggio 2014

Agenzia delle entrate - Direzione Centrale Servizi ai Contribuenti - Isti- tuzione di causali per il versamento, tramite modello F24, dei contributi pre- videnziali e assistenziali dovuti dagli iscritti all’Ente Nazionale di Previdenza e Assistenza per i Consulenti del Lavoro - E.N.P.A.C.L.

Risoluzione 58 del 9 giugno 2014

Agenzia delle entrate - Direzione Centrale Servizi ai Contribuenti - Isti- tuzione della causale contributo per la riscossione, tramite modello F24, dei contributi da destinare al finanziamento della Cassa Assistenza Sanitaria Qua- dri QUAS.

Risoluzione 59 del 9 giugno 2014

Agenzia delle entrate - Direzione Centrale Servizi ai Contribuenti - Isti- tuzione dei codici tributo per l’utilizzo, tramite modello F24, delle agevola- zioni a favore delle micro e piccole imprese localizzate nelle Zone Franche Urbane della Regione Campania e della Regione Calabria ricadenti nel- l’Obiettivo «Convergenza», da effettuarsi in riduzione dei versamenti ai sensi dell’articolo 17 del decreto legislativo 9 luglio 1997, n. 241 - Decreto del Mi- nistro dello sviluppo economico di concerto con il Ministro dell’economia e delle finanze 10 aprile 2013, in attuazione dell’articolo 37 del d.l. 18 ottobre 2012, n. 179, convertito, con modificazioni, dalla l. 17 dicembre 2012, n. 221.

Risoluzione 60 del 9 giugno 2014

Agenzia delle entrate - Direzione Centrale Servizi ai Contribuenti - Ride- nominazione dei codici tributo «1811» e «1813» per il versamento, tramite mo- dello F24, delle imposte sostitutive dovute per la rivalutazione dei beni d’im- 812 DIRITTO E PRATICA TRIBUTARIA N. 4/2014 presa e delle partecipazioni e per l’affrancamento del saldo di rivalutazione, ai sensi dell’articolo 1, commi da 140o a 147o, della l. 27 dicembre 2013, n. 147.

Risoluzione 62 del 16 giugno 2014

Agenzia delle entrate - Direzione Centrale Servizi ai Contribuenti - Isti- tuzione del codice tributo per il versamento, tramite modello F24 accise, delle somme dovute per spese di notifica a seguito degli avvisi di liquidazione in- viati ai sensi dell’articolo 9 della l. 29 ottobre 1961, n. 1216.

Risoluzione 65 del 23 giugno 2014

Agenzia delle entrate - Direzione Centrale Servizi ai Contribuenti - Isti- tuzione dei codici tributo per l’utilizzo, tramite modello F24, delle agevola- zioni a favore delle micro e piccole imprese localizzate nelle Zone Franche Urbane della Regione Siciliana ricadenti nell’Obiettivo «Convergenza», da ef- fettuarsi in riduzione dei versamenti ai sensi dell’articolo 17 del decreto legi- slativo 9 luglio 1997, n. 241 - Decreto del Ministro dello sviluppo economico di concerto con il Ministro dell’economia e delle finanze 10 aprile 2013, in attuazione dell’articolo 37 del d.l. 18 ottobre 2012, n. 179, convertito, con modificazioni, dalla l. 17 dicembre 2012, n. 221.

Risoluzione 66 del 23 giugno 2014

Agenzia delle entrate - Direzione Centrale Servizi ai Contribuenti - Isti- tuzione della causale contributo per la riscossione, tramite modello F24, dei contributi da destinare al finanziamento dell’Ente Bilaterale E.Bi.N. - Ente Bilaterale Nazionale.

CREDITO D’IMPOSTA Circolare 17 del 16 giugno 2014

Agenzia delle entrate - Direzione Centrale Normativa - Disciplina del credito d’imposta derivante dalla trasformazione di attività per imposte antici- pate iscritte in bilancio di cui all’articolo 2, commi da 55o a58o, del d.l. 29 dicembre 2010, n. 225 - Modifiche apportate dall’articolo 1, commi 167o- 171o della l. 27 dicembre 2013, n. 147.

CUNEO FISCALE Circolare 9 del 14 maggio 2014 Agenzia delle entrate - Direzione Centrale Servizi ai Contribuenti - Art. 1 del d.l. 24 aprile 2014, n. 66 - Riduzione del cuneo fiscale per lavoratori dipendenti e assimilati - Ulteriori chiarimenti. PARTE PRIMA 813

FUSIONE SOCIETARIA

Risoluzione 63 del 17 giugno 2014

Agenzia delle entrate - Direzione Centrale Normativa - Interpello - Art. 11, l. 27 luglio 2000, n. 212. (Individuazione del «patrimonio netto» di una S.O. cui far riferimento, ai fini del riporto delle perdite, con riguardo ad un’operazione di fusione transfrontaliera - Art. 172, 7o comma, del d.p.r. n. 917 del 1986).

IRPEF

Circolare 11 del 21 maggio 2014

Agenzia delle entrate - Direzione Centrale Normativa - Questioni inter- pretative in materia di irpef prospettate dal Coordinamento Nazionale dei Centri di Assistenza Fiscale e da altri soggetti.

IVA

Risoluzione 52 del 16 maggio 2014

Agenzia delle entrate - Direzione Centrale Normativa - Consulenza giu- ridica - Disciplina iva delle prestazioni, rese alle imprese assicuratrici, di ge- stione degli attivi a copertura delle riserve tecniche poste a garanzia degli im- pegni assunti dalle stesse imprese verso gli assicurati.

Risoluzione 56 del 30 maggio 2014

Agenzia delle entrate - Direzione Centrale Normativa - Trattamento iva delle attività di riscossione e pagamento di imposte.

Circolare 18 del 24 giugno 2014

Agenzia delle entrate - Direzione Centrale Normativa - Iva. Ulteriori istruzioni in tema di fatturazione.

MODELLO 730

Risoluzione 57 del 30 maggio 2014

Agenzia delle entrate - Direzione Centrale Servizi ai Contribuenti - Chiarimenti in merito allo svolgimento dell’assistenza fiscale per la presenta- zione della dichiarazione con il modello 730/2014. 814 DIRITTO E PRATICA TRIBUTARIA N. 4/2014

PERDITE E SVALUTAZIONI SU CREDITI Circolare 14 del 4 giugno 2014 Agenzia delle entrate - Direzione Centrale Normativa - Le perdite e sva- lutazioni su crediti - La nuova disciplina ai fini ires e irap introdotta dall’arti- colo 1, 158o-161o comma, della l. 27 dicembre 2013, n. 147 (legge di stabili- tà 2014) e ulteriori chiarimenti sulla deducibilità delle perdite su crediti di modesto importo.

REDDITI DI CAPITALE Circolare 19 del 27 giugno 2014 Agenzia delle entrate - Direzione Centrale Normativa - Modifica dell’ali- quota di tassazione dei redditi di natura finanziaria. Articoli3e4deld.l. 24 aprile 2014, n. 66, convertito, con modificazioni, dalla l. 23 giugno 2014, n. 89.

REGISTRO Risoluzione 53 del 20 maggio 2014 Agenzia delle entrate - Direzione Centrale Normativa - Indicazione ana- litica delle modalità di pagamento del corrispettivo nel caso di pagamenti rin- viati ad un momento successivo rispetto al perfezionamento degli atti di ces- sione immobiliare - Articolo 35, 22o comma, del d.l. 4 luglio 2006, n. 223.

Risoluzione 64 del 20 giugno 2014 Agenzia delle entrate - Direzione Centrale Normativa - Interpello - Art. 11, l. 27 luglio 2000, n. 212 - Atti di affrancazione di terre civiche: tratta- mento agevolato ai fini dell’imposta di registro.

RIVALUTAZIONE BENI D’IMPRESA Circolare 13 del 4 giugno 2014 Agenzia delle entrate - Direzione Centrale Normativa - Rivalutazione dei beni d’impresa e delle partecipazioni - Articolo 1, 140o-147o comma, della l. 27 dicembre 2013, n. 147.

VARIE Circolare 10 del 14 maggio 2014 Agenzia delle entrate - Direzione Centrale Normativa - Chiarimenti in- terpretativi relativi a quesiti posti dalla stampa specializzata. DOCUMENTI

LINEE GUIDA PER UNA RIFORMA DEL TERZO SETTORE

Esiste un’Italia generosa e laboriosa che tutti i giorni opera silenziosa- mente per migliorare la qualità della vita delle persone. È l’Italia del volontariato, della cooperazione sociale, dell’associazioni- smo no-profit, delle fondazioni e delle imprese sociali. Lo chiamano terzo settore, ma in realtà è il primo. Un settore che si colloca tra lo Stato e il mercato, tra la finanza e l’etica, tra l’impresa e la cooperazione, tra l’economia e l’ecologia, che dà forma e sostanza ai principi costituzionali della solidarietà e della sussidiarietà. E che alimenta quei beni relazionali che, soprattutto nei momenti di crisi, sostengo- no la coesione sociale e contrastano le tendenze verso la frammentazione e disgregazione del senso di appartenenza alla comunità nazionale. È a questo variegato universo, capace di tessere e riannodare i fili lace- rati del tessuto sociale, alimentando il capitale più prezioso di cui dispone il Paese, ossia il capitale umano e civico, che il Governo intende rivolgersi for- mulando, dopo un dibattito che si trascina ormai da troppi anni, le linee guida per una revisione organica della legislazione riguardante il Terzo settore. Anche in questo caso, vogliamo fare sul serio. Per realizzare il cambiamento economico, sociale, culturale, istituzionale di cui il Paese ha bisogno è necessario che tutte le diverse componenti della società italiana convergano in un grande sforzo comune. Il mondo del terzo settore può fornire un contributo determinante a questa impresa, per la sua capacità di essere motore di partecipazione e di autorganizzazione dei cittadi- ni, coinvolgere le persone, costruire legami sociali, mettere in rete risorse e competenze, sperimentare soluzioni innovative. Noi crediamo che profit e non profit possano oggi declinarsi in modo nuovo e complementare per rafforzare i diritti di cittadinanza attraverso la co- struzione di reti solidali nelle quali lo Stato, le Regioni e i Comuni e le di- verse associazioni e organizzazioni del terzo settore collaborino in modo si- stematico per elevare i livelli di protezione sociale, combattere le vecchie e nuove forme di esclusione e consentire a tutti i cittadini di sviluppare le pro- prie potenzialità. Tra gli obiettivi principali vi è quello di costruire un nuovo Welfare par- tecipativo, fondato su una governance sociale allargata alla partecipazione dei singoli, dei corpi intermedi e del terzo settore al processo decisionale e attua- tivo delle politiche sociali, al fine di ammodernare le modalità di organizza- zione ed erogazione dei servizi del welfare, rimuovere le sperequazioni e ri- comporre il rapporto tra Stato e cittadini, tra pubblico e privato, secondo principi di equità, efficienza e solidarietà sociale. 816 DIRITTO E PRATICA TRIBUTARIA N. 4/2014

Un secondo obiettivo è valorizzare lo straordinario potenziale di crescita e occupazione insito nell’economia sociale e nelle attività svolte dal terso set- tore, che a ben vedere è l’unico comparto che negli anni della crisi ha conti- nuato a crescere, pur mantenendosi ancora largamente al di sotto, dal punto di vista dimensionale, rispetto alle altre esperienze internazionali. Esiste dun- que un tesoro inestimabile, ancora non del tutto esplorato, di risorse umane, finanziarie e relazionali presenti nei tessuti comunitari delle realtà territoriali che un serio riordino del quadro regolatorio e di sostegno può liberare in tempi brevi a beneficio di tutta la collettività, per rispondere ai nuovi bisogni del secondo welfare e generare nuove opportunità di lavoro e di crescita pro- fessionale. Il terzo obiettivo della riforma è di premiare in modo sistematico con adeguati incentivi e strumenti di sostegno tutti i comportamenti donativi o co- munque prosociali dei cittadini e delle imprese, finalizzati a generare coesio- ne e responsabilità sociale. Per realizzare questi obiettivi, le nostre linee guida sono le seguenti: • Ricostruire le fondamenta giuridiche, definire i confini e separare il grano dal loglio. Per superare le vecchie dicotomie tra pubblico/privato e Stato/mercato e passare da un ordine civile bipolare a un assetto «tripolare», dobbiamo definire in modo compiuto e riconoscere i soggetti privati sotto il profilo della veste giuridica, ma pubblici per le finalità di utilità e promozio- ne sociale che perseguono. Abbiamo inoltre bisogno di delimitare in modo più chiaro l’identità, non solo giuridica, del terzo settore, specificando meglio i confini tra volontariato e cooperazione sociale, tra associazionismo di pro- mozione sociale e impresa sociale, meglio inquadrando la miriade di soggetti assai diversi fra loro che nel loro insieme rappresentano il prodotto della libe- ra iniziativa dei cittadini associati per perseguire il bene comune. Occorre pe- rò anche sgomberare il campo da una visione idilliaca del mondo del privato sociale, non ignorando che anche in questo ambito agiscono soggetti non sempre trasparenti che talvolta usufruiscono di benefici o attuano forme di concorrenza utilizzando spregiudicatamente la forma associativa per aggirare obblighi di legge. • Valorizzare il principio di sussidiarietà verticale e orizzontale. L’azio- ne diretta dei pubblici poteri e la proliferazione di enti e organismi pubblici operanti nel sociale si è rivelata spesso costosa e inefficiente. Nel sistema di governo multilivello che caratterizza il nostro paese l’autonoma iniziativa dei cittadini per realizzare concretamente la tutela dei diritti civili e sociali garan- tita dalla Costituzione deve essere quanto più possibile valorizzata. In un qua- dro di vincoli di bilancio, dinanzi alle crescenti domande di protezione socia- le abbiamo bisogno di adottare nuovi modelli di assistenza in cui l’azione pubblica possa essere affiancata in modo più incisivo dai soggetti operanti nel privato solidale. Pubblica amministrazione e Terzo settore devono essere le due gambe su cui fondare una nuova welfare society. • Far decollare davvero l’impresa sociale, per arricchire il panorama delle istituzioni economiche e sociali del nostro paese dimostrando che capi- talismo e solidarietà possono abbracciarsi in modo nuovo attraverso l’affer- mazione di uno spazio imprenditoriale non residuale per le organizzazioni private che, senza scopo di lucro, producono e scambiano in via continuativa beni e servizi per realizzare obiettivi di interesse generale. • Assicurare una leva di giovani per la «difesa della Patria» accanto al servizio militare: un Servizio Civile Nazionale universale, come opportunità di servizio alla comunità e primo approccio all’inserimento professionale, PARTE PRIMA 817 aperto ai giovani dai 18 ai 29 anni che desiderino confrontarsi con l’impegno civile, per la formazione di una coscienza pubblica e civica. • Dare stabilità e ampliare le forme di sostegno economico, pubblico e privato, degli enti del terzo settore, assicurando la trasparenza, eliminando contraddizioni e ambiguità e fugando i rischi di elusione. Ciascuna di queste linee guida richiede interventi concreti. Ne indichiamo alcuni, su cui il Governo intende ascoltare la voce dei protagonisti prima di intervenire con l’adozione di un disegno di legge delega da attuare in tempi brevi per un complessivo riordino del terzo settore. I punti su cui vogliamo lavorare. Ricostruire le fondamenta giuridiche, definire i confini e separare il gra- no dal loglio 1) riformare il Libro I Titolo II del Codice Civile, anche alla luce del- l’articolo 118 della Costituzione, introducendo o rivisitando le norme in ma- teria di: • costituzione degli enti e valorizzazione della loro autonomia statuta- ria con specifico riguardo a quelli privi di personalità giuridica; • requisiti sostanziali degli enti non profit ed eventuali limitazioni di attività; • struttura di governance, affermando pienamente il principio demo- cratico e partecipativo negli organi sociali; • responsabilità degli organi di governo e obblighi di trasparenza e di comunicazione economica e sociale rivolti all’esterno; • semplificazione e snellimento delle procedure per il riconoscimento della personalità giuridica, anche attraverso la digitalizzazione telematica del- le pratiche; • diversificazione dei modelli organizzativi in ragione della dimensio- ne economica dell’attività svolta, dell’utilizzazione prevalente o comunque ri- levante di risorse pubbliche e del coinvolgimento della fede pubblica; • criteri per la gestione economica degli enti non profit; • forme di controllo e accertamento dell’autenticità sostanziale dell’at- tività realizzata; • regime di contabilità separata tra attività istituzionale e imprendito- riale; • codificazione dell’impresa sociale. 2) aggiornamento della l. n. 266 del 1991 sul Volontariato, sulla base dei seguenti criteri: formazione alla cittadinanza del volontariato nella scuola; riconoscimento delle reti di volontariato di secondo livello; revisione del sistema degli albi regionali e istituzione del registro na- zionale; ridefinizione dei compiti e delle modalità di funzionamento dell’Os- servatorio nazionale; riduzione degli adempimenti burocratici e introduzione di modalità adeguate e unitarie di rendicontazione economica e sociale; introduzione di criteri più trasparenti nel sistema di affidamento in convenzione dei servizi al volontariato; promozione e riorganizzazione del sistema dei centri di servizio quali strumenti di sostegno e supporto alle associazioni di volontariato; 3) revisione della l. n. 383 del 2000 sulle Associazioni di promozione sociale al fine di: razionalizzare le modalità di iscrizione ai registri; 818 DIRITTO E PRATICA TRIBUTARIA N. 4/2014

ridefinire l’Osservatorio Nazionale dell’Associazionismo; una migliore definizione delle modalità di selezione delle iniziative e dei progetti di formazione e sviluppo; armonizzare il regime delle agevolazioni fiscali rispetto a quello di al- tre categorie di enti non profit; 4) istituzione di una Authority del Terzo settore; 5) coordinamento tra la disciplina civilistica, le singole leggi speciali e la disciplina fiscale, con la redazione di un Testo unico del terzo settore; Valorizzare il principio di sussidiarietà verticale e orizzontale 6) aggiornamento della l. n. 328 del 2000 con riferimento alla program- mazione e gestione dei servizi sociali ai fini della definizione di nuovi criteri e moduli operativi per assicurare la collaborazione degli enti no profit alla programmazione e non solo dell’esecuzione delle politiche pubbliche a livello territoriale; 7) revisione dei requisiti per l’autorizzazione/accreditamento delle strut- ture e dei servizi sociali e delle procedure di affidamento per l’erogazione dei servizi sociali da parte degli enti locali ad organizzazioni del terzo settore; 8) introduzione di incentivi per la libera scelta dell’utente a favore delle imprese sociali mediante deduzioni o detrazioni fiscali oppure mediante voucher; Far decollare l’impresa sociale 9) superamento della qualifica opzionale di impresa sociale, rendendo non facoltativa, ma obbligatoria l’assunzione dello status di impresa sociale per tutte le organizzazione che ne abbiano le caratteristiche; 10) ampliamento delle «materie di particolare rilievo sociale» che defi- niscono l’attività di impresa sociale; 11) ampliamento delle categorie di lavoratori svantaggiati; 12) previsione di forme limitate di remunerazione del capitale sociale; 13) riconoscimento delle cooperative sociali come imprese sociali di di- ritto senza necessità di modifiche statutarie e semplificazione delle modalità di formazione e presentazione del bilancio sociale, pur mantenendone l’obbli- gatorietà; 14) armonizzazione delle agevolazioni e dei benefici di legge ricono- sciuti alle diverse forme del non profit; 15) promuovere il Fondo per le imprese sociali e sostenere la rete di fi- nanza etica; Assicurare una leva di giovani per la «difesa della Patria» accanto al servizio militare: il Servizio civile nazionale universale, da disciplinare sulla base dei seguenti criteri: 16) garantire ai giovani che lo richiedono di poter svolgere il Servizio Civile Universale, fino ad un massimo di 100.000 giovani all’anno per il pri- mo triennio dall’istituzione del Servizio; 17) tempi di servizio in linea con la velocità delle trasformazioni che permettano ai giovani di fare una esperienza significativa che non li tenga bloccati per troppo tempo (8 mesi eventualmente prorogabili di 4 mesi); 18) partecipazione degli stranieri al SCN; 19) previsione di benefit per i volontari, quali: crediti formativi univer- sitari; tirocini universitari e professionali; riconoscimento delle competenze acquisite durante l’espletamento del servizio; 20) stipula di accordi di Regioni e Province autonome con le Associa- zioni di categorie degli imprenditori, associazioni delle cooperative e del ter- zo settore per facilitare l’ingresso sul mercato del lavoro dei volontari, la rea- lizzazione di tirocini o di corsi di formazione per i volontari; PARTE PRIMA 819

21) possibilità di un periodo di servizio in uno dei Paesi dell’Unione Europea avente il Servizio Civile volontario in regime di reciprocità; Dare stabilità e ampliare le forme di sostegno economico, pubblico e privato, degli enti del terzo settore, attraverso: 22) il riordino e l’armonizzazione delle diverse forme di fiscalità di vantaggio per gli enti del terzo settore, con riferimento ai regimi sia delle im- poste dirette che indirette, anche al fine di meglio chiarire la controversa ac- cezione di «modalità non commerciale»; 23) il potenziamento del 5 per mille, prevedendo: • la revisione della platea e l’identificazione stabile dei soggetti bene- ficiari e il loro inserimento in un elenco liberamente consultabile; • la possibilità di destinare il 5 per mille non solo dell’irpef, ma anche delle imposte sostitutive per i contribuenti cosiddetti «minimi»; • l’obbligo, per i soggetti beneficiari, di pubblicare on line i propri bi- lanci utilizzando uno schema standard, trasparente e di facile comprensione; • l’eliminazione del tetto massimo di spesa, onde evitare che il 5 per mille si riveli in realtà il 4 per mille o anche meno; • la semplificazione delle procedure amministrative a valle del calcolo dei contributi spettanti a ciascun beneficiario, così da superare gli attuali tem- pi di erogazione delle quote spettanti; 24) la promozione dei titoli di solidarietà già previsti dal d.lgs. n. 460 del 1997; 25) l’allargamento della platea dei beneficiari dell’equity crowdfunding ad oggi limitato alle sole start up; 26) disciplina sperimentale del «voucher universale per i servizi alla persona e alla famiglia», come strumento di infrastrutturazione del «secondo welfare»; 27) definizione di un trattamento fiscale di favore per «titoli finanziari etici», così da premiare quei cittadini che investono nella finanza etica i loro risparmi; 28) introduzione di nuove modalità per assegnare alle organizzazioni di terzo settore in convenzione d’uso immobili pubblici inutilizzati; 29) riforma dell’attuale meccanismo di destinazione e assegnazione dei beni mobili e immobili confiscati alla criminalità organizzata, ai fini di un maggiore coinvolgimento degli enti del Terzo Settore nella gestione dei beni medesimi e per il consolidamento e lo sviluppo di iniziative di imprenditoria- lità sociale.

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Su tutte queste proposte, ci piacerebbe conoscere le opinioni di chi con altruismo opera tutti giorni nel Terzo settore, così come di tutti gli stakehol- der e i cittadini sostenitori o utenti finali degli enti del no-profit. Per inviare le Vostre proposte e i Vostri suggerimenti, scriveteci all’indi- rizzo [email protected]. La consultazione sarà aperta dal 13 maggio al 13 giugno. Nelle due set- timane successive il Governo predisporrà il disegno di legge delega che sarà approvato dal Consiglio dei Ministri il giorno 27 giugno 2014. RAPPORTO 2014 SUL COORDINAMENTO DELLA FINANZA PUBBLICA

Con il nuovo Titolo V della Costituzione – e con la conseguente ridefi- nizione di norme per il coordinamento della finanza pubblica – si è rafforzato il ruolo della Corte dei conti come «garante imparziale dell’equilibrio econo- mico-finanziario del settore pubblico», secondo l’espressione della sentenza n. 60 del 2013 della Corte costituzionale. Una pronuncia nella quale viene affer- mato che «alla Corte dei conti è attribuito il controllo sull’equilibrio econo- mico-finanziario del complesso delle Amministrazioni pubbliche a tutela del- l’unità economica della Repubblica, in riferimento a parametri costituzionali (artt. 81, 119 e 120 Cost.) e ai vincoli derivanti all’appartenenza dell’Italia al- l’Unione europea (artt. 11 e 117, 1o comma, Cost.)». In linea con il nuovo assetto ordinamentale, la l. n. 244 del 2007 preve- deva espressamente l’elaborazione di un «Rapporto sul coordinamento della finanza pubblica», con la finalità principale di effettuare una verifica puntuale sul funzionamento degli strumenti posti a presidio degli equilibri generali di finanza pubblica, sia a livello dell’amministrazione centrale che delle ammi- nistrazioni locali. Tale finalità ha assunto ancora maggiore rilevanza in ragione dei vincoli e delle nuove regole concordate in sede europea; e dell’introduzione in Costi- tuzione del principio del pareggio strutturale di bilancio riferito all’intero set- tore delle amministrazioni pubbliche. Al di là degli adempimenti normativi, l’opportunità di realizzare il Rap- porto sul coordinamento si fondava anche sulla constatazione di una lacuna informativa, non ammissibile in generale ma, soprattutto, poco compatibile con la missione della Corte dei conti, istituzionalmente orientata alle verifiche di risultato. Si trattava, invero, di colmare uno squilibrio informativo singolare. Nella fase nella quale si apprestano, si discutono e si approvano i più vari strumenti di intervento si dispone, infatti, di informazioni e analisi, quasi sovrabbondanti, sugli effetti attesi sulla finanza pubblica, sul quadro ma- croeconomico, sulla distribuzione dei redditi e così via (relazioni tecniche ai ddl, dossier parlamentari, ecc.). Mancano, invece, accurate verifiche ex post, le uniche in grado di misu- rare il funzionamento degli strumenti usati fino a quel momento e, quindi, di apportare ad essi le più opportune correzioni. Una lacuna che si riflette negativamente sulla stessa capacità del Parla- mento di valutare (aggiungerei, con cognizione di causa) interventi e indirizzi proposti nei documenti programmatici e di bilancio e, in particolare, la porta- ta degli strumenti attraverso i quali ciascun livello di governo è chiamato ad assicurare il conseguimento degli obiettivi di riequilibrio dei conti pubblici, secondo una ben definita distribuzione degli oneri. È essenziale, a tal fine, la conoscenza di come abbiano funzionato (o, persino, se abbiano funzionato) gli strumenti fino a quel momento impiegati; PARTE PRIMA 821 e da quali difetti possa dipendere l’eventuale mancato o parziale insuccesso nel raggiungimento degli obiettivi programmati. In questi anni, il Rapporto sul coordinamento della finanza pubblica ha, per l’appunto, cercato di affinare metodologie e indagini con l’intento specifi- co di colmare, in parte, questo vuoto di conoscenza. E, sotto questo aspetto, come potete constatare, il documento spazia su un arco molto ampio di tema- tiche e di strumenti, dagli aspetti macroeconomici al fisco, dal pubblico im- piego al patto di stabilità interno e al patto per la salute. La Corte è attrezzata per lo svolgimento di un compito così complesso, anche in virtù di alcune sue positive peculiarità, come la propria esclusiva ar- ticolazione sul territorio. Tuttavia, nello scenario caratterizzato da novità di grande rilievo, sul piano istituzionale, interno ed internazionale, il coinvolgi- mento dell’Istituto, fortemente auspicato anche dalle autorità comunitarie, im- pone un continuo adeguamento e potenziamento di strutture e professionalità. La Corte sta procedendo celermente su questa strada, anche attraverso li- nee di collaborazione stabile con istituti di studi indipendenti. Ciò che con- sente valutazioni autonome e tecnicamente solide su argomenti sovente assai complessi. Il lavoro che oggi presentiamo è una riprova dell’impegno applicato dal- la Corte nell’assolvere a questo ruolo di «verificatore» in posizione di terzie- tà. Quanto ci siamo riusciti è l’interrogativo che rivolgiamo ai nostri interlo- cutori, ben disponibili a garantire comunque ogni sforzo utile a migliorarci. Per noi stessi ma, soprattutto, per le istituzioni. Nelle Raccomandazioni rese l’altro ieri, la Commissione europea ha rile- vato come, rispetto al percorso fissato per la politica di bilancio con le nuove regole, permangano ancora scostamenti da riassorbire. Preoccupa, in particolare, la tendenza del debito pubblico. La condotta di finanza pubblica richiede, dunque, ancora molta accortez- za e grande disciplina. Ma il Rapporto sottolinea anche che rigore e disciplina segnano la poli- tica di bilancio almeno da quattro anni; e non solo – come si tende general- mente ad evidenziare – per la via dell’inasprimento del carico fiscale. In que- sti anni, infatti, la spesa pubblica si è ridotta in valore assoluto, anche se con un forte sacrificio degli investimenti pubblici: uno sforzo eccezionale che non può, realisticamente, essere protratto troppo oltre in assenza di crescita econo- mica. O, almeno, non oltre quanto già programmato nel DEF. Tutto il Rapporto si concentra sulle condizioni necessarie per realizzare questo difficile bilanciamento tra disciplina nella finanza pubblica e rilancio dello sviluppo economico; un bilanciamento che deve contare, soprattutto, su una coraggiosa e selettiva politica di riforme in grado di elevare la produttivi- tà di sistema. Il Governo ha annunciato riforme strutturali in tutti campi dell’economia e dell’amministrazione. La Corte dei conti sostiene con convinzione questa strategia di intervento. Nella nostra istituzione indipendente il Governo trova tutte le conoscenze e il supporto tecnico per realizzare le riforme anche sul territorio e nella finanza degli enti locali. Non perdiamo questa occasione!

RAFFAELE SQUITIERI Presidente della Corte dei conti IL RISCHIO DI RIPETERE CON LA TA.S.I. L’ERRORE CHE COMMISE MONTI SULL’I.M.U. (*)

Perseverare è diabolico. Sulla Ta.s.i. il governo Renzi rischia di fare lo stes- so errore commesso dal governo Monti ai tempi dell’I.m.u. Rischia di provo- care effetti depressivi, di compromettere la ripresa della domanda interna dei con- sumi. Rischia cioè di controbilanciare, annullandoli, i potenziali benefici attesi dagli ottanta euro in più nelle buste paga dei meno abbienti. Quale fu l’errore del governo Monti sulla questione I.m.u.? Fu di non prevedere che, in un Pae- se di proprietari di case, annunciare una tassa sulla casa e poi lasciarne impre- cisata, per mesi e mesi, l’entità, avrebbe determinato una «gelata» dei consumi. In quei mesi di incertezza, il ragionamento dei più fu il seguente: «poiché non so ancora quanto pagherò per l’I.m.u. sono costretto a rinviare certe spese (po- niamo: cambiare l’automobile, ristrutturare l’appartamento, eccetera) che ave- vo intenzione di fare». Quell’idea si insinuò, nello stesso momento, in milioni di cervelli e i titolari di quei cervelli agirono di conseguenza. Il risultato fu di- sastroso. Anziché uno stimolo a una domanda interna in caduta a causa della cri- si economica, dal governo arrivò un contributo alla sua ulteriore contrazione. Ma- croeconomisti di fama, di indiscutibile valore scientifico, si rivelarono, sulla que- stione I.m.u., inadatti a governare. Abituati a maneggiare macro grandezze eco- nomiche e a calcolare flussi, furono incapaci di mettersi nei panni dei consuma- tori. Annunciare una tassa senza precisarne subito l’entità è un errore da mati- ta rossa e blu. Il pasticcio Ta.s.i. sembra il remake di un brutto film già visto. Anche in questo caso, c’è grande incertezza su chi pagherà cosa e quanto. È un pasticcio che Renzi eredita dal governo Letta. Ma è lui che ha ora il ceri- no in mano. Tocca a lui trovare il rimedio. Secondo Bankitalia, la Ta.s.i. sul- la prima casa rischia di comportare un aumento dei costi fino al 60% rispetto all’I.m.u. 2013. In risposta, dal governo, arrivano dichiarazioni che si voglio- no rassicuranti ma che accrescono solo l’incertezza. Dice, ineffabile, il sottose- gretario alla presidenza del Consiglio, : «Gli italiani possono sta- re sereni (...) pagheranno meno rispetto al 2012». Ma che cosa significa «meno»? È lo stesso caos dell’epoca dell’I.m.u. C’è un solo modo per fugare l’in- certezza e impedire che essa si traduca in una nuova frenata dei consumi: oc- corre un immediato decreto del governo che faccia chiarezza, stabilendo che in nessun caso la Ta.s.i. potrà essere superiore a una certa percentuale, esatta- mente definita, del valore dell’I.m.u. 2012. In questo modo, gli italiani avran- no la certezza che la Ta.s.i., come era stato promesso, sarà nettamente infe- riore all’I.m.u. e, soprattutto, ne potranno calcolare immediatamente l’entità. Si eviteranno così le conseguenze negative che si ebbero all’epoca del gover- no Monti. Oltre a tutto, sarebbe una bella novità, un inizio coi fiocchi, se il governo Renzi decidesse di trattare i contribuenti con un minimo di rispetto.

ANGELO PANEBIANCO

(*) Da Corriere della Sera, 1 giugno 2014. FISCO, RIFORME E DIGNITÀ NAZIONALE COSÌ L’ITALIA RIUSCÌ A SALVARSI DA SOLA (*)

Caro direttore, sul Corriere del 1o giugno («Sulla casa Renzi rischia di sbagliare, come Monti»), Angelo Panebianco si chiede: «Quale fu l’errore del governo Monti sulla questione I.m.u.?». Fu quello di «annunciare una tassa sulla casa e poi lasciarne imprecisata, per mesi e mesi, l’entità». L’incertezza, osserva correttamente Panebianco, avrebbe determinato una caduta dei consu- mi. Severa, la sentenza: «Annunciare una tassa senza precisarne subito l’enti- tà è un errore da matita rossa e blu». Pena, l’esilio politico: «Macroeconomi- sti di fama, di indiscutibile valore scientifico, si rivelarono, sulla questione I.m.u., inadatti a governare». Il governo da me presieduto ricevette la fiducia del Parlamento il 17 novembre 2011. Per fronteggiare la grave emergenza fi- nanziaria varammo in 17 giorni il decreto legge «Salva Italia», presentato la sera di domenica 4 dicembre. Il Parlamento lo convertì rapidamente nella l. 22 dicembre 2011, senza modifiche significative. Oltre alla riforma delle pensioni, al rafforzamento della lotta all’evasione fiscale e a misure per ridurre la spesa pubblica e favorire la crescita, il decre- to stabiliva l’anticipazione dal 2014 al 2012 dell’entrata in vigore dell’I.m.u., istituita dal governo Berlusconi con il d.lgs. 14 marzo 2011. Il nostro decreto maggiorava le rendite catastali da assumere come base imponibile e ripristi- nava la tassazione sulle abitazioni principali. Tutti gli elementi fondamentali dell’imposta (soggetti passivi, base imponibile, aliquote e detrazioni standard) erano pertanto già stabiliti per legge – da marzo o dicembre 2011 – ben pri- ma della scadenza del primo versamento, dovuto a giugno 2012. Restava un margine di incertezza, legato alla facoltà lasciata ai Comuni di modificare, entro limiti predefiniti, le aliquote e le detrazioni. Pertanto, a differenza di quanto afferma Panebianco, il governo aveva deciso con largo anticipo tutto ciò che era di sua competenza. Le incertezze, pur limitate, che i contribuenti a suo tempo incontrarono per l’I.m.u., furono in realtà dovute al fatto che non tutti i Comuni avevano deliberato tempesti- vamente aliquote e detrazioni. D’altro canto, non solo in Italia ma in ogni Paese che abbia un sistema di governo articolato su più livelli istituzionali, alle amministrazioni locali è lasciata la facoltà, entro ambiti fissati dalla legge statale, di determinare i propri tributi. Questa è, del resto, una caratteristica «sana» dell’imposta: non solo perché la stessa è legata a servizi reali prestati dai Comuni ma anche perché si evidenzia così, tramite il livello delle aliquo- te, il grado di efficienza delle amministrazioni. Consegue da quanto sopra che per ottenere una certezza totale, in sé de- siderabile, non basterebbe purtroppo tenere lontani dai governi i «macroeco- nomisti di fama», come auspica il nostro politologo di chiara fama, ma occor- rerebbe abolire ogni forma di autonomia locale nel prelievo tributario. Rima-

(*) Da Corriere della Sera, 6 giugno 2014. 824 DIRITTO E PRATICA TRIBUTARIA N. 4/2014 ne il fatto che è possibile, e fu fatto, sollecitare i Comuni ad assumere tempe- stivamente le proprie decisioni. Ma non mi sembra fondata l’accusa di miopia nelle scelte di politica fiscale, rivolta a governi centrali che, proprio perché consapevoli dei danni che le loro decisioni potrebbero arrecare all’economia, si preoccupano di decidere tempestivamente per quanto di loro competenza e di circoscrivere i margini di incertezza dipendenti dalle decisioni di altri sog- getti del sistema di governo. A meno che Panebianco attribuisca al mio go- verno l’incessante susseguirsi di ipotesi e annunci contraddittori sulla tassa- zione dell’abitazione principale, che caratterizzò il periodo successivo. All’esigenza di ridurre il più possibile l’incertezza, il mio governo è sta- to anzi particolarmente sensibile, come non sarà sfuggito allo stesso Pane- bianco. Infatti, pur avendo dovuto operare in condizioni di emergenza, abbia- mo presentato al Parlamento il disegno di legge delega per la realizzazione di un sistema fiscale più equo, trasparente e orientato alla crescita, che ha posto proprio la certezza del diritto tributario come obiettivo fondamentale della ri- forma. Approvato in prima lettura dalla Camera nella scorsa legislatura, il di- segno di legge è stato ripreso nei contenuti essenziali dall’attuale Parlamento, che l’ha convertito nella l. 11 marzo 2014. Visto che questa lettera è indirizzata a Lei, caro direttore, ne approfitto per una breve riflessione su un punto di grande rilievo, evocato nel suo edito- riale del 31 maggio («Chi non investe e chi non sente»). Lei ricorda che la Spagna, di fronte al disastro del proprio sistema bancario, chiese l’aiuto euro- peo e lo ottenne. Oggi la sua economia cresce e il suo spread è ritornato ad essere inferiore al nostro. Ciò la induce a domandarsi: «Dovevamo fare anche noi la stessa cosa ai tempi del governo Monti?» e a rispondere: «Forse sì». La domanda è legittima. L’ho posta io stesso, a titolo di esperimento, ai leader di Paesi che non hanno potuto fare a meno degli aiuti e che, in conse- guenza, hanno dovuto accogliere la troika (Commissione, Bce, Fmi) nella lo- ro capitale per periodi prolungati. Le loro reazioni non lasciano dubbi, così come non ne lasciano le analisi compiute dal Parlamento europeo. Ne ho trat- to conforto sulla bontà della scelta più difficile, e certamente più rischiosa, che abbia dovuto compiere come capo del governo e, a quel tempo, Ministro dell’economia e delle finanze: quella di non chiedere alcun salvataggio. An- che perché, nel caso dell’Italia, erano in gioco rischi, ma anche opportunità, che non si presentavano alla Grecia, al Portogallo, all’Irlanda, alla Spagna. I rischi. Era improbabile che il fondo salva Stati europeo e il Fmi aves- sero risorse sufficienti, se l’Italia avesse chiesto di essere salvata, come peral- tro ci veniva consigliato da governi e istituzioni che, dubitando che potessimo farcela da soli, da un lato avevano il grande e comprensibile timore di un eventuale contagio italiano; e forse, dall’altro, non vedevano malvolentieri lo scenario con un’Italia che sarebbe stata ridotta ad uno stato di forzata e doci- le soggezione per molti anni a venire. Le risorse probabilmente non sarebbero state sufficienti sia per la dimensione stessa del Paese, sia per la natura del focolaio (il debito pubblico con gli ingenti rinnovi dei titoli in scadenza, ben più che il sistema bancario, a differenza della Spagna). Una domanda di aiuto ci avrebbe certamente precluso l’accesso al mercato, probabilmente senza for- nirci mezzi sufficienti. Ma anche le opportunità. Con tutto il rispetto per la Spagna e per gli al- tri Paesi citati, con i quali abbiamo avuto ottima cooperazione nelle comuni difficoltà, fin da quando il Presidente Napolitano mi incaricò di formare il governo io pensai, pur senza rivelarlo, che la nostra missione doveva essere certo quella di salvare finanziariamente l’Italia, ma anche di far pesare il più PARTE PRIMA 825 presto possibile, e il più possibile, le idee e la capacità negoziale che il go- verno italiano avrebbe potuto esprimere per contribuire ad orientare la gover- nance dell’intera eurozona, nel momento in cui avesse dimostrato la capacità di risanamento dell’Italia, considerata solo pochi mesi prima il più probabile fattore di disintegrazione dell’euro. Con il lavoro forte e coeso di tutto il governo, con lo straordinario ap- porto di e di , e soprattutto con la grande forza che sapeva trasmetterci il Presidente Napolitano nella comune impresa di ridare credibilità e influenza all’Italia sul piano internazionale, è stato possibile conseguire il nostro obiettivo. È ormai acquisito (si vedano ad esempio gli articoli recenti di Peter Spiegel sul Financial Times, i libri The Unhappy Union di John Peet e Anton LaGuardia e La lunga notte dell’euro di Alessandro Barbera e Stefano Feltri), che l’Italia ha avuto un ruolo deter- minante di proposta e di spinta nelle trattative che hanno portato, nel vertice dell’eurozona del 28-29 giugno 2012, all’accordo unanime in favore di inter- venti di stabilizzazione dei mercati del debito pubblico di quei Paesi che ri- spettino le indicazioni dell’Ue. Senza quell’accordo politico, sottoscritto an- che da Germania, Olanda, Finlandia, difficilmente la Bce si sarebbe potuta spingere fino alle impegnative dichiarazioni del Presidente Draghi e alle deci- sioni sull’Omt, che dall’agosto-settembre 2012 hanno sostanzialmente stabi- lizzato l’eurozona. Se l’Italia, dopo i durissimi mesi dell’estate e autunno 2011, avesse sì evitato l’insolvenza ma grazie agli aiuti altrui, in tutte le riunioni europee avremmo solo potuto attenerci ad un dignitoso silenzio, tacita espressione di gratitudine. Avremmo perduto, nei fatti, una parte grande della nostra sovra- nità. Non solo il governo di allora, ma anche i governi di e di si sarebbero trovati, di fronte all’Europa, in posizione di ogget- tiva soggezione. E le dure misure che prendemmo, le quali sarebbero state comunque necessarie, se adottate a Roma da una troika dal sapore neocolo- niale, avrebbero fatto salire ancor più i populismi antieuropei di ogni colore. Come allora dissi più volte, preferivo che l’inevitabile impopolarità colpisse il mio governo e me, piuttosto che l’Unione europea. Lei ci ricorda opportunamente, caro direttore, che lo spread della Spagna è oggi al di sotto di quello dell’Italia. L’ho più volte segnalato anch’io come fenomeno preoccupante. Ma non credo proprio che esso sia dovuto alla diver- sa scelta in materia di aiuti. Alla vigilia del nostro governo di emergenza, il 9 novembre 2011, lo spread dell’Italia era di 167 punti superiore a quello della Spagna. Quando ebbe termine, era di 34 punti inferiore.

MARIO MONTI Senatore a vita, ex Presidente del Consiglio (dal 16 novembre 2011 al 27 aprile 2013) APPREZZAMENTO DELLA CONFINDUSTRIA PER LA PROPOSTA DI LEGGE DEL CNEL SULLA REVISIONE FISCALE (*)

LA CODIFICAZIONE DELLA DISCIPLINA FORMALE DEI TRIBUTI Prime osservazioni al progetto CNEL

Il CNEL ha avviato lo studio e l’elaborazione di un codice tributario con l’obiettivo di sistematizzare la disciplina formale dei tributi. Si tratta di un progetto ambizioso per dar corpo ad un’opera unitaria e coerente – molto più di una collazione ordinata della normativa esistente – che Confindustria apprezza e sostiene pienamente. La necessità di elaborare principi unitari del diritto tributario è partico- larmente avvertita dalle imprese, poiché regole chiare e coerenti nell’ordina- mento tributario sono il presupposto necessario per dare stabilità e certezza agli operatori economici. La codificazione proposta dal CNEL permetterebbe all’Italia di ammo- dernare il proprio sistema tributario, in linea con quanto accade presso altri Stati europei, e per questa via di accrescere la propria competitività e stimo- lare la crescita. La valutazione di un lavoro così importante e articolato richiede la mas- sima condivisione e partecipazione di esperti. Si potrebbe valutare, pertanto, di affidarla a una consultazione pubblica, per facilitare la raccolta di osserva- zioni e integrazioni. Si forniscono di seguito alcune prime osservazioni sulle bozze di docu- mentazione trasmesse.

1. – Premessa

A partire dal 2008 il CNEL – con il contributo di un gruppo di profes- sori universitari – ha avviato lo studio e l’elaborazione di un codice tributa- rio, con l’obiettivo di sistematizzare la disciplina formale dei tributi. La normativa relativa a dichiarazioni, accertamento, liquidazione dei tri- buti, sanzioni, processo tributario e riscossione, è stata razionalizzata in un unico codice tributario le cui disposizioni sono state suddivise in sei libri, re- canti:

(*) Si tratta dell’iniziativa del Cnel sulla base del lavoro svolto da un grup- po di professori di diritto tributario pubblicata retro, 2013, I, 713. PARTE PRIMA 827

I. principi generali dell’ordinamento, II. obblighi tributari dei privati, III. le funzioni amministrative, IV. la riscossione, V. le sanzioni, VI. il processo tributario. La codificazione è stata realizzata attraverso l’enucleazione delle regole generali per ciascun settore interessato, prima, e per ciascun gruppo di settori, poi. È stata quindi operata una vera e propria razionalizzazione e revisione delle disposizioni codificate e non una mera collazione della normativa esi- stente. La documentazione trasmessa riguarda la codificazione delle norme in materia di principi generali dell’ordinamento, obblighi tributari dei privati, le funzioni amministrative, le sanzioni e il processo tributario; mancano, invece, le disposizioni relative alla riscossione. Il CNEL suggerisce l’adozione di una legge delega, recante i principi di codificazione nei diversi comparti ed una legge delegata che costituisce il co- dice tributario vero e proprio, di cui si forniscono prime osservazioni.

2. – Osservazioni generali Il CNEL ha dato corpo a un progetto ambizioso – a tratti impossibile, se si tiene conto della enorme frammentazione esistente – per la codificazione della disciplina formale dei tributi che va particolarmente apprezzato. Sono sempre più numerosi gli Stati che in Europa avviano processi di si- stematizzazione della normativa fiscale comune a tutti i tributi. Taluni, come Spagna e Germania, al pari della codificazione operata dal CNEL, valorizza- no la presenza di disposizioni generali e preliminari; altri, come Francia e Belgio, invece, separano le norme sostanziali da quelle procedurali, senza va- lorizzare i principi generali. La necessità di elaborare principi unitari del diritto tributario non è re- cente. Fu avvertita sin dagli anni ’40, quando venne elaborata una bozza di «norme generali del diritto tributario» che fu poi accantonata. Successivamente, nel corso dei lavori dell’Assemblea costituente, venne riproposta l’introduzione di un «codice o legge fondamentale» di norme gene- rali, finalizzato ad evitare la proliferazione di disposizioni tributarie eteroge- nee, contraddittorie e di non agevole comprensione. I successivi tentativi, che non approdarono a risultati concreti, furono avviati negli anni ’70 in occasio- ne della riforma tributaria. Da ultimo, la legge delega del 2003 prevedeva l’elaborazione di un codice tributario, ma anche questa non si è tradotta in un risultato concreto. La codificazione delle disciplina formale del tributo è ormai improcrasti- nabile, poiché regole chiare e coerenti nell’ordinamento tributario sono il pre- supposto necessario per dare stabilità e certezza agli operatori economici. La codificazione permetterebbe all’Italia di ammodernare il proprio sistema tri- butario, in linea con quanto accade presso altri Stati europei e, per questa via, di accrescere la propria competitività e stimolare la crescita. Va inoltre sottolineato che un fisco semplice, certo e trasparente non rappresenta solo un essenziale sostegno per la crescita, ma rende meno onero- si gli adempimenti a carico dei contribuenti e più efficaci i controlli dell’am- ministrazione finanziaria, con maggiori possibilità di recupero di risorse da destinare alla riduzione della pressione fiscale. 828 DIRITTO E PRATICA TRIBUTARIA N. 4/2014

Il lavoro svolto dal CNEL è ammirevole e imponente. Si tratta di un’opera che è molto più di una collazione ordinata della normativa esistente – attività che sarebbe stata comunque laboriosa ed impe- gnativa, quanto meno per eliminare le eventuali sovrapposizioni – e che si è tradotta in un elaborato in cui le norme che disciplinano attività analoghe nei diversi settori impositivi appaiono sia uniformate sia aggiornate per tener conto delle modifiche intervenute in altri settori dell’ordinamento a cui il di- ritto tributario spesso rinvia (es. diritto amministrativo, procedura civile). Le disposizioni sono state rese maggiormente intellegibili anche grazie alla trasfusione nel testo delle disposizioni oggi richiamate con semplice rin- vio, e sono state inserite norme ad hoc per completare lacune avvertite nella pratica. La valutazione di un lavoro di tale importanza e complessità potrebbe essere opportunamente affidato a una consultazione pubblica, metodo che – meglio di ogni altro – facilita l’emersione e la raccolta di suggerimenti di mi- glioramento e di integrazione.

3. – Osservazioni sulla legge delega

Secondo il progetto del CNEL la codificazione delle regole relative al- l’attuazione dei tributi dovrebbe essere attuata sulla base di principi direttivi definiti da una legge delega, anch’essa predisposta dal CNEL. Secondo tale bozza di legge delega il fine della codificazione è agevola- re lo spontaneo assolvimento degli obblighi tributari e la collaborazione fra amministrazione tributaria e contribuenti, nonché ridurre i costi di adempi- mento per le imprese favorendone la produttività e incentivando gli investi- menti in Italia. I criteri direttivi, coerentemente con la portata del progetto, sono ampi e articolati. Da apprezzare particolarmente, come messo in evidenza nei succes- sivi commenti di dettaglio, i criteri riguardanti: • inserimento, come principi fondamentali, delle disposizioni dello Sta- tuto dei diritti del contribuente; • semplificazione della disciplina della «attuazione», al fine di rendere più certi e omogenei l’applicazione e l’accertamento delle imposte; • previsione dell’obbligatorietà del contraddittorio nella fase di accerta- mento e nel procedimento di irrogazione delle sanzioni; • riordino della disciplina degli interpelli; • introduzione di discipline intese a valorizzare il principio di legalità nell’azione amministrativa e il principio di leale collaborazione fra contri- buente e amministrazioni finanziarie. Con riguardo ai criteri direttivi per la riforma del processo tributario, in- vece, risultano particolarmente condivisibili quelli concernenti l’articolazione della Sezione tributaria della Corte di Cassazione e, più in generale, quelli ri- guardanti la qualificazione professionale dei giudici tributari. Sono altrettanto positivi i principi che mirano ad adeguare le norme del processo tributario alla particolare natura dello stesso rispetto a quello civile e amministrativo e quelli concernenti l’uniformazione e generalizzazione della tutela cautelare in ogni stato e grado del processo tributario. Nel seguito, si esprimono prime osservazioni su alcune disposizioni spe- cifiche. Si osserva, in via preliminare, che potrebbe essere utile elencare le disposizioni che, in quanto codificate, risultano abrogate. PARTE PRIMA 829

4. – Osservazioni sul Libro I: Principi generali dell’ordinamento

Il libro si compone di tre titoli: I. Valore e ambito di applicazione dei principi (1 articolo); II. Fonti del diritto tributario (6 articoli); III. L’azione amministrativa (8 articoli). In questo libro sono stati trasfusi i principi recati nello Statuto del con- tribuente che assurgono, quindi, a livello di disposizioni preliminari del costi- tuendo codice tributario. Particolarmente apprezzabili appaiono gli aspetti indicati di seguito: • la nuova collocazione dei principi recati nello Statuto del contribuente dovrebbe consentire a tali principi di assumere una forza giuridica maggiore, capace di incidere sull’attività legislativa, in coerenza con l’affermazione con- tenuta nell’art. 1 del codice del ruolo costituzionale che tali principi hanno. È positivo, inoltre, aver reso esplicito il principio secondo cui ogni modifica o deroga delle disposizioni deve essere espressamente indicata e argomentata. In tal modo si richiama la responsabilità del legislatore su ogni scelta che de- roga i principi generali, rimarcando, quindi, l’importanza degli stessi; • è assolutamente opportuna, tra le disposizioni inserite in questo libro, quella recata dall’art. 7 che sancisce il diritto al contraddittorio nello svolgi- mento delle attività di controllo. Confindustria da tempo sostiene la necessità di far maggior ricorso al contraddittorio preventivo per scoraggiare l’adozione di avvisi di accertamento mal fondati, temerari o sbrigativi. Il principio del contraddittorio è imposto nel diritto tributario dal principio del giusto proce- dimento (Cass., SS.UU., n. 26635 del 2009) e la Corte di giustizia (causa n. 349 del 2007, Soproprè) lo ha ritenuto diritto fondamentale del diritto euro- peo.

5. – Osservazioni sul Libro II: Obbligazioni tributarie dei privati

Il libro si struttura in quattro titoli, riguardanti: I. Obbligazione dei privati (5 articoli); II. Disposizioni generali (3 articoli); III. Scritture contabili (19 articoli); IV. Gli atti dei privati (38 articoli). In questo libro sono state trasfuse molte delle disposizioni contenute nel d.p.r. n. 600 del 1973 e nel d.p.r. n. 633 del 1972 in materia di scritture con- tabili, obblighi dichiarativi, comprese le disposizioni concernenti la tenuta delle scritture contabili su supporto informatico che sono state introdotte nel nostro ordinamento con il d.p.r. 28 dicembre 2000, n. 445. Con riguardo agli obblighi dichiarativi, oltre aver trasfuso e armonizzato le disposizioni contenute nel d.p.r. n. 600 del 1973, nel d.p.r. n. 322 del 1998 e nel d.p.r. n. 633 del 1972, è apprezzabile la previsione di disposizioni con- cernenti la dichiarazione dei tributi locali. Potrebbe essere di utilità inserire in tale libro (dopo le disposizioni che disciplinano gli obblighi dichiarativi), le norme che individuano le ipotesi di violazioni sanzionabili, concernenti gli obblighi strumentali (mancata o irre- golare tenuta di documentazione, mancata presentazione di documenti e ri- sposta a questionari, ecc.) e i dati dichiarati, contenute nel d.lgs. n. 472 del 1997 (per quanto riguarda i principi e le procedure applicative) e nel d.lgs. n. 471 del 1997(per quanto attiene a specifiche ipotesi di violazione). 830 DIRITTO E PRATICA TRIBUTARIA N. 4/2014

6. – Osservazioni sul Libro III: Le funzioni amministrative Il Libro terzo del codice si compone di 5 titoli, concernenti, nell’ordine: I. Disposizioni generali (1 articolo); II. La funzione conoscitiva (3 articoli); III. La funzione di controllo (18 articoli); IV. Gli interpelli (8 articoli); V. Le attività di controllo (25 articoli). Tale libro reca disposizioni di notevole importanza per il mondo delle imprese, poiché sono norme che incidono direttamente nel rapporto fisco-con- tribuente (disciplina degli interpelli, attività di controllo e procedure di accer- tamento) e mirano a garantire la certezza delle disposizioni tributarie sia nella fase fisiologica dell’applicazione delle norme sia, eventualmente, nella fase patologica del controllo - contestazione. Si formulano di seguito alcuni suggerimenti su interpelli, raddoppio dei termini di accertamento e abuso del diritto, anche riprendendo proposte già formulate da Confindustria su tali temi. Con riguardo alle disposizioni in materia di interpelli, la disciplina codi- ficata uniforma le regole dettate per le 4 tipologie di interpello oggi previste: • ordinario, ex art. 11 della l. n. 212 del 2000; • disapplicativo, ex art. 37-bis,8o comma, del d.p.r. n. 600 del 1973; • antielusivo, ex art. 21 della l. n. 413 del 1991; • riferito a singole disposizioni – es. CFC, dividendi, Pex ecc. Per tutti viene prevista la formazione del silenzio assenso, qualora l’Am- ministrazione finanziaria non risponda entro 120 giorni dalla data di presenta- zione dell’istanza. Ciò implica che, indipendentemente dalla finalità per la quale l’interpello è presentato, l’istante dovrà indicare nella richiesta una pro- posta di statuizione. Al di là della necessità di aggiornare l’articolato con le recenti modifiche organizzative che hanno interessato l’Amministrazione finanziaria – continua- no ad essere citate l’Agenzia del territorio e l’Amministrazione autonoma dei monopoli di Stato – si segnala che rimangono anche i riferimenti all’articolo 21, 9o comma, della l. n. 413 del 1991 e all’articolo 37-bis,8o comma, del d.p.r. n. 600 del 1973 la cui disciplina, invece, dovrebbe essere trasferita nel- le disposizioni del codice. Inoltre, potrebbe essere colta l’occasione per normare in maniera com- piuta i riflessi della risposta all’interpello sulle fasi successive di controllo e contenzioso, perché non vi è dubbio che un corretto uso dell’interpello, spe- cie quello con finalità interpretative, potrebbe contribuire alla corretta appli- cazione della normativa tributaria ed alla deflazione del contenzioso. Con riguardo ai termini per l’accertamento in materia di imposte sui red- diti e di iva, l’art. 112-II del codice, riproduce parzialmente la previsione contenuta nel vigente articolo 43 del d.p.r. n. 600 del 1973. In particolare, prevede che gli avvisi di accertamento debbano essere notificati entro il quar- to anno successivo a quello in cui è stata presentata la dichiarazione. Inoltre è riprodotta la disciplina – oggi delineata nel 4o comma del citato articolo 43 – concernente la successione di avvisi di accertamento per lo stesso periodo di imposta e nei confronti dello stesso soggetto passivo. Manca, invece, l’individuazione del termine per l’accertamento in caso di mancata presentazione della dichiarazione (o di dichiarazione nulla), attual- mente più lungo di un anno rispetto a quello «ordinario». A tale riguardo, si osserva che qualora si volesse individuare un unico termine di decadenza, la previsione del 1o comma andrebbe integrata, facendo riferimento quale dies a PARTE PRIMA 831 quo, anche al periodo di imposta in cui «la dichiarazione avrebbe dovuto es- sere presentata». Inoltre, non compare la disciplina del raddoppio dei termini di accerta- mento in caso di violazione tributaria che comporti la denuncia penale, oggi inserita nel 3o comma dell’art. 43 del d.p.r. n. 600 del 1973. Non è chiaro se ciò corrisponda alla volontà di abrogare la norma: neanche i principi della legge delega aiutano a chiarire tale dilemma. Si segnala comunque in propo- sito che Confindustria ha più volte sollecitato un intervento di riforma su questo tema volto a chiarire che è consentito derogare al termine di decaden- za per la notifica di un avviso di accertamento soltanto quando l’attività di accertamento sia iniziata entro il termine indicato ed entro tale termine abbia evidenziato fatti e circostanze tali da poter configurare, almeno in via astratta, l’esistenza di un reato tributario. Elusione e abuso del diritto. L’articolo 120 – II del codice, rubricato «Elusione e abuso del diritto», riproduce, senza alcuna modifica, le disposi- zioni recate nell’attuale art. 37-bis del d.p.r. n. 600 del 1973, con esclusione del 3o comma e delle disposizioni dei commi 7o e8o. Il tema dell’abuso del diritto è un tema molto avvertito dalle imprese. In questi ultimi anni Confindustria ha condotto diverse azioni e ha sollecitato un intervento normativo per la formulazione di una norma generale di definizio- ne dell’abuso di diritto che trovi applicazione con riguardo a qualsiasi tributo o tassa e riconduca ad unità i concetti di elusione e di abuso del diritto. A nostro avviso la norma dovrebbe: • definire la condotta abusiva, stabilendo che sono abusivi gli atti, i fatti e i negozi, anche collegati tra loro che, pur non violando alcuna disposizione, consentono al contribuente di ottenere riduzioni di tributi o maggiori crediti da considerarsi indebiti, in quanto derivanti dall’aggiramento di obblighi o di- vieti previsti dall’ordinamento tributario. A questo fine, sarebbe opportuno precisare che occorre tener conto dei principi generali dell’ordinamento e so- prattutto di quelli della disciplina tributaria in cui sono collocati tali obblighi e divieti; • chiarire che l’individuazione della condotta abusiva non rende nulli i negozi conclusi dal contribuente ma li rende solo inefficaci ai fini tributari; • precisare che il contribuente può legittimamente scegliere tra gli atti, i fatti e i negozi quelli meno onerosi sotto il profilo impositivo; • prevedere che la prevalenza delle valide ragioni economiche extrafi- scali, ove venga acclarata, si pone alla stregua di una giustificazione del com- portamento del contribuente in grado di precludere di per sé ogni ulteriore in- dagine sull’esistenza o meno di un aggiramento di obblighi o divieti; essa, quindi, agisce come un’esimente; • definire gli obblighi e i comportamenti che devono essere tenuti dal- l’Amministrazione finanziaria e dai contribuenti; • stabilire il principio secondo cui l’abuso del diritto non può essere ri- levato d’ufficio dal giudice tributario. La condotta abusiva così definita, inoltre, proprio perché non si sostanzia un comportamento fraudolento, simulatorio o finalizzato alla creazione e al- l’utilizzo di documentazione falsa, non dovrebbe avere rilevanza penale.

7. – Osservazioni sul Libro IV: La riscossione

Non sono state trasmesse le disposizioni relative. 832 DIRITTO E PRATICA TRIBUTARIA N. 4/2014

8. – Osservazioni sul Libro V: Le sanzioni Il libro si compone di 20 articoli attinenti le sanzioni amministrative. Non sono invece riportate le disposizioni in materia di sistema sanzionatorio penale. I temi affrontati sono delicati e meritano forse una riflessione ulterio- re. Nell’operare la codificazione si è fatta una scelta di fondo: nell’indivi- duare il soggetto al quale riferire la sanzione amministrativa tributaria, l’arti- colo 1-V, 2o comma del codice – diversamente da quanto previsto dall’attuale articolo 5 del d.lgs. n. 472 del 1997, secondo cui è responsabile l’autore ma- teriale (persona fisica) della violazione – prevede che la sanzione si applichi nei confronti del soggetto tenuto all’adempimento tributario previsto dalla norma violata. In tal modo, diventa regola generale quanto oggi previsto dall’art. 7 del d.l. n. 269 del 2003, secondo cui le sanzioni amministrative relative al rap- porto fiscale proprio di società o enti con personalità giuridica (s.p.a., s.r.l., s.a.p.a., fondazioni, associazioni riconosciute, ecc.) sono esclusivamente a ca- rico della persona giuridica e non, quindi, della persona fisica che material- mente ha commesso la violazione. La scelta è radicale ed è orientata a colpire il principale beneficiario del- l’illecito fiscale, introducendo come regola generale la responsabilità dell’en- te, in luogo della responsabilità della persona fisica. Tale impostazione, se da un canto porta coerenza tra il sistema dell’ille- cito tributario amministrativo ed il sistema extrafiscale di repressione e pre- venzione dell’illecito nei confronti di soggetti collettivi (d.lgs. n. 231 del 2001), dall’altro, potrebbe risultare poco efficace sul piano della prevenzione. È un tema delicato che merita una riflessione più approfondita anche con riguardo ai risvolti di coordinamento. Va comunque segnalato che, a nostro avviso, il sistema sanzionatorio dovrebbe essere improntato a criteri di predeterminazione e proporzionalità, rispetto alla gravità del comportamento. Sovente le sanzioni amministrative risultano eccessive e sproporzionate. Basti pensare, a titolo esemplificativo, alle sanzioni per costi esposti in fatture oggettivamente inesistenti ove la sanzione minima è fissata al 25% del costo ed equivale, sostanzialmente, alla indeducibilità del costo stesso, atteso che l’aliquota ires è pari al 27,5%. Con riguardo al sistema sanzionatorio penale, le ipotesi di reato dovreb- bero essere circoscritte ai comportamenti caratterizzati da frode o da atti si- mulatori o, ancora, da comportamenti diretti alla creazione e utilizzo di docu- mentazione falsa. In questa ottica, il reato di dichiarazione infedele dovrebbe essere depenalizzato.

9. – Osservazioni sul Libro VI: Contenzioso tributario Il Libro dedicato al processo tributario si struttura in sei titoli, riguardan- ti, nell’ordine: I. Disposizioni generali (39 articoli); II. Il processo tributario di primo grado (36 articoli); III. Le impugnazioni (24 articoli); IV. Esecuzione delle sentenze (4 articoli); V. Il procedimento cautelare (10 articoli); VI. Il procedimento di conciliazione in pendenza di giudizio (4 artico- li). PARTE PRIMA 833

Il codice non reca la normativa sulla organizzazione degli organi di giu- stizia tributaria – oggi contenuta nel d.lgs. 31 dicembre 1992, n. 545 – poi- ché, come si legge nella relazione di accompagnamento, la revisione di tale normativa dipende da scelte di natura politica che possono orientarsi sia verso un giudice tributario misto (in parte togato e in parte laico) ovvero verso una vera e propria magistratura tributaria interamente professionalizzata e a tempo pieno. Risulta particolarmente chiara e condivisibile la disciplina delineata per le spese di giudizio (art. 23). Nel testo sono state trasfuse le disposizioni con- tenute nell’art. 92, c.p.c. a cui la norma attualmente rinvia (in materia di spe- se superflue ed eccessive). Il dato letterale delle disposizioni è più aderente a quello delle norme del codice di procedura civile. Ad esempio, l’attuale articolo 15 del d.lgs. n. 546 del 1992 stabilisce «la parte soccombente è condannata a rimborsare le spe- se», mentre la disposizione codificata, mutuando quanto previsto dall’art. 91 del c.p.c., sancisce «il giudice tributario condanna con sentenza le parti soc- combenti alle spese di giudizio». Questa uniformità terminologica, unitamente all’aggiornamento delle disposizioni per tener conto delle modifiche interve- nute nel codice di procedura civile, semplifica l’opera dell’interprete ed è quindi condivisibile. Nel merito risulta altrettanto condivisibile la previsione secondo cui qua- lora una delle parti abbia formulato una proposta conciliativa non accettata dall’altra parte, restano a carico di quest’ultima le spese del processo matura- te dopo la formulazione della proposta ove il riconoscimento delle sue pretese risulti, infine, inferiore al contenuto della proposta ad essa formulata. La di- sposizione, nel creare un meccanismo di dissuasione al rifiuto delle proposte conciliative, promuove indirettamente gli accordi deflattivi del contenzioso. Atti impugnabili (art. 41). È apprezzabile l’aggiornamento compiuto nel- l’individuazione degli atti impugnabili. L’elenco tassativo delle fattispecie è stato, infatti, ampliato per tener conto dei nuovi avvisi di accertamento esecu- tivi ex art. 29, del d.l. n. 78 del 2010. Nell’articolo non è più compresa la previsione – attualmente contenuta nel 2o comma dell’art. 19, del d.lgs. n. 546 del 1992 – secondo cui gli atti impugnabili devono contenere l’indicazione del termine entro il quale il ricor- so deve essere proposto e del giudice competente. Tale disposizione è stata trasportata nell’art. 124-11 delle disposizioni che regolano il procedimento tributario, ove, alla lett. c) è previsto che in caso di atti impugnabili, l’atto deve contenere le modalità, il termine, l’organo giurisdizionale o l’autorità amministrativa cui è possibile ricorrere. A tale riguardo si osserva che, nono- stante la formulazione inserita nelle disposizioni che regolano il procedimento tributario riproduca, anche con maggior chiarezza, quanto prevede l’attuale art. 19, 2o comma, del d.lgs. n. 546 del 1992, sarebbe opportuno che tale pre- visione fosse ricondotta, o quantomeno richiamata, nell’articolo che disciplina gli atti impugnabili, poiché in tal modo risulterebbero più evidenti e facil- mente identificabili i contenuti essenziali dell’atto impugnabile. La scelta di eliminare i procedimenti presidenziali e la trattazione in ca- mera di consiglio è condivisibile, perché in linea con la prassi maggiormente seguita e perché risponde a logiche di semplicità normativa e di sfoltimento delle regole sovrabbondanti. Particolarmente innovative sono le norme che disciplinano il giudizio in Cassazione ed in particolare quelle che prevedono la ripartizione della sezio- ne tributaria in cinque sottosezioni per materia (imposte sui redditi, iva, altri 834 DIRITTO E PRATICA TRIBUTARIA N. 4/2014 tributi, riscossioni, rimborsi) e la possibilità di affidare le questioni su cui vi è difformità di giudizio o le questioni di particolare importanza ad un colle- gio composto dai presidenti delle cinque sottosezioni (art. 92). Tale procedura potrebbe essere idonea ad eliminare i contrasti di decisioni e a garantire linee di indirizzo giurisprudenziali univoche. Infine, le norme dedicate al procedimento cautelare mirano ad estendere il procedimento cautelare anche ai giudizi di appello e di revocazione. L’estensione – affidata alla generica previsione contenuta nel 2o comma, del- l’art. 110, secondo cui ai predetti giudizi «si applicano le disposizioni di cui agli articoli precedenti» – potrebbe essere resa più esplicita. Il termine entro cui il giudice deve decidere sull’istanza di sospensione risulta dimezzato rispetto all’attuale. L’art. 107, infatti, lo fissa in «tre mesi» dalla data di presentazione nella segreteria del giudice adito dell’istanza stes- sa, mentre, l’attuale art. 47, comma 5-bis, del d.lgs. n. 546 del 1992, lo fissa in 180 giorni. Rimane, tuttavia, un termine di tipo ordinatorio, poiché conti- nua a non essere prevista alcuna sanzione per il mancato rispetto. Per unifor- mità con gli altri termini, sarebbe altresì opportuno definirlo in giorni anziché in mesi. Inoltre, mutuando quanto previsto dall’attuale articolo 19, 3o comma, del d.lgs. n. 472 del 1997 in ordine alla sospensione (delle sanzioni) in presenza di idonea garanzia, sarebbe stato opportuno inserire delle disposizioni volte ad estendere in ogni grado l’obbligo della concessione della sospensione cau- telare ogni qual volta il contribuente presti idonee garanzie. Infine non risulta chiaro se la sospensione nei gradi di giudizio superiori al primo sia piena, ossia riguardante anche imposte e interessi, e non limitata alle sanzioni. A tale riguardo, sarebbe opportuna una disposizione inequivocabile che sancisca che la tutela cautelare nei gradi di giudizio successivi al primo ha ad oggetto tanto le sanzioni quanto le imposte e gli interessi. In tal modo, si fa- rebbe luce su una questione che ha formato oggetto di diverse sentenze della Corte costituzionale (n. 165 del 2000; n. 217 del 2000, n. 325 del 2001; n. 119 del 2007; n. 217 del 2010), tra le quali non sono mancate aperture di ri- conoscimento della sospensibilità «ope iudicis» dell’esecuzione della sentenza di appello, e sentenze di merito che continuano ad esprimere l’illegittimità dell’attuale limitazione della tutela cautelare oltre il primo grado (CTR Emilia Romagna, ord. 31 maggio 2004, n. 9; CTR Lombradia, ord. 20 giugno 2011, n. 9; CTR Campania, ord. 11 gennaio 2012, n. 1). BOLLETTINO BIBLIOGRAFICO

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621. FERRONI B., Cooperative compliance, governance aziendale e tutorag- gio,inFisco, 2014, 1951.

622. FICARI V., Mai separati per il fisco ... ovvero sulla responsabilità del coniuge codichiarante,inBoll. trib., 2014, 698.

623. FIORINI L.G., Ancora sulla nullità dell’avviso di accertamento antici- pato senza giustificati motivi oggettivi,inBoll. trib., 2014, 551.

624. FORTE N., Riforma del Catasto: un’opportunità per definire i criteri di determinazione del valore degli immobili,inCorr. trib., 2014, 1301.

625. FRANSONI G., La diversa disciplina procedimentale dell’elusione e dell’abuso del diritto: la Cassazione vede il problema, ma non trova la soluzione,inRiv. dir. trib., 2014, II, 47.

626. FUSA E., Il processo di valutazione aziendale e le correlate approssi- mazioni: le problematiche fiscali,inFisco, 2014, 1813.

627. GALLO F., L’applicazione del principio di sussidiarietà tra crisi del disegno federalista e tutela del bene comune,inRass. trib., 2014, 207.

628. GALLO F., Ancora in tema di uguaglianza tributaria,inRiv. dir. fin. sc. fin., 2013, 321.

629. GUIDANTONI S., Rivalutazioni delle immobilizzazioni materiali e im- materiali nei principi contabili nazionali,inFisco, 2014, 1613.

630. IORIO A., MECCA S., Controlli fiscali senza accesso: contraddittorio obbligatorio e illegittimità,inFisco, 2014, 1712.

631. LAMEDICA T., La delega fiscale considera l’abuso del diritto e l’elu- sione,inCorr. trib., 2014, 1278.

632. LAMEDICA T., Autotutela per sostituire un atto privo di firma,inCorr. trib., 2014, 1354.

633. LAMEDICA T., Abuso del diritto ed elusione: disciplina unificata,in Corr. trib., 2014, 1429.

634. LA ROSA S., I rapporti giuridici d’imposta nell’evoluzione delle disci- pline positive (nel ricordo di Enzo Capaccioli),inRiv. dir. trib., 2013, I, 1109.

635. MANZITTI A., FANNI M., Abuso ed elusione nell’attuazione della dele- ga fiscale: un appello perché prevalgano la ragione e il diritto,in Corr. trib., 2014, 1140.

636. MARCHESELLI A., «C’è un giudice a Berlino»: ristabilita l’equità nei rapporti Fisco contribuente quanto agli accertamenti accelerati,in Corr. trib., 2014, 1370. 838 DIRITTO E PRATICA TRIBUTARIA N. 4/2014

637. MARONGIU G., Accessi fiscali: «disagi» per il soggetto passivo o dirit- ti del contribuente?,inRass. trib., 2014, 225.

638. MENEGHETTI P., L’evoluzione della normativa sulle società di comodo, in Corr. trib., 2014, 1522.

639. NASTASIA A., QUERQUI M., L’esercizio del potere di autotutela tribu- taria,inFisco, 2014, 1717.

640. NUZZOLO A., VALENTE P., Tax governance e cooperazione rafforzata con il Fisco,inFisco, 2014, 1853.

641. OSCULATI F., L’uguaglianza tributaria in Franco Gallo. Un commen- to,inRiv. dir. fin. sc. fin., 2013, 354.

642. PERRUCCI U., Immobili di lusso e non di lusso nel mirino del fisco,in Boll. trib., 2014, 506.

643. PERUZZA D., Affidamento legittimo ed esigibilità del tributo,inRass. trib., 2014, 273.

644. PETRANGELI P., Nel modello Irap i nuovi limiti per le compensazioni e l’indicazione degli errori contabili,inCorr. trib., 2014, 1363.

645. PETRUCCI F., Ancora lunga la strada per la semplificazione delle fun- zioni dei sostituti d’imposta,inCorr. trib., 2014, 1388.

646. PIANTAVIGNA P., Il diritto del contribuente a non collaborare all’atti- vità accertativa,inRiv. dir. fin. sc. fin., 2013, 81.

647. PISCETTA M., Annullamento in autotutela di un avviso di accertamento a carico di un ente non profit beneficiario del residuo,inTrusts, 2014, 283.

648. RENDA A., Contraddittorio endoprocedimentale e invalidità dell’atto impositivo notificato ante tempus: le sezioni unite e la prospettiva del bilanciamento dei valori in campo, retro, 2014, II, 3.

649. ROMANO C., MARRA G., Facilitazioni per i contribuenti con l’esclu- sione di San Marino dall’elenco dei Paesi black-list, in Corr. trib., 2014, 1406.

650. ROSSI E., Difesa dagli accertamenti bancari,inFisco, 2014, 1520.

651. SACRESTANO A., Start-up innovative e incentivi fiscali: rimossi gli ostacoli alle agevolazioni per gli investitori,inCorr. trib., 2014, 1242.

652. SANTACROCE B., FRUSCIONE L., La gestione del rischio fiscale: il nuovo rapporto Fisco-Impresa,inFisco, 2014, 1957.

653. SANTORIELLO C., Carta dei Diritti dell’Uomo e mancato pagamento delle imposte in sede penale e amministrativa,inFisco, 2014, 1656. PARTE PRIMA 839

654. SANTORO A., Il contrasto di interessi nella delega fiscale: efficacia e limiti,inCorr. trib., 2014, 1468.

655. SOLFAROLI CAMILLOCCI F., L’imposta sostitutiva sui finanziamenti è opzionale,inFisco, 2014, 1637.

656. SPAZIANI TESTA G., Locazioni abitative, novità positive dal Governo e dalla Consulta,inCorr. trib., 2014, 1528.

657. STRADINI F., Autonomia impositiva delle Regioni a statuto speciale: il riconoscimento costituzionale e l’erosione del primato tra Corte costi- tuzionale e diritto comunitario,inRiv. dir. trib., 2013, I, 1201.

658. STRIANESE L., Il fondo patrimoniale, strumento di articolazione del patrimonio familiare: alcuni tratti patologici rilevanti sul piano tribu- tario, retro, 2014, I, 181.

659. TARIGO P., Beneficiario di royalty, holding company e previsioni an- tiabuso nella Conv. Italia-Svizzera,inRiv. dir. trib., 2013, II, 546.

660. TERRUSI F., La prima, dirompente giurisprudenza di merito sul nuovo redditometro: la tutela del contribuente e i problemi di privacy, giuri- sdizione e retroattività,inRiv. dir. trib., 2013, I, 1219.

661. TESAURO F., Sull’urgenza che giustifica la notifica anticipata dell’ac- certamento tributario,inGiur. it., 2014, 664.

662. TOMASSINI A., Riordino degli interpelli: un’occasione da non perdere, in Corr. trib., 2014, 1380.

663. VACCA I., L’abuso e la certezza del diritto,inCorr. trib., 2014, 1127.

664. VALCARENGHI G., Al via lo sportello telematico per l’accesso alla «Sabatini-bis»,inCorr. trib., 2014, 1317.

665. VALCARENGHI G., I prospetti di dettaglio al centro del quadro RS,in Corr. trib., 2014, 1447.

666. VIOTTO A., Le violazioni commesse nel corso dell’attività d’indagine tra inutilizzabilità delle prove illegittimamente acquisite e principio di conservazione degli atti amministrativi,inRiv. dir. trib., 2014, II, 7.

667. ZANNI M., Applicazione del test di operatività nel settore immobiliare, in Fisco, 2014, 1548.

668. ZANNI M., Termini e modalità di accesso ai contributi della «Nuova Sabatini»,inFisco, 2014, 1754.

Imposte dirette

669. AVOLIO D., FORT G., Exit tax e trasferimento all’estero della stabile organizzazione,inCorr. trib., 2014, 1412. 840 DIRITTO E PRATICA TRIBUTARIA N. 4/2014

670. BELLUZZO L., SQUEO F., I trust e il nuovo monitoraggio fiscale in Ita- lia,inStrum. Fin. Fisc., 2014, 14, 29.

671. BERNARDINI A., MIELE L., Con l’introduzione dell’IRI tassazione del- l’imprenditore separata da quella dell’impresa,inCorr. trib., 2014,

672. BONINO R., SACCOMANNI M., Risoluzione n. 99/2013: l’AdE chiarisce che Serbia e Montenegro rientrano nella white list del d.m. 4 settem- bre 1996,inStrum. Fin. Fisc., 2014, 14, 13.

673. BORIA P., L’individuazione della stabile organizzazione,inRiv. dir. trib., 2014, I, 3.

674. CIPOLLINA S., Il «valore normale» nel transfer pricing: mercato rile- vante e metodo del «confronto del prezzo»,inRiv. dir. fin. sc. fin., 2013, 103.

675. CORASANITI G., I profili di criticità dell’acconto dell’imposta sostituti- va sui redditi diversi di natura finanziaria in regime del risparmio amministrato introdotta dal d.l. n. 133/2013,inStrum. Fin. Fisc., 2014, 14, 51.

676. DRAGONE P., VALACCA R., Rilevanza degli Accordi economici collet- tivi nella quantificazione dell’indennità suppletiva di clientela,in Corr. trib., 2014, 1392.

677. FORT G., Revisione della disciplina impositiva delle operazioni tran- sfrontaliere,inCorr. trib., 2014, 1229.

678. FRANSONI G., Razionalità ed equità del sistema di tassazione delle rendite finanziarie: l’innalzamento dell’aliquota è la risposta corret- ta?,inStrum. Fin. Fisc., 2014, 14, 7.

679. FREGNI M.C., La dimensione dell’impresa nell’ambito familiare,in Riv. dir. fin. sc. fin., 2013, 425.

680. GAIANI L., Deducibilità delle perdite su crediti di modesto ammonta- re: punti fermi e aspetti controversi,inFisco, 2007, 1931.

681. GALLIO F., La deducibilità dei canoni di leasing per finanziare l’inno- vazione,inFisco, 2014, 1834.

682. GASPARRI T., Perdite su crediti, ammortamenti e «altri costi» alla prova della legge delega,inFisco, 2014, 1922.

683. MELIS G., Le interrelazioni tra le nozioni di residenza fiscale e stabile organizzazione: problemi ancora aperti e possibili soluzioni, retro, 2014, I, 29.

684. MENTI F., Il transfer pricing e l’onere di provare la conformità dei prezzi praticati a quelli di libera concorrenza, retro, 2014, II, 35.

685. PADOVANI E., Trasformazione delle DTA in crediti d’imposta,inFi- sco, 2014, 1741. PARTE PRIMA 841

686. PIAZZA M., VALSECCHI M., Aumento dell’aliquota delle rendite finan- ziarie: effetti e regime transitorio,inFisco, 2014, 1962.

687. SALANITRO G., Prime riflessioni sull’imposta sul valore degli immobili situati all’estero,inRiv. dir. trib., 2014, I, 55.

688. TREVISANI A., Il riordino dei regimi contabili applicabili dalle impre- se,inCorr. trib., 2014, 1214.

Persone fisiche (Imposta sul reddito delle)

689. AMENDOLA-PROVENZANO V., GALLI G., Le gestioni patrimoniali indi- viduali e l’applicazione del regime impositivo del risparmio gestito. Spunti per un inquadramento sistematico alla luce di due recenti pro- nunce dell’AdE,inStrum. Fin. Fisc., 2014, 14, 41.

690. BATTISTINI S., Calcolo per il credito di imposta sul reddito di lavoro dipendente prodotto all’estero,inFisco, 2014, 1731.

691. BUSICO M., Deducibile la somma versata al coniuge separato per gli assegni di mantenimento pregressi,inCorr. trib., 2014, 1423.

692. FICARI V., L’avveramento della condizione sospensiva ai fini della tassazione di una plusvalenza azionaria in capo ad una persona fisica, in Boll. trib., 2014, 485.

693. LOVECCHIO L., La diabolica prova contraria alla presunta distribuzio- ne di utili nelle società a ristretta base sociale,inFisco, 2014, 1943.

694. MAGLIANO A., CENSI S., Al Fisco l’onere della prova nel trasferimen- to di residenza fiscale all’estero?,inCorr. trib., 2014, 1259.

695. MARIANETTI G., Erogazioni di natura risarcitoria nel rapporto di la- voro dipendente,inCorr. trib., 2014, 1500.

696. RAGGI N., Le «rendite» finanziarie millantate da un promotore «ciar- latano» sono tassabili?,inGT - Riv. giur. trib., 2014, 420.

697. REBECCA G., CECCON M., Concessione in licenza di marchi da parte di privati: quale trattamento fiscale?,inFisco, 2014, 1628.

Ires

698. ANDREANI G., GIOMMONI F., Discplina delle perdite su crediti: pro- spettive di riforma in applicazione della delega fiscale,inCorr. trib., 2014, 1515.

699. DEZZANI F., DEZZANI L., Merger leveraged buy out: indeducibilità de- gli interessi passivi,inFisco, 2014, 1609.

700. DEZZANI F., DEZZANI L., «Parco giocatori»: ammortamento in «quote costanti» e in «quote decrescenti»,inFisco, 2014, 1809. 842 DIRITTO E PRATICA TRIBUTARIA N. 4/2014

701. GINANNESCHI S., In tema di stabile organizzazione occulta, sono deci- sivi i rapporti «intercompany» e i poteri dell’agente,inGT - Riv. giur. trib., 2014, 437.

702. GRANELLI L., Ancora conferme del controverso potere dell’Ammini- strazione finanziaria di sindacare la congruità dei costi esposti in bi- lancio,inBoll. trib., 2014, 703.

703. MANUTI N., La nuova disciplina dell’IRES e dell’IRAP sulle rettifiche di valore dei crediti bancari,inBoll. trib., 2014, 497.

704. MARCHISIO E., Il valore del gruppo e il valore nel gruppo. Disciplina civilistica e fiscale degli scambi infragruppo a valore diverso da quel- lo di mercato,inRiv. dir. trib., 2014, I, 89.

705. MASTROIACOVO V., Agevolazioni fiscali alle società agricole «soprav- vissute» alla riforma della tassazione dei trasferimenti immobiliari,in GT - Riv. giur. trib., 2014, 449.

706. PARISOTTO R., Circolare AdE n. 4/2014 sulla rivalutazione del capita- le sociale di Banca d’Italia,inStrum. Fin. Fisc., 2014, 14, 61.

707. TRETTEL S., Gli effetti del disconoscimento dell’opzione per il consoli- dato,inCorr. trib., 2014, 1236.

708. VASAPOLLI G., VASAPOLLI A., L’armonizzazione dei regimi di tassa- zione dei trasferimenti d’azienda,inCorr. trib., 2014, 1223.

709. VASAPOLLI G., VASAPOLLI A., La deducibilità delle perdite derivanti da crediti ceduti pro soluto, in Corr. trib., 2014, 1453.

Imposte indirette

710. DI FELICE P., Polizze estere: le risoluzioni n. 74/E e 95/E del 2013,in Strum. Fin. Fisc., 2014, 14, 23.

711. DINI R., Il novellato regime delle imposte indirette sui trasferimenti immobiliari,inBoll. trib., 2014, 565.

712. GIGANTINO G., Atto di proroga del trust e tassazione indiretta,inTru- sts, 2014, 278.

Registro

713. BASILAVECCHIA M., Caso d’uso per scrittura privata prodotta in sede di accertamento con adesione,inCorr. trib., 2014, 1181.

714. CANÈ D., Imposta di registro sull’apporto di beni ad un fondo immo- biliare seguito da cessione delle quote,inGiur. it., 2014, 557.

715. IANNIELLO B., Prima casa: l’accordo di separazione evita la decaden- za?,inCorr. trib., 2014, 1251. PARTE PRIMA 843

Successioni (Imposta sulle)

716. LAROMA JEZZI P., La costituzione del trust di scopo sconta l’imposta sulle successioni e donazioni?,inCorr. trib., 2014, 1477.

Valore aggiunto

717. ANDREANI G., TUBELLI A., Il trattamento del credito per rivalsa Iva nel concordato preventivo,inFisco, 2014, 1992.

718. BASILAVECCHIA M., Gli adempimenti per il reverse charge, in Rass. trib., 2014, 347.

719. BEZZI G., La falcidiabilità dell’Iva nell’ambito di una procedura di concordato preventivo,inFisco, 2014, 1865.

720. CACCIAPAGLIA L., D’ALFONSO F., Il trasferimento del plafond Iva nel- le operazioni straordinarie,inFisco, 2014, 1540.

721. CENTORE P., Base imponibile Iva allargata per i costi compresi nel bi- glietto aereo,inCorr. trib., 2014, 1484.

722. DAMIANI M., La presunzione legale di inerenza sulle cessioni non vale per gli acquisti delle società commerciali,inCorr. trib., 2014, 1540.

723. DELLI FALCONI F., MASPES P., La base imponibile Iva dei distacchi di personale: questione veramente chiusa?,inFisco, 2014, 1971.

724. IAVAGNILIO M., Profili processuali e procedurali sul rimborso dell’Iva indebitamente corrisposta,inGT - Riv. giur. trib., 2014, 413.

725. MASPES P., Nessun limite alla detrazione IVA in assenza di operazioni esenti,inCorr. trib., 2014, 1172.

726. MASPES P., SCIFONI G., L’applicazione separata dell’Iva «àncora di salvezza» della disciplina nazionale della detrazione,inCorr. trib., 2014, 1532.

727. PARISI P., VIGO W., Regime Iva dell’attività in banca depositaria - servizi di controllo e di sorveglianza resi agli organismi di investimen- to collettivo del risparmio,inStrum. Fin. Fisc., 2014, 14, 67.

728. PEIROLO M., Rimborsi iva ai soggetti passivi non residenti,inFisco, 2014, 1747.

729. PORTALE R., Revisione iva nella delega fiscale: in arrivo le semplifi- cazioni per Fisco e contribuenti,inFisco, 2014, 1534.

730. RIZZARDI R., IVA: legge delega con vista sulla direttiva e sul regola- mento,inCorr. trib., 2014, 1167.

731. SABBI L., Diritto di detrazione e violazioni formali nel regime di in- versione contabile dell’Iva,inRass. trib., 2014, 295. 844 DIRITTO E PRATICA TRIBUTARIA N. 4/2014

732. TREVISAN C., Nomina del rappresentante fiscale identificato ai fini Iva e rimborso dell’imposta,inRiv. dir. trib., 2014, IV, 13.

733. ZAVATTA R., Indennità al conduttore per perdita di avviamento senza Iva (salvo eccezioni),inCorr. trib., 2014, 1348.

Dazi doganali

734. ARAGONA A., L’elusione in materia di dazi «antidumping»,inGT - Riv. giur. trib., 2014, 384.

735. DEL VAGLIO M., L’elusione in materia di dazi «antidumping»,inGT - Riv. giur. trib., 2014, 384.

736. ELIA A., Il bilanciamento tra normativa antidumping e principio del contraddittorio, retro, 2014, II, 89.

737. GRANDONE R., La disciplina delle polizze fideiussorie a garanzia dei tributi doganali tra diritto dell’Unione europea e diritto interno,in Riv. dir. trib., 2013, I, 1241.

738. MARCHESELLI A., La riscossione dei diritti doganali, tra tutela degli interessi finanziari della UE, efficienza dei mercati e diritti fondamen- tali, retro, 2014, I, 69.

739. MASSARI P., «Royalties» e diritti di licenza nella giurisprudenza di merito, in attesa di pronunce di legittimità,inCorr. trib., 2014, 1268.

Tributi locali

740. BONOMO D., Principio «chi inquina paga» e potestà regolamentare dei Comuni,inFisco, 2014, 1650.

741. DE MARCO S., Brevi considerazioni sul federalismo fiscale municipale nella legge di stabilità 2014,inBoll. trib., 2014, 668.

742. FERRANTI G., Si avvia a soluzione la questione dell’esclusione dal- l’IRAP di professionisti e imprenditori,inCorr. trib., 2014, 1146.

743. GAVELLI G., La delega fiscale risolve il problema Irap dei soggetti privi di «autonoma organizzazione»,inFisco, 2014, 1632.

744. MICONI F., L’Imu nel fallimento e nelle altre procedure concorsuali: riflessioni a margine dei tributi sul «possesso» (rectius sul patrimo- nio),inRiv. dir. trib., 2014, I, 135.

745. MIGNOSI U., L’imposta comunale di scopo per la realizzazione di ope- re pubbliche,inFisco, 2014, 1759.

746. PENNAROLA C., Determinazione delle aliquote I.M.U.: si prescinde dalla motivazione?,inRiv. giur. edil., 2013, 1240. PARTE PRIMA 845

747. RIGHI E., Prime valutazioni sulla TARI (nuova tassa comunale sui ri- fiuti),inBoll. trib., 2014, 503.

Contenzioso

748. BARABINO P., Dall’impugnazione del diniego di autotutela all’annulla- mento dell’atto di accertamento,inBoll. trib., 2014, 532.

749. BRIGHENTI F., Cartella di pagamento: obbligo di mediazione? (Quan- do nelle circolari circolano idee confuse),inBoll. trib., 2014, 667.

750. CARNIMEO D., Inammissibile l’istanza di sospensione dell’iscrizione ipotecaria eseguita a tutela dei crediti fiscali,inBoll. trib., 2014, 537.

751. CONIGLIARO M., Contenzioso tributario: della delega fiscale una timi- da e alquanto vaga proposta di riforma,inFisco, 2014, 1979.

752. FERRAÙ G., La giurisdizione tributaria e le possibili tutele del contri- buente nei confronti del redditometro,inBoll. trib., 2014, 489.

753. GINANNESCHI S., Alle Sezioni Unite la validità della sentenza che ri- produce testualmente l’atto processuale,inCorr. trib., 2014, 1561.

754. GRAZIANO F., La produzione in giudizio della delega alla sottoscrizio- ne dell’avviso di accertamento,inGT - Riv. giur. trib., 2014, 444.

755. IORIO A., AMBROSI L., Incostituzionale solo in parte la mediazione tributaria,inFisco, 2014, 1848.

756. LABRUNA S., Il giudizio di ottemperanza e la figura del commissario ad acta. Il giudicato tributario e la sua esecuzione civile, contabile e tributaria nell’interesse della parte privata,inBoll. trib., 2014, 645.

757. MANONI E., Il giudizio di ottemperanza,inFisco, 2014, 1556.

758. MANONI E., Il principio di non contestazione nel processo tributario, in Corr. trib., 2014, 1417.

759. MARCHESELLI A., Delega fiscale e processo tributario: un’occasione mancata?,inCorr. trib., 2014, 1307.

760. MARINELLI M., Sulla «essicazione» dell’obbligo di motivazione della sentenza: il giudice «bocca dell’avvocato»,inGT - Riv. giur. trib., 2014, 373.

761. PERRUCCI U., La destinazione del contributo unificato relativo al pro- cesso tributario,inBoll. trib., 2014, 67.

762. PISTOLESI F., Crisi e prospettive del principio del «doppio binario» nei rapporti fra processo e procedimento tributario e giudizio penale, in Riv. dir. trib., 2014, I, 29. 846 DIRITTO E PRATICA TRIBUTARIA N. 4/2014

763. RANDAZZO F., Solo una espressa statuizione di condanna apre la stra- da all’ottemperanza?,inGT - Riv. giur. trib., 2014, 431.

764. SERRANÒ M.V., Ancora sulla impugnabilità del diniego di disapplica- zione di norme antielusive sulla base di una dubbia equipollenza con il diniego di agevolazioni fiscali, retro, 2014, II, 117.

765. TURCHI A., L’errore del giudice tributario tra correzione e revocazio- ne della sentenza,inGiur. it., 2014, 601.

Riscossione

766. CARBONE V., Una riflessione sui privilegi fiscali,inCorr. giur., 2014, 550.

767. CARNIMEO D., Aggio esattoriale: un balzello in cerca di riforma,in Boll. trib., 2014, 596.

768. FRONTICELLI BALDELLI E., Ammissione al passivo con riserva anche per fatti anteriori alle procedure concorsuali,inCorr. trib., 2014, 1577.

769. GALEAZZI S., Il fondato pericolo per la riscossione,inRass. trib., 2014, 359.

770. LOVECCHIO L., Armonizzazione dei periodi di dilazione dei debiti tri- butari,inCorr. trib., 2014, 1313.

771. MARINELLO A., Incostituzionale l’applicazione retroattiva dei privilegi ai crediti tributari, retro, 2014, II, 121.

772. PERRUCCI U., Corte Costituzionale e Corte di Giustizia alla verifica dell’aggio di riscossione dei tributi,inBoll. trib., 2014, 630.

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Sanzioni

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BINI SMAGHI L., False verità sull’Europa, Il Mulino ed., Bologna, 2014, p. 188, Euro 14,00.

CASTIGLIONI L., MARIOTTI S., IL - Vocabolario della lingua latina, Loescher ed., Torino, 2012, p. 2272, Euro 99,50.

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FERRERO E., Lezioni napoleoniche, Mondadori ed., Milano, 2014, p. 135, Eu- ro 9,50. Memento pratique Fiscal 2014, Francis Lefebvre ed., Francia, 2014, p. 1545, Euro 145,00.

SALSANO F., Quintino Sella Ministro delle Finanze, Il Mulino ed., Bologna, 2013, p. 261, Euro 26,00.

SALVIDIO &PARTNERS, Moltiplicatori per le valutazioni aziendali, Salvidio & Partners ed., Roma, 2014, p. 157, s.p. RECENSIONI

SALSANO F., Quintino Sella, Ministro delle finanze. Le politiche per lo svi- luppo e i costi dell’unità d’Italia, 2013, Il Mulino ed., Bologna, p. 261, euro 26,00.

1. Sin dalle prime pagine del libro di Salsano colpisce l’analogia delle vicende economico-finanziarie del nostro Paese ai tempi di Sella con quelle che stiamo vivendo in questi ultimi anni; un’analogia molto forte, che va ben oltre la regola vichiana dei «corsi e ricorsi storici». Anche allora la situazione era caratterizzata da forti disuguaglianze e da una grave crisi fiscale dello Stato. Si paventava, in particolare, l’abbandono degli investitori e si registravano l’eccesso di spese e l’insufficienza del getti- to fiscale, la difficoltà a collocare i titoli di Stato a condizioni favorevoli, l’esistenza di un differenziale negativo di rendimento – il c.d. spread – che aveva raggiunto 550 punti rispetto ai titoli inglesi. Simili erano pure gli obiettivi di risanamento, risolvendosi essi nel rie- quilibrio dei conti pubblici, nella stabilità finanziaria e nel dirottamento dei capitali verso investimenti nei settori produttivi. Ed anche le ricette proposte da Sella per superare la crisi erano, nella sostanza, le stesse su cui da tempo ragioniamo, e cioè: – l’affidamento ai privati della gestione di alcuni servizi pubblici; – la realizzazione di opere pubbliche (all’epoca, soprattutto la rete fer- roviaria) e la vendita dei beni demaniali; – l’arresto del circolo vizioso «deficit – spesa per interessi – ulteriore deficit». In questo contesto, purtroppo a noi ben noto, l’originalità dell’azione di governo di Sella – alla quale egli deve in fin dei conti la sua fama – è stata quella di aver realizzato un programma di risanamento e di unificazione tutto basato sull’intervento stabilizzatore, allocativo e distributivo dello Stato. Co- me chiarisce Salsano, il fatto che egli fosse un esponente della gloriosa destra storica non gli ha precluso, infatti, di essere un «liberista interventista», gra- dito anche al liberale Cavour e dialogante con i liberali riformatori come Pa- squale Villari. Sella ha creduto fortemente nello Stato come entità collettiva e, perciò, nell’esercizio del potere pubblico come lo strumento più idoneo a garantire la mobilità degli assetti sociali, che è come dire a realizzare il ridi- mensionamento dei rentiérs in favore dei ceti produttivi, l’accumulazione del capitale tramite risparmio e la creazione di infrastrutture materiali e immate- riali, quale l’istruzione. Gli sforzi di Sella diretti a favorire la diffusione delle Casse postali e, quindi, di entità economiche controllate dallo Stato, piuttosto che la crescita 850 DIRITTO E PRATICA TRIBUTARIA N. 4/2014 delle Casse di risparmio private, sono una prova di ciò. Dimostrano il suo di- stacco dai liberisti dogmatici come Ferrara e, appunto, la sua adesione ai libe- risti interventisti come Scialoja e Luzzatti. Il che, se non consente di rinveni- re nell’azione di Sella radici culturali smithiane (come ha sostenuto in un re- cente convegno dei Lincei Alessandro Roncaglia), è sicuramente sufficiente per evidenziare la sua fiducia nell’intervento pubblico e, insieme, la sua prag- maticità, duttilità e straordinaria capacità di adattamento ai suoi tempi. Egli era, in definitiva, uno scienziato e un intellettuale dalla forte levatura morale prestato alla politica, come lo erano, del resto, nello stesso periodo, i suoi au- torevoli colleghi e capi di governo della destra storica, e cioè Bettino Ricaso- li, fisico e chimico, , medico, , in- gegnere e teorico della meccanica dei sistemi elastici e, da ultimo, , medico e agronomo. Ma la maggiore eredità lasciata ai posteri dal Sella statista sta, a mio av- viso, nel fatto che egli – insieme a Minghetti – pur aderendo a una concezio- ne ottimistica del mercato, ha fondato la sua teoria dello sviluppo su politiche distributive statali, qualificate da un forte nesso tra economia e morale. Ben si addice a Sella la frase di Einaudi «chi cerca rimedi economici a problemi economici è sulla falsa strada. Il problema economico è l’aspetto e la conse- guenza di un più ampio problema spirituale e morale». Sotto questo profilo l’analisi di Salsano è illuminante. Egli mette bene in evidenza che per Sella lo Stato deve avere una connotazione collettiva, di promotore del credito e della crescita economica del paese. È lo Stato che de- ve disporre di un capitale fisso pubblico e, insieme, assicurare l’equità e l’eti- cità nella distribuzione del reddito e della ricchezza. Ed è lo Stato che deve farsi interprete della tensione morale ed essere custode e difensore della sa- cralità del dovere contributivo. Nella mente di Sella l’obiettivo dello Stato deve essere, in particolare, quello di garantire un’equa ripartizione dei carichi tra proprietà fondiaria, percettori di rendite finanziarie, ricchezza mobiliare e consumi popolari. Il pesante prelievo posto a carico, indistintamente, delle classi borghesi e ricche, dei banchieri e degli uomini d’affari e, attraverso la tassazione sul ma- cinato, anche della generalità dei cittadini è la prova più evidente della ferma intenzione di Sella di mettere il risanamento della finanza pubblica al primo posto nella costruzione dello Stato unitario e di farne pagare il costo a tutti i soggetti, di qualunque estrazione sociale. La drammaticità della situazione non consentiva, del resto, ulteriori tergiversazioni o l’invenzione di più raffi- nate regole di riparto. Imponeva allo Stato di operare a tutto campo nell’inte- resse della collettività, mettendo «al posto della morale (fino ad allora impe- rante) essenzialmente familiare o castale, la morale civile, la morale laica del cittadino e del committente». Morale che – come ebbe a dire Spadolini con riguardo proprio a Sella – «trascende gli stessi interessi individuali o di grup- po nella dedizione ad una causa superiore» costituita dalla salvezza dello Sta- to. L’obiettivo era insomma far crescere, anche a costo dell’impopolarità, una solidarietà nazionale che fosse estranea alla antecedente storia italiana; una storia, in verità, retaggio di regimi assoluti, intrisa di pigrizia, apatia, spirito semi-anarchico, sanfedismo e conformismo. 2. Si può dire, dunque, che non c’è nulla di nuovo sotto il sole, essendo- si – come ho detto – i problemi di equità distributiva affrontati da Sella ripro- posti puntualmente, alla fine del XX secolo, seppure in un ben diverso conte- sto economico-finanziario. È, infatti, sufficiente volgere lo sguardo agli anni più recenti per rendersi conto che l’acuirsi della crisi che ci attanaglia ha in- PARTE PRIMA 851 debolito quelli che sono stati i capisaldi del neoliberismo della fine del secolo scorso, e cioè una forte riduzione della pressione tributaria e dell’intervento statale a favore del mercato. Anche nella presente congiuntura, come ai tempi di Sella, è ormai fuori discussione la necessità pratica di uno Stato promotore e, insieme, finanziatore della ricerca, dell’innovazione e della formazione. Il che dovrebbe portare le attuali forze politiche ad affrontare il tema dell’equa distribuzione con la stessa forza etica, con la stessa originalità e con la stessa attenzione all’evoluzione nel tempo delle forme di ricchezza con cui l’ha af- frontato Sella. Come egli, sul fronte fiscale, nel 1864 ha perequato le imposte fondiarie e di consumo, ha unificato le imposte di registro e di successione e, soprattutto, ha abbandonato la vecchia tassazione sulle porte e sulle finestre introducendo un nuovo e più raffinato sistema di tassazione fondato sull’im- posta di ricchezza mobile, così i governi che si sono succeduti in questi ulti- mi anni avrebbero forse dovuto e dovrebbero preoccuparsi non solo di poten- ziare la lotta all’evasione, ma anche di spostare parte dell’attuale peso fiscale dai redditi di lavoro e di impresa e da alcuni tipi di patrimonio – già così for- temente tassati – su più sofisticate forme di ricchezza, frutto dello sviluppo dell’economia moderna. Se le politiche fiscali realizzate a suo tempo da Sella riguardavano prelievi gravanti su capacità contributive espresse dalle forme di ricchezza tipiche dell’economia dell’epoca (appunto, la proprietà fondiaria, il consumo, la ricchezza mobile), parallelamente e nella stessa logica le politi- che da attuare nel presente momento dovrebbero mirare all’istituzione o al rafforzamento soprattutto dei tributi che hanno per oggetto new properties di- verse dal reddito e dal patrimonio. L’importante è che tali nuove forme di ricchezza siano anch’esse – al pari del reddito e del patrimonio – oggettiva- mente rilevabili, socialmente rilevanti ed esprimenti vantaggi economicamen- te misurabili. Nell’attuale fase di sviluppo dell’economia, questi tipi di prelievo sono presenti negli ordinamenti tributari dei più evoluti paesi occidentali, sono consigliati dalla stessa Commissione europea e contribuiscono ad alleggerire il peso dell’imposizione reddituale. Esempi di essi sono tanto i tributi am- bientali in senso stretto gravanti su chi utilizza beni ambientali scarsi o emet- te gas inquinanti deteriorando l’ambiente, quanto i tributi che colpiscono le diverse forme di occupazione dell’etere, quanto, ancora, quelli che gravano sulla raccolta gratuita di dati compiuta dalle imprese dell’economia digitale (per produrre redditi tassati poi in altri Stati a più bassa tassazione) ed altri. 3. Ma le analogie non si fermano solo al contenuto delle manovre di po- litica economica e fiscale. Le si ritrovano anche nelle difficoltà politiche in- contrate dai governi nella loro attuazione. Anche allora, come ora, il dibattito politico era aggravato da un complesso sistema di equilibrio e di veti politici incrociati e dalla brevità dei governi (Sella è stato tre volte ministro, ma solo la terza volta più di un anno). La maggiore analogia la si può rinvenire, sotto questo punto di vista, nel fatto che l’insostenibilità della situazione della finanza pubblica ha costretto, subito dopo la proclamazione dello Stato unitario, le contrastanti forze politi- che a rendersi conto che la soluzione della crisi era questione, come diceva Sella, «di vita o di morte» e, quindi, imponeva risoluti interventi condivisi. Si pensi alle diverse strategie di politica economica e monetaria a medio termi- ne, attuate con l’accordo, seppur sofferto, di tutti gli schieramenti politici e, in particolare, alla odiosa tassazione sul macinato e alle numerose imposte straordinarie, molte delle quali destinate a trasformarsi in permanenti. Anche allora c’era chi assegnava la priorità al pareggio di bilancio, chi, volendo rag- 852 DIRITTO E PRATICA TRIBUTARIA N. 4/2014 giungere tale obiettivo, privilegiava gli interventi fiscali rispetto alla riduzione della spesa e chi, ancora, come Sella, intendeva operare su ambedue i fronti, seppure – come poi è accaduto – in successione temporale. La simiglianza di situazioni è al riguardo impressionante. Anche nella presente contingenza si è prodotta, infatti, la situazione del terzo mandato di Sella. Nel corso di tale mandato, si era raggiunto un livello insopportabile della pressione tributaria (soprattutto a seguito dell’introduzione della ricorda- ta imposta sul macinato), di modo che il pareggio di bilancio non poteva es- sere realizzato aumentando ancora le imposte. Bisognava far «fruttare – come diceva Sella e come dicono ora i nostri governanti – le tasse esistenti», ovve- ro combattere l’evasione fiscale e, comunque, fare «economie fino all’osso». Il che significava ridurre le spese improduttive a cominciare da quelle militari e il costo dell’alta burocrazia. Anche allora l’Italia correva il rischio di essere un «febbricitante che tutti i giorni piglia un po’ di chinino, ma non ne piglia abbastanza per troncare la febbre: l’organismo si indebolisce e si rovina». La situazione attuale per certi versi può considerarsi forse più grave, perché, a differenza dell’Italia del 1870, il nostro Paese, essendo nell’area eu- ro, non può più giocare in autonomia la carta del finanziamento monetario del Tesoro che Sella ha con assennatezza giocato, fruendo del corso forzoso dei biglietti emessi dalla Banca Nazionale. Ricorda Salsano che egli aumentò, per un lasso di tempo limitato, la circolazione cartacea, pagando sì il prezzo della svalutazione della moneta e dell’aumento dell’inflazione, ma riuscendo nel contempo a provvedere ai pagamenti senza emissione di titoli. Dice bene Marcello De Cecco al riguardo che fu «il più celebre per doti di pubblica morigeratezza» fra gli uomini della destra a scoprire «le virtù di una moneta avariata quando si cerca di risanare il bilancio dello Stato con una feroce stretta fiscale». Questo aspetto, in effetti, giustifica paradossalmente la defini- zione di Sella di pericoloso keynesiano ante litteram data da Nino Andreatta, ma, nello stesso tempo – come dice bene Salsano – ne evidenzia la spregiu- dicatezza e, insieme, la sua attenzione verso lo sviluppo industriale. È stata, infatti, soprattutto questa manovra monetaria che, aggiungendosi all’applica- zione dell’imposta di ricchezza mobile (che portò nel 1876 un sostanzioso contributo di 173 mln), ha aperto la via al pareggio di bilancio. 4. Un’ultima e più specifica osservazione vorrei fare sulle analogie emergenti in materia di politica fiscale, con particolare riguardo all’introdu- zione dell’imposta di ricchezza mobile. Una riflessione su tale forma di im- posizione è utile perché non solo ci offre l’occasione di un ulteriore confron- to fra le due epoche, ma ci consente anche di imbastire un discorso sulla va- lidità della vigente irpef e sull’opportunità di sostituirla con forme di imposi- zioni reali e proporzionali sul reddito. L’imposta di ricchezza mobile, pur colpendo con aliquota proporzionale le diverse categorie di reddito, era stata costruita da Sella come uno strumen- to di discriminazione qualitativa. Essa infatti, diversamente e in modo più avanzato rispetto agli altri paesi occidentali, a parità di importo colpiva i red- diti di lavoro meno di quelli di impresa e questi, a loro volta, meno di quelli di capitale e scontava esenzioni dei redditi minori e riduzioni per i redditi medi. Per queste ragioni tale imposta fu, per unanime riconoscimento, consi- derata dagli studiosi dell’epoca ben più moderna dei tributi allora vigenti nel- la prosperosa Francia del secondo impero e nella forte e temuta Germania bi- smarckiana. La crisi dell’imposta personale, che stiamo vivendo ormai dal 1980, ha riportato di attualità il modello generale delle imposte sul reddito di natura PARTE PRIMA 853 reale, come appunto l’imposta di R.M. Sono, infatti, sempre più numerosi gli esperti che si dichiarano scettici sulla possibilità di un recupero dell’irpef e che perorano, in alternativa, un sistema di imposizione sul reddito di tipo pro- porzionale che riecheggi, appunto, l’imposta di ricchezza mobile e risponda al criterio del beneficio piuttosto che a quello costituzionale della progressività. Non so se questo auspicato ritorno alla tassazione reale all’insegna del brocardo «dalle persone alle cose» sia inevitabile e, comunque, giustificato dall’attuale crisi e dalla globalizzazione economica. Mi permetterei, però, di suggerire a chi regge le sorti delle nostra finanza pubblica di non dare per scontato l’abbandono di un’imposizione personale e, comunque, di non la- sciare l’irpef nell’attuale stato comatoso, ma di continuare nello sforzo, già intrapreso negli ultimi anni, di recuperare forme più moderne di tassazione delle persone fisiche improntate ad una progressività più sopportabile che si ispiri al criterio rawlsiano del maximin. Le vie percorribili per raggiungere questo obiettivo sono sempre le stesse e abbastanza impervie, ma non impos- sibili. Esse passano, da una parte, attraverso l’accentuazione della lotta al- l’evasione, anche internazionale, e il conseguente uso dello strumento di ac- certamento induttivo fondato sulla conoscenza in via telematica delle consi- stenze patrimoniali e finanziarie dei contribuenti, dall’altra, attraverso il recu- pero di una nozione di progressività sostanziale ben diversa da quella, ecces- sivamente formale e nominalistica, che ci trasciniamo dagli anni ’70. Il che potrebbe avvenire in termini generali ridisegnando le aliquote, gli scaglioni, le riduzioni, le detrazioni, la quota esente e ogni tax expenditure in modo tale che, a regime, le classi meno abbienti maggiormente colpite dalla sfavorevole congiuntura risultino ragionevolmente più avvantaggiate o meno svantaggiate rispetto a quelle più ricche. In questo contesto, bisognerebbe tornare a pensa- re alla possibilità di compensare il livello dei contribuenti c.d. incapienti con una sorta di imposta negativa avente la forma di credito d’imposta e, nello stesso tempo, ad integrare tale intervento con l’erogazione di contributi socia- li specifici e con il potenziamento dei servizi di sostegno alla famiglia, che guardino a quest’ultima piuttosto che al singolo individuo, fino ad arrivare al- la garanzia di un «reddito minimo sociale» di inserimento. Mi pare evidente che, se non si segue questa via, le uniche alternative ri- marrebbero o il ritorno a forme – anche raffinate, ma pur sempre proporzio- nali – di tassazione, tipo la gloriosa imposta di ricchezza mobile di 150 anni fa, o la permanenza dell’attuale irpef, con la conseguenza, in quest’ultimo ca- so, che la progressività continuerebbe a funzionare solo per chi produce un reddito di lavoro e di impresa individuale e non per la maggioranza degli altri contribuenti. Il che indubbiamente accrescerebbe la stima per l’ideatore del- l’imposta di ricchezza mobile, ma sarebbe un po’ sconfortante per i suoi epi- goni del XXI secolo.

FRANCO GALLO PARTE SECONDA Overruling e retroattività del principio dell’abuso del diritto (*) Il principio del divieto dell’abuso del diritto può essere applicato solo a fatti intervenuti quando esso era riconosciuto o riconoscibile come principio generale nel nostro ordinamento, ossia non prima del- la metà degli anni 2000, pena la violazione dei principi di buona fede e dell’affidamento che debbono connotare i rapporti tra fisco e contri- buente. Inoltre, non è sanzionabile il contribuente che abbia confidato incolpevolmente, e cioè non oltre il momento di oggettiva conoscibilità della pronuncia nomofilattica correttiva (sull’abuso del diritto), nella consolidata precedente interpretazione di una regola che aveva creato l’apparenza di una regola conforme alla legge del tempo.

Comm. trib. prov. Cosenza, sez. VI, 18 dicembre 2013, n. 869.

(Omissis). – Fatto. – Il signor X presentava a questa Commissio- ne ricorso n. 4966 del 2012 depositato in data 4 dicembre 2012. Detto ricorso veniva proposto per la riassunzione del giudizio instaurato in primo grado per l’impugnazione dell’avviso di accertamento n. 3831009893 confermato con sentenza di secondo grado cassata dalla Suprema Corte con sentenza di rinvio n. 7324 del 2012, depositata in data 11 maggio 2012. Il giudizio di riassunzione traeva origine dai se- guenti fatti: – Nel 1994 il signor X cedeva alla società Y una quota di parte- cipazione nella società Z. La cessione avvenne a titolo oneroso e fu pattuito un corrispettivo pari a lire 3.000.000.000 (pari ad Euro 1.549.370,70); – Nel 1994 il ricorrente concedeva alla società Y un finanzia- mento fruttifero, con scadenza 2006, par a lire 3.000.000.000 (pari ad Euro 1.549.370,70). Con detto finanziamento la società Y acquistava dal ricorrente la partecipazione nella società Z; – Nel 1996, nella contabilità della società Y, il finanziamento fruttifero venne sostituito, mediante giroconto da un finanziamento in- fruttifero. Dalla sostituzione del finanziamento in infruttifero, l’Agenzia del- le entrate aveva desunto la restituzione al ricorrente della somma ini- zialmente prestata. Da ciò l’ufficio affermava che il ricorrente avrebbe dovuto dichiarare tale somma come reddito di capitale. La tempestività del ricorso di primo grado, giudicato inammissibile, poiché tardivo sia dalla sentenza di primo grado, sia dalla pronuncia in appello, è stata definitivamente confermata dalla Suprema Corte con pronuncia n. 7424 del 2012 che aveva accolto il ricorso del contribuente, disponen- do la riassunzione dinanzi a questa Commissione Tributaria Provincia- le, affinché fosse giudicato il merito della pretesa. Il contribuente, con tempestivo e rituale ricorso per riassunzione chiedeva l’annullamento della pretesa erariale, lamentando: 528 DIRITTO E PRATICA TRIBUTARIA N. 4/2014

a) Un difetto di motivazione dell’accertamento; b) La mancata applicazione della statuizione, con valore di giudi- cato, che ha annullato i redditi accertati in capo alla società da cui de- riverebbe, a dire del ricorrente, la pretesa impositiva oggetto di causa, c) L’infondatezza nel merito della contestazione. L’ufficio, con proprie memorie, resisteva nella posizione assunta in fase di accertamento, chiedendo la conferma della pretesa e richiaman- do, per la prima volta in questa sede, il principio che fa divieto dell’abu- so del diritto. Il ricorrente presentava memorie aggiuntive nelle quali in- sisteva circa l’infondatezza della pretesa e lamentava la retroattiva appli- cazione del suddetto principio del divieto di abuso di diritto.

Diritto. – La commissione, alla luce della documentazione in atti, dichiara il ricorso meritevole d’accoglimento, sottolineando nel merito che il ricorrente aveva ceduto la partecipazione nel 1994 e, in quel tempo, optò per la tassazione separata delle plusvalenze finanziarie, al- lora disciplinata dal d.l. n. 27 del 1991, secondo cui certe plusvalenze erano assoggettate a imposta sostitutiva delle imposte sui redditi. Il presupposto impositivo per l’assoggettamento a imposta sostitutiva era il realizzo della plusvalenza che, nel caso de quo, sorse all’atto della cessione a titolo oneroso della partecipazione avvenuta con rogito no- tarile nel 1994. In tale anno si verificò, dunque, l’evento che, entro i termini per l’accertamento di quell’esercizio, avrebbe potuto essere og- getto di valutazione da parte dell’ufficio. L’art. 43 del d.p.r. n. 600 del 1973, vigente ratione temporis, fissava il termine per l’accertamento al 31 dicembre del quinto anno successivo a quello nel quale era stata presentata la dichiarazione dei redditi. Da ciò si desume che l’Ammi- nistrazione finanziaria avrebbe potuto contestare le modalità con cui il ricorrente tassò la plusvalenza in questione entro il 31 dicembre del 2000, ossia entro il 31 dicembre del quinto anno successivo a quello di presentazione della dichiarazione per il 1994. È dunque tardivo l’accertamento dell’ufficio, effettuato nel 2001, riferito alla modalità con cui il ricorrente tassò la plusvalenza. Non appare meritevole di condivisione l’assunto dell’Agenzia delle entrate che ha individuato il momento impositivo della cessione della partecipazione nel periodo d’imposta in cui la società Y girò il debito per l’acquisto dell’Z da parte del ricorrente nel conto soci anticipi fruttiferi. Secondo l’ufficio il giroconto che Y registrò nelle scritture contabili nel 1996 dimostre- rebbe l’estinzione di un finanziamento fruttifero concesso dal ricorren- te a Y, ai fini dell’acquisto di una quota di partecipazione in Z. Da ciò l’ufficio desume la concessione di un nuovo finanziamento, stavolta infruttifero, da parte del ricorrente alla società. Con tale ragionamento l’ufficio vuole dimostrare il conseguimento di redditi di capitale per l’importo di tre miliardi di lire. Tale assunto non è condivisibile. L’operazione di cessione di quote di cui è causa, come dimostrato in atti con la produzione dell’attestazione notarile di versamento, con me- moria depositata in primo grado, fu assoggettata a tassazione mediante imposta sostitutiva nel momento in cui si procedette alla vendita per PARTE SECONDA 529 atto pubblico. L’imposta fu determinata e assolta secondo quanto pre- visto dall’art. 3 del d.l. n. 27 del 1991, su opzione annuale con meto- do forfettario. Appare verosimile a questa commissione il fatto che le variazioni al finanziamento abbiano avuto l’esigenza di prendere atto di una situazione di fatto già esistente, dal momento che il ricorrente non richiede mai interessi, neppure in pendenza di un contratto di fi- nanziamento che prevedeva la corresponsione di frutti. Ad ogni modo, non è spiegato dall’ufficio quale sia il presupposto impositivo in virtù del quale la restituzione di una somma nel periodo d’imposta 1996 an- drebbe considerata reddito da capitale. A parere di questo collegio, dunque, la contestazione avrebbe dovuto riguardare il periodo d’impo- sta 1994, anno in cui il ricorrente realizzò la plusvalenza, periodo d’imposta per cui, nel 2001, l’amministrazione era decaduta dal potere accertativo. Per lo stesso motivo, ammettendo, ma su questo il colle- gio si esprimerà infra, che il principio del divieto di abuso del diritto sia applicabile retroattivamente, esso avrebbe dovuto essere applicato al periodo d’imposta 1994, anno in cui, secondo questa commissione, si è verificato il presupposto impositivo. Ma ciò è precluso perché tale periodo d’imposta era definito al momento della verifica fiscale di cui è causa. Da ultimo, per quanto la statuizione di cui sopra assorba ogni altra doglianza, questo collegio ritiene comunque meritevole d’accogli- mento l’eccezione circa l’impossibilità di applicazione retroattiva del principio di divieto d’abuso del diritto. Avallare la contestazione del- l’ufficio, a ben 19 anni di distanza dall’evento generatore violerebbe i principi dell’affidamento e della buona fede che devono caratterizzare i rapporti tra fisco e contribuente. Se è vero, infatti, che il Giudice può rilevare d’ufficio l’abuso del diritto (Cass., SS.UU., n. 30055 del 2008), è altrettanto vero che ciò deve essere ammesso con riferimento a fatti intervenuti quando tale principio era già riconosciuto o, quanto- meno, riconoscibile come principio generale nel nostro ordinamento (e ciò avvenne non prima della metà degli anni 2000). Si richiama l’inse- gnamento della Suprema Corte, con cui qui ci si conforma, secondo cui non è punibile il contribuente che abbia confidato incolpevolmen- te, e cioè non oltre il momento di oggettiva conoscibilità della pronun- cia nomofilattica correttiva, da verificarsi in concreto, nella consolida- ta precedente interpretazione della regola stessa, la quale, sebbene sol- tanto sul piano fattuale, aveva comunque creato l’apparenza di una re- gola conforme alla legge del tempo (Cass. n. 22282 del 2011). Consi- derata la natura della vertenza in oggetto ricorrono validi motivi per addivenire alla compensazione delle spese di giudizio. P.Q.M. – La Commissione accoglie il ricorso, compensa le spese di giudizio. Il tutto con ogni effetto consequenziale di legge. (Omissis).

(*) SOMMARIO: 1. Premessa. – 2. La nozione di overruling e l’orientamento espresso dalla Corte di Cassazione. Interpretazione evolutiva, correttiva e bilanciamento degli inte- 530 DIRITTO E PRATICA TRIBUTARIA N. 4/2014

ressi e dei valori coinvolti nell’applicazione «retroattiva» del nuovo orientamento. – 3. L’overruling con specifico riferimento al diritto tributario e al principio del divieto dell’abuso del diritto in particolare. La diversa impostazione metodologica adottata nell’esame nella tutela di interessi «pretensivi» ed «oppositivi». – 4. Per una revisio- ne dell’orientamento della Cassazione in tema di overruling. Le criticità legate al- l’esclusiva applicazione degli artt.3e53della Costituzione e la necessità di una completa ponderazione degli interessi e dei valori costituzionali. – 5. Il giudizio di bi- lanciamento dei valori e degli interessi costituzionali coinvolti in tema di overruling sul divieto dell’abuso del diritto. Il ruolo dell’affidamento e della buona fede oggetti- va in relazione agli effetti «retroattivi» dell’interpretazione correttiva. – 6. Overruling, principio del divieto dell’abuso del diritto ed irrogabilità delle sanzioni amministrati- ve. – 7. Conclusioni.

1. – Premessa

In un contesto come l’attuale, in cui l’applicazione indiscriminata del principio dell’abuso del diritto rischia di essere estesa anche a fattispecie nel- le quali ciò comporta un palese contrasto con i più elementari principi del- l’affidamento e della correttezza dei rapporti tra fisco e contribuente, la sen- tenza in esame ha quanto meno il merito di aver affermato in modo chiaro la sua inapplicabilità in via retroattiva. Dalla decisione non si evince in relazione a quale profilo della fattispe- cie oggetto di accertamento l’Agenzia delle entrate abbia eccepito l’abusività dell’operazione nel giudizio di riassunzione. È tuttavia ipotizzabile che, stante l’impossibilità di applicare l’art. 37-bis del d.p.r. n. 600 del 1973, disposizione entrata in vigore dopo l’effettuazione dell’accertamento intervenuto nel 1996, il fisco avesse cercato, ben dicianno- ve dopo l’evento accertato (il 1994), di fornire una nuova ricostruzione della fattispecie (presumibilmente assente nell’atto impositivo impugnato) e di ap- plicare retroattivamente un principio che, all’epoca della vicenda, nessuno ri- teneva esistente e tanto meno applicabile. Peraltro, quale che sia stata la fattispecie ritenuta abusiva dal fisco, la Commissione Tributaria Provinciale si è correttamente concentrata e pronun- ciata su un profilo prodromico al merito, ossia sull’astratta possibilità di ecce- pire il divieto dell’abuso del diritto tributario anche in relazione ad una fatti- specie impositiva intervenuta quando non solo esso non era ritenuto da alcu- no principio generale immanente l’ordinamento tributario italiano, ma non era ancora entrato in vigore neanche l’art. 37-bis del d.p.r. n. 600 del 1973, nor- ma avente contenuto espressamente antielusivo (1) ed idonea a contrastare al- cune tra le più rilevanti ipotesi di elusione fiscale nell’ambito dell’imposizio- ne diretta. In sede di riassunzione del giudizio di Cassazione, i giudici di prime cu- re hanno affermato chiaramente che occorre tenere separate la rilevabilità di

(1) Come è noto, parte della dottrina (cfr., ad esempio, F. Tesauro, Istituzioni di di- ritto tributario, Milano, 2006, 254) è usa distinguere tra norme con ratio antielusiva, ossia norme specifiche la cui antielusività non è esplicita ma risiede nella loro ratio, e norme a contenuto espressamente antielusivo, che collegano a determinate fattispecie qualificate co- me elusive particolari poteri dell’Amministrazione finanziaria. All’epoca, l’unica disposi- zione simile era l’art. 10 della l. n. 408 del 1990, che però non risulta essere stata azionata dal fisco nel caso di specie. PARTE SECONDA 531 ufficio del principio in ogni stato e grado del processo (non messa in discus- sione dal giudice di merito) dalla sua applicazione a fattispecie impositive ve- rificatesi in periodi d’imposta in cui esso non era ancora percepito come esi- stente. È noto che la svolta giurisprudenziale sul divieto dell’abuso del diritto in ambito fiscale è intervenuta intorno alla seconda metà degli anni 2000 e che – almeno inizialmente – la Corte di Cassazione aveva ritenuto di rinvenire il suo fondamento nel diritto dell’Unione Europea, traendo argomenti a suppor- to della tesi soprattutto dai pronunciamenti della Corte di giustizia dell’UE, che aveva applicato il principio del divieto dell’abuso del diritto in tema di iva nei leading case Halifax e Part Service (2). In un primo momento, ciò aveva fatto sorgere alcune perplessità in ordi- ne all’estensibilità del principio ai tributi cc.dd. non armonizzati e, segnata- mente, alle imposte sui redditi (3). Peraltro, al termine di un periodo di gestazione relativamente breve, con le sentenze n. 30055, n. 30056 n. 30057 del 23 dicembre 2008 e n. 15029 del 26 giugno 2009, emesse a sezioni unite, la Suprema Corte è giunta ad affer- mare l’immanenza del principio del divieto dell’abuso del diritto in ambito fi- scale nel nostro ordinamento nazionale, rinvenendone il fondamento normati-

(2) Si vedano – ad esempio – le sentenze n. 10257 e n. 25374 emesse dalla Suprema Corte nel 2008, in cui la clausola antiabuso assume il ruolo di Generalklausel antielusiva o di General Anti-Avoidance Rule dell’ordinamento tributario. Per la Cassazione, pur non esi- stendo un’affermazione espressa di tale principio o clausola generale nelle fonti normative nazionali, la sua applicazione, ... s’impone per essere la stessa di formazione comunitaria. Dal fondamento comunitario del principio antiabuso, il Giudice di legittimità traeva poi la conclusione che esso operasse anche al di fuori dei tributi armonizzati o comunitari, poiché gli Stati membri sono comunque vincolati al rispetto dei diritti e dei principi fondamentali dell’ordinamento comunitario. Dopo una disamina estesa anche alla prassi internazionale in materia di clausola antielusiva generale, si affermava, inoltre, che l’abuso del diritto costi- tuisce un mezzo di contrasto «all’elusione fiscale» che consente un superamento della for- ma giuridica in vista di cogliere l’esatta finalità economica di un negozio o di un comples- so negoziale. (3) Che il principio nella sua originaria impostazione di derivazione comunitaria non sia estensibile ai tributi non armonizzati e, segnatamente, alle imposte sui redditi, è stato poi chiarito dalla Corte di giustizia UE nella sentenza del 29 marzo 2012, causa C-417/10, (in Riv. dir. trib., 2012, 91 e ss., con nota di M. Villani, L’abuso del diritto: incomprensio- ne o incertezza delle scelte di fondo, 101 e ss.). Rispondendo alla questione pregiudiziale formulata dalla nostra Corte di Cassazione con l’ordinanza di rimessione n. 18055 del 4 agosto 2010, il Giudice europeo (par. 32) ha affermato che nel diritto dell’Unione non esi- ste alcun principio generale dal quale discenda un obbligo per gli Stati membri di lottare contro le pratiche abusive nel settore della fiscalità diretta e che osti all’applicazione di una disposizione come quella di cui trattasi nel procedimento principale, qualora l’opera- zione imponibile derivi da pratiche siffatte e non sia in discussione il diritto dell’Unione. La sentenza ha chiarito che Il principio del divieto dell’abuso di diritto, l’art. 4, § 3, TUE, le libertà garantite dal TFUE (e in particolare, tra queste, la libertà di circolazione dei ca- pitali), il principio di non discriminazione, le norme in materia di aiuti di Stato, nonché l’obbligo di garantire l’applicazione effettiva del diritto dell’Unione non ostano all’appli- cazione di una disposizione nazionale che prevede l’estinzione dei procedimenti pendenti dinanzi al giudice che si pronuncia in ultimo grado in materia tributaria, mediante paga- mento di un importo pari al 5% del valore della controversia, qualora tali procedimenti traggano origine da ricorsi proposti in primo grado più di dieci anni prima della data di entrata in vigore di tale disposizione e l’Amministrazione finanziaria sia rimasta soccom- bente nei primi due gradi di giudizio. 532 DIRITTO E PRATICA TRIBUTARIA N. 4/2014 vo nel principio di capacità contributiva di cui all’art. 53 della Costituzione, cui debbono conformarsi le norme sul prelievo fiscale (4). L’affermazione che nel nostro ordinamento un principio siffatto è sem- pre esistito ha fatto sorgere alcune rilevanti criticità. La prima di esse deriva dal fatto che per la Cassazione la violazione del principio del divieto dell’abuso del diritto è rilevabile d’ufficio dal giudice in ogni stato e grado del giudizio (5). Le conseguenze di tale posizione sono divenute ancor più dirompenti nel momento in cui i giudici di legittimità hanno iniziato a ritenere operante la ri- levabilità di ufficio anche nelle ipotesi in cui già esiste una norma antielusiva idonea a perseguire le fattispecie elusive/abusive oggetto di giudizio (come ad es. l’art. 37-bis del d.p.r. n. 600 del 1973) (6). La giustificazione fornita dalla Cassazione, che ritiene azionabile il potere

(4) I principi di capacità contributiva (art. 53, 1o comma, Cost.) e di progressività del- l’imposizione (art. 53, 2o comma, Cost.) costituiscono il fondamento sia delle norme imposi- tive in senso stretto, sia di quelle che attribuiscono al contribuente vantaggi o benefici di qual- siasi genere, essendo anche tali ultime norme evidentemente finalizzate alla più piena attua- zione di quei principi. Con la conseguenza che non può non ritenersi insito nell’ordinamen- to, come diretta derivazione delle norme costituzionali, il principio secondo cui il contribuen- te non può trarre indebiti vantaggi fiscali dall’utilizzo distorto, pur se non contrastante con alcuna specifica disposizione, di strumenti giuridici idonei ad ottenere un risparmio fiscale, in difetto di ragioni economicamente apprezzabili che giustifichino l’operazione, diverse dal- la mera aspettativa di quel risparmio fiscale (Cass., sez. un., 28 dicembre 2008, n. 30057, in Boll. trib., 2009, 481, con nota di T. Marino, Considerazioni critiche sulla costante evoluzio- ne giurisprudenziale in tema di elusione tributaria ed abuso del diritto, ibidem, 425 e ss.). Le sentenze emesse a SS.UU. 23 dicembre 2008, n. 30055, 30056 e 30057, sono altresì pubbli- cate in GT - Riv. giur. trib., 2009, 216, con commento di A. Lovisolo, ivi, 2009, 408, con no- te di riferimento di C. Glendi; in Banca Dati BIG Suite, IPSOA; in Rass. trib., 2009, 476, con note di M. Cantillo e G. Zizzo. Cfr. altresì il commento di G. Falsitta, L’interpretazione an- tielusiva della norma tributaria come clausola immanente al sistema e direttamente ricava- bile dai principi costituzionali,inCorr. giur., 2009, 293, e quello di F. Amatucci, L’abuso del diritto nell’ordinamento tributario nazionale, ivi, 2009, 553. (5) Sul punto si vedano le citate sentenze di Cass. SS.UU. nn. 30055, 30056 e 30057 del 2008 che però applicavano la rilevabilità d’ufficio a fattispecie negoziali relative a pe- riodi d’imposta in cui non era ancora vigente l’art. 37-bis del d.p.r. n. 600 del 1973. (6) Particolarmente significativa Cass. n. 7393 del 2012, in Corr. trib., 2012, 2375 e ss., in banca dati BIG Ipsoa, con commento critico di F. Tundo, Abuso del diritto rilevabile d’ufficio anche se il comportamento rientra nella specifica norma antielusiva, 2368 ss. In particolare, la Cassazione ha affermato che non sussiste vizio di extra-petizione e di viola- zione dei principi che connotano il processo tributario (il cui perimetro quale giudizio di impugnazione-merito è in parte definito dalle ragioni poste a base dell’atto impositivo) quando il giudicante opera una diversa qualificazione giuridica della fattispecie concreta, che abbia dato luogo all’esercizio della pretesa fiscale sottoposta al suo esame. E neppure può ritenersi precluso, allo stesso giudice, l’esercizio di poteri cognitori d’ufficio, non po- tendo ritenersi che i poteri del giudice tributario siano più limitati di quelli esercitabili in qualunque processo di impugnazione di atti, come quello amministrativo di legittimità (v., in tal senso, Cass. n. 20398 del 2005, n. 21221 del 2006). (...) è evidente che l’esplicazione officiosa di siffatti poteri di qualificazione e cognitori – come detto, funzionali allo stesso corretto esercizio della giurisdizione – non può non dispiegarsi anche con riferimento al tema, particolarmente delicato, relativo all’esistenza, alla validità e all’opponibilità al- l’Amministrazione finanziaria del negozio (...). È di tutta evidenza, infatti, che il tema in parola deve ritenersi acquisito al giudizio per effetto dell’allegazione, da parte del contri- buente, sul quale incombe l’onere di provare i presupposti di fatto per l’applicazione della norma dalla quale discende l’invocata diminuzione del reddito di impresa imponibile. PARTE SECONDA 533 di rilevare d’ufficio il principio a prescindere dalle allegazioni effettuate dalle parti in base all’assunto (ma sarebbe meglio dire: l’asserzione) che il principio del divieto dell’abuso del diritto ha rango comunitario e costituzionale (così Cass. n. 7393 del 2012) non convince la dottrina, la quale evidenzia – condivisibil- mente – come l’oggetto del processo e la cognizione del giudice non possano prescindere dal contenuto di tale atto e dai motivi del ricorso del contribuente. Pertanto, se è vero che ai sensi degli artt.7e24deld.lgs. n. 546 del 1992, le parti non possono introdurre nel processo fatti ed elementi diversi da quelli risultanti da tali atti, è altresì vero che il giudice non può – nell’espletamento dell’attività di cognizione – ampliare tale ambito andando ad accertare d’uffi- cio fatti costitutivi dell’obbligazione tributaria non desumibili da tale contesto. Va da sé che, seguendo la strada tracciata sul punto dal giudice nomofi- lattico, il giudizio tributario rischia di diventare un processo al buio (7) in cui il contribuente dovrebbe cercare di sviluppare la propria difesa processuale provando ad immaginare quelli che potrebbero essere i futuri rilievi che po- trebbe muovere l’Ufficio tributario. La seconda criticità consiste nella necessità di conciliare l’eterogeneo li- vello di garanzie procedimentali previsto nelle fasi di verifica e di accerta- mento dalle varie leggi di imposta con un principio che, nell’impostazione datane dalla Suprema Corte, può essere azionato dall’Amministrazione finan- ziaria in assenza di ogni previo contraddittorio con l’ufficio (a differenza di quanto è previsto, ad esempio, nel caso di applicazione della disposizione an- tielusiva di cui all’art. 37-bis del d.p.r. n. 600 del 1973) ed essere rilevato d’ufficio in ogni stato e grado del giudizio. In effetti, si è rilevato come ciò possa determinare non solo l’impossibili- tà di beneficiare di un importante filtro e momento di confronto con l’Ammi- nistrazione finanziaria, ma anche una disparità di trattamento tra fattispecie so- stanzialmente uguali a seconda che l’ufficio eserciti la pretesa impositiva facen- do valere il principio del divieto dell’abuso del diritto, oppure agisca azionan- do una norma antielusiva (è il caso dell’art. 37-bis del d.p.r. n. 600 del 1973) che impone l’esperimento di un previo contraddittorio e fornisce al contribuen- te adeguate garanzie procedimentali. Ecco perché, condivisibilmente, una parte della giurisprudenza di merito aveva esteso analogicamente le garanzie proce- dimentali di cui all’art. 37-bis anche alle ipotesi in cui l’Agenzia delle entrate aveva agito ai sensi del principio del divieto dell’abuso del diritto (8). In quest’ottica, lascia quanto meno perplessi l’ordinanza di rinvio della Corte di Cassazione n. 24739 del 5 novembre 2013 (9), alla Consulta per la non manifesta infondatezza della questione di incostituzionalità del 4o comma

(7) Questa è l’efficace espressione usata da R. Lupi e D. Stevanato, Tecniche interpre- tative e pretesa immanenza di una norma generale antielusiva,inCorr. trib., 2009, 410. In senso adesivo F. Tundo, op. cit., il quale rettamente osserva che l’atto impositivo delimita i limiti della cognizione del giudice, nel senso che egli non può accertare d’ufficio fatti costi- tutivi dell’obbligazione tributaria non indicati nell’atto stesso o che non siano stati sollevati dalle domande di parte. Sempre nello stesso senso cfr. altresì V. Ficari, Poteri del giudice ed oggetto del processo: autonomia versus regolamentazione?,inRass. trib., 2007, 351. (8) Si vedano, ex multis, Comm. trib. reg. Lombardia, 16 gennaio 2012, n. 2, in GT - Riv. giur. trib., 2012, 632, con nota di F. Tundo; Comm. trib. prov. Milano, 21 febbraio 2011, n. 54 e Comm. trib. prov. Genova, 24 gennaio 2011, n. 2, in Corr. trib., 2011, 1474, con nota sempre di F. Tundo; Comm. trib. prov. Brescia, 18 febbraio 2011, n. 14, in Banca Dati BIG Suite, IPSOA. (9) In banca dati fisconline. 534 DIRITTO E PRATICA TRIBUTARIA N. 4/2014 dell’art. 37-bis, del d.p.r. n. 600 del 1973, in riferimento agli artt.3e53del- la Costituzione, laddove si afferma che irrazionalmente, soltanto per la ripre- sa antielusiva à sensi dell’art. 37-bis cit. è legge che le forme del preventivo contraddittorio debbano esser seguite sub poena nullitatis. (10). Ci si sarebbe aspettati che la Suprema Corte avesse semmai optato per un’interpretazione estensiva delle garanzie previste sedes materiae anche a tributi e fattispecie che ne sono sforniti, conformemente ad una moderna vi- sione del rapporto tra fisco e contribuente e coerentemente con i dettami del- lo Statuto dei diritti del contribuente (11). Invece, con la ritenuta non manifesta infondatezza della questione, l’at- tenzione del giudice nomofilattico si è focalizzata sull’«irrazionalità» della sanzione della nullità per l’inosservanza delle «forme» in cui deve essere at- tuato il contraddittorio con il contribuente, senza considerare che – magari – il vizio potrebbe risiedere non già nella previsione di una sanzione solo nel caso di specie, quanto piuttosto nella mancanza di strumenti sanzionatori del medesimo segno anche in altri ambiti, idonei ad incentivare l’attivazione del contraddittorio in capo al fisco. La terza criticità, infine, concerne il fulcro intorno al quale ruotano le principali osservazioni oggetto della presente nota a sentenza. Ci riferiamo, in particolare, agli effetti del revirement operato dalla Su- prema Corte su giudizi aventi ad oggetto una fase storica nella quale il prin- cipio più volte citato non era percepito né era astrattamente percepibile come tale nel nostro ordinamento (12).

2. – La nozione di overruling e l’orientamento espresso dalla Corte di Cassa- zione. Interpretazione evolutiva, correttiva e bilanciamento degli interessi e dei valori coinvolti nell’applicazione «retroattiva» del nuovo orienta- mento In termini generali e nel senso acquisito nel nostro ordinamento (coinci-

(10) Nello specifico, la Corte di Cassazione ritiene che l’irragionevolezza della misu- ra risieda non già nella previsione di un contraddittorio solo nel caso di fattispecie elusive previste dall’art. 37-bis, ma nella sanzione della nullità, comminata solo per difetto delle forme nel contraddittorio nell’ipotesi di cui al quarto comma del citato articolo. (11) Nel senso che le garanzie procedimentali previste dal 4o e5o comma dell’art. 37-bis del d.p.r. 29 settembre 1973, n. 600 siano da riconoscere ad ogni tipologia di accer- tamento antielusivo, incluso l’abuso del diritto, si esprime, ad esempio, F. Tundo, op. cit., in banca dati BIG Ipsoa. (12) In questa sede basterà citare, a titolo meramente esemplificativo ed emblematico, quel che scriveva a metà degli anni ’90 D. Batti, Le operazioni di usufrutto su azioni estero- Italia,inLe Società, 1996, 209 e ss.: Nel nostro ordinamento, comunque, manca attualmen- te una disposizione di carattere generale atta a porre l’Amministrazione finanziaria in gra- do di perseguire i comportamenti elusivi del contribuente. Il problema, in realtà, non è stato trascurato dal nostro legislatore, che ha, invero, preferito adottare norme antielusione «mi- rate», cioè destinate ad interventi specifici e settoriali. A conferma di ciò cfr., inter alia,R. Lupi, Prime ipotesi in tema di norma antielusiva sulle operazioni societarie (art. 10, L. 408/ 1990),inRiv. dir. trib., 1992, 442; e A. Trivoli, Contro l’introduzione di una clausola gene- rale antielusiva nell’ordinamento tributario vigente, retro, 1992, 55. Il termine di norme an- tielusive mirate è mutuato da R. Lupi, op. cit., 231. Cfr. altresì, la nota congiunta inviata a gennaio 2011 da Abi, Ania e Confindustria al Ministro delle finanze, in cui si osserva che non di rado le contestazioni sull’abuso riguardano comportamenti posti in essere quando nell’or- dinamento nessuno neanche sospettava dell’esistenza di questo principio. PARTE SECONDA 535 dente in parte con il significato che assume nei Paesi di Common Law) (13), si parla di overruling con riferimento ad un mutamento «imprevedibile» (i.e. inopinato e repentino) dell’orientamento giurisprudenziale rispetto alla pre- gressa consolidata posizione tenuta sino a quel momento e che può incidere retroattivamente su fattispecie sorte prima di tale mutamento, producendo pregiudizi di varia natura, come il verificarsi di decadenze o preclusioni pri- ma escluse o, nel caso dell’abuso del diritto, nella riqualificazione fiscale di una fattispecie in termini «abusivi» (i.e. illegittimi), foriera delle immaginabi- li conseguenze in capo al contribuente in termini di maggiori imposte e (ove ritenute applicabili) di sanzioni (14). Il problema, assai sentito, è stato variamente affrontato e risolto sia negli ordinamenti di tradizione giuridica continentale che di Common Law. A titolo meramente indicativo, è interessante accennare alla soluzione prescelta dalla Germania che, al § 176 dell’Abgaben-Ordnung (legge tedesca sull’ordinamento delle imposte: di seguito AO) prevede espressamente che un atto impositivo non possa essere revocato o modificato in forza di un soprav- venuto mutamento giurisprudenziale o della prassi amministrativa sfavorevole al contribuente (15). Con riferimento invece all’ordinamento giuridico degli Stati Uniti d’America, che al pari di quello del Regno Unito tradizionalmente riconosce tra le sue fonti primarie la giurisprudenza e in cui la regola dello stare decisis o del precedente giudiziario vincolante (16) assume particolare rilievo al fine

(13) Letteralmente overruling sta per «implicito», e riguarda la sentenza di un giudi- ce di un sistema di Common Law che produce effetti anche su casi passati, salva l’ipotesi che si sia formata la cosa giudicata sul punto. Cfr. C. Marchetti - A. Perrone, Il common law, in G.B. Portale, Lezioni di diritto privato comparato, Torino, 2007. (14) Si veda, ad esempio, Cass. n. 28967 del 2011, che però usa il termine di pros- pective overruling per chiarire che al ricorrere le citate condizioni il mutamento giurispru- denziale si applica solo per il futuro: Affinché un orientamento del giudice della nomofila- chia non sia retroattivo come, invece, dovrebbe essere in forza della natura formalmente dichiarativa degli enunciati giurisprudenziali, ovvero affinché si possa parlare di prospec- tive overruling, devono ricorrere cumulativamente i seguenti presupposti: che si verta in materia di mutamento della giurisprudenza su di una regola del processo; che tale muta- mento sia stato imprevedibile in ragione del carattere lungamente consolidato nel tempo del pregresso indirizzo, tale, cioè, da indurre la parte a un ragionevole affidamento su di esso; che il suddetto overruling comporti un effetto preclusivo del diritto di azione o di di- fesa della parte. (15) Inoltre (cfr. F. Amatucci, L’efficacia nel tempo della norma tributaria, Milano, 2005, 105, nota 225), la dottrina tedesca ritiene espressamente che la certezza del diritto costituisca un limite alla retroattività delle interpretazioni del fisco e della giurisprudenza. In particolare, secondo Tipke-Lang, Steuerrecht, Colonia, 2002, 103, la retroattività deve ri- tenersi illegittima se va a colpire fattispecie non ritenute in passato espressive di capacità contributiva, mentre per Peters, Das Recht auf freie Entfaltung der Persölichkeit in der höchstrichterlichen Rechtsprechung, Koln e Opladen, 1963), l’irretroattività risiede nel principio del libero sviluppo della personalità ai sensi dell’art. 2 della Costituzione tedesca. Per ulteriori riferimento comparatistici al diritto tedesco cfr. Tipke, La retroattività nel di- ritto tributario,inTrattato di diritto tributario (a cura di A. Amatucci), Padova, 1994, I, 440 e ss.; Bozza, La retroattività nella giurisprudenza della Corte costituzionale tedesca, in Riv. dir. trib., 1996, I, 14 e ss. (16) Lo stare decisis si sostanzia nel vincolo, per il giudice, di attenersi a quanto è stato stabilito delle sentenze precedenti. Sul «vincolo del precedente» cfr., inter alia, Mat- tei, Precedente giudiziario e stare decisis,inDig. disc. priv. sez. civ., Torino, 1996, 148 e ss. In sostanza, la vincolatività del precedente opera sia in senso verticale (il giudice di gra- 536 DIRITTO E PRATICA TRIBUTARIA N. 4/2014 di garantire la certezza del diritto (17), uno degli strumenti per evitare gli in- convenienti dell’overruling è il c.d. prospective overruling. Esso consiste nel- l’esplicitare il nuovo indirizzo giurisprudenziale in obiter dicta di una senten- za ma senza applicarlo ai fini della decisione del caso in esame (18). Il tema dell’overruling si lega poi, nell’ambito dell’ordinamento dell’UE, alla relazione che intercorre tra la necessità di garantire l’effettività del diritto UE e il correlato (e talvolta antagonista) principio della tutela dell’affidamen- to, laddove una sentenza della Corte di giustizia UE produca effetti incidenti su rapporti che gli interessati hanno regolamentato fidando sulla conformità di una norma all’ordinamento citato (19). Venendo all’ordinamento italiano, occorre preliminarmente rilevare che il tema degli effetti giuridici prodotti da un mutamento giurisprudenziale ino- pinato e improvviso su fatti intervenuti prima del suo verificarsi non è risol- vibile con semplificazioni generali ed indiscriminate. Lo si evince dalla fon-

do inferiore è giuridicamente obbligato a seguire il precedente deciso da giudice di grado superiore) e in senso orizzontale, posto che il medesimo giudice deve seguire il proprio precedente. Come è comprensibile, ciò conferisce una particolare stabilità al sistema nor- mativo tutelando l’esigenza di certezza del diritto. (17) La certezza del diritto in forma diacronica consiste nella stabilità e nella coeren- za dell’ordinamento nel tempo e si coniuga con la prevedibilità, da parte del cittadino, dei mutamenti normativi che interverranno in futuro. Sul tema, senza alcuna pretesa di comple- tezza, cfr. Corsale, voce Certezza del diritto (profili teorici),inEnc. Giur. Treccani, vol. VI, 1 ss.; Pizzorusso, voce Certezza del diritto (profili applicativi),inEnc. Giur. Treccani, vol. VI, 4 ss. Sulla problematica individuazione di profili di razionalità e di coerenza del sistema tributario e sulla conseguente incertezza del diritto tributario v. V. Uckmar, L’in- certezza del diritto tributario, in AA.VV., La certezza del diritto un valore da ritrovare, Milano, 1993. (18) Per una trattazione generale delle tematiche dell’overruling e del distinguishing cfr. C. Marchetti - A. Perrone, Il common law, in G.B. Portale, Lezioni di diritto privato comparato, op. cit., (v. in particolare 63 e ss. sul prospective overruling). (19) Talvolta il conflitto è stato risolto facendo prevalere il principio di effettività del di- ritto UE su quello dell’affidamento del contribuente sulla base di comprensibili ragioni «anti- elusive». È il caso delle sentenze che hanno deciso sulla restituzione degli aiuti di Stato. In ta- le ambito la giurisprudenza della Corte di giustizia Europea è oramai consolidata nel senso che uno Stato membro le cui autorità hanno concesso un aiuto contravvenendo alle norme proce- durali ex art. 88 CE (ora art. 108 TFUE) non può invocare il legittimo affidamento dei bene- ficiari per sottrarsi all’obbligo di adottare i provvedimenti necessari per l’esecuzione di una de- cisione della Commissione UE diretta al recupero di tale aiuto, poiché ciò equivarrebbe a pri- vare di ogni efficacia pratica le disposizioni di cui agli artt. 87 CE e 88 CE (ora artt. 107 e 108 TFUE), poiché le autorità nazionali potrebbero così far valere il loro comportamento illegitti- mo onde pregiudicare l’efficacia delle decisioni emesse in attuazione del Trattato (CGCE, 1 apri- le 2004, causa C-99/02; CGCE, 7 marzo 2002, n. 310/99). Sul punto cfr., tra l’altro, A. Fan- tozzi, Problemi di adeguamento dell’ordinamento fiscale nazionale alle sentenze della Corte di giustizia e alle decisioni della Commissione CE, in Atti del Convegno di studi Aiuti di Sta- to nel diritto comunitario e misure fiscali,inRass. trib., 2003, 2249 e ss. Diverso è il caso di somme versate adempiendo a quanto prescritto da norme imposi- tive in contrasto con il diritto UE, poiché in tal caso l’esigenza di garantire la primazia del diritto dell’UE e l’affidamento del cittadino nell’apparente cogenza della legge vanno nel medesimo senso. Peraltro, tali esigenze saranno bilanciate dalla salvaguardia della stabilità dei rapporti esauriti. Sul tema del rapporto tra certezza del diritto e irretroattività del diritto dell’UE si vedano, ex multis, L. Del Federico, Tutela del contribuente ed integrazione giu- ridica europea. Contributo allo studio della prospettiva italiana, Montesilvano (PE), 2003, 23; F. Amatucci, Divieto di retroattività della norma tributaria in ambito comunitario,in Riv. dir. trib. int., 2009, 85 e ss.; Boria, Diritto tributario europeo, Milano, 2010, 250 e ss. PARTE SECONDA 537 damentale sentenza n. 15144 del 2011, emessa dalla Corte di Cassazione a sezioni unite. Uno dei punti-chiave della decisione che, è bene precisarlo, riguardava una questione extra-tributaria e concerneva norme processuali, recita che: ove l’«overruling» si connoti del carattere dell’imprevedibilità ..., si giu- stifica una scissione tra il fatto ... e l’effetto, di preclusione o decadenza, che ne dovrebbe derivare, con la conseguenza che – in considerazione del bilancia- mento dei valori in gioco, tra i quali assume preminenza quello del giusto pro- cesso (art. 111 Cost.), volto a tutelare l’effettività dei mezzi di azione e difesa ... deve escludersi l’operatività della preclusione o della decadenza derivante dal- l’«overruling» nei confronti della parte che abbia confidato incolpevolmente (e cioè non oltre il momento di oggettiva conoscibilità dell’arresto nomofilattico correttivo, da verificarsi in concreto) nella consolidata precedente interpreta- zione della regola stessa, ... Ne consegue ... che... lo strumento processuale tra- mite il quale realizzare la tutela della parte va modulato in correlazione alla peculiarità delle situazioni processuali interessate dall’«overruling». Scendendo nel dettaglio, la Cassazione ha anzitutto operato la distinzio- ne tra l’interpretazione «evolutiva» (ossia il mutamento interpretativo che è una mera conseguenza di una modifica della disposizione interpretata) e quel- la «correttiva», che è il revirement giurisprudenziale in senso stretto, che si verifica allorché il giudice torna sul suo orientamento ritenendo preferibile un’altra interpretazione della norma, a prescindere da eventuali vicende evo- lutive (i.e. modificative) che l’abbiano interessata (20). Nel primo caso non si realizza un vero e proprio overruling, poiché il giudice si limita ad «accertare» il mutato quadro normativo. In altri termini, più che di interpretazione si dovrebbe parlare di applicazione di una nuova norma o di una norma preesistente il cui contenuto è mutato medio tempore. Nel secondo caso, invece, a cambiare non è il contenuto della disposi- zione ma la posizione del giudice nell’interpretazione e nell’applicazione del- la norma al caso concreto. Pertanto, sorge il problema di garantire la posizio- ne soggettiva del cittadino-contribuente, che in forza di una consolidata posi- zione giurisprudenziale, improvvisamente e radicalmente mutata, potrebbe es- sere retroattivamente pregiudicato in ordine ad atti e/o condotte che ha posto in essere prima dell’overruling. Ebbene, non è chi non veda come il cambiamento giurisprudenziale in- tervenuto con l’affermazione del principio del divieto dell’abuso del diritto debba ascriversi alla seconda fattispecie. Tre sono i profili qualificanti della sentenza n. 15144 del 2011. Il primo postula che per il principio della separazione dei poteri nello svolgimento dell’attività giurisdizionale (art. 101 della Costituzione), il giudi- ce non possa stabilire che una data interpretazione valga solo per il futu- ro (21), poiché altrimenti la sua attività si concreterebbe nella creazione di una nuova norma nell’ordinamento giuridico.

(20) Usando le stesse parole della Corte di Cassazione, è correttiva quell’attività con cui il giudice torna direttamente sul significante, sul testo cioè della disposizione, per desu- merne – indipendentemente da vicende evolutive che l’abbiano interessata – un significato diverso da quello consacrato in un una precedente esegesi giurisprudenziale. (21) Nel caso specie si trattava di norme processuali che, come è noto, sono idonee a disciplinare il processo anche in relazione a fattispecie venute ad esistenza anteriormente alla loro entrata in vigore. 538 DIRITTO E PRATICA TRIBUTARIA N. 4/2014

Il secondo profilo consiste nel non alterabile parallelismo tra legge re- troattiva e ed interpretazione giurisprudenziale retroattiva, per il profilo dei limiti, alla retroagibilità della regola, imposti dal principio di ragionevolez- za, quali enucleati, al riguardo, da copiosa giurisprudenza della Corte costi- tuzionale (nn. 118/57; 349/85; 822/88; 233/89; 155/90; 402/93 ex plurimis). Pertanto, ciò che non è consentito alla legge non [può] similmente essere consentito alla giurisprudenza. I cui mutamenti, quale che ne sia la qualifica- zione, debbono, al pari delle leggi retroattive, a loro volta rispettare il prin- cipio di ragionevolezza, non potendo frustrare l’affidamento ingenerato come, nel cittadino, dalla legge previgente, così nella parte, da un pregresso indi- rizzo ermeneutico, in assenza di indici di prevedibilità della correlativa modi- ficazione. Dunque, l’applicazione retroattiva della disposizione va filtrata at- traverso il canone di ragionevolezza (22). Il terzo elemento fondamentale della pronuncia da ultimo citata è l’appli- cazione del principio della tutela dell’affidamento (scolpito nel 1o comma dell’art. 10, della l. n. 212 del 2000, c.d. Statuto del contribuente) (23) sino al momento in cui non si è ancora verificata l’oggettiva conoscenza (da veri- ficare in concreto) dell’overruling. Infine, nella citata sentenza, la Corte di Cassazione osserva che a fronte di un interesse che potremmo definire «pretensivo» del soggetto interessato a non vedere pregiudicata la sua posizione, sono ipotizzabili diversi strumenti atti a soddisfare detto interesse. In particolare, a fronte di un overruling che aveva comportato ex post la riduzione dei termini per l’impugnazione della sentenza del Tribunale Superiore delle Acque Pubbliche, la Cassazione ha ri- tenuto che lo strumento idoneo al perseguimento dell’interesse altrimenti pre- giudicato (i.e. al tempestivo esercizio del diritto di difesa dell’interessato ai sensi dell’art. 24 della Costituzione) fosse quello di escludere l’operatività dell’overruling per il passato, continuando ad applicare il più lungo termine di impugnazione previsto dalla pregressa interpretazione (24).

3. – L’overruling con specifico riferimento al diritto tributario e al principio del divieto dell’abuso del diritto in particolare. La diversa impostazione metodologica adottata nell’esame nella tutela di interessi «pretensivi» ed «oppositivi»

Anche in ambito tributario, il tema della tutela dei diritti del contribuen- te può talvolta concretarsi nella tutela di un interesse pretensivo.

(22) Cfr. F. Amatucci, op. cit., 114 e 115, rileva Difficoltà nell’individuare il discri- men tra irragionevolezza ed illegittimità della retroattività pura da un lato, e ragionevolezza e legittimità dell’interpretazione autentica, dall’altro lato. (23) Sul principio dell’affidamento v. i riferimenti ulteriori nei successivi paragrafi. (24) Nel caso in cui invece l’overruling comporti l’inosservanza delle forme prescritte dal nuovo indirizzo per l’esercizio dell’attività processuale, la Corte di Cassazione ha ritenuto che lo strumento atto ad evitare il pregiudizio vada coerentemente individuato nell’istituto del- la remissione in termine, così consentendosi alla parte di riproporre ritualmente l’impugna- zione. Se invece (come nel caso di specie), l’overruling determina intempestività dell’atto (sus- sistente in base alla giurisprudenza overruled, ma venuta meno in conseguenza del successivo mutamento di esegesi della regola di riferimento), il giusto processo potrà trovare attuazione at- traverso l’esclusa operatività, [...], della preclusione derivante dall’overruling nei confronti del- la parte che abbia confidato nella consolidata precedente interpretazione della regola stessa. PARTE SECONDA 539

A tal proposito, assume rilevanza la sentenza n. 22282 del 2011 (25), in cui la Suprema Corte si è pronunciata sulla decorrenza del termine decadenziale per l’esercizio del diritto al rimborso dell’accisa versata sugli olii minerali ai sensi del d.lgs. n. 504 del 1995, art. 62, 1o comma. Nella sentenza cassata, il giudi- ce di secondo grado aveva affermato che per alcune annualità in relazione alle quali era decorso il termine decadenziale biennale per l’esercizio dell’azione di ripetizione, il contribuente non poteva agire per il rimborso giovandosi della sen- tenza 25 settembre 2003, emessa nella causa C-437/07, con cui la Corte di giu- stizia UE aveva dichiarato il tributo non conforme al diritto dell’UE. Invece, la Corte di Cassazione ha stabilito che il termine iniziale di de- cadenza per l’esercizio dell’azione di rimborso non può decorrere da una data anteriore a quella del giorno a partire dal quale è stata pubblicata la sentenza del Giudice Europeo. Conformandosi a quanto statuito a sezioni unite nella citata sentenza n. 15144 del 2011, si è esclusa l’operatività della preclusione o della decadenza (...) [dall’esercizio del diritto al rimborso] nei confronti della parte che abbia confidato incolpevolmente (e cioè non oltre il momento di oggettiva conoscibilità della pronuncia nomofilattica correttiva, da verifi- carsi in concreto) nella consolidata precedente interpretazione della regola stessa, la quale, sebbene soltanto sul piano fattuale, aveva comunque creato l’apparenza di una regola conforme alla legge del tempo; con la conseguente necessità, in tale evenienza, di modulare lo strumento processuale tramite il quale realizzare la tutela della parte in correlazione alla peculiarità delle si- tuazioni processuali interessate dall’overruling. Come nella sentenza n. 15444 del 2011, il bilanciamento degli interessi in gioco si è risolto nel dare la prevalenza al principio del giusto processo ai sensi degli artt. 111 della Costituzione e 6 della Convenzione Europea dei di- ritti dell’Uomo, volti a tutelare l’effettività dei mezzi di azione e difesa. Orbene, se in tale fattispecie la Corte di Cassazione ha affermato che un mutamento giurisprudenziale repentino in ordine all’interpretazione di una di- sposizione legislativa che può danneggiare il contribuente, va «sterilizzato» al fine di evitare che produca ex tunc effetti pregiudizievoli in capo a quest’ulti- mo, non diversamente dovrebbe ragionarsi in tema di overruling vertente sul- l’abuso del diritto, evitando che si verifichino retroattivamente effetti pregiu- dizievoli in capo al contribuente in buona fede. Occorre tuttavia precisare che la Corte di Cassazione non ha assunto una posizione univoca sull’applicabili- tà dell’overruling anche alle norme sostanziali, tant’è che alla sentenza poc’anzi citata, che ne ammette la configurabilità anche in tema di norme di- sciplinanti la decadenza dal rimborso d’imposta, sono seguite due decisioni di segno opposto (26), il che ha comportato l’emanazione di un’ordinanza di ri- messione della questione alle sezioni unite (27). Per la verità, la tesi che limita l’overruling alle norme processuali, basa- ta su un’asserita superiore esigenza di tutela del giusto processo rispetto alle norme sostanziali (28) non convince, posto che il tema dell’incolpevole affi-

(25) Reperibile in banca dati fisconline. (26) Cfr. le sentenze n. 4670 e 13087 del 2012, in banca dati fisconline, che negano l’overruling in ordine alla medesima fattispecie esaminata nella citata sentenza n. 22282 del 2011. (27) Cass., ord. 16 gennaio 2013, n. 959, in banca dati fisconline. (28) Cfr., ad esempio, Cass., n. 28967 del 2011, cui rinvia la sentenza n. 13087 del 2012. 540 DIRITTO E PRATICA TRIBUTARIA N. 4/2014 damento nel quadro della certezza del diritto non è ontologicamente diverso, né men degno di tutela, quando il cambiamento delle regole del gioco a par- tita già iniziata (29) concerne l’esercizio di diritti sostanziali (collegati a ter- mini di decadenza e prescrizione) (30). Sembra invece più fondato un altro argomento di chi critica la sentenza n. 22282 del 2011. Ci riferiamo alla non configurabilità di un vero e proprio overruling nel caso di specie posto che, a stretto rigore, in quel caso non è stata la Cassazione a mutare «imprevedibilmente» il suo orientamento, né la sentenza della Corte di giustizia dell’UE era espressiva di un mutamento im- provviso di orientamento, potendosi piuttosto far rientrare tra i casi di inter- pretazione «autentica» del diritto dell’UE (attività avulsa dalle categorie del- l’interpretazione correttiva ed evolutiva individuate dalla Cassazione SS.UU. nella citata sentenza n. 15144 del 2011 in relazione alla propria attività giu- sdicente) (31). Peraltro, è interessante rilevare che in un caso con identica ratio (ci rife- riamo alla vicenda Sopropè (32), deciso dalla Corte di giustizia UE), la Cas- sazione (33) ha negato l’applicazione indiscriminata del principio del contrad- dittorio agli accertamenti doganali emanati prima della decisione del Giudice UE che imponeva tale adempimento. Ciò in base all’assunto che si era in presenza di sentenze della Corte di giustizia UE fondate su principi generali costituenti giurisprudenza innovativa e che ciò avrebbe pregiudicato in modo del tutto irragionevole l’affidamento del fisco sulla non necessità del contrad- dittorio, posto che all’epoca dell’emanazione degli atti impositivi, l’osservan- za di tale principio non era ragionevolmente prevedibile né era sancito da al- cuna disposizione espressa applicabile in Italia, derivando invece dal princi- pio del giusto procedimento di matrice UE (34). Ad ogni modo, facendo astrazione da tale profilo, è interessante amplia- re il campo di osservazione anche oltre lo specifico tema dell’overruling per rilevare come la problematica dell’interpretazione avente effetti «retroattivi» incidenti su «diritti quesiti» (i.e. in un’ottica di tutela di interessi oppositivi) abbia formato oggetto di una recente e interessante ordinanza interlocutoria (la n. 9026 del 12 aprile 2013) (35). In tale occasione la Cassazione ha sol-

(29) Così si esprime la Cassazione nella sentenza n. 14627 del 2010, negativa del- l’overruling in presenza di norme di diritto sostanziale. (30) In termini non dissimili la citata Ordinanza di rimessione alle Sezioni Unite n. 959 del 2013. (31) Nella sentenza n. 28967 del 2011 non si esplicita tale conclusione ma si afferma più prosaicamente che non vi sarebbe overruling. (32) Corte di giustizia UE, 18 dicembre 2008, causa C-349/07, in GT - Riv. giur. trib., n. 3 del 2009. Il tale decisione il Giudice europeo ha statuito che il principio del con- traddittorio si applica a tutti i procedimenti tributari. (33) Sentenza n. 8481 del 9 aprile 2010, in banca dati fisconline. (34) G. Marongiu, op. cit., osserva che se questo è vero, coerenza vuole che, per ri- spettare l’affidamento (questa volta a favore del contribuente), non possa applicarsi un principio generale antielusivo formulato nel 2008 a una ipotesi verificatasi negli anni an- tecedenti. (35) Per S. Dorigo, (op. cit., 631) nell’ordinanza interlocutoria citata sarebbe riscon- trabile un importante mutamento di posizione della Cassazione in ordine al rapporto tra i principi di certezza e di affidamento e quello di irretroattività in ambito fiscale. Il collega- mento viene fondato sulla prevedibilità dell’imposizione quale metro di valutazione della condotta del contribuente e dunque limite all’introduzione di discipline fiscali che siffatto PARTE SECONDA 541 levato la questione di incostituzionalità in relazione all’art. 3 Cost. di alcune disposizioni del d.l. n. 185 del 2008 che hanno subordinato, ex post, la frui- zione di un credito d’imposta per attività di ricerca e sviluppo ex l. n. 296 del 2006 ad ulteriori requisiti rispetto a quello previsto in origine da que- st’ultima legge, consistente esclusivamente nell’effettivo sostenimento di co- sti a tale titolo. In tale contesto, il punto focale era costituito non solo dall’osservanza o meno del canone di ragionevolezza nella procedura prevista dal d.l. n. 185 del 2008 per l’ottenimento del credito d’imposta (36), ma anche dalla viola- zione del principio di tutela dell’affidamento del cittadino nella certezza delle situazioni giuridiche. Partendo dalla premessa che la giurisprudenza costitu- zionale afferma l’essenzialità della tutela dell’affidamento in uno Stato di di- ritto e che non è ammissibile la sua lesione ad opera di disposizioni retroatti- ve che trasmodino in un regolamento irrazionale di situazioni sostanziali fon- date su leggi precedenti, la Suprema Corte ha dichiarato di dubitare della ra- gionevolezza di una disposizione sopravvenuta che produce retroattivamente un effetto «ablativo» di crediti d’imposta già entrati nel patrimonio del con- tribuente, in quanto maturati in relazione a costi già sostenuti, e di aspettati- ve di crediti di imposta maturandi in relazione a costi ancora da sostenere per il completamento di attività già avviate. A nostro sommesso avviso, la rilevanza delle affermazioni della Cassa- zione si coglie non solo nella valorizzazione del principio della tutela dell’af- fidamento, ma anche in relazione al fatto che l’oggetto della tutela non è più – come nei casi visti in precedenza – un interesse pretensivo al conseguimen- to di una posizione di vantaggio che formerà oggetto di un futuro accerta- mento in sede giurisdizionale, ma quello che potremmo definire un interesse oppositivo, ossia la conservazione di un bene della vita acquisito al patrimo- nio del contribuente (o la tutela di un’aspettativa al suo conseguimento), rap- presentato dal credito d’imposta. Centrale è considerata la valutazione del- l’imprenditore (la Cassazione parla espressamente di calcolo di convenienza imprenditoriale) in ordine al sostenimento di determinati costi nella prospetti- va di trarne un beneficio economico anche di natura fiscale. Non è incongruo vedere in tale affermazione un legame con la tutela della libera iniziativa economica ai sensi dell’art. 41 Cost., laddove si afferma che nel momento in cui l’imprenditore ha deciso di sostenere tale costo fa- cendo legittimo affidamento sul risparmio fiscale a ciò connesso, non appare ragionevole salvaguardare le esigenze di bilancio dello Stato scardinando la

concetto vadano a contraddire. Si manifesta, dunque, un intreccio tra certezza delle situa- zioni giuridiche, irretroattività delle norme impositive e libertà del contribuente che, nella visione della Cassazione, consente di ripensare in chiave di esigenze di tutela l’intera pro- blematica concernente l’efficacia nel tempo delle norme tributarie. (36) Per la Cassazione la sproporzione tra risorse disponibile domande, l’ampiezza del numero di concorrenti, la velocità dei meccanismi di trasmissione informatica determi- na una selezione sostanzialmente casuale, che si esaurisce in un tempo brevissimo e produ- ce risultati dipendenti prevalentemente dalla potenza e sofisticatezza delle apparecchiature informatiche di cui dispongono i singoli contribuenti o i professionisti che li assistono. Ciò determina una disparità di trattamento (in ordine alla fruizione del credito d’imposta, ad alcuni concessa e ad altri negata) di situazioni eguali (di contribuenti tutti egualmente tito- lati di crediti di imposta derivanti da attività già avviate alla data del 29 novembre 2008) in base ad un criterio di priorità cronologica che, per le sue concrete modalità di attuazio- ne, non appare ragionevole. 542 DIRITTO E PRATICA TRIBUTARIA N. 4/2014 programmazione di bilancio delle imprese e in generale, dei cittadini (37). Questa riflessione ci offre il destro per tornare sull’overruling consisten- te nell’affermazione «retroattiva» del principio del divieto dell’abuso del di- ritto. Risulta evidente che l’applicazione di un principio la cui esistenza al- l’epoca della decisione della Commissione Tributaria Provinciale in commen- to, era negato non solo dalla dottrina e dall’Amministrazione finanziaria, ma perfino dalla quella stessa Corte di Cassazione che oggi ne afferma l’imma- nenza nell’ordinamento, finisce di regola per confliggere con una pluralità di principi e diritti che debbono connotare la posizione del contribuente nei suoi rapporti con il fisco, tra cui – come vedremo – quelli dell’affidamento, della buona fede, di irretroattività, dell’esercizio del diritto di difesa, dell’esercizio della libertà di iniziativa economica e, last but not least, i principi di ugua- glianza e di capacità contributiva. Come rettamente evidenziato nella sentenza del giudice di merito, il punto in questione non attiene alla rilevabilità d’ufficio del divieto dell’abuso del diritto in sé (cfr., inter alia, Cassazione SS.UU., n. 30055 del 2008) (38), ma alla sua applicazione a fatti intervenuti quando tale principio non era an- cora ritenuto esistente nel mondo del diritto. Il che è suscettibile di risolversi in un’incongrua imposizione retroattiva di principi e clausole generali che all’epoca della condotta censurata del con- tribuente non erano riconoscibili come cogenti. Orbene, in questa ipotesi – a differenza di quanto avvenuto nelle senten- ze n. 151441 e n. 22282 del 2011 – il contribuente non ha un interesse pre- tensivo di natura processuale o procedimentale ad agire per l’ottenimento di un bene della vita (come nel caso del rimborso del tributo indebitamente ver- sato), ma – come nel caso dell’ordinanza appena citata, relativa al credito d’imposta – un interesse «oppositivo» a non vedere pregiudicato l’assetto di interessi economici regolato prima del mutamento giurisprudenziale ed effet- tuato in base al legittimo affidamento che la fattispecie posta in essere al- l’epoca era legittima e/o non confliggente con alcuno dei principi fondanti il sistema fiscale. Sennonché, la posizione sin qui tenuta dalla Corte di Cassazione nel- l’overruling sull’abuso del diritto diverge sensibilmente non solo dall’orienta- mento espresso in tema di interessi pretensivi (sentenze n. 15444 e n. 22282 del 2011), ma anche dalla posizione condivisibilmente tenuta dallo stesso giu- dice nell’ordinanza interlocutoria n. 9026 del 2013. Lo si desume chiaramente dalla sentenza n. 2193 del 16 febbraio

(37) E in tale occasione citando Corte cost., n. 211 del 1997 sulla non ripetibilità di diritti quesiti (prestazioni già conseguite dagli aventi diritto) in materia pensionistica. (38) Nel processo tributario, pur essendo l’oggetto del giudizio delimitato dalle ra- gioni poste a fondamento dell’atto di accertamento, il tema relativo all’esistenza, alla vali- dità ed all’opponibilità all’Amministrazione finanziaria del negozio da cui si assume che originino determinate minusvalenze deve ritenersi acquisito al giudizio per effetto dell’alle- gazione da parte del contribuente, il quale è gravato dell’onere di provare i presupposti di fatto per l’applicazione della norma da cui discende l’invocata diminuzione del reddito d’impresa imponibile: ne consegue, anche in ragione dell’indisponibilità della pretesa tri- butaria, la rilevabilità d’ufficio delle eventuali cause di invalidità o di inopponibilità del negozio stesso, sempre che ciò non sia precluso, nella fase di impugnazione, dal giudicato interno eventualmente già formatosi sul punto o (nel giudizio di legittimità) dalla necessità di indagini di fatto. PARTE SECONDA 543

2012 (39). Alla parte che eccepiva l’inapplicabilità retroattiva dell’art. 37-bis del d.p.r. n. 600 del 1973 a fattispecie verificatesi prima dell’ampliamento della sua sfera applicativa all’ipotesi oggetto di accertamento (il pagamento di interessi a favore di soggetti controllati direttamente o indirettamente da uno più soggetti non residenti in uno Stato UE) (40), il Giudice di ultima istanza ha risposto osservando che, comunque, Ciò non esclude, [...], il potere del- l’amministrazione di contestare la deducibilità della componente passiva esposta dalla contribuente, ritenendola inopponibile, in forza del generale principio antielusivo, immanente nell’ordinamento, e la cui fonte va rinvenuta nei principi di capacità contributiva e di progressività dell’imposizione, di cui all’art. 53 Cost., 1o e2o comma. Inoltre, La circostanza che siano disci- plinate specifiche norme antielusive non contrasta con l’individuazione nel- l’ordinamento del cennato principio antielusione, ma, anzi, conferma l’esi- stenza di una regola generale in tal senso. Dunque, il principio di capacità contributiva è considerato il principale parametro costituzionale cui correlare l’applicazione del principio del divieto dell’abuso del diritto anche a fattispe- cie sorte in un periodo in cui il contribuente non aveva (né poteva avere) in buona fede sentore della sua esistenza. In quest’ottica, il contribuente non po- trebbe «paralizzare» la richiesta del fisco provando che tale capacità contribu- tiva non è più esistente al momento dell’applicazione per principio dell’abuso del diritto. Infatti, un conto è l’applicazione di una nuova norma impositiva a fattispecie verificatesi prima della sua entrata in vigore (nel qual caso occorre valutare se la capacità contributiva sia attuale, concreta ed effettiva affinché non sia spezzato il nesso che deve esistere tra l’imposizione e la presenza di una potenzialità espressiva di ricchezza, avendo riguardo anche alla «prevedi- bilità» della nuova norma impositiva) (41), un altro conto è ritenere – come fa la Cassazione – che non si tratta di un’applicazione retroattiva di nuove norme, ma di effetti prodotti da una decisione che «dichiara» (i.e. accerta) l’esistenza di un principio immanente all’ordinamento italiano e costituente il corollario dell’art. 53 della Costituzione. Con riferimento specifico alla sentenza della Commissione Tributaria Provinciale di Cosenza, è evidente che se il thema decidendi fosse stato l’ap- plicazione retroattiva di una nuova norma tributaria, il lungo lasso di tempo intercorso tra la fattispecie oggetto di accertamento (risalente al 1994) e il giudizio di riassunzione in cui l’ufficio aveva dedotto il principio del divieto dell’abuso del diritto avrebbe richiesto che si verificasse l’eventuale soluzione di continuità del nesso tra imposizione e capacità contributiva. E ciò, presumibilmente, avrebbe potuto condurre ad un esito favorevole al contribuente sul punto, conformemente all’indirizzo della Consulta secondo

(39) Reperibile in banca dati fisconline. Per un esame della sentenza presa base per una considerazione più ampia del rapporto tra abuso del diritto tributario ed irretroattività, si vedano, inter alia, S. Dorigo, Il divieto di retroattività delle norme tributarie: spunti ri- costruttivi a partire da una recente sentenza sull’abuso del diritto,inRiv. dir. trib., 2013, 603 e ss., e G. Marongiu, Abuso del diritto vs. irretroattività,inRass. trib., 2012, 1151. (40) In particolare, il fisco affermava che avesse natura elusiva il riconoscimento di una parte d’interessi nel periodo 1999-2000 in favore dei soci finanziatori residenti in USA ai sensi del d.p.r. n. 600 del 1973, art. 37-bis, n. 3, lett. f-ter, disposizione entrata in vigore ex d.lgs. n. 143 del 2005, art. 1, 1o comma, lett. d), a decorrere dal 1 aprile 2004 (d.lgs. n. 143 del 2005, art. 3 cit.). (41) Sul punto si veda, ex multis, Corte cost., 26 giugno 1964, n. 45 e 19 giugno 1995, n. 14. 544 DIRITTO E PRATICA TRIBUTARIA N. 4/2014 cui, dovendosi avere riguardo anche alla prevedibilità dell’imposizione, tale nesso deve ritenersi spezzato quando una norma colpisce retroattivamente un fatto intervenuto in tempi assai remoti (42). D’altra parte, al di là del caso di specie, è stato più volte rilevato che la «fles- sibilità» del principio di capacità contributiva – così come inteso dalla Consul- ta – ha comportato che il principio di irretroattività sia divenuto l’eccezione an- ziché la regola, poiché trova il suo solo limite nell’attualità della manifestazio- ne di ricchezza espressiva del precetto costituzionale, con quanto ne consegue in termini di incertezza dei rapporti giuridici per il contribuente (43).

4. – Per una revisione dell’orientamento della Cassazione in tema di overru- ling. Le criticità legate all’esclusiva applicazione degli artt.3e53della Costituzione e la necessità di una completa ponderazione degli interessi e dei valori costituzionali

Due sono le osservazioni critiche che possono muoversi all’orientamento assunto dal giudice di legittimità sull’overruling in tema di divieto dell’abuso del diritto. La prima risiede nell’approccio seguito nell’applicazione del principio nel caso di specie. I Giudici di legittimità ritengono che il principio sia applicabile diretta- mente alle fattispecie ritenute abusive (atti, fatti o negozi giuridici) sulla sola base dell’art. 53 della Costituzione, norma che definendo i parametri cui deve conformarsi la «giusta imposta» sarebbe idonea ex se a consentire un giudizio di legittimità delle condotte fiscali poste in essere dai contribuenti. Non si può non dissentire da questa impostazione. L’art. 53 richiede, per sua natura (almeno nella sua configurazione attualmente prevalente) (44),

(42) Cfr. Corte cost., 23 maggio 1966, n. 44, che ha pronunciato l’illegittimità costi- tuzionale dell’art. 25 della l. n. 246 del 1963, introduttiva della tassazione ai fini della abrogata invim sulle aree fabbricabili ai sensi dell’art. 53 della Costituzione. Nello specifi- co, la Consulta aveva affermato che il rapporto tra imposizione e capacità contributiva ri- sultava spezzato dalla disposizione che consente ai Comuni di applicare l’imposta a carico di coloro che abbiano alienato le aree (...) prima dell’entrata in vigore della legge (2o comma dell’art. 25) posto che ciò comporta l’applicazione dell’imposta a rapporti esauriti, senza che questa efficacia retroattiva della norma sia sorretta da alcuna razionale presun- zione che gli effetti economici dell’alienazione, e del valore realizzato con essa, permango- no nella sfera patrimoniale del soggetto, data anche la possibilità che l’alienazione sia av- venuta in un tempo notevolmente remoto, in cui non era neanche prevedibile l’istituzione dell’imposta (sottolineato nostro). (43) Da ultimo, sul punto si veda S. Dorigo, Il divieto di retroattività delle norme tributarie: spunti ricostruttivi a partire da una recente sentenza sull’abuso del diritto, op. cit., 624-628. (44) In tal senso V. Ficari, Clausola generale antielusiva, art. 53 della Costituzione e regole Giurisprudenziali,inRass. trib., 2009, 390 e ss., il quale osserva che tale norma costituzionale ha, in realtà, la funzione di limitare il potere legislativo di imposizione al- l’effettività ed attualità della capacità economica: ad esso non si è, ancora, pensato come ad una norma idonea ad attribuire, in assenza di un intervento del legislatore, anche un potere amministrativo a fronte di un assetto normativo nazionale esistente e strutturato in termini di analiticità e tassatività di poteri e di operazioni sindacabili. Nello stesso senso R. Lupi - D. Stevanato, Tecniche interpretative e pretesa immanenza di una norma genera- le antielusiva,inCorr. trib., 2009, 409. PARTE SECONDA 545 l’interposizione di una norma di legge, posto che esso opera in prima battuta come parametro di legittimità di atti aventi forza e valore di legge che, nel ri- spetto del principio di legalità (cfr. l’art. 23 della Costituzione) (45) e della divisione dei poteri, debbono conformarsi al dettato costituzionale e, nello specifico, al contenuto della citata disposizione così come emerso dal lungo processo di elaborazione giurisprudenziale della Consulta. In questa prospettiva, non può non condividersi quanto a suo tempo af- fermato da un’autorevole dottrina, secondo cui l’effetto dell’art. 53 della Co- stituzione non si riverbera direttamente sulla fonte normativa-contratto, ma sulla fonte normativa legge. (...) (46). E che questa sia la corretta interpretazione della disposizione costituzio- nale lo si desume anche dalle incongruenze cui porta l’applicazione diretta del principio del divieto dell’abuso del diritto (i.e. di un corollario del princi- pio di capacità contributiva). Infatti, qualora il contribuente ritenesse che l’applicazione del principio ad una determinata fattispecie impositiva (ad esempio in presenza di overru- ling) fosse costituzionalmente illegittima, si troverebbe in evidente difficoltà nel sollevare la questione di costituzionalità, poiché il principio (che non è ovviamente «atto» avente forza e valore di legge) non sarebbe di per sé im- pugnabile avanti alla Consulta. E sulle perplessità che solleva tale tesi non abbiamo bisogno di aggiungere nulla che non sia già stato efficacemente evi- denziato da altri (47). Alla stregua di quanto detto, l’unica strada percorribile per «disinnesca- re» l’operatività dell’overruling in relazione al passato sarebbe quella di veri- ficare e di dimostrare che, nel caso di specie, tale principio costituzionale ri- sulta recessivo rispetto ad altri principi di pari rango costituzionale. Il che, a ben vedere, comporta la valutazione e il bilanciamento degli in- teressi e dei valori costituzionali rilevanti nel caso di specie. La singolarità è data dal fatto che, mentre in occasione delle sentenze n.

(45) Circa l’indisponibilità dell’obbligazione tributaria e l’inderogabilità dell’attività impositiva trovino fondamento sia nell’art. 53 che nell’art. 23 della Costituzione, si vedano, tra gli altri e senza alcuna pretesa di completezza, G. Falsitta, Manuale di diritto tributario, Parte generale, Padova, 2008, 160 e ss. (46) Così F. Moschetti, Profili generali, in AA.VV., La capacità contributiva, a cura di F. Moschetti, Padova, 1993, 14 e ss. (specie 17), il quale prosegue affermando che Se quest’ultima lascia spazi non tassati, manca la norma di legge imperativa (ex art. 1344 c.c.) che imponga una prestazione patrimoniale (ex art. 23 Cost.); ergo l’autonomia priva- ta non è intaccata e può liberamente esplicarsi senza che sussistano i presupposti di appli- cazione dell’art. 1344 c.c. (47) Ci riferiamo a G. Marongiu, Abuso del diritto vs. irretroattività, op. cit., 1151 e ss. Cfr., in particolare, 1159-1160: un contribuente che volesse denunciare il possibile con- trasto tra l’applicazione retroattiva del principio antielusivo, non sancito in una norma di legge, e il primo comma dell’art. 53 Cost. non saprebbe in concreto come articolare la de- nuncia. Denuncerebbe un principio, ma formulato da chi e con quali parole? E su cosa verterebbe il giudizio della Corte costituzionale e rientrerebbe esso (il principio) nel sinda- cato di costituzionalità previsto dall’art. 134 Cost.? E se così non fosse, potrebbe ammet- tersi che vige nell’ordinamento un principio che potrebbe ferire il principio di capacità contributiva, sancito dall’art. 53 Cost., ma non denunciabile alla Corte costituzionale, per- ché non ricompreso nella locuzione «leggi e atti aventi forza di legge» di cui all’art. 134 Cost.? Ipotesi che, al solo formularla, pone interrogativi tali che dovrebbero fare recedere dalla tesi secondo la quale esisterebbero principi generali, vaghi e ondivaghi, non consa- crati da e non fondati su precise statuizioni normative. 546 DIRITTO E PRATICA TRIBUTARIA N. 4/2014

15444 e n. 22282 del 2011, il Giudice di ultima istanza ha effettuato tale bi- lanciamento ed eliminato gli effetti pregiudizievoli del mutamento sopravve- nuto e imprevedibile dell’orientamento giurisprudenziale, nella sentenza n. 2193 del 2012 la soluzione è stata assai tranchant, poiché si è considerato ed applicato il solo art. 53 Cost. senza chiedersi se fosse legittimo che ciò avve- nisse senza l’intermediazione di disposizioni aventi forza e valore di legge (espressive del principio di legalità e della compiuta applicazione del princi- pio della separazione dei poteri) e senza verificare la presenza di eventuali principi costituzionali equiordinati o sovraordinati a quello di capacità contri- butiva, idonei a consentire la disapplicazione del principio del divieto del- l’abuso del diritto nel singolo caso concreto (48). È evidente lo stridore tra il ragionamento seguito dai Giudici di Piazza Ca- vour in tema di divieto dell’abuso del diritto tributario e quello risultante dalla sentenza n. 15144 del 2011, in occasione della quale si è dichiarato che ciò che non è consentito alla legge non [può] similmente essere consentito alla giurispru- denza e che i mutamenti sopravvenuti e imprevedibili non possono vanificare l’af- fidamento ingenerato (...) da un pregresso indirizzo ermeneutico. D’altronde, che senso ha parlare di capacità contributiva attuale, effettiva e reale quando l’applicazione retroattiva (nei fatti) del principio del divieto dell’abuso consente di riprendere a tassazione fattispecie assai remote e in re- lazione alle quali l’esistenza di un nesso attuale tra il fatto espressivo di capa- cità contributiva e la persistenza della ricchezza appare quanto meno dub- bia? (49) E fino a che punto è possibile escludere con certezza che, stante l’assen- za di una norma legislativa interposta e dunque di un sindacato di costituzio- nalità avanti alla Consulta, l’interpretazione di una data fattispecie come abu- siva non sia in realtà costituzionalmente illegittima proprio alla luce del para- metro costituzionale di capacità contributiva? E ancora: tale anomalia non dovrebbe costituire indizio della patologia dell’attuale situazione, in cui il principio del divieto dell’abuso del diritto di- viene – in concreto – una clausola generale dai contorni indefiniti che con- sente al fisco di eccepire l’elusività di una data condotta intervenuta diversi anni addietro persino nella fase del giudizio di Cassazione (o, come è avve- nuto nella sentenza della CTP in commento, nel giudizio di riassunzione) e pone il contribuente nell’impossibilità di veder tutelato il suo affidamento nella situazione di fatto e di diritto anteriore all’overruling?

5. – Il giudizio di bilanciamento dei valori e degli interessi costituzionali coinvolti in tema di overruling sul divieto dell’abuso del diritto. Il ruolo dell’affidamento e della buona fede oggettiva in relazione agli effetti «re- troattivi» dell’interpretazione correttiva Dunque, centrale rilievo assume il modus operandi che avrebbe dovuto

(48) In sostanza senza effettuare un’analisi della corretta applicazione del principio ex art. 53 Cost. e senza compiere una comparazione analoga a quella che, ad esempio (sep- pure a scopo puramente illustrativo delle aporie e delle criticità che connotano la tesi espressa dalla Corte di Cassazione) fatta da Marongiu, Abuso del diritto vs. irretroattività, op. cit., in relazione ai principi di irretroattività e di affidamento. (49) Questo ci sembra il senso della critica mossa da G. Marongiu, op. cit., 1159 e (soprattutto) 1160. PARTE SECONDA 547 essere adottato nell’overruling sull’abuso del diritto e che si incentra sulla va- lutazione dei principi e dei valori costituzionali rilevanti nel caso di specie. Tuttavia, di ciò nella sentenza n. 2193 del 2012 non vi è traccia. L’affer- mazione monolitica del principio di capacità contributiva come unico ed auto- sufficiente profilo che giustifica e fonda l’applicazione ora per allora del principio del divieto dell’abuso del diritto – temperata unicamente dal princi- pio di ragionevolezza – urta con una corretta (e completa) esegesi del dettato costituzionale (50) che, come rilevato anche di recente, richiede di verificare la fattispecie alla luce dell’insieme armonico e combinato dei diversi principi costituzionali che assumono rilevanza nel caso di specie (51). Del resto, basta leggere le sentenze della Corte costituzionale per render- si conto di come la retroattività di disposizioni di legge, oltre a dover trovare giustificazione sul piano della ragionevolezza, debba evitare di porsi in con- trasto con il complesso dei valori e degli interessi costituzionalmente protetti in modo da non incidere arbitrariamente su situazioni sostanziali disciplinate da leggi precedenti. Ma se questo è vero in presenza di una tipica ipotesi di interpretazione evolutiva, a maggior ragione dovrà esserlo nel caso di overruling (i.e. di in- terpretazione correttiva). Quindi, la valutazione e ponderazione di tutti i valori e i principi costitu- zionali coinvolti è attività funzionale e strumentale alla comprensione della posizione che deve essere tenuta nel caso di specie e alla verifica circa l’estensibilità dell’overruling anche a fattispecie precedenti alla sua afferma- zione. Tuttavia, a questo punto occorre chiarire se e con quali modalità l’intera- zione dei valori costituzionali rilevanti comporti nel caso in esame l’irretroat- tività dell’overruling. Sul punto riveste rilievo decisivo la prospettiva in cui viene valutato il principio di capacità contributiva (a sua volta estrinsecazione di quello di uguaglianza sostanziale) in relazione ad altri principi e valori che nella fattis-

(50) Cfr., inter alia, M. Beghin, Evoluzione e stato della giurisprudenza tributaria: dalla nullità negoziale all’abuso del diritto nel sistema impositivo negoziale, in AA.VV., Elusione ed abuso nel diritto tributario,inQuaderni di diritto tributario, a cura di G. Mai- sto, Milano, 2009, 23 e ss., specie 48 (contributo riportato in M. Beghin, L’elusione fiscale e il principio del divieto dell’abuso del diritto, Padova, 2013, 352 e ss.) in cui si afferma che una corretta attività ermeneutica in chiave antielusiva è attenta ai principi costituziona- li se non è «monolitica», costruita unicamente sul binario degli artt. 3 e 53, dovendo, al contrario, dimostrare quell’equilibrio che è indispensabile per garantire non soltanto la giustizia tributaria, ma anche i rapporti tra fisco e contribuente. Insomma, l’uguaglianza e la capacità contributiva non possono trasformarsi in un livellatore cieco e non possono di- struggere quella certezza che è garantita attraverso il rispetto del principio della riserva di legge. (51) S. Dorigo, Il divieto di retroattività delle norme tributarie: spunti ricostruttivi a partire da una recente sentenza sull’abuso del diritto, op. cit., 603 e ss., specie 633-638, valorizza particolarmente questo profilo, al punto che afferma la sussistenza di un principio di coerenza del sistema dei valori costituzionali fondanti il principio garantistico di retroat- tività superabile solo qualora la retroattività della norma tributaria sia necessitata dalla stes- sa sopravvivenza dello Stato, ossia da crisi finanziaria improvvisa e dirompente tale da mettere in pericolo la sopravvivenza stessa dell’ordinamento. In sostanza la retroattività sa- rebbe giustificata solo dallo stato di necessità (per una sua definizione e trattazione nel- l’ambito dei rapporti tra fisco e contribuente cfr. E. Della Valle, Affidamento e certezza nel diritto tributario, Milano, 2001, 99). 548 DIRITTO E PRATICA TRIBUTARIA N. 4/2014 pecie svolgono una funzione per così dire «sinergica», in primis quelli invio- labili della persona. Ancorché il principio di irretroattività, previsto espressamente dalla l. n. 212 del 2000 (cfr. art. 1, 1o comma, ai sensi del quale le disposizioni tributa- rie non hanno effetto retroattivo) non assuma rilevanza costituzionale al di fuori della materia penale (art. 25, 2o comma Cost.) (52) e la Consulta neghi alle disposizioni dello Statuto dei diritti del contribuente che richiamano tale principio il ruolo di norme interposte idonee a fungere da parametro di costi- tuzionalità delle leggi (53), esso costituisce comunque indubbio cardine della civile convivenza e della tranquillità dei cittadini nonché un fondamentale va- lore di civiltà giuridica e principio generale dell’ordinamento (54) cui il legi- slatore deve, in linea di principio, attenersi (55) onde garantire la certezza dei rapporti giuridici. Con riferimento, invece, ai diritti fondamentali tutelati dalla Costituzione non è inutile rammentare che in tanto può esservi libertà in quanto siano chiaramente individuati i limiti che non possono essere oltrepassati, poiché nel momento in cui il soggetto è posto in condizioni di valutare tutte le con- seguenze che produce il suo agire esso è altresì in grado di agire nella liber- tà (56). Ciò consente di comprendere agevolmente la stretta correlazione esisten- te tra l’esigenza di certezza dei rapporti giuridici e i principi dell’affidamento e di irretroattività. Infatti, poiché un limite è conoscibile se certo, allora è necessaria la sta- bilità del dato normativo con cui ci si confronta, sia ai fini dell’esplicazione della propria personalità che del libero esercizio dell’attività economica.

(52) La Consulta è costante nell’affermare come lo stesso non sia stato tuttavia ele- vato a dignità costituzionale ad eccezione di quanto stabilito dall’art. 25 Cost., limitata- mente alle leggi in materia penale (sentenze n.6en.397del1994, n. 432 del 1997, n. 229 e n. 416 del 1999, n. 419 del 2000, n. 374 del 2002, n. 291 del 2003). (53) Si veda, da ultimo, sentenza n. 247 del 25 luglio 2011, sull’eccepita questione di non manifesta infondatezza delle disposizioni che prevedevano il raddoppio dei termini dell’accertamento in relazione a reati che prevedono l’obbligo di denuncia in materia pena- le. Si è affermato per l’ennesima volta che l’art.3elealtre disposizioni dello Statuto dei diritti del contribuente non hanno rango costituzionale né possono costituire come norme interposte un parametro per valutare la legittimità costituzionale di altre disposizioni di leg- gi statali. Diversamente sembra muoversi la Cassazione, come si evince dalla sentenza n. 7080 del 2004, citata più oltre trattando del principio di affidamento in materia tributaria. (54) Sulla ricerca di un fondamento costituzionale dell’irretroattività oltre il limite espresso di cui all’art. 25 Cost., cfr. inter alia, la disamina offerta da V. Mastroiacovo, I li- miti alla retroattività nel diritto tributario,inL’ordinamento tributario italiano, a cura di G. Falsitta e A. Fantozzi, Milano, 2005, 77 e ss. (55) Cfr. Corte cost., 4 aprile 1990, n. 155, reperibile in banca dati fisconline. Signi- ficativa Cass., sez. trib., 12 febbraio 2002, n. 17576, in banca dati fisconline: proprio per- ché alle specifiche clausole rafforzative di auto-qualificazione dello Statuto deve essere at- tribuito un preciso valore normativo e interpretativo (...) ogni qualvolta una normativa fi- scale sia suscettibile di una duplice interpretazione, una che ne comporti la retroattività e una che la escluda, l’interprete dovrà dare preferenza a questa seconda interpretazione co- me conforme ai criteri generali introdotti con lo Statuto del contribuente e attraverso di essi ai valori costituzionali intesi in senso ampio e interpretati direttamente dallo stesso le- gislatore attraverso lo Statuto. (56) Ci riferiamo alla sempre valida affermazione di T. Ascarelli, Certezza del diritto ed autonomia delle parti nella realtà giuridica,inDir. dell’economia, 1956, 1238. PARTE SECONDA 549

La difficoltà o l’impossibilità di prevedere quale sarà il quadro normativo futuro e se sarà modificato dal legislatore con riferimento alla situazione in re- lazione alla quale lo stesso si è determinato, introduce un elemento di instabili- tà e di incertezza che mina quella libertà e può – in taluni casi – vanificarla. Orbene, l’esito di questa complessa e delicata ponderazione nel caso di overruling si lega in parte al sistema di valori e all’impostazione ideologica con cui l’interprete effettua l’attività ermeneutica del dettato costituzionale. Per chi parte dalla considerazione che al centro del campo di battaglia della questione di legittimità della norma tributaria retroattiva (57) va posto l’art. 3 della Costituzione (seppure in concorso con altri valori) (58) e valo- rizza il profilo solidaristico della Carta costituzionale, il sacrificio del contri- buente determinato da una disposizione di legge soggetta al limite «ordina- rio» della ragionevolezza e a quello «estremo» della tutela dei diritti inviola- bili, postula una sorta di «affievolimento» di questi ultimi sotto il peso pre- ponderante di molteplici interessi pubblici (59). In questa prospettiva, l’accento è posto sul rischio che l’applicazione re- troattiva di una norma tributaria sia considerata sempre e comunque illegitti- ma in base ad una sorta di inviolabilità della capacità contributiva, portato di una visione meramente ablatoria della decurtazione patrimoniale (60). In realtà, si potrebbe obbiettare che in tanto l’affidamento trova realizza- zione grazie al principio di uguaglianza sostanziale ex art. 3 Cost., in quanto vi sia parità di trattamento in presenza di situazioni sostanzialmente eguali, mentre l’introduzione di regole a partita iniziata (61) modifica la fisiologica attuazione del rapporto giuridico d’imposta e determina delle disuguaglianze tra chi agisce dopo l’introduzione della norma e chi ha agito prima, regolan- do l’assetto dei propri interessi economici in base allo status quo ante (62).

(57) Non diverso è il problema che si pone con riferimento all’interpretazione «cor- rettiva», come affermato espressamente dalla stessa Corte di Cassazione nella citata senten- za n. 15444 del 2011. (58) In questi termini si esprime, ad esempio, V. Mastroiacovo, I limiti alla retroat- tività nel diritto tributario,inL’ordinamento tributario italiano, 2005, 217, per la quale l’irretroattività è lo strumento per realizzare la tutela dell’affidamento, a sua volta proiezio- ne del principio di uguaglianza sostanziale (Id., op. cit., 116). Nel senso di una tendenziale «flessibilità» si era già pronunciato A. Fedele, Art. 23, in Commentario costituzione,(acu- ra di G. Branca), Bologna-Roma, 1978; Id., La riserva di legge,inTrattato di diritto tribu- tario (a cura di A. Amatucci), I, Padova, 1994, 168 e ss. F. Amatucci, L’efficacia nel tem- po della norma tributaria, Milano, 2001, 116, rileva che la tutela del legittimo affidamento e il suo collegamento con l’art. 53 Cost. filtrati attraverso una visione solidaristica non rap- presentano una novità perché costituiscono la conseguenza logica della sussistenza della condizione di prevedibilità esaminata dalla stessa giurisprudenza della nostra Corte costi- tuzionale nella verifica di legittimità delle leggi tributarie retroattive. (59) Sempre V. Mastroiacovo, op. cit., 92, che cita P. Barile, Diritti dell’uomo e li- bertà fondamentali, Bologna, 1985, 277 e osserva che la «cedevolezza» della libertà di do- micilio a fronte di interessi economici e fiscali sancita dalla stessa Costituzione conferme- rebbe tale assunto. (60) V. Mastroiacovo, loc. cit. (61) Con questo efficace inciso si esprime A. Contrino, Sull’efficacia temporale..., 81. (62) Cfr. S. Dorigo, op. cit., 631, il quale rileva che ciò avviene invece laddove alcu- ni contribuenti siano forzatamente assoggettati ad un nuovo regime, non esistente al mo- mento in cui essi hanno assunto le proprie scelte economiche, subendone quindi gli effetti a differenza di coloro che, successivamente alla legge, possono modellare i comportamenti sulla base di questa. G. Marongiu, op. cit., evidenzia, invece, come la violazione del prin- 550 DIRITTO E PRATICA TRIBUTARIA N. 4/2014

Inoltre, se è vero che in una specifica ipotesi è la stessa Costituzione a sta- bilire la «recessività» di un diritto fondamentale in favore dell’attuazione di in- teressi pubblici (è il caso dell’art. 14, 2o comma, che in tema di inviolabilità del domicilio dispone che Gli accertamenti e le ispezioni per motivi di sanità e di incolumità pubblica o a fini economici e fiscali sono regolati da leggi speciali.), ci sembra che dall’espressa indicazione di tale limitazione si possa piuttosto ar- gomentare l’eccezionalità di tale previsione, inidonea a fondare l’idea che sia im- manente a livello costituzionale la regola dell’affievolimento di libertà fondamen- tali in favore di interessi pubblici di natura economica (63). Viceversa, i fautori della tesi maggiormente garantista, che valorizza (tra l’altro) i diritti fondamentali della persona, non ammettono un loro affievoli- mento in presenza di un’applicazione retroattiva (i.e. l’interpretazione corretti- va con effetti sostanzialmente retroattivi) della norma tributaria perché vedo- no in ciò una compressione illegittima di tali diritti e risolvono tendenzial- mente il conflitto in favore del contribuente in base ad una pluralità di valori e principi intrecciati tra loro, tra cui i più rilevanti sono quelli di irretroattivi- tà, dell’affidamento (64) e della buona fede oggettiva, la quale può essere de- finita come un obbligo di condotta corretta, leale, solidale, onesta, una rego- la di cooperazione e di rispetto del reciproco affidamento (65). Nello specifico, l’applicazione del principio di irretroattività viene rite- nuta strumentale all’attuazione del principio di tutela dell’affidamento da al- cuni (66) e di quello della buona fede oggettiva da altri (67).

cipio di irretroattività determina l’inosservanza di quello stesso principio di capacità contri- butiva che fonda il divieto di abuso del diritto e che a sua volta postula che non si legiferi con efficacia retroattiva onde evitare che assumendo a presupposto della prestazione un fat- to o una situazione passata o con l’innovare, estendendo i suoi effetti al passato, gli ele- menti dai cui la prestazione trae i suoi caratteri essenziali, si spezzi quel rapporto che la Consulta afferma dover sussistere tra imposizione e capacità contribuiva. (63) Ci riferiamo all’argomento fatto valere ad abundantiam da V. Mastroiacovo, op. cit., 92, nota 37, per corroborare la tesi dell’affievolimento. Tra l’altro, la compressione del diritto fondamentale non attiene direttamente all’art. 53 della Costituzione ma ad obblighi procedimentali strumentali a tale disposizione. (64) Si è rilevato come l’affidamento consista nello stato psicologico di chi confida in qualcosa o qualcuno, mente la buona fede è riferibile sia ad uno stato psichico (buona fede soggettiva) che ad una regola di correttezza che vincola le parti a tenere un condotta leale e che mentre il 1o comma dell’art. 10, della l. n. 212 del 2000 si riferisce all’obbligo di buona fede, il 2o comma (sulla non applicabilità delle sanzioni e degli interessi) attiene all’affida- mento ingenerato dal fisco nei contribuenti: v. E. Della Valle, La tutela dell’affidamento del contribuente,inRass. trib., 2002, 461. In termini generali si veda F. Merusi, L’affidamento del cittadino, Milano, 1970, 35-265, per il quale la violazione dell’affidamento è ammissibi- le solo se l’irretroattività e l’attuazione della certezza del diritto contrastano con valori rite- nuti di rango non inferiore alle libertà individuali. Il bilanciamento degli interessi confliggen- ti sarà sindacabile dalla Consulta in base ai canoni della ragionevolezza. (65) Così M. Trivellin, Il principio di buona fede nel rapporto tributario,inL’ordina- mento tributario italiano, a cura di A. Fantozzi e G. Falsitta, Milano, 2009, 12, al quale si rin- via per una compiuta esposizione del tema e per la bibliografia. La nozione, ancorché voluta- mente generica, indica in modo efficace la relazione che deve intercorrere tra il fisco (e, più in generale lo Stato, anche come legislatore) da un lato e il contribuente dall’altro lato. (66) L’impostazione di questa corrente è ben chiara in S. Dorigo, op. cit., 632: l’af- fidamento è la ratio giustificativa dell’irretroattività della norma tributaria, che prevale on- de evitare che venga meno la fiducia del cittadino nel «contratto sociale» e sia minata la li- bertà di scelta, per cui la legge retroattiva sarebbe illegittima anche se andasse a colpire manifestazioni di capacità contributiva remote ma per avventura ancora nella disponibilità PARTE SECONDA 551

La Consulta ha affermato chiaramente che tra gli interessi costituzional- mente garantiti rientra l’affidamento del cittadino nella sicurezza giuridica che, quale essenziale elemento dello Stato di diritto, non può essere leso da disposizioni retroattive, le quali trasmodino in un regolamento irrazionale di situazioni sostanziali fondate su leggi precedenti (68). È evidente come tale principio rivesta centrale rilievo ai fini della com- piuta attuazione dei doveri di correttezza e di buona fede (69). Doveri che per la migliore dottrina fanno carico non solo all’Ammini- strazione finanziaria in fase applicativa (70), ma anche al legislatore tributario all’atto della emanazione delle norme (71).

del contribuente, e ciò proprio perché il fulcro della valutazione si è spostato sul diritto di libertà di questi di operare le proprie scelte nella perfetta consapevolezza delle conseguen- ze (conosciute o conoscibili, ma sempre in base a parametri esistenti al momento della re- lativa assunzione) che potranno scaturirne. (67) In questo senso cfr. F. Amatucci, L’efficacia nel tempo della norma tributaria, Milano, 2005, 110 ss., il quale specifica che la tutela dell’affidamento non consiste nella mera salvaguardia dello stato previsionale del contribuente, ma va inquadrata all’interno della buona fede oggettiva, principio costituzionale non scritto desumibile da una serie di disposizioni della Carta fondamentale (artt. 2, 41, 42 Cost.) (...) e dovrebbe garantire il contribuente anche da interventi legislativi sfavorevoli che incidono sui rapporti pendenti. L’affidamento legittimo non assicura sempre e comunque il rispetto della fiducia, ma ga- rantisce che questo venga sacrificato solo quando il legislatore, nel rispetto dei canoni del- la ragionevolezza, lo ritenga soccombente rispetto ad altri interessi costituzionalmente pro- tetti confliggenti. Ciò non determina una prevalenza assoluta ed incondizionata del princi- pio di affidamento in tutti i casi di retroattività. Occorre, peraltro, dare atto dell’opinione di chi ritiene che il principio di buona fede (quanto meno nella dimensione evincibile dallo Statuto dei diritti del contribuente) sembra avere una dimensione procedimentale, collocan- dosi in una prospettiva antecedente a quella del sorgere di rapporti tra contribuente e am- ministrazione. Cfr. E. Della Valle, Il principio di buona fede oggettiva e la marcia inarre- stabile dello statuto,inGT - Riv. giur. trib., 2003, 355 ss., nonché (in senso sostanzialmen- te adesivo) M. Trivellin, Il principio di buona fede nel rapporto tributario, op. cit., 310 e 314, per il quale il legislatore, mirando ad attuare gli artt. 3, 23, 53 e 97 Cost., sembra aver salvaguardato le esigenze di certezza collocando il ruolo della buona fede nel diritto procedimentale e non nella fase genetica del presupposto. (68) Corte cost., sentenze n. 525 del 2000 n. 416 del 1999, n. 211 del 1997, n. 390 del 1995, ed ordinanze n. 319 e 327 del 2001, reperibili in http://www.cortecostituziona- le.it/actionPronuncia.do. (69) Cfr. Cass., sez. trib., 30 marzo 2001, n. 4760, in banca dati fisconline, per la quale l’art. 3 dello Statuto del contribuente sul divieto di retroattività delle normative fi- scali si inquadra all’interno di un principio più generale di correttezza e di buona fede cui devono essere improntati i rapporti tra amministrazione e contribuente e che trova espres- sione non solo nell’art. 10 che ha per oggetto la tutela dell’affidamento e della buona fede, ma anche in una serie di altre norme dello Statuto, vale a dire nell’art. 6 sulla conoscenza e la semplificazione degli atti, nell’art. 7 sulla chiarezza e motivazione degli atti stessi, nell’art. 5 sull’informazione e sulla trasparenza delle disposizioni tributarie. (70) Cfr. la medesima sentenza del 14 aprile 2004, n. 7080, in cui si afferma che la l. n. 212 del 2000 e i principi generali che essa sancisce, richiedono di privilegiare ogni qual volta sia possibile, (...), una interpretazione delle norme tributarie – anche se preesi- stenti (allo Statuto) e anche se da applicare a fattispecie verificatesi antecedentemente – che sia conforme ai principi di correttezza e di buona fede che debbono essere osservati reciprocamente da entrambe le parti nei rapporti tra fisco e contribuente. (71) Si vedano gli artt.2e3,riguardanti – rispettivamente – i criteri di chiarezza e trasparenza previsti per le disposizioni tributarie e il divieto di darvi effetto retroattivo. Cfr. Cass., sez. trib., 14 aprile 2004, n. 7080, in banca dati fisconline. Nel senso che il principio 552 DIRITTO E PRATICA TRIBUTARIA N. 4/2014

In questa prospettiva, il principio di irretroattività dovrà essere vagliato non solo alla luce dell’art. 3 della Costituzione, ma anche avendo riguardo (e valorizzando) altre disposizioni costituzionali, quali l’art. 2, in base al quale debbono essere riconosciuti e garantiti i diritti inviolabili dell’uomo, sia come singolo sia nelle formazioni sociali ove si svolge la sua personalità (72), l’art. 24 (73), che garantisce a tutti il diritto di agire in giudizio per la tutela dei propri diritti e interessi legittimi e qualifica la difesa come diritto inviolabile in ogni stato e grado del procedimento, l’art. 41, che afferma la libertà di ini- ziativa economica (74) e l’art. 97, che assoggetta a riserva di legge relativa l’organizzazione dei pubblici uffici in modo che siano assicurati il buon anda- mento e l’imparzialità della P.A. (75). Seguendo questo orientamento, la retroattività di una disposizione tribu- taria sarà ammissibile solo nei rari casi in cui, in base al criterio di ragione- volezza, l’affidamento del contribuente risulti soccombente nei confronti di altri interessi costituzionalmente rilevanti aventi rango non inferiore alle liber- tà individuali (76).

di buon fede inteso in senso oggettivo sia immanente ad una serie di disposizioni costitu- zionali e vincoli anche il legislatore tributario cfr. Marongiu, Abuso del diritto vs. irretroat- tività, op. cit.; E Amatucci, L’efficacia nel tempo della norma tributaria, op. cit., 110. (72) Per un esame della relazione esistente tra irretroattività e tutela dei diritti invio- labili dell’uomo cfr., inter alia, Moschetti, Il principio di capacità contributiva, Padova, 1973, 325; Merusi, Buona fede a affidamento nel diritto pubblico, Milano, 2001. Sostiene tale posizione anche S. Dorigo, op. cit., 635. (73) Sul profilo si veda Marcheselli, La presunzioni nel diritto tributario, Torino, 2008, 117. Nel caso di specie, la garanzia dell’esercizio del diritto difesa ex art. 24 Cost. si esprimerà non solo e non tanto nel garantire al contribuente i mezzi idonei a poter far va- lere le proprie difese in sede giurisdizionale contro la sopravvenuta pretesa impositiva cau- sata dall’overruling, quanto piuttosto (se ci si passa l’espressione) nel diritto a non doversi difendere da una fattispecie non preventivata come oggetto di contenzioso e in relazione al- la quale il contribuente non ha approntato ab origine gli strumenti (anche documentali) per un’adeguata difesa ex post, posto che esso confidava nella ragionevole prospettiva di non essere coinvolto in una situazione conflittuale con il fisco. Cfr. S. Dorigo, op. cit., 636, che parla invece di esigenza di tutela procedurale del contribuente al quale sia imposto un one- re sopravvenuto che al momento dei fatti non sussisteva e per il quale potrebbe non aver provveduto. (74) Essa comporta che l’attività economica (negoziale e materiale) sia estrinsecazio- ne di un principio mediato dalla funzione sociale (i.e. non può svolgersi in contrasto con l’utilità sociale). Nella pianificazione dell’attività di impresa l’esigenza di certezza dei rap- porti giuridici comporta la valorizzazione del principio tempus regit actum. Ciò implica che, specie in relazione all’attività d’impresa, tale principio, rafforzato da quello della libe- ra esplicazione della personalità nei vari ambiti sociali ex art. 2 della Costituzione, debba condurre alla preservazione dello status quo anche contro modifiche del trattamento fiscale derivanti dall’overruling. Cfr. G. Falsitta, Manuale di diritto tributario, Milano, 2010, 114, per il quale La legislazione tributaria retroattiva, alterando ex post il costo fiscale delle scelte economiche imprenditoriali, vulnera quel quadro di certezze su cui l’operatore eco- nomico deve poter fare affidamento nei suoi investimenti e finisce per confliggere col para- metro racchiuso nell’art. 41 Cost. Sul contrasto tra retroattività e libertà di iniziativa eco- nomica, fondata sulla necessità di regole certe e stabili cfr. G. Falsitta, Recupero retroattivo degli «aiuti di Stato» e limiti della tutela dei principi di capacità contributiva e di affida- mento,inRiv. dir. trib., 2010, II, 663 e ss. (75) Sul tema cfr. Guido, Profili di illegittimità dell’applicazione retroattiva delle presunzioni bancarie a carico dei professionisti,inRass. trib., 2012, 1233 e ss. (76) V. altresì E. Della Valle, Affidamento e certezza del diritto tributario, Milano, 2001, 93 e ss., per il quale il divieto di irretroattività non va basato solo sull’art. 53 Cost. ma ha por- PARTE SECONDA 553

Ciò condurrà, di regola, all’applicazione retroattiva della norma tributaria solo in presenza di quello che il diritto pubblico definisce «stato di necessi- tà», ossia in quei casi eccezionalissimi in presenza dei quali il non retroagire comporterebbe dei rischi per l’esistenza stessa dello Stato ovvero quando oc- corra tutelare valori altrettanto fondamentali (77). Va da sé che nella defini- zione dei rapporti tra la capacità contributiva e la tutela dell’affidamento, la prevedibilità (78) dell’imposizione dovrà costituire un elemento imprescindi- bile per l’individuazione dei casi in cui è costituzionalmente legittima ai sensi dell’art. 53 Cost. l’applicazione retroattiva della norma tributaria (79).

tata più ampia, perché riconducibile ad altre disposizioni costituzionali, in primis gli artt. 2 e 41 della Cost. L’attualità della capacità contributiva è rinforzata dall’affidamento e dalla ra- gionevolezza, la cui limitazione sarà consentita solo se lo permette l’art. 53 Cost. (77) Così letteralmente E. Della Valle, Affidamento e certezza nel diritto tributario, 99. Sulla stessa scia si pone con specifico riferimento all’overruling sull’abuso del diritto S. Dorigo, Il divieto di retroattività delle norme tributarie: spunti ricostruttivi a partire da una recente sentenza sull’abuso del diritto, op. cit., 637-638. Va ovviamente tenuta la legi- slazione emanata per esigenze «di cassa». (78) Cfr. E. Della Valle, Affidamento..., op. cit., 71, per il quale la Consulta tratta implicitamente l’elemento della prevedibilità dell’imposizione retroattiva quando si occupa dell’affidamento nella certezza del diritto nell’ambito dell’art. 53 della Costituzione. La Consulta ha progressivamente dilatato il concetto di prevedibilità, giungendo a risultati cri- ticati da larga parte della dottrina. Dapprima essa riteneva che una norma tributaria retroat- tiva fosse prevedibile solo quando la capacità contributiva era già stata individuata dalla norma legislativa anteriore al momento dell’entrata in vigore della nuova legge. Era il c.d. principio della sostituibilità delle norme nel tempo: cfr. Corte costituzionale, sent. n. 75 del 1969, in base alla quale È noto d’altronde come la stessa dottrina tributaristica più sensi- bile ai limiti derivanti alla legislazione ordinaria dal principio della capacità contributiva non abbia mancato di rilevare che una legge può colpire una capacità contributiva esisten- te in un momento anteriore e rivelata da fatti passati, senza per ciò solo violare l’art. 53, purché vi sia una ragionevole presunzione che, nella normalità dei casi, quella capacità contributiva permanga al momento della imposizione. Applicando i suesposti criteri al caso in esame, deve ritenersi che la situazione prevista dalla norma degli artt. 48 e 49 di cui è questione, è in parte diversa da quella che era regolata nel secondo comma dell’art. 25. Giacché, nella specie, la retroattività inerisce alla sostituzione di un tributo precedente con altro, strutturato bensì in modi sotto alcuni aspetti diversi, ma rispondente alla stessa fun- zione economico-sociale e diretto a colpire – con aliquote minori – gli stessi fatti produtti- vi di ricchezza del primo (nel caso di specie l’invim veniva considerato dalla Consulta un tributo che derivava «storicamente e logicamente» dal previgente contributo di miglioria generica). In seguito, la Corte costituzionale ha affermato che al fine di integrare il requisi- to di prevedibilità è sufficiente che la nuova imposta rientri nel quadro ordinatore della pre- vigente disciplina (cfr. la sentenza n. 315 del 1994), il che ha comportato il sorgere di una sottile incertezza nell’evoluzione della giurisprudenza costituzionale (cfr. V. Mastroiacovo, op. cit., 197). Va aggiunto che la Consulta ha fatto spesso riferimento al breve lasso di tempo intercorso tra il momento in cui si è verificata la fattispecie tassata retroattivamente e l’entrata in vigore della legge retroattiva non solo per desumerne l’attualità della capacità contributiva al momento dell’imposizione, ma anche per dedurne la prevedibilità del muta- mento legislativo. Sul punto v. E. Della Valle, Affidamento e certezza nel diritto tributario, Milano, 2001, 87; cfr. V.E. Falsitta, Illegittimità costituzionale delle norme tributarie im- prevedibili, le civiltà del diritto e il contribuente Nostradamus,inPer un fisco civile, Mila- no, 2006, 76, il quale stigmatizza l’anomalia del riferimento al profilo temporale, reputando che il legislatore dovrebbe fissare regole chiare e fisse in materia. (79) Ovviamente, la nozione di imprevedibilità richiesta per l’individuazione del- l’overruling non coincide con quella che deve sussistere affinché, concorrendo altri elemen- ti, sia inibita l’applicazione retroattiva di una legge tributaria a fattispecie impositive verifi- 554 DIRITTO E PRATICA TRIBUTARIA N. 4/2014

6. – Overruling, principio del divieto dell’abuso del diritto ed irrogabilità del- le sanzioni amministrative

Per completezza, alcuni brevi cenni vanno fatti ai riflessi dell’orienta- mento della Cassazione sull’overruling in ambito sanzionatorio. Ancorché il tema sia suscettibile di assumere rilevanza sia in ambito pe- nale che amministrativo, in questa sede ci si concentrerà sul secondo profilo. Ove si parta dall’assunto che il principio in esame è applicabile anche a fattispecie verificatesi in un momento in cui esso non era conosciuto (o me- glio: «riconosciuto») da alcuno come clausola generale vigente nell’ordina- mento tributario, occorrerà chiedersi se al contribuente inosservante debba far carico solo il pagamento della maggiore imposta dovuta a seguito della riqua- lificazione dell’operazione ritenuta abusiva o se invece esso sia anche sanzio- nabile amministrativamente (80). Il tema, ovviamente, rientra in quello della sanzionabilità o meno delle fattispecie riprese a tassazione in forza dell’abuso del diritto. Non è questa la sede per affrontare funditus quest’ultimo punto, salvo rilevare che la giuri- sprudenza non è unanime in materia (81).

catesi prima della sua entrata in vigore. Nel caso dell’abuso del diritto l’imprevedibilità del mutamento giurisprudenziale precede logicamente la fase di verifica degli interessi costitu- zionali coinvolti, nel cui quadro andrà valutata anche la prevedibilità dell’effetto «retroatti- vo» dell’inopinato mutamento giurisprudenziale. (80) Quando si verifica un mutamento dell’orientamento amministrativo che compor- ta un aggravamento della posizione del contribuente, l’art. 10, 2o comma, dello Statuto dei diritti del contribuente fa salvo quest’ultimo solo dal pagamento degli interessi di mora e dalle sanzioni. L’unico caso in cui non si applica neanche l’imposta è quello in cui il nuo- vo orientamento incide su una fattispecie in cui il fisco si è vincolato ad una certa interpre- tazione tramite interpello ex art. 11, 2o comma, della l. n. 212 del 2000. Ciò, come eviden- ziato da E. Della Valle, Affidamento..., op. cit., 160, sarebbe stato opportuno prevedere la non applicabilità dell’imposta anche nelle altre ipotesi. Come rilevato da Logozzo, L’igno- ranza della legge tributaria, Milano, 2002, 253, è evidente la disparità di trattamento tra le circolari e le risoluzioni emanate spontaneamente, da un lato, e gli interpelli e le risoluzioni in cui eventualmente siano trasposti gli interpelli, dall’altro. (81) Cfr., ad esempio, la sentenza n. 25537 del 2011, per la quale nessuna sanzione amministrativa può essere irrogata a fronte della violazione non di una precisa disposizione di legge ma di un principio generale, quale quello antielusivo ritenuto immanente al siste- ma anche anteriormente alla introduzione di una normativa specifica (la stessa sentenza ri- tiene invece sanzionabile l’illecito amministrativo di infedele dichiarazione che ricade nel- l’ambito applicativo dell’art. 37-bis d.p.r. n. 600 del 1973). Contra, invece, l’ordinanza n. 2234 del 30 gennaio 2013, in banca dati fisconline, per la quale ai fini dell’applicazione delle sanzioni è irrilevante se il minor versamento deriva da una violazione, oppure da una elusione di norme impositive e richiama la medesima sentenza n. 25537 del 2011 verosi- milmente equivocando sulla motivazione di quest’ultima decisione, poiché nella fattispecie ivi esaminata l’abuso del diritto trovava fondamento nell’art. 37-bis, del d.p.r. n. 600 del 1973 e in forza di ciò il fisco ha disconosciuto e dichiarato non opponibili operazioni e at- ti, privi di valide ragioni economiche, diretti solo a conseguire vantaggi fiscali, in relazione ai quali gli organi accertatori emettono avviso di accertamento, applicano ed iscrivono a ruolo le sanzioni di cui al d.lgs. 18 dicembre 1997, n. 471, art. 1, 2o comma, comminate dalla legge per il fatto che il contribuente ha indicato in dichiarazione un reddito imponibi- le inferiore a quello accertato. Come d’altra parte non è pacifica neanche la sanzionabilità in via amministrativa delle fattispecie ritenute elusive ai sensi dell’art. 37-bis del d.p.r. n. 600 del 1973, posto che tale profilo si lega strettamente a quello della natura sostanziale o procedimentale della disposizione in esame nel senso della valenza procedimentale della PARTE SECONDA 555

Ora, volendo seguire la prospettiva della Cassazione, trattandosi di inter- pretazione correttiva, ossia di un mutamento di indirizzo in ordine all’applica- zione di una regula iuris da sempre immanente nell’ordinamento giuridico, non saremmo in presenza dell’applicazione retroattiva di una norma tributaria. Questo comporta che, ove la fattispecie abusiva non risulti sussumibile sotto una specifica disposizione sanzionatoria amministrativa in base a norme vigenti al momento della commissione della violazione, essa non sarà perse- guibile in base al principio tempus regit actum (82). Viceversa, se la fattispecie abusiva costituisce illecito amministrativo tri- butario attualmente e lo era anche al tempo della sua commissione (83), oc- correrà chiedersi se ed a quale titolo sia possibile escludere la punibilità di colui cui sia stata contestata, ad esempio, una condotta abusiva suscettibile di tradursi in un minor imponibile dichiarato ai fini delle imposte sui redditi e dunque, almeno in astratto, nella commissione dell’illecito amministrativo tri- butario dell’infedele dichiarazione (84). In prima battuta si potrebbe ritenere che l’illecito in questione non sussi- sta ai sensi dell’art. 5, 1o comma, del d.lgs. n. 472 del 1997 per la carenza di colpa e di dolo. In effetti, come si è già rilevato in precedenza, in un contesto in cui la dottrina, la giurisprudenza e la stessa Amministrazione finanziaria negavano o tacevano sull’esistenza e/o l’operatività di una clausola generale antielusiva in forma di divieto di abuso del diritto, la percezione e la cognizione di un pre- cetto normativo consistente in una clausola generale antiabuso era di fatto im- possibile (85).

norma, senza alcuna pretesa di completezza, si rinvia a R. Lupi, Elusione, valide ragioni economiche, aggiramenti e sanzioni,inDialoghi dir. trib., 2007, 388, L. Del Federico, Elu- sione tributaria «codificata» e sanzioni amministrative, cit., 284; per quanto attiene alla giurisprudenza v. Comm. trib. prov. Milano, 13 dicembre 2006, n. 278, in Giust. trib., 2007, 271 e ss. con nota di L. Del Federico e Comm. trib. reg. Lombardia, 25 febbraio 2008, n. 2, in Corr. trib., 2009, 2317, con nota di R. Esposito, L’elusione tra valide ragio- ni economiche e comportamenti alternativi ed ipotetici. (82) Cfr. art. 3, del d.lgs. n. 472 del 1997, Principio di legalità. 1. Nessuno può essere assoggettato a sanzioni se non in forza di una legge entrata in vigore prima della commissione della violazione. 2. Salvo diversa previsione di legge, nessuno può essere assoggettato a sanzioni per un fatto che, secondo una legge posteriore, non costituisce violazione punibile. Se la san- zione è già stata irrogata con provvedimento definitivo il debito residuo si estingue, ma non è ammessa ripetizione di quanto pagato. 3. Se la legge in vigore al momento in cui è stata commessa la violazione e le leggi posteriori stabiliscono sanzioni di entità diversa, si applica la legge più favorevole, salvo che il provvedimento di irrogazione sia divenuto definitivo. Ovviamente, l’esame è voluta- mente limitato ad alcuni cenni afferenti specificatamente all’overruling. Per alcuni riferi- menti specifici al tema delle sanzioni amministrative tributarie in relazione al principio di retroattività, si rinvia, tra i tanti, a V. Mastroiacovo, I limiti alla retroattività nel diritto tri- butario, op. cit., 96 e ss. (83) Ciò al netto delle vicende sull’entità della sanzione applicabile nel caso di spe- cie ove sia intervenuta la successione di leggi nel tempo e sulla individuazione della legge più favorevole da applicare nel caso concreto (cfr. V. Mastroiacovo, op. cit., 107 ss.). (84) L’esempio prescelto riguarda una fattispecie sanzionata già ante d.lgs. n. 471 del 1997 e si presta ad una verifica circa la punibilità del contribuente al quale sia imputata l’operazione abusiva. (85) Salvo rinviare agli Autori che negli anni ’90 ritenevano espressamente inesisten- te siffatto principio (su cui v. nota 11), si rilevato che: Solo nel 2008 la comunità naziona- 556 DIRITTO E PRATICA TRIBUTARIA N. 4/2014

Si potrebbe citare l’intera manualistica tributaria, si potrebbe compiere l’esegesi di tutte le disposizioni tributarie antielusive allora vigenti (invaria- bilmente antielusive speciali e dunque confermanti il principio allora in auge secondo cui tutto è consentito salvo quel che non è espressamente vietato), l’intera giurisprudenza dell’epoca e l’intera prassi amministrativa, ma si tratta di un fatto notorio o, se si preferisce, di un dato di comune esperienza. Orbene, se al momento della commissione di un’ipotetica operazione abusiva alcuno si prefigurava la lesione di un siffatto principio generale, che tale è divenuto nella percezione generale solo a partire dalla seconda metà degli anni 2000 e a seguito di una repentina e vigorosa evoluzione del quadro giurisprudenziale, come potrebbe applicarsi una sanzione amministrativa a ta- le titolo al contribuente accertato? Mentre l’esistenza e la cogenza di una norma legislativa tributaria espressa è agevolmente desumibile a decorrere dalla sua entrata in vigore, re- sa pubblica in forma solenne (la pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale), nel caso di specie si è in presenza di un principio antielusivo frutto di un revire- ment giurisprudenziale che finisce per operare retroattivamente in un contesto in cui nessuno lo riteneva cogente nei rapporti tributari, per cui la sua viola- zione non era percepibile e apprezzabile dalla generalità dei consociati come atto contra legem. Certamente, difetterebbe l’elemento soggettivo della violazione ammini- strativa tributaria di cui all’art. 5, 1o comma, del d.lgs. n. 472 del 1997, poi- ché la condotta del contribuente non solo non sarebbe configurabile come do- losa, ma neanche come colposa, dato che nel contesto normativo di allora ad esso non poteva muoversi nessun rimprovero, neppure di semplice leggerez- za. In altri termini, al di là della coscienza e volontà dell’atto, il contesto sto- rico in cui ha agito il contribuente e le peculiarità che connotano il principio del divieto dell’abuso del diritto, di matrice prettamente giurisprudenziale, impediscono di individuare nella condotta di allora un qualsivoglia atteggia- mento doloso o colposo. E infatti: come si può volere o anche solo concepire la possibilità di violare un principio antielusivo al fine di pregiudicare la de- terminazione dell’imponibile o dell’imposta od ostacolare l’accertamento (cfr. art. 5, 4o comma, del d.lgs. n. 472 del 1997), quando esso non solo non era considerato tale da nessuno nella fase storica in cui la condotta è stata po- sta in essere, ma non era percepibile come vincolante neanche da elementi estrinseci, a differenza di quanto avviene nel caso di specifici atti di norma- zione primaria o secondaria, che formano oggetto di adeguate forme di pub- blicità? Sennonché, gli elementi e le circostanze che abbiamo citato indicano al- tresì la carenza di qualcosa che impedisce la nascita stessa del rapporto tra il soggetto e la norma sanzionatoria che prevede la condotta punibile. Si tratta della carenza di rimproverabilità della violazione della norma sanzionatoria

le, gli operatori, gli studiosi, gli scrittori di manuali di diritto tributario hanno appreso che anche per i tributi non armonizzati v’è un generale divieto di elusione fondato sull’art. 53 Cost. che nessuno, salvo qualche isolato autore (subito sommerso da un mare di note cri- tiche), aveva mai immaginato si potesse enucleare. Il che ovviamente non significa che il progresso non possa essere affidato a pensatori solitari e alle conseguenti riflessioni, ma significa solo che «le invenzioni», anche le migliori non possono trovare applicazione per il passato: la luce (elettrica) la si accende dopo la sua invenzione, non prima. (G. Maron- giu, op. cit., 1162). PARTE SECONDA 557 amministrativa: in tanto può esistere colpevolezza per la commissione del fat- to in quanto sussista la conoscenza o la conoscibilità del precetto viola- to (86). In altri termini, il contribuente cui sia astrattamente riconducibile la con- dotta abusiva, non sarà sanzionabile amministrativamente perché la non puni- bilità dell’agente per la carenza del requisito soggettivo della colpevolezza (la colpa o il dolo) discende dalla non «rimproverabilità» della violazione per l’ignoranza inevitabile della legge sanzionatoria (87). Pertanto, ci sembra che nel caso di specie sarebbe più corretto applicare la causa di non punibilità prevista sia dall’art. 6, 2o comma, prima parte, del d.lgs. n. 472 del 1997 (88), che dall’art. 8 del d.lgs. n. 546 del 1992, relativo all’Errore sulla norma tributaria (89). Si tratta di due disposizioni che hanno sostanzialmente la medesima ratio ma che attengono l’una all’esercizio del potere di irrogazione delle sanzioni da parte dell’Amministrazione finanziaria (art. 6, 2o comma, del d.lgs. n. 472 del 1997), l’altra all’esercizio del potere giurisdizionale da parte della Commissione tributaria (art. 8 del d.lgs. n. 546 del 1992) (90). La giurisprudenza tributaria ha individuato alcuni tra i più importanti in- dici sintomatici dell’esistenza di una condizione di obiettiva incertezza non solo nell’oscurità, nell’ambiguità e nella contraddittorietà del testo normativo, nella novità legislativa che, specie nel primo periodo di applicazione, può es- sere causa di incertezze interpretative e nella mancanza di pronunzie giuri- sprudenziali, ma anche in un orientamento giurisprudenziale solo successiva- mente superato (91).

(86) Illuminante è un passaggio della Consulta nella storica sentenza n. 364 del 24 marzo 1988, reperibile in banca dati fisconline: allorché si ignori la legge penale e l’igno- ranza sia inevitabile, la mancata relazione tra soggetto e legge, tra soggetto e norma pe- nale, diviene, ai sensi dell’art. 27, 1o comma, Costituzione, rilevante (risultando esclusa la personalità dell’illecito e non essendo legittima la punizione in carenza del requisito della colpevolezza costituzionalmente richiesta) mentre, ove l’ignoranza della legge penale sia evitabile, rimproverabile, la stessa mancata relazione tra soggetto e legge, tra soggetto e norma penale, non esclude la punizione dell’agente che versa in errore di diritto (sempre che si realizzino tutti gli altri requisiti subiettivi ed obiettivi d’imputazione) giacché, in quest’ultima ipotesi, tale mancata relazione già rivela quanto meno un’«indifferenza» del- l’agente nei confronti delle norme, dei valori tutelati e dell’ordinamento tutto. (87) Cfr. la massima della sentenza n. 364 del 24 marzo 1988, per la quale: L’art. 5 del codice penale («nessuno può invocare a propria scusa l’ignoranza della legge penale») è illegittimo nella parte in cui non esclude dall’inescusabilità dell’ignoranza della legge penale l’ignoranza inevitabile. (88) Detta norma dispone che Non è punibile l’autore della violazione quando ressa è determinata da obbiettive condizioni di incertezza sulla portata e sull’ambito di applica- zione delle disposizioni alle quali si riferiscono (...). (89) Inoltre, l’art. 8 del d.lgs. n. 546 del 1992, dispone che La Commissione tributa- ria dichiara non applicabili le sanzioni non penali previste dalle leggi tributarie quando la violazione è giustificata da obbiettive condizioni di incertezza sulla portata e sul suo ambi- to di applicazione delle disposizioni alle quali si riferisce. (90) Cfr. T. Baglione - S. Menchini - M. Miccinesi, Il nuovo processo tributario. Commentario, Milano, 2004, 116-117. (91) Tra gli indici sintomatici sono compresi anche la conformità della condotta del soggetto passivo d’imposta agli indirizzi ministeriali, ai conflitti tra prassi amministrativa ed orientamento giurisprudenziale e, infine, dalla presenza di sentenze favorevoli alla tesi dei soggetti passivi d’imposta. 558 DIRITTO E PRATICA TRIBUTARIA N. 4/2014

Con riferimento specifico all’overruling, particolare interesse riveste quan- to statuito dalla Corte di Cassazione nel 2003 (92): si dà luogo alla configura- bilità di un errore sulla norma tributaria – rilevante, ai sensi dell’art. 8 del d.l- gs. 31 dicembre 1992, n. 546, ai fini di escludere l’applicazione delle sanzioni non penali che normalmente si ricollegano alla violazione commessa dal contri- buente – nelle ipotesi in cui le obiettive condizioni di incertezza sulla portata e sull’ambito di applicazione della disposizione stessa (nella specie: relativa alla determinazione del reddito di lavoro dipendente) dipendano dalla presenza di un orientamento giurisprudenziale (solo successivamente superato) escludente l’as- soggettamento a tassazione del provento e dal conseguente mancato assogget- tamento a ritenuta da parte del datore di lavoro (sottolineato nostro). Da notare che, almeno in un caso, la Cassazione ha avuto modo di afferma- re che l’esimente dell’obbiettiva incertezza di cui al citato art. 8 opera anche quan- do trova applicazione il principio del divieto dell’abuso del diritto (93). Tuttavia si tratta di una decisione che, stante la cripticità della motiva- zione sul punto (non è chiaro quale sia il profilo che ha determinato il Giudi- ce di legittimità alla sua applicazione) (94) e il fatto che sia intervenuta dopo la decisa presa di posizione sull’abuso con le tre note sentenze a SS.UU. del 2008, assume scarsa rilevanza ai fini della tematica dell’overruling. Come in- segna la consolidata giurisprudenza della Corte di Cassazione in tema di vio- lazioni amministrative della l. n. 689 del 1981, nel cui genus rientrano anche quelle disciplinate in via generale dal d.lgs. n. 472 del 1997, ad integrare l’il- lecito è sufficiente la mera colpa, per cui l’errore sulla liceità della relativa condotta, correntemente indicato come «buona fede», può rilevare, determi- nando l’esclusione della responsabilità amministrativa, al pari di quanto av- viene per la responsabilità penale in materia di contravvenzioni, soltanto quando esso risulti inevitabile, occorrendo a tal fine un elemento positivo, estraneo all’autore dell’infrazione, idoneo a ingenerare in lui la convinzione della riferita liceità, senza che il medesimo autore sia stato negligente o im- prudente ovvero che quest’ultimo abbia fatto tutto il possibile per osservare la legge e che nessun rimprovero gli possa essere mosso (95). Ciò significa che per escludere la responsabilità l’errore deve essere in- colpevole (i.e. non può essere impedito con l’ordinaria diligenza) e deve so- stanziarsi in un’ignoranza inevitabile, desumibile da obblighi di conoscenza, generali o specifici, che gravano sull’autore e da elementi atti ad ingenerare in lui il convincimento della liceità del suo operato (96). Il giudizio sulla ri- conoscibilità dell’obiettiva incertezza va condotto in astratto, ossia avendo ri- guardo alla possibilità di conoscenza della legge (e, più in generale, delle

(92) Cass., sez. trib., 3 luglio 2003, n. 10495, in Banca Dati Big, IPSOA. (93) Cass., sez. trib., 25 maggio 2009, n. 12042, in Fisco, 2009, in banca dati fisconli- ne, con commento di V. Ficari, Principio di collaborazione e buona fede, disapplicazione del- le sanzioni amministrative tributarie ed abuso del diritto nelle imposte sul reddito, 5322 e ss. (94) Il giudice si limita ad affermare laconicamente che la domanda risulta fondata in presenza di obiettive condizioni d’incertezza sulla portata della norma sanzionatoria, nel cui ambito di applicazione è riconducibile la violazione di un principio di ordine generale, come l’abuso di diritto. Sul punto si diffonde ampiamente V. Ficari, op. cit. (95) In tal senso, da ultimo, Cass., sez. VI, ord. 13 settembre 2013, n. 21040, in ban- ca dati Leggi d’Italia; nello stesso senso, inter alia, Cass., 12 luglio 2010 n. 16320; Cass., 28 aprile 2006 n. 9662; Cass., 15 giugno 2004 n. 11253; Cass., 5 giugno 2001 n. 7603. (96) In tal senso Cass. ord. n. 21040 del 2013 e Cass., 18 luglio 2008, n. 19995, in banca dati Leggi d’Italia. PARTE SECONDA 559 norme) di cui dispone un soggetto di media cultura, con capacità intellettive medie e che le usi con l’ordinaria diligenza, poiché l’ordinamento tributario si basa sulla finzione che la generalità dei contribuenti siano in grado di os- servare la legge. A tale proposito, la Suprema Corte ha più volte affermato che la incer- tezza normativa oggettiva postula una condizione di incertezza non evitabile sul contenuto, sull’oggetto e sui destinatari della norma tributaria. In altri ter- mini, l’insicurezza e l’equivocità del risultato conseguito tramite l’attività er- meneutica va rapportata non già ad un generico contribuente o ai contribuenti che grazie alla loro capacità professionale siano in grado di effettuare un’in- terpretazione normativa qualificata (studiosi, professionisti e gli operatori giu- ridici di elevato livello professionale) a ancora all’Ufficio finanziario, ma al giudice, cui l’ordinamento attribuisce il potere-dovere di accertare se una data interpretazione sia ragionevole (97). Inoltre, la giurisprudenza della Cassazio- ne è costante nell’affermare che la presenza di una «incertezza normativa og- gettiva» può essere desunta da una serie di indici rivelatori (il difetto di espli- cite previsioni di legge, l’oscurità della formula dichiarativa della norma giu- ridica, la mancanza o la contraddittorietà di prassi amministrative e orienta- menti giurisprudenziali età) che spetta al giudice accertare e valutare nel loro valore indicativo (98). Ne consegue che, qualora la norma da applicare al caso concreto non presenti le citate caratteristiche, ma sia viceversa oscura, ambigua, contraddit- toria anche con riferimento alle norme ad essa collegate, non può che trovare applicazione l’esclusione di cui trattasi, specie se l’illecito deriva da un’inter- pretazione di una norma di recente emanazione e di particolare complessità non sorretta dall’emanazione di circolari e risoluzioni del fisco ovvero da al- cun indirizzo giurisprudenziale o, infine, da un univoco orientamento della dottrina. Va ulteriormente richiamato il contributo fondamentale offerto dalla Consulta nella già citata sentenza n. 364 del 1988 nel delineare le cause di non applicabilità delle sanzioni (99). In tale occasione il giudice delle leggi ha statuito che l’inevitabilità dell’errore in sede penale deve essere verificata in funzione di criteri oggettivi puri quali, ad esempio, la mancanza di ricono- scibilità della disposizione normativa o di criteri «misti», che debbono emer- gere quando le violazione è stata determinata da positive circostanze di fatto che hanno indotto il trasgressore a ritenere lecita la sua condotta. È il caso, ad esempio, del soggetto che ha ricevuto assicurazioni erronee di persone istituzionalmente destinate a giudicare sui fatti da realizzare. Ebbene, è chia- ro che nel contesto più volte illustrato (e che si ribadisce), al contribuente non può essere mosso alcun rimprovero, neppure di semplice leggerezza, cir- ca la mancata conoscenza della clausola generale antielusiva (o se si preferi- sce del principio del divieto dell’abuso del diritto), posto che alcun indizio normativo, giurisprudenziale, dottrinale e di prassi amministrativa consentiva di avere non diciamo «legale conoscenza», ma quanto meno sentore che già allora l’art. 53 Cost. fosse interpretabile nel senso prospettato.

(97) Cass., n. 24670 del 2007, in banca dati Leggi d’Italia. (98) Cass., n. 19638 del 2009, in banca dati Leggi d’Italia. Ciò posto che esiste un valore costituzionale comportante la chiarezza normativa e la certezza nell’applicazione del diritto (cfr. Corte cost., 13 marzo 1995, n. 94, in Giur. cost., 1995, 778). (99) Cass., 24 marzo 1988, n. 364, in banca data fisconline. 560 DIRITTO E PRATICA TRIBUTARIA N. 4/2014

7. – Conclusioni

La l. 11 marzo 2014, n. 23, recante Delega al Governo recante disposi- zioni per un sistema fiscale più equo, trasparente e orientato alla crescita, non contiene alcun riferimento alle modalità di disciplina di situazioni quali- ficate come abusive sia prima dell’overruling della Corte di Cassazione che dell’entrata in vigore della nuova disciplina in tema di abuso del diritto (100). I primi disegni di legge elaborati per la modifica dell’art. 37-bis del d.p.r. n. 600 del 1973 al fine di farne una clausola generale antiabuso, conte- nevano disposizioni dirette a limitare la rilevanza abusiva delle operazioni so- lo al futuro. Ciò avrebbe eliminato in radice le evidenziate criticità che pro- l’applicazione retroattiva del principio (101).

(100) Cfr. l. 11 marzo 2014, n. 23, Delega al Governo recante disposizioni per un sistema fiscale più equo, trasparente e orientato alla crescita. Art. 5 intitolato Disciplina dell’abuso del diritto ed elusione fiscale 1. Il Governo è delegato ad attuare, con i decreti legislativi di cui all’articolo 1, la revisione delle vigenti disposizioni antielusive al fine di unificarle al principio generale del divieto dell’abuso del diritto, in applicazione dei seguenti principi e criteri direttivi, coor- dinandoli con quelli contenuti nella raccomandazione della Commissione europea sulla pianificazione fiscale aggressiva n. 2012/772/UE del 6 dicembre 2012: a) definire la condotta abusiva come uso distorto di strumenti giuridici idonei ad ot- tenere un risparmio d’imposta, ancorché tale condotta non sia in contrasto con alcuna specifica disposizione; b) garantire la libertà di scelta del contribuente tra diverse operazioni comportanti anche un diverso carico fiscale e, a tal fine: 1) considerare lo scopo di ottenere indebiti vantaggi fiscali come causa prevalente dell’operazione abusiva; 2) escludere la configurabilità di una condotta abusiva se l’operazione o la serie di operazioni è giustificata da ragioni extrafiscali non marginali; stabilire che costituisco- no ragioni extrafiscali anche quelle che non producono necessariamente una redditività immediata dell’operazione, ma rispondono ad esigenze di natura organizzativa e determi- nano un miglioramento strutturale e funzionale dell’azienda del contribuente; c) prevedere l’inopponibilità degli strumenti giuridici di cui alla lettera a) all’Ammi- nistrazione finanziaria e il conseguente potere della stessa di disconoscere il relativo ri- sparmio di imposta; d) disciplinare il regime della prova ponendo a carico dell’Amministrazione finan- ziaria l’onere di dimostrare il disegno abusivo e le eventuali modalità di manipolazione e di alterazione funzionale degli strumenti giuridici utilizzati, nonché la loro mancata confor- mità a una normale logica di mercato, prevedendo, invece, che gravi sul contribuente l’onere di allegare l’esistenza di valide ragioni extrafiscali alternative o concorrenti che giustifichino il ricorso a tali strumenti; e) prevedere una formale e puntuale individuazione della condotta abusiva nella motivazione dell’accertamento fiscale, a pena di nullità dell’accertamento stesso; f) prevedere specifiche regole procedimentali che garantiscano un efficace contrad- dittorio con l’Amministrazione finanziaria e salvaguardino il diritto di difesa in ogni fase del procedimento di accertamento tributario. (101) Cfr., ad esempio, la proposta di legge d’iniziativa dei deputati Strizzolo - Cec- cuzzi - Fogliardi, per la modifica l’art. 37-bis del d.p.r. n. 600 del 1973, presentata nell’ora- mai lontano 2009, (reperibile sul web al link http://leg16.camera.it/camera/browse/ 995?sezione=documenti&tipoDoc=lavori_testo_pdl&idLegislatura=16&codice=16PDL0027730& back_to=http://leg16.camera.it/126?tab=2-e-leg=16-e-idDocumento=2578&sede=&tipo=), che prevedeva la sostituzione del 3o comma come segue 3. Fermo restando quanto disposto dai commi 1o,1-bis e2o, sono fatti salvi gli effetti delle operazioni che prima della data di en- trata in vigore della presente disposizione non rappresentavano fattispecie elusiva. Nella re- PARTE SECONDA 561

È ben vero che per l’art. 8, il quale delega il governo a procedere con decreti legislativi alla revisione del sistema sanzionatorio penale tributario, occorre individuare i confini tra le fattispecie di elusione e quelle di evasione fiscale e le relative conseguenze sanzionatorie, ma si tratta di criteri direttivi il cui effetto sulle situazioni pendenti o sulle fattispecie impositive sorte pri- ma dell’overruling non è dato conoscere (102). Non resta che augurarsi che la tanto sospirata clausola generale antielusi- va veda finalmente la luce, opportunamente corredata delle disposizioni inter- temporali che eliminino situazioni la cui virulenza è stata ampiamente illu- strata e stigmatizzata.

avv. CARLO SALLUSTIO

lazione al disegno di legge si spiegava che L’intervento legislativo si rende altresì necessa- rio e urgente, oltre che per evitare che il giudice – in carenza di adeguate disposizioni legi- slative e nell’intento di conformarsi al principio di capacità contributiva – sia indotto a so- stituirsi al legislatore, con un’inaccettabile confusione di ruoli nell’esercizio dei poteri dello Stato, anche per scongiurare eventuali effetti retroattivi nell’applicazione, in concreto, della normativa tributaria: adottando, cioè, princìpi che si sono formati nel tempo a comportamen- ti tenuti dai contribuenti in periodi di tempo di molto anteriori, nei quali quei princìpi non esistevano né potevano essere previsti. [Sottolineato nostro] Sono evidenti, pertanto, l’effica- cia ex nunc della nuova disciplina e la necessità di far salvi gli effetti di atti, fatti e negozi – diversi da quelli tassativamente indicati nel 3o comma dell’articolo 37-bis – posti in esse- re prima dell’introduzione, nell’ordinamento positivo italiano, di questa nuova disposizione recante la disciplina dell’abuso del diritto e, a maggior ragione, prima dell’entrata in vigo- re dello stesso articolo 37-bis. Viene, infatti, prevista, con la modifica del 3o comma, la ces- sazione della «materia del contendere» per le (ormai «datate») controversie sul «dividend washing» e sul «dividend stripping». (102) Art. 8 Revisione del sistema sanzionatorio: 1. Il Governo è delegato a proce- dere, con i decreti legislativi di cui all’articolo 1, alla revisione del sistema sanzionatorio penale tributario secondo criteri di predeterminazione e di proporzionalità rispetto alla gravità dei comportamenti, prevedendo: (...) l’individuazione dei confini tra le fattispecie di elusione e quelle di evasione fiscale e delle relative conseguenze sanzionatorie; (...) la re- visione del regime della dichiarazione infedele e del sistema sanzionatorio amministrativo al fine di meglio correlare, nel rispetto del principio di proporzionalità, le sanzioni all’ef- fettiva gravità dei comportamenti; la possibilità di ridurre le sanzioni per le fattispecie me- no gravi o di applicare sanzioni amministrative anziché penali, tenuto anche conto di ade- guate soglie di punibilità; (...). In tema di motivazione della cartella di pagamento (*) La cartella esattoriale, che non sia stata preceduta da un motiva- to avviso di accertamento, deve essere motivata in modo congruo, suf- ficiente ed intellegibile, tale obbligo derivando dai principi di caratte- re generale indicati, per ogni provvedimento amministrativo, dall’art. 3 della l. n. 241 del 1990, e recepiti, per la materia tributaria, dal- l’art. 7 della l. n. 212 del 2000.

Cass., sez. VI - T (pres. Cicala, rel. Caracciolo), ord. 17 aprile 2014, n. 8934, Agenzia delle entrate c. Italsemi s.r.l. in liquidazione.

(Omissis). – Svolgimento del processo. – Motivi della decisione. – La CTR di Palermo ha respinto l’appello dell’Agenzia – appello pro- posto contro la sentenza n. 107/24/2009 della CTP di Bari che aveva accolto il ricorso proposto dalla contribuente «Italsemi s.r.l.» – ed ha così annullato la cartella di pagamento relativa ad accertamento di mi- nor credito di imposta anno 2004 e recupero del medesimo, cartella adottata a seguito di controllo automatizzato della dichiarazione. La predetta CTR ha motivato la decisione nel senso che l’iscrizio- ne a ruolo, eseguita a norma del d.p.r. n. 600 del 1973, art. 36-bis, non costituisce un semplice atto di riscossione, bensì un accertamento del debito d’imposta quando non sia preceduta da un autonomo avviso di accertamento, sicché la cartella esattoriale deve contenere anche una sufficiente motivazione circa la ragione dei recuperi, a mente della l. n. 241 del 1990, art. 3, senza che sia consentito all’amministrazione di emendare il difetto di motivazione dell’atto impositivo a mezzo delle allegazioni e prove dedotte nel contraddittorio processuale. D’altronde, l’amministrazione aveva anche obbligo di preventiva comunicazione delle irregolarità riscontrate nella dichiarazione, obbligo al quale non aveva assolto. Infine (e per quanto non si trattasse di questione affrontata dal primo giudice o riproposta dalla parte contribuente, che non si era co- stituita in appello, ma semplicemente richiamata dalla stessa parte ap- pellante) la CTR evidenziava che la cartella in questione doveva pure considerarsi nulla per difetto di sottoscrizione ed indicazione del re- sponsabile del procedimento. L’Agenzia ha interposto ricorso per cassazione affidato a quattro motivi. La parte contribuente non si è costituita. Il ricorso – ai sensi dell’art. 380-bis c.p.c., assegnato allo scriven- te relatore – può essere definito ai sensi dell’art. 375 c.p.c. Infatti, con il primo motivo di impugnazione (centrato sulla viola- zione del d.p.r. n. 602 del 1973, artt. 12 e 25) la parte ricorrente – do- po avere premesso che nella fattispecie qui in esame era stata effetti- vamente recapitata al contribuente la comunicazione di irregolarità PARTE SECONDA 563 prodromica al ruolo e dopo avere riportato (con modalità invero illeg- gibile, perché effettuata con riproduzione fotostatica del contenuto del- la cartella all’interno dell’atto processuale) il dettaglio degli addebiti contenuti nella cartella – si duole dell’erronea affermazione del giudi- ce del merito a proposito dell’incompiuta motivazione della cartella di pagamento, evidenziando che nella specie di causa la cartella si atteg- giava come mero atto di riscossione, siccome conseguenza dell’iscri- zione a ruolo concretata esclusivamente sulla base dei presupposti di legge. In questa luce, la cartella di pagamento risultava pienamente conforme al modello approvato con decreto del Ministero delle finan- ze e del tutto scevra da vizi, siccome coerente con le previsioni del d.p.r. n. 602 del 1973, art. 12, secondo il quale è sufficiente la «moti- vazione anche sintetica della pretesa». Ciò era stato rispettato, atteso che il ruolo conteneva «gli estremi necessari per la corretta individua- zione delle ragioni del recupero, ovvero che trattasi di recupero del credito di imposta ex l. n. 289 del 2002, art. 62, (per gli investimenti nelle aree svantaggiate)», estremi che sono sufficienti a garantire il di- ritto di difesa del contribuente. La censura appare inammissibilmente formulata. La parte ricorrente si limita infatti ad affermazioni apodittiche, nessuna delle quali è corredata dalle necessarie delucidazioni e specifi- cazioni, in ossequio al canone di necessaria autosufficienza del ricorso per cassazione. E ciò, vuoi con riferimento all’assunto secondo il quale sarebbe stato comunicato al contribuente la preventiva comunicazione di irre- golarità (nell’ottica delle indicazione delle ragioni che preludeva alla iscrizione a ruolo, assunto che è rimasto privo di alcuna specificazione relativa al dove ed al come sarebbe stata fornita nel processo la prova dell’avvenuta comunicazione di che trattasi); vuoi con riferimento al- l’assunto secondo il quale nella specie di causa la cartella si era atteg- giata come «mero atto di riscossione». A quest’ultimo proposito, infatti, occorre evidenziare che secondo la stessa allegazione di parte ricorrente, la ragione dell’iscrizione a ruolo consiste nel «recupero del credito di imposta ex l. n. 289 del 2002, art. 62», recupero che – di per sé – è affermazione «anonima» delle ragioni per le quali l’amministrazione suppone di vantare un cre- dito, giacché quest’ultimo può emergere sia dalla erronea contabilizza- zione di crediti effettivamente spettanti sia dall’esclusione dei presup- posti per il riconoscimento della spettanza. Non avendo la parte ricorrente in alcun modo chiarito se e come nel processo sia stato acclarato essersi trattato della prima anziché del- la seconda delle due alternative evenienze e non essendoci perciò al- cuna ragione per supporre che – come la stessa parte ricorrente assu- me – al giudice del merito non potesse essere ignoto che la cartella qui in parola costituiva «mero atto di riscossione» giustificato dal puro riesame contabile degli stessi dati contenuti nella dichiarazione del contribuente, non resta che concludere che il motivo di impugnazione non consente di dare risposta al nucleo logico del quesito prospettato, 564 DIRITTO E PRATICA TRIBUTARIA N. 4/2014 e cioè se la motivazione della cartella di pagamento di cui qui trattasi fosse coerente con la funzione provvedimentale alla quale la cartella medesima è stata destinata ad assolvere. Ed infatti, si veda in termini Cass., sez. 5, sentenza n. 26330 del 16 dicembre 2009, già debitamente menzionata dal giudice del merito, secondo cui: «La cartella esattoriale, che non sia stata preceduta da un motivato avviso di accertamento, deve essere motivata in modo con- gruo, sufficiente ed intellegibile, tale obbligo derivando dai principi di carattere generale indicati, per ogni provvedimento amministrativo, dalla l. n. 241 del 1990, art. 3, e recepiti, per la materia tributaria, dal- la l. n. 212 del 2000, art. 7. (Affermazione relativa ad una cartella esattoriale, emessa ai sensi del d.p.r. n. 600 del 1973, art. 36-bis, nella quale l’ufficio non si era limitato ad una mera correzione di errori ma- teriali o di calcolo, ma aveva operato il conteggio delle somme da ver- sare, non riconoscendo un credito di imposta». Il rigetto del motivo di impugnazione correlato ad una delle auto- nome rationes che sostengono la decisione qui in esame rende inutile l’esame dei residui motivi, che ne restano assorbiti. Pertanto, si ritiene che il ricorso può essere deciso in camera di consiglio per inammissibilità. (Omissis).

P.Q.M. – La Corte rigetta il ricorso. Nulla sulle spese. (Omissis).

(*) SOMMARIO: 1. La vicenda sottoposta all’esame della Corte di Cassazione. – 2. L’obbli- gatorietà ed il contenuto della motivazione della cartella di pagamento non preceduta da altri provvedimenti impositivi o giurisdizionali. – 3. La motivazione della cartella di pagamento emessa a seguito di un provvedimento. – 4. Precisazioni in tema di mo- tivazione della cartella di pagamento emessa a seguito di controlli ex art. 36-bis del d.p.r. n. 600 del 1973.

1. – La vicenda sottoposta all’esame della Corte di Cassazione

La Corte di Cassazione, con la sentenza in commento, ha affermato il principio – non sconosciuto alla giurisprudenza (1) – secondo cui la cartella di pagamento, non preceduta da un avviso di accertamento, deve essere moti- vata in modo congruo, sufficiente ed intellegibile. Ciò alla luce dell’art. 3 della l. n. 241 del 1990 recepito in materia tribu- taria dall’art. 7 della l. n. 212 del 2000 (c.d. Statuto dei diritti del contribuen- te). Il caso in esame trae origine da una cartella di pagamento emessa nei confronti della contribuente (tale Italsemi s.r.l.), a seguito di controlli ex art. 36-bis del d.p.r. n. 600 del 1973, in chiaro difetto di motivazione.

(1) Cfr., recentemente, Cass., sez. V, 16 dicembre 2009, n. 26330, richiamata espres- samente dalla pronuncia in commento. PARTE SECONDA 565

I giudici di prime cure (Commissione Tributaria Provinciale di Bari) ed i giudici di appello (Commissione Tributaria Regionale di Bari) hanno accolto il ricorso ed hanno annullato il provvedimento emesso a carico della contri- buente. Contro la decisione della CTR di Bari, l’ufficio ha proposto ricorso per Cassazione, sostenendo che la cartella di pagamento fosse stata preceduta dal- la notifica della comunicazione di irregolarità, contenente la pretesa vantata dall’Amministrazione finanziaria. Con la conseguenza che nessun difetto di motivazione potesse essere riscontrato nella cartella di pagamento contestata. La Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso e confermato le decisioni di merito precisando che, in relazione alla presunta notifica della comunica- zione di irregolarità, l’ufficio non ha fornito alcuna prova a riguardo ed, inol- tre, che trattandosi di un recupero del credito d’imposta ex art. 62 della l. n. 289 del 2002, l’amministrazione avrebbe dovuto precisare se le somme dovu- te derivassero dall’erronea contabilizzazione di crediti effettivamente spettanti ovvero dall’assenza dei presupposti per il riconoscimento del credito. La sentenza in commento offre, dunque, lo spunto per soffermarsi sulla motivazione della cartella di pagamento che riveste diversi profili problemati- ci, specie in ordine al suo contenuto, a seconda dei casi concreti che origina- no la pretesa impositiva cui si riferisce. Invero, il ruolo (2) e la cartella di pagamento, anche a seguito dell’ormai nota disciplina introdotta dall’art. 29 del d.l. 31 maggio 2010, n. 78 (conver- tito, con modificazioni, dalla l. 30 luglio 2010, n. 122) che ha concentrato la riscossione nell’accertamento attribuendo a quest’ultimo funzione esatti- va (3), continuano a contraddistinguere la riscossione delle entrate tributarie in quanto l’esecutività dell’avviso di accertamento è stata prevista soltanto per le imposte sui redditi, per l’iva (e per le sanzioni ad esse riferite (4)),

(2) Quando si parla di iscrizione a ruolo, è doveroso distinguere tra ruolo come atto unitario e le singole parti di esso (le imposte iscritte, le partite o articoli di ruolo). Sul pun- to, si rinvia a E. De Mita, Le iscrizioni a ruolo delle imposte sui redditi, Milano, 1979, 5 e 6 che così si è espresso: (...) occorre distinguere la formazione dell’elenco (artt. 181, 182 e 183) dalla iscrizione della singola partita, vale a dire dalla determinazione dell’imposta del singolo contribuente che l’ufficio compie, legittimato dalle diverse ipotesi elencate ne- gli artt. 174 e ss.. Tale distinzione è stata valorizzata anche da A. Berliri, Principi di dirit- to tributario, Milano, 1964, 289 e ss. (3) Per l’analisi degli effetti di tali modifiche normative e dei profili problematici ad esse connessi cfr., tra gli altri, F. Tesauro, L’accertamento tributario con efficacia esecuti- va,inGiur. it., 2012, 965 e ss.; E. Marello, L’accertamento tributario esecutivo: ambito applicativo e profili generali,inGiur. it., 2012, 966 e ss.; S. La Rosa, Riparto delle com- petenze e concentrazione degli atti nella disciplina della riscossione,inRiv. dir. trib., 2011, I, 577 e ss.; AA.VV., a cura C. Glendi e V. Uckmar, La concentrazione della riscos- sione nell’accertamento, Padova, 2011; G. Ingrao, La tutela della riscossione dei crediti tributari, Bari, 2012, 48 e ss.; G. Ingrao - R. Lupi, Dopo la concentrazione della riscossio- ne nell’accertamento, quali spazi per il ruolo di riscossione?,inDialoghi trib., 2010, 565 e ss.; A. Carinci, Prime considerazioni sull’avviso di accertamento «esecutivo» ex DL n. 78/2010,inRiv. dir. trib., 2011, I, 159 e ss.; A. Giovannini, Riscossione in base al ruolo e agli atti di accertamento,inRass. trib., 2011, 22 e ss. (4) Secondo l’Agenzia delle entrate (circolare n. 4/E del 15 febbraio 2011), la nuova procedura di riscossione trova applicazione soltanto con riferimento ai provvedimenti di ir- rogazione delle sanzioni che risultino connessi agli avvisi di accertamento, ossia nei soli casi in cui le sanzioni siano irrogate con atto contestuale all’atto impositivo (cfr. art. 17, 1o comma, d.lgs. n. 472 del 1997). Resterebbero, invece, escluse le sanzioni irrogate con il 566 DIRITTO E PRATICA TRIBUTARIA N. 4/2014 per i dazi doganali (5), nonché, deve ritenersi implicitamente, per l’irap (6). Permane, dunque, la rilevanza teorica, oltre che sicuramente pratica, del- l’indagine circa la doverosa motivazione di un atto fondamentale della riscos- sione, ossia della cartella di pagamento, che, evidentemente, si atteggia diver- samente nelle ipotesi in cui manifesti per la prima volta al contribuente la pretesa impositiva rispetto a quelle in cui tragga il proprio fondamento da precedenti provvedimenti (impositivi o giurisdizionali), per cui l’analisi sarà condotta sulla base di tale rilevante criterio distintivo.

2. – L’obbligatorietà ed il contenuto della motivazione della cartella di paga- mento non preceduta da altri provvedimenti impositivi o giurisdizionali

La cartella di pagamento, non preceduta – come nel caso in commento – da altri provvedimenti impositivi o giurisdizionali, rappresenta l’atto con il quale l’Amministrazione finanziaria palesa al contribuente, per la prima volta, la propria pretesa impositiva. In simili ipotesi, infatti, il ruolo è «innovativo (7)» e la cartella accosta, alle sue tipiche funzioni – tese, come noto, al recepimento ed alla conseguen- te comunicazione dell’iscrizione a ruolo al debitore – quelle attribuite gene- ralmente all’avviso di accertamento (8).

procedimento ordinario di cui all’art. 16 del medesimo decreto, ossia attraverso la notifica di separato atto di contestazione della sanzione. (5) Ciò in applicazione dell’art. 9 del d.l. n. 16 del 2 marzo 2012, convertito dalla l. n. 44 del 26 aprile 2012. (6) Cfr. A. Carinci, Prime considerazioni sull’avviso di accertamento «esecutivo» ex DL n. 78/2010, cit., 162, che ha ricondotto tale conclusione al fatto che l’art. 25 del d.lgs. n. 446 del 1997 richiama, per l’accertamento e la riscossione dell’irap, le norme previste in materia di imposte sui redditi. Nello stesso senso si è espressa l’Agenzia delle entrate nella circolare n. 4/E del 15 febbraio 2011, ove ha prospettato l’estensione del nuovo regime an- che alle addizionali regionale e comunale all’irpef, alle imposte sostitutive delle imposte sui redditi e dell’iva e, in generale, a quei tributi per i quali, ai fini della riscossione, si ap- plicano le disposizioni previste in materia di imposte sui redditi. Dunque, la riscossione a mezzo ruolo è rimasta in vigore per i tributi indiretti diversi dall’iva, per i tributi locali, per quelli doganali e, in generale, per le altre entrate pubbliche, anche non tributarie, riscuotibi- li in base al ruolo. Peraltro, anche con riferimento alle imposte sui redditi, all’irap ed al- l’iva, il nuovo regime è applicabile soltanto allorché si proceda con avviso di accertamento, per cui restano escluse le liquidazioni ed i controlli formali di cui agli artt. 36-bis e 36-ter del d.p.r. n. 600 del 1973 e 54-bis del d.p.r. n. 633 del 1972. (7) Cfr. F. Tesauro, Istituzioni di diritto tributario, Parte generale, 11a ed., Torino, 2011, 275 e ss.; M. Basilavecchia, Il ruolo e la cartella di pagamento: profili evolutivi del- la riscossione dei tributi, retro, 2007, I, 133; A. Carinci, Caratteri funzionali, profili di di- sciplina e tendenze evolutive del ruolo di riscossione, in AA.VV., a cura di A. Comelli e C. Glendi, La riscossione dei tributi, Verona, 2010, 67 e ss. (8) In tempi risalenti, da alcuni autori è stata affermata la natura provvedimentale del ruolo: così G. Falsitta, Il ruolo di riscossione. Natura ed efficacia oggettiva dell’iscrizione a ruolo del debito d’imposta, Padova, 1972, 152 e 153. L’Autore, infatti, riferendosi ad un diffuso orientamento dottrinale, ha affermato che il ruolo sarebbe (...) un atto amministra- tivo avente la caratteristica di quel tipico provvedimento che denominasi «ordine». Si rin- via, inoltre, a A. Berliri, In tema di ruolo esattoriale,inGiur. imp., 1965, 650 e ss. che co- sì si è espresso: (...) nei confronti dei contribuenti il ruolo costituisce un tipico provvedi- mento, cioè una manifestazione di volontà del soggetto attivo (l’ente impositore), il cui de- stinatario è proprio il contribuente; di qui la conseguenza che la fonte dei diritti, e degli PARTE SECONDA 567

Considerando altresì che, ove non impugnata ex art. 19 del d.lgs. n. 546 del 1992, la cartella di pagamento consolida i propri effetti nei confronti del contribuente, essa deve essere necessariamente motivata (9), al fine di garan- tire al contribuente la piena ed effettiva attuazione del proprio diritto di difesa nel rispetto delle norme costituzionali e delle Carte internazionali (10). Pertanto, ai sensi dell’art. 7 della l. n. 212 del 2000 (c.d. Statuto dei di- ritti del contribuente) – che, come noto, richiama l’art. 3 della l. n. 241 del 1990 (11) (richiamato dalla Suprema Corte nella pronuncia in esame) – la

obblighi, e più in genere degli effetti, nascenti dal ruolo, è l’ordine, il provvedimento con- tenuto e rultante dal ruolo (...). (9) Sul punto si rinvia, ex multis, a G. Ragucci, Gli atti impugnabili e i motivi del ri- corso,inCodice commentato del processo tributario, a cura di F. Tesauro, Torino, 2011, 313; M. Basilavecchia, Il ruolo e la cartella di pagamento: profili evolutivi della riscossio- ne dei tributi, in AA.VV., a cura di A. Comelli e C. Glendi, La riscossione dei tributi, cit., 62; A. Carinci, Caratteri funzionali, profili di disciplina e tendenze evolutive, in AA.VV., a cura di A. Comelli e C. Glendi, La riscossione dei tributi, cit., 74; C. Califano, La motiva- zione della cartella di pagamento non preceduta da avviso di accertamento, retro, 2005, 497 e ss.; R. Miceli, La motivazione degli atti tributari, in AA.VV., a cura di A. Fantozzi e A. Fedele, Lo statuto dei diritti del contribuente, Milano, 2005, 281 e ss.; S. La Rosa, Ri- scossione delle imposte,inEnc. giur., XXVIII, 2000, 5. (10) Sulla valenza delle Carte internazionali nel diritto interno, con specifico riferi- mento alla materia tributaria, cfr. F. Tesauro, Giusto processo e processo tributario,in Rass. trib., 2006, 11 e ss.; S. Muleo, Il principio europeo dell’effettività della tutela e gli anacronismi delle presunzioni legali tributarie alla luce dei potenziamenti dei poteri istrut- tori dell’Amministrazione finanziaria,inRiv. trim. dir. trib., 2012, 685 e ss.; Id., La Corte europea dei diritti dell’uomo «apre» alle questioni tributarie in tema di sindacabilità giuri- sdizionale delle indagini domiciliari,inDialoghi trib., 2009, 381 ss.; Id., L’applicazione dell’art. 6 CEDU anche all’istruttoria tributaria a seguito della sentenza del 21 febbraio 2008 della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo nel caso Ravon e altri c. Francia e le ri- cadute sullo schema processuale vigente,inRiv. dir. trib., 2008, 198 ss.; E. Della Valle, Il giusto processo tributario. La giurisprudenza della Cedu,inRass. trib., 2013, 435 e ss.; A. Di Pietro, Giusto processo, giustizia tributaria e giurisprudenza comunitaria,inRass. trib., 2013, 405 e ss.; A. Marcheselli, Lo Statuto del contribuente è rafforzato dalla Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo: il caso delle «stock options»;inGT - Riv. giur. trib., 2012, 864 e ss.; G. Melis - A. Persiani, Riscossione coattiva e Convenzione europea dei diritti dell’uomo: alcune riflessioni,inRass. trib., 2011, 901 e ss.; L. Del Federico, I principi della Convenzione europea dei diritti dell’uomo in materia tributaria, in Riv. dir. fin. sc. fin., 2010, I, 206 e ss.; A. Marcheselli, Accessi, verifiche fiscali e giusto processo: una importante sentenza della Corte europea dei diritti dell’uomo,inGT - Riv. giur. trib., 2008, 746; E. La Scala, Principi del «giusto processo» tra diritto interno, comunitario e convenzionale,inRiv. dir. trib., 2007, IV, 54 e ss.; M. Greggi, Giusto processo e diritto tributario europeo: la prova testimoniale nell’applicazione della CEDU (il caso Jussila),in Rass. trib., 2007, 228 e ss.; L. Perrone, Diritto tributario e Convenzione europea dei diritti dell’uomo,inRass. trib., 2007, 680. (11) L’articolo 7 dello Statuto dei diritti del contribuente, che, come ampiamente no- to, riprende e ribadisce l’articolo 3 della l. n. 241 del 1990, omette di richiamare il riferi- mento agli elementi probatori raccolti durante la fase istruttoria. Tuttavia, sarebbe irragio- nevole pensare che il legislatore abbia voluto ridurre le garanzie del contribuente proprio all’interno di una normativa creata ad hoc per rafforzare la tutela del contribuente. Inoltre, se il legislatore avesse voluto ridimensionare la portata del già citato articolo 3, ne avrebbe escluso una parte in modo esplicito, così come ha fatto in relazione alla partecipazione al procedimento ed all’accesso da parte del contribuente, ed avrebbe evitato di effettuare il rinvio a tutta la disposizione. Ancora, quando nel 2001, con il decreto n. 32, sono state ap- portate, alle disposizioni inerenti ai singoli tributi, le modifiche necessarie ad armonizzarle 568 DIRITTO E PRATICA TRIBUTARIA N. 4/2014 cartella esattoriale, al pari dell’avviso di accertamento e, più in generale, di ogni atto di natura tributaria, deve essere motivata in relazione ai presupposti di fatto ed alle ragioni giuridiche che supportano la pretesa impositiva, non- ché con riferimento alle risultanze dell’istruttoria che hanno condotto all’ema- nazione dell’atto (12). Tale norma, infatti, al primo e secondo comma fa riferimento, come am-

con le norme dello Statuto dei diritti del contribuente, in tema di motivazione tutto è rima- sto come era. Dunque, è stato confermato quanto contenuto nell’art. 7 della l. n. 212 del 2000. Sul punto, si rinvia a S. Muleo, Contributo allo studio del sistema probatorio nel procedimento di accertamento, Torino, 2000, 357 e ss.; F. Gallo, Motivazione e prova nel- l’accertamento tributario: l’evoluzione del pensiero della Corte,inRass. trib., 2001, 1095; M. Mauro, I riflessi dell’art. 21 octies della L. n. 241/1990 sulla motivazione dei provvedi- menti di accertamento tributario,inBoll. trib., 2005, 1621 e ss. (12) In tema di motivazione degli atti impositivi, si rinvia, tra gli altri, a F. Tesauro, La motivazione degli avvisi di accertamento dei valori immobiliari in una aberrante deci- sione della Commissione centrale,inBoll. trib., 1981, 804 e ss.; Id., Ancora sulla motiva- zione degli avvisi di accertamento (nota a Cass., sez. I, 11 luglio 1985, n. 4129), ivi, 1985, 1511 e ss.; R. Lupi, Motivazione e prova nell’accertamento tributario, con particolare ri- guardo alle imposte dirette e all’IVA,inRiv. dir. fin. sc. fin., 1987, I, 274 e ss.; L. Ferlaz- zo Natoli, La motivazione nell’accertamento tributario,inRass. trib., 1986, I, 217; S. Mu- scarà, Poteri di autotutela dell’amministrazione finanziaria in ipotesi di difetto di motiva- zione del provvedimento impositivo, ivi, 1990, I, 381; M. Basilavecchia, Comportamento processuale dell’ufficio imposte e motivazione dell’atto impugnato (nota a Comm. trib., 1o grado Milano, sez. XXXVII, 28 ottobre 1987), ivi, 1989, II, 208; Id., Strumenti parametri- ci, contraddittorio, motivazione dell’accertamento: il corretto ruolo del giudice tributario, in GT - Riv. giur. trib., 2007, 11, 935; M. Maffezzoni, La sorte degli accertamenti immoti- vati secondo la cassazione (nota a Cass., sez. un., 17 marzo 1989, n. 1333), in Boll. trib., 1989, 1495; M.C. Fregni, Spunti problematici in tema di motivazione degli atti di imposi- zione (nota a Comm. centr., sez. XVI, 13 gennaio 1988, n. 282; Comm. centr., sez. V, 4 gennaio 1988, n. 37; Comm. centr., sez. XIII, 15 dicembre 1987, n. 9175), in Giur. it., 1988, III, 2, 1; D. Stevanato, La motivazione degli avvisi di accertamento (rassegna di dot- trina e giurisprudenza),inRass. trib., 1989, II, 367; A. Uricchio, L’obbligo di motivazione negli accertamenti di valore, retro, 1986, I, 753; M. Beghin, Osservazioni in tema di moti- vazione dell’avviso di accertamento ex art. 42, d.p.r. n. 600/1973, alla luce dell’art. 7 dello «Statuto dei diritti del contribuente»,inRiv. dir. trib., 2004, 709; L. Ferlazzo Natoli - G. Ingrao, La motivazione della cartella esattoriale di pagamento: elementi essenziali, cit., 552; M. Mauro, I riflessi dell’art. 21-octies della L. n. 241/1990 sulla motivazione dei provvedimenti di accertamento tributario, cit., 1621 e ss.; R. Miceli, La motivazione degli atti tributari, in AA.VV., a cura di A. Fantozzi - A. Fedele, Lo statuto dei diritti del con- tribuente, cit., 281 e ss.; F. Niccolini, La motivazione dell’atto di accertamento nel diritto tributario, Roma, 2008, 321 e ss.; Id., Il difetto di motivazione degli atti impositivi,in Rass. trib., 2010, 1212; E. Marello, La motivazione contraddittoria come vizio dell’avviso di accertamento,inGiur. it., 2010, 967 e ss.; C. Califano, La motivazione degli atti impo- sitivi, cit. In senso conforme Cass., sez. V, 11 novembre 2003, n. 16875; Cass., sez. V, 12 agosto 2004, n. 15638 con nota di C. Califano, La motivazione della cartella di pagamento non preceduta da avviso di accertamento, cit., 497 e ss. In tale pronuncia si legge che: «(...) alla cartella di pagamento sono applicabili i principi di ordine generale indicati per ogni provvedimento amministrativo dall’art. 3, l. 7 agosto 1990, n. 241 (poi recepiti, per la materia tributaria, dall’art. 7, l. 27 luglio 2000, n. 212), ponendosi una diversa interpreta- zione in insanabile contrasto con gli artt.3e24della Costituzione (...)». Tra le altre, si ve- dano anche Cass., sez. trib., 16 settembre 2005, n. 18415; Cass., sez. V, 16 maggio 2007, n. 11251; Cass., sez. V, 16 dicembre 2009, n. 26330; Cass., sez. V, 30 dicembre 2009, n. 28056; Cass., sez. un., 14 maggio 2010, n. 11722; Cass., sez. V, 4 agosto 2010, n. 18076; Comm. trib. reg. Roma, sez. XXXVIII, 19 ottobre 2010, n. 294; Cass., sez. V, 23 maggio 2012, n. 8137; Cass., sez. VI, 10 dicembre 2012, n. 22500; Cass., sez. VI, 8 febbraio 2013, n. 3116. PARTE SECONDA 569 piamente noto, a tutti gli atti dell’Amministrazione finanziaria e, di conse- guenza, è applicabile non solo all’avviso di accertamento, ma anche agli atti rientranti nel procedimento sanzionatorio, agli atti endo-procedimentali (13) ed a quelli attinenti alla successiva fase della riscossione (14). Inoltre, al terzo comma della medesima disposizione è statuito che sul ti- tolo esecutivo va riportato il riferimento all’eventuale precedente atto di ac- certamento ovvero, in mancanza, la motivazione della pretesa tributaria. Il che conferma la doverosità della motivazione per tutti gli atti dell’Am- ministrazione finanziaria, compresi gli atti di riscossione e, dunque, la cartella di pagamento (15). Invero, lo stesso art. 17 dello Statuto dei diritti del contribuente estende, come noto, l’applicazione delle disposizioni della legge anche ai soggetti che rivestono la qualifica di concessionari e di organi indiretti dell’Amministra- zione finanziaria e, pertanto, ai soggetti che esercitano l’attività di accerta- mento, liquidazione e riscossione di tributi di qualunque natura (16) (17). Ne consegue la necessaria riferibilità del richiamato art. 7, in tema di motivazione, anche agli atti dei concessionari della riscossione e, quindi, alle cartelle di pagamento. Senza trascurare che, a seguito delle modifiche apportate dal d.lgs. n. 32 del 2001 e dalla l. n. 311 del 2004 all’art. 12, 3o comma, del d.p.r. n. 602 del 1973 (18),

(13) Si pensi, a mero titolo esemplificativo, all’autorizzazione del Procuratore della Repubblica, necessaria per poter effettuare un accesso domiciliare, che deve essere obbliga- toriamente motivata. (14) Cfr. A. Viotto, I poteri d’indagine dell’Amministrazione finanziaria nel quadro dei diritti di libertà sanciti dalla costituzione, Milano, 2002, 288 e ss. che ha precisato co- me la locuzione «atti dell’Amministrazione finanziaria», contenuta nell’art. 7 dello Statuto dei diritti del contribuente, si riferisca a tutte le manifestazioni di volontà a rilevanza ester- na poste in essere nell’esercizio di funzioni amministrative. (15) Cfr. M. Basilavecchia, Le indicazioni obbligatorie delle cartelle di pagamento, in GT - Riv. giur. trib., 2008, 373 e ss. (16) È utile ricordare che l’art. 17 dello Statuto dei diritti del contribuente recita te- stualmente: Le disposizioni della presente legge si applicano anche nei confronti dei sog- getti che rivestono la qualifica di concessionari e di organi indiretti dell’Amministrazione finanziaria, ivi compresi i soggetti che esercitano l’attività di accertamento, liquidazione e riscossione di tributi di qualunque natura. (17) A partire dal 1 ottobre 2006, come noto, in applicazione dell’art. 3 del d.l. n. 203 del 30 settembre 2005, le funzioni di riscossione sono attribuite all’Agenzia delle en- trate che le attua mediante la società pubblica «Riscossione s.p.a.». Sul tema, si rinvia a G. Ingrao, La tutela della riscossione dei crediti tributari, cit., 37 e ss.; A. Parlato, Gestione pubblica e privata nella riscossione dei tributi a mezzo ruolo,inRass. trib., 2007, 1355 e ss.; M.C. Parlato, Brevi note sulla Riscossione S.p.a.,inRass. trib., 2006, 1174 e ss. (18) L’art. 12 del d.p.r. n. 602 del 1973, come noto, a seguito delle sopra richiamate modifiche, prevede che: 1. L’ufficio competente forma ruoli distinti per ciascuno degli am- biti territoriali in cui i concessionari operano. In ciascun ruolo sono iscritte tutte le somme dovute dai contribuenti che hanno il domicilio fiscale in comuni compresi nell’ambito ter- ritoriale cui il ruolo si riferisce. 2. Con decreto del Ministero delle finanze, di concerto con il Ministero del tesoro, del bilancio e della programmazione economica, sono stabiliti i dati che il ruolo deve contenere, i tempi e le procedure della sua formazione, nonché le modalità dell’intervento in tali procedure del consorzio nazionale obbligatorio fra i con- cessionari.3. Nel ruolo devono essere comunque indicati il numero del codice fiscale del contribuente, la specie del ruolo, la data in cui il ruolo diviene esecutivo e il riferimento all’eventuale precedente atto di accertamento ovvero, in mancanza, la motivazione, anche sintetica, della pretesa; in difetto di tali indicazioni non può farsi luogo all’iscrizione. 4. Il 570 DIRITTO E PRATICA TRIBUTARIA N. 4/2014 attualmente è riconosciuta normativamente la doverosità della motivazione del ruolo. Pertanto, sarebbe irrazionale ammettere l’obbligatorietà della motivazio- ne del ruolo e negarla, invece, per la cartella di pagamento. Ciò in quanto il ruolo è un atto che viene ad essere riprodotto nella car- tella e, solo mediante la notifica di quest’ultima, è portato a conoscenza del contribuente (19). Dunque, addirittura «avrebbe più senso motivare la cartella che non il ruolo (20)». Peraltro, il ruolo e la cartella di pagamento sono di fatto equiparati dal d.m. n. 321 del 3 settembre 1999 (21). Quanto sinora sostenuto potrebbe, apparentemente, stridere con la lettera dell’art. 25 del d.p.r. n. 602 del 1973 che non prevede, con riferimento alle cartelle esattoriali, un espresso obbligo di motivazione. Tuttavia, tale omissione normativa non può essere determinante; né può essere giustificata in virtù della valorizzazione delle comunicazioni di irrego- larità (c.d. avvisi bonari (22)), nelle quali è confluito il contenuto previsto originariamente per le cartelle di pagamento (23). In proposito, non appare condivisibile la rilevanza che sembra essere sta- ta attribuita, nella pronuncia in commento, dalla Corte di Cassazione alla non dimostrata notifica, alla società contribuente, della comunicazione di irregola- rità da parte dell’Amministrazione finanziaria. Difatti, anche laddove – come sostenuto dall’Agenzia delle entrate in tutti i gradi di giudizio – essa avesse provveduto, regolarmente, alla notifica di tale atto, non sarebbe stata comunque sufficiente una motivazione stringata della cartella di pagamento, non essendo possibile, in alcun modo, attribuire alle comunicazioni di irregolarità la natura di provvedimento (24).

ruolo è sottoscritto, anche mediante firma elettronica, dal titolare dell’ufficio o da un suo delegato. Con la sottoscrizione il ruolo diviene esecutivo. (19) Il ruolo non viene pubblicato né notificato e, di conseguenza, la notifica della cartella rappresenta anche la notifica del ruolo. Cfr. art. 21, 1o comma, del d.lgs. n. 546 del 31 dicembre 1992. (20) Cfr. L. Ferlazzo Natoli - G. Ingrao, La motivazione della cartella esattoriale di pagamento: elementi essenziali, cit., 552. Contra C. Califano, La motivazione della cartella di pagamento non preceduta da accertamento, cit., 521 e ss.; Id., La motivazione degli atti impositivi, cit., 336. (21) Difatti, all’art. 6 di tale decreto, in relazione alla cartella di pagamento, è previ- sto che il contenuto minimo (.....) è costituito dagli elementi che, ai sensi dell’articolo 1, 1o e2o comma, devono essere elencati nel ruolo, ad eccezione della data di consegna del ruolo stesso al concessionario e del codice degli articoli di ruolo e dell’ambito. (22) Sulla natura informale delle comunicazioni di irregolarità si rinvia a F. Tesauro, Istituzioni di diritto tributario, Parte generale, cit., 186 e ss.; C. Attardi, Forma, contenuto ed effetti dell’atto di riscossione: dalla cartella all’accertamento esecutivo, in AA.VV., La riscossione dei tributi, a cura di M. Basilavecchia - S. Cannizzaro - A. Carinci, Milano, 2011, 116. (23) Cfr., ancora, L. Ferlazzo Natoli - G. Ingrao, La motivazione della cartella esat- toriale di pagamento: elementi essenziali, cit., 552, nota n. 37. (24) È opportuno, sul punto, precisare che nella nozione di «avvisi bonari» sono ri- compresi sia gli avvisi di pagamento che le comunicazioni di irregolarità. Tuttavia, mentre i primi, disciplinati dall’art. 25 del d.lgs. n. 472 del 1997, sono atti amministrativi non vin- colanti del Concessionario della riscossione che riguardano somme già iscritte a ruolo; le comunicazioni di irregolarità, invece, sono previste dagli artt. 36-bis e 36-ter del d.p.r. n. PARTE SECONDA 571

Dimostrata, dunque, la doverosità della motivazione della cartella di pa- gamento, è opportuno chiarirne il contenuto. Come sostenuto in dottrina e ribadito dalla Suprema Corte nella sentenza in esame, la motivazione deve contenere in modo chiaro «le indicazioni ne- cessarie ad individuare dettagliatamente i caratteri e le ragioni della pretesa

600 del 1973, in tema liquidazione dell’imposta e controllo formale delle dichiarazioni ai fini delle imposte sui redditi, e dall’art. 54-bis del d.p.r. n. 633 del 1972, in tema liquida- zione dell’imposta risultante dalla dichiarazione iva. Queste ultime sono atti amministrativi istruttori, emessi dall’Agenzia delle entrate e relativi a somme non ancora iscritte a ruolo. Sul punto, per ulteriori approfondimenti, si rinvia a M. Pierro, Invalidità del ruolo per omessa valutazione dei documenti prodotti dal contribuente nella liquidazione automatica della dichiarazione,inRass. trib., 2012, 1574 e ss.; G. Ingrao, L’impugnabilità degli avvisi bonari di pagamento e delle comunicazioni di irregolarità,inRass. trib., 2005, 940 e ss.; L. Ferlazzo Natoli - G. Ingrao, La motivazione della cartella esattoriale di pagamento: ele- menti essenziali, cit., 555. In ordine alla natura provvedimentale o meno di tali atti, non si può omettere il riferimento alla recente Cass., sez. trib., 11 maggio 2012, n. 7344, con nota di A. Guidara, Ragioni e possibili implicazioni dell’affermata impugnabilità delle comuni- cazioni di irregolarità,inGT - Riv. giur. trib., 2012, 657 e ss., che ha affermato l’impu- gnabilità delle comunicazioni di irregolarità, seppur non rientranti nell’elenco degli atti im- pugnabili, in via autonoma, ex art. 19 del d.lgs. n. 546 del 1992, mediante un’interpretazio- ne estensiva o addirittura analogica della disposizione. Tale orientamento, tuttavia, non può essere condiviso in quanto, in estrema sintesi, come affermato in dottrina (cfr., per tutti, F. Tesauro, Manuale del processo tributario, Torino, 2013, 84 e ss.; Id., Gli atti impugnabili e i limiti della giurisdizione tributaria, cit., 9 e ss.; G. Tabet, Contro l’impugnabilità degli avvisi di pagamento della TARSU,inGT - Riv. giur. trib., 2008, 323 e ss.; Diritto vivente e tutela anticipata nei confronti degli atti atipici, cit., 283; Id., Verso la fine del principio di tipicità degli atti impugnabili?, cit., 507 e ss.; G. Ragucci, Gli atti impugnabili e i motivi di ricorso,inCodice commentato del processo tributario, a cura di F. Tesauro, cit., 323) la circostanza di anticipare il contenuto dell’atto impugnabile non rende l’atto impugnabile. Inoltre, seppur può essere ammessa una lettura estensiva dell’elenco degli atti impugnabili, devono ritenersi escluse integrazioni analogiche: così F. Tesauro, Manuale del processo tri- butario, cit., 84 e ss.; Id., Gli atti impugnabili e i limiti della giurisdizione tributaria, cit.,9 e ss.; Id., Lineamenti del processo tributario, cit., 89 e ss.; G. Ragucci, Gli atti impugnabili e i motivi del ricorso, cit., 306 e 307. Pertanto, affinché un atto atipico possa essere consi- derato impugnabile, occorre che esso, pur presentando un diverso nomen iuris, condivida le finalità ed i caratteri propri degli atti impugnabili in via autonoma e, quindi, che si tratti di un atto amministrativo per il quale non sia trascorso il termine previsto ai fini dell’impu- gnazione (i.e. 60 giorni dalla notifica dell’atto), decorso il quale esso diviene definitivo ed in relazione al quale sussista per il ricorrente l’interesse ad agire, ex art. 100 c.p.c. Al con- trario, rendere impugnabile ogni atto a firma dell’Amministrazione finanziaria, che conten- ga la pretesa vantata, significherebbe snaturare l’essenza del processo tributario evidente- mente di natura impugnatoria e caratterizzata dalla canonizzazione dell’interesse al ricorso negli atti tipici contenuti nell’art. 19 e si tradurrebbe, altresì, nel travisamento dell’istituto della tutela differita, che non equivale ad un’assenza di tutela ma integra, al contrario, in modo armonioso il sistema dell’impugnazione in via autonoma. Ancora, verrebbe meno l’obiettivo della celerità del giudizio, per lasciare il posto alla dilatazione del processo tri- butario. Infine, si svuoterebbe del carattere dell’imperatività l’atto di imposizione, che si ri- durrebbe a mero presupposto dell’azione giurisdizionale, con la conseguente trasformazione della giurisdizione tributaria che diverrebbe semipiena. Tutto ciò in palese violazione del- l’art. 19 che deve essere certamente – nei termini già precisati – interpretato estensivamen- te, ma che non può essere oggetto di costante e naturale disapplicazione da parte di quella dottrina e di quella giurisprudenza che compromette, sempre più frequentemente, il disegno sui si fonda l’intero sistema tributario. Tali considerazioni, evidentemente, inducono a ne- gare la natura provvedimentale delle comunicazioni di irregolarità. 572 DIRITTO E PRATICA TRIBUTARIA N. 4/2014 avanzata dall’ente impositore (25)», in modo tale da costituire una motivazio- ne congrua, sufficiente e comprensibile (26). Ciò in quanto il contribuente deve essere posto nelle condizioni di cono- scere i profili qualitativi e quantitativi della pretesa tributaria; sindacare, ove possibile, la pretesa esecutiva che lo riguarda, nell’esercizio del proprio dirit- to al contraddittorio (27)e approntare un’adeguata difesa. È bene, però, chiarire che la motivazione della cartella di pagamento – che, come evidenziato, nei casi in cui non è preceduta da altro provvedimento impositivo o giurisdizionale rappresenta il primo atto con cui viene ad essere manifestata la pretesa impositiva al contribuente – coincide, per quel che con- cerne gli importi già iscritti a ruolo, con la motivazione del ruolo (28) che, come già affermato, è stabilita dall’art. 12 del d.p.r. n. 602 del 1973, come modificato dal d.lgs. n. 32 del 2001 e dalla l. n. 311 del 2004. Con la differenza che le informazioni contenute nel ruolo sono destinate all’agente della riscossione, mentre quelle contenute nella cartella di paga- mento sono dirette al contribuente, che viene a conoscenza del ruolo median- te la notifica della cartella (29). Né si può sostenere che la cartella di pagamento possa presentare, per gli importi già iscritti a ruolo, un’autonoma motivazione, perché in tal caso si attribuirebbe all’agente della riscossione, che non è titolare della pretesa im- positiva, il compito di individuare i presupposti di fatto e le ragioni giuridi- che della pretesa fiscale, mentre la cartella di pagamento riveste soltanto la funzione di recepire e riprodurre il contenuto del ruolo, portandolo a cono- scenza del contribuente (30).

(25) Così A. Carinci, La riscossione a mezzo ruolo nell’attuazione del tributo, cit., 119. (26) Cfr., ex multis, O. Ranelletti, Teoria degli atti amministrativi speciali, Milano, 1945, 99 e ss.; P. Virga, Il provvedimento amministrativo, Milano, 1972, 207 e ss. e spec. 213; Id., La tutela giurisdizionale nei confronti della pubblica amministrazione,3a ed., Mi- lano, 1982, 242 e ss.; A.M. Sandulli, Manuale di diritto amministrativo,15a ed., Napoli, 1999, 139 e ss. In giurisprudenza, cfr. Cass., sez. V, 16 dicembre 2009, n. 26330, richia- mata dalla pronuncia in commento. (27) In tema di diritto al contraddittorio all’interno delle procedure esecutive, si rin- via a A. Carinci, La riscossione a mezzo ruolo nell’attuazione del tributo, cit., 117 e ss.; A. Bonsignori, voce Esecuzione forzata in generale,inDig. disc. priv., sez. civ., 1991, VII, 567 e ss. (28) Cfr. A. Carinci, La riscossione a mezzo ruolo nell’attuazione del tributo, cit., 117, 230 e 231; A. Modolo, Procedimenti attuativi dei tributi e Statuto dei diritti del con- tribuente. Questioni attuali in tema di motivazione degli atti impositivi,inRiv. dir. trib., 2007, I, 300 e ss.; R. Rinaldi, voce Riscossione dei tributi,inDizionario di diritto pubbli- co, diretto da S. Cassese, Milano, 2006, V, 5341 e ss. (29) Cfr., ancora, A. Carinci, La riscossione a mezzo ruolo nell’attuazione del tribu- to, cit., 117 e ss. (30) Cfr. C. Califano, La motivazione della cartella di pagamento non preceduta da avviso di accertamento, cit., 497 e ss.; Id., La motivazione degli atti impositivi, cit., 335 e 336; G. Boletto, Il ruolo di riscossione nella dinamica del prelievo delle entrate pubbliche, Milano, 2010, 31. La circostanza che, come noto, Ente impositore e agente della riscossio- ne sono soggetti differenti si ripercuote in sede d’impugnazione dei provvedimenti. In pro- posito, si rinvia A. Carinci, Autonomia e indipendenza del procedimento di iscrizione a ruolo rispetto alla formazione della cartella di pagamento,inGT - Riv. giur. trib., 2011, 971 e ss.; G. Ragucci, Gli atti impugnabili e i motivi di ricorso,inCodice commentato del processo tributario, a cura di F. Tesauro, cit., 303 e ss.; R. Schiavolin, Art. 19,inCom- mentario breve alle leggi del processo tributario, a cura di C. Consolo - C. Glendi, Pado- PARTE SECONDA 573

Inoltre, è necessario sottolineare che, per quel che concerne gli importi accessori non iscritti a ruolo, la motivazione della cartella di pagamento pre- senta un contenuto ulteriore rispetto a quella del ruolo. A mero titolo esemplificativo, si pensi agli interessi moratori maturati a seguito della scadenza del termine di pagamento della cartella esattoriale o ai diritti di riscossione. Tali importi, come noto, al momento della notifica dell’atto presupposto non sono stati ancora determinati e, dunque, non sono contenuti nella motivazione del ruolo ma piuttosto nella motivazione della cartella di pagamento (31). Inoltre la motivazione del ruolo, e conseguentemente della cartella di pa- gamento, in aggiunta ai presupposti di fatto ed alle ragioni giuridiche deve contenere anche il riferimento alle risultanze dell’istruttoria che hanno con- dotto all’emanazione del provvedimento impositivo (32), ex art. 3 della l. n. 241 del 1990, richiamato dall’art. 7 dello Statuto dei diritti del contribuente. Ai sensi dell’art. 6, 5o comma, dello Statuto dei diritti del contribuen- te (33), l’ufficio è tenuto in caso di incertezza a richiedere chiarimenti al con- tribuente prima di procedere alle iscrizioni a ruolo nascenti dalla liquidazione di tributi o risultanti da dichiarazioni. Di conseguenza, si deve ritenere che l’amministrazione debba anche pro- spettare all’interno della motivazione del ruolo e dunque della cartella di pa- gamento, le valutazioni effettuate in relazione ai chiarimenti forniti dal contri- buente e, eventualmente, motivare il mancato accoglimento degli stessi, nel rispetto dell’art. 3 della l. n. 241 del 1990.

3. – La motivazione della cartella di pagamento emessa a seguito di un prov- vedimento Al contrario di quanto sinora affermato, la cartella di pagamento emessa a seguito di un provvedimento, ed in specie di un avviso di accertamento o di una sentenza, è un mero atto di riscossione che non ha, dunque, carattere im- positivo (34).

va, 2005, 195 e ss.; A. Giovannini, Gli atti impugnabili,inIl processo tributario, Giur. sist. diritto tributario, diretta da F. Tesauro, cit., 394 e ss. (31) In proposito, si rinvia a A. Bodrito, La riscossione,inLezioni di diritto tributa- rio, di G. Marongiu - A. Marcheselli, Torino, 2013, 131 e ss. (32) In relazione al contenuto della motivazione del ruolo che deve fondarsi anche sulle risultanze dell’istruttoria, si rinvia a C. Califano, La motivazione degli atti impositivi, cit., 337. (33) Difatti, come noto, l’art. 6, 5o comma, dello Statuto dei diritti del contribuente prevede che: Prima di procedere alle iscrizioni a ruolo derivanti dalla liquidazione di tri- buti risultanti da dichiarazioni, qualora sussistano incertezze su aspetti rilevanti della di- chiarazione, l’Amministrazione finanziaria deve invitare il contribuente, a mezzo del servi- zio postale o con mezzi telematici, a fornire i chiarimenti necessari o a produrre i docu- menti mancanti entro un termine congruo e comunque non inferiore a trenta giorni dalla ricezione della richiesta. La disposizione si applica anche qualora, a seguito della liquida- zione, emerga la spettanza di un minor rimborso di imposta rispetto a quello richiesto. La disposizione non si applica nell’ipotesi di iscrizione a ruolo di tributi per i quali il contri- buente non è tenuto ad effettuare il versamento diretto. Sono nulli i provvedimenti emessi in violazione delle disposizioni di cui al presente comma. (34) Cfr. E. Allorio, Diritto processuale tributario,5a ed., Torino, 1969, 91 e 92, se- condo il quale (...) l’iscrizione a ruolo opera, rispetto all’imposizione, come condicio iuris e (...) l’imposizione s’accentra nell’atto che la legge chiama «accertamento». Ancora, cfr. 574 DIRITTO E PRATICA TRIBUTARIA N. 4/2014

In tali ipotesi, poiché i precedenti atti sono motivati, la cartella di paga- mento non necessita di una propria motivazione (35). Invero – poiché la pretesa fiscale dell’Amministrazione finanziaria è sta- ta determinata con precedenti atti conosciuti dal contribuente – l’obbligo della motivazione è assolto mediante il riferimento agli estremi del provvedimento precedente ovvero, in mancanza, mediante la riproposizione della motivazione della pretesa tributaria (36). Si tratta, in altri termini, di una forma di motivazione per relatio- nem (37), ai sensi del già richiamato art. 7, 3o comma, della l. n. 212 del

E. De Mita, Le iscrizioni a ruolo delle imposte sui redditi, cit., IV e 83 che così si è espresso: Gli atti dell’accertamento e della riscossione non sono riconducibili ad una gene- rica categoria di atti detti di «imposizione» e (...) l’iscrizione a ruolo (...) non può essere un atto costitutivo di tale obbligazione, né requisito d’efficacia d’un atto costitutivo altri- menti individuato. Recentemente, si vedano C. Califano, La motivazione degli atti impositi- vi, Torino, 2012, 338; L. Ferlazzo Natoli - G. Ingrao, La motivazione della cartella esatto- riale di pagamento: elementi essenziali,inRiv. dir. trib., 2005, I, 552. Contra, M.S. Gian- nini, Le obbligazioni pubbliche, Roma, 1964, 70, come citato da E. Allorio, Diritto proces- suale tributario, cit., 92, nota n. 72, secondo cui L’accertamento non è l’imposizione, es- sendo atto conclusivo della fase istruttoria. Invero, secondo tale Autore l’imposizione avrebbe il suo fulcro nell’iscrizione a ruolo; l’«accertamento» non sarebbe che un momen- to della vicenda formativa dell’imposizione così considerata (...). (35) Cfr. F. Tesauro, Istituzioni di diritto tributario, cit., 274 e ss. (36) Cfr. Cass., sez. un., 14 maggio 2010, n. 11722 che così si è espressa: (...) tale motivazione può essere assolta per relationem ad altro atto che costituisca il presupposto dell’imposizione, atto del quale, tuttavia, debbono comunque essere specificamente indicati gli estremi, anche relativi alla pubblicazione dello stesso su bollettini o albi ufficiali che eventualmente ne sia stata fatta a sensi di legge, affinché il contribuente ne abbia cono- scenza o conoscibilità: l’atto di rinvio, quando si tratta di atti dei quali il contribuente ab- bia già integrale e legale conoscenza per effetto di precedente notificazione o pubblicazio- ne, non deve essere necessariamente allegato alla cartella – secondo una interpretazione non puramente formalistica della l. 27 luglio 2000, n. 212, art. 7, 1o comma, (cosiddetto Statuto del contribuente) –, sempre che ne siano indicati nella cartella stessa i relativi estremi di notificazione o di pubblicazione. Contra, Cass., sez. V, 25 maggio 2011, n. 11466 che, superando il disposto dell’art. 7, 3o comma, della l. n. 212 del 2000, ha ritenuto legittima una cartella di pagamento che non conteneva il riferimento ai precedenti atti di accertamento, ma soltanto l’indicazione dei giudizi relativi agli atti impositivi. Tuttavia, co- me sottolineato da A. Carinci, La riscossione a mezzo ruolo nell’attuazione del tributo, Pi- sa, 2008, 231 e 232, occorre precisare che il riferimento all’atto presupposto deve essere tale da non provocare incertezze nell’individuazione di quest’ultimo, a pena di illegittimità. Le indicazioni contenute devono consentire di identificare l’atto che rappresenta il titolo dell’iscrizione a ruolo. Sul punto, cfr. Comm. trib. reg. Bari, 4 aprile 2007, n. 77. (37) La letteratura sulla motivazione per relationem è molto vasta. Cfr., ex multis,G. Falsitta, Manuale di diritto tributario, Parte generale,7a ed., Padova, 2010, 372 e ss.; C. Ca- lifano, Esclusione dall’obbligo di allegazione dei documenti non funzionali alla motivazione per relationem dell’atto impositivo,inGiur. it., 2010, 2692 e ss.; M. Beghin, Motivazione «per relationem», Statuto del contribuente e «conoscibilità» degli atti esterni,inCorr. trib., 2008, 805 e ss.; F. Tesauro, Istituzioni di diritto tributario, Parte generale, cit., 203 e ss.; L. Salvi- ni, La motivazione per relationem nelle più recenti pronunce della Sezione tributaria della Cor- te di Cassazione,inRiv. dir. trib., 2002, 847 e ss.; R. Miceli, Motivazione per relationem: dal- la prime elaborazioni giurisprudenziali allo Statuto del contribuente,inRiv. dir. trib., 2001, 1170 e ss.; G. Vanz, Sulla nullità dell’avviso di accertamento motivato per relationem,inRass. trib., 1999, 1170 e ss.; A.F. Uricchio, Limiti e condizioni di validità della motivazione per re- lationem: il caso della mancata produzione, nel corso del giudizio, di una stima UTE richia- mata nell’atto di accertamento,inBoll. trib., 1996, 1143 e ss. PARTE SECONDA 575

2000 (c.d. Statuto dei diritti del contribuente) che non prevede l’allegazione del provvedimento cui la cartella si riferisce, in quanto già in possesso del contribuente che ne ha avuto piena cognizione mediante l’avvenuta notifica. Laddove, invece, il provvedimento alla base della cartella di pagamento non sia stato notificato, secondo parte della dottrina (38), il ruolo assume le sembianze di atto autoritativo; per altri autori (39) esso conserva, invece, la natura di mero atto di riscossione. Si ritiene di dover condividere il secondo orientamento per un duplice ordine di motivi. In primo luogo, se in tali casi si riconoscesse natura provvedimentale al ruolo, si metterebbe in discussione il carattere recettizio proprio degli atti im- positivi e, dunque, la regola per cui la conseguenza della mancata o non cor- retta notifica del provvedimento precedente è l’inefficacia dell’atto, che si ri- percuote sulla successiva iscrizione a ruolo rendendola illegittima. In secondo luogo, significherebbe dotare il ruolo, e di conseguenza la cartella, del potere di sanare la mancata o non corretta notifica del titolo alla base della pretesa fiscale. Sembrerebbe muoversi in senso opposto e dunque a favore del primo dei due orientamenti, la lettera dell’art. 19, 3o comma, del d.lgs. n. 546 del 1992 (40), in tema di atti impugnabili. Tale norma, prima facie, parrebbe ammettere, violando palesemente la natura recettizia degli atti impositivi (41), la possibilità di sanare l’atto non notificato, consentendo di impugnarlo assieme al successivo atto notificato. Tuttavia, è oramai pacifico che tale disposizione non debba essere inter- pretata alla stregua di un obbligo per il contribuente (42). Dunque, in base al terzo comma del già richiamato art. 19, il contribuen- te con l’impugnazione dell’atto notificato può semplicemente far valere la mancata notifica dell’atto presupposto – condizione che determina già di per sé l’illegittimità del successivo atto (43) – ovvero può chiedere all’organo giudicante di esprimersi sul merito della controversia, contestando l’atto pre- supposto anche sotto tale profilo. Ma, come sottolineato (44), l’ipotesi da ultimo richiamata è di dubbia utilità: il contribuente può decidere se far valere la mancata notifica dell’atto presupposto al fine dell’ottenimento, quasi certo, dell’annullamento del suc-

(38) Cfr. G. Ingrao, Riflessioni sulla rilevanza dell’invito di pagamento che precede la riscossione dell’iva e sulla funzione impositiva di cartelle di pagamento e avvisi di liqui- dazione,inRiv. dir. trib., 2006, I, 391 e ss. (39) Cfr., ex multis, A. Carinci, La riscossione a mezzo ruolo nell’attuazione del tri- buto, cit., 167. (40) L’art. 19, 3o comma, del d.lgs. n. 546 del 1992 prevede che: (...) La mancata notificazione di atti autonomamente impugnabili, adottati precedentemente all’atto notifica- to, ne consente l’impugnazione unitamente a quest’ultimo. (41) Cfr. A. Carinci, La riscossione a mezzo ruolo nell’attuazione del tributo, cit., 169; R. Schiavolin, Art. 19,inCommentario breve alle leggi del processo tributario, a cura di C. Consolo - C. Glendi, Padova, 2005, 195 e ss.; A. Giovannini, Gli atti impugnabili,inIl pro- cesso tributario, Giur. sist. diritto tributario, diretta da F. Tesauro, Torino, 1998, 394 e ss. (42) Cfr. Cass., sez. V, 31 marzo 2006, n. 7649; Cass., sez. V, 24 novembre 2006, n. 24975; Cass., sez. V, 8 febbraio 2006, n. 2798. (43) Cfr. S. Muscarà, La sequenza degli atti impositivi tra vecchio e «nuovo» pro- cesso tributario,inRass. trib., 1994, 156 e ss. (44) Cfr. A. Carinci, La riscossione a mezzo ruolo nell’attuazione del tributo, cit., 171. 576 DIRITTO E PRATICA TRIBUTARIA N. 4/2014 cessivo atto o se riaprire la controversia nel merito, con i rischi e le incertez- ze che evidentemente ne possono derivare. Da quanto affermato deriva che, anche nel caso di cartella di pagamento preceduta da un provvedimento non notificato o notificato illegittimamente al contribuente, il ruolo, e dunque la cartella, conservano la loro tipica funzione di atto di riscossione. Con la conseguenza che, anche in questo caso, la car- tella esattoriale sarà caratterizzata da una motivazione per relationem, costi- tuita dal mero rinvio all’atto presupposto o dalla riproposizione della motiva- zione fondante la pretesa fiscale dell’Amministrazione finanziaria. Laddove, invece, l’iscrizione a ruolo (a titolo provvisorio (45)) sia ese- guita sulla base di un avviso di accertamento non definitivo, in quanto ogget- to di impugnazione, la motivazione della successiva cartella di pagamento do- vrà contenere il riferimento alle norme delle singole imposte che consentono, in pendenza di giudizio, la riscossione parziale della pretesa tributaria accer- tata, oltre ad interessi e parte delle sanzioni irrogate (46); nonché gli estremi della controversia in corso. Infine, merita un ulteriore approfondimento l’ipotesi in cui il ruolo, e di conseguenza la cartella di pagamento, derivino da una sentenza (anche dive- nuta definitiva) di annullamento parziale del ricorso che comporti la rideter- minazione della pretesa tributaria da parte dell’Ente impositore, necessaria al fine di adeguare l’atto impositivo al dispositivo della sentenza. In tali casi, se pur il ruolo e la cartella si riferiscono ad un precedente provvedimento, la motivazione per relationem non è sufficiente a tutelare il diritto di difesa del contribuente, che risulterebbe inevitabilmente leso.

(45) Come noto, le iscrizioni a titolo provvisorio sono sub judice e, pertanto, dipen- dono dall’esito del giudizio pendente. Le iscrizioni a ruolo a titolo definitivo, invece, sem- brerebbero essere finalizzate, almeno apparentemente, alla riscossione di somme definitiva- mente dovute. Tuttavia, come sottolineato da parte della dottrina, l’accertamento definitivo può essere rimosso in via di autotutela dall’Amministrazione finanziaria; il contribuente può impugnare l’iscrizione a ruolo a titolo definitivo che si fonda sulla dichiarazione pre- sentata ed è ammissibile l’esercizio della revocazione straordinaria in relazione ad una sen- tenza tributaria passata in giudicato. Sostanzialmente, dunque, la differenza è data dalla di- versa tipologia di titolo e dal termine in cui devono essere effettuate. Così F. Tesauro, Isti- tuzioni di diritto tributario, Parte generale, cit., 274 e ss. (46) Cfr., per le imposte dirette, l’art. 15, 1o comma, del d.p.r. n. 602 del 29 settem- bre 1973, ad esclusione delle maggiori imposte accertate in presenza di fattispecie elusive, ex art. 37-bis del d.p.r. n. 600 del 29 settembre 1973, che soggiacciono ad una particolare disciplina. Per l’iva, l’art. 23 del d.lgs. n. 46 del 26 febbraio 1999, come modificato dal- l’art. 2, lett. c), del d.lgs. n. 193 del 27 aprile 2001, che ha esteso all’iva l’operatività del- l’art. 15 del d.p.r. n. 602 del 29 settembre 1973, così derogando all’art. 19 del d.lgs. n. 46 del 26 febbraio 1999. Per l’imposta di registro, l’art. 56, 1o comma, lett. a) del d.p.r. n. 131 del 26 aprile 1986 e per l’irap, l’art. 25 del d.lgs. n. 446 del 15 dicembre 1997 che rinvia all’art. 15 del d.p.r. n. 602 del 29 settembre 1973. Tale rinvio, tuttavia, deve ritenersi abrogato dal successivo art. 19 del d.lgs. n. 46 del 26 febbraio 1999. Per le imposte sulle successioni e sulle donazioni, l’art. 40 del d.lgs. n. 346 del 31 ottobre 1990. Infine, per le imposte ipotecarie e catastali, l’art. 13 del d.lgs. n. 347 del 31 ottobre 1990 che rinvia alla disciplina dell’imposta sulle successioni e donazioni, nonché a quella dell’imposta di regi- stro. L’art. 68 del d.lgs. n. 546 del 31 dicembre 1992, che invece disciplina la riscossione frazionata del tributo successiva all’emanazione delle sentenze di primo e secondo grado, prevede, come noto, l’esigibilità di ulteriori frazioni del tributo, oltre ad interessi e sanzio- ni, in base al contenuto ed in relazione al grado dell’organo giudicante. Tale norma, peral- tro, è richiamata dall’art. 19 del d.lgs. n. 472 del 18 dicembre 1997, in tema di riscossione delle sanzioni amministrative. PARTE SECONDA 577

Invero, occorre che la nuova iscrizione a ruolo e la conseguente cartella di pagamento, derivanti dalla pronuncia di annullamento parziale, contengano, oltre al riferimento al provvedimento presupposto, una motivazione congrua e completa che consenta al contribuente di comprendere la pretesa tributa- ria (47). Ciò in quanto, in ipotesi del genere, peraltro assai frequenti, il ruolo, mediante la notifica della cartella di pagamento al contribuente, rappresenta di fatto un vero e proprio atto impositivo.

4. – Precisazioni in tema di motivazione delle cartelle di pagamento emessa a seguito di controlli ex art. 36-bis del d.p.r. n. 600 del 1973

Come correttamente rilevato dai Giudici nella pronuncia oggetto del presen- te commento, dall’esposizione dei fatti non è dato conoscere le ragioni per cui l’amministrazione suppone di vantare un credito nei confronti del contribuente. Più precisamente, poiché il credito preteso dall’Agenzia delle entrate po- trebbe derivare sia da un’errata contabilizzazione di crediti effettivamente spettanti al contribuente, sia, al contrario, dall’esclusione dei presupposti per il riconoscimento della spettanza del credito d’imposta, occorre indagare la natura del ruolo in tale contesto, in particolare se si tratti di atto con funzione di riscossione o se, viceversa, si sia in presenza di un atto con funzione sia impositiva che di riscossione. Poiché, come ampiamente noto, l’art. 36-bis del d.p.r. n. 600 del 1973 prevede diverse tipologie di controlli automatizzati, l’analisi circa la natura del ruolo deve essere necessariamente differenziata (48). L’attività prevista dalla lettera f) della norma (49), avente ad oggetto il controllo della rispondenza con la dichiarazione e la tempestività dei versa- menti delle imposte, dei contributi e dei premi dovuti a titolo di acconto e di saldo e delle ritenute alla fonte operate in qualità di sostituto d’imposta, è fi- nalizzata a verificare l’avvenuto adempimento dell’obbligo di pagamento da parte dei soggetti passivi (50). In questo caso, il titolo di iscrizione a ruolo è la dichiarazione del con- tribuente ed il ruolo funge chiaramente da mero atto di riscossione (51). Le attività svolte in applicazione delle lettere a), b)ed) della nor-

(47) Si pensi al caso in cui, a seguito di una pronuncia passata in giudicato a favore dell’Ente impositore, sia necessario effettuare il calcolo degli interessi sulle somme dovute ovvero all’ipotesi in cui emerga da una pronuncia definitiva l’indeducibilità di un costo. (48) Tale circostanza è stata, peraltro, riconosciuta anche dall’Amministrazione fi- nanziaria nella circolare n. 12/E del 21 febbraio 2003. (49) La lettera f) dell’art. 36-bis, come noto, è diretta a controllare la rispondenza con la dichiarazione e la tempestività dei versamenti delle imposte, dei contributi e dei premi dovuti a titolo di acconto e di saldo e delle ritenute alla fonte operate in qualità di sostituto d’imposta. (50) Cfr. A. Carinci, La riscossione a mezzo ruolo nell’attuazione del tributo, cit., 180 e ss.; E. De Mita, La funzione e gli atti della riscossione,inTrattato di diritto tributa- rio, diretto da A. Amatucci, Padova, 2001, Annuario, 1069 e ss. (51) Cfr. Cass., sez. V, 12 aprile 2006, n. 8601, con nota di G. Ingrao, che così si è espressa: L’iscrizione a ruolo delle somme dovute (e non versate) sulla base della dichiara- zione ha natura liquidatoria e non può collocarsi neppure nella categoria residuale degli «altri atti impositivi» rientranti nella definibilità delle liti fiscali pendenti. 578 DIRITTO E PRATICA TRIBUTARIA N. 4/2014 ma (52) sono, invece, tese a correggere gli errori materiali e di calcolo com- messi dai contribuenti nella determinazione degli imponibili, delle imposte, dei contributi e dei premi; correggere gli errori materiali commessi dai contri- buenti nel riporto delle eccedenze delle imposte, dei contributi e dei premi ri- sultanti dalle precedenti dichiarazioni e ridurre le deduzioni dal reddito espo- ste in misura superiore a quella prevista dalla legge. Anche in tale ipotesi, apparentemente, si potrebbe riconoscere alla di- chiarazione del contribuente il titolo di iscrizione a ruolo in quanto, a seguito delle modifiche apportate, il titolo che rimane in concreto è la dichiarazione. Tuttavia, come rilevato (53), in tale fattispecie avviene una rettifica della dichiarazione e una nuova liquidazione dell’imposta che sostituiscono l’opera- to del contribuente. Il ruolo assume, quindi, una funzione estremamente significativa, ridi- mensionando la rilevanza della dichiarazione. La medesima conclusione deve adottarsi nei casi delle attività ex c)ede) dell’art. 36-bis (54) dirette, rispettivamente, a ridurre le detrazioni d’imposta indicate in misura superiore a quella prevista dalla legge ovvero non spettanti sulla base dei dati risultanti dalle dichiarazioni ed a ridimensionare i crediti d’imposta esposti in misura superiore a quella prevista dalla legge ovvero non spettanti sulla base dei dati risultanti dalla dichiarazione. Dunque, ad esclusione del primo caso in cui il ruolo svolge una funzio- ne minima perché tesa a riprodurre gli importi dichiarati ma non versati dal contribuente, le attività ex art. 36-bis esaltano la funzione del ruolo (55). Da quanto sinora affermato, è evidente che nel caso di ruolo come mero atto di riscossione, così come avviene per le attività previste alla lettera f) dell’art. 36-bis, la motivazione della cartella – che, come già ripetutamente affermato, ricalca per gli importi già iscritti a ruolo la motivazione del ruolo – potrà essere una motivazione per relationem mediante un mero rinvio alla dichiarazione, alla stregua di quanto già affermato con riferimento alle cartel- le esattoriali emesse a seguito di provvedimento (56).

(52) La lettera a) dell’art. 36-bis è tesa a correggere gli errori materiali e di calcolo commessi dai contribuenti nella determinazione degli imponibili, delle imposte, dei contri- buti e dei premi. La lettera b)acorreggere gli errori materiali commessi dai contribuenti nel riporto delle eccedenze delle imposte, dei contributi e dei premi risultanti dalle prece- denti dichiarazioni. La lettera d)aridurre le deduzioni dal reddito esposte in misura supe- riore a quella prevista dalla legge. (53) Cfr. A. Carinci, La riscossione a mezzo ruolo nell’attuazione del tributo, cit., 182. (54) Le lettere c)ede) dell’art. 36-bis sono finalizzate rispettivamente a ridurre le detrazioni d’imposta indicate in misura superiore a quella prevista dalla legge ovvero non spettanti sulla base dei dati risultanti dalle dichiarazioni ed a ridurre i crediti d’imposta esposti in misura superiore a quella prevista dalla legge ovvero non spettanti sulla base dei dati risultanti dalle dichiarazione. (55) Sul punto, si vedano Cass., sez. VI, ord. 30 luglio 2013, n. 18253; Cass., sez. V, 19 luglio 2013, n. 17682; Cass., sez. un., 12 novembre 2004, n. 21498 che così recita: Quan- do la liquidazione venga a sovrapporsi alla dichiarazione, mancando una pretesa ulteriore da parte della amministrazione, rettamente la tutela del contribuente può restare affidata al- le modalità, fissate a pena di decadenza, di formazione del ruolo, che è l’atto impugnabile. Quando invece intervenga una rettifica dei risultati della dichiarazione, si è in presenza di un’attività impositiva propriamente detta, per definizione rientrante in quella di accertamen- to, anche se più semplice ed immediata rispetto alle verifiche «sostanziali». (56) In giurisprudenza, recentemente, tra le altre, cfr.: Cass., sez. V., 23 maggio 2012, n. 8137 che così si è espressa; «(...) la cartella di pagamento, nell’ipotesi di liquida- PARTE SECONDA 579

Viceversa, in caso di ruolo con funzione sia di atto impositivo che di ri- scossione, come si verifica per tutte le restanti attività codificate all’art. 36- bis, tra cui sembra rientrare la vicenda sottoposta all’attenzione della Supre- ma Corte, la motivazione della cartella, al pari di quel che accade per tutti i provvedimenti tributari, dovrà essere congrua, sufficiente ed intellegibi- le (57) (58).

dott. ALESSANDRA KOSTNER Dottoranda di ricerca in Diritto tributario Università degli studi di Milano «Bicocca»

zione dell’imposta ai sensi del d.p.r. n. 600 del 1973, art. 36-bis, costituisce l’atto con il quale il contribuente viene a conoscenza per la prima volta della pretesa fiscale e come ta- le deve essere motivata; tuttavia, nel caso di mera liquidazione dell’imposta sulla base dei dati forniti dal contribuente medesimo ella propria dichiarazione, nonché qualora vengano richiesti interessi e sovrattasse per ritardato od omesso pagamento, il contribuente si trova già nella condizione di conoscere i presupposti di fatto e le ragioni giuridiche della prete- sa fiscale, con l’effetto che l’onere di motivazione può considerarsi assolto dall’Ufficio me- diante mero richiamo alla dichiarazione medesima. Ancora, si vedano Comm. trib. reg. Bari, sez. III, 25 gennaio 2012, n. 7; Cass., sez. V, 4 agosto 2011, n. 16983; Cass., sez. V, 6 maggio 2011, n. 10033; Cass., sez. V, 18 dicembre 2009, n. 26671. (57) Cfr. Cass., sez. VI, 8 febbraio 2013, n. 3116 che così si è espressa: la cartella, in quanto atto impositivo, deve essere adeguatamente motivata (.....). Ciò vale in particola- re nelle ipotesi in cui la cartella di pagamento non sia stata preceduta da un avviso di ac- certamento (si pensi alla liquidazione automatica) ove l’ufficio non si limita ad una sempli- ce correzione di errori materiali, ma disconosce ad esempio un credito d’imposta; Cass., sez. VI, 10 dicembre 2012, n. 22500 secondo cui la cartella di pagamento ex art. 36-bis, in quanto atto impositivo, deve essere motivata in relazione ai presupposti di fatto e di di- ritto che hanno originato la pretesa; Cass., sez. V, 4 agosto 2010, n. 18076 che equipara la cartella esattoriale ex art. 36-bis agli atti di accertamento; Cass., sez. V, 30 dicembre 2009, n. 28056 qualora la liquidazione delle imposte ai sensi dell’art. 36-bis del d.p.r. n. 29 set- tembre 197, n. 600 (.....) non si sovrapponga alla dichiarazione del contribuente, ma si ri- solva in una rettifica dei risultati della dichiarazione stessa, che comporti una pretesa ul- teriore da parte dell’Amministrazione finanziaria, si è in presenza di un’attività impositiva vera e propria, per definizione rientrante in quella di accertamento, sicché la cartella esat- toriale (.....) deve essere motivata come il suddetto avviso, ossia deve contenere tutte le in- dicazioni idonee a consentire al contribuente di apprestare un’efficace difesa; Cass., sez. V, 16 dicembre 2009, n. 26330 con riferimento ad una cartella esattoriale, emessa ai sensi dell’art. 36-bis del d.p.r. n. 600 del 1973, nella quale l’ufficio non si era limitato ad una mera correzione di errori materiali o di calcolo, ma aveva operato il conteggio delle som- me da versare, non riconoscendo un credito di imposta. In passato, sulla necessità di moti- vare la cartella derivante da controllo ex art. 36-bis, al pari di quel che accade per tutti gli altri atti tributari, si sono espressi: P. Braccioni, Costituzionalità dell’art. 36 bis, d.p.r. 1973 n. 600 e obbligo di motivazione delle cartelle esattoriali, retro, 1988, II, 739 e ss.; A. Voglino, Brevi considerazioni sulla motivazione della cartella di pagamento,inBoll. trib., 1998, 1239 e ss.; Id., Lineamenti «definitivi» dell’obbligo di motivazione degli atti tributa- ri,inBoll. trib., 2001,5ess. (58) Per completezza, giova precisare che anche in relazione ai controlli delle dichia- razioni di cui all’art. 36-ter del d.p.r. n. 600 del 1973, riformato dall’art. 13 del d.lgs. n. 241 del 1997, si ravvisa una complessa funzione attribuita al ruolo, che affianca alle sue ti- piche funzioni di riscossione quelle di accertamento. Di conseguenza, la cartella di paga- mento, emessa a seguito di tale tipologia di controlli, deve essere rigorosamente motivata, non rappresentando in concreto il ruolo un mero atto di riscossione. Né può attenuare tale obbligo motivazionale la previsione della doverosità di una comunicazione al contribuente 580 DIRITTO E PRATICA TRIBUTARIA N. 4/2014

relativa alle attività svolte dall’Ente impositore sino a quel momento che consente, peraltro, di accedere ad un pagamento agevolato, con la riduzione delle sanzioni. Ciò in quanto, no- nostante le significative differenze intercorrenti tra la comunicazione di cui all’art. 36-bis e quella contemplata dall’art. 36-ter, come già ribadito in precedenza, quest’ultima non può essere annoverata tra gli atti a carattere provvedimentale e, dunque, tra gli atti impugnabili, rispondendo solo ad esigenze endoprocedimentali. Con la conseguenza che i vizi propri della comunicazione possono essere fatti valere solo mediante l’impugnazione del ruolo che assume anche in tali ipotesi, come precedentemente sottolineato, una funzione estremamen- te significativa. Su tale tematica, cfr., ex multis, F. Tesauro, Istituzioni di diritto tributario, Parte generale, cit., 185 e ss.; G.M. Cipolla, Le nuove disposizioni sulla liquidazione e ri- scossione delle imposte sui redditi, dell’IVA dei contributi e dei premi dovuti agli enti pre- videnziali, sul controllo formale delle dichiarazioni, sulla soppressione dei servizi di cassa e sui versamenti unitari per tributi determinati dagli enti impositori diversi dallo Stato,in Commento agli interventi di riforma tributaria, a cura di M. Miccinesi, Padova, 1999, 27 e ss.; A. Carinci, La riscossione a mezzo ruolo nell’attuazione del tributo, cit., 187; R. Cop- pola, La dichiarazione tributaria e la sua rettificabilità, Padova, 2005, 136 e ss.; P. Selica- to, L’attuazione del tributo nel procedimento amministrativo, Milano, 2001, 88 e ss.; A. Guidara, Ragioni e possibili implicazioni dell’affermata impugnabilità delle comunicazioni di irregolarità, cit., 657. La Consulta estende il prezzo-valore alle vendite coattive (*) L’art. 1, 497o comma, della l. 23 dicembre 2005, n. 266 (Disposi- zioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato – legge finanziaria 2006), è costituzionalmente illegittimo nella parte in cui non prevede la facoltà, per gli acquirenti di immobili ad uso abitativo e relative pertinenze acquisiti in sede di espropriazione for- zata o a seguito di pubblico incanto, i quali non agiscono nell’eserci- zio di attività commerciali, artistiche o professionali, di chiedere che, in deroga all’art. 44, 1o comma, del d.p.r. 26 aprile 1986, n. 131 (Ap- provazione del testo unico delle disposizioni concernenti l’imposta di registro), la base imponibile ai fini delle imposte di registro, ipoteca- rie e catastali sia costituita dal valore dell’immobile determinato ai sensi dell’art. 52, 4o e5o comma, del d.p.r. n. 131 del 1986, fatta sal- va l’applicazione dell’art. 39, 1o comma, lettera d), ultimo periodo, del d.p.r. 29 settembre 1973, n. 600. Corte cost. (pres. Mazzella, red. Carosi), 23 gennaio 2014, n. 6.

(Omissis). – Considerato in diritto. – 1. – Con l’ordinanza in epi- grafe la Commissione Tributaria Provinciale di Grosseto ha sollevato questione di legittimità costituzionale dell’art. 1, 497o comma, della l. 23 dicembre 2005, n. 266 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato – legge finanziaria 2006), in riferi- mento agli artt. 3 e 53 della Costituzione. Il giudizio a quo è scaturito da una procedura esecutiva di un be- ne immobile adibito ad uso residenziale, tenutasi presso il Tribunale di Grosseto, in esito alla quale era risultato aggiudicatario il ricorrente. Dovendo egli destinare il bene a propria abitazione, in occasione della registrazione del decreto del giudice dell’esecuzione che disponeva il trasferimento dell’immobile aveva chiesto all’Agenzia delle entrate di poter usufruire delle agevolazioni per la «prima casa di abitazione», previste dall’art. 1, nota II-bis, della Tariffa allegata al d.p.r. 26 aprile 1986, n. 131 (Approvazione del Testo unico delle disposizioni concer- nenti l’imposta di registro). Chiedeva altresì di usufruire della facoltà prevista dall’art. 1, 497o comma, della l. n. 266 del 2005, secondo cui «In deroga alla discipli- na di cui all’articolo 43 del testo unico delle disposizioni concernenti l’imposta di registro, di cui al d.p.r. 26 aprile 1986, n. 131, e fatta sal- va l’applicazione dell’articolo 39, 1o comma, lettera d), ultimo perio- do, del d.p.r. 29 settembre 1973, n. 600, per le sole cessioni nei con- fronti di persone fisiche che non agiscano nell’esercizio di attività commerciali, artistiche o professionali, aventi ad oggetto immobili ad uso abitativo e relative pertinenze, all’atto della cessione e su richiesta della parte acquirente resa al notaio, la base imponibile ai fini delle imposte di registro, ipotecarie e catastali è costituita dal valore del- l’immobile determinato ai sensi dell’articolo 52, 4o e5o comma, del 582 DIRITTO E PRATICA TRIBUTARIA N. 4/2014 citato testo unico di cui al d.p.r. n. 131 del 1986, indipendentemente dal corrispettivo pattuito indicato nell’atto. Le parti hanno comunque l’obbligo di indicare nell’atto il corrispettivo pattuito. Gli onorari nota- rili sono ridotti del 30 per cento». In relazione a detta istanza l’Agenzia delle entrate aveva accorda- to le agevolazioni per la «prima casa di abitazione», ma non aveva ac- colto la richiesta di beneficiare della disciplina prevista dall’art. 1, 497o comma, della l. n. 266 del 2005, applicando di conseguenza la tassazione sul prezzo di aggiudicazione, come previsto dall’art. 44, 1o comma, del d.p.r. n. 131 del 1986. Poiché – nel caso di specie – la base imponibile, calcolata secondo il criterio stabilito dall’art. 44, era più elevata rispetto al criterio cosiddetto «tabellare» di cui all’art. 52, 4o e5o comma, del predetto d.p.r. n. 131 del 1986, il ricorrente del giudizio a quo, dopo aver pagato l’imposta nella misura pretesa, chie- deva il rimborso della differenza. Detta istanza non veniva accolta dall’Agenzia delle entrate, la quale faceva presente come nel caso in esame dovesse trovare applica- zione l’art. 44 del d.p.r. n. 131 del 1986, inerente alla vendita di beni immobili ad uso abitativo acquisiti «in sede di espropriazione forzata ovvero all’asta pubblica e per i contratti stipulati o aggiudicati in se- guito a pubblico incanto». Il predetto diniego veniva impugnato davanti alla Commissione Tributaria Provinciale di Grosseto. Quest’ultima dubita della legittimi- tà della norma censurata nella parte in cui essa non estende all’ipotesi della registrazione della vendita di beni immobili in sede di espropria- zione forzata ed a seguito di pubblico incanto il regime delle transa- zioni private aventi ad oggetto la medesima categoria di beni immobi- li. Vi sarebbe, infatti un’ingiustificata discriminazione del trattamento tributario riservato ad una categoria omogenea di beni, sulla base del mero presupposto del tipo di transazione assoggettato a prelievo, con conseguente violazione dei precetti contenuti negli artt.3e53Cost.

2. – Secondo il Presidente del Consiglio dei ministri, intervenuto nel giudizio incidentale, non sarebbe configurabile la violazione del principio di uguaglianza di cui all’art. 3 Cost., quando – come nel ca- so in esame – il legislatore sottopone a diversa disciplina situazioni non omogenee e quando la diversità della disciplina non raggiunge gli estremi della manifesta irragionevolezza. Le situazioni poste a confronto – sebbene caratterizzate dal comu- ne denominatore dell’acquisto di un immobile da destinare a prima abitazione, per il quale siano stati chiesti ed ottenuti i relativi benefici fiscali – sarebbero contraddistinte da un decisivo elemento differenzia- le: in un caso l’acquisto sarebbe effettuato mediante un contratto di di- ritto privato, mentre nell’altro esso sarebbe realizzato a seguito di espropriazione forzata. La palese difformità delle situazioni impedireb- be di sostenere la necessità di un unico ed uniforme criterio per la de- terminazione dell’imponibile, sulla base del principio di uguaglianza di cui all’art. 3 Cost. PARTE SECONDA 583

La differenziazione della disciplina delle due ipotesi poste a con- fronto non eccederebbe il canone della ragionevolezza, che costituisce il limite intrinseco della discrezionalità del legislatore. Al contrario, essa sarebbe perfettamente adeguata alla predetta diversità delle situa- zioni, limitando il ricorso ai dati catastali alle sole compravendite ef- fettuate per atto negoziale, nelle quali detto criterio semplificato sup- plirebbe alla situazione di incertezza che caratterizza l’entità del prez- zo effettivamente corrisposto, mentre non vi sarebbe alcuna ragione per estendere lo stesso sistema ai trasferimenti conseguenti a procedu- re espropriative e a pubblici incanti, nelle quali il prezzo di aggiudica- zione è accertato da un pubblico ufficiale e costituisce, di per sé, ele- mento obiettivo per il calcolo dell’imposta dovuta sull’atto di trasferi- mento. La diversità dei criteri adottati per la liquidazione dell’imposta di registro non comporterebbe nessuna disparità sostanziale, perché in en- trambi i casi il prezzo di riferimento verrebbe determinato in modo obiettivo e rappresenterebbe lo strumento più idoneo di determinazio- ne della base imponibile del tributo. 3. – La questione sollevata in riferimento all’art. 53 Cost. è inam- missibile. Il rimettente, infatti, non svolge alcun percorso argomentativo ido- neo a collegare la norma impugnata al parametro costituzionale evoca- to. 4. – Ai fini dell’esame della questione sollevata in riferimento al- l’art. 3 Cost., è opportuno effettuare una ricognizione delle norme suc- cedutesi nel tempo in materia e dei relativi orientamenti giurispruden- ziali, così da ricostruire il contesto ordinamentale nel quale si è venuta ad inserire la norma censurata. Preliminarmente, è utile ricordare che il criterio generale per de- terminare la base imponibile degli atti che hanno ad oggetto beni im- mobili o diritti reali immobiliari, enunciato dal d.p.r. n. 131 del 1986, è costituito dal valore del bene o del diritto alla data dell’atto (art. 43, 1o comma, lettera a) – da intendersi nel senso di valore venale in co- mune commercio (art. 51, 1o comma) – oppure dal corrispettivo pat- tuito, se questo sia superiore al valore venale (art. 51, 2o comma). Peraltro, il legislatore aveva già introdotto con l’art. 52, 4o com- ma, del medesimo decreto legislativo, l’istituto della «valutazione au- tomatica» dei beni. Detta valutazione è fondata sul criterio «tabellare», secondo cui non sono sottoposti a rettifica il valore o il corrispettivo degli immobili, iscritti in catasto con attribuzione di rendita, dichiarato in misura «non inferiore» ai valori determinati applicando alla rendita catastale del fabbricato o porzione di fabbricato determinati moltiplica- tori. La ratio della suddetta eccezione era chiaramente ispirata all’esi- genza di superare le difficoltà di determinazione del valore venale dei singoli immobili e di deflazionare il rilevante contenzioso che ne deri- vava. 584 DIRITTO E PRATICA TRIBUTARIA N. 4/2014

Secondo l’orientamento della giurisprudenza di legittimità (ex plu- rimis Cass. n. 24566 del 2005, n. 12448 del 2004 e n. 1815 del 2004), tale disposizione non aveva provocato un mutamento nella determina- zione della base imponibile (che rimaneva comunque il valore venale o, se maggiore, il corrispettivo dichiarato nell’atto), bensì aveva intro- dotto una preclusione di tipo procedimentale, limitando il potere di rettifica attribuito agli uffici finanziari dagli artt. 52, commi da 1o a 3o, e 55 del d.p.r. n. 131 del 1986. Successivamente, la norma impugnata ha derogato, per le sole cessioni di unità abitative e delle relative pertinenze, al criterio conte- nuto nell’art. 43 del d.p.r. n. 131 del 1986, stabilendo che, nelle ipote- si previste da detta disposizione, la base imponibile venga individuata – su richiesta della parte acquirente – nel «valore dell’immobile deter- minato ai sensi dell’articolo 52, commi 4o e5o», del d.p.r. n. 131 del 1986, e cioè nel valore «tabellare». A differenza della disposizione precedente, la norma prevede che il valore dell’immobile sia determi- nato facendo riferimento ai valori desumibili dai dati catastali «indi- pendentemente dal corrispettivo pattuito indicato nell’atto» (l’indica- zione del corrispettivo è divenuta obbligatoria in seguito alla modifica apportata dall’art. 35, 21o comma, lettera a, del d.l. 4 luglio 2006, n. 223, recante «Disposizioni urgenti per il rilancio economico e sociale, per il contenimento e la razionalizzazione della spesa pubblica, nonché interventi in materia di entrate e di contrasto all’evasione fiscale», convertito con modificazioni dalla l. 4 agosto 2006, n. 248). In conseguenza di ciò, la dichiarazione di un corrispettivo supe- riore non conduce più alla tassazione su tale maggior valore, come in- vece previsto dall’art. 51, 1o comma, del d.p.r. n. 131 del 1986, ma l’imposizione resta commisurata al valore catastale dell’immobile co- me determinato «ai sensi dell’art. 52, commi 4o e5o» del d.p.r. n. 131 del 1986. 4.1. – Secondo il Presidente del Consiglio dei ministri, l’introdu- zione della norma sarebbe giustificata dalla sola finalità di acquisire dati obiettivi – attraverso la veritiera indicazione del prezzo da parte dell’acquirente effettuata in un regime di «neutralità fiscale» e quindi senza il timore di incorrere in un aggravio impositivo – per realizzare il progressivo aggiornamento dei dati catastali senza con questo infi- ciare il collaudato strumento della tassazione sul valore catastale, ne- cessario per superare le incertezze insite nella determinazione dei va- lori delle compravendite in libero mercato e prevenire il conseguente contenzioso. L’assunto non può essere condiviso. Un esame obiettivo della configurazione della norma impugnata consente, invece, di attribuire ad essa un’ulteriore finalità, che è rilevante – come di seguito precisa- to – per la definizione del presente giudizio: quella di consentire al contribuente di scegliere la soluzione più conveniente in relazione al- l’andamento del mercato immobiliare. L’attuale sistema consente, in- fatti, non solo di esercitare il diritto potestativo consistente nella scelta PARTE SECONDA 585 del valore determinato secondo il criterio «tabellare», ma anche, in presenza di fasi congiunturali avverse, quando i prezzi degli immobili in regime di libero mercato risultino – anche a seguito dell’eventuale concomitante aggiornamento dei dati catastali – inferiori al medesimo criterio «tabellare», di non chiedere l’applicazione di tale criterio. Allo stato della legislazione, analoga facoltà di scelta è preclusa – ed è su questo profilo di differenziazione che si concentrano le censu- re del rimettente – agli acquirenti della stessa categoria di immobili destinati ad uso abitativo, che parimenti non agiscono nell’esercizio di attività commerciali, artistiche o professionali, ma acquisiscono la pro- prietà in esito a procedure esecutive o per asta pubblica. Per gli stessi vale indefettibilmente il riferimento al valore della transazione. 5. – Alla luce delle esposte premesse, la questione sollevata in ri- ferimento all’art. 3 Cost. è fondata. Nel caso in esame non si è in presenza, come sostenuto dal Presi- dente del Consiglio dei ministri, di fattispecie ragionevolmente diffe- renziate sotto il profilo oggettivo – per le quali vale il principio più volte enunciato da questa Corte, secondo cui non sono fondate le que- stioni di legittimità costituzionale delle norme che non prevedono l’utilizzazione dei dati catastali ai fini della determinazione dell’impo- nibile dell’imposta, quando le norme censurate si riferiscono a fattis- pecie non omogenee rispetto a quelle per le quali è prevista l’utilizza- zione di tale criterio «tabellare» (ex plurimis: ordinanze n. 287 del 2000, n. 582 del 1989, n. 789 del 1988 e n. 586 del 1987) – bensì di una disparità di disciplina che attiene ad una categoria di immobili so- stanzialmente unitaria quanto alla natura ed alla peculiare destinazione. In questo contesto, la illegittimità della norma si concreta nella mancata previsione – a favore delle persone fisiche che acquistano a seguito di procedura espropriativa o di pubblico incanto – del diritto potestativo, al contrario riconosciuto all’acquirente in libero mercato, di far riferimento, ai fini della determinazione dell’imponibile di fab- bricati ad uso abitativo in materia di imposte di registro, ipotecarie e catastali, al valore «tabellare» dell’immobile. Infatti, detta ipotesi è di- sciplinata in via generale dall’art. 44 dello stesso d.p.r. n. 131 del 1986, disposizione, quest’ultima, non richiamata – diversamente dal precedente art. 43 del d.p.r. n. 131 del 1986 – dalla norma che si as- sume costituzionalmente illegittima in parte qua.

5.1. – Non può essere condivisa la tesi propugnata dall’Avvocatu- ra generale dello Stato, la quale sottolinea, nella disposizione in esa- me, la finalità – che non sarebbe conferente con l’altra tipologia di transazioni cui appartiene la fattispecie rimessa a questa Corte – di fa- vorire l’indicazione negli atti dei corrispettivi effettivi e, quindi, di consentire progressivamente all’Amministrazione finanziaria di ade- guare le rendite catastali ai reali valori di mercato. Infatti, nella fattispecie in esame occorre considerare che il mec- canismo introdotto dalla norma impugnata opera, per espressa volontà 586 DIRITTO E PRATICA TRIBUTARIA N. 4/2014 del legislatore, solamente in relazione ad una libera scelta del contri- buente. A differenza della precedente disposizione, essenzialmente di carattere processuale, quella impugnata riveste natura sostanziale ed attribuisce alla sfera giuridica dell’acquirente la potestà di chiedere la valutazione del bene secondo il valore catastale (come determinato dal richiamo all’art. 52, commi 4o e5o, del d.p.r. n. 131 del 1986). La pretesa diversità delle due fattispecie negoziali invocata dal Presidente del Consiglio dei ministri non è dunque in grado di giusti- ficare la circostanza che l’individuazione della base imponibile, tra il criterio fondato sul valore «tabellare» e quello basato sul prezzo vero, sia rimessa dalla norma impugnata proprio alla scelta del contribuente. Ed in vero, le finalità di garantire il progressivo aggiornamento dei dati catastali e di deflazionare il contenzioso rimuovendo le possi- bili incertezze insite nella determinazione dei valori effettivi nelle compravendite in libero mercato sarebbero state egualmente assicurate attraverso la semplice indicazione del valore «tabellare», senza intro- durre il meccanismo della libera scelta del contribuente, tenuto conto che è «comunque» posto alle parti l’obbligo di dichiarare nell’atto il corrispettivo pattuito, senza più il timore di incorrere in un aggravio impositivo. Analogamente, non è condivisibile l’obiezione secondo cui l’art. 1, 497o comma, della l. n. 266 del 2005 non costituirebbe un’agevola- zione, dato che essa non svolgerebbe i suoi effetti nell’ambito proprio delle agevolazioni (così come configurate dal d.p.r. n. 131 del 1986), che afferiscono alle aliquote e non ai criteri di determinazione della base imponibile (trattati nel Titolo IV del medesimo decreto). A differenza della precedente disciplina, la norma impugnata attri- buisce all’acquirente in libero mercato la potestà di chiedere la valuta- zione del bene secondo il valore «tabellare», con ciò ampliando la sua sfera soggettiva in modo differenziato dalla categoria di acquirenti cui appartiene il ricorrente del giudizio a quo. In sostanza, l’art. 1, 497o comma, della l. n. 266 del 2005, pur non obliterando le finalità che ne avevano giustificato l’adozione, ha assunto un più vasto ambito precettivo. Mentre la precedente disposi- zione mirava solamente a deflazionare il contenzioso, quella oggetto di scrutinio esprime anche un’evidente valenza agevolativa, laddove con- sente al contribuente di non scegliere immancabilmente, tra i diversi criteri di determinazione della base imponibile, quello fondato sul va- lore «tabellare» (che potrebbe essere meno vantaggioso in situazioni congiunturali avverse), bensì quello ritenuto meno oneroso e quindi più conveniente. La mera differenziazione del contesto acquisitivo del bene non è dunque sufficiente a giustificare la discriminazione di due fattispecie caratterizzate da una sostanziale omogeneità (sentenze n. 328 del 1983, n. 156 del 1976 e n. 39 del 1970), in particolare, con riguardo all’esclusività del diritto potestativo concesso all’acquirente in libero mercato. PARTE SECONDA 587

6. – Per le esposte considerazioni, la disposizione impugnata deve essere dichiarata costituzionalmente illegittima nella parte in cui non prevede la facoltà, per gli acquirenti di immobili ad uso abitativo e re- lative pertinenze acquisiti in sede di espropriazione forzata e di pub- blici incanti, che non agiscono nell’esercizio di attività commerciali, artistiche o professionali, di richiedere che, in deroga all’art. 44, 1o comma, del d.p.r. n. 131 del 1986, la base imponibile ai fini delle im- poste di registro, ipotecarie e catastali sia costituita dal valore dell’im- mobile determinato ai sensi dell’art. 52, commi 4o e5o, del d.p.r. n. 131 del 1986. P.Q.M. – La Corte costituzionale dichiara l’illegittimità costituzio- nale dell’articolo 1, 497o comma, della l. 23 dicembre 2005, n. 266 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale del- lo Stato – legge finanziaria 2006), nella parte in cui non prevede la fa- coltà, per gli acquirenti di immobili ad uso abitativo e relative perti- nenze acquisiti in sede di espropriazione forzata o a seguito di pubbli- co incanto, i quali non agiscono nell’esercizio di attività commerciali, artistiche o professionali, di chiedere che, in deroga all’art. 44, 1o comma, del d.p.r. 26 aprile 1986, n. 131 (Approvazione del testo uni- co delle disposizioni concernenti l’imposta di registro), la base impo- nibile ai fini delle imposte di registro, ipotecarie e catastali sia costi- tuita dal valore dell’immobile determinato ai sensi dell’art. 52, commi 4o e5o, del d.p.r. n. 131 del 1986, fatta salva l’applicazione dell’art. 39, 1o comma, lettera d), ultimo periodo, del d.p.r. 29 settembre 1973, n. 600 (Disposizioni comuni in materia di accertamento delle imposte sui redditi). (Omissis).

(*) SOMMARIO: 1. La fattispecie. – 2. La base imponibile nell’asta. – 3. Vendite coattive e prezzo-valore.

1. – La fattispecie La sentenza che si annota è stata emessa a conclusione di un giudizio nel quale la Commissione Tributaria Provinciale di Grosseto ha sollevato questione di legittimità costituzionale per violazione degli artt.3e53Cost., dell’art. 1, 497o comma, della l. 23 dicembre 2005, n. 266, che non consente di determinare la base imponibile ai fini dell’imposta di registro per gli ac- quisti di immobili in sede di espropriazione forzata secondo il meccanismo previsto dall’art. 52, 4o e5o comma, del d.p.r. n. 131 del 1986 (T.u.r.). La vicenda riguarda l’acquisto da parte di M.A. all’esito di una procedu- ra esecutiva di un immobile destinato ad uso residenziale per il quale, in sede di registrazione del decreto di trasferimento emesso dal G.E., l’aggiudicatario richiede di poter usufruire sia dell’agevolazione fiscale prevista per la «prima casa», sia del regime fiscale prezzo-valore. L’A.E. concede i benefici fiscali previsti per l’acquisto della «prima ca- sa» ma calcola l’ammontare dell’imposta sul prezzo di aggiudicazione e non 588 DIRITTO E PRATICA TRIBUTARIA N. 4/2014 sul valore catastale come richiesto in sede di registrazione del decreto, dando luogo ad un’imposizione fiscale più gravosa. Tuttavia, il sig. M.A. paga l’imposta come calcolata dall’A.E. e conse- guentemente presenta istanza per ottenere il rimborso della maggiore somma versata. L’Amministrazione finanziaria respinge la richiesta di rimborso formula- ta dal contribuente giustificando il diniego sulla base della formulazione lette- rale dell’art. 1, 497o comma, l. n. 266 del 2005, che deroga alla disciplina di cui all’art. 43 T.u.r., ma non contiene alcuna deroga al successivo art. 44 T.u.r. secondo cu la base imponibile per i trasferimenti in sede di espropria- zione forzata o asta pubblica è data dal prezzo di aggiudicazione e non dal valore catastale. Stante il diniego dell’A.E., il contribuente propone ricorso innanzi alla Commissione Tributaria Provinciale di Grosseto nel quale chiede, non solo l’applicazione al trasferimento immobiliare della disciplina fiscale di cui al- l’art. 1, 497o comma, della l. 23 dicembre 2005, n. 266, ma anche che venga sollevata questione di legittimità costituzionale della norma. L’organo giudicante ritiene che la questione sollevata dal ricorrente non sia manifestamente infondata, ritenendo fondamentale tale accertamento per poter decidere sul ricorso presentato dal contribuente poiché, l’eventuale de- claratoria di incostituzionalità della norma, giustificherebbe l’accoglimento del ricorso e dunque il rimborso della maggior imposta versata. Evidenzia, inoltre, che i trasferimenti d’immobili ad uso abitativo attuati mediante procedura esecutiva, non sono dissimili agli acquisti aventi ad og- getto i medesimi immobili con atto pubblico notarile. Pertanto, non è concepibile una disparità di trattamento tra situazioni so- stanzialmente identiche senza incorrere nella violazione dell’art. 3 Cost. Secondo la Commissione tributaria, la mancata applicazione estensiva della disciplina del prezzo valore alle vendite all’asta, violerebbe anche il principio di capacità contributiva di cui all’art. 53 Cost. Tuttavia, su tale ulti- ma questione l’organo giudiziario non espone alcuna argomentazione a sup- porto della presunta violazione. Nel giudizio si costituisce anche il Presidente del Consiglio dei ministri, difeso dall’Avvocatura dello Stato, sostenendo l’infondatezza della questione di legittimità costituzionale sollevata poiché trattasi di fattispecie disomoge- nee per le quali è ragionevole prevedere un diverso trattamento fiscale. L’aggiudicazione di un immobile in sede di procedura espropriativa o per pubblico incanto è diverso rispetto all’acquisto mediante contratto non so- lo dal punto di vista formale, ma anche perché la contrattazione privata non dà alcuna certezza sul prezzo realmente corrisposto e sull’effettivo valore del bene da ciò la necessità di utilizzare il sistema prezzo-valore per determinare la base imponibile. Al contrario, nelle vendite giudiziarie il prezzo è elemento obiettivo per- ché accertato da un pubblico ufficiale. Inoltre, secondo l’Avvocatura dello Stato, l’aggiudicatario sarebbe co- munque avvantaggiato dato che l’acquisto avviene di regola ad un prezzo in- feriore rispetto al valore di mercato del bene. La Consulta non condivide le argomentazioni esposte dall’Avvocatura generale dello Stato e dichiara fondata la questione di legittimità costituziona- le dell’art. 1, 497o comma, della l. 23 dicembre 2005, n. 266 che indubbia- mente, ai fini della tassazione di un trasferimento di immobile ad uso abitati- vo, consente all’acquirente di scegliere la soluzione più conveniente tenuto PARTE SECONDA 589 conto dell’andamento del mercato immobiliare, scelta che sarebbe invece in- giustamente preclusa all’aggiudicatario di un immobile dello stesso tipo. Per la Consulta, dunque, l’illegittimità risiederebbe nella mancata previsio- ne in favore delle persone che acquistano nell’ambito di una procedura esecuti- va o per pubblico incanto del diritto potestativo di scegliere che la tassazione del trasferimento avvenga sulla base del valore «tabellare» dell’immobile. Diversamente, a giudizio della Corte non si riscontra alcuna violazione del principio di capacità contributiva di cui all’art. 53 Cost. Nondimeno, la Commissione Tributaria Provinciale non ha fornito alcu- na argomentazione tale da giustificare la presunta illegittimità costituzionale della norma impugnata con riferimento al principio da ultimo enunciato.

2. – La base imponibile nell’asta

L’art. 44 T.u.r. stabilisce che la base imponibile ai fini dell’applicazione dell’imposta di registro per i trasferimenti di beni mobili ed immobili in sede di espropriazione forzata o asta pubblica è data dal prezzo conseguito con la procedura di pubblico incanto sul presupposto che quest’ultimo corrisponda al valore venale dei beni. La determinazione del prezzo nel caso di specie non avviene ad libitum,ma attraverso una specifica procedura caratterizzata dalla libera competizione dei con- correnti che partecipano alla gara e con adeguati strumenti pubblicitari. La norma in esame è riferita a due tipologie di trasferimenti e più preci- samente riguarda le vendite in sede di espropriazione forzata, sia con incanto sia senza, e le vendite all’asta pubblica, cioè quelle in cui i trasferimenti im- mobiliari prescindono da un procedimento di esproprio, ancorché effettuate con asta pubblica o per pubblico incanto. Si tratta di procedimenti che – eccetto la vendita forzata senza incanto – ga- rantiscono il trasferimento del bene in favore di chi offre le condizioni più vantag- giose realizzando un prezzo prossimo al valore di marcato del bene trasferito. La partecipazione alla gara si basa sul principio della libera competizio- ne assicurata dalla previsione di un adeguato sistema di pubblicità e dal con- trollo dell’autorità pubblica in modo da evitare qualsiasi forma di turbativa. Il procedimento descritto garantisce la massima tutela degli interessi del- l’Amministrazione finanziaria e, dunque, esclude la possibilità di rettificare il valore dei beni e diritti così determinati (1). Tuttavia, il prezzo corrisposto per l’aggiudicazione dell’immobile in sede di asta pubblica rileva solo ed esclusivamente nell’ambito della procedura esecutiva in oggetto nel senso che, qualora il bene sia in seguito alienato a terzi, l’A.E. può legittimamente rettificare i valori dichiarati nell’atto di ven- dita, se li ritiene non conformi a quelli venali in comune commercio (2).

(1) Cass., 6 giugno 2007, n. 13217, in Giust. civ. Mass., 2007, 7-8, in cui si eviden- zia che nel caso di vendita giudiziale di un immobile «la base imponibile dell’imposta di registro è costituita dal prezzo di aggiudicazione, ai sensi dell’art. 44 d.p.r. 26 aprile 1986, n. 131, e non dal valore dell’immobile, in quanto il controllo dell’autorità giudiziaria esclu- de “in radice” la possibilità di una differenza tra il prezzo di aggiudicazione e quello effet- tivamente pagato». (2) In questi termini cfr. Cass., 29 ottobre 2010, n. 22141, in Giust. civ. Mass., 2010, 1385; Cass., 21 novembre 2000, n. 15050, in Fisco, 2001, 9019. 590 DIRITTO E PRATICA TRIBUTARIA N. 4/2014

3. – Vendite coattive e prezzo-valore L’applicabilità della disciplina del prezzo valore ai trasferimenti effettua- ti in sede di esecuzione forzata o per pubblico incanto fino al recente inter- vento della Consulta è stata molto discussa. Diverse sono le ragioni che hanno ostacolato l’applicazione estensiva del regime fiscale agevolato anche alle vendite coattive, in particolare la formula- zione letterale della norma contenuta nell’art. 1, 497o comma, della l. n. 266 del 2005. Infatti, il legislatore nel definire l’ambito di operatività della disciplina in esame utilizza l’espressione all’atto della cessione, termine quest’ultimo che evoca un trasferimento effettuato in base ad una manifestazione di con- senso tra due soggetti: cedente e cessionario, come normalmente avviene in una compravendita. Al contrario, nel caso di vendita all’asta si realizza un trasferimento coattivo che prescinde da una manifestazione di volontà da parte del debitore esecutato considerato che l’acquisto della proprietà del bene da parte dell’ag- giudicatario è ricollegato al provvedimento del giudice dell’esecuzione. Nella vendita forzata immobiliare l’aggiudicazione non comporta l’auto- matico trasferimento della titolarità del bene ma tal effetto si verifica solo con l’emissione del decreto di trasferimento, subordinato al pagamento del prezzo, che vale come titolo per la trascrizione nei pubblici registri immobi- liari. Il decreto di trasferimento emesso dal G.E. è elemento conclusivo del processo di esecuzione che, in deroga al principio consensualistico, determina il passaggio della titolarità dell’immobile. La deroga trova la sua ratio nella finalità tipica dell’esecuzione che è quella di consentire il soddisfacimento degli interessi del creditore procedente e di quelli eventualmente intervenuti nel processo, secondo il principio gene- rale della responsabilità patrimoniale del debitore di cui all’art. 2740 c.c. Dunque, nella fattispecie esaminata non è configurabile il consenso tipi- co degli atti di «cessione» cui fa riferimento la disciplina del prezzo-valore, giacché il trasferimento avviene per effetto di un provvedimento dell’autorità giudiziaria, fermo restando la manifestazione di volontà dell’aggiudicatario. Un ulteriore argomento utilizzato dalla dottrina per escludere l’applica- zione estensiva del sistema prezzo-valore alle vendite forzate si rinviene nelle modalità procedimentali e segnatamente nella circostanza che, per poter gode- re della tassazione applicata al valore catastale dell’immobile a prescindere dal corrispettivo pattuito, è necessaria un’apposita richiesta formulata dalla parte acquirente al notaio. Limitando il nostro campo d’indagine alla formulazione letterale della norma ne consegue che il meccanismo fiscale delineato deve intendersi limi- tato ai soli trasferimenti volontari di beni immobili ovvero diritti reali immo- biliari realizzati mediante atto pubblico o scrittura privata autenticata essendo questi gli unici atti in cui è richiesto il ministero del notaio. Il ragionamento fin qui condotto, basato sull’interpretazione letterale del- l’art. 1, 497o comma, l. n. 266 del 2005, sembrerebbe escludere l’applicazio- ne estensiva della normativa in oggetto alle vendite forzate. Tuttavia, nell’interpretazione di una norma non ci si deve limitare al si- gnificato letterale dei termini utilizzati dal legislatore, ma è necessario tener conto anche della ratio legis, cioè dello scopo che egli ha inteso perseguire. Orbene, se abbandoniamo l’interpretazione letterale della norma e foca- lizziamo la nostra attenzione sul fine ultimo che il legislatore ha inteso rag- PARTE SECONDA 591 giungere con l’introduzione di questo particolare regime agevolato, ci rendia- mo chiaramente conto che le argomentazioni fin qui esposte a fondamento della tesi che esclude l’applicazione della disciplina in esame alle vendite giudiziali sono facilmente superabili. Senza dubbio la determinazione del prezzo di aggiudicazione mediante un procedimento che si svolge sotto il costante controllo dell’autorità giudi- ziaria impedisce l’eventuale occultamento del corrispettivo e quindi realizza, di fatto, uno degli scopi previsti dalla disciplina del prezzo-valore. Questa non è però una giustificazione plausibile per escludere l’applica- zione della normativa fiscale in esame anche ai trasferimenti effettuati in sede di espropriazione forzata o asta pubblica. Infatti, come già evidenziato, la ratio legis della normativa che consente di scindere tra corrispettivo e valore del bene immobile oggetto di trasferi- mento non è soltanto quella di evitare corrispettivi occulti e di far emergere il reale valore dei beni – normalmente determinato applicando il meccanismo della valutazione automatica di cui all’art. 52, 4o comma, T.u.r. –, bensì an- che quella di consentire al contribuente di poter scegliere la soluzione più conveniente riguardo all’andamento del mercato immobiliare. L’acquirente, infatti, potrebbe benissimo scegliere di non avvalersi del meccanismo prezzo-valore e quindi indicare in atto un valore determinato sul- la base del sistema di valutazione automatica di cui all’art. 52 T.u.r., ciò ac- cade nel caso in cui il valore di mercato risulti inferiore rispetto a quello de- terminato mediante la moltiplicazione della rendita per i coefficienti catastali. Considerando quest’ultimo aspetto, già prima dell’intervento della Con- sulta, parte della dottrina aveva evidenziato l’illegittimità costituzionale della normativa sul prezzo-valore per la parte in cui esclude l’applicazione del meccanismo in oggetto anche alle vendite coattive. Infatti, il trasferimento di un immobile ad uso abitativo nell’ambito di una procedura esecutiva ha caratteristiche identiche rispetto al medesimo tra- sferimento effettuato mediante atto pubblico notarile. L’unica differenza è data dalla circostanza che nelle vendite coattive il trasferimento non avviene mediante atto pubblico notarile bensì con il decreto del giudice. Tuttavia, ciò non costituisce elemento sufficiente per escludere l’applica- zione della disciplina prezzo-valore poiché la richiesta del trattamento fiscale agevolato può essere formulata direttamente all’autorità giudiziaria, come del resto accade per le agevolazioni per la «prima casa». Ne consegue, dunque, una palese violazione dell’art. 3 Cost. perché il si- stema descritto realizza una disparità di trattamento tra situazioni sostanzial- mente omogenee, riconoscendo solo all’acquirente in libero mercato il diritto potestativo di far riferimento per la determinazione dell’imponibile dei fabbri- cati destinati ad uso abitativo, ai fini del calcolo dell’imposta di registro, ipo- tecaria e catastale, al valore catastale anziché al corrispettivo effettivamente pagato al venditore.

dott. MIRELLA CIARLEGLIO Il regime del margine nell’iva e gli adempimenti contabili a prova dell’esistenza dei presupposti per la sua applicazione (*) Nell’iva, il regime del margine è speciale e derogatorio rispetto a quello normale e presuppone una serie di adempimenti a carico del contribuente, in mancanza dei quali risulta impossibile procedere al calcolo dell’iva secondo le disposizioni del d.l. 23 febbraio 2005, n. 41. Cass., sez. trib. (pres. Cappabianca, rel. Cigna), 12 luglio 2013, n. 17232, M.S. c. Agenzia delle entrate.

(Omissis). – Svolgimento del processo. – La CTP di Caserta riget- tava il ricorso proposto da M. S., esercente commercio di autovetture usate, avverso l’avviso, con il quale l’Agenzia delle entrate, Ufficio di Caserta, a seguito di p.v.c. redatto dalla Guardia di Finanza in data 29 maggio 2002, aveva accertato a suo carico, per l’anno di imposta 2000, maggiori ricavi ai fini irpef, addizionale regionale e comunale, iva ed irap. Con sentenza depositata il 25 novembre 2008 la CTR di Napoli rigettava l’appello proposto dal contribuente. In particolare la CTR, per quanto ancora interessa, rilevava, preli- minarmente, che l’assunto dell’appellante, secondo cui l’attività di vendita di automobili usate era stata svolta in società di fatto con tale P.G., era stato travolto dalla sua stessa dichiarazione, riportata a ver- bale nel p.v.c., ove si leggeva che dal 1996 al 1998 (l’anno in questio- ne era il 1999) per tutte le autovetture acquistate all’estero era stata utilizzata la partita iva del P.; soggiungeva, nel merito, per ciò che concerneva l’iva, che il c.d. regime del margine non poteva applicarsi nella fattispecie in esame, in quanto il contribuente: non aveva istituito né i registri iva (acquisti e cessioni di beni usati) previsti dal d.l. n. 41 del 1995, art. 38, 2o comma, né le scritture contabili; non aveva pre- sentato le prescritte dichiarazioni annuali; non aveva conservato le fat- ture di acquisto delle autovetture, dalle quali rilevare se il cedente avesse o meno applicato il regime del margine. Avverso detta sentenza proponeva ricorso per cassazione il contri- buente affidato a tre motivi; l’Agenzia delle entrate non svolgeva atti- vità difensiva. Motivi della decisione. – Con il primo motivo il ricorrente dedu- ceva – ex art. 364, n. 5, c.p.c. – omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio; al ri- guardo rilevava che, in ordine alla sollevata questione della carenza del presupposto soggettivo della pretesa tributaria, la CTR era giunta alla conclusione dell’insussistenza (per l’anno in questione) della so- cietà di fatto esistente illo tempore tra M.S. e P.G. solo tenendo pre- sente le dichiarazioni del P., senza invece considerare quanto in senso contrario risultava documentalmente. PARTE SECONDA 593

Con il terzo motivo il ricorrente deduceva omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio, relativamente all’irap ed all’irpef; al riguardo rilevava che la CTR aveva omesso di motivare in ordine all’erronea determinazione del calcolo di detti tributi, determinati sulla base imponibile data dalla differenza tra ricavi di vendita e costi di acquisto, senza procedere allo scorporo dell’iva, inclusa nelle vendite lorde. Siffatti motivi sono inammissibili per violazione dell’art. 366-bis c.p.c. (applicabile perché la sentenza impugnata è stata depositata in data 25 novembre 2008, quindi nel vigore del detto art., introdotto con il d.lgs. n. 40 del 2006 a decorrere dal 2 marzo 2006, ed abrogato, ma solo dal 4 luglio 2009, con la l. n. 69 del 2009, art. 47, 1o comma, lett. d)). Le complessive doglianze sono, infatti, materialmente prive del «momento di sintesi», richiesto in tutte, di vizio sussumibile nell’art. 360, n. 5, c.p.c.; ed invero, per costante e condiviso principio di que- sta caso previsto dall’art. 360, 1o comma, n. 5, l’illustrazione di cia- scun motivo del ricorso per cassazione deve contenere, a pena di inammissibilità, sia la chiara indicazione dei fatto controverso in rela- zione al quale la motivazione si assume omessa o contraddittoria, sia le ragioni per le quali la dedotta insufficienza della motivazione la rende inidonea a giustificare la decisione, sia un momento di sintesi omologo del quesito di diritto, e cioè un’indicazione riassuntiva e sin- tetica, che costituisca un quid pluris rispetto all’illustrazione del moti- vo e che ne circoscriva puntualmente i limiti, in maniera da non inge- nerare incertezze in sede di formulazione del ricorso e di valutazione della sua ammissibilità; ciò anche quando l’indicazione del fatto deci- sivo controverso sia rilevabile dal complesso della formulata censura, attesa la ratio che sottende la disposizione indicata, associata alle esi- genze deflattive del filtro di accesso alla S.C., la quale deve essere po- sta in condizione di comprendere, dalla lettura del solo quesito, quale sia l’errore commesso dal giudice di merito. Con il secondo motivo il ricorrente deduceva – ex art. 360, n. 3, c.p.c. – violazione e falsa applicazione del d.l. n. 41 del 1995, artt. 36 e 38; al riguardo rilevava che erroneamente la CTR aveva affermato che le su riportate omissioni nella contabilità comportavano il venir meno dell’applicazione del regime del margine; ed invero, come pote- va desumersi dalle su citate disposizioni di legge, siffatto regime (teso ad evitare che sul consumatore finale gravasse l’imposta sull’intero valore del bene già uscito dal circuito commerciale e sul quale era sta- ta già assolta l’iva, e, quindi, per nulla agevolativo per il soggetto d’imposta, che non traeva da detta applicabilità alcun beneficio) era ob- bligatorio, e poteva comportare, in caso di omissioni nella contabilità, so- lo le sanzioni pecuniarie specificatamente previste dall’art. 38 d.l. cit. Siffatto motivo è infondato. Preliminarmente occorre ricordare che il d.l. n. 41 del 1995, artt. da 36 a 40-bis disciplinano organicamente, ai fini iva, il commercio di beni mobili usati, tra cui autovetture, autocaravan, eccetera; tale nor- mativa ha introdotto, in ottemperanza a specifica direttiva comunitaria, 594 DIRITTO E PRATICA TRIBUTARIA N. 4/2014 un regime speciale di applicazione dell’iva, detto anche «regime del margine», allo scopo di evitare fenomeni di doppia o reiterata imposi- zione per i beni mobili che, dopo la prima uscita dal circuito commer- ciale, vengono successivamente venduti ad un soggetto passivo d’im- posta che intende rivenderli; siffatto regime ha fondamentalmente lo scopo di evitare che un bene, già colpito dall’imposta (perché ad esempio giunto al consumatore finale), nel momento in cui viene ven- duto di nuovo, venga tassato nuovamente, con una reiterazione del- l’imposta contrastante con i principi fondamentali del tributo; il margi- ne su cui applicare l’imposta è, in tal caso, ordinariamente costituito dalla differenza tra il prezzo di acquisto dell’usato e quello di vendita; conseguentemente la relativa imposta non è detraibile; nell’ipotesi di cessione di autovetture, affinché il regime del margine sia operante, è necessario che il mezzo sia stato acquisito dal cedente senza applica- zione dell’iva; in questo caso, all’atto della cessione dell’autovettura, l’iva andrà scorporata dalla differenza tra prezzo di vendita dell’auto- vettura e prezzo di acquisto della stessa, la cui fattura va emessa con la seguente dicitura «operazione soggetta al regime dei margine di cui al d.l. n. 41 del 1995, art. 36 e successive modificazioni». Ciò precisato, va rilevato che per condiviso principio di questa Corte, «in tema di iva, l’applicazione del regime del margine di utile, di cui al d.l. 23 febbraio 1995, n. 41, art. 36, convertito in l. 22 marzo 1995, n. 85, costituisce ... un regime impositivo speciale e derogatorio rispetto a quello ordinario. Ne consegue che, tutte le volte in cui la contestazione dell’amministrazione trovi fondamento in elementi og- gettivi, l’onere di provare la sussistenza dei presupposti di fatto che giustificano l’operatività di tale regime di deroga incombe al contri- buente-cessionario, il quale è tenuto a verificare preventivamente la re- golarità sostanziale dell’operazione, pure con riferimento alla mancata detrazione dell’iva corrisposta a monte da parte del cedente, nei limiti imposti dal dovere di agire con la diligenza richiesta in base alle con- crete circostanze, anche in relazione alla sua qualità professionale, ove trattasi di operatore commerciale del settore, ed alla stregua dei docu- menti negoziali in suo possesso, conformemente al principio di vici- nanza al fatto oggetto di prova ed al sistema del diritto comunitario» (Cass. n. 15219 del 2012); in termini anche Cass. n. 2227 del 2011, secondo cui «in tema di iva, il regime del margine previsto dal d.l. 23 febbraio 1995, n. 41, art. 36, convertito nella l. 22 marzo 1995, n. 85, presuppone la mancata detrazione dell’iva all’acquisto da parte del ce- dente, condizione la cui assenza (o il difetto della prova da parte del cessionario della sua sussistenza) comporta l’inapplicabilità del regime “de quo”, indipendentemente dalla consapevolezza che di essa abbia avuto il cessionario, potendo eventualmente tale difetto di consapevo- lezza incidere solo sull’aspetto sanzionatorio». Alla stregua dei predetti principi va, pertanto, ritenuto, contraria- mente a quanto sostenuto dal ricorrente, che, relativamente all’iva, il regime del margine sia speciale e derogatorio rispetto a quello norma- le, e che presupponga una serie di adempimenti da rispettare a carico PARTE SECONDA 595 del contribuente, in mancanza dei quali risulta impossibile procedere al calcolo dell’iva come richiesto dalle predette disposizioni di legge. In particolare, va rilevato che l’art. 38, 5o comma (che il ricorren- te intende porre a fondamento della decisione), in base al quale le omissioni o le inesattezze nelle annotazioni nei registri comportano so- lo l’applicazione di specifiche sanzioni ma non determinano la non ap- plicabilità del regime del margine, si riferisce appunto solo ed esclusi- vamente ad omissioni o inesattezze, e non invece alla totale mancanza dei registri e delle scritture contabili; siffatta mancanza, verificatasi nel caso di specie, non può che comportare, come detto, la non applicabi- lità del regime del margine, non consentendo infatti detta mancanza il controllo – da parte dell’Agenzia – dei presupposti fissati per l’appli- cazione (in particolare la mancata detrazione dell’iva all’acquisto da parte del cedente). In conclusione, pertanto, il ricorso va rigettato. Nulla per le spese, attesa la mancata costituzione nel presente giu- dizio da parte dell’Agenzia. P.Q.M. – La Corte rigetta il ricorso. (Omissis).

(*) SOMMARIO: 1. Il regime del margine e i presupposti per la sua applicazione nelle moti- vazioni della sentenza della S.C. – 2. La normativa europea sul regime del margine. – 3. Le diverse modalità di applicazione del regime del margine. – 4. Gli adempimenti contabili connessi all’applicazione del regime del margine e la loro rilevanza ai fini della determinazione della base imponibile e dell’iva dovuta. – 5. Gli adempimenti contabili e la loro funzione ai fini del controllo dell’esistenza dei presupposti per l’applicazione del regime del margine. – 6. L’onere del soggetto passivo di provare l’esistenza dei presupposti per applicare il regime del margine:limiti.

1. – Il regime del margine e i presupposti per la sua applicazione nelle moti- vazioni della sentenza della S.C. Nella sentenza che si commenta, la S.C. precisa che la mancanza dei re- gistri previsti all’art. 38, 2o comma, d.l. 23 febbraio 1995, relativi agli acqui- sti e cessioni di beni usati, comporta la non applicabilità del regime del mar- gine. Sottolinea la Corte che l’assenza dei registri impedisce all’Agenzia delle entrate di controllare se esistano i presupposti per avvalersi dell’applicazione del citato regime e, tra questi, in particolare, se il cedente dei beni usati abbia proceduto alla detrazione dell’iva all’atto dell’acquisto dei predetti beni. La S.C., richiamando una sua precedente giurisprudenza, afferma che la condizione per applicare il regime del margine è rappresentata dalla mancata detrazione dell’iva all’acquisto da parte del cedente. E provare che il cedente non ha detratto l’iva all’acquisto è onere del contribuente-cessionario che ha acquistato i beni usati. Ne consegue che tutte le volte in cui l’Amministrazio- ne finanziaria contesta, sulla base di elementi oggettivi, l’applicazione del re- gime del margine, a motivo dell’assenza delle condizioni richieste per la sua applicazione, in particolare, che il cedente non ha detratto l’iva, spetta al con- tribuente-cessionario provare che tali condizioni sussistono. 596 DIRITTO E PRATICA TRIBUTARIA N. 4/2014

La regolarità dell’operazione deve essere dimostrata dal contribuente- cessionario sulla base dei documenti negoziali in suo possesso e di ogni altro dato ed elemento che è entrato nella sua disponibilità. La S.C. richiama sul punto le qualità professionali del cessionario e il suo dovere di agire con la diligenza richiesta dalle concrete circostanze. Il fatto che il contribuente-cessionario possa essere nelle condizioni di disporre di documenti, dati, elementi che gli consentono di attestare la regola- rità dell’operazione, lo pone in posizione di vicinanza al fatto da provare. E ciò è sufficiente per giustificare, secondo la S.C., l’onere del contribuente di dimostrare l’esistenza dei presupposti richiesti dalla legge per consentire l’operatività del particolare regime. La circostanza che il regime del margine sia speciale e di deroga del re- gime normale comporta che si debba eseguire una serie di adempimenti per determinare l’iva dovuta. Nel caso deciso dalla S.C., era stato accertato che il contribuente non aveva istituito i registri dei beni usati di cui all’art. 38, 2o comma, d.l. n. 41 del 1995, né aveva tenuto le scritture contabili e presentato le prescritte dichiarazioni annuali. Le citate omissioni avevano reso inapplica- bile, secondo il giudice di appello, il regime del margine. Nei motivi del ricorso avanti la S.C., il contribuente sosteneva che l’ap- plicazione del regime del margine doveva intendersi come obbligatoria, con- siderato che la finalità del predetto regime è quella di evitare che sul consu- matore finale gravi l’imposta sull’intero valore del bene che risulta già uscito dal circuito commerciale e sul quale l’iva è già stata assolta. Il fatto che non siano stati tenuti i registri previsti all’art. 38, 2o comma, d.l. n. 41, non pre- clude l’applicazione del predetto regime, considerato che l’omissione rappre- senta una violazione che viene punita con sanzione amministrativa (5o com- ma). La questione dell’applicazione del regime del margine, specie quando ad essere interessato è il commercio di autovetture usate acquistate all’estero, viene esaminata dalla S.C. nella sentenza che si commenta con riguardo ai presupposti richiesti dalla legge per ammetterne l’applicazione e agli obblighi di tipo contabile che il contribuente-cessionario è tenuto ad eseguire per pro- cedere alla determinazione dell’iva dovuta. E con riguardo ai citati due aspetti, che emergono solo a tratti nella mo- tivazione della sentenza della S.C. che si commenta, occorre svolgere talune riflessioni che valgano a definirne la portata e l’importanza per la concreta operatività del predetto regime.

2. – La normativa europea sul regime del margine

All’art. 32 della Direttiva n. 1977/388/Cee, in materia di armonizzazione delle legislazioni degli Stati membri relative alle imposte sulla cifra di affari – sistema comune dell’imposta sul valore aggiunto, veniva precisato che il Consiglio è tenuto ad adottare il regime comune di imposizione applicabile ai beni d’occasione, agli oggetti d’arte, di antiquariato e di collezione, e ciò per evitare doppie imposizioni e distorsioni di concorrenza tra soggetti passi- vi (1).

(1) Cfr. Corte di giustizia, causa C-131/92, «K» Line Air Service Europe BV, punto 19, in cui viene precisato che la funzione dell’art. 32 nel contesto della sesta direttiva è PARTE SECONDA 597

La Direttiva n. 1994/5/CE, che ha dettato la disciplina sul regime parti- colare di imposizione applicabile ai predetti beni, ha introdotto nella Direttiva n. 1977/388/Cee, l’art. 26-bis, che risulta suddiviso nei parr. A, B, C, D, in cui vengono disciplinati: le definizioni (A), il regime particolare dei rivendi- tori (B), il regime particolare applicabile alle vendite all’asta (C), il regime transitorio di imposizione negli scambi tra Stati membri (D). Nella Direttiva n. 2006/112/CE, relativa al sistema comune dell’imposta sul valore aggiunto, la disciplina sul regime speciale applicabile ai beni d’occasione, agli oggetti d’arte da collezione o antiquaritato è dettata al capo 4, sezioni 1, 2, 3, 4, artt. 312-325. La disciplina che precede si caratterizza per regolare il particolare mec- canismo di definizione della base imponibile della cessione dei beni d’occa- sione ecc., che non è costituita dal corrispettivo versato o da versare al forni- tore da parte dell’acquirente del bene, ma dal margine realizzato dal soggetto passivo-rivenditore, diminuito dell’importo dell’iva relativa al margine stesso. Per margine si intende poi la differenza tra il prezzo di vendita chiesto dal soggetto passivo-rivenditore per il bene e il prezzo di acquisto (art. 315, Di- rettiva n. 2006/112/CE). Altra caratteristica del predetto regime riguarda l’aspetto soggettivo. Le disposizioni delle direttive che precedono precisano che gli Stati membri ap- plicano alle cessioni di beni d’occasione, di oggetti d’arte, da collezione o di antiquariato, effettuate da un soggetto passivo rivenditore un regime speciale di imposizione del margine realizzato (art. 313, Direttiva n. 2006/112/CE, e prima art. 26-bis, parte B, Direttiva n. 1977/388/Cee). In tale regime, si pre- scinde dal fatto che il soggetto che cede i beni d’occasione ecc. al soggetto passivo rivenditore abbia anch’esso la qualifica di soggetto passivo, e, dun- que, che ci sia un’iva dovuta sull’acquisto di tali beni per la quale il soggetto passivo rivenditore possa avere il diritto di detrazione. Non è inutile rilevare che il regime del margine risulta essere un regime particolare dell’iva, che è di deroga al regime generale, con la conseguenza che la sua applicazione viene limitata a quanto necessario al conseguimento dell’obiettivo su cui si fonda la sua previsione (2). E su tale linea, il terzo e quinto considerando della Direttiva n. 1994/05 puntualizzano che con l’intro- duzione del regime del margine il legislatore comunitario ha inteso evitare la doppia imposizione e distorsione della concorrenza. L’art. 26-bis della Direttiva n. 1977/388/Cee, e l’art. 314 della Direttiva n. 2006/112/CE, precisano che i beni d’occasione ecc. sono tali per essere stati acquistati dal soggetto passivo rivenditore da uno dei soggetti di cui al- l’elenco in essi riportato. Si tratta, in sintesi: a) di una persona che non è soggetto passivo; b) di un altro soggetto passivo che ha ceduto il bene in re- gime d’esenzione; c) di un altro soggetto passivo che ha ceduto il bene bene- ficiando della franchigia per le piccole imprese e che il bene ceduto sia un bene d’investimento; d) un altro soggetto passivo rivenditore che ha ceduto il bene avvalendosi del regime del margine. È chiaro che i soggetti appena

quella di prevedere l’adozione di un regime speciale di imposizione per i beni definitiva- mente gravati dell’iva e che rischiano, in occasione della loro remissione in commercio, di essere nuovamente tassati senza che sia presa in considerazione l’imposta ancora incorpora- ta nel prezzo. (2) Cfr. Corte di giustizia, causa C-203/10, Direktsia «Obzhalvane i upravlenic na izpalnenieto» - Varna, punto 46. 598 DIRITTO E PRATICA TRIBUTARIA N. 4/2014 elencati non sono stati in grado di detrarre l’iva da essi dovuta o pagata al- l’atto dell’acquisto dei beni ed hanno sopportato integralmente l’imposta (3), con la conseguenza che all’atto della successiva vendita al soggetto passivo rivenditore, il prezzo risulta essere comprensivo dell’iva di cui non è stato possibile procedere alla detrazione. Di qui la deduzione che se il soggetto passivo rivenditore fosse tenuto ad assoggettare ad imposizione iva l’intero prezzo del bene acquistato nella situazione che precede si verificherebbe una doppia imposizione (4). Non è inutile sottolineare che l’art. 26-bis, della Direttiva n. 177/388/ Cee, ed ora gli articoli della Direttiva n. 2006/112/CE, compresi nella sotto- sezione 1, della sezione 2, capo 4, che prevedono l’imposizione iva secondo il regime del margine, devono essere interpretati in conformità agli obiettivi perseguiti dal particolare regime da essi introdotto e del principio di neutralità relativo al sistema comune dell’iva (5). Ne discende che in una situazione in cui non esiste il diritto a detrarre l’iva a monte diventa inevitabile che si ve- rifichi un fenomeno di doppia imposizione e che l’imposizione non sia più neutra. Il regime del margine garantisce, invece, la neutralità dell’imposizione iva, atteso che questa avviene sulla differenza tra il prezzo di vendita del be- ne d’occasione fissato dal soggetto passivo rivenditore e il prezzo d’acquisto, comprensivo il primo dell’iva incorporata nel secondo (6). Sull’applicazione del regime del margine, l’art. 26-bis, parte B, aggiunto alla Direttiva n. 1977/388/Cee, parr. 3 e 10, prevede che avvenga secondo i me- todi ordinario o analitico e globale. E con riguardo a quest’ultimo metodo, vie- ne precisato che deve essere applicato solo per l’esecuzione di determinate ope- razioni o se ad eseguire le operazioni sono determinati soggetti passivi riven- ditori ed ha lo scopo di semplificare la riscossione dell’imposta. Anche nella Di- rettiva n. 2006/112/CE, l’applicazione del regime del margine deve avvenire se- condo: – il metodo analitico, per il quale la determinazione della base imponi- bile avviene operazione per operazione e corrisponde alla differenza tra prezzo di vendita e prezzo di acquisto (art. 315); – il metodo globale, per il quale la base imponibile è data dalla differenza tra l’importo totale dei beni assoggetta- ti al regime del margine e l’importo totale degli acquisti dei beni d’occasione ecc. (art. 318). L’applicazione del metodo globale non è automatica ma colle- gata al fatto che gli Stati membri la prevedano come soluzione per semplifica- re la riscossione dell’imposta in presenza di determinate operazioni o quando ad eseguire le operazioni sono determinati soggetti passivi rivenditori.

(3) Cfr. Corte di giustizia, causa C-203/10, Direktsia «Obzhalvane i upravlenic na izpalnenieto» - Varna, punto 48, in cui viene precisato che tassare l’intero prezzo della ces- sione di un bene d’occasione da parte di soggetto passivo-rivenditore, allorché il prezzo al quale quest’ultimo ha acquistato detto bene incorpora un importo di iva assolto a monte da una persona appartenente ad una delle categorie elencate all’art. 314, lett. a)-b), della Diret- tiva n. 2006/112, e che né tale persona né il soggetto passivo rivenditore sono stati in gra- do di detrarre, produrrebbe una doppia imposizione. Cfr. anche Corte di giustizia, causa C-160/11, Bawaria Motors sp. zo.o, punto 37. (4) Cfr. conclusioni dell’avvocato generale Geelhoed presentate per la causa C-280/ 04, Jyske Finans A/S, punto 66, in cui sottolinea che in assenza del regime sul margine di utile, il rivenditore sarebbe tenuto a pagare l’iva sull’intero corrispettivo percepito, ma non sarebbe in grado di dedurre l’iva a monte. (5) Cfr. Corte di giustizia, causa C-280/04, Jyske Finans A/S, punto 36. (6) Cfr. conclusioni dell’avvocato generale Mazák, presentate per la causa C-160/11, Bawaria Motors sp. zo.o, punto 50. PARTE SECONDA 599

Sugli adempimenti che il soggetto passivo rivenditore è tenuto ad ese- guire in relazione all’applicazione del regime del margine, l’art. 26-bis, parte B, par. 9, della Direttiva n. 1977/388/Cee, ed ora l’art. 325 della Direttiva n. 2006/112/CE, specificano che il soggetto passivo rivenditore non può far fi- gurare separatamente sulla fattura che emette l’iva relativa alle cessioni di be- ni che assoggetta al regime del margine. E qualora il soggetto passivo riven- ditore applichi il regime normale dell’iva e il regime del margine è tenuto a far figurare separatamente nella sua contabilità le operazioni che rientrano in ciascuno di tali regimi, secondo modalità che saranno stabilite da ciascun Sta- to membro (art. 26-bis, parte b, par. 8, art. 324).

3. – Le diverse modalità di applicazione del regime del margine

a) Il regime del margine, come regime speciale per i rivenditori di beni usati, di oggetti d’arte, di antiquariato o collezione, viene disciplinato in Italia dagli articoli da 36 a 40-bis, del d.l. 23 febbraio 1995, n. 41, che ha recepito la Direttiva n. 1994/5/Cee. All’art. 36 del d.l. n. 41, la disciplina del regime del margine si differen- zia a seconda delle modalità di applicazione. Al 1o comma, vengono dettate le regole per procedere all’applicazione del regime secondo il metodo ordina- rio o analitico; al 5o comma, sono presenti regole per applicare il regime con il metodo forfettario o percentuale di determinazione del margine; al 6o com- ma, viene disciplinato il metodo globale di determinazione del margine (7). In merito all’applicazione del regime del margine con il metodo forfetta- rio o percentuale di determinazione del margine, viene precisato che la finali- tà di tale metodo è quella di semplificare gli adempimenti per l’applicazione del regime del margine e insieme di evitare che il margine sia costituito dal- l’intero prezzo di vendita (8). L’art. 36, 5o comma, d.l. n. 41, prevede che l’applicazione del citato metodo avvenga nel caso: – di cessione di oggetti d’arte per cui manca il prezzo di acquisto o non sia rilevante oppure non sia determinabile (a); - di vendite da parte di soggetto che esercita l’attività di commercio al dettaglio in forma ambulante (b); - di cessioni di prodotti edi- toriali diversi da quelli di antiquariato (b-bis); - di prodotti editoriali di anti- quariato, di francobolli da collezione e collezione di francobolli, di pezzi da ricambio o componenti derivanti dalla demolizione di mezzi di trasporto o di apparecchiature elettromeccaniche (b-ter). L’art. 3 della Direttiva n. 1994/5/Cee, prevedeva che l’imposta dovuta in applicazione del regime dell’imposizione sull’utile di cui all’art. 26-bis, parte B, della Direttiva n. 1977/388/Cee, non potesse essere inferiore all’importo dell’imposta che sarebbe stata dovuta se l’utile fosse stato pari ad una deter- minata percentuale del prezzo di vendita. Tale previsione era intesa come mi- sura particolare finalizzata alla lotta contro le frodi, che gli Stati membri po- tevano introdurre nelle legislazioni nazionali una volta che fosse intervenuta l’autorizzazione da parte del Consiglio adottata all’unanimità su proposta del- la commissione. La disposizione che precede è stata riprodotta nell’art. 343 della Direttiva n. 2006/112/CE, in cui, riprendendo quanto dettato nell’ultimo

(7) Per un esame dei diversi regimi di applicazione del margine, cfr. Digregorio Na- toli, Regime del margine per i beni usati,inFisco, 2011, 4313 e ss. (8) Circ. min. n. 177/E, del 22 giugno 1995, punto 4.2.1. 600 DIRITTO E PRATICA TRIBUTARIA N. 4/2014 periodo dell’art. 3, viene precisato che la percentuale del prezzo di vendita è fissata in funzione dei normali margini realizzati dagli operatori economici nel settore in questione (par. 2). La previsione dell’art. 36, 5o comma, d.l. n. 41, secondo cui la determina- zione del margine da assoggettare a imposizione iva avviene applicando al prez- zo di vendita percentuali che variano in ragione del bene oggetto della cessio- ne o del tipo di attività di commercio che esercita il soggetto passivo rivendi- tore, pone l’interrogativo se la disposizione della direttiva che autorizza lo Sta- to membro a determinare il margine applicando una percentuale sul prezzo di vendita del bene che viene ceduto sia stata recepita correttamente. Ciò pone an- che il dubbio se l’applicazione del metodo forfettario alle cessione elencate al- le lettere a), b-bis), b-ter), o alle cessione effettuate dai soggetti di cui alla lett. b), del 5o comma, art. 36, come metodo unico e, dunque, non opzionale del me- todo ordinario o analitico, non contrasti con le disposizioni delle citate diretti- ve sulla disciplina del regime del margine, qualora la sua applicazione non sia giustificata dall’obiettivo di contrastare l’evasione fiscale. b) All’art. 36, d.l. n. 41, viene previsto, relativamente a ciascun metodo di determinazione del margine, che il soggetto passivo rivenditore provveda a tenere particolari registri e/o ad eseguire specifiche annotazioni nei registri iva. In rapida sintesi, se il soggetto passivo: – adotta il metodo ordinario o analitico, deve istituire un registro da te- nere con le modalità di cui all’art. 39 del decreto n. 633 del 1972, in cui deb- bono essere annotati gli acquisti e le cessioni dei singoli beni a cui si applica il regime del margine, specificando le date di acquisto e di cessione, la natura quantità, qualità dei beni, il prezzo di acquisto al lordo dell’eventuale impo- sta, il corrispettivo della cessione comprensivo dell’imposta; – si avvale del metodo globale, deve tenere, con le modalità di cui al- l’art. 39, del decreto n. 633, due registri: uno per gli acquisti e uno per le cessioni. Nel primo registro, devono essere annotati gli acquisti dei beni as- soggettati alla particolare disciplina con l’indicazione della data dell’acquisto, della natura, qualità, quantità dei beni acquistati e del costo di acquisto; nel secondo, devono essere annotate le cessioni, con l’indicazione della data, del- la natura, quantità, qualità dei beni ceduti e dei relativi corrispettivi al lordo dell’imposta, distinti per aliquota; – è tenuto ad avvalersi del metodo forfettario o percentuale di determi- nazione del margine, gli adempimenti contabili si riducono alla annotazione dei corrispettivi relativi alle operazioni che rientrano nel citato metodo nel re- gistro dei corrispettivi di cui all’art. 24 del decreto n. 633, in modo separato dall’annotazione dei corrispettivi relativi alle eventuali altre operazioni. Sulla rilevanza che i registri previsti all’art. 38, 2o e4o comma, d.l. n. 41, assumono ai fini dell’applicazione del regime del margine, rispettivamen- te con il metodo ordinario o con il metodo globale, occorre considerare la funzione che ad essi viene riconosciuta nel contesto del meccanismo applica- tivo dell’iva. Precisa l’art. 38, con riguardo alle annotazioni, che il soggetto passivo è tenuto ad eseguire in relazione all’applicazione del regime del margine con il metodo analitico, che l’annotazione complessiva delle differenze positive re- lative alle operazioni di acquisto e di rivendita del periodo di riferimento de- ve avvenire separatamente nel registro di cui all’art. 24 del decreto n. 633, te- nendo conto delle diverse aliquote, e ciò per procedere alla liquidazione del- l’imposta a norma degli artt. 27 e 33 del decreto appena citato (2o comma, terzo periodo). Se il soggetto passivo applica, invece, il metodo globale, l’art. PARTE SECONDA 601

38, 5o comma, d.l. n. 41, non specifica che il margine globale positivo deter- minato nel periodo di riferimento debba essere riportato nel registro dei corri- spettivi di cui all’art. 24 del decreto n. 633, e qui essere sommato ai corri- spettivi e concorrere a determinare l’imposta da liquidare periodicamente (9). Di qui la deduzione che il registro degli acquisti e quello delle cessioni previ- sti all’art. 38, 5o comma, tengono luogo ai registri degli acquisti e dei corri- spettivi previsti agli artt. 24 e 25 del decreto n. 633. All’art. 242 della Direttiva n. 2006/112/Cee, viene disposto che il soggetto passivo deve tenere una contabilità separata che sia sufficientemente dettagliata per consentire l’applicazione dell’iva e il suo controllo da parte dell’Amministra- zione fiscale. Al successivo art. 273, viene precisato che gli Stati membri han- no la facoltà di stabilire altri obblighi che ritengano necessari ad assicurare l’esat- ta riscossione dell’imposta ed a evitare frodi. Le disposizioni che precedono ri- calcano quelle recate all’art. 22, parr.2e8della Direttiva n. 1977/388/Cee. Nel decreto n. 633 del 1972, gli obblighi di tenere: – un apposito registro in cui annotare le fatture emesse (art. 23); – un apposito registro, alternativo a quello delle fatture emesse, in cui annotare globalmente i corrispettivi delle ope- razioni effettuate in ciascun giorno (art. 24); – un apposito registro in cui deb- bono essere annotate le fatture e le bollette doganali relative ai beni e ai servi- zi acquistati o importati nell’esercizio dell’impresa (art. 25), garantiscono l’ope- ratività del meccanismo di applicazione dell’iva e consentono, in ragione delle prescrizioni sulle modalità di annotazione delle fatture emesse e ricevute e dei corrispettivi, il controllo dello stesso. I registri appena richiamati e la loro re- golare tenuta, insieme con le fatture emesse e ricevute, rappresentano l’aspetto contabile su cui si regge il processo di determinazione dell’imposta dovuta dal soggetto passivo in relazione alle operazioni di cessione e di acquisto di beni e servizi relativi all’attività d’impresa esercitata (10). Sulla facoltà degli Stati membri di stabilire altri obblighi per assicurare l’esatta riscossione dell’imposta ed evitare evasioni, riconosciuta all’art. 273, della Direttiva n. 2006/112/CE, e all’art. 28, par. 8, della Direttiva n. 1977/ 388/Cee, la Corte di giustizia con giurisprudenza costante ha affermato che i provvedimenti che gli Stati membri possono adottare non devono eccedere quanto risulta necessario a conseguire il predetto fine (11).

4. – Gli adempimenti contabili connessi all’applicazione del regime del mar- gine e la loro rilevanza ai fini della determinazione della base imponibi- le e dell’iva dovuta

L’affermazione della S.C., presente nella sentenza che si commenta, se- condo cui il regime del margine presuppone una serie di adempimenti da ri-

(9) Nella circ. min. n. 177/E, del 22 giugno 1995, viene precisato che solo per mag- giore chiarezza contabile, il contribuente può effettuare l’annotazione del margine totale nel registro dei corrispettivi, atteso che può effettuare la liquidazione dell’imposta dovuta diret- tamente nel registro speciale delle cessioni afferenti al regime globalizzato. (10) Sia pure con riguardo alla sola fattura nell’accezione di supporto procedimentale del congegno dell’imposta, cfr. F. Maffezzoni, La fattura nell’ordinamento dell’iva,inBoll. trib., 1973, 1176. (11) Cfr. Corte di giustizia, causa C-146/05, Collée, punto 26, e giurisprudenza ivi richiamata. 602 DIRITTO E PRATICA TRIBUTARIA N. 4/2014 spettare a carico del contribuente, in mancanza dei quali risulta impossibile procedere al calcolo dell’iva, si riferisce agli adempimenti relativi alla tenuta dei registri; atteso che al contribuente era stato negata la possibilità di avva- lersi del regime del margine a causa dell’omessa tenuta dei registri iva previ- sti all’art. 38, d.l. n. 41 del 1995, e delle altre scritture contabili. Dai riferimenti alla fase del giudizio d’appello, presenti nella sentenza della S.C., si ricava che il contribuente svolgeva l’attività di commercio di veicoli usati e si era avvalso del regime del margine per determinare il mar- gine imponibile; non risulta specificato, invece, se tale margine era stato de- terminato con il metodo globale o con quello ordinario o analitico. Nell’art. 38, 5o comma, d.l. n. 41, viene disposto che se il soggetto pas- sivo rivenditore svolge il commercio non ambulante dei beni elencati nel comma citato può avvalersi del metodo globale per determinare il margine imponibile (12). E fra i beni di cui all’elenco che precede figurano anche vei- coli usati, con la conseguenza che il contribuente, che aveva presentato ricor- so alla S.C., era ammesso, per esplicita previsione di legge, a determinare il margine con il metodo globale, salva la decisione dello stesso contribuente di optare per la determinazione del margine con il metodo ordinario o analiti- co (13). Non è inutile rilevare che la registrazione: – nell’apposito registro degli acquisti e delle vendite, quando si applica il metodo ordinario (art. 38, 2o comma); – nel registro degli acquisti e nel registro delle vendite, rispettiva- mente per gli acquisti e per le cessioni dei beni elencati nell’art. 36, 8o com- ma, quando si determina il margine con il metodo globale (art. 38, 4o com- ma), richiede per la sua esecuzione che il contribuente disponga di documen- tazione che faccia da base ai dati ed informazioni che sono oggetto di regi- strazione. La circostanza che il regime speciale del margine sia applicabile alle operazioni di acquisto e di cessione dei beni usati, nel senso di beni che sono usciti dal circuito commerciale, per i quali l’acquirente finale ha pagato l’iva all’atto del loro acquisto, pone la questione della documentazione relativa al corrispettivo pagato, atteso che il venditore del bene usato non essendo sog- getto passivo non può emettere fattura. La previsione dell’art. 38, 2o e4o comma, secondo cui nell’apposito registro o nel registro acquisti debbono es- sere annotati gli acquisti con l’indicazione della natura, quantità, qualità dei beni acquistati, del prezzo di acquisto, al lordo dell’eventuale imposta, o del relativo corrispettivo, implica che il soggetto passivo rivenditore disponga di documentazione idonea a supportare l’attendibilità dei dati che debbono esse- re rappresentati nelle citate annotazioni. Precisa la S.C. nella sentenza che si commenta come la mancanza dei re- gistri previsti all’art. 38, d.l. n. 41, comporti la non applicabilità del regime del margine, e ciò per non essere messa l’Agenzia delle entrate nelle condizioni di controllare se sussistano i presupposti per applicare il predetto regime. Occorre tenere distinta la questione relativa alla omessa tenuta dei regi-

(12) Cfr. circ. min., 22 giugno 1995, n. 177/E, punto 4.3.1, in cui viene specificato che l’adozione del sistema del margine globale è prevista esclusivamente per gli operatori che svolgono, in forma non ambulante, il commercio di taluni beni tassativamente indivi- duati dalla disposizione. (13) L’opzione deve essere espressa nelle forme e nei tempi indicati all’art. 36, 8o comma. PARTE SECONDA 603 stri in cui debbono essere annotate le operazioni di acquisto e di cessione dei beni usati, d’arte, di antiquariato o da collezione, per la determinazione del margine da assoggettare ad iva, da quella dell’esistenza «dei presupposti» ri- chiesti dalla legge per l’applicazione del regime del margine e, tra questi, quello della mancata detrazione dell’iva all’acquisto dal parte del cedente. L’omessa tenuta dei registri di cui all’art. 38, 2o e4o comma, per essere considerato inadempimento di un obbligo contabile che legittima il discono- scimento dell’applicazione del regime del margine, deve essere valutata in re- lazione alla funzione che i predetti registri hanno nel processo di determina- zione dell’iva dovuta sul margine determinato secondo il metodo analitico o quello globale. E su questa linea, la previsione di tenere l’apposito registro per annotare gli acquisti e le cessioni dei beni usati ecc. è da mettere in rela- zione alla finalità di determinare per ciascun bene acquistato e ceduto la dif- ferenza tra il corrispettivo di vendita e il prezzo di acquisto, eventualmente maggiorato delle spese di riparazione e di quelle accessorie, ed evidenziare, di conseguenza, se esista un margine positivo (14). Il fatto che una volta accertata l’esistenza di un margine positivo relati- vamente alla cessione del singolo bene ceduto, questo, sommato ad altri mar- gini accertati nel medesimo periodo di riferimento, venga riportato nel regi- stro dei corrispettivi di cui all’art. 24 del decreto n. 633, ed essere assunto fra gli imponibili che entrano nelle liquidazioni periodiche d’imposta da effettua- re secondo le regole ordinarie (15), evidenzia che la funzione dell’apposito registro su cui annotare gli acquisti e le cessioni è quella di facilitare il pro- cesso di determinazione dell’ammontare dell’imposta dovuta e della sua ri- scossione e di rendere più immediato il controllo dello stesso. La tenuta del citato registro si colloca, dunque, fra gli obblighi che a norma dell’art. 273 della Direttiva n. 2006/112/CE, e prima dell’art. 22, par. 8, della Direttiva n. 1977/388/Cee, gli Stati membri possono stabilire a carico dei soggetti passivi per assicurare l’esatta riscossione dell’imposta ed evitare le evasioni. Secondo costante giurisprudenza della Corte di giustizia, i provvedimenti che gli Stati membri possono adottare ai sensi dell’art. 22, n. 8, della Diretti- va n. 1977/388/Cee (ed ora ai sensi dell’art. 273, della Direttiva n. 2006/112/ CE) per assicurare l’esatta riscossione dell’imposta ed evitare frodi non devo- no eccedere quanto è necessario al conseguimento del citato fine (16). Ciò pone la domanda se l’obbligo di tenuta del registro degli acquisti e cessioni dei beni usati sia proporzionato all’obiettivo di assicurare l’esatta riscossione dell’imposta ed evitare frodi quando dal suo inadempimento viene fatto di- pendere il disconoscimento dell’applicazione del regime del margine. Viene chiarito che gli obblighi formali di cui all’art. 22, della Direttiva n. 1977/388/Cee, e le condizioni sostanziali per il riconoscimento del diritto a de- trazione, e, si potrebbe aggiungere, del diritto ad avvalersi del regime partico- lare dei beni d’occasione di cui alla Direttiva n. 1994/5/CE, operano su piani di- versi, con la conseguenza che l’inadempimento dei primi non può comportare una modifica della disciplina sostanziale dell’imposizione iva (17).

(14) Cfr. circ. min., 22 giugno 1995, n. 177/E, punto 4.1.2. (15) Cfr. circ. min., 22 giugno 1995, n. 177/E, punto 4.1.2. (16) Cfr. Corte di giustizia, causa C-146/05, Collée, punto 26, e giurisprudenza ivi citata. (17) Conclusioni dell’avvocato generale Villalón, presentate per la causa C-587/10, Vogtläandische Staßen, punto 53. 604 DIRITTO E PRATICA TRIBUTARIA N. 4/2014

L’obbligo di tenuta del predetto registro, da inquadrare fra gli obblighi che gli Stati membri possono ritenere necessari ad assicurare l’esatta riscos- sione dell’iva e ad evitare evasioni (art. 273, Direttiva n. 2006/112/CE; art. 22, n. 8, Direttiva n. 1977/388/Cee), non può condizionare l’esercizio del di- ritto di avvalersi del particolare regime di determinazione dell’imposta se ri- sultano soddisfatti i requisiti sostanziali per la sua applicazione. Di qui la de- duzione che l’omessa tenuta dell’apposito registro, risolvendosi nell’inadem- pimento di un obbligo di carattere formale, impedisce che il soggetto passivo rivenditore si avvalga del particolare regime del margine, solo qualora l’omessa tenuta abbia l’effetto di impedire che sia fornita la prova certa che i requisiti sostanziali sono stati soddisfatti (18). L’affermazione della S.C., presente nella sentenza che si commenta, se- condo cui l’applicazione del regime del margine richiede una serie di adempi- menti in mancanza dei quali risulta impossibile procedere al calcolo dell’iva secondo le disposizioni dell’art. 36, d.l. n. 41, deve essere assunta avendo ri- guardo all’essenzialità degli obblighi di tenuta dei registri previsti al successi- vo art. 38, per il calcolo dell’iva sul margine imponibile. Ne discende che se il soggetto passivo rivenditore dispone di documentazione relativa all’acquisto e cessione dei beni usati ecc. idonea a consentire di determinare, relativamen- te a ciascun bene ceduto, che risulta conseguito un margine positivo, non si può negare l’applicazione del regime del margine con il metodo analitico qualora il soggetto passivo rivenditore abbia omesso di tenere l’apposito regi- stro su cui annotare gli acquisti e le cessioni. Diversa risulta essere la situazione quando ad essere acquistati e ceduti sono i beni elencati all’art. 36, 5o comma, per i quali la determinazione del margine avviene con il metodo globale. In questo caso, l’obbligo di tenere un registro per gli acquisti e uno per le cessioni tiene luogo all’obbligo di tenere il registro degli acquisti e dei corrispettivi di cui agli artt. 25 e 24 del decreto n. 633, con la conseguenza che la tenuta dei primi due registri diventa un adempimento essenziale al meccanismo di applicazione dell’imposta. Ciò de- termina che se il soggetto passivo rivenditore omette di tenere i predetti due registri, di fatto, non consente che il regime del margine con il metodo globa- le trovi concreta applicazione.

5. – Gli adempimenti contabili e la loro funzione ai fini del controllo dell’esi- stenza dei presupposti per l’applicazione del regime del margine

Fra le conseguenze che la S.C. fa discendere dalla mancata tenuta dei re- gistri di cui all’art. 38 del d.l. n. 41, viene richiamata quella dell’impossibilità da parte dell’Agenzia delle entrate di controllare che il cedente dei beni usati ecc. non abbia detratto l’iva all’acquisto. In realtà, l’impossibilità di control- lare l’esistenza dei presupposti per l’applicazione del regime del margine e tra questi, in particolare, se il cedente dei beni usati non abbia detratto l’iva per essere: – un privato; – un soggetto che non ha potuto detrarre l’iva, – un soggetto passivo d’imposta comunitario in regime di esonero nel proprio Sta- to; – un soggetto passivo d’imposta che opera nel regime del margine, non è

(18) Cfr. Corte di giustizia, causa C-146/05, Collée, punto 31, sia pure con riguardo alla situazione del diritto all’esenzione dall’iva; nel medesimo senso anche sentenza C-587/ 10, Vogtläandische Staßen, punto 45. PARTE SECONDA 605 da mettere in relazione all’omessa tenuta dei registri previsti all’art. 38, d.l. n. 41, ma all’omessa conservazione della documentazione in base alla quale vengono eseguite le annotazioni nei predetti registri e che provano l’esecuzio- ne dell’operazione di acquisto e di cessione. Richiamando una sua precedente pronuncia, la S.C. precisa che l’ope- ratore commerciale è tenuto a verificare la regolarità sostanziale dell’opera- zione, anche sul punto della mancata detrazione dell’iva corrisposta a mon- te da parte del cedente, avendo riguardo ai documenti negoziali in suo possesso. L’omessa o irregolare tenuta dei registri previsti all’art. 38, 2o e5o comma, d.l. n. 45, non impediscono all’Agenzia delle entrate di controllare se esistano i presupposti per accedere al regime speciale del margine e, tra questi, in particolare, che il cedente non abbia detratto l’iva all’acquisto del bene che viene ceduto, se il soggetto passivo rivenditore possiede e mette a disposizione dell’Agenzia la documentazione afferente all’acquisto dei beni usati. Occorre distinguere, allora, la tenuta dei citati registri in funzione di ga- rantire il funzionamento del meccanismo applicativo del tributo, dalla medesi- ma tenuta, in funzione di consentire il controllo da parte dell’Agenzia delle entrate dell’esistenza dei presupposti per avvalersi del regime del margine. Quanto alla prima funzione, non è inutile ribadire che solo in relazione ai re- gistri degli acquisti e delle cessioni da tenere per l’ipotesi di applicazione del regime del margine con il metodo globale, la tenuta si rivela essenziale al funzionamento del meccanismo applicativo dell’iva. Quando, invece, il regi- me del margine viene applicato con il metodo ordinario, la tenuta dell’appo- sito registro non può dirsi che sia parimenti essenziale al predetto meccani- smo. Basti rilevare che la somma dei margini rilevati nel periodo dalla ces- sione dei singoli beni usati deve essere annotata nel registro dei corrispettivi di cui all’art. 24 del decreto n. 633, e concorre con i corrispettivi realizzati dall’esercizio dell’attività diversa da quella del commercio di beni usati, alla liquidazione periodica dell’imposta. Diversa risulta essere la questione della tenuta dei citati registri se la fi- nalità è quella di consentire all’Agenzia delle entrate di controllare se, nel ca- so concreto, esistano i presupposti per l’applicazione del regime del margine. Le annotazioni che debbono essere eseguite nei registri riguardano dati ed in- formazioni inerenti alle operazioni di acquisto e di cessione dei beni usati quali: la natura, la quantità, il prezzo di acquisto e di cessione richiesti dalle disposizioni dell’art. 38, d.l. n. 41. È chiaro che parlare di controllo dell’esistenza dei presupposti richiesti per l’applicazione del regime del margine, da eseguire sulla base delle anno- tazioni riportate nei registri, equivale ad acquisire semplicemente la cono- scenza dei dati e informazioni oggetto delle annotazioni senza possibilità di verificarne la completezza e veridicità. Per poter affermare che le annotazioni nei registri dimostrano l’esistenza dei presupposti per applicare il regime del margine, occorre avere riguardo alla documentazione che è servita per esegui- re le annotazioni. Si tratta, in ogni caso, di un controllo di tipo documentale che evidenzia l’esistenza dei presupposti nei limiti della completezza e veridi- cità della citata documentazione. E con riguardo, ad esempio, al controllo della mancata detrazione del- l’iva all’acquisto da parte del cedente, non può essere sufficiente che il sog- getto passivo rivenditore disponga della fattura di acquisto con l’indicazione che, relativamente al bene fatturato, il cedente ha fruito del regime del margi- 606 DIRITTO E PRATICA TRIBUTARIA N. 4/2014 ne, per ritenere provata l’esistenza dei presupposti soggettivi ed oggettivi che consentono l’applicazione del regime del margine all’operazione di cessione del bene (19). La fattura di acquisto, pur rappresentando un documento contabile indi- spensabile al processo di annotazione sui registri di cui all’art. 38, d.l. n. 41, non autorizza di per sé l’esercizio del diritto ad applicare l’imposta sulla base imponibile ridotta qualora non si abbia la certezza che la rappresentazione contabile da essa data dell’operazione di cessione del bene in regime del mar- gine corrisponda all’operazione in concreto realizzata dalle parti. La questione diventa quella di stabilire quali possano essere i mezzi di prova di cui deve dotarsi il cessionario-rivenditore per dimostrare l’attendibi- lità delle indicazioni presenti nella fattura di acquisto in una situazione in cui il cessionario-rivenditore non è tenuto a provare solo la regolarità dell’opera- zione di acquisto ma anche che il cedente del bene usato non ha detratto l’iva a monte.

6. – L’onere del soggetto passivo di provare l’esistenza dei presupposti per applicare il regime del margine: limiti

La prova della mancata detrazione dell’iva da parte del cedente del bene usato e dei cedenti eventualmente presenti nella catena delle cessioni prece- denti riveste una particolare importanza, ai fini della sua concreta acquisizio- ne, specie quando i cedenti dei beni usati risiedono in un Paese diverso da quello di residenza del cessionario-rivenditore. L’argomento è stato oggetto di esame da parte della giurisprudenza anche della S.C. con riguardo, in partico- lare, al commercio di auto usate all’interno dei Paesi appartenenti all’Unione europea. Viene sottolineato che il cessionario rivenditore è responsabile della omessa verifica della regolarità sostanziale della fattura, atteso che esiste un particolare onere di diligenza a suo carico finalizzato ad accertare l’esistenza dei presupposti del regime del margine e, tra questi, i requisisti oggettivi atti- nenti alla natura dei beni oggetto di cessione e taluni requisiti soggettivi ri- guardanti l’originario cedente. Un documento che può rivelarsi utile per stabi- lire se sussistano i predetti requisiti viene individuato, nel caso di cessione di auto usate, nel libretto di circolazione (20). Tale documento consente di avere l’evidenza del soggetto cedente e dell’utilizzo da questo fatto del veicolo che viene ceduto e mette, di conseguenza, il cessionario rivenditore nelle condi- zioni di poter conoscere se il cedente ha assolto l’iva in via definitiva, per es- sere un soggetto privato o, nel caso di un operatore economico, per non avere

(19) Cfr. Cass., 4 settembre 2013, n. 20302, in Leggi d’Italia, in cui viene precisato che la mera esistenza dei requisiti formali della fattura emessa dal cedente in regime del margine, non può essere considerata elemento sufficiente a comprovare la regolarità fiscale della operazione di cessione, poiché in tal modo verrebbe ad attribuirsi a tale documento un’efficacia probatoria non prevista dalla normativa comunitaria né dall’ordinamento inter- no, in relazione all’esistenza dei presupposti giustificativi di tale regime fiscale tra cui, in particolare, che il cedente abbia assolto l’imposta in modo definitivo e risponda a uno dei requisiti soggettivi indicati dalla medesima disposizione. (20) Cass., 15 settembre 2012, n. 14899, in Leggi d’Italia; nel medesimo senso an- che Cass., 12 febbraio 201, n. 3427, ivi. PARTE SECONDA 607 potuto detrarre l’iva all’atto dell’acquisto (21). In entrambe le ipotesi che pre- cedono, l’iva risulta essere incorporata nel prezzo di acquisto del veicolo usa- to e il cedente, anche se operatore economico, non ha potuto detrarre l’iva al momento dell’acquisto (22). Non è inutile chiedersi se vi siano dei limiti alla responsabilità del ces- sionario-rivenditore nel controllare se l’iva sia stata assolta in via definitiva dal cedente il bene usato al momento del suo acquisto e se altri cedenti, in- tervenuti nelle precedenti cessioni del medesimo bene, non abbiano portato in detrazione l’iva al momento dell’acquisto (23). La domanda s’impone doven- do il contribuente (cessionario-rivenditore) dimostrare che sussistono le con- dizioni di fruibilità del regime del margine, in una situazione in cui l’Ammi- nistrazione finanziaria contesta l’esistenza delle citate condizioni anche me- diante lo schema logico della presunzione, secondo cui da elementi oggettivi l’amministrazione deduce che è avvenuta la detrazione dell’iva corrisposta a monte (24). Il ricorso dell’Amministrazione finanziaria alla presunzione per dimo- strare che non sussistono le condizioni per applicare il regime del margine, a motivo del fatto che il cedente del bene usato o d’occasione non ha as- solto l’iva in via definitiva o che altri cedenti presenti nella catena pari- menti non hanno assolto l’iva in via definitiva, pone una duplice questio- ne: – se si possa ragionevolmente ritenere che il cessionario-rivenditore co- nosceva che l’iva sul bene acquistato non era stata detratta in precedenza dal cedente né che altri soggetti passivi eventualmente presenti nella catena l’avevano detratta; – se la prova a cui è tenuto il cessionario-rivenditore per confutare la presunzione di cui si è avvalsa l’Amministrazione finan- ziaria non comporti la deduzione di fatti eccessivamente difficili da accer- tare. Sulla prima questione, occorre sottolineare che al cessionario-rivenditore, che figura essere acquirente in una fattura in cui viene indicato che la cessio- ne del bene usato o d’occasione avviene in regime del margine, non può es- sere negato il diritto di avvalersi del medesimo regime se il cessionario-riven-

(21) Sulla rilevanza della carta di circolazione per il controllo dei requisiti richiesti dall’applicazione del regime del margine, cfr. circ. Agenzia delle entrate 26 febbraio 2008, n. 40/E. Sulla rilevanza della carta di circolazione ai fini della prova dell’esistenza delle condizioni per fruire del regime del margine nel commercio di veicoli usati, cfr. F. Spina, Il commercio di auto usate fra operatori residenti in diversi Stati UE dopo la direttiva 2001/115/Ce,inFiscalità Internazionale, 2003, 153 e ss.; G. Cattellan - A. Provito, Gli obblighi del cessionario di auto in regime del margine,inGT - Riv. giur. trib., 2005, 753 e ss.; G. Cattelan, Onere della prova nel regime del margine,inCorr. trib., 2010, 171 e ss. (22) Cfr. Corte di giustizia, causa C-280/04, Jyske Finans A/S, in cui viene precisato che anche una società di leasing che cede un veicolo da essa acquistato come veicolo d’oc- casione, l’iva relativa rimane incorporata nel prezzo di acquisto, se al momento dell’acqui- sto detta società non ha potuto detrarre l’iva (punto 38). (23) Cfr. Corte di giustizia, causa C-160/11, Bawaria Motors sp. z.o.o., in cui viene precisato che un soggetto passivo rivenditore non può avvalersi dell’applicazione del regi- me d’imposizione sul margine di utile, qualora ceda autoveicoli considerati beni d’occasio- ne ai sensi dell’art. 311, par. 1, punto 1, della Direttiva n. 2006/112/CE, che egli ha acqui- stato in precedenza in esenzione dall’iva da un altro soggetto passivo che ha beneficiato di un diritto alla detrazione parziale di detta imposta pagata a monte sul prezzo di acquisto degli stessi veicoli (punto 46). (24) Cfr. Cass., 12 settembre 2012, n. 15219, cit. 608 DIRITTO E PRATICA TRIBUTARIA N. 4/2014 ditore ha agito con la dovuta diligenza, tenuto conto delle circostanze in cui avviene l’operazione di acquisto (25). Non si può non rilevare che se sussistono degli indizi che fanno sospet- tare l’esistenza di irregolarità o di evasioni, un operatore accorto potrebbe vedersi obbligato ad assumere informazioni utili a verificare la regolarità dell’operazione che, nel caso di acquisto di bene usato o d’occasione in regi- me del margine, riguardano la mancata detrazione dell’iva all’acquisto del cedente ed eventualmente dei cedenti presenti nella catena delle precedenti cessioni (26). Ciò non significa riconoscere all’Amministrazione finanziaria il potere di esigere che il soggetto passivo-rivenditore, che non dispone di indizi idonei ad avvalorare il sospetto di irregolarità nell’emissione della fat- tura di acquisto, sia tenuto a verificare che l’emittente della fattura di acqui- sto del bene usato o d’occasione con l’indicazione che la cessione avviene in regime del margine che in effetti non ha detratto l’iva al momento del- l’acquisto. Spetta, in linea di principio, all’Amministrazione finanziaria effettuare i controlli necessari presso i soggetti passivi, anche transfrontalieri, avvalendosi per questi ultimi dello strumento dello scambio di informazioni (27), al fine di rilevare irregolarità o evasioni in materia di iva. La circostanza che l’Amministrazione finanziaria neghi al soggetto passi- vo rivenditore il diritto di avvalersi del regime del margine se risulta che lo stesso ha omesso di verificare che non sono presenti irregolarità o evasioni iva, relativamente all’operazione di acquisto del bene usato, significa trasferi- re sul soggetto passivo compiti di controllo circa l’esistenza delle condizioni richieste per l’applicazione del citato regime, che le disposizioni della Diretti- va n. 2006/112 (artt. 245, 249) assegnano all’Amministrazione finanzia- ria (28). La questione poi che vi sia un’inversione dell’onere della prova a ca- rico del soggetto contribuente (soggetto passivo rivenditore), qualora l’Am- ministrazione finanziaria neghi, sulla base di presunzione che non sussiste- vano le condizioni per fruire del regime del margine e tra queste che vi è stata detrazione dell’iva a monte, bisogna valutare il grado di difficoltà che di fatto si trova ad affrontare il contribuente per acquisire dati, atti, infor- mazioni ritenuti necessari per dimostrare l’infondatezza della prova presun- tiva. Occorre, in breve, che le presunzioni possano essere confutate senza che sia necessaria la prova di fatti di cui sia eccessivamente difficile da accertare (29). La circostanza che per confutare la presunzione il soggetto passivo sia

(25) Cfr. Corte di giustizia, cause riunite C-80/11 e C-142/11, Mahagében kft, punto 58. (26) Cfr. Corte di giustizia, cause riunite C-80/11 e C-142/11, Mahagében kft, punto 60. (27) Cfr. circ. Agenzia delle entrate n. 14/E del 26 febbraio 2008, che, in relazione all’acquisto di autoveicoli da operatori comunitari, precisa come l’Ufficio dell’Amministra- zione finanziaria verifichi «anche attraverso l’ausilio dello strumento della cooperazione amministrativa tra gli Ufficio dell’Amministrazione finanziaria nazionali e comunitari» che il veicolo sia assoggettabile al regime del margine. (28) Cfr. Corte di giustizia, cause riunite C-80/11 e C-142/11, Mahagében kft, punti 62 e 65. (29) Cfr. Conclusioni dell’avvocato generale Poiares Maduro presentate per la causa C-384/04, Federation of Techonological Industries, punto 29. PARTE SECONDA 609 tenuto ad acquisire elementi di prova che risultano estremamente difficile da ottenere, mette di fatto il soggetto passivo nella condizione di non essere in grado di fornire la prova contraria. E ciò si rivela incompatibile con il diritto dell’Unione per essere pregiudicato il principio di proporzionalità (30).

dott. FABIO MENTI Università di Parma

(30) Cfr. Corte di giustizia, causa C-286/94, Moleinheide BVBA, punto 52; Id., causa C-343/96, Dilexport, punto 48; conclusioni dell’avvocato generale Poiares Maduro presen- tate per la causa C-435/03, British American Tabacco International Ltd, punto 17. L’opponibilità all’Agenzia delle entrate della cessione del credito iva trimestrale (*) Il credito iva trimestrale chiesto a rimborso è perfettamente sim- metrico al credito chiesto a rimborso in sede di dichiarazione annuale e, di conseguenza, può essere ceduto a terzi con le modalità previste dall’art. 69 del r.d. n. 2440 del 1923, con effetto nei confronti del- l’Amministrazione finanziaria quale debitore ceduto; deve pertanto escludersi che sia liberatorio per l’Agenzia delle entrate il pagamento effettuato al creditore cedente.

App. Venezia, 27 maggio 2013, n. 844.

(Omissis). – Svolgimento del processo. – Con atto di citazione no- tificato il 13 giugno 2005 A. F. s.p.a., premesso che F. di M. s.p.a. il 5 ottobre 2001 le aveva ceduto un credito pari ad euro 349.313,37 nei confronti del Ministero delle finanze, che si trattava di credito matura- to per eccedenze iva relative al terzo trimestre 2001, che la domanda di rimborso era stata presentata all’Ufficio iva di Vicenza il 4 ottobre 2001, che la cessione era stata perfezionata con atto notarile il 28 gen- naio 2002, notificato al Ministero delle finanze il 19 febbraio 2002, che aveva versato il prezzo concordato a F. M. s.p.a., che l’ammini- strazione il 1o maggio 2002 aveva comunicato di avere effettuato il pagamento direttamente al cedente, che era stato denunciato l’erroneo pagamento senza alcun effetto, citata l’Agenzia delle entrate, chiedeva che, atteso l’erroneo pagamento, la stessa fosse condannata a pagare la somma dovuta di euro 349.313,37. Ritualmente citata si costituiva l’Agenzia delle entrate eccependo in via preliminare il difetto di giurisdizione dell’adito Giudice, chie- dendo l’estensione del contraddittorio a F. M. s.p.a. e, nel merito, af- fermando che la domanda era infondata. Con sentenza n. 436 del 2008 dell’1 ottobre 2007 il Tribunale di Venezia, respinta l’eccezione relati- va al difetto di giurisdizione del Tribunale, per essere competente a decidere il caso la Commissione Tributaria Provinciale, posto che il contenzioso non investiva il rapporto tributario, ma solo il problema della cedibilità del credito, respinta la richiesta di chiamata del terzo, rilevato che la difesa della convenuta, secondo cui il credito trimestra- le iva non è cedibile in quanto strettamente personale, non aveva alcun sostegno normativo, che la dichiarazione iva è annuale e solo il rim- borso varia, accoglieva la domanda e compensava le spese. Con atto di citazione 6 marzo 2008 l’Agenzia delle entrate impugna- va la decisione, chiedendone la riforma per i motivi di seguito indicati. Lamentava che erroneamente il Tribunale aveva omesso l’integra- zione del contraddittorio nei confronti di F. M. s.p.a. Si trattava di in- tegrazione necessaria del contraddittorio, in quanto la questione in di- scussione riguardava la cessione di un credito verso la P.A. PARTE SECONDA 611

Lamentava il difetto di giurisdizione già eccepito e non considera- to per le ragioni già evidenziate, anche perché la giurisdizione tributa- ria rimaneva competente per ogni questione riguardasse il diritto sog- gettivo al rimborso di un tributo. Nel merito, rilevava che vi era normativa specifica in tema di ces- sione crediti iva, ex art. 5, comma 4-ter, d.l. n. 70 del 14 marzo 1988 che non lo consentiva per i crediti iva trimestrali. Non solo, ma ex art. 38-bis,11o comma, d.p.r. n. 633 del 1972, il rimborso di crediti iva trimestrali aveva particolare disciplina. In sintesi, perciò, la cessione del credito iva sarebbe possibile solo a rapporto tributario esaurito, quindi per i crediti annuali. Ritualmente citata si costituiva A. F. s.p.a. contestando le affer- mazioni dell’appellante e, in particolare, rilevando come la giurispru- denza del Supremo Collegio avesse sempre respinto la questione di giurisdizione sollevata dall’Agenzia delle entrate, come la richiesta di integrazione del contraddittorio fosse infondata in quanto la richiesta era stata formulata tardivamente, cioè oltre il termine di cui all’art. 167 c.p.c., che in ogni caso non vi erano ragioni per estendere il con- traddittorio al terzo, che il divieto di cessione non poteva essere fatto risalire alla formulazione dell’art. 5, comma 4-ter, del d.l. 14 marzo 1988, n. 70, che le circolari amministrative in materia non avevano certo valore, chiedeva che la sentenza venisse confermata. La causa veniva trattenuta in decisione sulle conclusioni delle par- ti all’udienza del 4 marzo 2013.

Motivi della decisione. – L’eccezione relativa la difetto di giuri- sdizione dell’adito Giudice è palesemente infondata, posto che la que- stione dedotta in giudizio non attiene all’esistenza del rapporto tributa- rio, ma solo al profilo civilistico della cessione. Infatti, come notoria- mente e ripetutamente affermato dalla giurisprudenza ... la domanda diretta a conseguire la restituzione di somme versate a titolo di iva, una volta che l’amministrazione abbia esplicitamente od implicitamen- te rifiutato il rimborso, rientra nella giurisdizione delle commissioni tributarie, ai sensi degli artt.1e16deld.p.r. 26 ottobre 1972, n. 636, anche quando sia proposta, anziché dal contribuente, dal terzo resosi cessionario del relativo credito (in forza di atto debitamente notificato all’ufficio), considerando che tale cessione importa il subingresso di quel terzo nella posizione del contribuente, e tenendo altresì conto della attitudine della controversia a porre questioni inerenti al rap- porto tributario, da definirsi con autorità di giudicato anche in con- traddittorio del contribuente (cfr. Cass., sez. un., 19 marzo 1990, n. 2281; Cass., sez. un., 4 giugno 2002, n. 8090; Cass., sez. un., ord. 19 novembre 2007, n. 23835; Cass., sez. un., 17 aprile 2009, n. 9142). Altrettanto infondata è la doglianza relativa alla mancata integra- zione del contraddittorio. In primo luogo vale ricordare che la richiesta veniva tardivamente formulata ex art. 167 c.p.c. ed in secondo luogo che, reiterata nella forma della richiesta ex art. 107 c.p.c., ne difettavano i presupposti. 612 DIRITTO E PRATICA TRIBUTARIA N. 4/2014

È noto infatti che la chiamata del terzo per ordine del Giudice, possibile, ex artt. 270 e 271 c.p.c., in ogni momento del giudizio di primo grado (cfr. Cass., 22 giugno 1995, n. 7083; Cass., 5 settembre 2008, n. 22419 in tema di insindacabilità del relativo potere da parte del Giudice d’Appello), richiede una valutazione positiva sull’opportu- nità di estendere il contraddittorio ad un soggetto terzo cui si ritenga comune la lite, sempre che non vi sia un’ipotesi di litisconsorzio so- stanziale e sempre che la chiamata non serva a superare le decadenze imputate alle parti (cfr., fra le tante, Cass., 19 gennaio 2004, n. 707 secondo cui ... l’intervento iussu iudicis, rispondendo all’interesse su- periore della giustizia ad attuare l’economia dei giudizi e ad evitare i rischi di giudicati contraddittori – come tale di ordine pubblico e tra- scendente quello delle stesse parti originarie del giudizio o di terzi – ben può essere disposto (sulla base di una valutazione che costituisce espressione di un potere discrezionale riservato al giudice del primo grado, il cui esercizio non è suscettibile di sindacato nelle fasi succes- sive, né, in particolare, in sede di legittimità) anche nel caso in cui, di fronte a difese del convenuto dirette a far accertare la propria estra- neità al rapporto controverso, il giudice ritenga di dover indurre od autorizzare chi agisce ad estendere la propria domanda nei confronti del terzo indicato come titolare del rapporto medesimo. Sul punto appare concorde anche la visione dottrinale, la cui rico- struzione della fattispecie privilegia esemplificativamente le figure sin- tomatiche di riferimento ricordando, ad esempio, il caso della connes- sione per identità degli elementi oggettivi del petitum o per alternativi- tà (contestazione della titolarità passiva del rapporto, stante il rischio che a seguito della trattazione separata delle controversie l’attore risul- ti soccombente nei confronti del primo e del secondo convenuto, sia in ipotesi di contestazione della titolarità attiva del rapporto, stante il ri- schio opposto di una doppia soccombenza del convenuto). Oppure la connessione per pregiudizialità, perché al rapporto dedotto in giudizio è pregiudiziale altro rapporto di cui è titolare il terzo (ad esempio il caso in cui il creditore agisce contro il fideiussore in quanto al rappor- to creditore/fideiussore è pregiudiziale il rapporto creditore/debitore principale) o perché il terzo è titolare di un rapporto giuridicamente dipendente da quello oggetto del processo originario, oppure ancora perché si ravvisa dal contraddittorio la possibilità che il terzo estraneo venga ad essere coinvolto dagli effetti riflessi del giudicato inter alios in seguito ai comportamenti maliziosi dei litiganti. È pacifico nell’opinione, anche dottrinaria, che la chiamata del terzo amplia il limite soggettivo del giudizio, senza che ciò determini l’estensione automatica delle domande formulate, essendo necessaria la formulazione di una specifica domanda. Tutto questo per rilevare che come correttamente affermato dal Tribunale non è stata formulata alcuna domanda nei confronti del ter- zo (Fallimento F. di M.), né è stata indicata la ragione per cui la ri- chiesta di accertamento della validità della cessione del credito iva in- frannuale abbia la necessità di essere esaminata nel contraddittorio PARTE SECONDA 613

(anche) con il debitore ceduto. Ragione che non viene evocata nem- meno sotto il profilo della previsione di cui all’art. 102 del codice di rito. Non ignora questa Corte che il giudice di legittimità, al cui inse- gnamento si ritiene di dovere aderire, con diffusa motivazione (cfr. Cass., 21 ottobre 2009, n. 22278) ha precisato che, nell’ipotesi di ces- sione del credito, sussiste il litisconsorzio necessario con il cedente se il debitore convenuto contesti la validità o l’esistenza della cessione e chieda, in via riconvenzionale, l’accertamento del modo di essere della titolarità attiva del rapporto. In tal caso, peraltro, il litisconsorzio è necessario in riferimento alla domanda riconvenzionale. Ugualmente ... nella controversia tra debitore ceduto e cessionario allorché il debito- re chieda una pronuncia diretta a stabilire quale sia, tra il cessiona- rio e il cedente, l’effettivo e unico titolare del credito (cfr. Cass. 2 febbraio 2001, n. 1510 e Cass. n. 1145 del 1980, secondo cui il ceden- te è litisconsorte necessario nella controversia tra debitore ceduto e cessionario se il debitore contesta la sostituzione del creditore origi- nario e chiede una pronuncia sulla titolarità del credito con effetti vincolanti nei confronti di questi). Diversamente, (cfr. Cass. 18 luglio 2006, n. 16383) per effetto del negozio di cessione del credito, notificato al debitore ceduto, il diritto di credito trasmigra al cessionario con tutte le azioni dirette ad otte- nerne la realizzazione, e nell’ipotesi di esercizio di tali azioni da parte del cessionario contro il debitore ceduto non è necessaria la parteci- pazione al processo del cedente. In sintesi, quindi, non vi è spazio nemmeno per un ampliamento del perimetro soggettivo del giudizio attraverso le forme del litisconsorzio necessario, poiché manca sia una domanda riconvenzionale sia una diversa richiesta, comunque volta ad accertare il modo di essere della titolarità attiva del rapporto olava- lidità della cessione sotto il profilo della regolare sostituzione del cre- ditore (pronuncia sulla titolarità del credito). L’amministrazione si li- mita, con l’atto di impugnazione, ad affermare che il credito non è ce- dibile ex art. 1260 c.c. e conclude per il rigetto della domanda, omet- tendo di formulare la sua opposizione anche solo in via di eccezione (riconvenzionale), ovvero allegando un fatto estintivo o impeditivo del diritto fatto valere idoneo ad ampliare l’oggetto del giudizio ed a pro- spettare, nell’efficacia del giudicato, la partecipazione necessaria del cedente. Ciò premesso, nel merito l’Agenzia delle entrate sostiene che il credito iva derivante da dichiarazione infrannuale non è cedibile, in quanto vi osterebbe una specifica norma, ovvero l’art. 5, comma 4-ter, d.l. n. 70 del 1988, secondo la quale ... agli effetti dell’articolo 38-bis del d.p.r. 26 ottobre 1972, n. 633, in caso di cessione del credito ri- sultante dalla dichiarazione annuale deve intendersi che l’ufficio del- l’imposta sul valore aggiunto possa ripetere anche dal cessionario le somme rimborsate, salvo che questi non presti la garanzia prevista nel secondo comma del suddetto articolo fino a quando l’accertamento sia diventato definitivo. Restano ferme le disposizioni relative al con- 614 DIRITTO E PRATICA TRIBUTARIA N. 4/2014 trollo delle dichiarazioni, delle relative rettifiche e all’irrogazione del- le sanzioni nei confronti del cedente il credito. Alla luce di tale dispo- sizione l’Amministrazione finanziaria con diverse circolari (da ultimo 13 febbraio 2006, n. 6/E punto 12.4) ha precisato che ... l’articolo 5, comma 4-ter del d.l. 14 marzo 1988, n. 70, convertito, con modifica- zioni, dalla l. 13 maggio 1988, n. 154, dispone che in caso di cessione del credito risultante dalla dichiarazione annuale deve intendersi che l’ufficio ... possa ripetere anche dal cessionario le somme rimborsate. Da tale disposto normativo si desume implicitamente che il credito re- lativo ai rimborsi infrannuali non possa essere ceduto, non essendo configurabile alcun limite alla possibilità di ripetere le somme cedute. Tale interpretazione non appare punto condivisibile per vari ordini di motivi. Occorre ricordare in premessa che, a mente dell’art. 17 del d.p.r. 26 ottobre 1972, n. 633 (istituzione e disciplina dell’iva), il contri- buente, quando dalla dichiarazione annuale dell’imposta emerga un ammontare detraibile, ha diritto al rimborso come conseguenza del di- ritto di detrazione. In alternativa, sempre secondo il disposto dell’art. 17, 1o comma, alla compensazione, cioè al computo in diminuzione del debito relativo all’imposta sulle operazioni attive. La dottrina tributaria ha osservato che una delle differenze geneti- che che distingue le imposte sul reddito dall’iva va individuata nel c.d. momento impositivo, cioè, il momento in cui l’imposta diviene esigi- bile a favore dell’Erario, poiché l’imposta sul reddito non è dovuta se non allo scadere del termine della dichiarazione periodica, normativa- mente prevista con cadenza annuale, mentre per l’iva l’esigibilità si manifesta frazionatamente, operazione per operazione, secondo i prin- cipi di effettuazione previsti dall’art. 6 del d.p.r. n. 633 del 1972. Va, poi, sottolineato che il diritto di detrazione è agganciato all’esigibilità delle (singole) operazioni, sicché esso nasce se e nella misura in cui sorga (frazionatamente) l’esigibilità dell’imposta a carico del cedente o del prestatore. Ancora è stato osservato che la debenza frazionata dell’imposta trova ulteriore conferma nella norma comunitaria dove (cfr. art. 22, par. 4, lett. a, della Direttiva del Consiglio 17 maggio 1977, n. 77/ 388/CEE) si prevede che ogni soggetto passivo deve presentare una dichiarazione entro un termine che dovrà essere stabilito dagli Stati membri. Tale termine non dovrà superare di due mesi la scadenza di ogni periodo fiscale. Il periodo fiscale può essere fissato dagli Stati membri in un mese, due mesi, ovvero un trimestre. Tuttavia gli Stati membri possono fissar periodi diversi, comunque non superiori ad un anno. Se, dunque, il debito nasce in sede infrannuale e se il diritto di credito è contestuale al debito, non vi è ragione per negare la giuridica esistenza del credito maturato dal soggetto passivo nel periodo trime- strale, essendo la sua natura perfettamente identica e simmetrica ri- spetto al credito azionato dalla dichiarazione annuale presentata ai fini del tributo. Quindi, il concetto di credito iva «risultante» dalla dichia- PARTE SECONDA 615 razione annuale, non va riferito soltanto alle somme chieste a rimborso con la dichiarazione stessa, ma può essere esteso agli importi richiesti a rimborso in sede trimestrale, ai sensi del 2o comma dell’art. 38-bis del d.p.r. n. 633 del 1972, sotto la condizione che il credito, rimborsa- bile infrannualmente, trovi successiva conferma nella dichiarazione an- nuale. Non si può negare, in effetti, che la dichiarazione annuale, in quanto rappresentazione riepilogativa delle operazioni eseguite nell’an- no solare precedente, evidenzi non solo la eccedenza, appunto, in sede annuale ma, se del caso, anche le eccedenze, cioè, i crediti e, quindi, anche le somme ammesse al rimborso infrannuale. Questa considera- zione è confermata, tra l’altro, dall’art. 10 del d.l. n. 269 del 2003 ove, in riferimento all’attestazione del credito nei confronti dell’Erario, non si pone la condizione che esso risulti da una specifica dichiarazio- ne annuale. Ne discende che entrambi i crediti (trimestrale e annuale) derivano da operazioni contenute nella dichiarazione annuale iva e de- terminano un’eccedenza di imposta rimborsabile ai sensi dell’art. 30 del d.p.r. n. 633 del 1972 che, in quanto tale, costituisce un credito certo, liquido ed esigibile, e non una mera aspettativa di rimborso. Il credito infrannuale chiesto a rimborso è, così, perfettamente simmetri- co al credito chiesto a rimborso in sede di dichiarazione annuale e, di conseguenza, legittimamente cedibile, sempre che siano adempiute le formalità previste dall’art. 69 del r.d. n. 2440 del 1923. Fin qui l’espressione dottrinale degli studi tributari non consente di ritenere condivisibile la posizione dell’amministrazione. Ma egual- mente può essere detto se l’analisi voglia essere fatta sul più stretto piano positivo. Intanto giova ricordare che i crediti tributari sono tutti ordinaria- mente cedibili (cfr., ad esempio, art. 43-bis d.p.r. n. 602 del 1973 in tema di cessione di crediti derivanti da dichiarazione dei redditi, anche qui con garanzia del cessionario). Con il che può essere subito detto che la norma citata (art. 5, comma 4-ter, d.l. n. 70 del 1998) non con- sente un’operazione ermeneutica come quella fatta propria dall’ammi- nistrazione attraverso le diverse circolari, in quanto l’utilizzazione del- lo strumento esegetico più tradizionale (ubi lex voluit dixit, ubi noluit tacuit) appare al tempo stesso eccessivamente semplicistica ed arbitra- ria. Infatti, la norma del citato art. 5 non vieta la cessione dei crediti iva infrannuali, ma stabilisce che nell’ipotesi di cessione di crediti de- rivanti dalla dichiarazione annuale, l’Ufficio ha facoltà di ripetere il pagamento anche dal cessionario ove questi non abbia prestato la ga- ranzia prevista, fatte salve tutte le norme in tema di verifiche e sanzio- ni. Quindi, si limita semplicemente a prendere in esame uno dei possi- bili casi di cessione, ampliando la garanzia della P.A. rispetto a quanto previsto dal codice civile agli artt. 1266 e 1267 e consentendo all’Uf- ficio di agire anche verso il cessionario. Null’altro. Ancora, la norma fa riferimento alla previsione dell’art. 38-bis d.p.r. n. 633 del 1972 (istituzione e disciplina iva) secondo cui il con- 616 DIRITTO E PRATICA TRIBUTARIA N. 4/2014 tribuente può chiedere il rimborso delle somme in eccedenza risultanti dalla dichiarazione annuale (art. 30), provvedendo ad un’opportuna ga- ranzia tra quelle descritte nella norma stessa, ma può anche ottenere il rimborso di eccedenze maturate in relazione a periodi inferiori all’an- no, sempre previa prestazione delle garanzie indicate, ove si trovi nel- le condizioni di cui alle lettere a), b) e) o, con una particolare precisa- zione, c), dell’art. 30, 3o comma, già citato. Oppure, può anche ottene- re il rimborso per eccedenze risultanti da periodi superiori all’anno senza alcuna garanzia, ove ricorrano condizioni di serietà nella gestio- ne dell’attività economica attentamente elencate dall’art. 38-bis,7o comma, se si tratti di contribuenti di cui alle lettere a), b)ed) dell’art. 30 più volte citato. Ed allora non solo è possibile optare per liquidazione periodica iva infrannuale (art. 7 d.p.r. 14 ottobre 1999, n. 542), con maggiora- zione di interessi nella misura dalla norma indicata, ma è possibile chiedere anche il rimborso delle eccedenze infrannuali (ancora art. 38- bis d.p.r. n. 602 del 1973 e art. 1 d.p.r. 23 marzo 1998, n. 100), con la conseguenza che il credito maturato diviene disponibile per il contri- buente con la liquidazione e contestualmente cedibile, salve le garan- zie imposte dalla legge o quella generale di cui agli artt. 1266 e 1267 c.c. e fatto salvo, inoltre, il potere di rettifica o accertamento dell’Uf- ficio o le violazioni penali commesse (ancora art. 38-bis d.p.r. n. 633 del 1972). Tutto quanto detto fin qui giova ad escludere anche l’argomento di parte appellante, secondo cui la cessione è possibile solo per i cre- diti a liquidazione annuale, in quanto, solo con il trascorrere dell’anno, si viene a perfezionare l’imposta, ovvero diviene certo quanto dovuto a credito o debito, il che non è vero non solo perché, come ricordato anche dalla dottrina riportata, esiste tutto un complesso meccanismo di liquidazione rimborso per crediti infrannuali, ma poi anche perché, con il termine dell’anno d’imposta, il contribuente deve limitarsi sem- plicemente al conguaglio, proseguendo in continuità nel comportamen- to già tenuto (pagare o chiedere di essere pagato, cfr. art. 30 d.p.r. n. 633 del 1972). Ne viene in conclusione che la posizione dell’Amministrazione fi- nanziaria non è condivisibile, poiché la stessa pretende, illegittima- mente ed attraverso un mero atto interpretativo (circolari), di trarre un divieto di cessione da norme che non lo prevedono, ma che, anzi, nel complesso dell’ordinamento tributario appaiono esegeticamente orien- tate in senso contrario, verso la cessione di ogni tipo di credito. Diver- samente occorrerebbe un divieto esplicito o una norma generale (en- trambi mancanti) che impongano o limitino i diritti di cessione di cre- diti che, una volta maturati, sono nella disponibilità del creditore, fatte salve tutte le garanzie per il debitore ceduto. La natura della controversia giustifica la compensazione delle spe- se. P.Q.M. – La Corte d’Appello di Venezia, Sezione III civile, defi- PARTE SECONDA 617 nitivamente pronunciando nella causa come indicata in epigrafe così provvede: – rigetta l’appello e per l’effetto conferma la sentenza 1o ottobre 2007 del Tribunale di Venezia; – compensa le spese di entrambi i gradi di giudizio. (Omissis).

(*) SOMMARIO: 1. Introduzione. – 2. Brevi osservazioni sulla sussistenza della giurisdizio- ne civile per le controversie riguardanti la cessione del credito di imposta. – 3. Sulla cedibilità del credito iva annuale. – 4. Sulla cedibilità del credito iva trimestrale. – 5. Conclusioni.

1. – Introduzione La sentenza della Corte d’Appello di Venezia del 27 maggio 2013 con- ferma la sentenza di primo grado, emessa dal Tribunale di Venezia in data 19 febbraio 2008, che per prima si era pronunciata sulla dibattuta questione del- l’opponibilità all’Agenzia delle entrate della cessione del credito iva trime- strale. Il caso trattato riguardava, in particolare, una cessione del credito iva tri- mestrale intervenuta tra una società per azioni, successivamente fallita, e una società di factoring. La cessione era stata regolarmente perfezionata con un atto notarile e successivamente notificata al Ministero delle finanze, così come prescritto dall’art. 69 del r.d. n. 2440 del 1923. Nonostante ciò, però, l’Erario aveva pagato direttamente il cedente, poi fallito, anziché la società di factoring cessionaria, con grave danno per que- st’ultima. Di fronte alla richiesta della cessionaria di effettuare nuovamente il rim- borso in suo favore, attesa la notifica al Ministero delle finanze della cessione del credito in oggetto con l’osservanza di tutte le formalità prescritte dalla legge, l’Agenzia eccepiva l’inopponibilità nei confronti dell’Erario dell’inter- venuta cessione poiché essa non aveva ad oggetto un credito iva risultante dalla dichiarazione annuale, bensì un mero credito trimestrale. La cessionaria decideva quindi di citare in giudizio l’Agenzia delle en- trate chiedendo che la stessa fosse condannata a corrisponderle la somma do- vuta, che ammontava ad euro 349.313,37, dato che il precedente rimborso ef- fettuato in favore del cedente non aveva effetto liberatorio. L’Agenzia si costituiva nel giudizio di primo grado eccependo, in via preliminare, il difetto di giurisdizione del giudice adito e sostenendo, nel me- rito, che la domanda della società fosse infondata, sia perché il credito trime- strale iva rappresenterebbe un credito strettamente personale, e pertanto non cedibile, sia perché l’art. 5, comma 4-ter, del d.l. n. 70 del 1988, in combina- to disposto con l’art. 1260 c.c., conterrebbe un implicito divieto alla cessione di tale credito. Tale disposizione, infatti, secondo l’interpretazione dell’Agenzia, legitti- mando l’Erario a ripetere nei confronti del cessionario del credito le somme rimborsate solo se derivanti dalla dichiarazione annuale, impedirebbe di rite- nere valida la cessione del credito iva trimestrale, perlomeno nei confronti dell’Agenzia. 618 DIRITTO E PRATICA TRIBUTARIA N. 4/2014

Con la sentenza n. 436 del 2008, il Tribunale di Venezia, dopo avere re- spinto l’eccezione relativa al difetto di giurisdizione del giudice ordinario, po- sto che il contenzioso non investiva il rapporto tributario, bensì soltanto la questione della cedibilità del credito, ha accolto la domanda della società ces- sionaria rilevando, in primo luogo, l’impossibilità di far discendere dall’art. 5, comma 4-ter, d.l. n. 70 del 1988 un divieto di cessione del credito e affer- mando, inoltre, l’impossibilità di distinguere, ai fini della cedibilità, crediti iva risultanti dalla dichiarazione annuale e crediti iva trimestrali, in quanto anche questi ultimi confluiscono nella dichiarazione annuale. La Corte d’Appello di Venezia, con la sentenza in commento, ha confer- mato tale decisione, ma ha seguito un iter logico e argomentativo più artico- lato, facendo propria, con un sostanziale “copia e incolla”, la tesi della mi- glior dottrina, come si avrà modo di chiarire nel prosieguo.

2. – Brevi osservazioni sulla sussistenza della giurisdizione civile per le con- troversie riguardanti la cessione del credito di imposta

Sebbene il presente commento intenda concentrarsi sulla questione dell’op- ponibilità del credito iva trimestrale all’Agenzia delle entrate, occorre segnalare che la sentenza della Corte d’Appello di Venezia, confermando la sentenza di pri- mo grado, si è pronunciata positivamente anche riguardo alla questione della sus- sistenza della giurisdizione del giudice ordinario sulla controversia de qua. La Corte d’Appello ha infatti ritenuto palesemente infondata l’eccezione relativa al difetto di giurisdizione del giudice ordinario avanzata dall’Agenzia, dato che la questione dedotta in giudizio non attiene all’esistenza del rapporto tributario, bensì al mero profilo civilistico della cessione del credito d’impo- sta e della sua opponibilità all’Amministrazione finanziaria. Nonostante si condivida tale conclusione, si ritiene che la Corte d’Ap- pello abbia peccato di superficialità nel risolvere la questione in poche righe, definendola palesemente infondata e limitandosi a citare una pronuncia di se- gno apparentemente opposto (Cass., sez. un., 19 marzo 1990, n. 2281 (1)), in cui le sezioni unite della Cassazione hanno riconosciuto la sussistenza della giurisdizione del giudice tributario su una controversia avente ad oggetto la domanda proposta dal cessionario di un credito iva a seguito del rifiuto oppo- sto dall’amministrazione all’istanza di rimborso. Sebbene possa comprendersi il ragionamento sottostante alla citazione di tale sentenza (in quel caso è stata affermata la giurisdizione del giudice tribu- tario e non quella del giudice ordinario perché la questione riguardava non la mera cessione del credito e la sua opponibilità, come nella fattispecie in esa- me, bensì la stessa esistenza del diritto al rimborso), non si condivide la scel- ta di fare riferimento a tale pronuncia, senza peraltro alcuna spiegazione. Sicuramente più encomiabile è stato lo sforzo argomentativo del giudice di prime cure, nonostante anche il suo ragionamento presti il fianco ad alcune critiche. Il Tribunale di Venezia è partito dalla considerazione che, non rinvenen- dosi precedenti specifici sul punto, occorra applicare alla fattispecie in esame i principi elaborati dalla giurisprudenza per casi analoghi.

(1) In Giust. civ. Mass. n. 3 del 1990; in Comm. trib. centr., 1990, II, 755; in Rass. imp., 1990, 878; in Boll. trib., 1990, 944 (nota); in Giust. civ., 1990, I, 1203. PARTE SECONDA 619

Al riguardo, il Tribunale ha innanzitutto dichiarato inconferenti i richia- mi giurisprudenziali operati dall’Agenzia (Cass., sez. un., 19 marzo 1990, n. 2281 e Cass., sez. un., 4 giugno 2002, n. 8090 (2), le stesse contraddittoria- mente citate dalla Corte d’Appello a sostegno della sussistenza della giurisdi- zione ordinaria!), in quanto si trattava di pronunce che avevano ad oggetto questioni inerenti ab origine al diritto al rimborso (3), ed ha ritenuto per con- tro dirimente il consolidato orientamento giurisprudenziale formatosi sulla questione della rivalsa iva non dovuta in tutto o in parte. Secondo tale indirizzo rientra nella sfera della giurisdizione ordinaria, e non nell’ambito di quella delle commissioni tributarie, la controversia promos- sa dall’appaltatore di opere pubbliche nei confronti del committente per rival- sa dell’iva sui corrispettivi di appalto, ancorché sia insorta questione (non de- finita in separata sede) circa la corrispondenza tra le somme concretamente ver- sate a titolo di imposta e quelle realmente dovute in relazione alle aliquote in concreto applicabili (...) considerato che la statuizione cui è chiamato il giudi- ce ordinario non investe il rapporto tributario tra contribuente e Amministra- zione finanziaria, ma si esaurisce in un accertamento incidentale nell’ambito del rapporto (strettamente privatistico) fra soggetto attivo e soggetto passivo di det- ta rivalsa (Cass., sez. un., 22 maggio 1998, n. 5140 (4), negli stessi termini si leggano anche Cass., 15 settembre 2004, n. 18577 (5); Cass., sez. un., 28 otto- bre 1995, n. 11313 (6); Cass., sez. un., 14 dicembre 1992, n. 13199 (7)). Nei precedenti sulla rivalsa iva le questioni trattate erano senz’altro di natura tributaria, ma è stata riconosciuta la giurisdizione ordinaria perché la controversia non riguardava direttamente il rapporto tributario. Il Tribunale di Venezia ha ritenuto che la situazione in esame sia analo- ga dato che, nonostante la questione della cedibilità o meno del credito per rimborso iva trimestrale abbia carattere sostanzialmente tributario, ciò che si richiede è una pronuncia sul rapporto privatistico insito nel contratto di ces- sione del credito e sugli obblighi discesi in capo all’amministrazione per ef- fetto della tempestiva notifica dell’avvenuta cessione. Come rilevato nei primi commenti (8), però, anche i precedenti richia- mati dal Tribunale non sembrano particolarmente rilevanti nella fattispecie in esame poiché in tutte le ricordate ipotesi in cui le sezioni unite della Cassa- zione hanno escluso la giurisdizione delle Commissioni tributarie la contro- versia era insorta tra privati, mentre nel caso di specie essa ha coinvolto il cessionario del credito iva e l’Amministrazione finanziaria. Si è quindi osservato in dottrina (9) che il Tribunale avrebbe potuto trar- re spunti più utili per la risoluzione della questione dalla sentenza delle sezio- ni unite 29 agosto 1990, n. 8979 (10), in cui la Suprema Corte ha chiarito

(2) In Giust. civ. Mass., 2002, 962; in Foro it., 2002, I, 1948. (3) La Suprema Corte ha affermato che è devoluta alla giurisdizione delle Commis- sioni tributarie la controversia concernente il rimborso del credito iva anche in altre occa- sioni. Si v. inter alia Cass., sez. un., 14 maggio 2001, n. 207, in Giur. it., 2001, 1522, e Cass., sez. un., 30 luglio 1990, n. 7638, in Tributi, 1991, 5, 129. (4) In Giust. civ. Mass., 1998, 1113. (5) In Giust. civ. Mass., 2004, 9. (6) In Giur. it., 1996, I, 1, 449. (7) In Giust. civ. Mass., 1992, 12. (8) Nota redazionale, in Giust. civ., 2009, 2845. (9) Ibid. (10) In Giust. civ., 1990, I, 2822. 620 DIRITTO E PRATICA TRIBUTARIA N. 4/2014 che Nel caso in cui sia oggetto di sequestro conservativo un credito per rim- borso di iva e si instauri, davanti al giudice ordinario, in difetto della dichia- razione prevista dall’art. 547 c.p.c., procedimento per l’accertamento del re- lativo debito dell’amministrazione, la circostanza che quest’ultima provveda in corso di causa a rendere positivamente detta dichiarazione comporta che quel giudice deve declinare la propria giurisdizione, in favore delle commis- sioni tributarie, soltanto se neghi idoneità alla dichiarazione medesima a co- stituire riconoscimento del debito (e quindi a determinare cessazione della materia del contendere sulla domanda di accertamento del debito del terzo) atteso che, in caso contrario, non insorge necessità di indagare e statuire sul rapporto tributario. Da tale sentenza si può infatti ricavare il principio per cui sussiste la giurisdizione del giudice ordinario ogniqualvolta il diritto di credito del con- tribuente sia certo e venga riconosciuto dall’amministrazione. Un precedente ancora più significativo e senz’altro dirimente ai fini del riconoscimento della giurisdizione ordinaria sulla controversia de qua è rap- presentato, però, dalla sentenza delle sezioni unite della Cassazione 19 no- vembre 2007, n. 23835 (11), in cui si è chiaramente statuito che La giurisdi- zione tributaria esclusiva sussiste in tutte le controversie riguardanti il rim- borso di tributi, salvo che il relativo diritto non sia stato riconosciuto formal- mente dall’ente impositore, ciò che si è per l’appunto verificato nel caso di specie, dove l’amministrazione aveva addirittura già effettuato il rimborso del credito, anche se al soggetto «sbagliato». Come si vede, la sentenza citata ha preceduto solo di pochi mesi la pro- nuncia del Tribunale di Venezia, per cui è possibile che il giudice di prime cure non abbia materialmente avuto la possibilità di prenderne conoscenza. Tale esimente non potrebbe però essere invocata dalla Corte d’Appello di Venezia, che avrebbe fatto senz’altro meglio a citare questo precedente an- ziché una sentenza in cui è stata riconosciuta la sussistenza della giurisdizio- ne tributaria. Passiamo comunque ora ad esaminare le questioni della cedibilità del credito iva e dell’opponibilità della cessione all’Amministrazione finanziaria, che rappresentano l’aspetto più rilevante della sentenza in commento.

3. – Sulla cedibilità del credito iva annuale

Nonostante la cedibilità del credito iva annuale sia ormai pacifica, va ri- cordato che in passato l’Amministrazione finanziaria, in mancanza di una normativa specifica sul punto, riteneva che neanche tale credito potesse esse- re oggetto di cessione (12).

(11) In Diritto e pratica delle società, 2008, 6, 89. (12) V. le circolari compartimentali del Lazio n. 86 del 31 agosto 1982 e n. 47 dell’8 maggio 1985. In quest’ultima si afferma testualmente che: Giova, infine, ricordare che, fino a nuove disposizioni, vige ancora il divieto di accettare la cessione del credito iva fatta dal contribuente a favore di terzi (di solito banche), come da Circ. Comp.le n. 86 del 31 agosto 1982. In realtà nella circolare n. 86 del 1982 l’amministrazione aveva prefe- rito non esprimersi con riguardo alla legittimità della cessione del credito iva, osservando come fosse opportuno attendere l’esito della vertenza giudiziaria pendente nella controver- sa materia. PARTE SECONDA 621

Questa posizione è stato però successivamente oggetto di un revirement imposto dall’entrata in vigore del d.l. 14 marzo 1988, n. 70, convertito nella l. 13 maggio 1988, n. 154 (13), che ha disciplinato le conseguenze della ces- sione del credito iva risultante dalla dichiarazione annuale, dandone pertanto per scontata la legittimità (14). L’articolo 5, comma 4-ter del citato decreto legge dispone, in particola- re, che in caso di cessione del credito risultante dalla dichiarazione annuale deve intendersi che l’ufficio dell’imposta sul valore aggiunto possa ripetere anche dal cessionario le somme rimborsate a meno che quest’ultimo non pre- sti la garanzia prevista dall’art. 38-bis,2o comma, del d.p.r. n. 633 del 1972 fino a quando l’accertamento sia diventato definitivo. A seguito dell’emanazione di tale disposizione, l’amministrazione, a par- tire dalla circolare dell’Ispettorato compartimentale delle tasse e delle imposte indirette sugli affari per il Lazio n. 223 del 28 ottobre 1988 (15), ha quindi dovuto riconoscere la legittimità della cessione del credito iva annuale e la sua opponibilità all’Erario laddove vengano osservate le modalità previste dall’art. 69, r.d. n. 2440 del 1923, disposizione che richiede che le cessioni di

(13) In realtà, l’Amministrazione finanziaria aveva iniziato a riconsiderare la sua pre- cedente posizione già prima del suddetto intervento legislativo. Come si ricorda nella circo- lare n. 223 del 1988 dell’Ispettorato compartimentale delle tasse e delle imposte indirette sugli affari per il Lazio, infatti, già nella riunione degli Ispettori compartimentali tasse dell’8-10 aprile 1986 si ritenne, in linea di principio, ammissibile l’istituto della cessione dei crediti iva, in quanto non pregiudizievole per l’Erario e, a tal fine, si concordò di in- terpellare in merito la Ragioneria generale dello Stato. Nella successiva riunione del 25-27 febbraio 1987, venne stabilito, attesi i risvolti civilistici della questione, di acquisire anche il parere della Avvocatura generale dello Stato. L’emanazione dell’art. 5, comma 4-ter po- se definitivamente fine a tale questione, lasciando però aperta quella relativa alla cedibilità dei crediti iva infrannuali, su cui v. infra. (14) Si segnala che invece per i crediti relativi alle imposte dirette la cessione è stata disciplinata dal legislatore a partire dal 1995, quando l’art. 3, 94o comma, della l. 28 di- cembre 1995, n. 549 ha introdotto nel d.p.r. n. 602 del 1973 l’art. 43-bis, ai sensi del quale Le disposizioni degli articoli 69 e 70 del r.d. 18 novembre 1923, n. 2440, si applicano an- che alle cessioni dei crediti chiesti a rimborso nella dichiarazione dei redditi. Il cessiona- rio non può cedere il credito oggetto della cessione. Gli interessi di cui al 1o comma del- l’articolo 44 sono dovuti al cessionario. Ferma restando nei confronti del contribuente che cede i crediti di cui al 1o comma l’applicazione delle disposizioni dell’articolo 43, il ces- sionario risponde in solido con il contribuente fino a concorrenza delle somme indebita- mente rimborsate, a condizione che gli siano notificati gli atti con i quali l’ufficio delle en- trate o il centro di servizio procedono al recupero delle somme stesse. L’atto di cessione deve essere notificato all’ufficio delle entrate o al centro di servizio nonché al concessio- nario del servizio della riscossione presso il quale è tenuto il conto fiscale di cui all’arti- colo 78, commi 28o e ss., della l. 30 dicembre 1991, n. 413. (15) Tale circolare, seguita alla riunione degli Ispettori compartimentali delle tasse e imposte indirette sugli affari tenutasi dal 28 settembre al 1o ottobre 1988, ha disciplinato anche le modalità della cessione del credito iva annuale, poi precisate nella successiva cir- colare del medesimo Ispettorato n. 71/4/362 del 30 marzo 1989. Ulteriori precisazioni, con particolare riferimento ai necessari controlli che devono essere effettuati dall’Amministra- zione finanziaria, si sono avute con le circolari del Ministero delle finanze n. 19-VI-12- 1319 dell’11 agosto 1993, n. 192/E dell’8 luglio 1997, n. 84/E del 12 marzo 1998 e n. 211/E del 3 settembre 1998 e con la risoluzione dell’Agenzia delle entrate n. 279/E del 12 agosto 2002. Per l’evoluzione della prassi in materia, v. anche R. Portale, Imposta sul valo- re aggiunto, Milano, 2012, 1189 e 1190 e D. Terenzi, La cessione del credito iva,inFisco, 2004, 4844. 622 DIRITTO E PRATICA TRIBUTARIA N. 4/2014 crediti verso l’amministrazione risultino da atto pubblico o scrittura privata autenticata e siano notificate all’amministrazione centrale o all’ente, ufficio o funzionario cui spetta ordinare il pagamento, in deroga quindi a quanto dispo- sto dall’art. 1264 c.c., per il quale invece la cessione ha effetto nei confronti del debitore ceduto solo quando questi l’abbia accettata (16). La cedibilità del credito iva annuale ha poi trovato conferma anche nella giurisprudenza di legittimità, la quale ha riconosciuto che La cessione del credito iva è pacificamente ammessa dall’ordinamento al pari della cessione di qualsiasi altro credito, chiarendo altresì che in caso di cessione di un cre- dito iva, il cessionario è attivamente legittimato quanto alla procedura di rimborso e passivamente legittimato quanto alle restituzioni, mentre gli sono opponibili gli atti dell’ufficio per quanto attiene al controllo delle dichiara- zioni, alle rettifiche ed alle sanzioni irrogate al cedente (Cass., 12 ottobre 2001, n. 12455) (17).

4. – Sulla cedibilità del credito iva trimestrale Sin dalla circolare compartimentale n. 223 del 1988, l’amministrazione ha però ritenuto che potessero costituire oggetto di cessione esclusivamente i crediti risultanti dalla dichiarazione annuale iva, escludendo implicitamente la cedibilità dei crediti iva riferiti a periodi inferiori all’anno (18). L’Agenzia delle entrate si è in seguito espressa sulla cedibilità del credi- to iva trimestrale con la circolare n. 6 del 13 febbraio 2006, in cui ha chiarito che per credito risultante dalla dichiarazione annuale (di cui all’art. 5, com- ma 4-ter del d.l. n. 70 del 1988, n.d.A.) si deve intendere quello indicato nel- la dichiarazione annuale iva e, pertanto, solo tali crediti – e non anche quelli infrannuali chiesti a rimborso – sono suscettibili di cessione. A distanza di meno di due mesi, con la risoluzione 4 aprile 2006, n. 49, l’Agenzia si è pronunciata nuovamente sulla questione per rispondere ad un’istanza di interpello con cui il contribuente affermava che la cessione dei crediti infrannuali chiesti a rimborso dovesse ritenersi legittima stante il silen- zio della legge istitutiva dell’iva al riguardo.

(16) Sul fatto che l’osservanza delle modalità di cui all’art. 69 del r.d. n. 2440 del 1923 sia necessaria per potere opporre all’amministrazione la cessione del credito, v. Cass., sez. I civ., 23 febbraio 1984, n. 1286, in Giust. civ. Mass., 1984, 2, dove si afferma che La cessione di un credito vantato da un privato nei confronti della p.a., posta in essere me- diante scrittura privata priva dell’autentica notarile, prevista dall’art. 69, 3o comma, del r.d. 18 novembre 1923, n. 2440 (sulla contabilità generale dello Stato), pur essendo valida nei rapporti fra cedente e cessionario, è inefficace nei confronti della p.a. debitrice ceduta, ancorché le sia stata notificata, senza alcuna possibilità di sanare tale difetto di autentica- zione con un successivo accertamento giudiziale di autenticità delle firme stesse, o attra- verso un riconoscimento da parte della p.a., ancorché formato per iscritto, tenuto conto che l’indicata norma esige inderogabilmente che la cessione medesima sia ab origine con- sacrata in un documento munito del suddetto requisito. (17) In Diritto e pratica delle società, n. 8 del 2002, con nota di A. Stesuri, Cessio- ne del credito d’imposta e legittimazione del cessionario. (18) Si v. anche la circolare dell’ABI 22 settembre 1993, n. 60, in cui si osserva che Per quanto concerne i crediti oggetto di cessione è stato, in particolare, evidenziato che possono essere ceduti esclusivamente i crediti risultanti dalla dichiarazione annuale iva, ri- chiesti a rimborso e, pertanto, non potrebbero costituire oggetto di cessione i rimborsi in- frannuali. PARTE SECONDA 623

Tale tesi, secondo l’istante, avrebbe trovato conferma nella possibilità per gli Uffici dell’Agenzia delle entrate di rilasciare anche in relazione ai cre- diti infrannuali l’attestazione di cui all’art. 10 del d.l. 30 settembre 2003, n. 269, convertito, con modificazioni, dalla l. 24 novembre 2003, n. 326 (19). L’Agenzia ha però risposto con un parere negativo, richiamando quanto affermato nella circolare n. 6 citata e specificando che la circostanza che sia possibile rilasciare l’attestazione dei crediti tributari anche per i crediti iva tri- mestrali non può comunque consentire una diversa soluzione. In relazione a quest’ultimo profilo, la risoluzione chiarisce che, nono- stante la suddetta attestazione consenta agli istituti di credito che hanno sotto- scritto con l’Agenzia specifiche convenzioni di anticipare ai creditori il 90 per cento del valore del credito (20), l’istituto bancario non si configura in ta- le ipotesi come cessionario del credito medesimo. La norma richiamata, infat- ti, rappresenterebbe solo uno strumento per facilitare l’accesso al credito a tutte le imprese in attesa di rimborsi periodici iva in conto fiscale. Alla luce di tali considerazioni, l’Agenzia nella citata risoluzione ha con- fermato la sua precedente interpretazione negando la cedibilità del credito iva infrannuale. L’interpretazione dell’Agenzia è stata però contestata da autorevole dot- trina (21) secondo la quale la posizione espressa, seppure formalmente com- prensibile, appare ingiustificata, considerando la perfetta simmetria che si manifesta tra il credito trimestrale e quello annuale, quando il primo trovi conferma nella dichiarazione annuale. L’iter argomentativo seguito per giungere a tale conclusione, che come si è detto è stato ampiamente condiviso dalla Corte d’Appello di Venezia nel- la sentenza in commento, prende le mosse dalla considerazione che l’iva si distingue dalle imposte sul reddito per ciò che concerne il momento impositi- vo, vale a dire il momento a partire dal quale l’imposta diventa esigibile da parte dell’Amministrazione finanziaria. Mentre l’imposta sul reddito, infatti, è dovuta solo allo scadere del termi- ne per la dichiarazione periodica, prevista dalla legge con cadenza annuale, per l’iva l’esigibilità si manifesta frazionatamente, operazione per operazione. Occorre poi considerare che il diritto di detrazione è agganciato all’esi- gibilità delle (singole) operazioni e che pertanto esso nasce se e nella misura in cui sorga (frazionatamente) l’esigibilità dell’imposta a carico del cedente o del prestatore. Quindi, posto che il debito nasce in sede infrannuale e che il diritto di credito sorge contestualmente al debito stesso, si deve concludere che non vi è ragione per negare la giuridica esistenza del credito maturato dal soggetto passivo nel periodo trimestrale, la cui natura deve ritenersi perfettamente identica e simmetrica a quella del credito annuale.

(19) Tale norma consente ai soggetti passivi che vantino crediti nei confronti del- l’Amministrazione finanziaria di richiedere agli Uffici dell’Agenzia delle entrate una certi- ficazione che attesti l’esistenza e la liquidità dei crediti medesimi. (20) Si v. il Protocollo d’intesa ABI, Agenzia delle entrate e Confindustria, Anticipa- zione bancaria dei crediti iva, firmato a Roma il 13 gennaio 2005. (21) P. Centore, Limiti alla cessione del credito infrannuale,inL’iva, 2006, 6, 15; v. anche P. Centore, Cessione estesa ai crediti iva trimestrali,inCorr. trib., 2006, 2443 e P. Centore - G. Borselli, Crediti trimestrali, sì alla cessione,inIl Sole 24 Ore del 22 giugno 2006, n. 169, 22. Contra v. F. Zaccaria, iva, cessione per i soli crediti annuali,infiscoog- gi.it, 11 aprile 2006. 624 DIRITTO E PRATICA TRIBUTARIA N. 4/2014

Tale interpretazione è stata condivisa dall’Associazione Italiana Dottori Commercialisti, che è intervenuta sulla questione con la norma di comporta- mento n. 164 del 2006. In questo documento si rileva che Il concetto di credito iva risultante dalla dichiarazione annuale non è riferito soltanto alle somme chieste a rim- borso in sede di dichiarazione annuale, ma anche agli importi richiesti a rimborso in sede trimestrale, secondo le disposizioni dell’art. 38 del d.p.r. n. 633 del 1972, alla condizione che il credito, rimborsabile infrannualmente, trovi conferma nella dichiarazione annuale. La norma di comportamento parte dal presupposto che il credito trime- strale, al pari di quello annuale, deriva da operazioni contenute nella dichiara- zione annuale iva e determina un’eccedenza di imposta rimborsabile ai sensi dell’art. 30 del d.p.r. n. 633 del 1972, che, in quanto tale, costituisce un cre- dito certo, liquido ed esigibile e non viceversa, una mera aspettativa di rim- borso. L’Associazione Italiana Dottori Commercialisti richiama quindi tre argo- menti che depongono a favore dell’omogeneità formale e sostanziale dei cre- diti iva trimestrale ed annuale: 1) il fatto che il contribuente abbia il diritto al rimborso dell’iva a cre- dito maturata in ciascuno dei primi tre trimestri dell’anno, ove sussistano le condizioni di cui all’art. 30, 3o comma, lett. a)eb) del d.p.r. n. 633 del 1972, e la circostanza che l’art. 10 del d.l. n. 269 del 2003, nel disciplinare l’attestazione del credito nei confronti dell’Erario, non richieda che lo stesso risulti da una specifica dichiarazione annuale; 2) il fatto che l’art. 22, par. 4, della Direttiva n. 77/388 imponga agli Stati membri l’obbligo di richiedere ai soggetti passivi la dichiarazione delle eccedenze di imposta per le operazioni effettuate con cadenza mensile o tri- mestrale (22), con la facoltà di prevedere, a meri fini riepilogativi e di con- trollo contabile, un documento riassuntivo con cadenza annuale (23). Da ciò si evincerebbe infatti che il credito iva si determina, secondo la normativa co- munitaria, con cadenza infrannuale; 3) la circostanza che il principio civilistico di trasmissibilità dei crediti comprende anche quelli vantati nei confronti dello Stato, a meno che non vi sia un espresso divieto previsto dalla legge, che nel caso di specie non sussi- ste. Alla luce delle suesposte considerazioni, la norma di comportamento ri- conosce la legittimità e ammissibilità della cessione dei crediti iva chiesti a rimborso trimestralmente e risultanti dalla successiva dichiarazione annuale, con conseguente opponibilità dell’eventuale cessione all’Amministrazione fi- nanziaria, a condizione ovviamente che siano state osservate le formalità di- sciplinate dall’art. 69 del r.d. n. 2440 del 1923.

(22) L’art. 22, par. 4, della Direttiva n. 1977/388 dispone che ogni soggetto passivo deve presentare una dichiarazione entro un termine che dovrà essere stabilito dagli Stati membri. Tale termine non dovrà superare di due mesi la scadenza di ogni periodo fiscale. Il periodo fiscale può essere fissato dagli Stati membri in un mese, due mesi, ovvero un tri- mestre. Tuttavia gli Stati membri possono fissare periodi diversi, comunque non superiori ad un anno. (23) L’art. 22, par. 6, della Direttiva n. 1977/388 prevede che Gli Stati membri han- no la facoltà di richiedere al soggetto passivo una dichiarazione relativa a tutte le opera- zioni effettuate nell’anno precedente, che contenga tutti i dati di cui al par. 4. Questa di- chiarazione deve contenere altresì tutti gli elementi per eventuali rettifiche. PARTE SECONDA 625

Fino al 2008 non si erano però avute pronunce giurisprudenziali su tale questione. L’unico precedente sulla cedibilità del credito iva trimestrale si era limitato, infatti, ad affermare l’efficacia vincolante della cessione di tale cre- dito tra le parti, senza però pronunciarsi sulla questione della sua opponibilità all’amministrazione (24). La sentenza del Tribunale di Venezia 19 febbraio 2008, n. 436, confer- mata dalla sentenza della Corte d’Appello in commento, è stata dunque una pronuncia di carattere innovativo che ha espressamente rigettato la tesi soste- nuta per anni dall’Agenzia delle entrate, condividendo l’opinione dell’AIDC e della dottrina più autorevole. In tale sentenza il Tribunale di Venezia afferma innanzitutto che non convince la tesi dell’amministrazione per cui il credito iva di rimborso trime- strale sarebbe un credito strettamente personale. Sono infatti crediti strettamente personali solo quelli che attengono ad esigenze personalissime di un soggetto. Di regola si tratta di quei crediti che sorgono a tutela dei soggetti c.d. deboli, come ad esempio il credito da ali- menti, che nascendo per far fronte ad esigenze fondamentali di vita del bene- ficiario richiedono che la loro cessione sia impedita ex lege. Il Tribunale si concentra poi sull’impossibilità di far discendere il divieto di cessione del credito infrannuale dall’art. 5, comma 4-ter, d.l. n. 70 del 1988, argomentando che, se ai sensi dell’art. 1260 c.c. ogni credito può esse- re fatto oggetto di cessione a meno che non vi sia un divieto di legge in tal senso, si deve concludere che tale divieto debba essere esplicito e non sem- plicemente desunto in via interpretativa dal fatto che la norma tratta di una sola fattispecie di rimborso, pretendendo di far cadere nell’alveo dell’inam- missibilità tutte le differenti ed ulteriori fattispecie di rimborso (25). Nella motivazione il Tribunale sottolinea inoltre come la tesi dell’Agen- zia risulti ancora più infondata laddove si consideri che la norma richiamata non disciplina la cedibilità del credito iva, ma solamente l’attribuzione al- l’Erario della facoltà di ripetere anche presso il cessionario le eventuali som- me che risultassero rimborsate indebitamente. Chiarito quanto sopra, la pronuncia del Tribunale di Venezia si sofferma infine sull’unicità dalla dichiarazione annuale e sul fatto che anche il credito

(24) Trib. Vicenza, 8 marzo 2007, n. 932; v. anche Lupi e Associati, La cedibilità del credito iva trimestrale e i rapporti con il fallimento del cedente: la cessione non è re- vocabile e il credito ceduto, se pagato in favore della procedura, costituisce «debito della massa», in www.impresaediritto.com. Analoga conclusione era già stata del resto raggiunta dalla stessa Agenzia delle entrate con riferimento al credito iva futuro. Nella circolare n. 279/E del 12 agosto 2002 (in Corr. trib., 2002, 3943, con commento di F. Castelli, Inoppo- nibile al fisco la cessione di un credito futuro,einIl Fallimento, 2003, 464, con commen- to di A. Capocchi, Acquisto pro soluto del credito iva futuro e compensazione tra debiti tributari e concorsuali) è stata infatti esclusa l’opponibilità all’Amministrazione finanziaria della cessione dei crediti computati in detrazione nell’anno successivo, ammettendone però la rilevanza a fini civilistici fra le parti. (25) Sul fatto che la norma in questione si limita a disciplinare solo alcuni aspetti della cessione del credito iva, si v. P. Chirico, Sulla cessione dei crediti di imposta,in Giur. mer., 1995, 1071, dove si afferma che Il tenore letterale della norma, inserita, tra l’altro, in sede di conversione nell’ambito di una legge omnibus, chiarisce, però, come es- sa non abbia la funzione di autorizzare la cessione (e di escludere quindi implicitamente la legittimità di altre ipotesi di cessione, n.d.A.), quanto quella di disciplinarne alcuni aspetti particolari. 626 DIRITTO E PRATICA TRIBUTARIA N. 4/2014 chiesto a rimborso per un periodo trimestrale confluisce comunque in essa. Nella sentenza si fa in particolare notare come anche se il soggetto d’imposta abbia chiesto il rimborso del credito iva maturato nell’arco di un trimestre, egli debba rendere la dichiarazione iva annuale, riportando tutto quanto sia stato chiesto a rimborso nei trimestri precedenti. Se quindi si considera che anche il credito infrannuale viene riportato nella dichiarazione annuale, si può comprendere perché il legislatore, nel cita- to art. 5, comma 4-ter, abbia deciso di menzionare solo i crediti risultanti da tale dichiarazione. Osserva infatti il Tribunale che la norma citata non può che fare riferi- mento alla sola dichiarazione annuale, giacché (...) il conteggio finale delle somme indebitamente rimborsate, di cui l’amministrazione ha diritto di chie- dere la ripetizione, non può che avvenire in sede di conteggio riassuntivo fi- nale a fine d’anno. Come è stato rilevato nei primi commenti alla sentenza (26), alla luce di queste considerazioni perde di significato, anche ai fini dell’Erario, qualsiasi distinzione tra crediti annuali e infrannuali, posto che anche il credito iva chiesto a rimborso in sede trimestrale, risultando dalla dichiarazione annua- le, potrà eventualmente essere recuperato dall’Amministrazione finanziaria. Il Tribunale di Venezia, condividendo pienamente la tesi dell’AIDC e della miglior dottrina, ha quindi concluso che il credito iva trimestrale può essere ceduto e che tale cessione è senz’altro opponibile all’Agenzia delle en- trate, purché siano state osservate le modalità previste dall’art. 69, r.d. n. 2440 del 1923. Mentre il Tribunale, come si è visto, ha fondato le sue conclusioni sulla considerazione che dall’art. 5, comma 4-ter non può derivare alcun divieto e sull’osservazione che anche il credito trimestrale confluisce nella dichiarazio- ne annuale, la Corte d’Appello ha svolto un ragionamento più articolato, an- che se, come si è già sottolineato, lo sforzo argomentativo del giudice di se- conde cure si è pressoché risolto in un mero «copia e incolla» della tesi dot- trinale più autorevole. La Corte ha infatti iniziato il suo ragionamento con la constatazione che l’iva si distingue dalle imposte dirette per quanto attiene al momento imposi- tivo, dato che per essa l’esigibilità si manifesta frazionatamente, operazione per operazione. L’iter logico della pronuncia è poi proseguito con l’osservazione che il diritto di detrazione è agganciato all’esigibilità delle (singole) operazioni, sicché esso nasce se e nella misura in cui sorga (frazionatamente) l’esigibili- tà dell’imposta a carico del cedente o del prestatore. Sulla scorta di tali osservazioni, la Corte ha dunque concluso che se il debito nasce in sede infrannuale e se il diritto di credito è contestuale al de- bito, non vi è ragione per negare la giuridica esistenza del credito maturato da soggetto passivo nel periodo trimestrale, essendo la sua natura perfetta- mente identica e simmetrica rispetto al credito azionato dalla dichiarazione annuale presentata ai fini del tributo. Quindi, il concetto di credito iva «ri- sultante» dalla dichiarazione annuale non va riferito soltanto alle somme chieste a rimborso con la dichiarazione stessa, ma può essere esteso agli im- porti richiesti a rimborso in sede trimestrale, ai sensi del secondo comma

(26) Lupi e Associati, Prima pronuncia di merito a favore della cedibilità del credi- to iva infrannuale, in www.impresaediritto.com. PARTE SECONDA 627 dell’art. 38-bis del d.p.r. n. 633 del 1972, sotto la condizione che il credito, rimborsabile infrannualmente, trovi successiva conferma nella dichiarazione annuale. Il credito infrannuale chiesto a rimborso è stato quindi considerato anche dalla Corte d’Appello perfettamente simmetrico al credito emergente dalla di- chiarazione annuale e, pertanto, legittimamente cedibile, sempre che siano adempiute le formalità previste dall’art. 69 del r.d. n. 2440 del 1923. Al ragionamento compiuto dalla dottrina, la Corte d’Appello si è limitata ad aggiungere l’osservazione, già espressa dal Tribunale, che i crediti tributari sono tutti ordinariamente cedibili e che è semplicistico e arbitrario fare ricor- so all’argomento ubi lex voluit dixit, ubi noluit tacuit per desumere un divieto di cessione del credito iva trimestrale dall’art. 5, comma 4-ter, d.l. n. 70 del 1988. Tale norma infatti si limita semplicemente a prendere in esame uno dei possibili casi di cessione, ampliando la garanzia della P.A. rispetto a quanto previsto dal codice civile agli artt. 1266 e 1267 e consentendo all’Ufficio di agire anche verso il cessionario. Null’altro. La Corte d’Appello ha quindi rigettato la tesi dell’Agenzia delle entrate, sottolineando come l’ordinamento ammetta la cessione di ogni tipo di credito vantato nei confronti dell’amministrazione a meno che non vi sia un esplicito divieto, che per il credito iva infrannuale non sussiste.

5. – Conclusioni Le argomentazioni e le conclusioni della Corte d’Appello di Venezia, prese a prestito, come si è visto, dalle tesi della miglior dottrina, sono piena- mente condivisibili. Si auspica quindi che sull’opponibilità della cessione del credito iva al- l’Amministrazione finanziaria si formi un orientamento consolidato, anche perché l’assenza di precedenti sul punto dimostra come l’incertezza fino ad oggi esistente abbia fatto sì che nella prassi gli operatori economici abbiano evitato di porre in essere cessioni del credito iva trimestrale (27). Ora che, oltre all’AIDC e ad autorevole dottrina, anche la giurisprudenza di merito si è pronunciata in favore dell’opponibilità della cessione, si assiste- rà forse ad un incremento delle operazioni di cessione aventi ad oggetto cre- diti iva infrannuali.

avv. ROBERTA MISTRANGELO

(27) Sul punto, v. M. Lupi, La cessione dei crediti iva, intervento al convegno Factoring Tour: Bologna – Il factoring: la gestione professionale dei crediti al servizio dell’impresa, dove si osserva che in generale lo strumento della cessione dei crediti vantati dall’impresa nei confronti dell’Erario non ha incontrato nella prassi la diffusione che ci si sarebbe aspettata proprio a causa dei dubbi che sono sempre stati nutriti sulla validità e su- gli effetti della cessione del credito iva. L’Autore sottolinea inoltre come la cessione dei crediti iva rappresenti una buona occasione per l’attività dei factor, considerata la partico- lare solvibilità del debitore ceduto. Reclamo e mediazione tributaria: i limiti costituzionali della giuri- sdizione condizionata (*) È costituzionalmente illegittimo l’art. 17-bis,2o comma, del d.lgs. 31 dicembre 1992, n. 546 (Disposizioni sul processo tributario in at- tuazione della delega al Governo contenuta nell’art. 30 della l. 30 di- cembre 1991, n. 413), nel testo originario, anteriore alla sostituzione dello stesso ad opera dell’art. 1, 611o comma, lett. a), n. 1), della l. 27 dicembre 2013, n. 147 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato – legge di stabilità 2014). Non sono fondate le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 17-bis del d.lgs. n. 546 del 1992, nel testo originario, anteriore alle modificazioni ad esso apportate dall’art. 1, 611o comma, lett. a), della l. n. 147 del 2013, nella parte in cui prevede l’obbligo, per chi inten- de proporre ricorso avverso atti emessi dall’Agenzia delle entrate e di valore non superiore a ventimila euro, di presentare preliminarmente reclamo, sollevate in riferimento agli artt. 3, 24 e 113 Cost. Non sono fondate le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 17-bis del d.lgs. n. 546 del 1992, nel testo originario, anteriore alle mo- dificazioni ad esso apportate dall’art. 1, 611o comma, lett. a), della l. n. 147 del 2013, nella parte in cui non prevede che la mediazione sia svol- ta da un terzo, sollevate in riferimento agli artt. 3, 24 e 25 Cost. Non è fondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 17-bis del d.lgs. n. 546 del 1992, nel testo originario, anteriore alle modificazioni ad esso apportate dall’art. 1, 611o comma, lett. a), della l. n. 147 del 2013, nella parte in cui impone al contribuente di indica- re nel reclamo le proprie «prospettazioni difensive» e non gli consente di modificarle nell’eventuale successivo giudizio, sollevata in riferi- mento all’art. 24 Cost. Corte cost. (pres. Silvestri, red. Mattarella), 16 aprile 2014, n. 98.

La sentenza è pubblicata retro, 2014, II, 439.

(*) SOMMARIO: 1: Premessa. Il reclamo e la mediazione tributaria: le questioni di legittimi- tà costituzionale. – 2. Il quadro normativo di riferimento: la disciplina relativa al re- clamo e alla mediazione tributaria e le modifiche introdotte dalla l. 27 dicembre 2013, n. 147. – 3. Le questioni affrontate dalla Corte costituzionale: l’obbligatorietà del reclamo e la sanzione di inammissibilità del ricorso. - 4. Le questioni non esami- nate dalla Corte e le questioni aperte: in particolare, la disciplina relativa alle spese.

1. – Premessa. Il reclamo e la mediazione tributaria: le questioni di legittimi- tà costituzionale Con la sentenza n. 98 del 16 aprile 2014, la Consulta si è pronunciata su PARTE SECONDA 629 una serie di questioni di legittimità costituzionale relative al reclamo ed alla mediazione tributaria, sollevate dalle Commissioni tributarie di Perugia, Cam- pobasso, Benevento e Ravenna (1), dichiarando non conforme a Costituzione l’art. 17-bis,2o comma, del d.lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, nel testo origi- nario, anteriore alle modifiche introdotte per effetto dell’art. 1, 611o comma, lettera a), della l. 27 dicembre 2013, n. 147. In dettaglio, le questioni sottoposte alla Corte costituzionale sono state le seguenti. I giudici rimettenti hanno, anzitutto, prospettato una possibile violazione degli artt. 3, 24, 111 e 113 Cost. in relazione al carattere obbligatorio della procedura di reclamo ed all’assenza di terzietà nella procedura di mediazione, elementi che condizionerebbero di per sé l’esperimento della tutela giurisdi- zionale, sospendendone l’azionabilità per novanta giorni, tanto da incidere sulla effettività e l’immediatezza della tutela, peraltro in danno dei soli con- tribuenti il cui debito tributario non superi il limite dei ventimila euro fissato dal primo comma dell’art. 17-bis. Allo stesso modo, secondo le Commissioni rimettenti, anche la sanzio- ne di inammissibilità del ricorso non preceduto dal reclamo si porrebbe in contrasto con gli artt. 3, 24, 111 e 113 Cost., facendo discendere dal man- cato esperimento della procedura amministrativa una conseguenza abnorme, rappresentata dalla definitiva impossibilità di accedere alla tutela giurisdi- zionale. Un ulteriore profilo riguarda poi la sospensione dei termini processuali indotta dall’art. 17-bis, che impedirebbe l’immediata azionabilità della tutela cautelare, giusta la disciplina risultante dall’art. 47 del d.lgs. n. 546 del 1992. In questo caso, in sostanza, l’impossibilità di incardinare il processo di fronte al giudice prima dello spirare del termine dilatorio di novanta giorni, sarebbe suscettibile di incidere sulla pienezza ed effettività della tutela cautelare, con possibile violazione degli artt. 3, 24, 25 e 111 della Carta. Per i giudici rimettenti, infine, la disciplina relativa alle spese di lite ri- sulterebbe non conforme agli artt.3e24Cost.: ciò in quanto in caso di esito favorevole del reclamo, al contribuente rimarrebbe preclusa la possibilità di recuperare, in tutto o in parte, le spese della difesa, per le quali è prevista unicamente una possibilità di rimborso o di compensazione in sede giurisdi- zionale. Accolto il reclamo, insomma, e definita in via pregiudiziale la con- troversia, l’unica parte a dover sopportare gli oneri della difesa tecnica sareb- be la parte privata. Nell’esaminare le diverse questioni, la Consulta ha solo parzialmente ac- colto questi rilievi. La disciplina censurata è stata infatti dichiarata illegittima in relazione alla sola specifica previsione secondo cui l’omessa presentazione del reclamo comporta l’inammissibilità del ricorso, mentre tutte le altre que- stioni sono state ritenute infondate (2) o inammissibili (3).

(1) Comm. trib. prov. Perugia, 7 febbraio 2013, n. 18, in Banca dati Fisconline; Comm. trib. prov. Campobasso, 17 aprile 2013, n. 75, in Fisco, 2013, 3398 ss.; Comm. trib. prov. Benevento, 18 aprile 2013, n. 126, in Ilsole24ore.com; Comm. trib. prov. Raven- na, 12 luglio 2013, n. 270, in Banca dati Fisconline. Per una approfondita disamina delle diverse questioni sollevate dai giudici rimettenti, si veda Corasaniti, Il reclamo e la media- zione tributaria tra la recente giurisprudenza costituzionale e i controversi profili evolutivi, retro, 2014, I, 482 ss. (2) La Corte ha ritenuto non fondata la questione relativa all’assenza di terzietà nella procedura di mediazione, precisando che la mediazione prevista dall’art. 17-bis si svolge 630 DIRITTO E PRATICA TRIBUTARIA N. 4/2014

In particolare, ad avviso della Corte, va affermata la legittimità di forme di accesso alla giurisdizione condizionate al previo adempimento di oneri, quando questi siano finalizzati al perseguimento di interessi generali – rappre- sentati, nel caso di specie, dall’obiettivo di ridurre il carico complessivo del contenzioso tributario – ma in tali ipotesi il legislatore è sempre tenuto «ad osservare il limite imposto dall’esigenza di non rendere la tutela giurisdizio- nale eccessivamente difficoltosa» (4), «deve contenere l’onere nella misura meno gravosa possibile» (5) e deve operare un «congruo bilanciamento» (6) tra l’esigenza di assicurare la tutela dei diritti e le altre esigenze che il diffe- rimento dell’accesso alla medesima intende perseguire (7).

2. – Il quadro normativo di riferimento: la disciplina relativa al reclamo e al- la mediazione tributaria e le modifiche introdotte dalla l. 27 dicembre 2013, n. 147

La sentenza della Corte, nei termini fin qui sintetizzati, offre lo spunto per una ricostruzione della recente evoluzione normativa che ha caratterizzato gli istituti del reclamo e della mediazione nel processo tributario. Come è noto, l’art. 17-bis del d.lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, introdotto dal d.l. 6 luglio 2011, n. 98, prevede che, per le controversie di valore non superiore a ventimila euro (determinati ai sensi dell’art. 12, 5o comma, dello stesso decreto) relative ad atti emessi dall’Agenzia delle entrate, chi intende proporre ricorso è tenuto preliminarmente a presentare reclamo alla stessa Agenzia (8).

esclusivamente tra il contribuente e l’Agenzia, su un piano di parità, e che l’eventuale esito positivo è rimesso anche al consenso del contribuente, il quale può formulare una proposta ovvero accettare quella eventualmente avanzata dalla controparte. (3) La Consulta ha poi ritenuto inammissibile per difetto di rilevanza la questione re- lativa alla impossibilità di attivare la tutela cautelare durante la procedura di reclamo e quella collegata alla disciplina delle spese, per le quali si veda infra. (4) In questi termini, si veda anche la sentenza 2 aprile 1992, n. 154, in Giur. it., 1992, I, 1, 1599 e, in termini analoghi, le pronunce 11 dicembre 1989, n. 530, in Foro it., 1991, I, 2950; 23 novembre 1993, n. 406, in Foro it., 1993, I, 3214 e 27 luglio 1994, n. 360, in Banca dati Fisconline. (5) Cfr. le sentenze 24 febbraio 1995, n. 56 e 4 luglio 1996, n. 233, entrambe in cor- tecostituzionale.it. (6) Si veda la pronuncia 22 aprile 1997, n. 113, in Banca dati Fisconline. (7) Cfr. Marini, Il tramonto del reclamo quale condizione di ammissibilità del ricor- so tributario,inCorr. trib., 2014, 1782 ss.; Corasaniti, Il reclamo e la mediazione tributa- ria tra la recente giurisprudenza costituzionale, cit., 490 ss. (8) Nelle intenzioni del legislatore, gli istituti del reclamo e della mediazione sono destinati ad alleggerire in modo significativo il carico di contenzioso gravante sulle Com- missioni tributarie, riconoscendo alle parti la possibilità di definire in via anticipata le liti di valore più modesto. Secondo le stime dell’Amministrazione finanziaria, la procedura del reclamo e mediazione riguarda, a regime, circa il settanta per cento del contenzioso tributa- rio, con potenziali ricadute in termini di miglioramento dell’efficienza complessiva del si- stema. Per l’Agenzia delle entrate (circolare n. 9/E del 19 marzo 2012), «la procedura di mediazione deve ritenersi sostanzialmente finalizzata a evitare il rinvio ai giudici tributari delle contestazioni che possono essere risolte in sede amministrativa, attraverso un esame volto ad anticipare l’esito ragionevolmente atteso del giudizio, tenuto conto della situazione di fatto e di diritto sottesa alla singola fattispecie» ed appare «presumibile, oltre che forte- PARTE SECONDA 631

Secondo la formulazione originaria dell’art. 17-bis,2o comma, la presen- tazione del reclamo è condizione di ammissibilità del ricorso, e l’inammissi- bilità è rilevabile d’ufficio in ogni stato e grado del giudizio (9). Il reclamo va presentato alla Direzione provinciale o regionale che ha emanato l’atto, deve contenere la richiesta di annullamento totale o parziale dell’atto medesimo e può contenere anche una motivata proposta di mediazio- ne (10). La presentazione del reclamo deve avvenire entro sessanta giorni dalla notifica dell’atto in contestazione, oppure nel termine di prescrizione del diritto al rimborso. Decorsi novanta giorni senza che sia stato notificato l’accoglimento del reclamo, né conclusa la mediazione, il reclamo produce gli effetti del ricor- so (11). A tal fine, nel disciplinare il contenuto del reclamo, l’art. 17-bis del d.lgs. n. 546 rinvia alle disposizioni contenute negli artt. 12, 18 e 19 del medesimo decreto. Anche la costituzione in giudizio segue le regole stabilite dall’art. 22 del decreto n. 546 del 1992, con la sola particolarità (contemplata nella for- mulazione originaria dell’art. 17-bis, ma, come si vedrà, superata dalla l. n. 147 del 2013) di una decorrenza mobile del relativo termine (12).

mente auspicabile, che gli esiti della nuova attività amministrativa possano offrire rilevanti contributi al fine sia di diminuire il numero dei giudizi tributari instaurati sia di contribuire a sviluppare la tax compliance». Per più ampie considerazioni sulla portata deflattiva degli istituti in commento, si veda Basilavecchia, Reclamo, mediazione fiscale e definizione delle liti pendenti,inCorr. trib., 2011, 2494 ss.; Logozzo, Profili critici del reclamo e della me- diazione tributaria,inBoll. trib., 2012, 1505 ss.; Giovannini, Reclamo e mediazione tribu- taria: per una riflessione sistematica,inRass. trib., 2013, 51 ss.; Rasi, Reclamo e media- zione tributaria: tutto risolto dal legislatore e dalla Corte Costituzionale?, retro, 2014, I, 551 ss. (9) La norma riproduce dunque il regime di inammissibilità previsto dall’art. 22, 2o comma, del d.lgs. n. 546 del 1992 per il caso di omessa o tardiva costituzione in giudizio della parte ricorrente. Le modalità di presentazione del reclamo seguono la disciplina previ- sta dagli artt. 16 e 20 del medesimo decreto sul processo: come il ricorso, il reclamo può dunque essere notificato a mezzo di ufficiale giudiziario, mediante consegna diretta o me- diante spedizione postale in plico raccomandato senza busta. (10) Ai sensi dell’8o comma dell’art. 17-bis, l’ufficio valuta la proposta di mediazio- ne tenendo conto dei seguenti elementi: l’incertezza in merito alle questioni controverse; il grado di sostenibilità della pretesa; l’economicità dell’azione amministrativa. Per questi aspetti, in particolare, Corasaniti, Il reclamo e la mediazione nel sistema tributario, Milano, 2013, 85 ss.; Rasi, Reclamo e mediazione tributaria, cit., 557. (11) In merito alla duplice natura del reclamo, «contestuale e simbiotico al ricorso» e «suscettibile di radicare due diversi tipi di procedimento», giurisdizionale e amministrativo, si veda diffusamente Giovannini, Reclamo e mediazione tributaria, cit., 54 ss. e, in senso conforme, Corasaniti, Il reclamo e la mediazione nel sistema tributario, cit., 4 ss. Per espressa previsione normativa, le liti soggette a reclamo e mediazione non possono essere definite in conciliazione giudiziale ex art. 48, d.lgs. n. 546 del 1992, sebbene ad esse si ap- plichino, in quanto compatibili, le previsioni dello stesso art. 48. Per il 6o comma dell’art. 17-bis, infine, al procedimento si applicano le disposizioni di cui agli artt. 12, 18, 19, 20, 21 e 22, 4o comma, in quanto compatibili, del medesimo decreto legislativo. Per una ap- profondita analisi della disciplina, si veda Pistolesi, Il reclamo e la mediazione nel proces- so tributario,inRass. trib., 2012, 65 ss.; Basilavecchia, Dal reclamo al processo,inCorr. trib., 2012, 841 ss. (12) Legata, alternativamente, alla scadenza dei novanta giorni successivi alla pre- sentazione del reclamo, ovvero alla data, antecedente, in cui l’Agenzia delle entrate comu- nichi al contribuente il rigetto totale o parziale dell’istanza. 632 DIRITTO E PRATICA TRIBUTARIA N. 4/2014

Per effetto dell’art. 1, 611o comma, lettera a), della l. 27 dicembre 2013, n. 147, peraltro, la disciplina originaria dei due istituti ha subito rilevanti mo- difiche (13), volte essenzialmente a «mettere in sicurezza» il reclamo e la mediazione nella prospettiva della imminente pronuncia della Consulta in me- rito ai dubbi di costituzionalità cui si è fatto cenno in premessa. Telegraficamente, queste le novità introdotte dalla legge di stabilità per il 2014. Anzitutto, per il novellato 2o comma dell’art. 17-bis, la presentazione del reclamo all’Agenzia delle entrate non è più prevista come condizione di am- missibilità del ricorso giurisdizionale, ma come condizione di procedibilità. In secondo luogo, la riscossione e il pagamento delle somme dovute dal contribuente in base all’atto oggetto di reclamo sono sospese ex lege (14). Il termine di novanta giorni previsto per lo svolgimento del procedimen- to è stato poi espressamente qualificato dal nuovo 9o comma dell’art. 17-bis come «termine processuale» (15). Da ultimo, secondo la nuova formulazione dell’8o comma, l’imposta de- terminata in esito al procedimento di reclamo assume rilievo anche ai fini previdenziali ed assistenziali, qualora la relativa base imponibile sia ricondu- cibile ex lege a quella delle imposte sui redditi. Si tratta di modifiche di indubbio rilievo sistematico, la cui adozione è stata in larga misura indotta dalla necessità di minimizzare le eventuali conse- guenze di una pronuncia di illegittimità costituzionale. Non sfugge, infatti, che le nuove disposizioni, la cui adozione era stata in gran parte auspicata anche dalla dottrina, riguardano gli aspetti più controversi dell’art. 17-bis, sui quali si appuntavano, come si è visto, le diverse ordinanze di rimessione alla Consulta. E dunque, se considerate in questa prospettiva, che è evidentemente «adeguatrice» rispetto alle falle che la normazione originaria presentava, è ra- gionevole attribuire alle nuove disposizioni una portata interpretativa, con conseguente applicabilità retroattiva (16).

(13) Si tratta di modifiche auspicate e già in parte suggerite dalla dottrina. Si veda, in particolare, Giovannini, Questioni costituzionali sul reclamo tributario,inRiv. dir. trib., 2013, I, 313 ss.; Id., Giurisdizione tributaria condizionata e reclamo amministrativo,in Riv. trim. dir. trib., 2012, 911 ss.; Marini, Profili costituzionali del reclamo e della media- zione,inCorr. trib., 2012, 853; Montanari, Il processo tributario nel segno della mediazio- ne, retro, 2013, I, 153 ss. (14) Secondo il comma 9-bis dell’art. 17-bis, la riscossione e il pagamento delle somme dovute in base all’atto reclamato sono sospesi fino alla data dalla quale decorre il termine fissato dall’art. 22 del d.lgs. n. 546 del 1992, fermo restando che in assenza di me- diazione sono dovuti gli interessi previsti dalle singole leggi di imposta. (15) Secondo la formulazione originaria del 9o comma, il ricorso doveva essere de- positato entro trenta giorni, decorrenti dallo spirare del termine dei novanta giorni nel caso di silenzio da parte dell’Ufficio, ovvero dalla notifica della risposta all’istanza di mediazio- ne. Per effetto della nuova formulazione, il termine entro il quale il contribuente deve prov- vedere al deposito dell’eventuale ricorso decorre in ogni caso dallo spirare del termine dei novanta giorni. La nuova disposizione consente inoltre di applicare anche al procedimento del reclamo e della mediazione la disciplina della sospensione feriale prevista dalla l. 7 ot- tobre 1969, n. 742. Sul punto, si veda Corasaniti, Il reclamo e la mediazione tra la recente giurisprudenza costituzionale, cit., 545. (16) Per la lettera b) del 611o comma dell’art. 1 della l. n. 147, «le modifiche si ap- plicano agli atti notificati a decorrere dal sessantesimo giorno successivo all’entrata in vi- gore della presente legge», ossia a partire dal 2 marzo 2014. Tra le nuove disposizioni, tut- PARTE SECONDA 633

3. – Le questioni affrontate dalla Corte costituzionale: l’obbligatorietà del re- clamo e la sanzione di inammissibilità del ricorso

Sulla legittimità costituzionale della giurisdizione condizionata, la Con- sulta ha avuto modo di pronunciarsi ripetutamente, e non solo con riferimento al processo tributario. In proposito, la Corte ha costantemente affermato che gli artt. 24 e 113 Cost. non impongono una correlazione assoluta tra il sorgere del diritto e la sua immediata azionabilità in sede giurisdizionale, che può anzi essere diffe- rita a un momento successivo in presenza di esigenze di ordine generale e di superiori finalità di giustizia (17). Si tratta di una impostazione tanto risalente quanto consolidata, che ben si adatta anche agli istituti regolati dall’art. 17-bis del d.lgs. n. 546 del 1992. Il reclamo e la mediazione tributaria sono infatti finalizzati a prevenire l’in- staurazione del giudizio, nella accennata prospettiva di decongestionare il contenzioso di fronte alle Commissioni tributarie, garantendo al contempo una maggiore efficacia dell’azione amministrativa ed una significativa accele- razione nella definizione delle controversie residue o già pendenti. Interessi, questi, che certamente rientrano tra le «esigenze di ordine ge- nerale» richiamate dalla Corte e che si lasciano apprezzare alla luce di princi- pi costituzionali, desumibili dagli artt. 97 e 111, espressivi di valori quanto- meno pari-ordinati rispetto a quelli contenuti negli artt. 24 e 113 Cost. Tuttavia, nell’affermare la legittimità di forme di accesso alla giurisdi- zione condizionate al previo esperimento di oneri, la Suprema Corte ha più volte precisato che in tali circostanze il legislatore incontra un limite ben pre- ciso, che consiste nella necessità di contenere tali oneri entro i confini della ragionevolezza, evitando che l’accesso alla tutela giurisdizionale si riveli ec- cessivamente difficoltoso (18). Rimanendo nell’ambito della giurisdizione tributaria, è in questa prospet- tiva che la Corte ha, ad esempio, ritenuto costituzionalmente illegittimo l’art. 33, ultimo comma, del d.p.r. n. 642 del 1972 relativo all’imposta di bollo, nella parte in cui non prevedeva, in materia di rimborsi di imposta, l’esperibi- lità dell’azione giurisdizionale in mancanza del preventivo ricorso ammini-

tavia, solo quella relativa ai contributi previdenziali ed assistenziali presenta una effettiva portata innovativa, mentre alle altre appare più coerente attribuire un significato interpreta- tivo. Sul punto, si veda Giovannini, La disciplina «riveduta e corretta» del reclamo e della mediazione,inFisco, 2014, 818. (17) Così, ex multis, Corte cost., 16 giugno 1964, n. 47, in Giur. cost., 1964, 586; 17 luglio 1974, n. 234; 13 luglio 1979, n. 130, entrambe consultabili in cortecostituzionale.it; 13 luglio 2000, n. 276, in Giur. it., 2001, 438. Per ulteriori considerazioni, si veda Marini, Profili costituzionali del reclamo e della mediazione, cit., 854; Giovannini, Questioni costi- tuzionali sul reclamo tributario, cit., 317. (18) Coerentemente con tali premesse, la Corte costituzionale ha dichiarato illegitti- me disposizioni che comprimevano in modo eccessivo l’esercizio del potere di azione giu- risdizionale, comminando la sanzione della decadenza in relazione al mancato esperimento di ricorsi in via amministrativa. In questi termini, si veda Corte cost., 18 gennaio 1991, n. 15, in Giur. it., 1992, I, 1, 1113; 2 aprile 1992, n. 154, cit.; 23 novembre 1993, n. 406, in GT - Riv. giur. trib., 1994, 112 ss., con nota di Glendi, Azione giudiziaria non più condi- zionata al ricorso amministrativo; 24 febbraio 1995, n. 56, in Foro it., 1995, I, 737. In pro- posito, si veda Turchi, Reclamo e mediazione nel processo tributario,inRass. trib., 2012, 901 ss. 634 DIRITTO E PRATICA TRIBUTARIA N. 4/2014 strativo, configurato, in tale contesto normativo, come un vero e proprio ri- corso gerarchico amministrativo, caratterizzato da un doppio grado di cogni- zione (19). Ogni forma di condizionamento della giurisdizione può dunque dirsi ac- cettabile costituzionalmente solo ove non introduca «un impedimento duratu- ro e potenzialmente insuperabile all’esercizio della medesima»; tutt’al più es- so potrebbe dare origine a un vizio del procedimento, ma un vizio non insa- nabile, suscettibile di essere emendato garantendo la conservazione degli ef- fetti sostanziali e processuali della domanda (20). Con la sentenza che qui si commenta, la Consulta ha sostanzialmente confermato l’orientamento appena richiamato. Da un lato, infatti, la Suprema Corte si è pronunciata per la conformità a Costituzione della obbligatorietà del reclamo come condizione di accesso alla tutela giurisdizionale, ritenendo altresì che la limitazione del filtro pre-proces- suale alle sole controversie menzionate nell’art. 17-bis rientri nel corretto esercizio della discrezionalità legislativa e non possa essere censurata sul pia- no del rispetto dei principi di uguaglianza e di ragionevolezza. Dall’altro, ha però ritenuto sproporzionata la sanzione di inammissibilità del ricorso non preceduto dal reclamo, prevista dal 2o comma dell’art. 17-bis prima delle modifiche introdotte dalla legge di stabilità per il 2014. Sotto questo specifico aspetto, la perdita del diritto di azione (rilevabile d’ufficio in ogni stato e grado del giudizio) si pone in contrasto con l’art. 24 Cost., risolvendosi in una limitazione definitiva ed irragionevole del diritto al- la tutela di fronte al giudice (21). Si tratta di una soluzione condivisibile, che non mette in discussione la compatibilità sistematica dello strumento prescelto dal legislatore, ma ne eli-

(19) V. Corte cost., 23 novembre 1993, n. 406, già cit. Per più ampie considerazioni, si veda in proposito Giovannini, Questioni costituzionali sul reclamo, cit., 318. (20) Così Corte cost., 29 marzo 1972, n. 57, in Foro it., 1972, I, 1172; Corte cost., 13 luglio 2000, n. 276, in Giur. it., 2001, 1, con nota di Sartoretti, La composizione stra- giudiziale delle controversie al vaglio della Corte costituzionale. (21) In tema di legittimità costituzionale del reclamo e della mediazione tributaria, in dottrina sono emersi orientamenti contrastanti. In particolare, Marini, Profili costituzionali del reclamo e della mediazione, cit., 855 manifesta «dubbi sulla legittimità della norma in commento per quella preclusione definitiva (...) all’azionabilità del diritto più volte censu- rata in sede di controllo di costituzionalità». Per analoghi rilievi, si veda D’Ayala Valva, La Corte costituzionale preannuncia le ragioni di illegittimità costituzionale della media- zione tributaria,inRiv. dir. trib., 2013, 82 ss.; Corasaniti, Art. 17-bis, in AA.VV., Com- mentario breve alle leggi del processo tributario, a cura di Consolo e Glendi, Padova, 2012, 227. Per considerazioni di segno opposto, si vedano Pistolesi, Il reclamo e la media- zione nel processo tributario, cit., 88, che sottolinea la prevalenza delle esigenze di ordine generale «che, secondo la Corte costituzionale, legittimano la previsione di ipotesi di cosid- detta giurisdizione condizionata», e Turchi, Reclamo e mediazione, cit., 903, ad avviso del quale «non pare pertanto che la disciplina in commento, intesa alla luce della giurispruden- za costituzionale, leda il diritto di difesa del contribuente». Per una diversa prospettazione della questione, si veda Giovannini, Questioni costituzionali, cit., 319, che, pur ritenendo irragionevole e sproporzionata la sanzione di inammissibilità comminata dal 2o comma del- l’art. 17-bis, distingue l’ipotesi del difetto di produzione materiale del reclamo, da quella della «mancata indicazione del nomen “reclamo” sull’atto stesso», ritenendo preferibile una interpretazione costituzionalmente orientata della norma, «tesa a vedere nell’atto inoltrato all’agenzia nella forma esclusiva del ricorso l’espressione della volontà di proporre anche reclamo». PARTE SECONDA 635 mina un elemento di palese irragionevolezza: se è vero, infatti, che gli inte- ressi perseguiti dalla giurisdizione condizionata sono apprezzabili sul piano costituzionale, la loro attuazione in concreto non può essere demandata a strumenti incoerenti con le finalità loro sottese, o sproporzionati rispetto al necessario bilanciamento dei valori in gioco.

4. – Le questioni non esaminate dalla Corte e le questioni aperte: in partico- lare, la disciplina relativa alle spese

In conclusione, meritano un cenno le (pur rilevanti) questioni sollevate dai giudici rimettenti, che la Consulta non ha esaminato perché ritenute inam- missibili per difetto di rilevanza. Si tratta, in particolare, delle questioni relative alla tutela cautelare non garantita nella fase della mediazione e della impossibilità di procedere al rim- borso o alla compensazione delle spese nel caso di accoglimento del reclamo. In merito ad entrambe le questioni, la Corte ha rilevato che nella specie i contribuenti non avevano presentato il reclamo, ma avevano proposto diretta- mente ricorso, con la conseguenza che, di fatto, era venuta a mancare proprio la fase amministrativa e che, dunque, in un caso la limitazione della tutela cautelare non era ipotizzabile neppure in astratto, mentre nell’altro, non era stata sostenuta alcuna spesa specifica (22). Al di là di questo peculiare profilo, tuttavia, occorre rilevare che sulla prima questione è intervenuto direttamente il legislatore che, ai sensi della già citata l. n. 147 del 2013 ha previsto la sospensione ex lege degli effetti esecu- tivi dell’atto oggetto di reclamo, fino alla data dalla quale decorre il termine di cui all’art. 22, ossia il termine di trenta giorni previsto per la presentazione del ricorso. Soluzione, questa, già ampiamente auspicata dalla dottrina (23) e che consente di risolvere alla radice il problema, che, d’altra parte, prima ancora dell’entrata in vigore della l. n. 147 del 2013 poteva essere risolto in via in- terpretativa, secondo una lettura costituzionalmente orientata dell’art. 17- bis (24). Resta invece irrisolto il nodo relativo alle spese sostenute dal contribuen- te nella fase del reclamo. In proposito, si deve anzitutto osservare che la sostanziale identità conte- nutistica tra reclamo e ricorso introduttivo del giudizio implica necessaria- mente che il contribuente debba, sin dalla fase pre-giudiziale, avvalersi del- l’assistenza di un difensore. Ciò comporta, però, che in caso di esito positivo

(22) Su tali aspetti, Rasi, Reclamo e mediazione tributaria, cit., 582 e 587. (23) In argomento, si veda Basilavecchia, Dal reclamo al processo, cit., 844; Carin- ci, La riscossione provvisoria e l’acquiescenza dopo l’introduzione del reclamo,inCorr. trib., 2012, 777; Turchi, Reclamo e mediazione, cit., 919. (24) In questi termini, Giovannini, Questioni costituzionali, cit. 322, che, richiaman- do la sentenza della Corte costituzionale 24 luglio 1998, n. 336, relativa alla procedura di contestazione degli atti emanati dai centri di servizio, e riportando le argomentazioni allora svolte dalla Consulta all’art. 17-bis, ritiene che «la costituzione in giudizio potrà senz’altro avvenire ancor prima del consumarsi de novantesimo giorno dalla presentazione del recla- mo», con la conseguenza che «il giudice potrà adottare nell’immediatezza il provvedimento cautelare giacché il rituale incardina mento del processo gli conferisce i poteri a questo fine necessari». Sul punto, cfr. altresì Pistolesi, Il reclamo e la mediazione, cit.,74ss. 636 DIRITTO E PRATICA TRIBUTARIA N. 4/2014 della procedura di reclamo o mediazione, i costi della difesa tecnica rimanga- no integralmente a carico della parte privata: come si ricorderà, infatti, per ta- li spese l’art. 17-bis prevede unicamente una possibilità di rimborso o di compensazione in sede giurisdizionale, il che appare francamente paradossale, specie nelle ipotesi di accoglimento integrale del reclamo da parte dell’Uffi- cio. Più precisamente, il 10o comma prevede che nelle controversie instaurate a seguito dell’infruttuoso esperimento del reclamo, la parte soccombente sia condannata a rimborsare, in aggiunta alle spese di giudizio, una somma pari al cinquanta per cento delle spese stesse, a titolo di rimborso delle spese so- stenute nella fase pre-giudiziale. Le spese possono anche essere compensate, ma solo in presenza di giusti motivi, espressamente indicati, tali da aver in- dotto la parte soccombente a rifiutare la proposta di mediazione (25). Nessun ristoro per le spese relative alla difesa tecnica è dunque previsto nel caso in cui il procedimento di reclamo abbia avuto esito positivo e non sfoci nel giudizio di fronte alla Commissione tributaria. Si tratta, in tutta evidenza, di una disposizione irragionevole che pone problemi analoghi a quelli che derivavano dall’art. 46, 3o comma, del d.lgs. n. 546 del 1992 nella parte in cui imponeva la compensazione delle spese an- che nelle ipotesi di cessazione della materia del contendere, conseguenti al- l’annullamento in autotutela dell’atto impugnato (26). Anche in questa ipotesi, si può ritenere, con la migliore dottrina, che una lettura costituzionalmente orientata della disposizione possa consentire di neu- tralizzarne gli effetti palesemente distorsivi (27). Ma è altrettanto plausibile che, in un futuro immediato, perdurando sul punto l’inerzia del legislatore, la questione torni ad essere riproposta di fronte alla Consulta.

dott. ANTONIO MARINELLO Università di Siena

(25) Sul punto, si veda in particolare Turchi, Reclamo e mediazione, cit., 927. (26) Come è noto,la questione è stata risolta dalla Corte costituzionale che, con la sentenza 12 luglio 2005, n. 274, in Giur. it., 2005, 2213, ha dichiarato la illegittimità della disposizione censurata, ritenendo che ne derivasse un ingiustificato privilegio «per la parte che pone in essere un comportamento di regola determinato dal riconoscimento della fon- datezza delle altrui ragioni» e, specularmente, «un ingiustificato pregiudizio per la contro- parte, specie quella privata, obbligata ad avvalersi, nella nuova disciplina del processo tri- butario, dell’assistenza tecnica di un difensore». In proposito, si veda Turchi, op. ult. cit., 903; Porcaro, La «riforma» delle spese di lite nel processo tributario,inRass. trib., 2011, 385 ss.; Scuffi, Regolamentazione e liquidazione delle spese nel giudizio tributario,inFi- sco, 2013, 363 ss.; Rasi, Reclamo e mediazione tributaria, cit., 589 ss. (27) Cfr. Giovannini, Questioni costituzionali, cit., 323 ss., per il quale «il ricorso, nella contestuale forma del reclamo, si considera presentato nei tempi e nei modi previsti dagli artt. 20 e 21 e la data della sua notificazione alla controparte determina la litispen- denza (nozione da intendere in senso ampio, non soltanto come relativa alla pendenza della “medesima causa” ai sensi dell’art. 39 c.p.c., ma come comprensiva anche degli effetti so- stanziali, procedimentali e processuali dell’atto introduttivo). Il fatto che l’amministrazione intervenga in autotutela, annullando il provvedimento impugnato prima della consumazione del termine di novanta giorni, non reagisce sui termini processuali della parte e neppure sulle condizioni dell’azione», sicché, in punto di ristoro delle spese, il giudice pienamente investito della questione, può fare applicazione dell’art. 46 della legge processuale tributa- ria, per come interpretato dalla Corte costituzionale. Tìmeo Dànaos et dona ferentes: le sezioni unite della Cassazione in materia di confisca per equivalente (*) La confisca del profitto di reato è possibile anche nei confronti di una persona giuridica per i reati commessi dal legale rappresentante o da altro organo della persona giuridica, quando il profitto sia rima- sto nella disponibilità della stessa. Si deve invece ritenere che non sia possibile la confisca per equi- valente di beni della persona giuridica per reati tributari commessi da suoi organi, salva l’ipotesi in cui la persona giuridica stessa sia in concreto priva di autonomia e rappresenti solo uno schermo attraver- so cui l’amministratore agisca come effettivo titolare, come affermato in numerose pronunzie. In una simile ipotesi, infatti, la trasmigrazione del profitto del reato in capo all’ente non si atteggia alla stregua di trasferimento ef- fettivo di valori, ma quale espediente fraudolento non dissimile dalla figura della interposizione fittizia; con la conseguenza che il denaro o il valore trasferito devono ritenersi ancora pertinenti, sul piano so- stanziale, alla disponibilità del soggetto che ha commesso il reato, in «apparente» vantaggio dell’ente ma, nella sostanza, a favore proprio. È consentito nei confronti di una persona giuridica il sequestro preventivo finalizzato alla confisca di denaro o di altri beni fungibili o di beni direttamente riconducibili al profitto di reato tributario com- messo dagli organi della persona giuridica stessa, quando tale profit- to (o beni direttamente riconducibili al profitto) sia nella disponibilità di tale persona giuridica. Non è consentito il sequestro preventivo finalizzato alla confisca per equivalente nei confronti di una persona giuridica qualora non sia stato reperito il profitto di reato tributario compiuto dagli organi del- la persona giuridica stessa, salvo che la persona giuridica sia uno schermo fittizio. Non è consentito il sequestro preventivo finalizzato alla confisca per equivalente nei confronti degli organi della persona giuridica per reati tributari da costoro commessi, quando sia possibile il sequestro finalizzato alla confisca di denaro o di altri beni fungibili o di beni direttamente riconducibili al profitto di reato tributario compiuto da- gli organi della persona giuridica stessa in capo a costoro o a perso- na (compresa quella giuridica) non estranea al reato. La impossibilità del sequestro del profitto di reato può essere an- che solo transitoria, senza che sia necessaria la preventiva ricerca ge- neralizzata dei beni costituenti il profitto di reato.

Cass., sez. un. pen. (pres. Santacroce, rel. Davigo), 5 marzo 2014, n. 10561.

(Omissis). – Ritenuto in fatto. – 1. – Il Procuratore della Repub- 638 DIRITTO E PRATICA TRIBUTARIA N. 4/2014 blica presso il Tribunale di Trento, in data 18 gennaio 2013, richiese il sequestro preventivo di un immobile abitativo avente un valore di Eu- ro 486.000 di proprietà di G. L., persona sottoposta ad indagini per il reato previsto dal d.lgs. 10 marzo 2000, n. 74, art. 10-ter, in quanto, nella qualità di legale rappresentante della Trento Pack s.r.l., aveva omesso di versare per i periodi di imposta 2009 e 2010 l’imposta sul valore aggiunto per complessivi Euro 455.827,27. Il debito di imposta, al netto delle rate versate, in conseguenza di un accordo con l’Agenzia delle entrate per il rientro dei debiti tributari, ammontava ad Euro 332.228,52. 2. – Con ordinanza del 22 gennaio 2013 il Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Trento rigettò la richiesta del P.M. assu- mendo che non era stata evidenziata alcuna ragione di periculum. 3. – Avverso tale provvedimento il Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Trento interpose appello deducendo la sussisten- za del fumus commissi delicti (in ragione degli omessi versamenti di imposta nei termini) e del periculum (implicito nella confiscabilità di beni per equivalente, posto che nei casi di cui al d.lgs. 10 marzo 2000, n. 74, art. 10-ter, si applica l’art. 322-ter c.p., in forza del rinvio ope- rato dalla l. 24 dicembre 2007, n. 244, art. 1, 143o comma). 4. – Nel corso del procedimento cautelare d’appello l’indagato (il quale, sentito dalla polizia giudiziaria, aveva ammesso il fatto conte- stato sostenendo che: la società si era trovata in gravi difficoltà econo- miche dal luglio del 2008 a causa della perdita di un cliente importan- te; ciò aveva prodotto una mancanza di liquidità; aveva usato le risor- se per pagare i fornitori e i dipendenti, piuttosto che adempiere le ob- bligazioni verso l’erario), assumeva: a) di non aver personalmente conseguito alcun profitto del reato, confluito alla società; b) che, per- ciò, nessuna confisca avrebbe potuto essere disposta nei suoi confron- ti; c) che il pagamento rateale concordato tra la società e l’Agenzia delle entrate aveva fatto venir meno le ragioni del sequestro; d) che il patrimonio della società, soggetto beneficiario del profitto del reato, poteva, per la sua consistenza, essere sottoposto a sequestro; e) che mancava l’elemento soggettivo del reato in considerazione delle cause che avevano portato al mancato versamento della imposta e all’accor- do successivo con l’erario.

5. – Il Tribunale di Trento, con ordinanza del 12 febbraio 2013, accoglieva l’appello proposto dal pubblico ministero e disponeva il se- questro preventivo per equivalente dell’immobile di proprietà di G. fi- no a concorrenza della somma di Euro 332.228,52. Il Tribunale riteneva che: a) il piano di rientro del debito concordato dalla società con l’Agenzia delle entrate non comportava né l’estinzione del reato, né l’impossibilità del sequestro, atteso che fino a quando il versamento PARTE SECONDA 639 non fosse stato completo il destinatario del provvedimento di seque- stro avrebbe continuato ad avere la disponibilità ancorché parziale del profitto del reato, potendosi al più procedere ad una riduzione dell’og- getto del sequestro in conseguenza dei versamenti effettuati; b) quanto alle questioni relative alla «coobbligata società, sotto il profilo della dedotta capienza del patrimonio sociale, degli utili del- l’ultimo esercizio, della eventuale scelta di non sottoporre a pignora- mento i beni sociali», «il sequestro per equivalente funzionale alla confisca, avendo natura provvisoria, può interessare indifferentemente ciascuno dei concorrenti anche per l’intera entità del profitto accertato, anche se poi il provvedimento definitivo di confisca, rivestendo invece natura sanzionatoria, non può essere duplicato o comunque eccedere nel quantum l’ammontare complessivo dello stesso profitto»; c) nessun rilievo aveva il fatto che l’immobile sequestrato fosse stato acquistato da G.L. nel 1987, cioè prima della commissione dei reati contestati, poiché il sequestro era finalizzato alla confisca per equivalente; d) il profitto derivante dai reati contestati doveva essere identifi- cato «con l’importo dell’iva evasa» e che, non risultando «agli atti be- ni confiscabili in capo al prevenuto che costituiscano il profitto della condotta», si poteva procedere al sequestro per equivalente degli altri beni nella disponibilità dell’indagato; e) infondato doveva considerarsi l’assunto difensivo basato sulla prospettata assenza di dolo, atteso che questo non poteva «dirsi esclu- so in presenza di ulteriori finalità dell’azione o di ulteriori profitti», costituiti dalla prospettata esigenza di far fronte alle necessità della impresa; f)ilpericulum coincideva con la confiscabilità del bene per equi- valente.

6. – Ha presentato ricorso per cassazione la persona sottoposta ad indagini personalmente deducendo quattro motivi.

6.1. – Con il primo motivo l’indagato sostiene che il pubblico mi- nistero, nella sua originaria domanda indirizzata al Giudice per le in- dagini preliminari, si era limitato a chiedere il sequestro preventivo e che, invece, solo con l’atto di appello aveva fatto riferimento al seque- stro per equivalente «con ciò modificando di fatto l’originaria doman- da in corso di procedura e privando così la difesa di un grado di giu- dizio». Si osserva che il mutamento della domanda non poteva conside- rarsi irrilevante nella specie, atteso che, ove si fosse proceduto in ap- pello facendo riferimento al sequestro preventivo funzionale alla confi- sca diretta del profitto del reato, come il pubblico ministero aveva in- teso fare nella domanda originaria, il Tribunale non avrebbe potuto poi sequestrare l’abitazione da lui acquistata nel 1987, cioè un bene del tutto privo di pertinenzialità con il reato. Secondo il ricorrente, il pubblico ministero non avrebbe potuto 640 DIRITTO E PRATICA TRIBUTARIA N. 4/2014 mutare la originaria richiesta di sequestro preventivo, a rigetto ottenu- to, veicolando altra e diversa richiesta di sequestro per equivalente a mezzo di appello contro l’ordinanza di rigetto. Sulla base di tali pre- supposti ha chiesto l’annullamento dell’ordinanza impugnata per l’inammissibilità (o l’invalidità) della richiesta formulata con l’appello, non formulata in precedenza.

6.2. – Il secondo motivo di ricorso è proposto ai sensi dell’art. 606 c.p.p., 1o comma, lett. b), c)ede). Sotto un primo profilo, il ricorrente deduce che non si sarebbe po- tuto procedere al sequestro per equivalente nei suoi confronti, in quan- to il pubblico ministero e, successivamente, il Tribunale avrebbe dovu- to prima verificare la possibilità di procedere al sequestro diretto del profitto del reato nei confronti della società. Il Tribunale, avendo omesso tale verifica, aveva violato l’art. 322- ter c.p., nella parte in cui tale norma richiede, per procedere al seque- stro per equivalente, che sia accertata la impossibilità di procedere in via diretta sui cespiti della società; e in caso di impossibilità di confi- sca diretta si sarebbe dovuto procedere al sequestro per equivalente nei confronti della società. In ogni caso il Tribunale avrebbe dovuto spiegare perché doveva ritenersi impossibile la confisca diretta presso la società della somma corrispondente all’imposta evasa, non potendo detta impossibilità esse- re costituita dal fatto che il pubblico ministero non avesse chiesto al- cunché. Viene precisato che: a) il ricorrente non aveva conseguito mate- rialmente alcun profitto dal reato contestatogli; b) la somma non corri- sposta all’erario era stata utilizzata dalla società per pagare i dipenden- ti; c) nel caso di reato tributario commesso dall’amministratore di una società, questa non può essere considerata terza estranea, quando, co- me nel caso di specie, il profitto rimane nelle casse sociali, e ciò pur se non è prevista una sua responsabilità amministrativa. Il ricorrente sostiene di essere stato attinto da una misura cautela- re, in forza di un profitto ictu oculi percepito esclusivamente da un terzo, nei cui confronti avrebbe potuto essere disposta la confisca di- retta del profitto del reato che, a suo dire, si troverebbe ancora intera- mente nel patrimonio della società.

6.3. – Con il terzo motivo viene dedotta la violazione dell’art. 322-ter c.p., per essere l’ordinanza impugnata fondata su motivazione meramente apparente; si deduce, in particolare, il vizio del provvedi- mento impugnato nella parte relativa al periculum che, secondo il ri- corrente, non poteva essere considerato coincidente con la mera confi- scabilità del bene. Il Tribunale non aveva considerato in motivazione, al fine di escludere la sussistenza del requisito del periculum, una serie di ele- menti concreti, e cioè: a) la società aveva concordato un piano di rien- tro volto a garantire il pagamento delle imposte evase; b) la società PARTE SECONDA 641 aveva in corso pagamenti rateali per il rientro del debito; c) l’interve- nuta ammissione dell’addebito da parte dell’indagato; d) i motivi che avevano indotto la società a non corrispondere l’imposta, cioè la situa- zione di crisi economica e il mancato conseguimento personale di al- cun profitto da parte del ricorrente.

6.4. – Con il quarto motivo viene dedotto il vizio di motivazione del provvedimento impugnato in relazione al fumus commissi delicti, nella parte relativa al dolo del reato contestato, con particolare riguar- do alla volontarietà della omissione, essendosi trovato il ricorrente nel- la sostanziale impossibilità di compiere la azione doverosa.

7. – La Terza Sezione della Corte di Cassazione, cui il ricorso era stato assegnato, con ordinanza n. 46726 del 30 ottobre 2013, deposita- ta il 22 novembre 2013, lo ha rimesso alle sezioni unite, sul presuppo- sto dell’esistenza di un contrasto di giurisprudenza sulla questione così indicata: «se sia possibile o meno aggredire direttamente i beni di una persona giuridica per le violazioni tributarie commesse dal legale rap- presentante della stessa». La Terza Sezione ha evidenziato come, in tema di reati tributari, il sequestro preventivo finalizzato alla confisca per equivalente possa essere disposto non solo per il prezzo, ma anche per il profitto del rea- to, «in ragione dell’integrale rinvio alle disposizioni di cui all’art. 322- ter c.p., contenuto nella l. n. 204 del 2007, art. 1, 143o comma, e co- me tale indirizzo giurisprudenziale sia stato confermato dalla modifica apportata all’art. 322-ter c.p., dalla l. 6 novembre 2012, n. 190, art. 1, 75o comma, lett. o)», che ha espressamente esteso l’ambito della con- fisca per i delitti previsti dagli artt. da 314 a 320 c.p., anche al profit- to. Per l’ordinanza di rimessione, il secondo motivo di ricorso impli- cherebbe la soluzione della questione di diritto indicata, sulla quale si registrerebbe un contrasto di giurisprudenza. Secondo alcune pronunce, infatti, il sequestro preventivo finalizza- to alla confisca per equivalente potrebbe avere ad oggetto i beni di una persona giuridica anche al di fuori dei casi in cui la sua creazione sia finalizzata a farvi confluire i profitti degli illeciti fiscali quale so- cietà-schermo. A fondamento dell’indirizzo in questione vi sarebbe il dato obiet- tivo per cui, sebbene il reato tributario sia addebitabile all’indagato, le conseguenze patrimoniali ricadono sul patrimonio della persona giuri- dica a favore della quale l’autore del reato ha agito, salvo che non vi sia la prova della rottura del rapporto di immedesimazione organica tra la persona fisica e la società. Proprio tale considerazione, secondo la Sezione rimettente, rende- rebbe non necessario, ai fini del sequestro per equivalente dei beni della persona giuridica, che questa sia responsabile ai sensi del d.lgs. 8 giugno 2001, n. 231. Secondo l’impostazione in esame, la società, ancorché non sia 642 DIRITTO E PRATICA TRIBUTARIA N. 4/2014 possibile configurare una sua responsabilità per il reato commesso dal- l’amministratore, non potrebbe comunque essere considerata terza estranea al reato, partecipando invece essa alla utilizzazione degli in- crementi che ne sono derivati, per il fatto di essere rimasto il profitto nelle casse dell’ente medesimo. Si valorizza inoltre il dato per cui, in generale, la legge consente la confisca diretta dei beni, che costituiscono il profitto del reato, an- che nel caso in cui si trovino nel patrimonio di terzi soggetti, indipen- dentemente dal fatto che il terzo sia un concorrente nel reato, e, nel caso si tratti di società, prescindendo dalla previsione o meno di re- sponsabilità amministrativa per il reato medesimo. In tale contesto, l’orientamento richiamato precisa peraltro come, per procedere al se- questro funzionale alla confisca per equivalente, sia necessario verifi- care, motivando adeguatamente sul punto, la impossibilità di una con- fisca diretta dei beni costituenti il profitto del reato. Secondo altro e contrastante indirizzo giurisprudenziale, prosegue l’ordinanza di rimessione, il sequestro preventivo, finalizzato alla con- fisca per equivalente dei beni appartenenti alla persona giuridica, non sarebbe ammissibile nel caso in cui si proceda per violazioni finanzia- rie commesse dal legale rappresentante della società, e ciò perché il d.lgs. 8 giugno 2001, n. 231, art. 24 e ss., non prevedono i reati tribu- tari tra le fattispecie che giustificano l’adozione del provvedimento di confisca (e quindi di quello di sequestro alla confisca finalizzato). Tale principio sarebbe superabile solo nel caso in cui la struttura aziendale costituisca un apparato fittizio utilizzato dal reo per commet- tere gli illeciti, dato che ogni cosa fittiziamente intestata alla società è immediatamente riconducibile alla disponibilità dell’autore del reato. Tale soluzione sarebbe inevitabile anche se la normativa vigente non sarebbe scevra da profili di irragionevolezza, poiché, mentre nei casi di reati tributari compiuti nell’ambito di fenomeni associativi a carattere transnazionale, sarebbe possibile disporre, ai sensi della l. 16 marzo 2006, n. 146, art. 10, la confisca per equivalente dei beni della società coinvolta, diversamente avverrebbe in assenza del carattere della transnazionalità dell’illecito, anche a fronte di un ammontare maggiore della imposta evasa.

8. – Il Primo Presidente, con decreto del 28 novembre 2013, ha assegnato il ricorso alle sezioni unite, fissando per la trattazione dello stesso l’odierna udienza camerale.

Considerato in diritto. – 1. – Il primo motivo di ricorso, secondo il quale nella sua originaria domanda il pubblico ministero si era limi- tato a chiedere genericamente il sequestro preventivo e che solo con l’atto di appello aveva fatto riferimento al sequestro per equivalente, così mutando l’originaria domanda, è manifestamente infondato. Nella richiesta di sequestro preventivo avanzata dal pubblico mi- nistero al Giudice per le indagini preliminari era precisato che l’iva sottratta al fisco costituiva il profitto del reato, «in ordine al quale è PARTE SECONDA 643 possibile la confisca per equivalente» (p. 2 richiesta del 18 gennaio 2013). Non vi è stato quindi alcun mutamento della domanda cautelare da parte del pubblico ministero nel successivo appello, rispetto a quel- la contenuta nella iniziale richiesta di sequestro. 2. – Il secondo motivo di ricorso è manifestamente infondato, ma nell’esaminarlo per dar conto di tale manifesta infondatezza è necessa- rio chiarire la questione rimessa all’esame delle sezioni unite che può così riassumersi: «Se sia possibile o meno disporre il sequestro preventivo finaliz- zato alla confisca diretta o per equivalente nei confronti di beni di una persona giuridica per le violazioni tributarie commesse dal legale rap- presentante o da altro organo della stessa». 2.1. – La risoluzione di tale questione presuppone una disamina della disciplina della confisca del profitto di reato (e del sequestro pre- ventivo finalizzato alla confisca stessa) nei reati tributari. 2.2. – Va ricordato che il reato di omesso versamento dell’impo- sta sul valore aggiunto (d.lgs. 10 marzo 2000, n. 74, art. 10-ter), che si consuma con il mancato pagamento dell’imposta dovuta in base alla dichiarazione annuale, per un ammontare superiore ad Euro cinquanta- mila, entro la scadenza del termine per il pagamento dell’acconto rela- tivo al periodo di imposta dell’anno successivo, non si pone in rappor- to di specialità ma di progressione illecita con il d.lgs. n. 471 del 1997, art. 13, 1o comma, che punisce con la sanzione amministrativa l’omesso versamento periodico dell’imposta entro il mese successivo a quello di maturazione del debito mensile iva, con la conseguenza che al trasgressore devono essere applicate entrambe le sanzioni (sez. un., n. 37424 del 28 marzo 2013, Romano, Rv. 255757). 2.3. – L’art. 1, 143o comma, l. 24 dicembre 2007, n. 244 prevede: «Nei casi di cui al d.lgs. 10 marzo 2000, n. 74, artt. 2, 3, 4, 5, 8, 10-bis, 10-ter, 10-quater e 11, si osservano, in quanto applicabili, le disposizioni di cui all’art. 322-ter c.p.». La giurisprudenza di legittimità ha chiarito che, in tema di reati tributari, il sequestro preventivo, funzionale alla confisca per equiva- lente, può essere disposto non soltanto per il prezzo, ma anche per il profitto del reato. (Sez. 3, n. 35807 del 7 luglio 2010, Bellonzi, Rv. 248618. In motivazione la Corte ha precisato che l’integrale rinvio alle disposizioni di cui all’art. 322-ter c.p., contenuto nella l. n. 244 del 2007, art. 1, 143o comma, consente di affermare che, con riferimento ai reati tributari, trova applicazione non solo il primo ma anche il 2o comma, della norma codicistica). La stessa Terza Sezione ha successivamente precisato che il prin- cipio rimane valido anche dopo le modifiche apportate all’art. 322-ter c.p., dalla l. n. 190 del 2012 (sez. 3, n. 23108 del 23 aprile 2013, Nac- ci, Rv. 255446). 644 DIRITTO E PRATICA TRIBUTARIA N. 4/2014

Stante l’espresso richiamo, contenuto nell’art. 322-ter c.p., alla confisca diretta, è all’evidenza applicabile altresì la confisca di cui al- l’art. 240 c.p., al profitto di reato. 2.4. – Quanto alla determinazione del profitto in tema di reati tri- butari, il profitto, confiscabile anche nella forma per equivalente, è co- stituito da qualsivoglia vantaggio patrimoniale direttamente conseguito alla consumazione del reato e può, dunque, consistere anche in un ri- sparmio di spesa, come quello derivante dal mancato pagamento del tributo, interessi, sanzioni dovuti a seguito dell’accertamento del debi- to tributario. (sez. un., n. 18374 del 31 gennaio 2013, Adami, Rv. 255036 in tema di reato di sottrazione fraudolenta al pagamento delle imposte, di cui al d.lgs. n. 74 del 2000, art. 11). Nello stesso senso è stato chiarito che, in tema di reati tributari, il profitto, confiscabile anche nelle forme per equivalente, del reato di sottrazione fraudolenta al pagamento delle imposte, di cui al d.lgs. n. 74 del 2000, art. 11, va individuato nella riduzione simulata o fraudo- lenta del patrimonio su cui il fisco ha diritto di soddisfarsi e, quindi, nella somma di denaro la cui sottrazione all’erario viene perseguita, non importa se con esito favorevole o meno, attesa la struttura di peri- colo del reato. (Sez. 3, n. 33184 del 12 giugno 2013, Abrusci, Rv. 256850; conf. nn. 33185, 33186, 33187, 33188 del 2013 non massi- mate). 2.5. – Va anzitutto sottolineato che la confisca diretta del profitto di reato è istituto ben distinto dalla confisca per equivalente. Deve essere tenuto ben presente che la confisca del profitto, quan- do si tratta di denaro o di beni fungibili, non è confisca per equivalen- te, ma confisca diretta. La giurisprudenza di legittimità ha infatti affermato che, nel caso in cui il profitto del reato di concussione sia costituito da denaro, è le- gittimamente operato in base alla prima parte dell’art. 322-ter,1o com- ma, c.p., il sequestro preventivo di disponibilità di conto corrente del- l’imputato. (Sez. 6, n. 30966 del 14 luglio 2007, Puliga, Rv. 236984). Qualora il profitto tratto da taluno dei reati per i quali è prevista la confisca per equivalente sia costituito da denaro, l’adozione del se- questro preventivo non è subordinata alla verifica che le somme pro- vengano dal delitto e siano confluite nella effettiva disponibilità del- l’indagato, in quanto il denaro oggetto di ablazione deve solo equiva- lere all’importo che corrisponde per valore al prezzo o al profitto del reato, non sussistendo alcun nesso pertinenziale tra il reato e il bene da confiscare. (Sez. 3, n. 1261 del 25 settembre 2012, dep. 2013, Mar- seglia, Rv. 254175. Fattispecie in tema di reati tributari). È pertanto ammissibile il sequestro preventivo, ex art. 321 c.p.p., qualora sussistano indizi per i quali il denaro di provenienza illecita sia stato depositato in banca ovvero investito in titoli, trattandosi di as- sicurare ciò che proviene dal reato e che si è cercato di nascondere con il più semplice degli artifizi. (Sez. 6, n. 23773 del 25 marzo 2003, Madaffari, Rv. 225757). PARTE SECONDA 645

Infatti, in tema di sequestro preventivo, nella nozione di profitto funzionale alla confisca rientrano non soltanto i beni appresi per effet- to diretto ed immediato dell’illecito, ma anche ogni altra utilità che sia conseguenza, anche indiretta o mediata, dell’attività criminosa. (Sez. 2, n. 45389 del 6 novembre 2008, Perino, Rv. 241973). La trasformazione che il denaro, profitto del reato, abbia subito in beni di altra natura, fungibili o infungibili, non è quindi di ostacolo al sequestro preventivo il quale ben può avere ad oggetto il bene di inve- stimento così acquisito. Infatti il concetto di profitto o provento di rea- to legittimante la confisca e quindi nelle indagini preliminari, ai sensi dell’art. 321, 2o comma, c.p.p., il suddetto sequestro, deve intendersi come comprensivo non soltanto dei beni che l’autore del reato appren- de alla sua disponibilità per effetto diretto ed immediato dell’illecito, ma altresì di ogni altra utilità che lo stesso realizza come conseguenza anche indiretta o mediata della sua attività criminosa. (Sez. 6, n. 4114 del 21 ottobre 1994, dep. 1995, Giacalone, Rv. 200855. Affermando siffatto principio la Cassazione ha ritenuto che legittimamente fosse stato disposto dal G.i.p. il sequestro preventivo di un appartamento che, in base ad elementi allo stato apprezzabili, era risultato acquistato con i proventi del reato di concussione). Le sezioni unite avevano, del resto, ritenuto che, in tema di se- questro preventivo finalizzato alla confisca prevista dall’art. 322-ter c.p., costituisce «profitto» del reato anche il bene immobile acquistato con somme di danaro illecitamente conseguite, quando l’impiego del denaro sia causalmente collegabile al reato e sia oggettivamente attri- buibile all’autore di quest’ultimo. (sez. un., n. 10280 del 25 ottobre 2007, dep. 2008, Miragliotta, Rv. 238700: fattispecie in tema di con- cussione nella quale il danaro era stato richiesto da un ufficiale di p.g. per l’acquisto di un immobile). In tutte le ipotesi sopra richiamate non si è in presenza di confisca per equivalente ma di confisca diretta del profitto di reato, possibile ai sensi dell’art. 240 c.p., ed imposta dall’art. 322-ter c.p., prima di pro- cedere alla confisca per equivalente del profitto di reato.

2.6. – La confisca del profitto di reato è possibile anche nei con- fronti di una persona giuridica per i reati commessi dal legale rappre- sentante o da altro organo della persona giuridica, quando il profitto sia rimasto nella disponibilità della stessa. A tale riguardo va infatti rammentato che, a norma del d.lgs. n. 231 del 2001, art. 6, 5o comma, anche nei confronti degli enti per i quali non sia applicabile la confisca-sanzione di cui all’art. 19 dello stesso decreto per essere stati efficacemente attuati i modelli organiz- zativi per impedire la commissione di reati da parte dei rappresentanti dell’ente, è «comunque disposta la confisca del profitto che l’ente ha tratto dal reato, anche nella forma per equivalente». Si tratta, come è evidente, di una previsione di carattere generale che impone la confi- sca, diretta o per equivalente, del profitto derivante da reato, secondo una prospettiva non di tipo sanzionatorio, essendo fuori discussione la 646 DIRITTO E PRATICA TRIBUTARIA N. 4/2014

«irresponsabilità» dell’ente, ma di ripristino dell’ordine economico perturbato dal reato, che comunque ha determinato una illegittima lo- cupletazione per l’ente, ad «obiettivo» vantaggio del quale il reato è stato commesso dal suo rappresentante. Nel rimarcare la peculiarità di tale figura di confisca, infatti, questa Corte non ha mancato di sottoli- neare che «in questo specifico caso, dovendosi – di norma – escludere un necessario profilo di intrinseca pericolosità della res oggetto di espropriazione, la confisca assume più semplicemente la fisionomia di uno strumento volto a ristabilire l’equilibrio economico alterato dal reato-presupposto, i cui effetti, appunto economici, sono comunque an- dati a vantaggio dell’ente collettivo, che finirebbe, in caso contrario, per conseguire (sia pure incolpevolmente) un profitto geneticamente il- lecito» (cfr. sez. un., n. 26654 del 27 marzo 2008, Fisia Italimpianti s.p.a., Rv. 239925). 2.7. – Il sequestro preventivo finalizzato alla confisca per equiva- lente è legittimo solo quando il reperimento dei beni costituenti il pro- fitto del reato sia impossibile, sia pure transitoriamente, ovvero quan- do gli stessi non siano aggredibili per qualsiasi ragione. (Sez. 3, n. 30930 del 5 maggio 2009, Pierro, Rv. 244934). Sotto questo profilo è necessario tuttavia chiarire che, versandosi in materia di misura cautelare reale, non è possibile pretendere la pre- ventiva ricerca generalizzata dei beni costituenti il profitto di reato, giacché, durante il tempo necessario per l’espletamento di tale ricerca, potrebbero essere occultati gli altri beni suscettibili di confisca per equivalente, così vanificando ogni esigenza di cautela. Infatti, quando il sequestro interviene in una fase iniziale del pro- cedimento, non è, di solito, ancora possibile stabilire se sia possibile o meno la confisca dei beni che costituiscono il prezzo od il profitto di reato, previa loro certa individuazione. È perciò legittimo il sequestro preventivo finalizzato alla confisca per equivalente di beni costituenti profitto illecito anche quando l’im- possibilità del loro reperimento sia anche soltanto transitoria e reversi- bile, purché sussistente al momento della richiesta e dell’adozione del- la misura. (Sez. 2, n. 2823 del 10 dicembre 2008, dep. 2009, Schiatta- rella, Rv. 242653). Del resto il sequestro preventivo finalizzato alla confisca, ex art. 322-ter c.p., del profitto del reato può essere disposto anche solo par- zialmente nella forma per equivalente, qualora non tutti i beni costi- tuenti l’utilità economica tratta dall’attività illecita risultino individua- bili. (Sez. 2, n. 11590 del 9 febbraio 2011, Sciammetta, Rv. 249883).

2.8. – Si deve invece ritenere che non sia possibile la confisca per equivalente di beni della persona giuridica per reati tributari commessi da suoi organi, salva l’ipotesi in cui la persona giuridica stessa sia in concreto priva di autonomia e rappresenti solo uno schermo attraverso cui l’amministratore agisca come effettivo titolare, come affermato in numerose pronunzie (Sez. 3, n. 42476 del 20 settembre 2013, Salvato- PARTE SECONDA 647 ri, Rv. 257353; Sez. 3, n. 42638 del 26 settembre 2013, Preziosi; Sez. 3, n. 42350 del 10 luglio 2013, Stigelbauer, Rv. 257129; Sez. 3, n. 33182 del 14 maggio 2013, De Salvia, Rv. 255871, già citata; Sez. 3, n. 15349 del 23 ottobre 2012, dep. 2013, Gimeli, Rv. 254739; Sez. 3, n. 1256 del 19 settembre 2012, dep. 2013, Unicredit s.p.a., Rv. 254796; Sez. 3, n. 33371 del 4 luglio 2012, Failli; Sez. 3, n. 25774 del 14 giugno 2012, Amoddio, Rv. 253062; Sez. 6, n. 42703 del 12 ottobre 2010, Giani). In una simile ipotesi, infatti, la trasmigrazione del profitto del reato in capo all’ente non si atteggia alla stregua di trasferimento effettivo di valori, ma quale espediente fraudolento non dissimile dalla figura della interposizione fittizia; con la conseguenza che il denaro o il valore trasferito devono ritenersi ancora pertinenti, sul piano sostanziale, alla disponibilità del soggetto che ha commesso il reato, in «apparente» vantaggio dell’ente ma, nella sostanza, a favo- re proprio. Le sezioni unite non ritengono fondato il diverso orientamento espresso in talune pronunzie. La tesi della possibilità di procedere alla confisca per equivalente in capo alla persona giuridica per reati tributari attribuiti al legale rap- presentante è stata sostenuta sull’assunto che tale possibilità deriva proprio dal rapporto organico esistente tra il soggetto indagato... e det- ta società (così Sez. 3, n. 26389 del 9 giugno 2011, Occhipinti, Rv. 250679), ovvero sull’assunto che «nei rapporti tra... la persona fisica, alla quale è addebitato il reato, e la persona giuridica, chiamata a ri- sponderne, non può che valere lo stesso principio applicabile a più concorrenti nel reato stesso, secondo il quale a ciascun concorrente de- vono imputarsi le conseguenze di esso» (così Sez. 3, n. 17485 del 11 aprile 2012, Maione, n.m.). Inoltre è stato affermato che è possibile la confisca per equivalente dei beni della società, allorché l’autore del reato ne abbia la disponibili- tà (Sez. 3, n. 28731 del 7 giugno 2011, Società cooperativa Burlando, n.m.). Il primo argomento trascura che il rapporto fra ente ed un suo or- gano, di per sé, non è suscettibile di fondare l’estensione della confi- sca per equivalente, che si basa su specifiche disposizioni di legge, tanto più che è persino possibile che la persona giuridica, attraverso altri organi, promuova azione di responsabilità verso il suo ammini- stratore che l’ha esposta a responsabilità (civile) conseguente a reato. Il secondo argomento da per presupposto quello che dovrebbe es- sere dimostrato e cioè che la società sia concorrente nel reato. Nel vigente ordinamento, è prevista solo una responsabilità ammi- nistrativa e non una responsabilità penale degli enti (ai sensi del d.lgs. 8 giugno 2001, n. 231), sicché comunque la società non è mai autore del reato e concorrente nello stesso. In ogni caso il d.lgs. 8 giugno 2001, n. 231, che ha introdotto la responsabilità amministrativa degli enti conseguente a reato, non con- templa i reati tributari fra quelli per cui è prevista tale responsabilità amministrativa della persona giuridica. La confisca per equivalente sui beni della società non può fondar- 648 DIRITTO E PRATICA TRIBUTARIA N. 4/2014 si neppure sull’assunto che l’autore del reato ne abbia la disponibilità in quanto amministratore (salva sempre l’ipotesi in cui la società sia un mero schermo fittizio), essendo tale disponibilità nell’interesse del- l’ente e non dell’amministratore. Sul punto è sufficiente rilevare che l’eventuale appropriazione inde- bita di beni della persona giuridica da parte di un amministratore può in- tegrare il reato di cui all’art. 646 c.p., aggravato ai sensi dell’art. 61 c.p., n. 11, e quindi perseguibile d’ufficio, stante la distinzione fra il patrimo- nio della persona giuridica e quello dei suoi amministratori. Una volta esclusa la fondatezza di tali argomenti, è necessario veri- ficare se vi sia una base normativa per la confisca per equivalente in ca- po alla persona giuridica per i reati tributari commessi dai suoi organi. Anzitutto, come già notato, tale confisca (ed il sequestro alla stes- sa finalizzato) non può avvenire ai sensi del d.lgs. 8 giugno 2001, n. 231, art. 19, ove si proceda per le violazioni finanziarie commesse dal legale rappresentante della società, atteso che l’art. 24 e ss., del citato d.lgs. non prevedono i reati fiscali tra le fattispecie in grado di giusti- ficare l’adozione del provvedimento, con esclusione dell’ipotesi in cui la struttura aziendale costituisca un apparato fittizio utilizzato dal reo per commettere gli illeciti. (Sez. 3, n. 1256 del 19 settembre 2012, dep. 2013, Unicredit, Rv. 254796). La l. 24 dicembre 2007, n. 244, art. 1, 143o comma, non contiene una previsione autonoma di confisca per equivalente, ma si limita a ri- chiamare l’art. 322-ter c.p. La confisca per equivalente nei confronti della persona giuridica non può fondarsi neppure sull’art. 322-ter c.p., dal momento che la ci- tata disposizione si applica all’autore del reato e, come si è detto, la persona giuridica non può essere considerata tale. L’art. 11 della l. 16 marzo 2006, n. 146, che prevede la confisca obbligatoria, anche per equivalente, per i reati di cui all’art. 3 della stessa legge, cioè i reati transnazionali, non riguarda l’ipotesi della quale ci si occupa nel presente procedimento. Si deve altresì escludere che sia possibile una interpretazione ana- logica delle citate disposizioni. L’analogia sarebbe in malam partem e come tale non consentita in sede penale. Infatti le sezioni unite hanno già chiarito che la confisca per equi- valente, introdotta per i reati tributari dalla l. 27 dicembre 2007, n. 244, art. 1, 143o comma, ha natura eminentemente sanzionatoria (sez. un., n. 18374 del 31 gennaio 2013, Adami, Rv. 255037).

2.9. – Le sezioni unite sono consapevoli che la situazione norma- tiva delineata presenta evidenti profili di irrazionalità, oltre che per gli aspetti già segnalati nell’ordinanza di rimessione, anche perché il man- cato inserimento dei reati tributari fra quelli previsti dal d.lgs. 8 giu- gno 2001, n. 231, rischia di vanificare le esigenze di tutela delle entra- te tributarie, a difesa delle quali è stato introdotto la l. n. 244 del 2007, art. 1, 143o comma. PARTE SECONDA 649

Infatti è possibile, attraverso l’intestazione alla persona giuridica di beni non direttamente riconducibili al profitto di reato, sottrarre tali beni alla confisca per equivalente, vanificando o rendendo più difficile la possibilità di recupero di beni pari all’ammontare del profitto di reato, ove lo stesso sia stato occultato e non vi sia disponibilità di beni in capo agli autori del reato. Dovendosi anche sottolineare come la stessa logica che ha mosso il legislatore nell’introdurre la disciplina sulla responsabilità amministrativa degli enti finisca per risultare non poco compromessa proprio dalla mancata previsione dei reati tributari tra i reati-presupposto nel d.lgs. n. 231 del 2001, considerato che, nel caso degli enti, il rappresentante che ponga in essere la condotta mate- riale riconducibile a quei reati non può che aver operato proprio nel- l’interesse ed a vantaggio dell’ente medesimo. Tale irrazionalità non è peraltro suscettibile di essere rimossa solle- vando una questione di legittimità costituzionale, alla luce della costan- te giurisprudenza costituzionale secondo la quale l’art. 25 Cost., 2o com- ma, deve ritenersi ostativo all’adozione di una pronuncia additiva che com- porti effetti costitutivi o peggiorativi della responsabilità penale, trattan- dosi di interventi riservati in via esclusiva alla discrezionalità del legi- slatore. (sez. un., n. 38691 del 25 giugno 2009, Caruso, Rv. 244189). Le sezioni unite non possono quindi che segnalare tali irrazionali- tà ed auspicare un intervento del legislatore, volto ad inserire i reati tributari fra quelli per i quali è configurabile responsabilità ammini- strativa dell’ente ai sensi del d.lgs. 8 giugno 2001, n. 231. 2.10. – Devono pertanto essere affermati i seguenti principi di di- ritto: «È consentito nei confronti di una persona giuridica il sequestro preventivo finalizzato alla confisca di denaro o di altri beni fungibili o di beni direttamente riconducibili al profitto di reato tributario com- messo dagli organi della persona giuridica stessa, quando tale profitto (o beni direttamente riconducibili al profitto) sia nella disponibilità di tale persona giuridica». «Non è consentito il sequestro preventivo finalizzato alla confisca per equivalente nei confronti di una persona giuridica qualora non sia stato reperito il profitto di reato tributario compiuto dagli organi della persona giuridica stessa, salvo che la persona giuridica sia uno scher- mo fittizio». «Non è consentito il sequestro preventivo finalizzato alla confisca per equivalente nei confronti degli organi della persona giuridica per reati tributari da costoro commessi, quando sia possibile il sequestro finalizzato alla confisca di denaro o di altri beni fungibili o di beni di- rettamente riconducibili al profitto di reato tributario compiuto dagli organi della persona giuridica stessa in capo a costoro o a persona (compresa quella giuridica) non estranea al reato». «La impossibilità del sequestro del profitto di reato può essere an- che solo transitoria, senza che sia necessaria la preventiva ricerca ge- neralizzata dei beni costituenti il profitto di reato». 650 DIRITTO E PRATICA TRIBUTARIA N. 4/2014

2.11. – Tutto ciò premesso, si deve rilevare che, nel caso in esa- me, è lo stesso ricorrente ad evidenziare che il profitto del reato fu utilizzato dalla Trento Pack s.r.l. per il pagamento dei dipendenti e per mantenere l’impresa in vita (p. 8, 9, 17 e 19 del ricorso) e l’assenza del profitto o comunque di adeguate disponibilità finanziarie in capo alla predetta società è confermata dalla ulteriore affermazione, conte- nuta nel ricorso, dell’essere intervenuto un accordo con l’Agenzia del- le entrate per un rientro rateale delle somme ancora dovute (p. 1, 2, 15 e 16 del ricorso). Appare pertanto priva del presupposto di fatto, sulla scorta delle stesse deduzioni del ricorrente, la doglianza relativa alla mancata ricer- ca del profitto presso la società. Anche a prescindere dalla considerazione che, in materia di misu- re cautelari reali, il ricorso per cassazione è consentito solo per viola- zione di legge e non per vizio di motivazione (rilevando soltanto la assoluta mancanza o apparenza della motivazione ai sensi dell’art. 125, 3o comma, c.p.p.), la motivazione da parte del Tribunale, sul punto della impossibilità della confisca diretta, è implicita, posto che la impossibilità non era controversa ed anzi dedotta dallo stesso ricor- rente nella memoria presentata in sede di giudizio di appello il cui contenuto è richiamato nell’ordinanza impugnata anche in punto di sottoscrizione di un piano di rientro (p. 2 ordinanza impugnata). Nessuna rilevanza ha il fatto che il Tribunale non abbia motivato in punto di non applicabilità della confisca per equivalente su altri be- ni della società perché il vizio di motivazione denunciabile nel giudi- zio di legittimità è solo quello attinente alle questioni di fatto e non anche di diritto, giacché ove queste ultime, anche se in maniera immo- tivata o contraddittoriamente od illogicamente motivata, siano comun- que esattamente risolte, non può sussistere ragione alcuna di doglian- za. (Sez. 2, n. 19696 del 20 maggio 2010, Maugeri, Rv. 247123). Non sussiste alcuna violazione di legge nel caso in esame, per le considerazioni esposte sulla non applicabilità della confisca per equi- valente ai beni della persona giuridica in materia di reati tributari commessi dagli organi della stessa.

3. – Il terzo motivo di ricorso è manifestamente infondato e pro- posto al di fuori dei casi consentiti. Il sequestro disposto ai sensi dell’art. 322-ter c.p., a differenza del se- questro preventivo di cui all’art. 321, 2o comma, c.p.p., ha ad oggetto l’equi- valente del profitto del reato, e quindi anche cose che non hanno rapporti con la pericolosità individuale del soggetto, e non sono collegate con il sin- golo reato; in tal caso, il periculum coincide con la confiscabilità del bene. (Sez. 2, n. 1454 del 11 dicembre 2007, dep. 2008, Battaglia, Rv. 239433). Le doglianze svolte nel terzo motivo di ricorso riguardano circo- stanze diverse dalla necessità di prevenire il rischio di sottrazione del bene sequestrato alla confisca e non sono idonee ad inficiare l’orienta- mento giurisprudenziale sopra richiamato. Nella richiesta di sequestro preventivo il Procuratore della Repubbli- PARTE SECONDA 651 ca ha decurtato dall’ammontare del profitto individuato le somme già cor- risposte all’Agenzia delle entrate, secondo il piano di rientro, determinan- dolo non nell’intera imposta non versata, ma in quella minore di Euro 332.228,52 e per tale ammontare il Tribunale ha disposto il sequestro pre- ventivo, sicché neppure sotto tale profilo può ritenersi che l’intervenuto accordo tra la società Trento Pack e l’erario per un piano di rientro ratea- le impedisca la confisca del bene ed il sequestro alla stessa finalizzato. Ha correttamente osservato il Tribunale che le ragioni del seque- stro possono venire meno solo con il completamento del pagamento rateale concordato (p. 2 ordinanza impugnata). 4. – Il quarto motivo di ricorso è manifestamente infondato. La destinazione ad altro impiego di somme incassate, a titolo di iva, per conto dell’erario ed a questo spettanti, è avvenuta consapevol- mente, per stessa ammissione del ricorrente. Del resto la giurisprudenza di legittimità ha osservato, quanto al rea- to di omesso versamento, da parte del sostituto d’imposta, delle ritenu- te operate sulle retribuzioni dei lavoratori dipendenti che esso si consu- ma alla scadenza del termine per la presentazione della dichiarazione an- nuale anche per i versamenti omessi, antecedentemente all’entrata in vi- gore della l. n. 311 del 2004, art. 1, 414o comma, introduttiva del d.lgs. n. 74 del 2000, art. 10-bis, nel periodo di imposta 2004 e per i quali le scadenze periodiche mensili siano già maturate, senza con ciò venirsi a violare il principio di irretroattività della norma penale, (v. sez. un., n. 37425 del 28 marzo 2013, Favellato, Rv. 255760). Il Tribunale ha anche correttamente segnalato che la crisi econo- mica o l’inadempimento di terzi non sono elementi idonei ad integrare lo stato di necessità (p. 4 ordinanza impugnata). 5. – Il ricorso deve pertanto essere dichiarato inammissibile. Ai sensi dell’art. 616 c.p.p., con il provvedimento che dichiara inam- missibile il ricorso, la parte privata che lo ha proposto deve essere con- dannata al pagamento delle spese del procedimento, nonché – ravvisan- dosi profili di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità – al pagamento a favore della cassa delle ammende della somma di mil- le Euro, così equitativamente fissata in ragione dei motivi dedotti. P.Q.M. – Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorren- te al pagamento delle spese processuali e di Euro 1.000 alla cassa del- le ammende. (Omissis).

(*) SOMMARIO: 1. Introduzione. – 2. Il concetto di confisca diretta e per equivalente:la qualificazione giuridica. – 3. Il processo evolutivo giurisprudenziale in vista della concreta applicabilità della misura alle persone giuridiche. – 3.1. (Segue): la confisca sui beni sociali per il reato tributario contestato al rappresentate legale. – 3.2. (Se- gue): sull’autonomia societaria. – 3.3. Lo strano destino del d.lgs. n. 231 del 2001. – 4. Conclusioni. 652 DIRITTO E PRATICA TRIBUTARIA N. 4/2014

1. – Introduzione

Come Laocoonte nel suo discorso ai troiani (1), la sentenza delle sezioni unite penali della Cassazione 5 marzo 2014, n. 10561 che si introduce, appa- re alquanto ambigua e non priva di profili criticabili sotto vari aspetti. Tale pronuncia, nonostante non agevoli il sempre attuale e preponderante recupero delle entrate tributarie, risolve un contrasto giurisprudenziale, in ma- teria di confisca per equivalente, che negli ultimi tempi ha visto la Suprema Corte alquanto altalenante, suggerendo, senza tuttavia approfondire, una valu- tazione critica per ciò che attiene il lavoro del legislatore dell’ultimo decen- nio. Il caso di specie prende le mosse da una richiesta di sequestro preventi- vo di un immobile abitativo di proprietà del legale rappresentante di una s.r.l., il quale veniva sottoposto ad indagini per il reato previsto dall’art. 10- ter, d.lgs. 10 marzo 2000, n. 74, ovvero per aver omesso di versare per gli anni 2009 e 2010 l’imposta sul valore aggiunto per complessivi euro 455.827,27. Invero, nel corso del procedimento cautelare di appello ex art. 322-bis c.p.p., l’indagato, che precedentemente aveva ammesso il fatto contestato, al fine di evitare il provvedimento confiscatorio nei suoi confronti, sosteneva di non aver in alcun modo beneficiato del profitto del reato in quanto confluito nella società e di conseguenza che la misura in questione dovesse disporsi, in forma specifica, sul consistente patrimonio della stessa per mancanza, inoltre, dell’elemento soggettivo del reato. Tuttavia, il Tribunale di Trento, con ordinanza rigettava perché infondate le ragioni dell’indagato, il quale ricorreva in Cassazione deducendo di essere stato attinto da una misura cautelare, in forza di un profitto ictu oculi perce- pito esclusivamente da un terzo, nei cui confronti avrebbe potuto essere di- sposta la confisca diretta del profitto del reato (2). Lo stesso, al fine di sostenere il mancato esperimento della propedeutica procedura di sequestro nei confronti della persona giuridica, precisava che nel caso di reato tributario commesso dall’amministratore di una società, questa non può essere considerata terza estranea, quando, come nel caso di specie, il profitto rimane nelle casse sociali, e ciò pur se non è prevista una sua re- sponsabilità amministrativa (3). Ebbene, la Terza Sezione assegnataria del ricorso, con ordinanza n. 46726, depositata il 22 novembre 2013, decideva, sulla scorta del contrasto giurisprudenziale attualmente esistente, di rimettere alle sezioni unite la se- guente questione di diritto: se sia possibile o meno aggredire direttamente i beni di una persona giuridica per le violazioni tributarie commesse dal lega- le rappresentante della stessa. La Corte, a tal uopo, ha espresso un fine ragionamento che prende le mosse dall’analisi del rapporto tra confisca diretta e per equivalente, ponendo particolare attenzione al concetto di autonomia societaria e di disponibilità dei beni in funzione della concreta applicabilità dell’art. 322-ter c.p. Tali argomentazioni suggeriscono una innovativa rappresentazione della materia poiché muovono da una premessa di fondo che, come emerge dall’or-

(1) Publio Virgilio Marone, Eneide, Libro II, 49. (2) Cass., sez. un., 26 marzo 2014, n. 10561. (3) Cass., sez. un., 26 marzo 2014, n. 10561. PARTE SECONDA 653 dinanza di rimessione (4), consiste nell’assoluta irragionevolezza dell’appara- to normativo di cui al d.lgs. 8 giugno 2001, n. 231, in tema di responsabilità degli enti per gli illeciti commessi dai dipendenti. Invero, in virtù dell’assenza nel decreto in questione degli illeciti tributa- ri, le sezioni unite penali chiariscono che la misura del sequestro preventivo finalizzato alla confisca per equivalente trova applicazione solo qualora i beni della persona giuridica abbiano un collegamento diretto con il reato commes- so, salvo il caso che la società rappresenti un mero schermo per la realizza- zione di scopi illegali.

2. – Il concetto di confisca diretta e per equivalente: la qualificazione giuridi- ca

Preliminarmente, le sezioni unite penali evidenziano come la confisca del profitto del reato, quando concerne denaro o altri beni fungibili, non vada confusa con la confisca per equivalente. Dunque, solo lo strumento della con- fisca diretta o specifica del profitto è applicabile alla persona giuridica nella cui disponibilità lo stesso sia rimasto. Così facendo, la pronuncia in questione offre ampio spazio all’approfon- dimento circa la genesi e l’utilità pratica della misura della confisca. In particolare, a seguito della recente sentenza, se da un lato vi è una apertura alla possibilità di aggredire i beni fungibili ed il denaro della società superando gli ostacoli del decreto n. 231 del 2001, dall’altro, alla luce della estrema difficoltà in materia di reati tributari di collegare direttamente le di- sponibilità finanziarie della persona giuridica rispetto al profitto del reato, ri- sulta pacificamente inapplicabile il sequestro ex art. 322-ter nei confronti del- la società ancorché abbia tratto utilità dall’illecito. In termini generali, infatti, la confisca c.d. ordinaria o diretta è una mi- sura di sicurezza patrimoniale che ai sensi dell’art. 240 c.p., ponendo un vin- colo di indisponibilità sui beni del reo, si realizza con l’espropriazione a fa- vore dello Stato di ciò che è servito a commettere il reato, ovvero che dal reato è derivato, costituendone il prodotto o il profitto (5). Se si osserva, invece, il differente strumento della confisca per equiva- lente nel contesto di un procedimento penale (6), si apprezza come lo stesso

(4) Cfr. Cass., sez. III pen., 22 novembre 2013, n. 46726. (5) Occorre precisare che per prodotto si intende ciò che scaturisce dal reato, mentre per profitto il vantaggio derivante dal medesimo. (6) Cfr. art. 322-ter c.p., introdotto dalla l. 29 settembre 2000, n. 300. Relativamente ai delitti contro la Pubblica amministrazione, in virtù del rinvio dell’art. 640-quater all’art. 322-ter c.p., la confisca per equivalente è stata estesa anche ai reati di truffa commessa a danno dello Stato o di altro ente pubblico (art. 640, 1o e2o comma, c.p.), alla truffa aggra- vata per il conseguimento di erogazioni pubbliche (art. 640-bis c.p.) ed alla frode informa- tica a danno dello Stato o di altro ente pubblico, tranne quando il fatto sia commesso con abuso della qualità di operatore del sistema (art. 640-ter,2o comma, c.p.). Per completezza si evidenzia che, per effetto della l. 27 marzo 2001, n. 97, è stato introdotto al codice pe- nale l’art. 335-bis secondo il quale, fermo restando quanto disposto dall’art. 322-ter, nel caso di condanna per delitti previsti dal presente capo è comunque ordinata la confisca anche nelle ipotesi previste dall’art. 240, 1o comma. Va ricordata, poi, la l. 23 marzo 2006, n. 146, con la quale sono stati ratificati la Convenzione ed i Protocolli delle Nazioni Unite contro il crimine organizzato che, in presenza di un reato transnazionale, consente all’Auto- 654 DIRITTO E PRATICA TRIBUTARIA N. 4/2014 in realtà sia rivolto al completamento della tutela degli interessi erariali in tutti i casi in cui gli strumenti di tipo amministrativo finalizzati al recupero dell’imposta evasa siano inefficaci (7). La ratio dell’istituto della confisca per equivalente di cui all’art. 322-ter c.p. (8), ha la finalità di aggredire il patrimonio del reo per un valore corri- spondente all’illecito vantaggio economico patrimoniale (9) conseguito e di ripristinare l’ordine finanziario dello Stato (10). Nel corso degli anni i giudici di legittimità hanno, in tal senso, precisato

rità giudiziaria il sequestro preventivo per equivalente in previsione della futura confisca. In particolare, ha previsto all’art. 11, per i reati transazionali, che qualora la confisca delle cose che costituiscono il prodotto, il profitto o il prezzo del reato non sia possibile, il giu- dice ordina la confisca di somme di denaro, beni od altre utilità di cui il reo ha la dispo- nibilità, anche per interposta persona fisica o giuridica, per un valore corrispondente a ta- le prodotto, profitto o prezzo. In caso di usura è comunque ordinata la confisca di un im- porto pari al valore degli interessi o degli altri vantaggi o compensi usurari. In tali casi, il giudice, con la sentenza di condanna, determina le somme di danaro o individua i beni o le utilità assoggettati a confisca di valore corrispondente al prodotto, al profitto o al prez- zo del reato. Tale normativa è stata ritenuta di assoluta rilevanza proprio con riferimento alla frode fiscale in quanto era stata stimata sufficiente, al verificarsi dei presupposti richie- sti, a superare l’orientamento della Corte di Cassazione. Il giudice di legittimità, infatti, aveva escluso il sequestro conservativo del saldo liquido di conto corrente in misura corri- spondente all’imposta evasa non sussistendo il necessario rapporto di derivazione diretta tra evasione d’imposta e le disponibilità del conto dal momento che non può affermarsi che la disponibilità liquida sia frutto dell’indebito arricchimento per una somma equivalen- te alla imposta evasa. Cfr. Cass., 15 marzo 2006, n. 13244. (7) Si vedano ad esempio le operazioni di c.d. frode carosello in cui, infatti, emerge il problema del recupero dell’imposta non versata da parte del soggetto che emette la fattu- ra, e assegna al destinatario il diritto di detrazione. L’emittente è normalmente una scatola vuota, che molto spesso sparisce subito dopo l’operazione, con le conseguenti difficoltà per il fisco di aggredire in via amministrativa il soggetto. Pertanto, anche laddove l’Ammini- strazione finanziaria agisce nei confronti dell’acquirente, disconoscendogli il diritto di de- trazione, non è da escludere la sussistenza di difficoltà di recuperare in via amministrativa l’iva indebitamente detratta. Si pensi, inoltre, alle difficoltà circa l’attività di soggetti che vorticosamente aprono e chiudono le posizioni fiscali iva. (8) Sul tema, si rinvia a G. Giangrande, La confisca per equivalente nei reati tribu- tari: tra legalità ed effettività, retro, 2013, 173. Si noti come già negli anni sessanta la giu- risprudenza della Corte costituzionale ha affermato alcuni principi di natura sostanziale cir- ca la confisca per equivalente. Su tutte, Corte cost., 25 maggio 1961, n. 29, e Id., 4 giugno 1964, n. 46. Per una ricostruzione dello stato della materia in tema di confisca cfr. Cass., sez. un. pen., 2 luglio 2008, n. 26654, in Riv. pen., 2008, 1000. Più di recente, con le ordi- nanze nn. 31 e 97 del 2009, la Corte costituzionale ha preso posizione su tale misura di- sposta per i reati tributari ed ha affermato che essa ha natura «sanzionatoria» facendone di- scendere il principio di irretroattività. (9) Cfr. C. Santoriello, La confisca per equivalente e la determinazione del valore dei beni oggetto del provvedimento,inFisco, 2008, 1, 4337 ss. Dello stesso Autore si ve- dano: La confisca per equivalente del prezzo del reato nell’interpretazione delle sezioni unite della Cassazione,inImpresa c.i., 2006, 1, 129; Reati tributari e richiesta di seque- stro conservativo avanzata dal P.M.,inRubrica del diritto penale tributario, 2008, 3, 25 ss.; Confisca per equivalente e reati tributari: le prime indicazioni della giurisprudenza,in Fisco, 2009, 1, 234. Per un ulteriore approfondimento si possono utilmente consultare S. Capolupo, La confisca per equivalente in materia tributaria,inCorr. trib., 2008, 2015 ss., nonché dello stesso A., Finanziaria 2008: estesa ai reati fiscali la confisca per equivalente, in Fisco, 2008, 1, 585 ss. (10) Cfr. Cass., sez. III pen., 19 luglio 2011, n. 28724. PARTE SECONDA 655 che la disciplina della confisca per equivalente ha funzione sostanzialmente riparatoria e ripristinatoria della situazione economica modificata in favore del reo dalla commissione dell’illecito penale attraverso l’imposizione di un sacrificio patrimoniale di corrispondente valore (11). Tale disciplina è stata, come detto, estesa alla materia tributaria mediante l’art. 1, 143o comma, della l. n. 244 del 2007 (legge finanziaria 2008) (12), frutto di un’esigenza avvertita dagli organi competenti, i quali hanno indivi- duato nelle misure ablative lo strumento giuridico atto a recuperare le somme dovute a saldo dell’obbligazione tributaria originatasi a seguito dell’attività di accertamento, nonché dell’eventuale condanna in sede giudiziaria (13). Emerge, pertanto, la diversità dello strumento dalla tradizionale confisca diretta, di cui all’art. 240 del codice penale la quale come accennato attribui- sce al giudice la facoltà, in caso di condanna, di sottrarre al soggetto, ricono- sciuto autore di un reato, i beni di cui dispone, dimostrando che questi ultimi sono legati al reato da un nesso c.d. di pertinenzialità, costituendone il pro- dotto, il profitto (confisca facoltativa), ovvero il prezzo (confisca obbligato- ria) (14). Con la confisca per equivalente, introdotta nel codice penale dal- l’art. 3, della l. 29 settembre 2000, n. 300, tale dimostrazione ad oggi non è più necessaria. L’istituto in epigrafe prevede, in deroga alle disposizioni in materia pe- nale, la ripresa di beni nella disponibilità del reo, per un valore equivalente al

(11) Cfr. Cass., sez. III pen., 24 settembre 2008, n. 39172; nonché Cass., sez. III pen., 26 maggio 2010, n. 29724. (12) In generale sulla confisca per equivalente nel sistema penale tributario, si veda C. Santoriello, Natura sanzionatoria della confisca per equivalente prevista per i reati tri- butari, cit., M. Meoli, La confisca nei reati tributari: limiti e possibilità di procedere per equivalente,inFisco, 2008, 1, 6142; G. Pezzuto - P. Consiglio, La confisca per equivalen- te nel sistema penale tributario,inRiv. Guard. fin., 2008, 388; G. Soldi, La confisca per equivalente nei reati tributari,inRiv. dir. trib., 2007, III, 17. (13) Si veda, in generale sulla confisca per equivalente, G.L. Soana, Introdotta la confisca per equivalente anche nel diritto penale tributario,inGiur. trib., 2008, 1 ss.; S. Capolupo, Finanziaria 2008: estesa ai reati fiscali la confisca per equivalente,inFisco, 2008, 585; R. Brichetti, Confisca anche per i vecchi reati tributari,inGuida dir.,6, XXXI; G.L. Soana, I reati tributari, Milano, 2008, XX, 467; nonché I. Caraccioli, La con- fisca per equivalente ed il sequestro preventivo nei reati tributari,inGuida ai controlli fi- scali, 2008, 3, 3 ss. (14) Cfr. Cass., sez. un., 22 novembre 2005, n. 41936, che, tra l’altro, riporta sche- maticamente alcune conclusioni della giurisprudenza di legittimità in ordine all’applicazio- ne della confisca per equivalente (e del sequestro ad essa finalizzato). Essa si esime dallo stabilire quel rapporto di pertinenzialità tra reato e provvedimento ablatorio dei proventi illeciti, che caratterizza invece la misura ex art. 240 c.p. Fermo restando, cioè, il presup- posto della consumazione di un reato, non è più richiesto alcun rapporto tra il reato e i beni da confiscare, potendo essere detti beni diversi dal provento (profitto o prezzo) del reato stesso; costituendo una forma di prelievo pubblico a compensazione di prelievi ille- citi, viene ad assumere un carattere preminentemente sanzionatorio. Richiede, oltre alla ravvisabilità di uno dei reati per i quali è consentita e alla non appartenenza dei beni a un terzo estraneo, che nella sfera giuridico-patrimoniale del responsabile non sia stato rinve- nuto, per una qualsivoglia ragione, il prezzo o profitto (di cui sia però certa l’esistenza) del reato. Da ultimo, si veda, inoltre, Cass., sez. III pen., 12 aprile 2012, n. 20676, la quale conferma che il nesso di pertinenzialità che deve, ordinariamente, legittimare il se- questro preventivo, nel caso di specie non è richiesto o, meglio, si pone a monte e riguar- da il rapporto tra l’ipotizzato prezzo o profitto del reato e la stessa fattispecie delittuosa per cui si procede. 656 DIRITTO E PRATICA TRIBUTARIA N. 4/2014 profitto conseguito, indipendentemente dal loro collegamento, diretto o indi- retto, con il fatto di reato. Ciò sia laddove non sia possibile individuare il be- ne oggetto del profitto, sia laddove questo non sia presente essendo il vantag- gio economico della condotta illecita dato da un risparmio di spese dovu- te (15). Se si osserva, in materia di illeciti penal-tributari, generalmente, il profit- to del reato si realizza attraverso il mancato pagamento dell’imposta dovuta e, dunque, non già con il conseguimento di un provento in denaro ma me- diante un risparmio economico, che, in quanto tale, non può essere assogget- tato a confisca ex art. 240 del codice penale. Pertanto, nella vigenza della l. 7 agosto 1982, n. 516, introduttiva del doppio binario, e, poi, con il d.lgs. 10 marzo 2000, n. 74, si è registrata l’inoperatività, se non la vera e propria impossibilità, di sottoporre a seque- stro, prima, e a confisca, poi, il profitto dei reati in materia di evasione di im- poste (16). A tal uopo, è stato osservato che, laddove il profitto venga conseguito attraverso somme di denaro, la confisca sarà possibile solo qualora vi siano sufficienti indizi per ritenere che il denaro di provenienza illecita sia stato, ad esempio, depositato in un conto bancario od investito in titoli che divengono, poi, oggetto del provvedimento cautelare reale (17) od, al più, laddove questa abbia ad oggetto beni che siano il frutto del diretto reimpiego da parte del- l’autore del denaro illecitamente conseguito. In tal senso, dunque, come osservato per i reati contro la Pubblica Am- ministrazione, dal 2008 è stata garantita l’applicazione del sequestro per equi- valente anche a tutti i reati tributari, con eccezione dell’occultamento o di- struzione di scritture contabili previsto all’art. 10 del d.lgs. n. 74 del 2000 (18).

(15) Cfr. art. 321 del codice di procedura penale, il quale circa l’oggetto del seque- stro preventivo precisa: 1. Quando vi è pericolo che la libera disponibilità di una cosa per- tinente al reato possa aggravare o protrarre le conseguenze di esso ovvero agevolare la commissione di altri reati, a richiesta del pubblico ministero il giudice competente a pro- nunciarsi nel merito ne dispone il sequestro con decreto motivato. Prima dell’esercizio del- l’azione penale provvede il giudice per le indagini preliminari. 2. Il giudice può altresì di- sporre il sequestro delle cose di cui è consentita la confisca. (16) In un tale contesto, il sequestro risulta ammissibile allorquando il bene si iden- tifichi in quello che l’autore del reato apprende alla sua disponibilità per effetto diretto ed immediato dell’illecito ovvero in quello realizzato come conseguenza anche indiretta o me- diata della sua attività criminosa. Cfr. Cass., 21 ottobre 1994, n. 2315, ove è stata valutata la legittimità di un sequestro di un appartamento che era stato acquistato con i proventi del reato di concussione. (17) Si veda, Cass., 25 marzo 2003, n. 23773, nella quale la Suprema Corte statuisce che la fungibilità del denaro e la sua funzione di mezzo di pagamento non impone che il sequestro debba necessariamente colpire le medesime specie monetarie illegalmente perce- pite bensì la somma corrispondente al loro valore nominale presente nel conto ove queste sono state depositate. (18) In particolare, l’art. 1, 143o comma, della legge finanziaria per il 2008 (l. 24 di- cembre 2007, n. 244), stabilisce che: nei casi di cui agli articoli 2, 3, 4, 5, 8, 10-bis, 10- ter, 10-quater e 11, del d.lgs. 10 marzo 2000, n. 74, si osservano, in quanto applicabili, le disposizioni di cui all’articolo 322-ter del codice penale. Il legislatore fa riferimento, nella redazione della norma, alla significativa esperienza giudiziaria maturata al riguardo. Si ve- da, ad esempio, l’art. 11 della l. n. 146 del 2006, in vigore dal 12 aprile 2006, che prevede la possibilità di procedere al sequestro preventivo finalizzato alla confisca anche per equi- PARTE SECONDA 657

La norma ha, pertanto, esteso l’intero disposto di cui all’art. 322-ter, an- che alle ipotesi di delitti tributari dichiarativi, alla fattispecie di emissione di fatture per operazioni inesistenti ed al delitto di sottrazione fraudolenta al pa- gamento delle imposte, nella misura in cui sia possibile individuare il profitto conseguito dall’agente per sottoporlo a misura ablativa, ovvero, ove ciò non si riveli possibile, si rende imprescindibile la necessità di verificare la possi- bilità di avvalersi dell’istituto della «confisca per equivalente» teso a colpire i beni di valore equivalente al tributo non versato. Se si pongono tali premesse, dunque, appaiono alquanto incerti i risvolti della decisione in commento. Nonostante, infatti, tale assunto rappresenti l’odierno orientamento della giurisprudenza (19), è agevole comprendere il limitato significato applicativo del principio secondo cui la persona giuridica può essere oggetto di confisca diretta del prezzo o profitto del reato tributario, ma non di una confisca per equivalente, salvo ovviamente alterare la distinzione legislativamente prevista tra confisca diretta e confisca di valore (20). A sostegno di ciò, infatti, si rileva che nonostante, ad oggi, agli organi inquirenti è consentito aggredire, mediante lo strumento della confisca diretta del profitto del reato, le disponibilità finanziarie anche presso una persona giuridica, tuttavia per la maggior parte dei reati tributari non è agevole colle- gare direttamente tali beni come profitto del reato in capo ad una società. Per tale ragione gli stesi organi inquirenti sono generalmente predisposti ad ag- gredire i beni in previsione della confisca per equivalente e non diretta. Quanto sostenuto, in realtà appare altresì criticabile in quanto potrebbe condurre il futuro ragionamento della Corte (e degli interpreti del diritto in generale) all’analisi diabolica circa la valenza del concetto di beni fungibili in previsione della necessaria riconducibilità al profitto del reato.

valente, nei casi di reati transnazionali, per i quali la confisca delle cose che ne costituisco- no il prodotto, il profitto o il prezzo del reato, non sia possibile. L’istituto è stato applicato ai reati tributari, per la prima volta in Italia, nel corso di un’inchiesta penale avviata dalla Procura della Repubblica di Trento, sottoponendo a sequestro denaro, beni ed altre utilità per circa due milioni di euro, in seguito ad un’indagine condotta, congiuntamente dalla Guardia di finanza e dall’Agenzia delle Dogane, nei confronti di un’organizzazione crimi- nale volto alla realizzazione di una frode carosello all’iva a carattere transazionale, di in- genti proporzioni, realizzata attraverso la costituzione di numerose attività off shore, inizial- mente nel Liechtenstein e successivamente nelle Antille Olandesi, nelle Isole Vergini Bri- tanniche, nello stato Usa del Delaware, nel Principato di Monaco e a Cipro. In ordine allo stesso procedimento e all’applicabilità della misura ai reati tributari, dopo l’entrata in vigo- re dell’art. 1, 143o comma, della l. n. 244 del 2007, si veda, Cass., sez. III pen., 9 dicem- bre 2009, n. 46855. (19) Si veda, inoltre, Cass., sez. III, 31 luglio 2013, n. 33182, la cui massima preci- sa che in tema di reati tributari, la persona giuridica beneficiaria delle irregolarità tribu- tarie non può essere considerata persona estranea al reato e può, quindi, essere destina- taria di sequestro preventivo che aggredisca il prezzo o il profitto del reato commesso dall’amministratore, ma non esserlo in relazione a beni diversi aggredibili con lo stru- mento preventivo per equivalente, a meno che la persona giuridica sia in concreto priva di autonomia e rappresenti solo uno schermo attraverso cui l’amministratore agisca come effettivo titolare. (20) In tal senso, si osservi il dettato normativo dell’art. 322-ter,3ocomma, c.p., il quale espressamente richiede la determinazione dei beni da parte del giudice. 658 DIRITTO E PRATICA TRIBUTARIA N. 4/2014

3. – Il processo evolutivo giurisprudenziale in vista della concreta applicabi- lità della misura alle persone giuridiche

Nelle more della sentenza in commento, si riconosce il lavoro certosino dei Giudici di legittimità nel dirimere il contrasto giurisprudenziale sul tema dell’applicabilità del sequestro preventivo finalizzato alla confisca per equiva- lente ai beni delle persone giuridiche. In primis, la Corte sottolinea come vi sia un orientamento che considera la società quale soggetto diverso dal terzo estraneo al reato in quanto parteci- pa alla utilizzazione degli incrementi economici che ne derivano. La pronuncia si riferisce a quel filone giurisprudenziale che comprende (su tutte) le sentenze nn. 28731 del 2011, 17485 del 2012 e 38740 del 2012. La Cassazione ha ampiamente riconosciuto che, pur se la responsabilità dell’ente ha una sua autonomia, è imprescindibile il suo collegamento alla oggettiva realizzazione del reato, integro in tutti gli elementi strutturali che ne fondano lo specifico disvalore, da parte di un soggetto, persona fisica, quali- ficato (21). Di conseguenza, i Giudici di legittimità riconoscono l’applicazione del principio solidaristico proprio del concorso nel reato, ai sensi del quale viene implicata l’imputazione dell’intera azione delittuosa e dell’effetto che ne con- segue in capo a ciascun concorrente. Più in particolare, si passa da una concezione di profitto di matrice indi- vidualistica ad una decisamente più ampia. La confisca di valore può interes- sare indifferentemente ciascuno dei concorrenti anche per l’intera entità del profitto accertato (entro logicamente i limiti quantitativi dello stesso), non es- sendo esso ricollegato, per quanto emerge dagli atti, all’arricchimento di uno piuttosto che di un altro soggetto coinvolto, bensì alla corresponsabilità di tutti nella commissione dell’illecito, senza che rilevi il riparto del relativo onere tra i concorrenti, che costituisce fatto interno a questi ultimi (22). Osserva, invero, la Corte con le sentenze 8 maggio 2009, n. 19764, e 30 giugno 2009, n. 26661, che, nell’ambito della criminalità d’impresa, vi è re- sponsabilità cumulativa dell’individuo e dell’ente collettivo, trovando ciò ri- scontro, sul piano dogmatico, nello schema concorsuale: il nesso tra le due responsabilità, quella della persona fisica e quella dell’ente, pur non identifi- candosi con la figura tecnica del concorso, ad essa è equiparabile, in quanto da un’unica azione criminosa scaturiscono una pluralità di responsabilità (23). Peraltro, il sistema tratteggiato dal legislatore con il d.lgs. n. 231 del 2001, istitutivo della c.d. responsabilità amministrativa per gli enti derivante da illecito penale, presuppone che persona fisica e persona giuridica rispon- dono ognuno per la propria parte. L’appartenenza dell’autore, persona fisica, all’ente è imprescindibile punto di partenza della complessiva vicenda criminosa, nel senso che è pro-

(21) In materia di rilevabilità penale dei comportamenti delle persone giuridiche si veda, su tutti, F. Sgubbi, Gruppo societario e responsabilità delle persona giuridiche ai sensi del decreto 231/2001,inResp. amm. soc. e enti, Torino, 2006, 1, 7. (22) Cfr. su tutte, Cass., sez. II pen., 14 giugno 2006, n. 31989; Cass., 20 settembre 2007, n. 38599; Cass., 21 febbraio 2007, n. 9786; Cass., 20 dicembre 2006, n. 10838; non- ché Cass., 6 luglio 2006, n. 30729. (23) Si veda, Cass., sez. VI pen., 8 maggio 2009, n. 19764 e Cass., sez. VI pen., 30 giugno 2009, n. 26661. PARTE SECONDA 659 prio la condotta della persona fisica, posta in essere nell’interesse o a vantag- gio dell’ente, a determinare l’estensione a questo della responsabilità per il reato commesso nel suo interesse o a suo vantaggio. La Corte di Cassazione, nella sent. 8 maggio 2009, n. 19764, sostiene, ap- punto, che nella fattispecie concreta, [...] sono ravvisabili tutti gli elementi co- stitutivi della responsabilità individuale e di quella dell’ente, con l’effetto che la valutazione in ordine alla legittimità della cautela reale adottata non può es- sere fatta nell’ottica di una sorta di «deresponsabilizzazione» delle persone fi- siche, soltanto perché il profitto del reato sarebbe andato a vantaggio dell’en- te societario. Il sequestro preventivo funzionale alla confisca di valore, pertan- to. Osserva ancora la Suprema Corte che ben può incidere contemporaneamen- te sia sulle persone fisiche indagate per il reato di corruzione attiva sia sull’en- te societario che ha tratto profitto dal reato, e ciò in base rispettivamente alle disposizioni di cui all’art. 321 c.p.p., 2o comma in relazione all’art. 322-ter c.p. e all’art. 53 in relazione al d.lgs. n. 231 del 2001, art. 19. Come detto, infatti, sulla base delle comuni responsabilità della persona fisica e di quella giuridica e avuto riguardo all’unicità del reato come fatto ri- feribile a entrambe, deve trovare applicazione il principio solidaristico che in- forma lo schema concorsuale, con la conseguenza che il sequestro preventivo funzionale alla confisca per equivalente può interessare indifferentemente cia- scuno dei soggetti indagati anche per l’intera entità del profitto accertato, con il limite, però, che il vincolo cautelare d’indisponibilità non deve essere esor- bitante. In realtà, peraltro, tale vincolo non deve eccedere, nel complesso, il valore del detto profitto e non deve determinare ingiustificate duplicazioni, posto che dalla unicità del reato non può che derivare l’unicità del profit- to (24). Quanto rilevato in tema di concorso, vale dunque anche nei rapporti fra persone fisiche e persona giuridica responsabile degli illeciti del d.lgs. n. 231 del 2001, il cui patrimonio sia stato sottoposto a sequestro. Nonostante, invero, le lacune del d.lgs. n. 231 del 2001, la Cassazio- ne (25) ha scelto inizialmente di superare l’estensibilità della capacità penale in capo all’ente, optando per il suo effettivo coinvolgimento in quanto in ogni caso a contatto con la fattispecie criminosa (26).

(24) Cfr. Cass., sez. V pen., 1o aprile 2004, n. 15445, secondo la quale è legittimo il sequestro preventivo, funzionale alla confisca di cui all’art. 322-ter del codice penale, ese- guito in danno di un concorrente del reato di cui all’art. 316-ter del codice penale (indebita percezione di erogazioni a danno dello Stato), per l’intero importo relativo al prezzo o pro- fitto dello stesso reato, nonostante le somme illecite fossero state incamerate in tutto o in parte da altri coindagati, in quanto, da un lato, il principio solidaristico, che informa la di- sciplina del concorso di persone nel reato, implica l’imputazione dell’intera azione delittuo- sa e dell’effetto conseguente in capo a ciascun concorrente e comporta solidarietà nella pe- na; dall’altro, la confisca per equivalente riveste preminente carattere sanzionatorio e può interessare ciascuno dei concorrenti anche per l’intera entità del prezzo o profitto accertato, salvo l’eventuale riparto tra i medesimi concorrenti che costituisce fatto interno a questi ul- timi e che non ha alcun rilievo penale. (25) Cfr. Cass., sez. III pen., 19 luglio 2011, n. 28731. (26) Nello stesso senso si veda A. Vannini, Il coinvolgimento dell’ente nell’illecito penale-tributario in assenza del reato presupposto,inGT - Riv. giur. trib., 2011, 944 ss.; A. Traversi, Confisca sui beni sociali per il reato tributario contestato al legale rappresen- tante,inCorr. trib., 2011, 2884; dello stesso A., Confisca sui beni sociali per il reato tri- butario contestato al rappresentante legale,inCorr. trib., 2011, 2884; nonché P. Corso, 660 DIRITTO E PRATICA TRIBUTARIA N. 4/2014

Tuttavia, ciò ha condotto sin da subito ad una riflessione sulle soluzioni adottate dal legislatore in relazione al binomio confisca per equivalente-reati tributari, la quale è stata oggetto di successiva valutazione da parte della Cor- te nella sentenza in commento. A tal uopo, in un contesto in cui la logica del profitto nell’interesse del- l’ente è strutturale alla condotta posta in essere dall’autore materiale del rea- to, sì che devono ravvisarsi nella loro massima estensione le ragioni per cui è stato adottato il sistema della responsabilità degli enti. In pratica, innanzi a una fenomenologia criminosa intimamente connessa a dinamiche societarie e/o commerciali, qual è quella dei delitti tributari, la prospettiva non dovreb- be che essere quella di azzerare il vantaggio economico patrimoniale incame- rato da quella figura di contribuente-persona giuridica che, per mezzo dei propri organi, ha commesso l’illecito fiscale. Ebbene, in contrasto con tale (primo) orientamento, la Cassazione pone l’assunto opposto, sostenendo che il sequestro preventivo non può applicarsi ai beni della società nel caso in cui si proceda per violazioni finanziarie com- messe dal legale rappresentante a vantaggio della stessa in quanto non è pos- sibile ricondurre la condotta in esame all’alveo dei «reati presupposto» ai sensi del d.lgs. n. 231 del 2001 (27). Alla luce di quanto esposto, si rileva altresì come la Corte di Cassazio- ne, con sentenza 10 settembre 2012, n. 34505, abbia precisato che per proce- dere al sequestro preventivo sulla base dell’articolo 53 del d.lgs. 231, deve essere verificato dal giudice un fumus delicti «allargato», che finisce per coincidere sostanzialmente con il presupposto dei gravi indizi di responsabi- lità dell’ente, al pari di quanto accade per l’emanazione delle misure caute- lari interdittive. Sicché i gravi indizi coincideranno con quegli elementi a ca- rico, di natura logica o rappresentativa, anche indiretti, che sebbene non val- gono di per sé a dimostrare oltre ogni dubbio l’attribuibilità dell’illecito al- l’ente con la certezza propria del giudizio di cognizione, tuttavia globalmente apprezzati nella loro consistenza e nella loro concatenazione logica, consen- tono di fondare, allo stato, una qualificata probabilità di colpevolezza (28). Nel caso delle regole sulla responsabilità amministrativa-penale delle so- cietà l’apprezzamento dei gravi indizi deve portare il giudice a ritenere l’esi- stenza di una ragionevole e consistente probabilità di responsabilità, in un

Valido il sequestro preventivo sui beni dell’ente anche in assenza di responsabilità ammi- nistrativa, ivi, 2011, 3205. (27) Tale orientamento è stato suggerito dalle note sentenze della medesima Corte nn. 25774 del 2012, 15349 del 2013, 22980 del 2013 e 42350 del 2013. (28) Cfr. Cass., sez. VI pen., 10 settembre 2012, n. 34505, la quale, in particolare, ha chiarito che le misure interdittive e reali del d.lgs. n. 231 sono poste sullo stesso piano perché sono destinate ad anticipare l’applicazione di sanzioni principali e obbligatorie, sanzioni subordinate all’accertamento della responsabilità del l’ente. Di conseguenza, in questa materia un controllo dei presupposti del sequestro limitato alla sola sussumibilità della fattispecie concreta nell’ipotesi delittuosa individuata dal pubblico ministero appare del tutto inadeguato proprio in quanto la misura cautelare è diretta ad anticipare gli effetti di una sanzione principale. Nel caso di specie, i Giudici rilevano come il Tribunale di Monza si sia limitato a compiere l’accertamento del fumus delicti in base al criterio del- l’astratta sussumibilità della fattispecie concreta in quella legale; pertanto, la Corte annulla l’ordinanza che aveva approvato il sequestro di circa 14 milioni nei confronti della Codelfa s.p.a. nell’ambito delle indagini sugli appalti della Milano Serravalle, e rinvia la questione al tribunale che dovrà ora accertare l’esistenza dei gravi indizi. PARTE SECONDA 661 procedimento che avvicina la prognosi sempre più a un giudizio sulla colpe- volezza, sebbene presuntivo in quanto condotto allo stato degli atti, ma riferi- to alla complessa fattispecie di illecito amministrativo attribuita all’ente in- dagato.

3.1. – (Segue): la confisca sui beni sociali per il reato tributario conte- stato al rappresentante legale

Come detto, la sentenza in commento rappresenta un tentativo dei Giudi- ci di legittimità di metter fine al contrasto interpretativo mediante il supera- mento di un orientamento del tutto appiattito ad un concetto punitivo di con- fisca per equivalente, proprio della giurisprudenza della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo. Il riferimento è invero a tutte le problematiche sottese all’applicazione della misura reale della confisca per equivalente in presenza di reati commes- si dai rappresentanti legali o di fatto dell’ente-persona giuridica. In effetti, la giurisprudenza soprattutto negli ultimi tempi sta volgendo la propria attenzione a tali fattispecie rendendo sempre più complessa l’attività dell’interprete (29). Nella parte motiva della sentenza, si è, infatti, evidenziato che la disci- plina della «confisca per equivalente», di cui all’art. 322-ter del codice pena- le, a differenza del confisca tout court, è applicabile solo nei confronti del reo e non anche nei confronti di soggetti da esso diversi tra i quali deve cer- tamente ricomprendersi anche la persona giuridica in nome della quale questi ha illecitamente agito. Ebbene, una tale impossibilità si giustifica sulla mancata previsione di cui al d.lgs. 8 giugno 2001, n. 231, salva l’ipotesi in cui la persona giuridica stessa sia in concreto priva di autonomia e rappresenti solo uno schermo at- traverso cui l’amministratore agisca come effettivo titolare (30). Di conseguenza, l’effettiva applicabilità della misura si sostanzia sull’ac- certamento della piena autonomia della società, la cui negazione viene letta come espediente fraudolento non dissimile dalla figura dell’interposizione fit- tizia; con la conseguenza che il denaro o il valore trasferito devono ritenersi ancora pertinenti, sul piano sostanziale, alla disponibilità del soggetto che ha commesso il reato, in «apparente» vantaggio dell’ente ma, nella sostanza, a favore proprio. Ebbene, il tutto è condito da una sostanziale opera critica della Cassazio- ne a sezioni unite sul tema del concorso e responsabilità penale delle società, ovvero su come la responsabilità della persona giuridica sia da considerarsi aggiuntiva e non sostitutiva di quella delle persone fisiche, che resta regolata dal diritto penale comune. Maggiori dubbi vengono sollevati circa le interpretazioni giurispruden- ziali precedenti e contrarie, secondo le quali il criterio d’imputazione del fatto all’ente è dato dalla commissione del reato a vantaggio o nell’interesse del medesimo ente da parte di determinate categorie di soggetti.

(29) Sul punto, G. Giangrande, La confisca per equivalente nei reati tributari: tra le- galità ed effettività, retro, 2013, 173. (30) Si veda il punto n. 2.8 della sentenza di Cassazione a sezioni unite 5 marzo 2014, n. 10561, in commento. 662 DIRITTO E PRATICA TRIBUTARIA N. 4/2014

Nonostante, infatti, da ciò possa emergere una convergenza di responsa- bilità (31), i giudici di legittimità precisano che il rapporto tra ente ed un suo organo si basa esclusivamente su specifiche disposizioni di legge e non su una loro indiscussa commistione (anche in termini punitivi). In tal senso, la Corte è di parere opposto rispetto alla nota sentenza Bur- lando (32), ai sensi della quale non è necessario affermare una responsabilità amministrativa dell’ente, rilevante per il d.lgs. n. 231 citato, in quanto risulta sufficiente e prevale l’aspetto fattuale del vantaggio (33). Il tutto muove dalla necessità del legislatore di tipizzare la responsabilità (seppur solo amministrativa) di tali soggetti di diritto, mediante il decreto n. 231 del 2001, il quale tuttavia (si contesta) non prevede i reati tributari fra quelli per cui è prevista tale responsabilità. Invero, i punti criticati dalla Corte sono molteplici ed imperniati sulla di- stinzione di matrice civilistica tra società, socio ed amministratore (34) non- ché sulla lacuna legislativa poc’anzi evidenziata. Pertanto, risulta fondamentale sottolineare che dal rapporto di immedesi- mazione organica non si possano trarre conseguenze che violano il carattere personale della responsabilità penale e soprattutto comportano il ricorso alla analogia in malam partem, in quanto viene consentita, mediante il combinato

(31) Per responsabilità deve intendersi il fatto della persona fisica, cui è riconnessa la responsabilità anche della persona giuridica, il quale va considerato «fatto» di entrambe (persona fisica e persona giuridica), per entrambe antigiuridico e colpevole, con l’effetto che l’assoggettamento a sanzione sia della persona fisica che di quella giuridica s’inquadra nel paradigma penalistico della responsabilità concorsuale. (32) Nei fatti, la Cass., sez. III pen., 7 giugno 2011, n. 28731, si è pronunciata circa la legittimità del decreto di sequestro preventivo funzionale alla confisca per equivalente sui beni dell’amministratore della società di capitali Burlando e sui beni dello stesso ente ipotizzando il delitto di frode fiscale commessa mediante occultamento e distruzione della contabilità. Il provvedimento del G.i.p. era motivato osservando che i beni dell’ente erano suscettibili di sequestro in quanto il profitto dell’illecito commesso dall’amministratore era confluito nel patrimonio della società. Quest’ultima, pertanto, non poteva invocare la pro- pria qualità di persona estranea al reato. La Burlando, dunque, ricorreva in Cassazione av- verso il provvedimento di rigetto dell’istanza di riesame argomentando che la responsabilità delle persone giuridiche prevista dal d.lgs. n. 231 del 2001 per i reati commessi a loro van- taggio dagli amministratori non si estende ai reati tributari. Il rinvio che la l. n. 244 del 2007 ha compiuto all’art. 322-ter c.p. deve essere interpretato in senso restrittivo ed in con- formità ai principi costituzionali e di diritto comunitario per evitare che una persona giuri- dica sia colpita nel patrimonio da misure sanzionatorie non previste dalla legge e senza possibilità di difesa. Si contestava infine che l’indagato non aveva la disponibilità dei beni societari e che il vincolo su questi ultimi di fatto impediva il pagamento dell’imposta eva- sa. (33) Sul concetto di vantaggio, si veda D. Pulitanò, La responsabilità da reato degli enti: i criteri di imputazione,inRiv. it. dir. proc. pen., 2002, 424; A. Manna, La c.d. re- sponsabilità amministrativa delle persone giuridiche: il punto di vista del penalista,in Cass. pen., 2003, 1114; M. Pellissero, La responsabilità degli enti, in F. Antolisei (a cura di C.F. Grosso), Manuale di diritto penale. Leggi complementari, Milano, 2007, 863 ss.; A. Bassi - T. Epidendio, Enti e responsabilità da reato, Milano, 2006, 163 ss.; S. Vinciguerra, La struttura dell’illecito, in S. Vinciguerra - M. Ceresa Gastaldo - A. Rossi, La responsa- bilità dell’ente per il reato commesso nel suo interesse, Padova, 2004, 23. (34) Ciò è tanto vero che difficilmente si potrebbe trovare una ragione giuridica ade- guata per impedire all’ente ed ai soci di costituirsi parte civile nei confronti dell’ammini- stratore processato per reati fiscali ove ravvisassero profili di colpa penale dello stesso sen- za che ricorra il caso della rottura del rapporto di immedesimazione organica. PARTE SECONDA 663 disposto tra la l. n. 244 del 2007 e l’art. 322-ter c.p., l’ablazione dei beni del- la società per i reati tributari in ordine ai quali il legislatore, attraverso il d.l- gs. n. 231 del 2001 citato, ha stabilito la non confiscabilità dei beni dell’ente con evidente violazione dei principi della personalità della responsabilità pe- nale e di legalità, peraltro costituzionalmente garantiti ex artt. 25 e 27 Cost.

3.2. – (Segue): sull’autonomia societaria

Sulla scia di quanto argomentato, la Corte rileva, seppur marginalmente, che l’inapplicabilità della misura della confisca per equivalente ai beni della persona giuridica sarebbe superabile solo nel caso in cui una struttura azien- dale costituisca un apparato fittizio utilizzato dal reo per commettere gli ille- citi (35). La precisazione è doverosa e dimostra l’impegno dei Giudici volto ad evitare fenomeni di interposizione fittizia che, a differenza delle operazioni caratterizzate dal requisito di transnazionalità, non possono usufruire della tu- tela di cui all’art. 10, l. 16 marzo 2006, n. 146 (36). Di conseguenza, si ritiene che ogni cosa fittiziamente intestata alla so- cietà è immediatamente riconducibile alla disponibilità dell’autore del reato, in quanto la trasmigrazione del profitto del reato in capo all’ente non si at- teggia alla stregua di trasferimento effettivo di valori, ma quale espediente fraudolento (37). Pertanto, solo alla luce di una tale azione eminentemente fraudolenta è possibile in ogni caso l’utilizzo della misura della confisca per equivalente in capo alla persona giuridica, da intendersi quale mero strumento dell’operazio- ne illecita posta in essere dal reo (38). Detto ciò, appare determinante il requisito dell’autonomia societaria qua- le presupposto affinché possa aver luogo la confisca per equivalente. Invero, solo accertando il meccanismo dello schermo societario è possi- bile aggredire (per equivalente) i beni appartenenti alla persona giuridica in quanto, essendo priva di autonomia, essi devono ritenersi ancora pertinenti,

(35) La Corte, in tal caso, ha preso atto delle numerose sentenze sul tema, tra le qua- li: Cass., sez. III, 26 settembre 2013, n. 42638; Cass., sez. III, 20 settembre 2013, n. 42476; Cass., sez. III, 10 luglio 2013, n. 42350; Cass., sez. III, 14 maggio 2013, n. 33182; Cass., sez. III, 23 ottobre 2012, n. 15349; Cass., sez. III, 19 settembre 2012, n. 1256; Cass., sez. III, 4 luglio 2012, n. 33371; Cass., sez. III, 14 giugno 2012, n. 25774; nonché Cass., sez. VI, 12 ottobre 2010, n. 42703. (36) Si veda, in tal seno, Cass., sez. III, 10 gennaio 2013, n. 1256, conf. Cass., sez. III, 28 febbraio 2013, n. 9576, dove emerge l’irragionevolezza dell’attuale assetto normati- vo, in base al quale con riferimento ai reati tributari compiuti nell’ambito dei fenomeni as- sociativi a carattere transnazionale è possibile ravvisare la responsabilità della persona giu- ridica ed operare la confisca per equivalente dei beni della società coinvolta diversamente da ciò che avverrebbe, in assenza di tale presupposto, anche a fronte di un ammontare maggiore di imposte evase. (37) La sentenza in commento riprende, in tale occasione, pronunce precedenti tra cui si veda Cass., sez. III, 3 aprile 2013, n. 15349; Cass., sez. III, 19 agosto 2012, n. 33371; Cass., sez. III, 4 luglio 2012, n. 25774. (38) Cfr. Cass., 4 luglio 2012, n. 25774; Cass., 3 aprile 2013, n. 15349; Cass., 29 agosto 2012, n. 33371, ove si evidenzia anche l’irrilevanza, con riferimento alle persone giuridiche, del cosiddetto rapporto di immedesimazione organica del reo con l’ente del qua- le, con compiti o poteri vari, egli fa parte; cfr. altresì Cass., 27 marzo 2013, n. 32958. 664 DIRITTO E PRATICA TRIBUTARIA N. 4/2014 sul piano sostanziale, alla disponibilità del soggetto che ha commesso il rea- to, in «apparente» vantaggio dell’ente ma, nella sostanza, a favore pro- prio (39).

3.3. – Lo «strano» destino del d.lgs. n. 231 del 2001

La pronuncia in esame consente, inoltre, una riflessione sulla disciplina del citato d.lgs. n. 231 del 2001. Una volta per tutte, infatti, i Giudici di legittimità denunciano la lacuna legislativa rappresentata dal mancato inserimento dei reati tributari nella lista dei reati presupposto di illecito a carico degli enti societari (40). Dopo aver sottolineato, invero, che la portata in Italia della responsabili- tà (solo amministrativa) delle persone giuridiche è sancita dal d.lgs. 8 giugno 2001, n. 231, e denunciato la sua incompletezza, la Corte si è inutilmente in- terrogata sull’esistenza di una base normativa per la confisca per equivalente in capo alla persona giuridica per i reati tributari commessi dai suoi organi. Si rileva, quindi, che la persona giuridica, alla luce dell’attuale assetto normativo, è incapace di rappresentare l’autore del reato ovvero il «concor- rente» dello stesso, in quanto il predetto decreto non contempla i reati tribu- tari fra quelli per cui è prevista tale responsabilità amministrativa della per- sona giuridica. Ciò detto, appare interessante una valutazione tout court circa l’effettivo rispetto delle esigenze di tutela delle entrate tributarie, ovvero la ratio del contestato decreto. Paradossalmente, infatti, la gravità dell’omissione (dovuta, in parte, al- l’utilizzo di una forma di rinvio all’art. 322-ter del codice penale ritagliato sulla struttura dei delitti di corruzione) emerge in modo evidente con riferi- mento alle ipotesi di commissione di un reato tributario nell’interesse o a vantaggio della persona giuridica. Se, ad esempio, il contribuente-persona fisica commette un delitto tribu- tario, egli subirà la misura della confisca, eventualmente anche, per equiva- lente, mentre tale eventualità non è contemplata nell’ipotesi di divergenza tra autore del fatto criminoso ed effettivo beneficiario del profitto dell’illecito, non risultando (di fatto) possibile colpire il patrimonio del fruitore dell’eva- sione fiscale. Ebbene, quanto detto sembra rispondere ad una scelta politico-criminale del tutto discutibile. È fisiologico, infatti, che gli adempimenti tributari di maggiore spessore e consistenza, quali sono quelli che onerano le organizza- zioni complesse strutturate in forma societaria e, spesso, di gruppo, concretiz- zano ben precise scelte di politiche di impresa cui conseguono vantaggi inde- biti soprattutto per l’ente. Alla luce delle istanze provenienti dai Giudici di legittimità, pertanto,

(39) Si veda punto 2.8 della sentenza in commento. (40) Nello stesso senso si veda, su tutte, Cass., 4 luglio 2012, n. 25774, la quale esclude l’applicabilità della misura della confisca per equivalente sui beni dell’ente, in caso di reati tributari posti in essere dal rappresentante legale della società nell’interesse della stessa. Tali fattispecie, infatti, continua la Corte, non rientrano tra i reati presupposto di cui al d.lgs. n. 231 del 2001, a meno che tuttavia la società non rappresenti un mero apparato fittizio, utilizzato dal reo proprio per porre in essere i reati di frode fiscale o altri illeciti. PARTE SECONDA 665 proprio considerando la specificità della materia, sembra oltremodo irragione- vole escludere la confisca (anche) per equivalente nei confronti delle società, cioè di «contribuenti» che, producendo ricchezze significative, rappresentano i protagonisti principali del rapporto tributario e, al contrario, affatto riduttivo punire il solo autore-persona fisica. In tal senso, dunque, il modello di responsabilità amministrativa degli enti derivante da reato, di cui al d.lgs. n. 231 del 2001, pur rappresentando ancora il mezzo più adatto a costituire un’efficace barriera di contrasto alla perpetrazione di crimini finalizzati all’ottenimento di benefici economici degli enti nel cui interesse e vantaggio abbiano agito gli organi in posizione apicale (o abbiano omesso il controllo sull’agire dei dipendenti) (41), seguendo il te- nore letterale della norma che non contempla i reati tributari tra quelli «pre- supposti», non consente un concreto soddisfacimento delle esigenze erariali. La Corte, tuttavia, nel segnalare tali irrazionalità, auspica una modifica normativa che rischia di tramutarsi in un macigno per il legislatore. Appare rilevante, a tal uopo, sottolineare il peso specifico che in una si- mile circostanza assumerebbe la sensazione di ingiustizia propria di tali in- coerenze normative. Invero, le stesse, che sottolineano un’estrema debolezza dell’attività legislativa, potranno facilmente condurre verso un complesso riassestamento di concetti e principi giuridici ormai consolidati la cui tenuta sistematica e la cui applicazione/apertura a nuove questioni potrebbe concre- tizzare situazioni peggiorative in termini economici, ma ancor di più in termi- ni di legalità rispetto all’annoso difetto al quale si intende porre rimedio.

4. – Conclusioni

La sentenza in questione ha di certo fornito uno spunto ulteriore (ancor- ché consolidato) circa l’analisi della materia penale-tributaria nell’ottica degli strumenti ablativi (42). Ebbene, nonostante la conclusione dei Giudici sia inevitabilmente condi- visibile, essa potrebbe tradursi in un vero e proprio boomerang. Sulla scia di quanto precisato nel paragrafo precedente, l’auspicata utiliz- zabilità della misura della confisca per equivalente in capo ai soggetti collet- tivi per reati tributari commessi dal legale rappresentante, allo stato normati- vo attuale, imporrebbe una riorganizzazione tanto ampia quanto eccessiva- mente complessa della struttura normativa del decreto. In pratica, occorrerebbe una modifica strutturale dell’impianto normativo della «responsabilità» delle persone giuridiche che necessariamente non ignori l’eccessivo accanimento che negli ultimi anni ha coinvolto tali entità. In altre parole, spunti critici si rilevano nell’eccessiva difficoltà che pre- sumibilmente potrà comportare la mera inclusione dei reati tributari nei reati presupposto di illecito a carico degli enti di cui al d.lgs. n. 231 del 2001. Il tutto alla luce del contesto di crisi che l’intero settore sta attraversando (e che andrebbe oltremodo a disincentivare la ripresa), nonché di un problema di

(41) Tale disincentivo si sostanzia anche in una duplice previsione sanzionatoria tesa da un lato a privare l’ente beneficiario dei profitti illecitamente accumulati e dall’altro ad interdirne, attraverso misure di diversa gradazione, l’illecita prosecuzione. (42) Sul tema, si veda, A. Vannini, Esclusa la confisca per equivalente a carico de- gli enti per i reati tributari commessi dagli amministratori,inCorr. trib., 2014, 1325. 666 DIRITTO E PRATICA TRIBUTARIA N. 4/2014 tecnica legislativa da utilizzare affinché si pervenga ad una concreta riorga- nizzazione dell’intero impianto normativo (ormai obsoleto e bisognoso di una profonda ristrutturazione). Pertanto, nonostante la sentenza in questione sia apprezzabile per aver definitivamente emesso, in vista della normativa attualmente esistente, un ver- detto di chiusura all’applicabilità della confisca per equivalente a carico della persona giuridica per il reato tributario dell’amministratore, nella parte in cui auspica un intervento legislativo in senso opposto omette (come spesso acca- de) di valutare e magari suggerire il percorso legislativo in grado di condurre alle conclusione fornite nonché l’impatto che una tale modifica potrebbe comportare in termini fattuali sulle realtà aziendali. La Corte ha sì riconosciuto e denunciato il problema, ma, omettendo di approfondirne la soluzione, ha a sua volta sollevato numerosi interrogativi che solo successivamente (ed in altre sedi) verranno presi in considerazio- ne (43). In tal senso, si precisa che la vera forza della funzione nomofilattica del- la Corte di Cassazione non sta tanto e solo nel ruolo istituzionale che essa as- sume (44), bensì nella capacità di prospettare le linee guida di un percorso argomentativo solido, in aderenza con le esigenze giuridiche del presente mo- mento storico.

avv. GIUSEPPE GIANGRANDE Dottorando di ricerca in Diritto degli affari e tributario dell’impresa

(43) Si veda, in tal senso, le modifiche alla disciplina del d.lgs. n. 231 del 2001, in- serite nell’art. 6, l. 11 marzo 2014, n. 23 (c.d. Legge delega fiscale). (44) Per ciò che concerne le funzioni della Corte di Cassazione, si veda l’art. 65 del- la legge sull’ordinamento giudiziario italiano (r.d. 30 gennaio 1941, n. 12). La responsabilità del cessionario o committente per l’omessa rego- larizzazione delle fatture emesse dal cedente o prestatore (*) La disposizione di cui all’art. 6, 8o comma, del d.lgs. 18 dicembre 1997, n. 471 (che ha abrogato l’art. 41, 6o comma, del d.p.r. 26 otto- bre 1972, n. 633) sancisce il solo obbligo, in capo al cessionario di un bene o al committente di un servizio che riceve una fattura irrego- lare, di supplire alle mancanze commesse dall’emittente in ordine alla identificazione dell’atto negoziale ed alla notizia dei dati di fatto fi- scalmente rilevanti, e non invece anche quello di controllare e sinda- care le valutazioni giuridiche espresse dall’emittente medesimo allor- ché quest’ultimo, in una fattura recante l’esatta annotazione di tutti i suddetti estremi, inserisca (eventualmente in modo erroneo) l’esplicita dichiarazione di non debenza dell’imposta.

Cass., sez. trib. (pres. Adamo, rel. Conti), 28 agosto 2013, n. 19743, Enron Metal & Commody Limited c. Agenzia delle entrate.

(Omissis). – Svolgimento del processo. – 1. – Sulla base di una verifica effettuata dalla Guardia di Finanza di Gorizia venivano conte- state alla Enron Motel & Commodity LTD ed a S.F., quale rap- presentante fiscale l’omessa regolarizzazione, per gli anni 1998, 1999, 2000 e 2001 di fatture per prestazioni di trasporto erroneamente emes- se dai fornitori della società in regime di non imponibilità.

2. – Avverso l’avviso di accertamento ricorreva la società contri- buente innanzi alla CTP di Gorizia che accoglieva il ricorso.

3. – L’Agenzia delle entrate proponeva quindi ricorso in appello e la CTR del Friuli Venezia Giulia, con sentenza del 14 ottobre 2010, accoglieva parzialmente l’impugnazione con specifico riguardo alla mancata regolarizzazione delle fatture di acquisto per trasporti, confer- mando la decisione di primo grado in ordine alla ritenuta violazione del d.p.r. n. 633 del 1972, art. 19.

3.1. – Osservava la CTR, rispetto alla questione relativa alla man- cata regolarizzazione delle fatture di acquisto per trasporto che, essen- do incontroversa l’imponibilità di tali servizi, incombeva sul cessiona- rio l’obbligo di regolarizzare l’errato trattamento fiscale applicato dal fornitore, alla stregua del d.lgs. n. 417 del 1997, art. 6, 8o comma. Di- sposizione, quest’ultima, che prevedeva in capo al cessionario un auto- nomo titolo di responsabilità indipendente rispetto a quello del presta- tore di servizio.

4. – S.F., in proprio e quale rappresentante fiscale e liquidatore della società Enron, ha proposto ricorso per cassazione, affidato ad un 668 DIRITTO E PRATICA TRIBUTARIA N. 4/2014 unico motivo, al quale ha resistito con controricorso l’Agenzia delle entrate.

Motivi della decisione. – 5. Con l’unico motivo proposto il contri- buente lamenta violazione e falsa applicazione del d.lgs. n. 471 del 1997, art. 6, 8o comma, in relazione all’art. 360, 1o comma, n. 3 c.p.c. Lamenta che il giudice di appello aveva erroneamente ritenuto il ces- sionario responsabile per l’inesatta fatturazione da parte del prestatore, estendendo in capo allo stesso un sindacato sulla legittimità o meno dell’iva che la legge non gli attribuiva come era reso palese, peraltro, da un consolidato orientamento di questa Corte.

6. – L’Agenzia delle entrate ha dedotto, nel controricorso, l’infon- datezza della censura, considerando che doveva ritenersi esistente, a carico del cessionario, un obbligo di diligente verifica in ordine all’im- ponibilità o meno della prestazione, come aveva affermato di recente Cass. n. 3427 del 2010. Ragion per cui la sentenza impugnata merita- va di essere confermata.

7. – La censura è fondata.

8. – Questa Corte ha di recente ribadito, confermando un indirizzo già consolidato – per il quale v. Cass., 8 marzo 2000, n. 2603 – che il d.p.r. 26 ottobre 1972, n. 633, art. 41, 5o comma, lett. b) (riformulato dal d.p.r. 29 gennaio 1979, n. 24 e dal d.l. 2 marzo 1989, n. 69, con- vertito in l. 27 aprile 1989, n. 154, poi abrogato dal d.lgs. 18 dicembre 1997, n. 471 e sostituito dalle disposizioni dell’art. 6 di quest’ultimo), in base al quale il cessionario di un bene od il committente di un ser- vizio, ricevendo fattura irregolare, è tenuto a «regolarizzare l’operazio- ne», con la presentazione di un documento integrativo contenente tutte le indicazioni prescritte dall’art. 21 e con il versamento dell’imposta dovuta, restando soggetto, in caso di omissione, anche a sanzione pe- cuniaria, implica il solo obbligo di supplire alle mancanze commesse dall’emittente in ordine alla identificazione dell’atto negoziale ed alla notizia dei dati di fatto fiscalmente rilevanti, e non invece anche quel- lo di controllare e sindacare le valutazioni giuridiche espresse dal- l’emittente medesimo allorché quest’ultimo, in una fattura recante l’esatta annotazione di tutti i suddetti estremi, inserisca (eventualmente in modo erroneo) l’esplicita dichiarazione di non debenza dell’imposta (dichiarazione prevista dal detto art. 21, 6o comma) – cfr. Cass. n. 19624 del 2009.

8.1. – Del tutto ininfluente, ai fini che qui interessano, risulta per converso il richiamo, operato dalla difesa erariale, a Cass. n. 3427 del 2010, lo stesso attenendo al ben diverso regime del c.d. margine che impone al cessionario particolari oneri di diligenza per fruire del siste- ma agevolativo in materia di iva sancito dal d.l. 23 febbraio 1995, n. 41, art. 36, convertito nella l. 22 marzo 1995, n. 85. PARTE SECONDA 669

8.3. – La CTR è dunque incorsa in errore, ritenendo di qualificare in capo al cessionario un obbligo di verifica in ordine alla regolarità del regime fiscale applicato dal prestatore e di individuare a carico del detto cessionario un autonomo titolo di responsabilità. 9. – Sulla base delle superiori considerazioni, il ricorso va accolto e la sentenza impugnata deve essere cassata. 10. – Non apparendo necessari ulteriori accertamenti in punto di fatto la causa può essere decisa nel merito ex art. 384 c.p.c., con l’ac- coglimento del ricorso dei contribuenti quanto al recupero iva per l’omessa regolarizzazione delle fatture di acquisto. 11. – Ricorrono giusti motivi per compensare le spese del giudi- zio di merito, mentre le spese del giudizio di legittimità vanno poste a carico dell’Agenzia. P.Q.M. – La Corte Accoglie il ricorso. Cassa la sentenza impugnata e decidendo nel merito accoglie il ri- corso del contribuente nei limiti di cui alla parte motiva. Compensa le spese del giudizio di merito e condanna l’Agenzia al pagamento delle spese del giudizio di legittimità che liquida in Euro 4.500,00 per compensi, Euro 200,00 per esborsi, oltre accessori come per legge. (Omissis).

(*) SOMMARIO: 1. La pronuncia dei giudici di legittimità. – 2. La responsabilità del cessio- nario o committente. – 3. Osservazioni conclusive.

1. – La pronuncia dei giudici di legittimità La fattispecie portata all’esame della Corte di Cassazione mette in evi- denza quali siano gli obblighi del cessionario di un bene o del committente di un servizio qualora riceva dal cedente o dal prestatore di servizi una fattura indicante un regime iva erroneamente applicato. La vicenda giudiziaria oggetto di esame è sorta in relazione al giudizio instaurato dalla società Enron Metal & Commody Limited (di seguito Enron) avverso l’avviso di accertamento emesso dall’Agenzia delle entrate sulla base di una verifica effettuata dalla Guardia di Finanza di Gorizia, a seguito della quale veniva contestata l’omessa regolarizzazione, per gli anni 1998, 1999, 2000 e 2001, di fatture per prestazioni di trasporto «escluse» da iva emesse dai fornitori della società. Nel caso specifico, la CTR di Trieste, a differenza di quanto deciso dai giudici di primo grado, osservava che, a seguito di emissione di fatture irre- golari, incombeva sul cessionario l’obbligo di regolarizzare l’errato trattamen- to fiscale applicato dal fornitore ai sensi del d.lgs. n. 471 del 1997, art. 6, 8o comma. La società decideva pertanto di proporre ricorso per cassazione, lamen- 670 DIRITTO E PRATICA TRIBUTARIA N. 4/2014 tando che il giudice di appello avesse erroneamente ritenuto il cessionario re- sponsabile per l’inesatta fatturazione da parte del prestatore, estendendo in capo allo stesso un sindacato di legittimità o meno dell’iva che la legge non gli attribuiva. La Suprema Corte, ripercorrendo la vicenda descritta e confermando un indirizzo già consolidato, ha ritenuto che l’art. 6, 8o comma del citato decreto n. 471 del 1997 (in base al quale il cessionario di un bene o il committente di un servizio, ricevendo fattura irregolare, è tenuto a «regolarizzare l’opera- zione», con la presentazione di un documento integrativo contenente tutte le indicazioni prescritte dall’art. 21 del d.p.r. n. 633 del 1972, restando soggetto, in caso di omissione anche a sanzione pecuniaria), implica il solo obbligo di supplire alle mancanze commesse dall’emittente in ordine alla identificazione dell’atto negoziale ed alla notizia dei dati di fatto fiscalmente rilevanti, e non invece anche quello di controllare e sindacare le valutazioni giuridiche espresse dall’emittente medesimo allorché quest’ultimo, in una fattura recante l’esatta annotazione di tutti i suddetti estremi, inserisca (magari erroneamen- te) l’esplicita dichiarazione di non debenza dell’imposta.

2. – Responsabilità del cessionario o committente

L’art. 17, 1o comma, del d.p.r. 26 ottobre 1972, n. 633 rubricato soggetti passivi, precisa che l’imposta sul valore aggiunto è dovuta dai soggetti che effettuano delle cessioni di beni o delle prestazioni di servizi imponibili. I successivi obblighi dei contribuenti vengono disciplinati nel Titolo II del citato decreto dall’art. 21 all’art. 40 e, in particolare l’art. 21, relativo al- l’obbligo di fatturazione, individua i soggetti obbligati all’emissione della fat- tura, fornisce inoltre una dettagliata indicazione dei contenuti del documento ed indica le modalità di trasmissione della fattura al cessionario o committen- te. Questa norma ha subito diverse modifiche apportate anche dalla Legge di Stabilità 2013 (1), con particolare riferimento agli elementi che la fattura deve contenere, puntualmente elencati nelle lettere da a)adn). Queste novità hanno riguardato, ad esempio, la numerazione delle fatture e l’indicazione della partita iva o del numero identificativo iva attribuito dal- l’altro Stato comunitario o del codice fiscale del cessionario o committente. Per particolari categorie di operazioni effettuate a partire dal 1o gennaio 2013, è stato invece inserito (al 6o comma), l’obbligo di indicazione nelle fat- ture dello specifico regime applicabile all’operazione, se diverso da quello or- dinario («cessioni relative a beni in transito o depositati in luoghi soggetti a vigilanza doganale non soggette all’imposta», «operazioni non imponibili», «operazioni esenti», «operazioni soggette al regime del margine – beni usati, oggetti d’arte o oggetti d’antiquariato o da collezione», «operazioni soggette al regime del margine – agenzie di viaggio»). Alla luce degli adempimenti richiesti ai sensi dell’art. 21 del citato de- creto n. 633 del 1972, il legislatore ha poi stabilito quali conseguenze e re- sponsabilità derivino in capo al cessionario o committente a seguito della

(1) L. 24 dicembre 2012, n. 228 in recepimento della Direttiva n. 2006/112/CE del Consiglio del 28 novembre 2006, come modificata dalla Direttiva n. 2010/45/UE del Con- siglio del 13 luglio 2010. PARTE SECONDA 671 mancata emissione di fattura o dell’emissione di fattura irregolare da parte del cedente o prestatore. Mentre la non emissione della fattura non presenta difficoltà interpretati- ve, non è così in caso di fattura irregolare. A tal fine è necessario sottolineare – per quanto qui interessa – il mutato quadro normativo con specifico riferimento agli adempimenti richiesti al ces- sionario o committente. Fino al 31 marzo 1998, era in vigore l’art. 41, 6o comma, del d.p.r. n. 633 del 1972 ai sensi del quale il cessionario o committente che nell’eserci- zio di imprese, arti o professioni abbia acquistato beni o servizi senza emis- sione della fattura o con emissione di fattura irregolare da parte del soggetto obbligato ad emetterla, è tenuto a regolarizzare l’operazione con le seguenti modalità... In caso di mancata regolarizzazione si applicano al cessionario o committente le pene pecuniarie previste dai primi tre commi, oltre al paga- mento della imposta, salvo che la fattura risulti emessa. Questa disposizione prevedeva quindi che in caso di mancata regolariz- zazione della fattura, gravasse sul cessionario o committente anche il paga- mento dell’imposta, oltre alla pena pecuniaria (rispettivamente calcolata sui parametri da due a quattro volte l’imposta, o da trecentomila a un milione- duecentomila lire o da seicento a tre milioni di lire a seconda della tipologia di operazione effettuata). Il riferimento normativo al recupero dell’imposta in capo al cessionario o committente aveva però dato luogo a dubbi di legittimità costituzionale per contrasto con il principio di capacità contributiva (2), poiché poteva derivar- ne una duplicazione d’imposta. Infatti l’iva poteva essere recuperata dal- l’Amministrazione finanziaria sia nei confronti sia del cedente sia del cessio- nario. Tuttavia tale anomalia del sistema è stata eliminata. Infatti, a decorrere dal 1o aprile 1998, l’art. 41 del decreto n. 633 del 1972 è stato abrogato dal- l’art. 16, 1o comma, lett. a) del decreto n. 471 del 1997 ed è stato così sosti- tuito dall’art. 6, 8o comma, del citato decreto. Quest’ultima disposizione prevede che ...il cessionario o committente che, nell’esercizio di imprese, arti o professioni, abbia acquistato beni o ser- vizi senza che sia stata emessa fattura nei termini di legge o con emissione di fattura irregolare da parte dell’altro contraente, è punito, salva la responsa- bilità del cedente o del commissionario, con sanzione amministrativa pari al cento per cento dell’imposta..., sempreché non provveda a regolarizzare l’operazione con le modalità previste dalla stessa disposizione. La lettera b) dell’8o comma, stabilisce infatti che per l’eventuale regola- rizzazione di una fattura irregolare si debba presentare ... all’ufficio compe- tente entro il trentesimo giorno successivo a quello della sua registrazione un documento integrativo in duplice esemplare recante le indicazioni medesime, previo versamento della maggior imposta eventualmente dovuta. Orbene, l’art. 6, 8o comma, del citato decreto n. 471 del 1997, punisce con una sanzione amministrativa pari al 100% dell’imposta, l’omessa regola- rizzazione nei termini e nei modi previsti di un’operazione da parte del ces- sionario o del committente che ha acquistato beni e servizi senza fattura o con il ricevimento di fattura «irregolare» ed impone al cessionario o commit-

(2) Si veda M. Logozzo, L’obbligo di fatturazione nell’iva, Saggi di diritto tributa- rio, Milano, 2004, 104. 672 DIRITTO E PRATICA TRIBUTARIA N. 4/2014 tente di emendare, attraverso il meccanismo dell’autofatturazione ed entro i trenta giorni dalla registrazione, la fattura irregolare che abbia ricevuto. Questo meccanismo tende, da un lato, a rafforzare l’adempimento del- l’obbligo di fatturazione da parte del cedente e, dall’altro, a provocare la col- laborazione del cessionario o committente e ad incoraggiare un suo comporta- mento vigile, poiché, in caso di omessa o irregolare fatturazione, non potreb- be esercitare il suo diritto di detrazione. In conclusione, si deve porre in rilievo come l’intervento legislativo del 1998 abbia modificato le conseguenze imputabili in capo al cessionario o committente in caso di mancata regolarizzazione dell’operazione. Infatti dalla previsione del pagamento dell’imposta oltre alla pena pecuniaria si è passati all’applicazione di una sanzione amministrativa pari al cento per cento del- l’imposta. È stata quindi abrogata la disposizione che sanciva il recupero del- l’imposta in capo al cessionario o committente, ma è stata comunque prevista nei suoi confronti una sanzione amministrativa che, ad ogni buon conto, non risulta di lieve entità. Tutto ciò premesso, occorre individuare le ipotesi in cui una fattura pos- sa ritenersi irregolare, ma, poiché la regolarità o meno di un documento non è facilmente individuabile dagli elementi che debbono essere ivi indicati, la casistica degli errori è sicuramente molto vasta (3). Si evidenzia, a titolo meramente esemplificativo, come l’applicazione dell’imposta su un’operazione esclusa o esente o la non applicazione dell’im- posta su un’operazione imponibile e/o l’applicazione di un’aliquota differente a quella ordinaria possa comportare diverse conseguenze. Può infatti discen- derne un versamento d’imposta diverso da quello effettivo, nonché possono porsi problemi sulla detraibilità dell’imposta assolta in via di rivalsa. Inoltre l’addebito del tributo può incidere economicamente nell’ipotesi in cui l’acqui- rente sia un privato consumatore che, in quanto tale, non può detrarsi l’impo- sta erroneamente applicata (la norma si riferisce al ...cessionario o commit- tente che, nell’esercizio di imprese, arti o professioni... e quindi non al priva- to). Orbene, in mancanza di specifici indicazioni legislative, si deve far rife- rimento alle interpretazioni fornite dalla prassi e dalla giurisprudenza circa la nozione di «fattura irregolare». Da parte ministeriale (4) si ritiene che per fattura «irregolare» debba in- tendersi «quella recante un imponibile oppure un’imposta inferiore» rispetto a quella prevista dalla legge, e ciò anche nel caso di operazioni qualificate co- me non imponibili o esenti rispetto alle quali la regolarizzazione «consisterà semplicemente nella presentazione del documento in duplice copia all’uffi- cio». Quanto, infine, all’identificazione dei limiti entro i quali il cessionario o committente ha l’obbligo di procedere alla regolarizzazione della fattura, oc- corre domandarsi se essa sia circoscritta alle sole indicazioni formali riportate nella fattura emessa dal cedente ovvero si estenda anche al regime fiscale dell’operazione sottostante (5). Certamente si deve identificare la responsabilità del cessionario o com-

(3) Si veda articolo di S. Digregorio, Fatturazioni irregolari. Rimedi ed effetti in ca- po al cedente e cessionario,inFisco, 2011, 1, 7806. (4) Si veda Circ. Min. 25 gennaio 1999, n. 23/E. (5) Si veda M. Logozzo, op. cit., 110. PARTE SECONDA 673 mittente per la mancata regolarizzazione di quelle fatture affette da vizi ri- scontrabili ictu oculi dal destinatario, come errori materiali, errori di calcolo o derivanti dall’applicazione palesemente erronea di un’aliquota inferiore a quella prevista ex lege. Si tratta appunto di quei vizi che ne mettono in evi- denza la divergenza dallo schema legale per errori, incompletezze o lacune di contenuto e che la rendono quindi difettosa in maniera macroscopica agli oc- chi di un operatore secondo la diligenza media. Infatti, anche nella stessa sentenza in esame, i Giudici di legittimità si ri- feriscono al solo obbligo di supplire alle mancanze commesse dall’emittente in ordine alla identificazione dell’atto negoziale ed alla notizia dei dati di fatto fiscalmente rilevanti. Si aggiunga che, come già affermato dalla Corte di Cassazione in una precedente sentenza (6): la norma in esame chiama il cessionario od il com- mittente ad emendare «irregolarità» commesse dal debitore d’imposta in sede di fatturazione e, quindi, ponendo obblighi correlati alla redazione di un do- cumento, è riferibile ai vizi che ne evidenzino nel caso concreto la divergen- za dallo schema legale, per errori, incompletezza o lacune di contenuto. L’uso di detto termine nel suo significato proprio trova inequivoca conferma nel rilievo che la regolarizzazione richiesta al cessionario o committente con- siste nel fornire le indicazioni dell’art. 21 del decreto n. 633 del 1972, il quale appunto elenca gli elementi da inserirsi nella fattura. Un’analisi più complessa può riguardare invece l’eventuale riconosci- mento in capo al cessionario o committente dell’obbligo di controllare e sin- dacare le valutazioni giuridiche espresse dall’emittente. In generale, si osserva come l’orientamento della Suprema Corte (7) sia teso ad escludere l’obbligo in capo al cessionario o committente di controlla- re e sindacare le valutazioni giuridiche del cedente o prestatore quando la fat- tura reca l’esatta annotazione di tutti i requisiti richiesti ai sensi dell’art. 21 del d.p.r. 26 ottobre 1972, n. 633. E ciò in quanto se il cessionario o committente dovesse valutare da un punto di vista giuridico l’operazione già qualificata dal cedente, sarebbe evi- dentemente gravato da un onere non previsto dalla legge e di difficile attua- zione concreta, non disponendo certo dei poteri propri dell’Amministrazione finanziaria. Infatti, il cessionario o committente verrebbe a sostituirsi all’Ammini- strazione finanziaria in tutta quella fase pre-accertativa concernente la qualifi- cazione dell’operazione. A ciò si aggiunga che, assoggettare la valutazione operata dal cedente o prestatore al giudizio del cessionario o committente, potrebbe astrattamente andare ad intaccare il rapporto sorto tra le parti medesime. A tale proposito, la stessa Corte (8) ha messo in luce i motivi che ostano ad una diversa interpretazione della norma, affermando che l’inclusione, fra i compiti del cessionario o committente, di un apprezzamento critico, su quan- to l’emittente di fattura completa dichiari in ordine alla non imponiblità del-

(6) Cass., 8 marzo 2000, n. 2603. (7) In tal senso, si vedano ex multis: Cass., 18 febbraio 2000, n. 1841; Cass., 8 mar- zo 2000, n. 2603; Cass., 22 marzo 2000, n. 3430; Cass., 22 marzo 2000, n. 3433; Cass., 16 agosto 2000, n. 10874; Cass., 29 agosto 2000, n. 11313; Cass., 27 luglio 2005, n. 15774; Cass., 11 settembre 2009, n. 19624. (8) Cass. n. 2603 del 2000. 674 DIRITTO E PRATICA TRIBUTARIA N. 4/2014 l’operazione, trasformerebbe l’obbligato in rivalsa in un collaboratore con supplenza in funzioni di esclusiva pertinenza dell’ufficio finanziario, e, dun- que, andrebbe oltre la ratio di assicurare all’ufficio medesimo la conoscenza piena dei fatti rilevanti ai fini impositivi, introducendo una sorte di accerta- mento «privato» in rettifica della dichiarazione del debitore d’imposta. E, nella fattispecie oggetto di esame, la Suprema Corte ha escluso in ca- po al cessionario o committente l’obbligo di ...controllare e sindacare le va- lutazioni giuridiche espresse dall’emittente medesimo allorché quest’ultimo, in una fattura recante l’esatta annotazione di tutti i suddetti estremi, inseri- sca (eventualmente in modo erroneo) l’esplicita dichiarazione di non debenza dell’imposta.

3. – Osservazioni conclusive

La sentenza in rassegna offre un ulteriore spunto di riflessione circa l’in- dividuazione dei limiti entro i quali il cessionario o committente ha l’obbligo di procedere alla regolarizzazione della fattura. Il comportamento del cessionario o committente non è preventivamente definibile, ma deve essere valutato caso per caso. Infatti se, da un lato, ne può essere invocata la responsabilità ogni qualvolta l’irregolarità riguardi quei vizi che mettono in evidenza immediatamente la divergenza rispetto al dato normativo, dall’altro, si ritiene che il destinatario della fattura non debba in- terferire sul regime dell’iva dell’operazione esposto in fattura. Questo orienta- mento, ribadito nella sentenza in esame, è l’orientamento predominante forni- to dalla giurisprudenza della Suprema Corte. A conferma del fatto che il cessionario o committente non è e non deve essere qualificato come un «ispettore del fisco» (9), è evidente che non può essere gravato dall’obbligo di verificare e sindacare le valutazioni giuridiche poste in essere dal cedente o prestatore al momento di emissione della fattu- ra. Alla luce di questo affermato principio, non può quindi essere applicata la sanzione amministrativa per omessa regolarizzazione ai sensi del citato art. 6, 8o comma, del decreto n. 471 del 1997, nei confronti di quel cessionario o committente che, come nel caso di specie, riceve una fattura, recante l’esatta annotazione di tutti i requisiti prescritti dall’art. 21 del decreto n. 633 del 1972, ma relativa ad un’operazione per la quale è stata ritenuta dal cedente o prestatore la «non debenza» dell’imposta. E ciò trova conferma anche negli obblighi che invece ha il cessionario o committente quando si sia in presenza dello speciale «regime del margine». Ciò in quanto si tratta di un particolare regime agevolativo (sancito dal- l’art. 36 del d.l. 23 febbraio 1995, n. 41, convertito nella l. 22 marzo 1995, n. 85) in forza del quale la base imponibile sulla quale viene applicata l’aliquota iva prevista per la cessione del bene, non è determinata sull’intero prezzo di vendita (come normalmente avviene per le altre cessioni), ma solo sulla diffe- renza tra il prezzo dovuto dal cessionario del bene e quello relativo all’acqui- sto (aumentato delle spese di riparazione e di quelle accessorie).

(9) Si veda articolo di E. Artuso e R.L., Sanzione al cessionario/committente per omessa regolarizzazione della fattura, tra omissioni materiali e riqualificazioni interpreta- tive,inDialoghi trib., 2012. PARTE SECONDA 675

Proprio in virtù di questa disposizione, vi è l’esistenza di un particolare onere di diligenza in capo al cessionario o committente (10). Ed invero colui che intenda avvalersi del regime del margine ha l’obbli- go di accertarsi della sussistenza dei presupposti di applicabilità di quel regi- me e l’accertamento non può limitarsi ad un mero controllo di regolarità for- male delle fatture emesse dal cedente, ma deve estendersi al controllo della regolarità sostanziale delle operazioni (11). Ed invero, secondo l’orientamento più volte ribadito dalla Suprema Cor- te, mentre nell’ipotesi di regime del margine incombono particolari obblighi di controllo e verifica circa il contenuto della fattura in capo al suo destinata- rio, negli altri casi il cessionario o committente che riceve una fattura deve sì accertarsi che il documento contenga i requisiti di cui all’art. 21 del decreto n. 633 del 1972, ma non è tenuto a sindacare le valutazioni giuridiche espres- se dall’emittente.

avv. CONSUELO TREVISAN

(10) Cass., 12 febbraio 2010, n. 3427. (11) Cass., 30 maggio 2012, n. 8638; Cass., 28 febbraio 2014, n. 4841. RASSEGNA DI GIURISPRUDENZA

ACCISE SU PRODOTTI ENERGETICI ED ELETTRICITÀ (2010-2013) Parte seconda (*)

SOMMARIO: 1. Istituto del rimborso nell’ambito delle accise. – 2. Traslazione d’imposta, istanza rimborso e CTU. – 3. Accise e prescrizione. – 4. Il verificarsi dell’overruling e l’adeguamento del sistema di tutela del contribuente. – 5. Le accise tra esenzioni, agevolazioni fiscali e disciplina degli aiuti di Stato. – 6. Esenzioni ed agevolazioni presenti nel T.U.A. in materia di oli minerali. – 7. Esenzione ed esercizio della nauti- ca da diporto. – 8. Esenzione accisa per apparecchiatura non alimentata dai serbatoi della nave. – 9. L’esenzione d’accisa per energia elettrica ex articolo 52 TUA e trat- tamento delle acque reflue. – 10. Esenzione d’accisa per la produzione di allumina. – 11. Agevolazione fiscale per il rimborso nel settore dell’autotrasporto. – 12. Agevola- zione parziale per il trasporto ferroviario di merci e persone. – 13. Agevolazione e di- ritto comunitario. – 14. Agevolazione fiscale, aiuti di stato e sovra compensazione. – 15. Aspetti procedurali. – 16. Gli aiuti di Stato, l’esenzione d’accisa ed «evoluzione del mercato». – 17. Recupero dell’aiuto di Stato. – 18. Primautè diritto comunitario, accise e armonizzazione fiscale. – 19. Tributo ambientale, diritto comunitario e disci- plina delle accise. – 20. Tutela della concorrenza e contingenti defiscalizzati o agevo- lati di biodiesel. – 21. Il legittimo affidamento e la normativa delle accise nel diritto comunitario. – 22. Accise prodotti energetici, elettricità e sanzioni. – 23. Alterazione di congegni, impronte e contrassegni. – 24. Irregolarità nella circolazione.

1. – Istituto del rimborso nell’ambito delle accise

L’istituto del rimborso d’accisa (1), in un’ottica di armonizzazione delle accise (2), è regolato dall’articolo 14 del d.lgs. n. 504 del 1995 il quale disci-

(*) La parte prima della rassegna è pubblicata retro, 2014, II, 331. (1) Comm. trib. prov. Firenze, sez. XX, 14 giugno 2011, n. 152: Il rimborso della accise indebitamente pagata deve essere richiesto, a pena di decadenza, entro due anni dalla data del pagamento dovendosi assicurare certezza al rapporto giuridico tributario privando di ogni rilievo le eventuali cause sopravvenute di determinazione dell’indebito. Comm. trib. prov. Reggio Emilia, sez. III, 30 agosto 2012, n. 110/03/2012: Il rimbor- so dell’accisa indebitamente pagata deve essere richiesto, a pena di decadenza, entro due anni dalla data di pagamento a prescindere dalle cause per le quali si assuma il pagamen- to dell’accisa non dovuto. (2) CGCE, sez. V, 2 ottobre 2003, C-147/01: L’adozione da parte di uno Stato membro di una regolamentazione, quale la Wiener Abgabenordnung, che stabilisca nor- me processuali più restrittive in materia di ripetizione dell’indebito, per prevenire gli ef- PARTE SECONDA 677 plina, contemporaneamente le modalità attraverso le quali l’Amministrazione finanziaria recupera l’imposta e le procedure che il contribuente deve seguire per il recupero dell’imposta indebitamente pagata; si estende anche alla tassa sull’emissione di anidride solforosa e ossidi di azoto in quanto dotata della medesima natura delle accise (3). La predetta disposizione, per ciò che concerne la prima ipotesi soprade- scritta, prevede che le somme dovute a titolo d’imposta, abbuonate o restitui- te sine titulo devono essere recuperate, insieme alle sanzioni (4), con la pro- cedura di riscossione coattiva disciplinata dal d.p.r. n. 43 del 28 gennaio 1988.

fetti che potrebbe avere una sentenza della Corte in cui si dichiari che il diritto comu- nitario osta al mantenimento in vigore di un tributo nazionale, è in contrasto con que- st’ultimo e, in particolare, con l’art. 5 del Trattato CE (divenuto art. 10 CE) soltanto nella misura in cui essa riguardi specificamente tale tributo, il che tocca al giudice na- zionale verificare. Le norme del diritto comunitario relative alla ripetizione dell’indebito devono essere interpretate nel senso che esse ostano a una normativa nazionale che rifiuti – il che tocca al giudice nazionale verificare – il rimborso di un’imposta incompatibile con il diritto co- munitario solo perché questa è stata trasferita sui terzi, senza esigere che sia stabilita la misura dell’arricchimento senza causa che causerebbe per il soggetto passivo il rimborso di detta imposta. Il principio di equivalenza osta a una normativa nazionale che stabilisca modalità processuali meno favorevoli per le domande di rimborso di un’imposta indebitamente ri- scossa con riguardo al diritto comunitario di quelle applicabili a ricorsi analoghi basati su talune disposizioni del diritto interno. È compito del giudice nazionale verificare, in base ad una valutazione completa del diritto nazionale, se risulti effettivamente che, da un lato, soltanto i ricorrenti che propon- gono un ricorso basato sul diritto costituzionale interno possono avvalersi del diritto in pa- rola e che, dall’altro, le norme che disciplinano il rimborso di imposte giudicate incompa- tibili con il diritto costituzionale interno sono più favorevoli di quelle applicabili ai ricorsi concernenti tributi giudicati in contrasto con il diritto comunitario. Il principio di effettività osta a una normativa o a una prassi amministrativa nazio- nali che rendano impossibile in pratica o eccessivamente difficile l’esercizio dei diritti con- feriti dall’ordinamento giuridico comunitario, stabilendo una presunzione di arricchimento senza causa in base al mero fatto della traslazione dell’imposta su terzi. (3) Comm. trib. reg. Puglia, sez. VII, 10 giugno 2009, n. 75: La norma di cui all’art. 17, commi 29o e seguenti della l. n. 449 del 1997, istitutiva della cosiddetta «ecotassa» è immediatamente cogente ed è escluso che il regolamento cui rimanda (introdotto con d.p.r. n. 416 del 2001) sia integrativo della Legge istitutiva medesima. La tassa sulle emissioni di anidride solforosa e di ossidi di azoto ha natura di accisa e, quindi, di imposta sulla produzione applicata in relazione ad emissioni particolari deri- vanti dalle sostanze impiegate nei grandi impianti di combustione. Ne consegue che il rimborso dovuto deve essere richiesto a pena di decadenza entro due anni dalla data del pagamento secondo il disposto dell’art. 14, 2o comma, d.lgs. n. 504 del 1995 in tema di imposte sulla produzione e sui consumi. (4) Comm. trib. reg. Emilia Romagna Sentenza del 5 giugno 2012, n. 31: La norma- tiva speciale di imposta (con riferimento alle accise il d.lgs. n. 504 del 1995) regola espressamente il corrispettivo per il vantaggio che il contribuente trae dall’aver trattenuto la somma indebitamente rimborsatagli, determinando anche la misura del tasso di interes- se di riferimento: in ogni caso gli interessi spettano indipendentemente dalla buona o ma- lafede del debitore d’imposta, anche in considerazione del fatto che all’Amministrazione fi- nanziaria, per il recupero di quanto dovutole, la legge attribuisce il potere di emettere e notificare avvisi di pagamento, di contestazione, di sanzioni o di liquidazione, che non hanno natura di domanda giudiziale. 678 DIRITTO E PRATICA TRIBUTARIA N. 4/2014

Tale pretesa si realizza attraverso un avviso di pagamento il quale pur non essendo un atto incluso nel novero di quelli previsti nell’articolo 19 del d.lgs. n. 546 del 1992 può essere per la giurisprudenza (5), oggetto di analisi e contestazioni in sede processuale (6). L’istituto del recupero d’imposta da parte dell’Autorità fiscale deriva dal potere di autotutela il quale deve essere esercitato al fine di assicurare l’im- parzialità, la tutela del legittimo affidamento ed il buon andamento della pub- blica amministrazione. Invece, per quanto riguarda l’istituto del rimborso richiesto dal soggetto passivo d’imposta, si svolgono le seguenti osservazioni. In primo luogo, è opportuno rilevare che l’istituto in parola consente la restituzione di somme pagate in eccesso, in base ad una fattispecie normativa invalida o non completamente realizzata. In generale, si può affermare che le cause del rimborso da indebito ven- gono ravvisate in quelle vicende che investono a vario titolo la legge istituti- va del tributo e che incidono negativamente sull’esistenza o sulla misura del debito d’imposta già assolto (abrogazione, dichiarazione di incostituzionalità, interpretazione autentica contro il fisco). Poi, dal rimborso propriamente si distingue la «restituzione», la quale di- pende da una legge o da un provvedimento comunitario (7) sopravvenuta che

(5) Cass., sez. trib., 12 gennaio 2012, n. 253: Questa Corte ha infatti ripetutamente affermato che l’elencazione degli «atti impugnabili», contenuta nel d.lgs. n. 546 del 1992, art. 19, pur dovendosi considerare tassativa, va interpretata in senso estensivo, sia in osse- quio alle norme costituzionali di tutela del contribuente e di buon andamento della P.A., che in conseguenza dell’allargamento della giurisdizione tributaria operato con la l. n. 448 del 2001. Ciò comporta la facoltà di ricorrere al giudice tributario avverso tutti gli atti adotta- ti dall’ente impositore che, con l’esplicitazione delle concrete ragioni (fattuali e giuridiche) che la sorreggono, porti, comunque, a conoscenza del contribuente una ben individuata pretesa tributaria, senza necessità di attendere che la stessa, ove non sia raggiunto lo sco- po dello spontaneo adempimento cui è «naturaliter» preordinato, si vesta della forma auto- ritativa di uno degli atti dichiarati espressamente impugnabili dall’art. 19 citato (v. Cass. n. 4513 del 2009). Inoltre questa Corte, proprio con specifico riguardo alle accise, ha espressamente af- fermato che costituisce atto autonomamente impugnabile, ai sensi dell’art. 19 citato, l’avvi- so di pagamento previsto dal d.lgs. n. 504 del 1995, art. 14, che precede la procedura di riscossione, trattandosi di atto accertativo-impositivo del tributo, idoneo ad esprimere tale funzione, in quanto contiene tutti gli elementi per individuare la pretesa fiscale nell’«an» e nel «quantum» (v. Cass. n. 18731 del 2009). (6) In caso di recupero d’accisa da parte dell’Amministrazione finanziaria si applica il 2o comma dell’articolo 14 TUA secondo cui: Qualora al termine di un procedimento giurisdizionale il soggetto obbligato al pagamento dell’accisa sia condannato alla restitu- zione a terzi di somme indebitamente percepite a titolo di rivalsa dell’accisa, il rimborso è richiesto dal predetto soggetto obbligato, a pena di decadenza, entro novanta giorni dal passaggio in giudicato della sentenza che impone la restituzione delle somme. (7) Cass., sez. trib., 25 luglio 2012, n. 13087: Nel caso di imposte pagate sulla base di norme che la giurisprudenza comunitaria ha ritenuto contrastanti con il diritto comuni- tario (nella specie, l’art. 62 del d.lgs. n. 504 del 1995, il quale ha stabilito un’imposta sul consumo degli olii lubrificanti che, come precisato da Corte di giustizia CE 25 settembre 2003 C-437/01, contrasta con l’art. 3, n. 2 della Direttiva n. 1992/12/CEE), il contribuente può domandarne il rimborso solo entro il termine di decadenza stabilito dalla disciplina nazionale, senza che sul decorso di tale termine possa incidere la pronuncia comunitaria, non potendo questa configurarsi come espressione di «overruling» – e, come tale, inidonea PARTE SECONDA 679 modifichi ex post gli elementi costitutivi della fattispecie tributaria (8), deter- minando il presupposto di una retrocessione dell’imposta a favore del contri- buente, senza che il pagamento originario possa essere qualificato in assoluto come non dovuto o indebito (9). Tale ipotesi include ogni fattispecie di corresponsione di imposta in mi- sura superiore rispetto a quella dovuta. Eccetto per il rimborso d’ufficio, che si rinviene nel settore delle impo- ste dirette, e quelli conseguenti all’impugnazione di un atto impositivo del- l’Amministrazione finanziaria (allo scopo di ottenerne l’annullamento con la conseguente condanna dell’ente alla restituzione di quanto indebitamente ver- sato dal soggetto passivo in base allo stesso atto impugnato), nella maggior parte dei casi la restituzione delle imposte consegue all’esercizio di un’auto- noma azione di ripetizione dell’indebito rimessa all’iniziativa del contribuen- te, dopo la presentazione all’ufficio competente di un’apposita istanza di rim- borso nel termine decadenziale previsto dalle singole leggi d’imposta o, in mancanza, di due anni dal pagamento ovvero, se posteriore, dal giorno in cui è sorto il diritto alla restituzione (art. 21, 2o comma, del d.lgs. 31 dicembre 1992, n. 546). Il suddetto termine è pacificamente ritenuto di applicazione generale, sebbene sia destinato ad operare in via residuale e, cioè, in assenza di una di- sciplina tributaria specifica contenuta nella singola legge d’imposta. Sotto un profilo soggettivo il rimborso d’accisa si applica nella sua disci- plina non contiene alcuna indicazione specifica con riferimento ai soggetti le- gittimati, con la conseguenza che detta disposizione deve ritenersi applicabile a tutti coloro che dimostrino di avere i requisiti richiesti dalle fattispecie (10). *** Prima di descrivere brevemente la disciplina del rimborso d’accisa è op- portuno ricordare come la giurisprudenza abbia evidenziato che nell’ambito delle disposizioni di diritto interno relative alle modalità di ottenimento del rimborso in materia di accisa applicata agli oli minerali destinati ad uso di- verso dalla combustione e carburazione, il giudice tributario e l’Amministra- zione finanziaria devono conformarsi al principio di economicità ed efficien- za del procedimento amministrativo – giusta il disposto dell’art. 97 Cost., della l. 7 agosto 1990, n. 241 e dell’art. 6, l. n. 212 del 2000. Conseguente- mente, anche alla luce della pacifica giurisprudenza di diritto comunitario, il contribuente non può essere gravato di adempimenti ridondanti o inutili in sede di esercizio di una legittima istanza di rimborso di imposte indebite.

ad operare retroattivamente – atteso che la decisione comunitaria non riguarda la materia processuale, né il termine per la domanda di rimborso d’imposta, la quale, peraltro, resta proponibile anche prima che alla direttiva stessa venga data attuazione nello Stato italia- no. (8) Comm. trib. reg. Lazio, 16 ottobre 2012, n. 480: Per il periodo dal 25 settembre 2003 al 1 gennaio 2006, l’imposta di consumo sugli olii lubrificanti non ha alcuna idonea fonte normativa e pertanto è legittimo il rimborso richiesto dalla società. Riferimenti nor- mativi: TUA (testo unico sulle accise) artt. 14, comma 2o e62o; Diret. Comun. 92/12/CEE e 92/81; l. n. 266 del 2005, art. 116; d.lgs. n. 504 del 1995. (9) Si menziona in senso contrario Comm. trib. prov. Udine, 8 giugno 2011, n. 113/ 03/2011. (10) Comm. trib. prov. Savona, sez. V, 16 dicembre 2010, n. 3. 680 DIRITTO E PRATICA TRIBUTARIA N. 4/2014

Prima di attivare la predetta disciplina l’autorità finanziaria a mezzo nota a/r invia un avviso di pagamento attraverso il quale concedono al soggetto obbligato al pagamento il termine di quindici giorni per l’adempimento con decorrenza dalla data di spedizione dell’avviso stesso. Invece, per il diritto al rimborso di somme indebitamente corrisposte al fisco, l’art. 14 prevede che tale diritto deve esercitato tramite apposita istanza entro il termine di decadenza di due anni dalla data del pagamento dell’impo- sta di cui si richiede la restituzione. Si deve notare come il diritto riconosciuto al rimborso decada qualora il contribuente non sia in grado di argomentare e motivare la propria pretesa (85) dimostrando di non aver potuto godere della traslazione del peso fiscale su un altro soggetto (11) e soprattutto l’effettività delle situazioni di fatto e di diritto che ne legittimano l’esperimento (12).

(11) Comm. trib. reg. Lombardia, 21 giugno 2010, n. 169/67/10: Il contribuente ha diritto al rimborso dell’imposta di consumo sugli olii lubrificanti a condizione che la stessa non sia stata traslata su terzi ovvero che sia rimasta definitivamente a proprio carico. Non è sufficiente la generale convinzione di mercato a integrare la prova del trasferimento. L’imposta di consumo sugli olii lubrificanti rimasta definitivamente a carico del sog- getto richiedente il rimborso è legittima a condizione che l’onere dell’imposta non sia stato trasferito su soggetti terzi – consumatori finali. Onerato della prova è l’Amministrazione finanziaria che deve provare l’eventuale trasferimento su terzi dell’imposta di cui il contribuente chiede il rimborso. Non è sufficiente il richiamo alla presunzione generica secondo cui, in un regime di mercato, di normale profitto, debba presumersi automaticamente che una eventuale impo- sta gravante sull’attività produttiva venga scaricata sul prezzo finale di vendita, alla stre- gua di tutti gli altri costi di produzione. La prova dell’avvenuto trasferimento su altri soggetti non può essere assunta dagli uffici tributari a mezzo di presunzioni. In pratica l’imposta illegittimamente versata dal produttore deve essere comunque rimborsata – non potendo il fisco dimostrare la traslazione sui terzi consumatori – pur se lo stesso non è rimasto inciso dall’imposta di consumo. (12) CGCE 20 ottobre 2011, C-94/10: Il diritto di ottenere il rimborso dei tributi ri- scossi da uno Stato membro in violazione del diritto dell’Unione costituisce la conseguenza e il complemento dei diritti attribuiti ai singoli dalle disposizioni del diritto dell’Unione che vietano tali tributi. Lo Stato membro è quindi tenuto, in linea di principio, a rimborsare i tributi riscossi in violazione del diritto dell’Unione. La ripetizione di tributi indebitamente percepiti può essere negata unicamente nel- l’ipotesi in cui essa comporterebbe un arricchimento senza causa degli aventi diritto, vale a dire quando sia appurato che la persona tenuta al loro pagamento li ha di fatto riversati direttamente sull’acquirente. Le norme del diritto dell’Unione devono essere interpretate nel senso che uno Stato membro può opporsi ad una domanda di rimborso di un’imposta indebitamente riscossa formulata dall’acquirente su cui essa è stata ripercossa, poiché non è stato detto acquiren- te a versarla alle autorità tributarie, purché quest’ultimo possa, sulla base del diritto inter- no, esperire un’azione civilistica per la ripetizione dell’indebito nei confronti del soggetto passivo, e purché il rimborso da parte di quest’ultimo dell’imposta indebitamente riscossa non sia praticamente impossibile o eccessivamente difficile. Tuttavia, se il rimborso da parte del soggetto passivo risultasse impossibile o ecces- sivamente difficile, segnatamente in caso d’insolvenza di quest’ultimo, il principio di effet- tività impone che l’acquirente debba essere in grado di agire per il rimborso direttamente nei confronti delle autorità tributarie e che, a tal fine, lo Stato membro preveda gli stru- menti e le modalità procedurali necessari. Le norme del diritto dell’Unione devono essere interpretate nel senso che uno Stato PARTE SECONDA 681

Su tali somme devono essere calcolati i relativi interessi (13) e può esse- re chiesto il maggior danno da svalutazione monetaria. Di converso, è riconosciuto all’Amministrazione finanziaria l’applicazio- ne degli interessi sulle somme da questa indebitamente rimborsate (14). In particolare, si deve ricordare l’art. 6 del regolamento n. 689 del 1996, che descrive le procedure e le modalità attraverso cui gestire la fase della presentazione dell’istanza e le incombenze innanzi all’autorità fiscale. Inoltre, la domanda, a pena di inammissibilità (15), deve essere presenta-

membro può respingere una domanda di risarcimento presentata dall’acquirente su cui il soggetto passivo ha ripercosso un’imposta indebitamente riscossa, facendo valere la man- canza del nesso causale diretto fra la riscossione dell’imposta e il danno subito, purché l’acquirente possa, sulla base del diritto interno, agire nei confronti del soggetto passivo e purché il risarcimento, da parte di quest’ultimo, del danno subito dall’acquirente non sia praticamente impossibile o eccessivamente difficile. Tuttavia, se il risarcimento, da parte del soggetto passivo, del danno subito dall’ac- quirente sui cui è gravato l’onere economico dell’imposta indebitamente riscossa riversata- gli risultasse impossibile o eccessivamente difficile, segnatamente in caso d’insolvenza del soggetto passivo, il principio di effettività impone che detto acquirente sia messo in grado di rivolgere la sua domanda di risarcimento direttamente contro lo Stato, senza che que- st’ultimo possa validamente opporgli la mancanza del nesso causale diretto fra la riscos- sione dell’imposta indebitamente riscossa e il danno subito dall’acquirente. (13) Comm. trib. reg. Emilia Romagna, 5 giugno 2012, n. 31: La normativa speciale di imposta (con riferimento alle accise il d.lgs. n. 504 del 1995) regola espressamente il cor- rispettivo per il vantaggio che il contribuente trae dall’aver trattenuto la somma indebitamen- te rimborsatagli, determinando anche la misura del tasso di interesse di riferimento: in ogni caso gli interessi spettano indipendentemente dalla buona o malafede del debitore d’imposta, anche in considerazione del fatto che all’Amministrazione finanziaria, per il recupero di quan- to dovutole, la legge attribuisce il potere di emettere e notificare avvisi di pagamento, di con- testazione, di sanzioni o di liquidazione, che non hanno natura di domanda giudiziale. (14) Comm. trib. reg. Emilia Romagna, sez. VII, 5 giugno 2012, n. 31/07/12: La normativa speciale di imposta (con riferimento alle accise il d.lgs. n. 504 del 1995) regola espressamente il corrispettivo per il vantaggio che il contribuente trae dall’aver trattenuto la somma indebitamente rimborsatagli, determinando anche la misura del tasso di interes- se di riferimento: in ogni caso gli interessi spettano indipendentemente dalla buona o ma- lafede del debitore d’imposta, anche in considerazione del fatto che all’Amministrazione fi- nanziaria, per il recupero di quanto dovutole, la legge attribuisce il potere di emettere e notificare avvisi di pagamento, di contestazione, di sanzioni o di liquidazione, che non hanno natura di domanda giudiziale. (15) Comm. trib. reg. Bologna, sez. I, 15 marzo 2012, n. 29/01/2012: Il 4o comma dell’articolo 29 della l. 29 dicembre 1990, n. 428 prevede a pena di inammissibilità che le domande di rimborso di imposte di consumo debbano essere comunicate anche all’ufficio tributario che ha ricevuto la dichiarazione dei redditi. La suddetta norma ha introdotto ab origine il preciso obbligo che la domanda di rimborso debba essere comunicata a due distinti uffici amministrativi diversamente compe- tenti e tale adempimento è elemento costitutivo del procedimento. Come ritenuto dalla Suprema Corte (Cass., sez. I civ., 20 ottobre 1997, n. 10697), l’onere di comunicare anche all’ufficio tributario, competente per la dichiarazione dei red- diti, la domanda di rimborso delle imposte di consumo versate trova soltanto un limite temporale nel senso che detto onere non può che riguardare periodi d’imposta successivi all’entrata in vigore della l. n. 428 del 1990. Era pertanto onere del contribuente il comunicare la domanda di rimborso anche al- l’ufficio finanziario al quale aveva inviato la dichiarazione dei redditi per l’anno di com- petenza; dalla mancata osservanza del precetto normativo deriva l’inammissibilità doman- da e conseguentemente del ricorso avverso il silenzio rifiuto dell’Ufficio della dogana. 682 DIRITTO E PRATICA TRIBUTARIA N. 4/2014 ta in due copie se il rimborso è richiesto in danaro altrimenti in tre esemplari se si intende procedere attraverso la procedura dell’accredito; in quest’ultimo caso è possibile trasferire da parte dell’avente diritto ad un altro soggetto il diritto a proporre l’istanza di rimborso (16). L’ufficio finanziario, espletando i propri poteri di verifica ed indagine sui prodotti e sulla documentazione, deve verificare la regolarità formale del- la predetta istanza e la congruità del rimborso richiesto. Il diritto predetto sorge anche nelle seguenti ipotesi: nel caso in cui i pro- dotti immessi in consumo vengano trasferiti in un altro stato membro o espor- tati oppure nell’ipotesi per la quale il bene ricavato dalle miscelazioni autoriz- zate sconti un’accisa inferiore a quella corrisposta per i singoli componenti. In merito alla prima ipotesi, ai osserva che la domanda di rimborso del- l’accisa pagata in relazione a beni non destinati al consumo nel territorio del- lo Stato trova accoglimento laddove presentata anteriormente alla spedizione degli stessi e subordinatamente all’assolvimento dell’onere della prova circa l’avvenuto pagamento dell’accisa di cui all’istanza. Anche in tali fattispecie il diritto in esame deve essere attivato entro due anni dal verificarsi degli eventi in parola. Il rimborso può avvenire sia in danaro sia mediante accredito d’imposta da adoperare per il pagamento dell’accisa. Il rimborso delle accise si ricollega, alle molteplici vicende legate alla «circolazione» o all’«impiego» dei prodotti soggetti ad accisa, ovvero ai mec- canismi previsti per la concreta fruizione delle agevolazioni fiscali. Sotto il primo aspetto viene in rilievo la mancata realizzazione della condizione per l’esigibilità dell’imposta, consistente nell’immissione in con- sumo del prodotto nel territorio dello Stato. Ciò può accadere per varie ragioni, tra cui vanno ricordate l’esportazione del prodotto considerato, ovvero, la sua spedizione in un altro paese comuni- tario, dovendo l’acquirente pagare l’accisa in quel Paese (art. 14, 3o comma, del d.lgs. n. 504 del 1995). In altri casi il suddetto diritto scaturisce dalla destinazione del prodotto ad un impiego diverso da quello per il quale l’accisa è stata originariamente assolta, soggetto ad un’aliquota ridotta ovvero del tutto esente da imposta. È sufficiente pensare, in relazione agli artt. 21 e 27, 3o comma, del d.l- gs. n. 504 del 1995 ai casi di impiego di un prodotto energetico in un uso di- verso dalla carburazione o dalla combustione, nonché a quelli di destinazione dell’alcole ad un uso non potabile. Il rimborso, inoltre, costituisce lo strumento previsto dalla normativa sul- le accise attraverso cui il contribuente può beneficiare delle agevolazioni d’imposta (17).

(16) L’art. 29 della l. 29 dicembre 1990, n. 428 (legge comunitaria per il 1990) di- spone al 4o comma Le domande di rimborso dei diritti e delle imposte quando la relativa spesa ha concorso a formare il reddito d’impresa, deve essere comunicata, a pena d’inam- missibilità, anche all’Ufficio Tributario che ha ricevuto la dichiarazione dei reddito del- l’esercizio di competenza. La stessa norma, all’8o comma precisa che la disposizione di cui al 4o comma si ap- plica però «a decorrere dal periodo d’imposta in corso alla data di entrata in vigore della presente legge». (17) Cass., sez. trib., 2 marzo 2012, n. 3282: In tema di rimborso relativo all’utilizzo di oli lubrificanti e combustibili in esenzione di accisa, la restituzione dell’imposta versata, (quand’anche mediante la procedura di accredito prevista dall’art. 14 del d.l. 30 agosto PARTE SECONDA 683

Invero, l’art. 24 del d.lgs. n. 504 del 1995, al 2o comma, dispone che «le agevolazioni sono accordate anche mediante restituzione dell’imposta paga- ta» (18). La stessa disposizione chiarisce che: la restituzione può essere effettuata con la procedura di accredito prevista dall’art. 14 (4o comma), in virtù della quale è riconosciuto al contribuente un credito d’imposta da utilizzare per il pagamento dell’accisa dovuta per le successive immissioni in consumo di prodotti soggetti alla medesima imposizione. Il d.m. 12 dicembre 1996, n. 689 nel proprio art. 1, precisa ulteriormente che il rimborso (19) costituisce la modalità ordinaria per la fruizione di esen- zioni ed agevolazioni d’imposta, da utilizzare in tutti i casi in cui non sia pre- vista una specifica, diversa disciplina legislativa. Per completezza si aggiunge che il diritto al rimborso non decade nel ca- so in cui il suo esercizio sia subordinato alla compensazione di accise (20). Infine, sotto un profilo sanzionatorio è opportuno segnalare che in caso di dichiarazioni infedeli, volte a ottenere il rimborso dell’imposta per importi superiori a quelli dovuti, si applicano le sanzioni previste per la sottrazione dei prodotti all’accertamento ed al pagamento dell’imposta. Pertanto, in via di conclusioni, si può validamente affermare la naturale connessione tra l’istituto del rimborso d’accisa con gli aspetti legati alla cir- colazione dei beni sottoposti a tale imposta e al relativo modulo tributario,

1993, n. 331, conv. nella l. 29 ottobre 1993, n. 427), presuppone che l’approvvigionamento del carburante, destinato alle imbarcazioni in navigazione nelle acque comunitarie, avven- ga presso gli impianti per la distribuzione dei prodotti petroliferi a regime agevolato, con la conseguenza che il rimborso deve essere escluso qualora siano utilizzati prodotti non defiscalizzati. (18) Si consideri ad esempio l’art. 58 della l. 21 novembre 2000, n. 342, ha modifi- cato la percentuale del 20% sul GPL per autotrasporto persone (punto 15 della tabella A del d.lgs. 26 ottobre 1995, n. 504 Testo unico delle disposizioni legislative concernenti le imposte sulla produzione e sui – consumi e relative sanzioni penali e amministrative), pre- vedendo che i gas di petrolio liquefatti utilizzati dagli autobus urbani ed extraurbani adibi- ti a servizio pubblico fossero assoggettati all’aliquota ridotta del 10%. Ai sensi del combinato disposto degli artt. 14, 4o comma del T.U. e art., 2o comma, lettera a) del d.m. 12 dicembre 1996, n. 689 («Regolamento recante norme per l’effettua- zione del rimborso delle imposte sulla produzione e sui consumi») l’agevolazione della ali- quota ridotta viene concessa tramite il rimborso che, peraltro, può essere effettuato anche tramite accredito da utilizzare per il pagamento dell’accisa dovuta per l’immissione in consumo di prodotti soggetti alla medesima imposizione. La procedura atta ad ottenere effettivamente l’agevolazione, ossia la riduzione della aliquota, si perfeziona quindi in due fasi, ossia il pagamento del prodotto al lordo dell’ac- cisa piena (pagata a monte dal produttore) e la successiva presentazione dell’istanza di rimborso per l’accisa (10%) oggetto dell’agevolazione. (19) Cass., sez. trib., 12 settembre 2008, n. 23515. (20) Comm. trib. reg. Lombardia, sez. XXXI, 24 aprile 2012, n. 55/31/12: Il colle- gio non ritiene di accogliere tale interpretazione dell’Agenzia in quanto individua la pre- senza di due distinti istituti giuridici, ovvero l’istituto della Compensazione di imposte e l’istituto del rimborso di imposte, dove il primo, nella ipotesi di non osservanza del termi- ne previsto per effettuarla non decade (termine perentorio) ma risulta ugualmente perfe- zionata sia pure oltre il termine (termine ordinatorio), ma giammai operazione preclusa o sanzionata. La domanda di rimborso non risulta pertanto consequenziale a causa di compensa- zione non effettuata in termini, ma prevista quale alternativa laddove il contribuente inten- da recuperare in denaro il credito di imposta. 684 DIRITTO E PRATICA TRIBUTARIA N. 4/2014 palesando la propria natura attuatrice tanto di disposizioni agevolative tanto dell’esattezza del debito d’imposta.

*** Il termine decadenziale di due anni rappresenta un elemento molto im- portante dell’istituto del rimborso (21). Necessita per una sua corretta e completa analisi di due diverse conside- razioni sulle ipotesi in cui si applica e sui presupposti di carattere generale. Per quanto riguarda la prima categoria di riflessioni giova considerare che il termine biennale trova una applicazione declinata rispetto alle peculia- rità delle fattispecie cui si applica. Infatti, è importante effettuare la distinzione tra l’ipotesi dell’indebito pagamento dell’accisa e restituzione della stessa versata regolarmente deter- minando, in questo modo, un’eccedenza d’imposta (22). Trova anche applicazione in caso di agevolazione tributaria riconosciuta attraverso il rimborso d’accisa (23). In generale il rimborso d’imposto presuppone un dies a quo che decorre dalla data del versamento.

(21) Comm. trib. prov. Reggio Emilia, 30 agosto, 2012 n. 110: rimborso dell’accisa indebitamente pagata deve essere richiesto, a pena di decadenza, entro due anni dalla data di pagamento a prescindere dalle cause per le quali si assuma il pagamento dell’accisa non dovuto. (22) Comm. trib. Prov. Potenza, sez. III, 7 giugno 2012, n. 85/03/12: Il meccanismo della riscossione dell’energia elettrica e della relativa addizionale richiede il versamento di acconti mensili che raffrontati con il debito d’imposta determinate in sede di dichiara- zione, possono far emergere un conguaglio a debito o a credito. Il recupero d’eccedenza d’imposta, in tali casi, si configura come restituzione di un pagamento che in nessun caso può essere considerato non dovuto o indebito. Considerato che in tali casi l’imposta non è stata indebitamente versata dal contri- buente ne consegue che il termine decadenziale previsto dall’articolo 14 del TUA non può ritenersi applicabile ai casi di restituzione di eccedenze d’imposta. Occorre precisare, inoltre, che l’articolo 14 secondo comma del TUA, prevede che «l’accisa è rimborsata quando risulta indebitamente pagata ed il rimborso deve essere chiesto a pena di decadenza entro due anni dalla data di pagamento». Infatti tale disciplina per l’appunto i termini per ottenere la restituzione di quanto er- roneamente versato all’Erario a titolo di accisa. (23) È interessante considerare il timido orientamento giurisprudenziale (Comm. trib. prov. Reggio Emilia, sez. I, 27 ottobre 2008, n. 176) in virtù del quale è ammissibile l’istanza di rimborso dell’accisa proposta dopo due anni dalla corresponsione dell’imposta, ritenendo che il termine previsto dall’art. 14, 2o comma, del d.lgs. 26 ottobre 1995, n. 504, secondo cui il rimborso dell’accisa deve essere richiesto dal contribuente, a pena di deca- denza, entro due anni dalla data del pagamento, si applichi solo nei casi in cui l’accisa ri- sulti ab origine «indebitamente pagata» e non quando, invece, il rimborso costituisca il meccanismo previsto dalla legge per fruire di un’agevolazione tributaria. In merito alla posizione giurisprudenziale ora in esame si deve sottolineare che è possibile derogare la disciplina legale per applicare, in via equitativa, una regola sostitutiva più aderente alla specificità del singolo caso solo nelle ipotesi tassative previste dal codice di procedura civi- le per lo più in materie concernenti diritti disponibili delle parti e, comunque, obbligano il giu- dice al rispetto dei principi comunitari, costituzionali e di quelli «informatori della materia». In tutti gli altri casi, tra i quali rientrano sicuramente i giudizi tributari che si svolgo- no dinanzi alle Commissioni, nel pronunciare sulla causa il giudice deve seguire le norme di diritto, secondo quanto disposto dall’art. 113 c.p.c., giusto il rinvio alle disposizioni del codice di rito operato dall’art. 1, 2o comma, del d.lgs. n. 546 del 1992. PARTE SECONDA 685

Invece, per quanto riguarda l’ipotesi della restituzione di accise il dies a quo decorre dalla data da cui si è generato il pagamento ultroneo (24).

***

Invece, per ciò che concerne gli aspetti di natura più generale sul termi- ne biennale decadenziale giova considerare che la ripetizione del pagamento dell’indebito tributario è di tipo speciale ed impedisce l’applicazione della di- sciplina regolante l’indebito di diritto comune. Dopo quest’inquadramento generale è opportuno considerare che al ri- guardo la giurisprudenza (25) afferma che: la disciplina che regolamenta l’istanza di rimborso delle accise prevede un termine biennale per l’esercizio del diritto al rimborso. La ripetizione del pagamento dell’indebito tributario è di tipo speciale ed impedisce l’applicazione della disciplina regolante l’in- debito di diritto comune, non potendosi nemmeno le argomentazioni spese nei precedenti gradi di giudizio. Inoltre, il termine biennale in esame applicato ad ipotesi di indebito pa- gamento d’accisa è importante anche per il calcolo delle somme dovute agli interessi nella misura prevista dalle leggi vigenti a decorrere dalla data di pre- sentazione della relativa istanza. Mantiene la medesima durata temporale a prescindere dal motivo che ge- nera l’indebito pagamento, le cause di restituzione, o le norme agevolative (26). Parimenti, seguendo le disposizioni dell’articolo 14 emerge che ha rile- vanza centrale il termine biennale per i prodotti assoggettati ad accisa, già immessi in consumo, i quali possono dar luogo al rimborso della stessa, su ri- chiesta dell’operatore nell’esercizio dell’attività economica da lui svolta, quando sono trasferiti in un altro Stato membro o esportati. In modo trasversale, l’applicazione decadenziale legata all’istituto del rimborso di accise indebitamente corrisposte, ha interessato anche il settore del biodiesel defiscalizzato nei casi in cui sono state autorizzate miscelazioni dalle quali si otteneva un prodotto per il quale era dovuta un’accisa di am- montare inferiore a quella pagata sui singoli componenti (27).

(24) Comm. trib., 1o grado Trento, sez. I, 1 marzo 2012, n. 28/1/2012: A tali conclu- sioni si perviene attraverso la lettera dell’art. 56 7o comma parte seconda TUA. Tale norma assume quindi significato di natura generale come peraltro statuiscono gli arresti giurisprudenziali e come risulta dalla stessa disposizione che non implica dero- ghe o distinzioni ed è fin troppo noto l’antico brocardo secondo cui «ubi lex non distin- guit, nec nos distinguere debemus». (25) Comm. trib. reg. , sez. XXV, 28 maggio 2009, n. 43. (26) Comm. trib. prov. Firenze, sez. XX, 24 maggio 2011, n. 152: il detto termine trova applicazione anche nel caso in cui l’accisa sia stata debitamente pagata e sia so- pravvenuta una causa di non debenza del tributo, come nel casi di soggetto beneficiario di una quota pare delle accise – versar mediante accredito d’imposta e corrispondente alla misura dell’agevolazione. L’irrilevanza della natura indebita del prelievo tributario è stata ribadita anche alla CTR di Firenze con sentenza n. 28 del 20 marzo 2009. In essa viene sostenuto che «tale termine per unanime indirizzo giurisprudenziale, deve essere osservato qualunque sia il motivo per cui si chiede il rimborso e quindi anche se si afferma l’insussistenza del pre- supposto impositivo». (27) Comm. trib. reg. Lombardia, sez. XXXI, 24 aprile 2012, n. 55/31/2012: L’Agen- zia delle Dogane, non può negare il credito d’imposta per le accise versate se richiesto 686 DIRITTO E PRATICA TRIBUTARIA N. 4/2014

Il rimborso può essere concesso anche mediante accredito dell’imposta da utilizzare per il pagamento dell’accisa. Infine, si cita l’ipotesi del credito derivante dal riconoscimento del bene- ficio fiscale di cui al d.p.r. del 9 giugno 2000, n. 277 recante il «Regolamen- to recante disciplina dell’agevolazione fiscale a favore degli esercenti le atti- vità di trasporto merci» (28) può essere utilizzato dal beneficiario in compen- sazione ovvero riconosciuto al medesimo mediante rimborso della relativa somma (29).

sottoforma di compensazione dopo la scadenza dei termini previsti dal d.p.r. n. 277 del 2000, avendo questi ultimi natura ordinatoria e non decadenziale come quelli predisposti esplicitamente dalla legge per i rimborsi. Comm. trib. reg. Emilia Romagna, sez. I, 31 gennaio 2012, n. 19/01/12: credito deri- vante dal riconoscimento del beneficio fiscale di cui al d.p.r. n. 277 del 2000 può essere utilizzato dal beneficiario in compensazione ovvero riconosciuto al medesimo mediante rimborso della relativa somma. In caso di utilizzo del credito in compensazione la fruizione di tale beneficio deve aver luogo entro la fine dell’anno solare in cui è sorto, allo scopo di salvaguardare il diretto col- legamento tra il momento dell’utilizzo del credito ed il periodo d’imposta in cui lo stesso vie- ne a maturare. In tal caso il termine, quanto agli effetti, è assimilato ai termini perentori. Negli altri casi gli aventi diritto possono esercitare il diritto di rimborso della som- ma nel solo rispetto del termine generale di decadenza biennale previsto dall’art. 14, 2o comma, d.lgs. n. 504 del 1995, al quale pertanto è attribuita natura ordinatoria. (28) Si riportano le norme di riferimento per la disciplina agevolativa in esame: 1. A decorrere dal 16 gennaio 1999, la riduzione degli oneri gravanti sugli esercenti le attività di autotrasporto merci prevista dall’articolo 8, 10o comma, lettera e), della l. 23 dicembre 1998, n. 448, come sostituito dall’articolo 7, 15o comma, della l. 23 dicembre 1999, n. 488, è de- terminata in un ammontare pari agli incrementi dell’aliquota di accisa sul gasolio per auto- trazione, disposti per effetto dell’articolo 8, 5o e6o comma, della medesima l. n. 448 del 1998, rapportata ai consumi di tale prodotto nei periodi di riferimento. Il credito derivante da tale riduzione, sempreché di importo non inferiore a 25 euro, può essere utilizzato dal beneficiario in compensazione, ai sensi dell’articolo 17 del d.lgs. 9 luglio 1997, n. 241, ovvero riconosciuto al medesimo mediante rimborso della relativa somma, secondo le modalità stabilite dal presente regolamento. Ai fini del presente regolamento, per «esercenti le attività di autotrasporto merci» si intendono le imprese che esercitano attività di autotrasporto di merci per conto terzi iscrit- te nell’albo istituito con l. 6 giugno 1974, n. 298, e successive modificazioni, o in conto proprio munite della licenza di cui all’articolo 32 della medesima legge ed iscritte nel- l’elenco degli autotrasportatori di cose in conto proprio, d’ora in avanti denominate «eser- centi nazionali», nonché le imprese appartenenti ad altri Stati membri dell’Unione europea in possesso della licenza comunitaria per trasporti internazionali di merci su strada per conto terzi di cui al regolamento (CEE) n. 881 del 1992 del Consiglio, ovvero in conto proprio esentate, ai sensi dell’articolo 13 del medesimo regolamento (CEE) n. 881 del 1992 del Consiglio che ha modificato l’articolo 1 della prima direttiva del Consiglio del 23 luglio 1962, da ogni regime di licenze comunitarie e da ogni altra autorizzazione in presenza delle condizioni previste dall’allegato II, punto 4, di detto regolamento (CEE) n. 881 del 1992, d’ora in avanti denominate «esercenti comunitari». (29) Comm. trib. reg. Emilia Romagna, sez. I, 31 gennaio 2012, n. 19/01/12: Il cre- dito derivante dal riconoscimento del beneficio fiscale di cui al d.p.r. n. 277 del 2000 può essere utilizzato dal beneficiario in compensazione ovvero riconosciuto al medesimo me- diante rimborso della relativa somma. In caso di utilizzo del credito in compensazione la fruizione di tale beneficio deve aver luogo entro la fine dell’anno solare in cui è sorto, allo scopo di salvaguardare il di- retto collegamento tra il momento dell’utilizzo del credito ed il periodo d’imposta in cui lo stesso viene a maturare. PARTE SECONDA 687

In caso di utilizzo del credito in compensazione (30) la fruizione di tale beneficio deve aver luogo entro la fine dell’anno solare in cui è sorto, allo scopo di salvaguardare il diretto collegamento tra il momento dell’utilizzo del credito ed il periodo d’imposta in cui lo stesso viene a maturare. In tal caso il termine, quanto agli effetti, è assimilato ai termini perento- ri.

2. – Traslazione d’imposta, istanza rimborso e CTU

In sede processuale può essere richiesto l’intervento di una consulenza tecnica d’ufficio per la formazione del libero convincimento del giudice in merito alla traslazione delle accise su un terzo rispetto al soggetto passivo del modulo tributario. Ciò può rendersi indispensabile per la valutazione della ammissibilità di un’istanza di rimborso di accise (31). L’impiego del predetto mezzo di prova si inserisce all’interno di una particolare tipologia di processo, come appunto quello tributario, caratterizza- to da una natura dispositiva cui viene associato, per espresso dettato dell’art. 7, 2o comma, del d.lgs. n. 546 del 1992, il potere di indagine nei limiti dei fatti dedotti dalle parti a sostegno delle rispettive domande ed eccezioni. Nello specifico la CTU serve per comprendere la posizione di un sogget- to all’interno del proprio mercato di riferimento (32) oppure la rilevanza delle

In tal caso il termine, quanto agli effetti, è assimilato ai termini perentori. Negli altri casi gli aventi diritto possono esercitare il diritto di rimborso della som- ma nel solo rispetto del termine generale di decadenza biennale previsto dall’art. 14, 2o comma, d.lgs. n. 504 del 1995, al quale pertanto è attribuita natura ordinatoria. (30) Comm. trib. reg. Puglia, sez. XI, 16 gennaio 2009, n. 12: È ammissibile la com- pensazione del debito verso l’Erario con il credito del contribuente certo, liquido ed esigi- bile; non è dato, infatti, rinvenire nell’ordinamento vigente nessuna preclusione rispetto a tale modo di estinzione dell’obbligazione tributaria, né alla relativa operatività l’A.F. può opporre impedimenti concernenti aspetti amministrativi. (31) Comm. trib. reg. Lombardia, sez. XI, 26 maggio 2010, n. 70: In materia di istanza di rimborso per accise versate in eccedenza, l’invio della copia dell’istanza al- l’agenzia delle entrate competente oltre che all’Agenzia delle Dogane benché previsto dal- la normativa, è una pura formalità che non modifica il rapporto creditorio del contribuen- te. Nel merito, dall’analisi della CTU, sui costi di acquisto e sui prezzi di vendita, se ne deduce come non sia possibile dimostrare che i prezzi si siano formati con l’aggiunta dei costi per le accise in questione. Pertanto l’onere in capo al contribuente di fornire la prova della mancata traslazio- ne del tributo è stato assolto. Con riferimento alla eccezione della decadenza biennale del diritto al rimborso, la stessa non può essere accolta in quanto è applicabile il limite triennale ex art. 14 d.lgs. n. 504 del 1995. (32) Comm. trib. prov. Savona, sez. V, 16 ottobre 2010, n. 3: la situazione concor- renziale oligopolista del mercato nel cui ambito opera XXXX spa, l’impossibilità da parte di questa di incidere sui prezzi di vendita o di rinegoziare i costi di produzione e le pattui- zioni contrattuali che regolano gli stessi portano ad affermare che l’accisa sia rimasta a carico della società, non vi è traccia documentale del riaddebito dell’accisa ai clienti, non è possibile nemmeno una traslazione occulta, atteso che la società vende la maggior parte dell’energia non a consumatori finali ma ad altri operatori, in molti casi C.d. parti corre- 688 DIRITTO E PRATICA TRIBUTARIA N. 4/2014 rimanenze indicate alla voce B6 del conto economico attraverso un esame pe- ritale effettuato con l’impiego dei rapporti ROI (return on investements e cioè il rapporto tra reddito operativo e capitale investito), ROS (return on sales che corrisponde al rapporto tra reddito e ricavi netti di vendita), ROE return on equity e cioè rapporto tra reddito netto e capitale netto (33). In questa prospettiva, il giudice può esperire la consulenza tecnica d’uf- ficio per sopperire a lacune legate all’apparato documentale e probatorio sen- za avere alcuna finalità esplorativa (34); infatti, nella propria attività ricostrut- tiva deve attenersi strettamente ai fatti e i temi di prova che sono connessi al- la specifica domanda, indicati dalle parti titolari, garantendo sempre una valu- tazione circoscritta alle vicende rilevanti per il giudizio. In altre parole, le domande e le eccezioni giudiziarie delimitano l’area di operatività del potere di approfondimento dell’organo giudicante (35).

late, la qual cosa comporta da un lato che la società sia meno esposta ai rischi di merca- to, dall’altro lato che, in virtù della forza contrattuale degli acquirenti, la società subisca riduzioni di corrispettivi rispetto al prezzo determinato dal mercato. (33) Comm. trib. prov. Milano, sez. XXXI, 23 ottobre 2008, n. 304: La transazione, pertanto, non comporta automaticamente l’arricchimento del soggetto che chiede ed ottiene il rimborso, perché anche qualora l’imposta sia inserita nel prezzo praticato e così scari- cato sugli acquirenti, il soggetto passivo potrebbe nondimeno per motivi commerciali non ricavare vantaggio per obbligo o prassi di riversamento delle somme rimborsate sui sog- getti percorsi. E, invero, l’amministrazione può esimersi dal restituire i tributi indebitamente percet- ti solo qualora sia fornita una prova che dal rimborso derivi un ingiustificato arricchimen- to del solvens. A tal fine l’Ufficio può condurre le proprie indagini mediante l’esame delle scritture contabili, ricorrrendo ove occorra a presunzioni a presunzioni che abbiano i requisiti ri- chiesti dall’articolo 2729 c.c. e non costituiscano mera enunciazione di criteri astratti o re- gole di generica esperienza. (34) Cons. Stato, sez. V, 28 agosto 2008, n. 4088, secondo cui: nel giudizio ammini- strativo la legittimità del provvedimento impugnato va verificata esclusivamente in base ai fat- ti e ai documenti avuti presenti dall’amministrazione nel corso del procedimento, senza che possano rilevare allegazioni emergenti solo nella fase del giudizio, dovendo escludersi che pos- sa svolgersi un giudizio “sul rapporto” tra l’interessato e l’autorità amministrativa. (35) Cass., sez. trib., 17 novembre 2006, n. 24464: Il giudice tributario non può, at- traverso l’acquisizione di documenti o di prove sopperire all’onere probatorio che grava sul soggetto onerato, potendo solo integrare gli elementi forniti dalle parti ed ancora Si legge, infatti, nella sentenza impugnata che l’avviso di accertamento indicava soltanto «il criterio con il quale si è proceduto» e che sotto il «profilo probatorio l’acquisita CTU esti- mativa ha consentito di suffragare in buona parte la valutazione dell’ufficio» (cioè di indi- viduare un valore di poco inferiore a quello proposto dall’ufficio). Appare, dunque, applicabile al caso di specie il principio più volte affermato da que- sta Corte e secondo cui il giudice tributario non può, attraverso l’acquisizione di docu- menti o di prove – disposta ai sensi dell’art. 7 del d.lgs. n. 546 del 1992 – sopperire al- l’onere probatorio che grava sul soggetto onerato, potendo solo integrare gli elementi for- niti dalle parti (sentenza n. 1134 del 20 gennaio 2006, che cassa con pronuncia di merito di accoglimento del ricorso del contribuente la sentenza che aveva rigettato il ricorso, mo- tivando sulla base di stima UTE acquisita d’ufficio). Il citato art. 7 deve infatti essere interpretato ed applicato alla luce dell’art. 111 del- la Costituzione cosi come modificato dalla legge costituzionale n. 2 del 1999, secondo cui il giudice deve essere «terzo» e dunque non può collocarsi a fianco di una parte (in ipotesi negligente) e sopperire alle di lei carenze probatorie. L’art. 7 deve cioè essere utilizzato in situazioni di «stallo» ove sussista un’obbiettiva condizione di incertezza in base ad elementi hinc inde proposti. Non ove il materiale pro- PARTE SECONDA 689

Partendo dalla predetta delimitazione del potere istruttorio è necessario indagare sulle modalità attraverso cui il giudice tributario può, nell’ambito dei fatti dedotti, supplire al mancato assolvimento dell’onere della prova, co- me ripartito tra ricorrente e resistente (36). In merito a quest’aspetto è interessante segnalare che secondo un indiriz- zo della giurisprudenza i dati necessari al completamento del convincimento del giudice possano essere acquisiti autonomamente, a prescindere da quelli addotti dall’ufficio accertatore; in questa prospettiva, rimanendo sempre nel- l’ambito dei confini delimitati dalla attinenza rispetto alla domanda proces- suale e alle prove apposte a relativo corollario, verrebbe accentuato il potere di reperire elementi necessari alla valutazione della pretesa tributaria e dun- que funzionali alla decisione. Poi, sotto l’aspetto definitorio, è opportuno segnalare che alla consulenza tecnica d’ufficio viene attribuita una doppia natura (37): da un lato, è un mezzo di valutazione dei fatti, già sotto un profilo probatorio acquisiti al pro- cesso, nel rispetto dell’onere probatorio ripartito tra le parti, dall’altro, è un mezzo di accertamento di fatti, rilevabili mediante particolari cognizioni e competenze tecniche. Al riguardo giova richiamare alcune massime di legittimità che chiari- scono come la consulenza possa assurgere a vero e proprio mezzo di prova o a fonte oggettiva di prova, ogni qual volta essa si riveli l’unico strumento co- noscitivo possibile di fatti rilevanti che in nessun altro modo la parte onerata sarebbe in grado provare, richiedendo l’accertamento del fatto l’applicazione di tecniche o tecnologie o comunque di conoscenze specialistici (38).

batorio in atti imponga già una specifica soluzione; nel caso di specie di accoglimento del ricorso non avendo l’amministrazione offerto alcuna prova del suo assunto. La perizia richiamata nella sentenza della Commissione regionale del Veneto non po- teva quindi essere acquisita. (36) Corte cost., 19 marzo 2007, n. 109: «[il Legislatore] ha voluto rafforzare il ca- rattere dispositivo del processo tributario», sottolineando che se la rilevanza pubblicistica dell’obbligazione tributaria giustifica ampiamente i penetranti poteri che la legge conferi- sce all’amministrazione nel corso del procedimento destinato a concludersi con il provve- dimento impositivo, certamente non implica affatto – né consente – che tale posizione si perpetui nella successiva fase giurisdizionale e che, in tal modo, sia contaminata l’essenza stessa del ruolo del giudice facendone una sorta di longa manus dell’amministrazione: in particolare, attribuendo al giudice poteri officiosi che, per la indeterminatezza dei presup- posti del loro esercizio (o non esercizio), sono potenzialmente idonei a risolversi in una ve- ra e propria supplenza dell’amministrazione. (37) Cass., sez. un., 4 novembre 1996, n. 9522: il giudice può affidare al consulente tecnico non solo l’incarico di valutare i fatti da lui stesso accertati o dati per esistenti (consulente deducente), ma anche quello di accertare i fatti stessi (consulente percipiente); nel primo caso la consulenza presuppone l’avvenuto espletamento dei mezzi di prova e ha per oggetto la valutazione di fatti i cui elementi sono già stati completamente provati dalle parti; nel secondo caso la consulenza può costituire essa stessa fonte oggettiva di prova, senza che questo significhi che le parti possono sottrarsi all’onere probatorio e rimettere l’accertamento dei propri diritti all’attività del consulente; in questo secondo caso è neces- sario, infatti, che la parte quanto meno deduca il fatto che pone a fondamento del proprio diritto e che il giudice ritenga che il suo accertamento richieda cognizioni tecniche che egli non possiede o che vi siano altri motivi che impediscano o sconsiglino di procedere direttamente all’accertamento. (38) Si ricordano ex multis: Cass., sez. III, 8 gennaio 2004, n. 88; sez. lav., 7 giugno 2004, n. 10784; sez. lav., 15 ottobre 2003, n. 15448; 26 novembre 1998, n. 12000; 25 set- tembre 1998, n. 9584. 690 DIRITTO E PRATICA TRIBUTARIA N. 4/2014

D’altronde, la collocazione sistematica (39) assunta dall’istituto presenta una spiccata ambiguità che si proietta nella sua oscillazione tra una funzione di accertamento e quindi di acquisizione di fatti processuali e una funzione esclusivamente di valutazione degli stessi (40). Sotto un profilo soggettivo, la consulenza tecnica richiesta d’ufficio si deve caratterizzare per la profonda compenetrazione che esiste tra le regole del procedere dell’ausiliario e il grado di implicazione della sua attività con l’oggetto del giudizio: in altre parole, lo specialista fornisce un contributo de- stinato ad incidere sulla stessa formazione del convincimento del giudice e pertanto la sua attinenza all’oggetto del giudizio è massima (41). L’attuazione paritetica del contraddittorio tra le parti non può pertanto che avvenire al massimo grado, poiché la CTU veicola nel processo di for- mazione del convincimento nozioni su fatti e saperi specifici. Al riguardo conviene considerare un importante indirizzo giurispruden- ziale il quale chiarisce come la consulenza possa assurgere a vero e proprio mezzo di prova, o a fonte oggettiva di prova, ogni qual volta essa si riveli l’unico strumento conoscitivo possibile di fatti rilevanti che in nessun altro modo la parte onerata sarebbe in grado provare, richiedendo l’accertamento del fatto l’applicazione di tecniche o tecnologie o comunque di conoscenze specialistici (42). Nelle predette ipotesi, la consulenza comporta una vera e propria deroga alla regola di giudizio di cui all’art. 2697 c.c. e al principio dispositivo del processo, trovando giustificazione solo in funzione della difficoltà di accesso alla prova di determinati fatti. Per concludere sul punto, è possibile affermare che la consulenza tecnica d’ufficio rappresenta un punto di equilibrio tra regola dispositiva del proces- so tributario ed esigenza che quest’ultimo tenda comunque all’accertamen- to di fatti veri anche se non desumibili dall’apparato documentale delle par- ti (43).

(39) Si ricordi l’articolo 7, 2o comma del d.lgs. n. 546 del 1992 secondo cui: Le Commissioni tributarie, quando occorre acquisire elementi conoscitivi di particolare com- plessità, possono richiedere apposite relazioni ad organi tecnici dell’amministrazione dello stato o di altri enti pubblici compreso il corpo della guardia di finanza, ovvero disporre consulenza tecnica. I compensi spettanti ai consulenti tecnici non possono eccedere quelli previsti dalla l. 8 luglio 1980, n. 319, e successive modificazioni e integrazioni. (40) Si esclude che la CTU configuri un mezzo di prova, essendosi esclusa conse- guentemente la reclamabilità al collegio ex art. 178 c.p.c. (nel testo anteriore alla novella del 1990) dell’ordinanza che dispone la CTU. Su questa linea, inoltre si afferma che la richiesta della parte di espletamento della consulenza tecnica d’ufficio, non integrando un’istanza istruttoria in senso tecnico ma solo una sollecitazione dei poteri ufficiosi del giudice, non può mai considerarsi tardiva e sfug- ge pertanto alle preclusioni previste dagli artt. 183 e 184 c.p.c. Si cita al riguardo la Cass., sez. II, 15 aprile 2002, n. 5422. (41) Cass., sez. un., n. 26009 del 2008 secondo cui il contribuente deve essere in grado di valutare in modo pieno l’entità della propria posizione debitoria attraverso anche i dati emergenti dalla CTU eventualmente esperita. (42) Cass., sez. trib., 10 settembre 2007, n. 18976. In dottrina si ricorda G. Di Marco e M. Sichetti, L’attività del CTU e del perito, Mi- lano, 2012, 130. (43) Cass., sez. VI, 29 febbraio 2012, n. 3170: Il giudicante investito dell’accerta- mento del rapporto giuridico che nasce dall’attuazione di norme tributarie, ha l’obbligo di PARTE SECONDA 691

3. – Accise e prescrizione Il credito tributario legato alla debenza delle accise e vantato dalla auto- rità fiscale nei confronti del soggetto passivo si prescrive in cinque anni da quando sorge il debito d’imposta. Il momento rispetto al quale si computa il predetto termine nel caso di fatti illeciti coincide con la relativa scoperta, mentre in caso di deficienze dal relativo verbale di accertamento oppure dal passaggio in giudicato della sen- tenza che definisce il giudizio penale Il termine quinquennale si applica dall’entrata in vigore del d.lgs. n. 504 del 1995 lasciando inalterata l’applicazione del r.d.l. n. 334 del 1939 per fatti antecedenti (44). Partendo da questa precisazione e seguendo la giurisprudenza è interes- sante considerare le conseguenze che il susseguirsi di atti normativi ha nel- l’applicazione dei termini prescrizionali (45).

verificare, tramite la disposizione di un’indagine d’ufficio, la rilevanza delle informazioni ottenute attraverso il rinvenimento di una contabilità parallela e l’effettiva imputazione dei dati all’intera attività economica aziendale. (44) Comm. trib. prov. Mantova, sez. II, 14 febbraio 2012, n. 32/2/2012: Nella disci- plina dettata per le accise sugli oli minerali non è previsto alcun termine decadenziale dal potere di riscossione né le norme disciplinanti i termini di decadenza dal potere accertativo dell’Erario relativamente alle imposte dirette o ad imposte ontologicamente dissimili posso- no trovare applicazione analogica, stante la natura speciale della normativa tributaria. L’art. 24 del d.p.r. n. 148 del 1988 disciplina la prescrizione delle sanzioni ammini- strative in materia tributaria ed è dunque insuscettibile di estensione ai crediti di imposta. L’art. 15 del d.lgs. n. 504 del 1995 prevede che il credito per le accise sugli oli mi- nerali si estingua per prescrizione quinquennale; tale disposizione è tuttavia entrata in vi- gore successivamente al 29 novembre 1995 e per le violazioni perpetrate in data anteriore continua ad applicarsi il r.d.l. n. 334 del 1939. Ed inoltre: Ha indicato nell’art. 15 d.lgs. 1995 n. 504, il precetto disciplinante il ter- mine prescrizionale applicabile. Esso prevede che il credito per le imposte in questione si estingua per prescrizione quinquennale. Tuttavia, la modificazione deve ritenersi inammissibile perché introdotta in violazione dell’art. 24 d.lgs. n. 546del 1992. Non di meno, questa commissione osserva che il succitato art. 15 d.lgs. 1995 n. 504 è entrato in vigore successivamente alla pubblicazione sulla G.U., avvenuta n. 129 /Il /7995. Tale norma non si applica, dunque, alle violazioni de quibus, perpetrate in data an- teriore, vigente, invece, il r.d.l. 1939 n. 334. In particolare, l’art. 19, 3o e4o comma del citato r.d.l., prevedeva: «Il diritto alla percezione della imposta si prescrive in 30 anni in caso di frode e rimane integro anche se nel frattempo si sia prescritta l’azione penale. La prescrizione dell’azione per il recupero dell’imposta è interrotta quando venga esercitata l’azione penale: in questo caso il termine di prescrizione decorre dal passaggio in giudicato della sentenza, che definisce il giudizio penale. Tale norma disciplina la fattispecie in contestazione, in quanto l’illecito tributario è stato commesso nella vigenza della norma sopratrascritta. Quanto alla dedotta illegittimità dell’atto impugnato per vizio di carenza di motiva- zione, questa commissione rileva che in esso l’Ente impositore ha elencato le sentenze pe- nali irrevocabili, che hanno accertato le condotte di reato commesse dal contribuente, le quali costituiscono il fondamento della pretesa erariale. Il richiamo di dette decisioni deve ritenersi esaustivo ai fini della intelligibilità della pretesa tributaria che, dunque, assolve all’onere motivazionale dell’Ente impositore. (45) Cass., sez. trib., 19 aprile 2013, n. 9590. 692 DIRITTO E PRATICA TRIBUTARIA N. 4/2014

La prescrizione è un istituto giuridico che viene interessato anche dalla suc- cessione di leggi nel tempo eventualmente determinanti un cambio di denomi- nazione degli istituti coinvolti: solo a partire dalla entrata in vigore del testo uni- co delle accise si applica il termine previsto dall’articolo 15 per cui Il credito dell’Amministrazione finanziaria per l’accisa si prescrive in cinque anni e, li- mitatamente ai tabacchi, in dieci anni. In caso di comportamenti omissivi la pre- scrizione opera dal momento della scoperta del fatto illecito (46). Da questa impostazione discende che i fatti generatori di accisa e relati- ve sanzioni si applicano le disposizioni vigenti al momento della loro realiz- zazione. Quest’indirizzo è, d’altronde, in linea con l’orientamento generale del si- stema giuridico il quale ha affidato all’art. 252 disp. att. c.c. la funzione di clausola generale di tutela dei diritti sorti anteriormente alla entrata in vigore del codice civile che introduceva più brevi termini di prescrizione. Quanto esposto non esclude che il principio generale di applicabilità del jus superveniens (47) ai rapporti non esauriti debba esser reso compatibile con gli interessi di rilevanza costituzionale sui quali l’intervento modificativo del termine prescrizionale, ove impeditivo dell’esercizio del diritto sorto ante- riormente (venendo ad introdursi un nuovo termine di prescrizione che è già decorso rispetto al momento in cui il diritto era esercitabile) inciderebbe in modo pregiudizievole (48).

(46) Comm. trib. reg. Milano, 27 giugno 2012, n. 86/49/2012: La prescrizione ordi- naria prevista dall’art. 2946 c.c. comincia a decorrere dal giorno in cui il diritto può es- sere fatto valere e dunque, nella fattispecie, da quando il contribuente dichiara tale credi- to, e cioè dalla data di presentazione della dichiarazione annuale iva che costituisce il mo- mento in cui l’ufficio viene a conoscenza del credito. (47) Per completezza si riporta quanto segue. Il regio decreto legge 28 febbraio 1939, n. 334, concernente «la istituzione di un’imposta di fabbricazione sugli oli minerali e sui prodotti della loro lavorazione in sostituzione della preesistente tassa di vendita», al- l’art. 1 dispone la istituzione di una imposta interna di fabbricazione ed una corrispondente sovrimposta di confine sugli oli minerali e sui prodotti della loro lavorazione. Sono soggetti passivi dell’imposta di fabbricazione sia i fabbricanti, che pagano l’ac- cisa sui prodotti finiti, prima dell’estrazione degli stessi dalla fabbrica, e sia coloro che esercitano il commercio dei prodotti petroliferi, che possono depositare i prodotti in un de- posito fiscale per poi versare l’accisa prima della immissione in consumo. Sono soggetti passivi della sovrimposta di confine gli operatori, che all’atto dell’im- portazione dei prodotti a base di oli minerali, devono corrispondere l’accisa, quale sovrim- posta di confine, la quale, nel calcolo della base imponibile dell’imposta sul valore aggiun- to, all’atto dell’importazione, è gravata anche dall’iva stessa. All’art. 31, 1o comma, del regio decreto legge, già menzionato è così disposto: I pro- dotti a base di oli minerali, quando vengono importati dall’estero, sono soggetti alle sovrim- poste di confine, stabilite dal presente decreto, per la qualità di olio minerale contenuta. (48) L’applicazione dell’jus superveniens non può determinarsi in contrasto coi prin- cipi di affidamento, di ragionevolezza e di piena tutela dei diritti, i quali svolgono un vero e proprio effetto d’irraggiamento (la c.d. Drittwirkung della tradizione giuridica tedesca) sull’assetto dei rapporti giuridici sostanziali, le cui conformazione ed esercizio devono es- sere modulati in armonia, oltre che coi principi costituzionali (artt. 3 e 24 Cost.), anche con quelli derivanti dal diritto comunitario e dal diritto internazionale (cfr. Cass., sez. trib., 23 maggio 2003, n. 8146), venendo a convergere con tale interpretazione anche la giurispru- denza comunitaria (Corte giustizia, 24 settembre 2002, causa C-255/2000, Grundig Italiana s.p.a.) attestata sulla immanenza all’ordinamento comunitario dei principi generale di affi- damento e di effettività della tutela dei diritti (Cass., n. 8146 del 2003; Cass., 14 luglio 2004, n. 13054). PARTE SECONDA 693

Partendo da queste considerazioni di natura generale e circoscrivendo lo spazio della presente disamina si può affermare che il principio di diritto se- condo cui la riduzione a cinque anni operata dal t.u. n. 504 del 1995, art. 15, 1o comma dell’originario termine prescrizionale di durata trentennale previsto dal r.d.l. n. 344 del 1939 art. 19, 3o comma poi abrogato dal d.lgs. n. 504 del 1995, art. 68, 1o comma, lettera g, in conformità ai principi di affidamento, di ragionevolezza e di tutela effettiva dei diritti (principi riconosciuti dalla Co- stituzione, dal diritto comunitario e dal diritto internazionale), opera soltanto in riferimento ai diritti sorti successivamente alla data 15 dicembre 1995 di entrata in vigore del t.u. n. 504 del 1995 (49). Il predetto principio necessita che l’azione alla quale si applica la pre- scrizione si fondi su una formale pretesa tributaria, nel senso che a fonda- mento del rapporto obbligatorio dedotto in giudizio deve sempre sussistere una manifestazione di volontà impositiva dell’ufficio, rivestita dei caratteri formali tipici prescritti dalla legge, e dunque un atto provvedimentale impu- gnabile ai sensi del d.lgs. n. 546 del 1992, art. 19 in quanto suscettibile di in- cidere nella sfera patrimoniale del contribuente. Al riguardo è opportuno evidenziare il principio di diritto affermato Cass., sez. trib., 12 maggio 2011, n. 10376 secondo cui, l’annullamento per vizi di forma dell’atto impositivo sub judice impone all’Amministrazione di adottare un nuovo avviso di accertamento – salvo che sia maturata ormai la decadenza della potestà impositiva – in quanto non è in potere della stessa ri- nunciare con l’inerzia all’azione di recupero del credito fiscale.

4. – Il verificarsi dell’overruling e l’adeguamento del sistema di tutela del contribuente L’istituto del rimborso registra un particolare legame con i fenomeni di overruling.

(49) Cass., sez. trib., 19 aprile 2013, n. 9590: il riferimento al d.p.r. 23 gennaio 1973, n. 43, art. 82 T.U.L.D. contenuto negli inviti di pagamento notificati alla contribuen- te non individua affatto la natura del tributo, ma identifica l’atto amministrativo autoritati- vo (nella specie la ingiunzione) attraverso il quale è azionata la pretesa: l’erronea indica- zione della fonte normativa (d.p.r. 23 gennaio 1973, n. 43, art. 82 T.U.L.D. – ingiunzione – in luogo del T.U. n. 504 del 1995, art. 14, 1o comma – avviso di pagamento – che ha so- stituito il r.d.l. n. 334 del 1939, art. 18 – ingiunzione –) non modifica gli elementi costitu- tivi dell’atto impositivo, risolvendosi in mero errore formale insuscettibile di incidere sui requisiti di validità dell’atto e di pregiudicare anche il diritto di difesa del destinatario, né incide sul corretto esercizio della potestà impositiva evidenziando la incompetenza od il di- fetto di attribuzione del soggetto di diritto pubblico che ha emesso il provvedimento, aven- do devoluto la legge alla Amministrazione delle Dogane (nell’ambito della quale erano collocati anche gli Uffici tecnici delle imposte di fabbricazione – UTIF) la competenza re- lativa all’accertamento ed alla riscossione della imposta di fabbricazione (r.d.l. n. 334 del 1939, artt. 28 e 29 successivamente T.U. n. 504 del 1995): ed è appena il caso di aggiun- gere che la mera indicazione del «nomen juris» dell’atto tributario non vincola in alcun modo l’interprete, e quindi il Giudice, alla qualificazione giuridica del provvedimento, e tanto meno pone vincoli alla qualificazione della pretesa impositiva che con l’atto-ingiun- zione è fatta valere, dovendo quindi ritenersi del tutto irrilevante a tal proposito l’indicato errore formale addotto dalla ricorrente a sostegno del motivo...Né a diversa conclusione è dato pervenire considerando la successione nel tempo delle norme sulla prescrizione del diritto al recupero della imposta, rispettivamente, in materia di imposta di fabbricazione (r.d.l. n. 334 del 1939, art. 19) e di accise (T.U. n. 504 del 1995, art. 15). 694 DIRITTO E PRATICA TRIBUTARIA N. 4/2014

È necessario rilevare che, i termini per la richiesta e, quindi, dell’esperi- mento di tale istituto devono iniziare a decorrere dalla data della sentenza contenente la declaratoria di illegittimità per incompatibilità con il diritto co- munitario e non dalla data del pagamento dell’imposta di cui si chiede la re- stituzione (50): infatti, solo il deposito della sentenza garantisce al contri- buente il diritto a poter presentare la propria domanda di rimborso di un tri- buto come l’imposta sugli oli lubrificanti non dovuta per usi diversi dalla car- burazione e dal riscaldamento in ottemperanza al principio della armonizza- zione delle accise all’interno del diritto comunitario. Tale posizione trova il proprio fondamento tanto nella natura stessa della prescrizione la quale comincia a decorrere dal giorno nel quale il diritto può essere fatto valere secondo la previsione dell’articolo 2935 c.c., quanto nella considerazione che il diritto alla difesa rappresenta una posizione giuridica del contribuente tutelata in modo omnicomprensivo nel procedimento tributa- rio. Per quanto riguarda il primo ordine di problematiche sopra menzionato, si deve riconoscere la necessità che da parte del contribuente vi sia un legitti- mo ed incolpevole affidamento (51) rispetto all’indirizzo giurisprudenziale precedente il revirement. Infatti, il principio di tutela del legittimo affidamento (52) del contri-

(50) Si ricordi Cass., sez. trib., 26 ottobre 2011, n. 22282. (51) L’analisi della buona fede nel contegno del contribuente ha importanza centrale tanto da estendersi anche al caso di istanza di autotutela in materia di accise come rilevato Comm. trib. prov. Milano, 2 marzo 2011, n. 53: Esiste la giurisdizione tributaria anche in ordine alle impugnazioni proposte avverso il rifiuto espresso o tacito dell’Amministrazione di procedere ad autotutela, salvo poi stabilire se il rifiuto di autotutela sia o meno conte- stabile, così come valutare se con l’istanza di autotutela il contribuente chieda l’annulla- mento dell’atto impositivo per vizi originari di questo o per eventi sopravvenuti. Il sindacato del giudice dovrà riguardare l’esistenza dell’obbligazione tributaria solo qualora l’atto di autotutela contenga tale verifica, mentre, in caso di giudizio instaurato contro il mero ed esplicito rifiuto di esercizio dell’autotutela, il giudice tributario non po- trà entrare nel merito della questione, visto che il provvedimento di autotutela è pur sem- pre discrezionale per i limiti posti dall’art. 4 l. 20 marzo 1865, n. 2248, all. E. Anche se l’atto impositivo è divenuto definitivo, permane l’interesse pubblico, qual è quello di evitare l’arbitrio di doppie imposizioni nei confronti dei contribuenti, a legittima- re un giudizio di annullamento totale o parziale dello stesso. Anche nell’ottica del principio di buona fede, tutelato dallo Statuto del Contribuente, il giudice ha l’obbligo di intervenire nel determinare la legittimità della pretesa tributaria in funzione degli elementi portati a sua conoscenza. (52) È interessante segnalare che già prima della approvazione dello statuto del con- tribuente, che rappresenta una legge di natura interpretativa dell’ordinamento, la Corte cost. considerava l’affidamento come un aspetto importante della difesa del contribuente rispetto all’Amministrazione finanziaria. Si ricorda in merito alla definizione di legge interpretativa, l’indirizzo della Corte co- stituzionale che, con la sentenza 3 marzo 1988, n. 233, attraverso la quale affermava preli- minarmente che una legge che si autoqualifichi e sia formulata come legge interpretativa, non la esime dal verificare, ai fini del giudizio di legittimità costituzionale, se la qualifica- zione e la formulazione siano veramente rispondenti al contenuto dispositivo della legge medesima. In un successivo capo della sentenza, poi, la Corte passa a definire i caratteri identifi- cativi di una legge interpretativa: Siffatta qualificazione giuridica spetta, infatti, a quelle leggi o a quelle disposizioni che riferendosi e saldandosi con altre disposizioni (quelle in- terpretate), intervengono esclusivamente sul significato normativo di queste ultime (senza, PARTE SECONDA 695 buente, reso esplicito in materia tributaria dall’art. 10, 1o comma, l. n. 212 del 2000, e trovando origine negli articoli 3, 23, 53 e 97 Costituzione è im- manente in tutti i rapporti di diritto pubblico e costituisce uno dei fondamenti dello Stato di diritto nelle sue diverse articolazioni, limitandone l’attività legi- slativa e amministrativa. Deve essere tutelato il contribuente in buona fede, sia nell’ipotesi in cui egli agisca in conformità di un’indicazione preferenziale dell’Amministrazio- ne finanziaria (e in tal caso non potranno essere richiesti interessi e irrogate sanzioni amministrative) sia nel caso di affidamento prestato ad un atto del- l’amministrazione capace di incidere sulla sua sfera economico patrimonia- le (53) o della giurisprudenza dai contenuti ed indirizzo univocamente e con- cretamente (54) interpretabile; solo in questo caso la debenza del tributo è le- gittima (55).

perciò, intaccarne o integrarne il dato testuale), chiarendone o esplicitandone il senso (ove considerato oscuro) ovvero escludendone o enucleandone uno dei sensi ritenuti possibili, al fine, in ogni caso, di imporre all’interprete un determinato significato normativo della di- sposizione interpretata. Simili concetti sono espressi nelle sentenze 4 aprile 1990, n. 155 e 3 giugno 1992, n. 246. Per quanto riguarda la problematica dell’affidamento tributario si ricorda la sentenza del suddetto organo giurisdizionale 12 luglio 1995, n. 311, in cui si legge, a chiarimento: La riconosciuta natura effettivamente interpretativa di una legge non è sufficiente ad esclu- dere che la stessa determini violazioni costituzionali. Invero, la sovrana volontà del legislatore nell’emanare dette leggi incontra una serie di limiti che questa Corte ha da tempo individuato, e che attengono alla salvaguardia, ol- tre che di norme costituzionali, di fondamentali valori di civiltà giuridica posti a tutela dei destinatari della norma e dello stesso ordinamento, tra i quali vanno ricompresi il rispetto del principio generale di ragionevolezza che ridonda nel divieto di introdurre ingiustificate disparità di trattamento (sentenze nn. 397 e 6 del 1994; 424 e 283 del 1993; 440 del 1992 e 429 del 1993); la tutela dell’affidamento legittimamente sorto nei soggetti quale principio connaturato allo Stato di diritto (sentenze nn. 397 e 6 del 1994; 429 del 1993; 822 del 1988); il rispetto delle funzioni costituzionalmente riservate al potere giudiziario. (53) Comm. trib. prov. Lecce, 25 ottobre 2011, n. 562, secondo cui: I principi costitu- zionali di affidamento e buona fede riguardano soltanto gli atti amministrativi validamente formati e notificati (nel caso di specie l’avviso di accertamento), fra i quali non rientra il p.v.c., il quale non è un atto idoneo a produrre effetti nella sfera giuridica del contribuente. (54) Comm. trib. reg. Abruzzo 25 marzo 2011, n. 116, la quale in materia di buona fede, afferma che tale principio non può essere invocato quando non si verifichi nella sfera del contribuente una effettiva e definitiva lesione o aspettativa, infatti: ha accolto l’appello ritenendo che la norma non ha eliso il diritto al credito d’imposta, che sicuramente è già sorto in capo all’appellata, ma ha solo rinviato nel tempo, agli esercizi successivi al 2011, la fruizione del diritto al credito d’imposta stesso. (55) Si ricorda Corte cost., 28 marzo 2008, n. 74, a conferma della mancanza di con- creta propensione da parte della Corte costituzionale per la tutela delle ragioni degli ammi- nistrati: Questa Corte ha avuto modo di affermare, in più di un’occasione (da ultimo, sen- tenza n. 234 del 2007), che non è decisivo verificare se la norma censurata abbia carattere effettivamente interpretativo (e sia perciò retroattiva) ovvero sia innovativa con efficacia retroattiva, trattandosi in entrambi i casi di accertare se la retroattività della legge, il cui divieto non è stato elevato a dignità costituzionale, salvo che per la materia penale, trovi adeguata giustificazione sul piano della ragionevolezza e non contrasti con altri valori ed interessi costituzionalmente protetti. Sicché la norma censurata, ove considerata espressione di funzione di interpretazione autentica, non può considerarsi lesiva dei canoni costituzionali di ragionevolezza, e dei prin- cipi generali di tutela del legittimo affidamento e di certezza delle situazioni giuridiche, at- 696 DIRITTO E PRATICA TRIBUTARIA N. 4/2014

Per completezza, si specifica che la diligenza deve essere adoperata an- che in rapporti tra privati che poi possano avere delle ricadute nei confronti delle obbligazioni verso il fisco (56). L’affidamento sull’indirizzo giurisprudenziale preesistente si fonda sulla dimensione dichiarativa dell’interpretazione giurisprudenziale, la quale non può rappresentare la lex temporis acti, ossia il parametro normativo imma- nente per la verifica di validità dell’atto compiuto in correlazione temporale con l’affermarsi dell’esegesi del giudice (57). È proprio, però, l’elemento della imprevedibilità legato all’affidamento del contribuente che determina una scissione tra l’evento (e cioè il comporta- mento della parte risultante ex post non conforme alla corretta regola del pro- cesso) e l’effetto, di preclusione o decadenza, che ne dovrebbe derivare. In una simile condizione allo scopo di garantire l’effettività dei mezzi di azione e difesa deve escludersi l’operatività della preclusione o della deca- denza derivante dall’overruling nei confronti della parte che abbia confidato incolpevolmente (e cioè non oltre il momento di oggettiva conoscibilità del- l’arresto nomofilattico correttivo, da verificarsi in concreto) nella consolidata precedente interpretazione della regola stessa, la quale, sebbene soltanto sul piano fattuale, aveva comunque creato l’apparenza di una regola conforme al- la legge del tempo. In questa maniera, all’interno della struttura a formazione progressiva delle accise (58) si inserisce l’attività interpretativa della giurisprudenza dota- ta di forza pratica e pregnante il procedimento tributario e il proprio possibile sviluppo processuale allo scopo di garantire adeguate misure per la tutela del- le posizioni del contribuente.

teso che essa si limita ad assegnare alla disposizione interpretata un significato riconoscibi- le come una delle possibili letture del testo originario (si veda anche la sentenza n. 274 del 2006), senza, peraltro, che siffatta operazione debba essere necessariamente volta a compor- re contrasti giurisprudenziali, ben potendo il legislatore precisare il significato di norme in presenza di indirizzi omogenei (sentenze n. 374 del 2002, n. 29 del 2002 e n. 525 del 2000). (56) Comm. trib. reg. Toscana, 16 giugno 2011, n. 65 e Cass., sez. trib. 12 febbraio 2010, n. 3427 e 31 gennaio 2011, n. 2227. (57) Comm. trib. reg. Puglia, sez. XXV, 4 marzo 2013, n. 54: Le sentenze della Cor- te di giustizia europea, che sanciscono la contrarietà di norma interna con il diritto comu- nitario, hanno natura dichiarativa in quanto precisano l’interpretazione di una norma già esistente che fin dall’origine doveva ritenersi incompatibile con il diritto comunitario. A seguito della decisione di incompatibilità, il Giudice nazionale è vincolato ad adot- tare l’interpretazione della norma comunitaria stabilita dalla Corte di giustizia europea, nonché a non applicare, in casi analoghi, la norma interna ritenuta configgente che deve, quindi, essere disapplicata anche in relazione a rapporti giuridici sorti e costituiti prima della sentenza interpretativa. La sentenza della Corte di giustizia europea, nel mentre incide sui rapporti tributari precedentemente sorti e non ancora esauriti alla data di pubblicazione della stessa, non esplica alcun effetto giuridico riguardo ai rapporti definiti per i quali sia intervenuto un giudicato o sia divenuto inoppugnabile un atto di imposizione preclusivo, per l’esaurimento o la tempestiva mancata proposizione dei rimedi previsti dalla norma ovvero siano pre- scritti i termini di prescrizione o di debenza. (58) A. Elia, Accise e prodotti energetici (2007-2010), retro, 2010, II, 1159: è possi- bile rilevare il disallineamento tra il tempo della realizzazione del presupposto dell’impo- sta e quello della relativa esigibilità; ciò evidenzia la formazione progressiva dell’imposta in esame: prima si verifica il presupposto d’imposta, in un secondo momento al presentarsi di alcune condizioni si ha la esigibilità del tributo. PARTE SECONDA 697

Poi, per ciò che concerne il diritto alla difesa in costanza di procedimen- ti e processi, legati ad un inaspettato revirement della giurisprudenza e delle sue implicazioni di carattere pratico, si svolgono le seguenti osservazioni. In primo luogo, è necessario rilevare che l’attenzione nei confronti dei fe- nomeni di overruling si giustifica per le conseguenze che tale situazione può ave- re nei confronti del diritto alla difesa dei destinatari di un provvedimento. In quest’ottica, il principio del contraddittorio, inteso tanto come elemen- to fondamentale del procedimento amministrativo tributario quanto come stru- mento di difesa delle posizioni delle parti del rapporto tributario (59) necessi- ta di un costante adeguamento alla interpretazione dei giudici; per tale motivo attraverso l’attività ermeneutica dei giudici viene realizzata un’opera di valu- tazione della natura delle disposizioni normative cui i destinatari si devono adeguare calibrando l’esercizio del contraddittorio sulla nuova interpretazione di istituti oggetto del contendere. Quanto esposto trova un’ulteriore conferma nella giurisprudenza comuni- taria (60), la quale ha rilevato che i diritti fondamentali, come quello di difesa, sono parte integrante ed imprescindibile dei principi generali dei quali la Corte di giustizia garantisce l’osservanza, ispirandosi alle tradizioni costituzionali co- muni agli stati membri e alle indicazioni fornite dai trattati internazionali sulla tutela dei diritti dell’uomo, cui i paesi membri hanno cooperato o aderito. In siffatto contesto, giova ribadire, il diritto di difesa, sostanziandosi nel- l’opposizione a preclusioni decadenziali in contrasto con un successivo indi- rizzo giurisprudenziale, si manifesta, in primo luogo, con la ricognizione del- la categoria, armonizzata o meno, del tributo in esame (61).

(59) E. Mazzella, La diretta applicabilità delle direttive comunitarie all’ordinamento tributario nazionale,inFisco, 2004, 1, 6841: Attraverso la costante giurisprudenza della Corte, sono evidenziabili distinte ipotesi di efficacia immediata delle direttive: – quando si preveda, a carico del destinatario, un obbligo di non fare, tenuto conto che, attraverso il disposto dell’art. 10 (ex art. 5), 2o comma, del Trattato, gli Stati membri si sono impegnati ad astenersi dall’adottare qualsiasi misura che rischi di compromettere la realizzazione de- gli scopi del Trattato, nella già citata sentenza Van Duyn, la Corte ha riconosciuto effica- cia immediata a quelle direttive che, per avere imposto agli Stati membri destinatari una condotta negativa (non facere), non richiedono «alcun provvedimento di attuazione da par- te delle Istituzioni comunitarie o dagli Stati membri»; – quando venga riaffermato un ob- bligo contenuto nei Trattati, purché già produttivo di effetti immediati; – quando si tratti di una direttiva così dettagliata e particolareggiata da escludere, quanto ai modi di attuazio- ne, la discrezionalità degli Stati membri. Si ricordano ex multis, per corroborare quanto sopra citato, le sentenze della Corte di giustizia, sent. 17 dicembre 1970, causa 33/70 Sace, e quella del 6 maggio 1980, causa 102/79, Corte di giustizia, sent. 19 gennaio 1982, causa 8/81 Becker. (60) CGCE, 18 dicembre 2008, C-349/07, che al punto 38 afferma: Tale obbligo in- combe sulle amministrazioni degli Stati membri ogniqualvolta esse adottano decisioni che rientrano nella sfera d’applicazione del diritto comunitario, quand’anche la normativa co- munitaria applicabile non preveda espressamente siffatta formalità. Trattandosi dell’attuazione del principio in parola e, più in particolare, dei termini per esercitare i diritti della difesa, si deve precisare che, qualora non siano fissati dal di- ritto comunitario, come nella causa principale, essi rientrano nella sfera del diritto nazio- nale purché, da un lato, siano dello stesso genere di quelli di cui beneficiano i singoli o le imprese in situazioni di diritto nazionale comparabili, e, dall’altro, non rendano pratica- mente impossibile o eccessivamente difficile l’esercizio dei diritti della difesa conferiti dal- l’ordinamento giuridico comunitario. (61) Cass., sez. un., 11 luglio 2011, n. 15144. 698 DIRITTO E PRATICA TRIBUTARIA N. 4/2014

La siffatta operazione, è doveroso aggiungere, rappresenta un passaggio preliminare ed importante poiché permette di comprendere tanto le peculiarità del modulo tributario quanto della debenza d’imposta (62): superato questo livello di analisi, è poi possibile valutare il verificarsi sia dei presupposti d’imposta sia delle condizioni necessarie per l’impiego di istituti di tutela del contribuente come il rimborso. Si sviluppa, in altre parole e per concludere, una dinamica dialettica e su diversi livelli tra autorità fiscale, organo giudicante e contribuente per cui a fronte di un affidamento incolpevole di quest’ultimo soggetto in una interpre- tazione maggioritaria di un istituto il revirement della giurisprudenza compor- ta l’obbligo di adeguamento, anche retroattivo, del fisco (63). Partendo da queste considerazioni, nasce tra le parti, un contraddittorio raf- forzato dalla sua rilevanza europea, reso effettivo, nel raggiungimento dei risul- tati di tutela del contribuente, dalle conseguenze retroattive dell’overruling (64) e potenzialmente capace di integrarsi nella formazione progressiva del modulo tributario delle accise.

5. – Le accise tra esenzioni, agevolazioni fiscali e disciplina degli aiuti di Stato

Il modulo tributario dell’accisa deve essere analizzato anche rispetto alla disciplina degli aiuti di Stato, della fiscalità ambientale e della disciplina del- le agevolazioni ed esenzioni. Per quanto riguarda l’ultimo aspetto sopra menzionato è opportuno de- scrivere il sistema d’applicazione delle accise ai prodotti energetici il quale

(62) CGCE, 12 dicembre 2002, C-395/00 la quale afferma che Il rispetto del princi- pio dei diritti della difesa in qualsiasi procedimento promosso nei confronti di una persona e che possa sfociare in un atto per essa lesivo, in particolare in un procedimento che pos- sa condurre a sanzioni, costituisce, come la Corte ha statuito a più riprese, un principio fondamentale del diritto comunitario. Tale principio impone che i destinatari di decisioni che pregiudichino in maniera sensibile i loro interessi siano messi in condizione di formulare utilmente le proprie osser- vazioni. (63) Ex multis si cita Cass., sez. trib., 11 giugno 2010, n. 14105. (64) Si legge nella Relazione n. 31 del 29 marzo 2011 del massimario della Suprema Corte di Cassazione a pagina 37: Una diversa consapevolezza mostra la successiva Cass., sez. III, sent. n. 10741 dell’11 maggio 2009 (Rv. 608390)128, la quale si diffonde sulla «funzione interpretativa del giudice in ordine alla formazione della c.d. giurisprudenza – normativa, quale autonoma fonte di diritto». Si ritiene, infatti, che il codice civile non rappresenti più il referente privilegiato per l’interprete, in un contesto ordinamentale connotato da una pluralità di fonti, tra cui, oltre alla Costituzione ed alla legislazione ordinaria che di essa è attuazione, si colloca anche la «giurisprudenza normativa». Si tratta in sostanza di una giurisprudenza, segnatamente quella nomofilattica della Cor- te di legittimità, che, sebbene estranea al vincolo del precedente tipico dei sistemi di common law, mostra consapevolezza del carattere «semi-aperto» del sistema nel quale opera, giacché basa- to non solo su discipline legislative dettagliate, ma anche su «c.d. clausole generali», e cioè su indicazioni di «valori» ordinamentali, espressi con formule generiche (buona fede, solidarietà, funzione sociale della proprietà, utile sociale dell’impresa, centralità della persona) che scien- temente il legislatore trasmette all’interprete per consentirgli, nell’ambito di una più ampia di- screzionalità, di «attualizzare» il diritto, anche mediante l’individuazione (là dove consentito, come nel caso dei diritti personali, non tassativi) di nuove aree di protezione di interessi. PARTE SECONDA 699 viene delineato, nella sua estensione merceologica, attraverso il dettato degli artt. 21 e 17 del d.lgs. n. 504 del 1995. La prima norma enumera in modo analitico i beni che devono intendersi come energetici e al contempo introduce una disposizione, di chiusura del si- stema di applicazione delle accise. L’articolo 21 del d.lgs. n. 504 del 1995 contiene l’enumerazione dei pro- dotti energetici sottoposti ad accisa in ottemperanza al processo classificatorio della TARIC imperniato sulla nomenclatura combinata. Nello specifico la funzione di classificare un bene, da un punto di vista doganale, viene svolta dalla tariffa doganale d’uso integrato comunitaria (TA- RIC) che si fonda su una «nomenclatura combinata» la quale tiene conto del- le caratteristiche merceologiche del prodotto; ciò influenza la tassazione di un bene in materia di accise ed iva. Sotto un profilo strutturale, la nomenclatura combinata è costituita da una raccolta sistematica, organizzata per settori merceologici, di voci dogana- li (65) nelle quali trovano collocazione le merci oggetto di scambi commer- ciali internazionali (66). Nonostante lo sforzo della TARIC di involgere il maggior numero di be- ni è possibile che sorgano dubbi riguardo la natura di merci da presentare in dogana calcolando i dazi e l’insorgere di eventuali debenze. Allo scopo di ovviare a tale problema, gli operatori economici possono fa- re richiesta di informazione tariffaria vincolante (ITV) all’autorità doganale, che resta per l’effetto vincolata nei confronti del destinatario per un periodo di sei anni dalla data della comunicazione così come la ITV rimane impegnativa nei confronti di quello stesso destinatario per le autorità di tutti gli Stati membri (67). Con riferimento all’ordinamento italiano si può affermare che si tratta di una forma di interpello specifico rispetto a quello generalizzato previsto dallo Statu- to dei diritti del contribuente (68) che origina un parere dotato di natura deciso- ria (69) e si fonda sulle caratteristiche e proprietà oggettive del bene importato (70).

(65) La nomenclatura combinata è composta da: da una prima parte, formata dalla descrizione standard dei singoli prodotti (testo delle voci e sottovoci) a cui segue un codice numerico (codice di voce o sottovoce); da una seconda parte, che riporta i corrispondenti dazi doganali e le altre misure fiscali. (66) Si ricordi il considerando n. 2 del regolamento n. 977 del 2008 del 3 ottobre 2008 secondo cui: Il regolamento (CEE) n. 2658 del 1987 ha fissato le regole generali per l’interpretazione della nomenclatura combinata. Tali regole si applicano pure a qualsiasi altra nomenclatura che la riprenda anche in parte aggiungendovi eventualmente suddivisioni, e sia stabilita da regolamentazioni co- munitarie specifiche per l’applicazione di misure tariffarie o d’altra natura nel quadro de- gli scambi di merci. (67) Secondo l’articolo 11, 1o comma del Codice Doganale Comunitario: Chiunque può ottenere dall’autorità doganale un’informazione sull’applicazione della normativa doganale. È possibile non dare seguito a tale richiesta qualora quest’ultima non si riferisca ad un’operazione commerciale realmente prospettata. (68) Si ricordi l’articolo 11 della l. 27 luglio 2000, n. 212. (69) Si ricordino il 4o,n.5),e12o comma del codice doganale comunitario, i quali rispettivamente affermano che: un’informazione vincolante è valida sei anni in materia ta- riffaria e tre anni in materia di origine a decorrere dalla data della sua comunicazione e ...un’informazione vincolante cessa di essere valida: a) in materia tariffaria: i) quando, in seguito all’adozione di un regolamento, non sia conforme al diritto che ne deriva; ii) quando non sia più compatibile con l’interpretazione di una delle nomenclature di cui al- 700 DIRITTO E PRATICA TRIBUTARIA N. 4/2014

Una eventuale parte terza non può giovarsi dell’ITV anche se per la me- desima merce; ciò nonostante può adoperare tale informazione tariffaria come punto di riferimento privilegiato nell’ambito di indagini giudiziali eventual- mente affidate a CTU come nella sentenza in commento l’individuazione del tasso alcolico dell’alcole in esame (71). L’informazione, poi, viene comunicata anche ai competenti organi comu- nitari per l’aggiornamento della banca dati (72). In caso, poi, di informazioni divergenti in merito alla classificazione di una stessa merce, la questione – ove non venga risolta tra gli Stati membri interessati – viene portata all’esame dell’apposito Comitato per la classifica- zione delle merci (73): tale processo deve rimanere il più possibile omogeneo e non può variare da uno Stato all’altro secondo valutazioni discrezionali di- vergenti delle singole autorità con il rischio di determinare trattamenti discri- minatori tra gli operatori economici interessati (74). Al riguardo, è interessante considerare la complessa dinamica caratteriz- zante la classificazione dei beni e il conseguente trattamento ai fini delle ac- cise e dei dazi doganali: da un lato, vi sono i soggetti passivi e cioè il pro- prietario della merce e solidalmente tutti coloro per conto dei quali la merce è stata importata od esportata» (75) che presentano innanzi alle autorità doga- nali la merce corredata di bolletta doganale, dall’altro, si manifesta la verifica effettuata dalle autorità doganali, anche a posteriori (76), e in via eventuale dalle autorità giudiziarie sulla natura e la quantità dei beni (77). È, infatti, competenza del giudice nazionale assumere le decisioni neces- sarie affinché venga applicata una ITV conforme al diritto comunitario (78).

l’articolo 20, par. 6; iii) quando venga revocata o modificata a norma dell’articolo 9, a condizione che tale revoca o modifica sia notificata al titolare. (70) Comm. trib. prov. Milano, sez. XXXI, 7 luglio 2011, n. 201/31/11. (71) CGCE, sez. III, 27 settembre 2009, C-208/06. (72) La classifica doganale delle merci è un’operazione che avviene in due fasi, ap- plicando due diversi livelli di norme giuridiche: a) nella prima fase, si devono determinare le prime sei cifre del codice doganale, applicando le norme su indicate della Convenzione internazionale sul S.A (sistema armonizzato di designazione e codificazione delle merci previsto con decisione 87/369/CEE del Consiglio, del 7 aprile 1987), con particolare riferi- mento alle Note Esplicative del S.A.; b) nella seconda fase, si devono poi determinare le successive 2 cifre di N.C. applicando le norme comunitarie di cui sopra (norme di N.C.). L’unione europea non può, in via autonoma, modificare con i propri regolamenti le norme del S.A., che, in quanto norme internazionali, possono essere modificate solo dal- l’apposito organo internazionale su indicato (C.C.D.), il che presuppone che ogni modifica richiede il consenso degli altri Paesi aderenti in seno a tale organo, in base alle modalità che la stessa Convenzione si è posta. (73) CGCE, sez. II, 17 maggio 2001, C-119/99. (74) CGCE, sez. I, 17 gennaio 2013, C-361/11. (75) Si ricordi l’articolo 38 T.U.L.D. (76) CGCE, sez. II, 9 marzo 2006, C-293/04. (77) Si ricordi l’articolo 11, 4o comma del d.l. n. 16 del 2012. (78) CGCE, sez. III, 12 luglio 2012, C-291/11: In virtù dell’articolo 3, par. 1, lettera a), della convenzione sul SA, ogni parte contraente si impegna a far sì che la sua nomen- clatura tariffaria e quella statistica siano conformi al SA, a utilizzare tutte le voci e le sot- tovoci di tale sistema, senza aggiunte o modifiche, nonché i relativi codici numerici, e a seguire l’ordine di numerazione di tale sistema. La stessa disposizione prevede che ciascuna parte contraente si impegna altresì ad ap- plicare le regole generali per l’interpretazione del SA, nonché tutte le note di sezioni, di ca- PARTE SECONDA 701

In questa maniera il giudice, concorrendo alla effettiva funzione classifi- catoria della nomenclatura combinata, può annullare la determinazione del- l’autorità doganale che contrasta con le categorie del codice doganale. In parallelo al processo di classificazione attraverso la NC, l’articolo 17 TUA nel suo quinto comma contiene due disposizioni di particolare rilievo. La prima prevede la clausola di chiusura del sistema classificatorio attra- verso l’istituto della tassazione per equivalente. In virtù della suddetta disposizione viene sottoposto ad accisa, con l’ali- quota prevista per il prodotto energetico equivalente, ogni idrocarburo, esclu- so la torba, diverso da quelli indicati nell’articolo 17, da solo o in miscela con altre sostanze, utilizzato, destinato ad essere utilizzato oppure messo in vendita, come combustibile per riscaldamento o carburante per l’autotrazio- ne (79). Invece, la seconda disposizione contenuta nell’articolo in parola prevede che per gli idrocarburi ottenuti dalla depurazione e dal trattamento delle mi- scele e dei residui oleosi di recupero, destinati ad essere utilizzati come com- bustibili si applica l’aliquota prevista per gli oli combustibili densi. In tale ambito, per quanto riguarda le acque di sentina è opportuno ricor- dare che fino a quanto il prodotto ricavato dal processo di depurazione non è perfettamente idoneo ad essere impiegato come idrocarburo deve essere as- soggettato alla disciplina dei rifiuti (80).

pitoli e di sottovoci del SA, e a non modificare la portata di tali sezioni, capitoli e sottovoci. In forza dell’articolo 6, par. 1, della convenzione sul SA, è stato istituito, in seno al Consiglio di cooperazione doganale, un comitato denominato «comitato del sistema armo- nizzato», composto di rappresentanti di ogni parte contraente. Il suo compito consiste, in particolare, nel proporre emendamenti alla suddetta con- venzione e nel redigere note esplicative, pareri di classificazione e altri pareri per l’inter- pretazione del SA. (79) CGCE, sez. VIII, 21 dicembre 2011, C-503/10. (80) Cass., sez. III, 21 settembre 2006, n. 31396 secondo cui: Si osserva in proposito che il d.lgs n. 152 del 2006, art. 232, (rifiuti prodotti dalle navi e residui di carico) rimanda alle disposizioni del d.lgs. 14 giugno 2003, n. 182 – «Attuazione della Direttiva n. 2000/59/ CE relativa agli impianti portuali di raccolta per i rifiuti prodotti dalle navi ed i residui del carico» – il quale, all’art. 2, 2o comma, stabilisce che «i rifiuti prodotti dalla nave e i resi- dui del carico sono considerati rifiuti ai sensi del d.lgs. 5 febbraio 1997, n. 22, e successive modificazioni», mentre al 1o comma, viene precisato che, al fine del decreto, si intende per: «c) rifiuti prodotti dalla nave: i rifiuti, comprese le acque reflue e i residui diversi dai resi- dui del carico, ivi comprese le acque di sentina, prodotti a bordo di una nave e che rientra- no nell’ambito di applicazione degli allegati 1o,4o e5o della Marpol 73/78...». Il d.m. 17 no- vembre 2005, n. 169 «Regolamento attuativo del d.lgs. 5 febbraio 1997, n. 22, artt. 31 e 33, relativo all’individuazione dei rifiuti pericolosi provenienti dalle navi che è possibile ammet- tere alle procedure semplificate», inserisce nell’allegato 1 tra le tipologie dei rifiuti perico- losi le miscele di acqua emulsionata con residui oleosi, idrocarburi ed impurezze provenien- ti dalle cisterne e dalla sentina delle navi, prevedendo che esse debbano passare attraverso specifiche attività di recupero (messa in riserva (R13) per la separazione fisica della misce- la acqua-idrocarburi per decantazione e trattamento successivo di centrifugazione e misce- lazione con oli combustibili R3 in impianti che operano ai sensi del r.d. 30 marzo 1942, n. 327, definito come Codice della Navigazione... È questa la ragione per la quale talune cir- colari del Ministero delle Finanze, pur ammettendo la possibilità di individuare l’accisa do- vuta anche prima dell’ultimazione del trattamento delle miscele e dei residui oleosi di recu- pero, espressamente richiedono non solo l’effettuazione di analisi di laboratorio ma anche la dichiarazione della parte concernente taluni dati quali il periodo di formazione del residuo giacente nel serbatoio di accertamento, la provenienza delle varie partite, ecc. (circ. n. 34/D 702 DIRITTO E PRATICA TRIBUTARIA N. 4/2014

Vale la pena ricordare che il tema degli idrocarburi da riciclo si intreccia fortemente con quello del ciclo dei rifiuti (81), dei sottoprodotti (82) e della lo-

del 9 febbraio 1996). E proprio con riferimento a quanto testè affermato non appare irrile- vante, per la determinazione del fumus del reato ipotizzato, la circostanza che nella specie risulterebbe in realtà prelevato – e sequestrato unitamente al carico appena trasbordato ed al mezzo di trasporto utilizzato – anche un campione di refluo sigillato potendo l’iniziativa del prelievo oggettivamente essere letta come indicativa della volontà della ditta di procede- re alla richiesta attività di analisi. Peraltro, a prescindere dalla circostanza che neanche al- tre circolari – pure citate dal ricorrente – sembrano legittimare conclusioni diverse (la cir- colare del Ministero delle Finanze n. 191/D del 21 settembre 1999, nel disciplinare il regi- me fiscale degli idrocarburi ottenuti dalla depurazione e dal trattamento delle miscele e dei residui oleosi di recupero ai sensi dell’art. 21, 5o comma t.u., espressamente fa riferimento nel testo al prodotto ottenuto dopo i trattamenti; ed anche la circolare n. 192/D del 22 no- vembre 1994 sembra fare riferimento ai prodotti «recuperati» dalla pulizia delle navi), va sem- pre ricordato che, secondo il costante orientamento anche della giurisprudenza amministra- tiva, le circolari sono atti meramente interni della amministrazione, e sono quindi inidonee ad apportare direttamente vincoli o vantaggi a terzi o a disciplinare i rapporti con l’ammi- nistrazione qualora non riprodotte in atti amministrativi emanati a tal fine. (81) Si ricordi la disciplina normativa del «combustibile solido secondario» contenu- ta nell’articolo 183, 1o comma, lettera cc del d.lgs. n. 152 del 2006: il combustibile solido prodotto da rifiuti che rispetta le caratteristiche di classificazione e di specificazione indi- viduate delle norme tecniche UNI CEN/TS 15359 e successive modifiche ed integrazioni. (82) Cons. Stato, sez. V, 20 febbraio 2013, n. 1230: Una premessa di fondo si impo- ne, in via preliminare, in ordine all’individuazione del quadro normativo applicabile: Non v’è alcun dubbio che debba aversi riguardo alla normativa vigente al momento del rilascio dell’autorizzazione contestata. Il principio del tempus regit actum governa ordinariamente il procedimento ammini- strativo e pretende che la legittimità del provvedimento finale, per qualsiasi aspetto che ri- guardi la sua essenza, la struttura o i requisiti, sia raffrontato al paradigma legale del tempo in cui è posto in essere. Nel caso di specie, al momento dell’autorizzazione, erano già vigenti sia l’art. 18 della l. n. 96 del 2010 modificativo dell’art. 2-bis del d.l. 3 novembre 2008, n. 171, sia il d.lgs. 3 dicembre 2010, n. 205, modificativo dell’art. 185 del Codice ambiente. È alla luce dell’indicato quadro normativo che va affrontata la questione controver- sa, la quale ruota essenzialmente attorno ad un preliminare quesito di base: se cioè le deiezioni animali, ed in particolare la «pollina», siano da considerare «rifiuti», oppure possano essere considerati «sottoprodotti di origine animale», ovvero direttamente «bio- masse» ai sensi del d.lgs. n. 183 del 2003. Secondo i ricorrenti si sarebbe in presenza di un rifiuto, integralmente soggetto alla di- sciplina dello smaltimento di cui alla parte IV del Codice ambiente, con conseguente quali- ficazione dell’impianto progettato, tra quelli di smaltimento e non già di produzione energe- tica da fonti alternative: la pollina, in particolare, sarebbe specificatamente indicata quale rifiuto nell’elenco CER (Catalogo Europeo dei Rifiuti) con il codice 02106; le materie fecali in genere non rientrerebbero nell’ambito delle biomasse combustibili, previste dall’apposito allegato al Codice ambiente; neanche potrebbero essere considerati sottoprodotti ai sensi del disposto dell’art. 18 della l. n. 96 del 2010, atteso che seppur è vero che ivi la «pollina», ai fini della protezione delle acque dall’inquinamento provocato dai nitrati provenienti da fon- ti agricole, è stata espressamente qualificata come sottoprodotto utilizzabile quale biomassa, è stata tuttavia contestualmente prevista una «previa autorizzazione degli enti», palesemente in contrasto con l’art. 5 della Direttiva n. 2008/98/CE, incompatibile con l’art. 184-bis e ter del Codice ambiente, e comunque incostituzionale per violazione degli artt. 3 1o comma e 97 Cost.; la pollina non potrebbe nondimeno rientrare tra le materie fecali, tout court escluse dall’applicazione della disciplina dei rifiuti ai sensi dell’art. 185 del codice ambiente (modi- ficato sul punto dal d.lgs. 3 dicembre 2010, n. 205), poiché in tale norma è fatta salva l’ap- plicazione del regolamento comunitario n. 1774 del 2002 che prevede una disciplina specia- PARTE SECONDA 703

le per le deiezioni animali (finalizzata essenzialmente alla prevenzione sanitaria), che a sua volta ricede il passo alla disciplina dei rifiuti ove le deiezioni siano destinate all’incenerimen- to (come sarebbe nel caso di specie), secondo una schema di tipo circolare. Conviene esaminare punto per punto gli snodi argomentativi prospettati. Innanzitutto, nessun valore qualificatorio può avere il CER, a fronte di successive pre- visioni legislative che definiscono in generale il rifiuto, ed in particolare il sottoprodotto. Nessuna efficacia ostativa può nondimeno avere la mancata espressa previsione della pol- lina nell’elenco dei biocombustibili di cui alla sezione 4 della parte II dell’allegato X alla parte quinta del Codice ambiente, in presenza di apposita norma che intervenendo ab externo sull’al- legato stesso, dichiara espressamente di volerlo integrare con la previsione della «pollina» (art. 18 l. n. 96 del 2010) a condizione che essa sia qualificabile in concreto come sottoprodotto. L’art. 2-bis del d.l. 3 novembre 2008, n. 171, così come appunto modificato dall’art. 18 della l. n. 96 del 2010, in particolare prevede che «1. Le vinacce vergini nonché le vi- nacce esauste ed i loro componenti, bucce, vinaccioli e raspi, derivanti dai processi di vi- nificazione e di distillazione, che subiscono esclusivamente trattamenti di tipo meccanico fisico, compreso il lavaggio con acqua o l’essiccazione, nonché, previa autorizzazione de- gli enti competenti per territorio, la pollina, destinati alla combustione nel medesimo ciclo produttivo sono da considerare sottoprodotti soggetti alla disciplina di cui alla sezione 4 della parte II dell’allegato X alla parte quinta del d.lgs. 3 aprile 2006, n. 152» (trattasi dell’allegato cui si è già fatto riferimento per i biocombustibili). La norma appare in linea con la Direttiva n. 2008/98/CE: Essa, contrariamente a quanto sostenuto dai ricorrenti, non prefigura una perentoria esclusione di un determinato scarto produttivo dal regime dei rifiuti, a mezzo della sua classificazione come sottoprodot- to, ma si limita a richiamare – e sempre che la combustione avvenga nel medesimo ciclo produttivo – la disciplina di cui all’allegato X nella parte citata... Ed ivi è previsto, all’art. 1-bis (invero inserito solo con d.lgs. 29 giugno 2010, n. 128, art. 3), che «Salvo il caso in cui i materiali elencati nel par. 1 (ndr. ossia i biocombustili) derivino da processi diretta- mente destinati alla loro produzione o ricadano nelle esclusioni dal campo di applicazione della parte quarta del presente decreto, la possibilità di utilizzare tali biomasse secondo le disposizioni della presente parte quinta è subordinata alla sussistenza dei requisiti previsti per i sottoprodotti dalla precedente parte quarta». In sostanza, l’avvenuta integrazione – ad opera del legislatore – dell’elenco dei bio- combustibili con l’indicazione della pollina, non esime l’amministrazione e l’interprete dal pretendere la sussistenza dei requisiti generali previsti per la qualificazione di un scarto come «sottoprodotto», per tale dovendosi intendere, ai sensi dell’art. 184 bis del Codice, «1...... qualsiasi sostanza od oggetto che soddisfa tutte le seguenti condizioni: a) la sostanza o l’oggetto è originato da un processo di produzione, di cui costituisce parte integrante, e il cui scopo primario non è la produzione di tale sostanza od oggetto; b) è certo che la sostanza o l’oggetto sarà utilizzato, nel corso dello stesso o di un successivo processo di produzione o di utilizzazione, da parte del produttore o di terzi; c) la sostanza o l’oggetto può essere utilizzato direttamente senza alcun ulteriore trattamento diverso dalla normale pratica industriale; d) l’ulteriore utilizzo è legale, ossia la sostanza o l’oggetto soddisfa, per l’utilizzo specifico, tutti i requisiti pertinenti riguardanti i prodotti e la protezione della salute e del- l’ambiente e non porterà a impatti complessivi negativi sull’ambiente o la salute umana». Possono del pari escludersi gli ulteriori dubbi di incostituzionalità profilati dai ricor- renti. L’autorizzazione, da parte degli enti competenti per territorio, in ordine all’utilizzo del- la pollina quale biocombustibile, non è frutto di una previsione che consegna agli enti pre- detti un potere discrezionale senza limiti o confini in violazione del principio di legalità, ma è un requisito ulteriore poggiante sulla necessità di verifica in concreto, non solo che la com- bustione avvenga «nell’ambito del medesimo ciclo produttivo», ma anche che la pollina ab- bia, in relazione al caso concreto, effettivamente le caratteristiche generali del sottoprodotto. Trattasi dunque di un regime autorizzatorio fondato sulla verifica e non sulla discre- zionalità. 704 DIRITTO E PRATICA TRIBUTARIA N. 4/2014 ro possibilità di avere un proprio waste end (83). Anche in quest’ambito, è ne- cessario operare un’analisi per poter procedere ad un corretto inquadramento fi- scale di taluni beni prima rifiuti e poi prodotti energetici o viceversa attraverso un’attenta analisi del ciclo produttivo e delle circostanze a questo collegate. In particolare, è di precipua rilevanza comprendere in quale momento della propria esistenza un bene cessa d’essere rifiuto per diventare assog-

Non ravvisabile poi è la ventilata incompatibilità tra l’art. 18 della l. n. 96 del 2010, e l’art. 185 così come modificato dal d.lgs. 3 dicembre 2010, n. 205. La seconda delle norme citate esclude dal campo di applicazione dei rifiuti, in quan- to soggetti a discipline speciali: (art. 185 2o comma lett. b): i sottoprodotti di origine ani- male, compresi i prodotti trasformati, contemplati dal regolamento (CE) n. 1774 del 2002, eccetto quelli destinati all’incenerimento, allo smaltimento in discarica o all’utilizzo in un impianto di produzione di biogas o di compostaggio. Ai sensi del 1o comma lett. f) – Sono altresì escluse ...le materie fecali, se non contemplate dal 2o comma, lettera b), ..... utiliz- zati per la produzione di energia da tale biomassa mediante processi o metodi che non danneggiano l’ambiente né mettono in pericolo la salute umana. Le materie fecali sono evidentemente sostanze – in rapporto di genus a species con la pollina – il cui ulteriore utilizzo (per concimi od altro) può essere nocivo per la salute uma- na, e come tali restano disciplinate dalle previsioni cautelative di cui al regolamento n. 1774 del 2002 («norme sanitarie relative ai sottoprodotti di origine animale e ai prodotti derivati non destinati al consumo umano», oggi sostituito dal reg. CE n. 1069 del 2009), salvo che es- se siano destinate all’incenerimento o allo smaltimento, nel qual caso è evidente che non po- nendosi un problema di riutilizzo, debba trovare applicazione l’ordinaria disciplina sui rifiuti. Il 1o comma dell’art. 185 aggiunge tuttavia un’altra previsione, che lungi dal contra- stare con l’art. 18 della l. n. 96 del 2010, lo presuppone, implicitamente coordinandosi con esso, prescrivendo che a) se la materia fecale è la pollina, b) non è destinata ad un riuti- lizzo ed è invece utilizzata come biomassa combustibile ai sensi proprio dell’art. 18 cit., allora essa è esclusa dal campo di disciplina dei rifiuti. In conclusione, la pollina deve ritenersi, quanto meno allo stato della normativa vigen- te al momento dell’autorizzazione contestata, biomassa combustibile utilizzabile ai fini della produzione di energia elettrica, ai sensi della parte V del Codice dell’ambiente, sempre che ricorrenti i presupposti e le condizioni per classificarla quale sottoprodotto avuto riguardo al- l’utilizzo fattone dal produttore, secondo le valutazioni fatte caso per caso dall’ente compente. (83) CGCE, sez. II, 7 marzo 2013, C-358/11: Il diritto dell’Unione non esclude per principio che un rifiuto considerato pericoloso possa cessare di essere un rifiuto ai sensi della Direttiva n. 2008/98/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 19 novembre 2008, relativa ai rifiuti e che abroga alcune direttive, se un’operazione di recupero con- sente di renderlo utilizzabile senza mettere in pericolo la salute umana e senza nuocere al- l’ambiente e se, peraltro, non viene accertato che il detentore dell’oggetto di cui trattasi se ne disfi o abbia l’intenzione o l’obbligo di disfarsene ai sensi dell’articolo 3, punto 1, della medesima direttiva, il che spetta al giudice del rinvio verificare. Il regolamento (CE) n. 1907 del 2006 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 18 dicembre 2006, concernente la registrazione, la valutazione, l’autorizzazione e la restri- zione delle sostanze chimiche (REACH), che istituisce un’Agenzia europea per le sostanze chimiche, che modifica la Direttiva n. 1999/45/CE e che abroga il regolamento (CEE) n. 793 del 1993 del Consiglio e il regolamento (CE) n. 1488 del 1994 della commissione, nonché la Direttiva n. 1976/769/CEE del Consiglio e le Direttive della Commissione nn. 1991/155/CEE, 1993/67/CEE, 1993/105/CE e 2000/21/CE, nella sua versione risultante dal regolamento (CE) n. 552 del 2009 della commissione, del 22 giugno 2009, segnatamente il suo allegato XVII, nei limiti in cui in presenza di determinate condizioni autorizza l’uso del legno trattato con una soluzione cosiddetta «RCA» (rame, cromo, arsenico), deve esse- re interpretato nel senso che, in circostanze come quelle del procedimento principale, pre- senta un interesse al fine di determinare se un legno del genere possa cessare di essere un rifiuto in quanto, qualora siffatte condizioni fossero soddisfatte, il suo detentore non sareb- be tenuto a disfarsene ai sensi dell’articolo 3, punto 1, della Direttiva n. 2008 del 1998. PARTE SECONDA 705 gettato alle categorie indicate nell’articolo 21 del d.lgs. n. 504 del 1995. Parimenti, giova sviluppare una ricognizione dei presupposti affinché un bene possa essere considerato sottoprodotto eventualmente assoggettato al re- gime delle accise piuttosto che rifiuto. Riguardo a quest’ultimo aspetto è importante comprendere se effettiva- mente si sono verificate le condizioni indicate nell’articolo 184-bis del d.lgs. n. 15 del 2006 (84).

*** Partendo dalle considerazioni svolte sulla classificazione dei prodotti energetici ai fini della loro sottoposizione alle accise è interessante valutarne le relazioni con il sistema parallelo di norme agevolative ed esentative delle quali le prime sono contenute nella «Tabella A» del d.lgs. n. 504 del 1995 mentre le seconde sono indicate nell’articolo 17. Per tali motivi, prima di approfondire la disamina, giova descrivere bre- vemente gli ambiti entro i quali vengono, poi, analizzate le principali proble- matiche e le disposizioni più rilevanti. Si procede, in primo luogo, ad una breve ricostruzione dell’istituto della agevolazione, allo scopo di avere lo strumento per affrontare di seguito l’ana- lisi degli elementi costitutivi dell’aiuto di Stato, della sovra compensazione e del legittimo affidamento nella norma tributaria di natura comunitaria. In particolare, l’agevolazione tributaria è una disposizione normativa che prevede una forma di attenuazione della tassazione attraverso la diminuzione sostanziale dell’entità del prelievo o l’applicazione di modalità e schemi sem- plificati di attuazione del tributo. L’agevolazione sostanziata in una disposizione normativa, compatibile con il diritto comunitario e sottoposta, quanto richiesto, al vaglio di quest’ul- timo, si basa su termini perentori, fattispecie fortemente tipizzate e precise ipotesi di esclusioni; per tal motivo le previsioni normative in parola si fon- dano sul principio della tipicità. L’agevolazione rende l’accisa un’imposta assoggettabile ad un regi- me di esigibilità condizionata (85) o parzialmente condizionata (86) sem-

(84) Articolo 184- bis: È un sottoprodotto e non un rifiuto ai sensi dell’articolo 183, 1o comma, lettera a), qualsiasi sostanza od oggetto che soddisfa tutte le seguenti condizioni: a) la sostanza o l’oggetto è originato da un processo di produzione, di cui costituisce parte integrante, e il cui scopo primario non è la produzione di tale sostanza od oggetto; b) è certo che la sostanza o l’oggetto sarà utilizzato, nel corso dello stesso o di un successivo processo di produzione o di utilizzazione, da parte del produttore o di terzi; c) la sostanza o l’oggetto può essere utilizzato direttamente senza alcun ulteriore trattamento diverso dalla normale pratica industriale; d) l’ulteriore utilizzo è legale, ossia la sostanza o l’oggetto soddisfa, per l’utilizzo specifico, tutti i requisiti pertinenti riguardanti i prodotti e la protezione della salute e del- l’ambiente e non porterà a impatti complessivi negativi sull’ambiente o la salute umana. Sulla base delle condizioni previste al 1o comma, possono essere adottate misure per stabilire criteri qualitativi o quantitativi da soddisfare affinché una sostanza o un oggetto specifico sia considerato sottoprodotto e non rifiuto. All’adozione di tali criteri si provvede con uno o più decreti del Ministro dell’am- biente e della tutela del territorio e del mare, ai sensi dell’art. 17, 3o comma, della l. 23 agosto 1988, n. 400, in conformità con quanto previsto dalla disciplina comunitaria. (85) Cass., sez. V, del 9 luglio 2004, n. 12589 In tema di esenzioni e agevolazioni dall’imposta erariale e relative addizionali sul consumo dell’energia elettrica, di cui al- 706 DIRITTO E PRATICA TRIBUTARIA N. 4/2014 pre mantenendo la propria coerenza con quello interno (87). Rappresenta, inoltre, la categoria nella quale si posiziona l’esenzione fi- scale la quale esonera da contribuzione fattispecie che altrimenti rientrerebbe- ro a pieno titolo nella sfera di applicazione del tributo; più in generale, l’esenzione è una deroga al presupposto del tributo. Va, poi, aggiunto che la disciplina della agevolazione, dell’esenzione e dell’esclusione è modellata in conformità con il diritto comunitario e con quello costituzionale.

6. – Esenzioni ed agevolazioni presenti nel T.U.A. in materia di oli minerali Il sistema delle accise prevede una serie di usi esenti degli oli minerali. Si ricordano i casi previsti dall’art. 17 T.U.A. e cioè le forniture realiz- zate in costanza di relazioni diplomatiche o consolari, ad organizzazioni inter- nazionali riconosciute, alle forze armate della NATO e dei paesi terzi in co- stanza di convezioni.

l’art. 55 d.lgs. n. 504 del 1995, la mancata ottemperanza alle prescrizioni imposte dall’art. 53 del cit. d.lgs. n. 504, e cioè a quelle riguardanti la preventiva denuncia di officina elet- trica e la predisposizione dei circuiti elettrici secondo le prescrizioni dell’Amministrazione finanziaria, non produce effetti preclusivi del diritto alle esenzioni od alle agevolazioni da parte del contribuente, atteso che tali adempimenti non costituiscono il presupposto inde- fettibile per il sorgere delle relative posizioni giuridiche soggettive. Infatti, tali adempimenti o sono funzionali al rilascio della licenza d’esercizio o sono pre- scrizioni meramente eventuali, disposte dall’amministrazione nell’esercizio del potere ricono- sciuto dalla legge per rendere più agevoli accertamenti e controlli contabili-amministrativi. (86) Si ricordi a titolo di esempio la nota protocollo RU 149256 del 3 novembre 2009 dell’Agenzia delle Dogane in materia di esenzioni illegittime rispetto al diritto comu- nitario secondo cui: Come sottolineato dal predetto Dipartimento, attesa la declaratoria di incompatibilità dell’esenzione in questione formulata dalla Commissione europea con la Decisione in oggetto richiamata, si configura l’impossibilità di un ulteriore riconoscimento del beneficio in parola, anche in assenza di un’espressa abrogazione della norma naziona- le di previsione (art. 2, 14o comma, della l. 22 dicembre 2008, n. 203). Ciò premesso, ferma restando la necessità del recupero degli aiuti in parola nei con- fronti degli effettivi beneficiari (i serricoltori) da parte della competente amministrazione, che provvederà a darvi corso nei tempi e nei modi più opportuni, si evidenzia l’impossibi- lità di un’ulteriore applicazione dell’esenzione sopra richiamata. Merita menzione Cons. Stato, sez. IV, 16 febbraio 2012, n. 812, secondo cui Lo sco- po della previsione [agevolazione fiscale sulla produzione di biodiesel con contingente an- nuale], secondo quanto rappresentato dalle amministrazioni appellate (18 mem.) è quello del «mantenimento per ciascun assegnatario della percentuale di contingente assegnato nell’anno precedente» e quindi «la sostanziale costanza nel tempo del beneficio fiscale for- nito ai partecipanti dalle precedenti assegnazioni. In tal modo viene, infatti, garantita una quota di mercato» [ed ancora] «di garantire «una quota di mercato», tale aspetto distorsivo della concorrenza appare evidente, con conseguente illegittimità della previsione regolamentare. In altre parole, come affermato dalla suddetta pronuncia del Consiglio di Stato l’ap- plicazione di un’agevolazione fiscale di origine comunitaria non determinare l’alterazione della concorrenza e la preclusione di ingresso ad altri operatori. Sul punto si cita in dottrina C. Verrigni, Le accise nel mercato unico europeo,inRiv. dir. fin. sc. fin., 2007, I, 251; C. Simone, Il recupero degli aiuti fiscali incompatibili con il diritto comunitario, retro, 2012, 379. (87) A. Elia, L’accisa come imposta dalla natura unitaria e di preminente competen- za statale, retro, 2012, 1083. PARTE SECONDA 707

Le modalità operative possono essere ricondotte all’uso di marcatori nei prodotti energetici e con la circolazione attraverso documenti d’accompagna- mento in regime sospensivo. Rientrano nella disciplina delle esenzioni delle accise o degli usi agevo- lati i casi previsti dall’art. 11 del TUA ed in particolare: il gas naturale im- piegato negli usi di cantiere e nelle operazioni di campo per la coltivazione degli idrocarburi; produzione indiretta o diretta di energia elettrica con im- pianti obbligati alla denuncia prevista dalle disposizioni che disciplinano l’im- posta di consumo sull’energia elettrica e sull’autoproduzione di energia elet- trica; produzione dell’ossido di magnesio e di alluminio dall’acqua di mare; gpl adoperati negli impianti centralizzati per usi industriali. Si ricordi il caso di esenzione del carburante impiegato per la navigazio- ne aerea diversa dall’aviazione privata di diporto e per voli didattici. La suddetta agevolazione può essere usufruita, come previsto dall’art. 24 d.lgs. n. 504 del 1995, nella forma diretta dell’abbuono o mediante restituzio- ne dell’imposta indebitamente pagata (88). Il rimborso va chiesto entro il termine di decadenza di due anni dal pa- gamento ed è subordinato esclusivamente alla dimostrazione che il carburante sia stato destinato ad uno degli impieghi agevolati previsti dalla Tabella A al- legata del suddetto testo unico. Tale preventivo incombente è applicabile, infatti, ai soli «voli didattici», come espressamente disposto dal d.m. 16 dicembre 1996, n. 692 e non anche ad altre tipologie di impiego, quali il carburante utilizzato, come per interven- ti aerei di soccorso in montagna (89). Deve, poi, considerarsi illegittimo il diniego di rimborso per l’omessa presentazione della denuncia preventiva, quale condizione di accesso al bene- ficio fiscale, introdotta con circolare n. 121/D dd. 21 aprile 1995 del Min.- fin.-Dip.Dogane (90). Ciò si spiega con il diritto al rimborso dell’imposta, che deve essere fat- to valere entro il termine di decadenza di anni due dal pagamento, avendo per unico presupposto l’indebito esborso (91).

7. – Esenzione ed esercizio della nautica da diporto

Il punto 3 della tabella «A» del d.lgs. n. 504 del 1995 descrive gli im- pieghi come carburanti per la navigazione nelle acque comunitarie, compre-

(88) Comm. trib., 1o grado Bolzano, sez. II, 6 novembre 2008, n. 7. (89) In verità il d.m. 12 dicembre 1996, n. 689 si è limitato a disciplinare le sole modalità di rimborso dell’imposta indebitamente pagata, mentre non ha dettato disposizioni di sorta sugli incombenti formali da osservare per fruire del trattamento agevolato. (90) Si ricorda che tale circolare è stata emessa «in via provvisoria e sperimentale» in attesa dell’emanazione del decreto ministeriale previsto dall’art. 66 per l’applicazione del d.lgs. n. 504 del 1995 e con particolare riferimento, fra l’altro, alla concessione di agevola- zioni, esenzioni, abbuoni e restituzioni. (91) Si ricordi a titolo d’esempio un altro dubbi in materia di esenzione: secondo Comm. trib. reg. Lazio, sez. XXXII, 12 febbraio 2008, n. 5 l’applicazione di un’aliquota ri- dotta dell’accisa, in riferimento all’impiego di oli minerali per la produzione di forza motri- ce è valida limitatamente a macchinari fissi o comunque posti su macchine semoventi, con motore ausiliario diverso da quello usato per il macchinario, per il quale era stata chiesta la riduzione o l’esenzione dell’accisa. 708 DIRITTO E PRATICA TRIBUTARIA N. 4/2014 sa la pesca, con esclusione delle imbarcazioni private da diporto e impieghi come carburante per la navigazione delle acque interne limitatamente al tra- sporto delle merci e per il dragaggio di vie navigabili e porti (92). Da tale disposizione emerge, in primo luogo, la forte rilevanza della for- ma contrattuale in relazione alla quale è detenuta l’imbarcazione cui viene ef- fettuato il rifornimento di prodotti energetici (93) nella qualificazione della de- tenzione come commerciale o privata del natante medesimo; in altre parole, ven- gono indicate e tipizzate le condizioni rispetto alle quali, in ottemperanza al di- ritto comunitario, si può godere del regime esentativo in parola: l’esercizio di attività commerciale che deve essere provato tanto sotto l’aspetto formale, con- tabile ed autorizzativo quanto sotto quello dell’effettivo comportamento del sog- getto passivo e delle condizioni di mercato nelle quali costui ha operato. Al riguardo si riportano alcune considerazioni sulle obbligazioni scatu- renti dal contratto di noleggio e quello di locazione. La prima tipologia negoziale presuppone che il dante causa, contro il corrispettivo del nolo pattuito, si obbliga a compiere con l’unità da diporto una determinata navigazione, ovvero la navigazione ordinata dal noleggiatore, mantenendo la conduzione tecnica dell’unità e mantenendo alla sue dipenden- ze l’equipaggio. Si inserisce in questa fattispecie contrattuale l’effettivo impiego delle imbar- cazioni per l’esercizio di un’attività di noleggio (94), nel senso che deve risul- tare una diretta e sostanziale correlazione fra i contratti di noleggio stipulati, le relative fatture registrate e gli acquisti di prodotti petroliferi agevolati, debitamen- te annotati sul citato libretto di controllo; a quanto esposto si deve aggiungere che è necessaria la presenza di determinate condizioni di mercato (95) ovvero carat- terizzate da normalità economica, anche per le attività di noleggio svolte a favo- re dei soci della società proprietaria del natante (96).

(92) Tale norma ha necessitato della sua integrazione con altre disposizioni legislati- ve ed in particolare con il 5o comma del d.m. 16 novembre 1995, n. 577 così come modi- ficato da un’importante sequenza di atti normativi comunitari. Sono esclusi dall’esenzione, continua la predetta disposizione, i prodotti petroliferi destinati a provvista di bordo delle imbarcazioni private da diporto. Per «imbarcazioni private da diporto» si intendono le imbarcazioni che vengono uti- lizzate dal proprietario, dalla persona fisica o giuridica che può utilizzarli in virtù di un contratto di locazione o per qualsiasi altro titolo, per scopi non commerciali ed in partico- lare per scopi diversi dal trasporto di passeggeri o merci e dalla prestazione di servizi a ti- tolo oneroso o per conto di autorità pubbliche. (93) Si veda al riguardo il punto 3 del d.lgs. n. 504 del 1995. Per le modalità da osservare dispone il d.m. 16 novembre 1995, n. 577. (94) Si ricordi CGCE, 22 dicembre 2010, C-116/10, che ha avuto ad oggetto l’artico- lo 15 della Direttiva n. 1977/388/CEE (c.d. sesta direttiva iva), ora trasfuso nell’articolo 148 della Direttiva n. 2006/112/CE, recepito nella normativa interna dall’articolo 8-bis del d.p.r. n. 633 del 1972. Nella citata sentenza la CGCE ha affermato che, affinché una locazione di navi adibi- te alla navigazione d’alto mare e al trasporto a pagamento di passeggeri o usate nell’eserci- zio di attività commerciali, industriali e della pesca possa essere esentata a titolo dell’art. 15, punto 5, della sesta direttiva, è necessario che il locatario della nave interessata utilizzi la medesima per esercitare un’attività economica. (95) In merito alla interazione delle condizioni di mercato sul funzionamento del meccanismo delle accise si ricorda la sentenza della Comm. trib. prov. di Milano sez. 31 del 6 giugno 2008, n. 304. (96) Comm. trib. reg. Liguria, sez. IX, 18 settembre 2012, n. 10: Quanto al secondo motivo (rilevanza della percentuale di utilizzo dei natanti da parte dei soci o di società ad PARTE SECONDA 709

Diversamente, il contratto di locazione ha ad oggetto il trasferimento della disponibilità del bene a favore del conduttore, che si assume ogni ri- schio connesso alla navigazione. In altre parole, giova ricordare che l’esenzione dalla debenza dell’accisa per prodotti energetici utilizzati per bunkeraggio di imbarcazioni da diporto per mero uso privato non è mai ammissibile (97): tale preclusione, sostanzia- ta in un divieto di origine comunitaria, svolge, in concorso con gli altri requi- siti, una funzione classificatrice afferente al principio di tipicità dell’agevola- zione tributaria e delle relative condizioni in materia di accise (98). In sintesi, è possibile rilevare come il substrato contrattuale condiziona direttamente la fase di esigibilità del tributo in parola attraverso esenzioni og-

essi riconducibili) La commissione osserva: «che i natanti siano stai utilizzati in più occa- sioni dai soci o da società ad essi riconducibili è pacifico» (sentenza penale, 7, dichiara- zioni di XXX «C’erano delle giornate in cui la barca non era richiesta, per cui la usavamo noi»; foglio 5 del PVC, dichiarazioni di XXX «i consumi relativi a periodi di moto per i quali non risultano contratti di noleggio sono relativi a trasferimenti dell’imbarcazione per i noleggi stessi, o per uso personale della barca stessa»); «Il fatto che percentualmente tali occasioni siano inferiori rispetto a quelli che appaiono come normali noleggi, è in astratto rilevante ove si ritenga utile (per la decisione) valutare la prevalenza; ma tale percorso di valutazione sarebbe percorribile solo se la contabilità di bordo fosse stata regolarmente te- nuta: solo tale circostanza, infatti, consentirebbe di determinare con certezza il numero di uscite e la loro motivazione». (97) CGCE, sez. I, 1 aprile 2004, C-389/02: L’art. 8, n. 1, lett. c), della Direttiva del Consiglio 19 ottobre 1992, n. 1992/81/CEE, relativa all’armonizzazione delle strutture delle accise sugli oli minerali, dev’essere interpretato nel senso che la nozione di «navigazione nelle acque comunitarie (compresa la pesca), ma non in imbarcazioni private da diporto» ricomprende qualsiasi forma di navigazione, indipendentemente dall’oggetto del trasporto, quando sia effettuata a fini commerciali. (98) L. Del Federico, Impiego agevolato dei prodotti petroliferi nella nautica da di- porto ed imposta di fabbricazione,inFisco, 2003, 1, 6860: Un aspetto interessante per le imbarcazioni da diporto e mai effettivamente approfondito è quello relativo alla possibilità di utilizzare carburante s.i.f. (senza imposta di fabbricazione) per determinate tipologie di utilizzo. L’Agenzia delle Dogane è intervenuta con nota n. 7206/00 dell’8 febbraio 2001 in merito all’impiego agevolato dei prodotti petroliferi destinati al rifornimento delle unità da diporto. In particolare si è evidenziato che il punto 3 della Tabella A, allegata al d.lgs. 26 ot- tobre 1995, n. 504, in recepimento di quanto statuito dall’art. 8, par. 1, lettera c), della Direttiva n. 1992/81/CEE del 19 ottobre 1992, prevede l’esenzione dall’accisa per gli oli minerali impiegati come carburanti per la navigazione nelle acque marine comunitarie. La ratio dell’esclusione delle unità da diporto dal trattamento di non imponibilità ri- siede nella considerazione che la navigazione da diporto ha «scopi sportivi o ricreativi dai quali esuli il fine di lucro», così come dispone l’art. 1, 2o comma, della l. 11 febbraio 1971, n. 50 e non ha finalità di carattere commerciale. La disciplina delle unità da diporto ha, successivamente, subito un’evoluzione norma- tiva e l’art. 15 della l. 5 maggio 1989, n. 171, così come modificato dall’art. 10, 11o com- ma, del d.l. 21 ottobre 1996, n. 535, convertito, con modificazioni, dalla l. 23 dicembre 1996, n. 647, consente l’utilizzo delle unità da diporto mediante contratti di locazione e di noleggio, in deroga alla disposizione anzidetta sulla necessaria assenza del fine del lucro; di tale utilizzo va fatta menzione nei registri di iscrizione dell’unità da diporto, annotando gli estremi di iscrizione nel Registro delle imprese del soggetto esercente l’attività di loca- zione o noleggio; analoga annotazione deve essere effettuata sulla licenza di navigazione. Con queste modifiche normative, il legislatore, nell’intento di favorire lo sviluppo Dei servizi turistici, ha voluto consentire l’utilizzo delle unità da diporto in attività com- merciali. 710 DIRITTO E PRATICA TRIBUTARIA N. 4/2014 gettive e soggettive e agevolazioni nella tassazione le quali, successivamente, possono essere accertate dall’autorità fiscale (99). Completa, poi, il quadro classificatorio sopra delineato la valutazione del- l’adempimento effettivo e corretto delle formalità documentali richieste (100) ne- cessarie per lo svolgimento delle diverse attività commerciali (101). Altresì, per un corretto verificarsi delle condizioni giustificatrici della esenzione ex punto 3 della tabella «A» del d.lgs. n. 504 del 1995, è necessa- rio che il prodotto energetico sottoposto ad esenzione fiscale sia impiegato in un motore strutturalmente collegato all’imbarcazione (102). Per ciò che concerne la tipologia di prodotto energetico adoperato in esenzione è interessante segnalare la inclusione sia della benzina effettua- ta in virtù di una disposizione di interpretazione autentica (103) sia degli

(99) Comm. trib. prov. Udine, ord. 7 giugno 2005, n. 123. (100) Si ricorda l’articolo 4, 3o comma, lett. a), del d.m. n. 577 del 1995 il quale prevede che gli adempimenti richiesti sono: la disponibilità del libretto di controllo nel qua- le devono essere annotati gli imbarchi ed i consumi dei prodotti petroliferi agevolati; la compilazione di apposito «memorandum» debitamente numerato, datato e firmato dall’eser- cente l’impianto di erogazione e dal comandante o marittimo dell’imbarcazione rifornita; l’indicazione sul memorandum delle seguenti indicazioni: le generalità dell’esercente l’im- pianto di distribuzione; gli estremi dell’imbarcazione rifornita; quantitativo e caratteristiche del prodotto rifornito; la dichiarazione di avere effettuato le prescritte annotazioni sul li- bretto di controllo dell’imbarcazione rifornita. Completa il quadro ricostruttivo degli adempimenti documentali si ricorda che per le navi e le imbarcazioni da diporto e gli yacht commerciali, è necessaria l’annotazione nei registri di iscrizione e sulla licenza di navigazione dell’utilizzo del bene per finalità di no- leggio. Invece, per ciò che concerne i natanti da diporto sono soggetti all’obbligo di iscrizio- ne nei registri marittimi, gli esercenti l’attività di noleggio, i quali oltre ad assolvere all’ob- bligo di iscrizione alla camera di commercio nel registro delle imprese come ditta indivi- duale o come società avente per oggetto un attività commerciale nel settore nautico. (101) Ai fini iva, l’articolo 2 del d.lgs. 18 luglio 2005, n. 171 (concernente l’approva- zione del codice della nautica da diporto), che contiene un’elencazione di casi in cui l’unità da diporto è utilizzata a fini commerciali, si ritiene che, sempre che il committente utilizzi il mezzo per l’esercizio di attività commerciale, possa estendersi il regime di non imponibilità previsto dall’art. 8-bis a tutte le attività qualificate come commerciali dal citato articolo art. 2 del d.lgs. n. 171 del 2005 ovvero alle ipotesi in cui l’unità da diporto a) è oggetto di loca- zione e noleggio, b) è utilizzata per l’insegnamento professionale della navigazione da dipor- to, c) è utilizzata da centri di immersione e di addestramento subacqueo come unità di ap- poggio per i praticanti immersioni subacquee a scopo sportivo o ricreativo. (102) Allo scopo di sottolineare il legame strutturale tra carburante adoperato e capa- cità di propulsione del natante si ricorda CGCE, sez. III, 10 novembre 2011, C-505/10 ha affermato: L’art. 8, n. 1, lett. c), della Direttiva del Consiglio 19 ottobre 1992, n. 1992/81/ CEE, relativa all’armonizzazione delle strutture delle accise sugli oli minerali, come modi- ficata dalla Direttiva del Consiglio 22 dicembre 1994, n. 1994/74/CE, dev’essere interpre- tato nel senso che gli oli minerali forniti al fine di essere utilizzati in un escavatore instal- lato in maniera permanente su una nave, ma che, disponendo di un motore e di un serba- toio autonomi, funziona indipendentemente dal motore di propulsione della nave, non sono esenti da diritti di accisa. (103) Si ricorda l’articolo 3-ter del d.l. 2 marzo 2012, n. 16 secondo cui: l’esenzione dall’accisa per gli impieghi di cui al numero 3 della tabella A allegata al testo unico di cui al d.lgs. 26 ottobre 1995, n. 504, si applica nel senso che tra i carburanti per la navigazio- ne nelle acque marine comunitarie, compresa la pesca, con esclusione delle imbarcazioni pri- vate da diporto, e i carburanti per la navigazione nelle acque interne, limitatamente al tra- sporto delle merci, e per il dragaggio di vie navigabili e porti è compresa la benzina. PARTE SECONDA 711 oli lubrificanti i quali non vengono neanche denaturati (104). Alla luce di quanto esposto, è possibile definire l’accisa rispetto al siste- ma delle agevolazioni come un’imposta assoggettabile ad un regime di esigi- bilità condizionata (105) il quale deve risultare necessariamente armonizzato con il diritto comunitario (106) e coerente con quello interno (107). Per concludere, è opportuno ribadire che, oltre al rispetto degli adempi- menti e delle condizioni soggettive e oggettive previsti dalla norma che isti- tuisce l’agevolazione (108) e la sua applicazione (109), ricopre una precipua

(104) Si ricordi l’articolo 6, 1o comma del decreto 16 novembre 1995, n. 57 secondo cui: le disposizioni del presente decreto si applicano anche agli oli lubrificanti imbarcati come provviste di bordo sulle imbarcazioni aventi titolo di esenzione. Gli oli lubrificanti destinati a tale impiego non sono soggetti a denaturazione. (105) Cass., sez. trib., 9 luglio 2004, n. 12589: In tema di esenzioni e agevolazioni dall’imposta erariale e relative addizionali sul consumo dell’energia elettrica, di cui al- l’art. 55 d.lgs. n. 504 del 1995, la mancata ottemperanza alle prescrizioni imposte dall’art. 53 del cit. d.lgs. n. 504, e cioè a quelle riguardanti la preventiva denuncia di officina elet- trica e la predisposizione dei circuiti elettrici secondo le prescrizioni dell’Amministrazione finanziaria, non produce effetti preclusivi del diritto alle esenzioni od alle agevolazioni da parte del contribuente, atteso che tali adempimenti non costituiscono il presupposto inde- fettibile per il sorgere delle relative posizioni giuridiche soggettive. Infatti, tali adempimenti o sono funzionali al rilascio della licenza d’esercizio o sono prescrizioni meramente eventuali, disposte dall’Amministrazione nell’esercizio del potere riconosciuto dalla legge per rendere più agevoli accertamenti e controlli contabili-ammini- strativi. (106) Si ricordi a titolo di esempio la nota protocollo RU 149256 del 3 novembre 2009 dell’Agenzia delle Dogane in materia di esenzioni illegittime rispetto al diritto comu- nitario secondo cui: Come sottolineato dal predetto Dipartimento, attesa la declaratoria di incompatibilità dell’esenzione in questione formulata dalla Commissione europea con la Decisione in oggetto richiamata, si configura l’impossibilità di un ulteriore riconoscimento del beneficio in parola, anche in assenza di un’espressa abrogazione della norma naziona- le di previsione (art. 2, 14o comma, della l. 22 dicembre 2008, n. 203). Ciò premesso, ferma restando la necessità del recupero degli aiuti in parola nei con- fronti degli effettivi beneficiari (i serricoltori) da parte della competente amministrazione, che provvederà a darvi corso nei tempi e nei modi più opportuni, si evidenzia l’impossibi- lità di un’ulteriore applicazione dell’esenzione sopra richiamata». Merita menzione Cons. Stato, sez. IV, 16 febbraio 2012, n. 812, secondo cui Lo sco- po della previsione [agevolazione fiscale sulla produzione di biodiesel con contingente an- nuale], secondo quanto rappresentato dalle amministrazioni appellate (18 mem.) è quello del «mantenimento per ciascun assegnatario della percentuale di contingente assegnato nell’anno precedente» e quindi «la sostanziale costanza nel tempo del beneficio fiscale for- nito ai partecipanti dalle precedenti assegnazioni. In tal modo viene, infatti, garantita una quota di mercato» [ed ancora] «di garantire «una quota di mercato», tale aspetto distorsivo della concorrenza appare evidente, con conseguente illegittimità della previsione regolamentare. In altre parole, come affermato dalla suddetta pronuncia del Consiglio di Stato l’ap- plicazione di un’agevolazione fiscale di origine comunitaria non determinare l’alterazione della concorrenza e la preclusione di ingresso ad altri operatori. Sul punto si cita in dottrina C. Verrigni, Le accise nel mercato unico europeo,inRiv. dir. fin., 2007, I, 251; C. Simone, Il recupero degli aiuti fiscali incompatibili con il diritto comunitario, retro, 2012, 379. (107) A. Elia, L’accisa come imposta dalla natura unitaria e di preminente compe- tenza statale, retro, 2012, 1083. (108) R. Enne, L’esenzione dal pagamento delle accise sui prodotti alcolici denatu- rati destinati alla produzione di profumerie e cosmesi è un diritto condizionabile?,inFi- 712 DIRITTO E PRATICA TRIBUTARIA N. 4/2014 rilevanza la dimostrazione da parte del soggetto passivo di un contegno effet- tivamente compatibile con la disposizione agevolativa giacché non può consi- derarsi sufficiente l’allegazione di meri atti amministrativi (110) oppure il mero rispetto di una serie di adempimenti documentali (111) non suffragati da un riscontro effettivo nell’attività economica spiegata.

8. – Esenzione accisa per apparecchiatura non alimentata dai serbatoi della nave

Gli stati membri in applicazione dell’articolo 8 della Direttiva n. 92/81 possono esentare dal pagamento dell’accisa comunitaria gli oli minerali forni- ti per essere usati come carburanti per la navigazione nelle acque comunitarie (compresa la pesca), ma non in imbarcazioni private da diporto. È necessario, perché possa applicarsi tale agevolazione che vi sia un me- desimo sistema propulsivo per l’imbarcazione e l’escavatore, alimentato dal carburante contenuto negli stessi serbatoi. Non rileva la mera fissazione del macchinario tecnico alla superficie del natante: in altre parole è necessario che attraverso un medesimo sistema di alimentazione ubicato all’interno dell’imbarcazione di cui le macchine diven- gano funzionalmente e strutturalmente delle estensioni tecniche (112).

sco, 2001, 4599: In conclusione, sotto il profilo fiscale, ai fini dell’esenzione non è possibi- le adottare limitazioni o condizionamenti, di conseguenza ogni «decisione» statale volta a negare l’esenzione dal pagamento dell’accisa per l’alcole o i prodotti alcolici denaturati è incompatibile con la Direttiva n. 1992/83, quindi arbitraria. (109) Giova segnalare che la disposizione di una agevolazione, infatti, prevede sia dei limiti esterni come l’armonizzazione delle accise e la compatibilità con la disciplina co- munitaria degli aiuti di stato sia interni come l’irretroattività, gradualità, ragionevolezza e soprattutto coerenza nell’ambito del sistema e il riconoscimento legislativo del potere del- l’autorità emanante; in particolare, per le accise la competenza è del legislatore statale in virtù della natura esclusivamente erariale del tributo in esame. Proprio partendo da questi presupposti, la disciplina comunitaria delle accise, infine, tende ad uniformare all’interno del mercato unico la disciplina dei prodotti energetici, dei tabacchi, alcolici ed energia elettrica evitando delle differenze interne non legittimate da motivazioni compatibili. Si ricordi A. Dagnino, Agevolazioni fiscali e potestà normativa, Padova, 2008, 120. (110) Comm. trib. prov. Novara, sez. IV, 28 aprile 2004, n. 32: In tema di agevola- zioni tributarie non è condizione sufficiente l’iscrizione [ad un albo o elenco] per invocare l’agevolazione dell’imposta. È necessaria la dimostrazione che la struttura dell’esercizio abbia le caratteristiche di laboratorio artigianale similmente ai centri estetici oppure di impianto sportivo adibito esclusivamente ad attività dilettantistiche e gestite senza fine lucro, come previsto dalla no- ta 1) dell’art. 26 del d.lgs. n. 504 del 1995, modificato dall’art. 12 della l. n. 488 del 1999, ai fini dell’assimilazione agli usi industriali agevolati. (111) Cass., sez. un., 23 dicembre 2008, n. 30055: in materia tributaria il divieto di abuso di diritto si traduce in un principio generale antielusivo il quale preclude al contri- buente il conseguimento di vantaggi fiscali mediante l’uso distorto di strumenti giuridici idonei ad ottenere un’agevolazione di risparmio d’imposta in difetto di ragioni economiche apprezzabili che giustifichino l’operazione diverse dalla mera aspettativa di quei benefici. Si ricordino inoltre: Cass., 21 gennaio 2011, n. 1372; Cass., 12 maggio 2011; Comm. trib. prov. Genova, 23 gennaio 2012, n. 10. (112) CGCE, 10 novembre 2011, C-505/10: Emerge infatti dal tenore letterale della disposizione medesima che l’esenzione di cui trattasi è subordinata al fatto che gli oli mi- PARTE SECONDA 713

Alla luce di quanto evidenziato, l’art. 8, n. 1, lett. c), della direttiva del Consiglio 19 ottobre 1992, 92/81/CEE, relativa all’armonizzazione delle strut- ture delle accise sugli oli minerali, come modificata dalla direttiva del Consi- glio 22 dicembre 1994, 94/74/CE, dev’essere interpretato nel senso che gli oli minerali forniti al fine di essere utilizzati in un escavatore installato in manie- ra permanente su una nave, ma che, disponendo di un motore e di un serba- toio autonomi, funziona indipendentemente dal motore di propulsione della nave, non sono esenti da diritti di accisa.

9. – L’esenzione d’accisa per energia elettrica ex articolo 52 TUA e tratta- mento delle acque reflue

L’articolo 52, 3o comma, lettera f), prima della sua abrogazione effettua- ta dall’articolo 3-bis della l. 26 aprile 2012, n. 44, riconosceva l’esenzione d’accisa per l’energia utilizzata in opifici industriali aventi un consumo men- sile superiore a 1.200.000 kWh, per i mesi nei quali tale consumo si e verifi- cato. Ai fini della fruizione dell’agevolazione gli autoproduttori dovranno trasmettere, al competente Ufficio dell’Agenzia delle dogane, entro il giorno 20 di ogni mese, i dati relativi al consumo del mese precedente (113). Partendo da questa norma è sorto un interessante dibattito in giurispru- denza (114) e prassi intorno alla definizione di opificio con una specifica at- tenzione alle strutture realizzate per il trattamento delle acque reflue. L’opificio industriale ai fini delle agevolazioni e delle esenzioni sulle ac- cise è la fabbrica o uno stabilimento industriale all’interno del quale avviene la trasformazione della materia prima in prodotto finito o semifinito. Si caratterizza per l’esistenza di un luogo fisico nel quale avviene la tra- sformazione della materia prima in prodotto finito o semifinito. In particolare, l’opificio è il luogo fisico all’interno del quale avviene la

nerali siano utilizzati come carburante per la navigazione nelle acque dell’Unione. Inoltre, dalla finalità della Direttiva n. 1992/81, secondo la quale gli Stati membri applicano agli oli minerali un’accisa armonizzata, deriva che quest’ultima non è diretta ad istituire esen- zioni di carattere generale. Relativamente alla causa principale, è certo che il consumo de- gli oli minerali ad opera dell’escavatore sulla nave in parola è totalmente indipendente dalla propulsione di quest’ultima. Dato quanto precede, il suddetto consumo non può con- siderarsi inerente allo spostamento della nave sulla quale è fissato l’escavatore. Occorre pertanto risolvere la questione sollevata dichiarando che l’art. 8, n. 1, lett. c), della Diret- tiva n. 1992/81 dev’essere interpretato nel senso che gli oli minerali forniti al fine di esse- re utilizzati in un escavatore installato in maniera permanente su una nave, ma che, dispo- nendo di un motore e di un serbatoio autonomi, funziona indipendentemente dal motore di propulsione della nave, non sono esenti da diritti di accisa. (113) Il Decreto del Ministero dell’Economia e Finanze di concerto con il Ministero dello Sviluppo Economico 5 aprile 2013 contiene la definizione di «imprese a forte consu- mo di energia» quelle che rispondono ai requisiti indicati nell’articolo 2: 1. Sono imprese a forte consumo di energia le imprese per le quali, nell’annualità di riferimento, si sono ve- rificate entrambe le seguenti condizioni: a) abbiano utilizzato, per lo svolgimento della propria attività, almeno 2,4 gigawattora di energia elettrica oppure almeno 2,4 gigawatto- ra di energia diversa dall’elettrica; b) il rapporto tra il costo effettivo del quantitativo complessivo dell’energia utilizza- ta per lo svolgimento della propria attività, determinato ai sensi dell’art. 4, e il valore del fatturato, determinato ai sensi dell’art. 5, non sia risultato inferiore al 3 per cento. (114) Comm. trib. prov. Milano, sez. XXXI, 15 dicembre 2011, n. 340/31/11. 714 DIRITTO E PRATICA TRIBUTARIA N. 4/2014 trasformazione della materia prima che, in seguito al processo produttivo, perde la propria individualità originaria. In altre parole deve essere una struttura teleologicamente indirizzata alla realizzazione di un quid novi. Partendo da questo assunto, è stato osservato che il consorzio di bonifica nato per il trattamento delle acque reflue sicuramente è dotato di impianti di vaste dimensioni all’interno dei quali avviene la rimozione dei contaminanti da un’acqua reflua di origine urbana o industriale ovvero di un effluente che è stato contaminato da inquinanti organici o inorganici. In questa maniera, l’asportazione dalle acque delle sostanze inquinanti mira realizzare il risultato in per cui nascono i consorzi di bonifica delle ac- que reflue e cioè la depurazione in sé. Accanto alla predetta finalità il consorzio per il trattamento delle acque reflue può svolgere delle attività economiche volte alla cessione di beni rica- vati dai propri cicli produttivi. Il ciclo di trattamento degli impianti di depurazione delle acque reflue può consistere, infatti, in una combinazione di più processi di natura fisica, chimica e biologica che consentono la produzione di acqua depurata e di fanghi i quali subiscono a loro volta una ulteriore serie di trattamenti per renderli idonei al riutilizzo agricolo, industriale o in un impianto di compo- staggio. In parallelo alle predette lavorazioni, il trattamento delle acque reflue può determinare la produzione di ulteriori sottoprodotti (115). Per concludere sul punto è interessante notare come l’esame concreto dell’impiego di un opificio e dei prodotti in questo realizzati rappresenti un elemento di particolare rilevanza per individuare l’effettivo esercizio di un’at- tività commerciale insieme ad altre aventi diversa natura. Infine, insieme alla disamina sopra descritta è rilevante considerare an- che l’imputazione per singolo opificio dei consumi energetici qualora all’in- terno di un medesimo perimetro siano ubicati più soggetti consumato- ri (116). Per completezza si segnala un indirizzo per cui in caso dell’esercizio di un’attività di esclusivo interesse pubblico come può essere la gestione di un aeroporto e in vigenza di una convenzione con il competente ufficio il requi- sito dell’opificio come sopra descritto non rileva (117).

(115) Cons. Stato, 6 agosto 2013, n. 4151. (116) Cass., sez. trib., 7 maggio 2012, n. 3537: L’esenzione dall’imposta erariale sull’energia elettrica, concessa dall’art. 52, 2o comma, lett. o-bis), del d.lgs. n. 504 del 1995 nella fattispecie di consumo mensile superiore a 1,2 milioni di chilowattora in regime di autoproduzione, non può riferirsi al consumo complessivo di una pluralità di aziende solo perché incluse nello stesso comprensorio industriale (nella specie, polo petrolchimico di Porto Marghera); in tal caso, occorre viceversa disaggregare, ai fini del riconoscimento del beneficio, i consumi mensili di ogni singola azienda, in conformità alla natura sostan- zialmente regressiva della tariffazione. (117) Comm. trib. reg. Roma, sez. IX, 6 giugno 2012, n. 125/9/2012: La mancata qualifica da parte dell’ufficio di «opificio industriale» di un aeroporto non ha pregio tenu- to conto di un pubblico servizio che assicura la gestione dei voli, la loro sicurezza, l’assi- stenza dei viaggiatori e di tutto il personale che vi lavora, fornendo di energia elettrica, in parte prodotta direttamente, anche ai Vigili del fuoco, alla Polizia e agli stessi uffici doga- nali. PARTE SECONDA 715

10. – Esenzione d’accisa per la produzione di allumina

La giurisprudenza (118) ha analizzato il caso dell’esenzione d’accisa sul- l’olio combustibile denso impiegato per la produzione di allumina così come regolato dal punto 14 della tabella A volto a regolare la «Produzione di ma- gnesio da acqua di mare» e, in misura più generale, dall’articolo 24 del d.lgs. n. 504 del 1995 secondo cui: «i prodotti energetici destinati agli usi elencati nella tabella A allegata al presente testo unico sono ammessi ad esenzione o all’aliquota ridotta nella misura ivi prevista». Va aggiunto che sotto il profilo del diritto comunitario l’esenzione in pa- rola trova legittimazione nella Decisione del Consiglio n. 224/2001 del 12 marzo 2001, che ha consentito all’Italia insieme ad altri Stati membri l’esen- zione dall’accisa sugli oli minerali usati come combustibili per la produzione di allumina in Sardegna; al riguardo giova menzionare che, secondo i princi- pi di certezza e di legittimità degli atti del diritto comunitario, un provvedi- mento anche se approvato solo dal Consiglio e non anche dalla commissione, pur essendo illegittimo non può determinare nel suo annullamento il recupero delle accise per le quali è stata applicata l’esenzione o l’agevolazione (119). Partendo dal quadro normativo di cui sopra allo scopo di comprendere effettivamente quando opera l’esenzione in parola è opportuno riferirsi, come già specificato, al ciclo produttivo. Nello specifico, all’interno del processo di lavorazione dell’allumina si possono individuare due fasi:la prima si caratterizza per una sequenza di atti- vità, raggruppabili sotto il nome di ciclo caustico, che sfocia nella produzione di allumina idrata, ossia di idrossido di alluminio o idrato; la seconda una fa- se finale di calcinazione dell’idrato, diretta ad eliminare dall’idrossido di allu- minio le molecole di acqua in esso presenti, ottenendo, in tal modo, l’allumi- na anidrata o ossido di alluminio. L’idrossido di alluminio, ricavato nell’ultima fase di cui sopra, costitui- sce un semilavorato, che può essere in parte venduto sul mercato, in parte impiegato nella produzione dell’ossido di alluminio. È importante, però, segnalare che in ottemperanza al diritto comunitario e a quello nazionale l’esenzione dall’accisa all’olio combustibile denso impie- gato per realizzare il prodotto finale, ovverosia, giova ripetere, quello che si ottiene con l’ultima fase del processo di produzione, e cioè con la calcinazio- ne, mediante la quale l’idrossido di alluminio viene privato delle molecole di acqua di cristallizzazione.

(118) Cass., sez. trib., 6 novembre 2013, n. 24903. (119) TPI, sez. II allargata, cause riunite T-50/06 RENV, T-56/06 RENV, T-60/06 RENV, T-62/06 RENV e T-69/06 RENV: La decisione 2006/323/CE della commissione, del 7 dicembre 2005, relativa all’esenzione dall’accisa sugli oli minerali utilizzati come combustibile per la produzione di allumina nella regione di Gardanne, nella regione di Shannon e in Sardegna cui hanno dato esecuzione la Francia, l’Irlanda e l’Italia rispetti- vamente, è annullata nella parte in cui accerta ovvero si fonda sull’accertamento che le esenzioni dalle accise sugli oli minerali usati come combustibile per la produzione di allu- mina, concesse dalla Repubblica francese, dall’Irlanda e dalla Repubblica italiana fino al 31 dicembre 2003, costituiscono aiuti di Stato a norma dell’articolo 87, par. 1, CE, e nella parte in cui ordina alla Repubblica francese, all’Irlanda e alla Repubblica italiana di adottare tutte le misure necessarie per recuperare dette esenzioni presso i loro beneficiari, nella misura in cui questi ultimi non hanno versato un’accisa pari ad almeno EUR 13,01 per 1 000 kg di oli combustibili pesanti. 716 DIRITTO E PRATICA TRIBUTARIA N. 4/2014

Nelle succitate disposizioni dei due ordini normativi, nazionale e comu- nitario, invero, nessun riferimento è operato neppure ad un utilizzo, in esen- zione da imposta, del prodotto combustibile in parola nel processo produttivo tout court, sì da potersene inferire l’applicabilità del beneficio fiscale anche alla fase di lavorazione diretta ad ottenere il semilavorato (idrossido di allu- minio) destinato alla vendita. Questa posizione è suffragata, dal principio di stretta tipicità delle fattis- pecie normative contenenti le esenzioni, agevolazioni, rimborso, sgravio delle imposte armonizzate i quali possono essere concessi solo a determinate con- dizioni ed in casi specificamente previsti, costituiscono un’eccezione rispetto al normale regime dei tributi summenzionati, con la conseguenza che le di- sposizioni che prevedono siffatti benefici devono essere sempre interpretate restrittivamente.

11. – Agevolazione fiscale per il rimborso nel settore dell’autotrasporto

Gli esercenti il trasposto merci possono usufruire dell’agevolazione sul- l’accisa impiegata per la propria attività attraverso un diritto alla compensa- zione oppure al rimborso delle maggiore somme corrisposte. Possono godere del predetto beneficio coloro i quali rientrano nella cate- goria degli esercenti le attività di autotrasporto merci (120). L’obbligo di invio, trimestrale, della dichiarazione secondo le tempisti- che e i contenuti fiscali e tecnici stabiliti nel regolamento istitutivo di tale agevolazione. A pena di decadenza la dichiarazione in parola deve contenere: la denomi- nazione dell’impresa, la sede legale e amministrativa, il codice fiscale o la par- tita iva, il codice identificativo della ditta limitatamente agli esercenti comuni- tari, le generalità del titolare o del rappresentante legale o negoziale, gli estre- mi degli atti previsti dall’articolo 1, 2o comma, l’indicazione dell’eventuale ti- tolarità di depositi o di distributori privati di carburanti ad imposta assolta, con specificazione della capacità di stoccaggio dei relativi serbatoi contenenti gaso- lio destinato al rifornimento degli autoveicoli aventi titolo al beneficio, nonché degli estremi della licenza fiscale, se prescritta, di cui all’articolo 25, 4o com- ma, del testo unico approvato con d.lgs. 26 ottobre 1995, n. 504. Infine, richiede i predetti elementi: il numero di autoveicoli di massa massima complessiva non inferiore a 11,5 tonnellate in ordine ai quali com-

(120) Articolo 1, 2o comma del d.p.r. 9 giugno 2000, n. 277: Ai fini del presente re- golamento, per «esercenti le attività di autotrasporto merci» si intendono le imprese che esercitano attività di autotrasporto di merci per conto terzi iscritte nell’albo istituito con l. 6 giugno 1974, n. 298, e successive modificazioni, o in conto proprio munite della licenza di cui all’articolo 32 della medesima legge ed iscritte nell’elenco degli autotrasportatori di cose in conto proprio, d’ora in avanti denominate «esercenti nazionali», nonché le imprese appartenenti ad altri Stati membri dell’Unione europea in possesso della licenza comunita- ria per trasporti internazionali di merci su strada per conto terzi di cui al regolamento (CEE) n. 881 del 1992 del Consiglio, ovvero in conto proprio esentate, ai sensi dell’artico- lo 13 del medesimo regolamento (CEE) n. 881 del 1992 del Consiglio che ha modificato l’articolo 1 della prima direttiva del Consiglio del 23 luglio 1962, da ogni regime di licen- ze comunitarie e da ogni altra autorizzazione in presenza delle condizioni previste dall’al- legato II, punto 4, di detto regolamento (CEE) n. 881 del 1992, d’ora in avanti denominate «esercenti comunitari». PARTE SECONDA 717 pete il beneficio e, con riferimento ai dati delle fatture di acquisto contenenti anche gli estremi della targa dell’autoveicolo rifornito, il numero totale dei li- tri di gasolio consumati per i quali si richiede il rimborso, nonché l’impor- to (121).

12. – Agevolazione parziale per il trasporto ferroviario di merci e persone

Il punto 4 della tabella A allegata al testo unico delle accise stabilisce l’agevolazione parziale dell’accisa per l’impiego di gasolio nel trasposto fer- roviario di merci e passeggeri consistente nell’aliquota del 30% di quella nor- malmente applicata al gasolio per la carburazione. Tale norma necessita di una disamina delle definizioni di trasporto ferro- viario e spostamento su rotaie. In particolare, la prima categoria di attività economiche è costituita dalla movimentazione di beni e persone attraverso un sistema ferroviario sviluppato e ramificato in modo tale da offrire i propri servizi alla collettività. Sotto un profilo fiscale il trasporto ferroviario si connota per un’univoca ed irreversibile connotazione pubblicistica in ottemperanza a quanto stabilito dalla Direttiva CEE n. 81 del 18 ottobre 1992. Invece per «spostamento su rotaie» all’interno di un’area industriale si deve intendere il trasposto di beni asservito esclusivamente ai bisogni produt- tivi dell’opificio di riferimento. Tale aspetto privato non decade se v’è un collegamento con il sistema ferroviario nazionale. Partendo dalle suddette definizione emerge che l’agevolazione indicata nel punto 4 della tabella A allegata al testo unico delle accise può essere ap- plicata solo all’ipotesi di trasporto pubblico di persone e beni (122).

13. – Agevolazione e diritto comunitario

Il parametro di riferimento attraverso cui il diritto comunitario vaglia la materia delle agevolazioni fiscali è quella propria della tutela della libera con- correnza: infatti, lo scopo perseguito è essenzialmente quello di garantire pa- rità di condizioni tra i soggetti che svolgono attività autonome a carattere economico, evitando che taluni di essi possano essere favoriti dalla conces- sione di aiuti di Stato (intesi come tali gli aiuti concessi dal settore pubblico, comprensivo delle autonomie locali). Nello specifico, nell’ordinamento comunitario, il concetto di agevolazio- ne fiscale si presenta indistinto, giacché è assorbito da quello più ampio di aiuto di Stato, ed assume rilevanza non in astratto ma solo in quanto la sua applicazione sia in grado di arrecare concrete turbative alla parità di condizio- ni tra gli operatori economici. In tale prospettiva, il disvalore colpisce gli aiuti di Stato in grado di ar- recare alterazioni a tale parità di condizioni, e quindi a quelli che siano desti-

(121) Comm. trib. reg. Lazio, 12 aprile 2011, n. 157: Ai fini del godimento delle agevolazioni fiscali di cui all’art. 3, 3o comma, del d.p.r. n. 277 del 2000 per i veicoli a motore è necessario indicare il numero della targa sulla relativa scheda carburante. (122) Cass., sez. trib., 31 marzo 2010, n. 7838. 718 DIRITTO E PRATICA TRIBUTARIA N. 4/2014 nati a favorire certi settori produttivi piuttosto che altri, certe zone territoriali a discapito di altre, certi soggetti a danno di altri, in mancanza di una valida ragione che renda utile la previsione dell’aiuto a realizzare fini compatibili con quelli perseguiti dall’Unione. Sotto un aspetto strettamente procedurale, la disciplina comunitaria si ca- ratterizza non solo per la possibilità di controllo successivo della rispondenza dell’aiuto ai requisiti che lo rendono compatibile con i parametri comunitari, ma soprattutto per l’obbligo di preventiva notifica che grava sugli Stati che intendano stabilire delle forme di aiuto potenzialmente lesive della par condi- cio. In merito a quanto affermato giova ricordare che l’inadempimento di tale prescrizione, come anche l’esecuzione della misura agevolativa anteriormente al consenso della commissione, possono condurre alla eliminazione forzata degli effetti della agevolazione. Sotto il profilo sostanziale, la valutazione viene effettuata dai giudici co- munitari tenendo conto di criteri non dissimili da quelli che si sono indicati in precedenza come idonei a valutare in generale la sussistenza di un tratta- mento agevolativo: viene in definitiva ammesso l’aiuto che sia giustificato da esigenze reali di coerenza interna del tributo, o per la concorrente presenza di motivazioni extrafiscali valide e ammissibili dal punto di vista dell’interesse pubblico comunitario, e stigmatizzato quello che sia puramente derogatorio rispetto alla disciplina ordinaria. Per quanto riguarda i limiti imposti dal diritto costituzionale alle agevo- lazioni si osserva quanto segue. In relazione alla legittimità del processo di formazione delle agevolazio- ni fiscali si deve ricordare che il fondamento è rappresentato dalla riserva re- lativa di legge. In riferimento al merito delle scelte agevolative, i parametri costituziona- li che condizionano le scelte del legislatore sono dati dal principio di capacità contributiva e dal principio di eguaglianza, in correlazione tra loro. Per tali motivi, si ammettono trattamenti differenziati e di favore, dei quali si rinviene spesso il fondamento nella stessa funzione promozionale del- l’azione statale tendente alla rimozione delle diseguaglianze di fatto, funzione che ben può essere svolta con la «manovra» della leva fiscale.

14. – Agevolazione fiscale, aiuti di stato e sovra compensazione

La tematica della compatibilità delle agevolazioni ed esenzioni fiscali in materia di accise è strettamente legata a quella degli aiuti di Stato. Quest’istituto, come previsto dall’art. 87 CE, include un vasto ventaglio di fattispecie: dalla agevolazione fiscale al corrispettivo monetario al contri- buto. Allo scopo di colmare la mancanza di elementi ricostruttivi di aiuto di stato la giurisprudenza ha delineato (123) il criterio «VIST» che consta di quattro elementi: a) il vantaggio economico per l’impresa beneficiaria; b)

(123) Si ricordino, a titolo esemplificativo, CGCE 21 febbraio 1991, cause riunite C-143/88 e C-92/89, Zuckerfabrik Süderdithmarschen e Zuckerfabrik Soest, in Racc. I-415, punto 17, nonché 10 gennaio 2006, causa C-344/04, IATA e ELFAA, in Racc. I-403, punto 27. PARTE SECONDA 719 l’incidenza per il commercio infracomunitario; c) la selettività o la specificità e cioè la propensione a favorire solo alcune imprese e non la totalità delle imprese nazionali; d) il trasferimenti delle risorse pubbliche. A tal punto della trattazione, è opportuno concentrare l’attenzione sulla disamina dei requisiti sopra indicati. In particolare, il «vantaggio dell’impresa destinataria» si configura in tutti i casi in cui si mettono a disposizione di un soggetto economico delle ri- sorse che un investitore privato nell’applicazione di criteri di mercato ordinari non avrebbe fornito. Per concludere l’analisi del requisito del «vantaggio», si deve ricordare il criterio interpretativo degli effetti di una misura nazionale, costituito dal parametro dell’investitore privato in economia di mercato (market economy investor principle - MEIP). V’è, poi, il criterio dell’incidenza sul mercato infracomunitario, che si configura quando: a) vi sia una agevolazione nazionale destinata a soggetti che operano in settori caratterizzati da scambi infracomunitari; b) nel caso di aiuti concessi ad un soggetto imprenditoriale comunitario attivo sul mercato unico per investimenti realizzati fuori dalla UE. Si deve ricordare, inoltre, il requisito della selettività oppure specificità a favore di un settore o gruppo di imprese, che si sostanzia sia in una misura che il contenuto dell’aiuto sia rivolto a determinate imprese anziché alla tota- lità di queste sia nell’attuazione discrezionale da parte delle autorità ammini- strative di uno Stato di norme aventi portata generale. Infine, v’è il terzo requisito per l’identificazione dell’aiuto di Stato: il trasferimento di risorse pubbliche determina il vantaggio finanziario in capo ai beneficiari. È necessaria, l’imputabilità pubblica del trasferimento; infatti, secondo la giurisprudenza comunitaria, il carattere pubblicistico di una risorsa non ri- chiede necessariamente che si trovi formalmente ed in modo permanente nel bilancio di un ente pubblico. L’istituto dell’aiuto di Stato, rappresenta il principale strumento valutati- vo dell’esistenza e dell’entità della sovracompensazione. Il predetto istituto si verifica quando un soggetto destinatario di un aiuto di stato, magari considerato compatibile con il diritto alla concorrenza di natura co- munitaria, percepisce vantaggi fiscali, monetari e di qualsivoglia natura determi- nanti non solo il recupero dei maggiori oneri economici sostenuti ma anche un surplus costituente un guadagno percepito senza l’esercizio normale di una at- tività economica: il contrasto stridente con il diritto alla concorrenza all’interno del mercato europeo determina l’incompatibilità assoluta di questo tipo di norme. L’agevolazione fiscale deve essere strettamente collegata da un rapporto ontologico con i maggiori costi sostenuti (per non mettere fuori mercato pro- duzioni eco friendly) oppure per le particolari condizioni in cui viene realiz- zata un’attività (come in caso di calamità naturali). Come per il concetto di aiuto di stato, la giurisprudenza comunita- ria (124) ha individuato i caratteri distintivi della sovra compensazione, che di seguito si descrive.

(124) Tribunale CE, sez. V, 7 novembre 2012, T-137/10: L’articolo 5 della decisio- ne 2005/842, riguardante l’importo della compensazione, prevede, in particolare, quanto segue: «La compensazione non può eccedere quanto necessario per coprire i costi determi- nati dall’adempimento degli obblighi di servizio pubblico, tenendo conto degli introiti rela- tivi agli stessi, nonché di un margine di utile ragionevole del capitale proprio necessario 720 DIRITTO E PRATICA TRIBUTARIA N. 4/2014

In primo luogo, l’impresa beneficiaria deve essere destinataria di norme pro- mozionali e derogatorie rispetto al trattamento fiscale ed economico normale. Secondariamente, i parametri sulla base dei quali è calcolata la compen- sazione devono essere stabiliti preventivamente, in modo obiettivo e traspa- rente, per evitare che essa comporti un vantaggio economico in grado di fa- vorire l’impresa beneficiaria rispetto ad imprese concorrenti. Poi, la compensazione da parte di uno Stato membro delle perdite subite da un’impresa senza che i parametri di tale compensazione siano stati stabiliti preventivamente, quando risulti a posteriori che l’esercizio di certi servizi nel quadro dell’esecuzione di obblighi di servizio pubblico non è stato economi- camente valido, costituisce un intervento finanziario che rientra nella nozione di aiuto di Stato ai sensi dell’art. 87, par. 1, del Trattato. In terzo luogo, la compensazione per i maggiori costi sostenuti o per particolari condizioni nelle quali si realizza un bene, non deve superare ciò che è necessario e ragionevole per coprire tutto o parte dei costi derivanti dall’esecuzione degli obblighi di servizio pubblico, tenuto conto delle entrate relative così come di un ricavo ragionevole. In caso, poi, di assegnazione d’appalto, il livello della compensazione necessaria deve essere determinato sulla base di un’analisi dei costi in cui un’impresa media, ben gestita ed attrezzata adeguatamente in mezzi di tra- sporto per soddisfare alle esigenze richieste di servizio pubblico, sarebbe in- corsa per eseguire questi obblighi, tenuto conto delle entrate relative, così co- me di un ricavo ragionevole per l’esecuzione di questi obblighi. È opportuno precisare i seguenti parametri. I costi da prendere in considerazione comprendono tutti i quelli legati al funzionamento del ciclo produttivo; di riflesso, le entrate da prendere in con- siderazione devono essere essenzialmente quelle riferite al ciclo produttivo. Invece, per «ricavo ragionevole», occorre intendere un tasso di rimunera- zione del proprio capitale che deve prendere in considerazione il rischio, o l’assenza di rischio, incorso dall’impresa a causa dell’intervento dello Stato, particolarmente se quest’ultimo conferisce diritti esclusivi o speciali. Normalmente, questo tasso non deve superare il tasso medio riscontrato nel settore interessato durante gli anni recenti.

per l’adempimento di detti obblighi. Questa compensazione deve essere effettivamente uti- lizzata per garantire il funzionamento del servizio d’interesse economico generale in que- stione, fatta salva la capacità dell’impresa interessata di realizzare un margine di utile ra- gionevole. I costi da prendere in considerazione comprendono tutti i costi dovuti alla ge- stione del servizio d’interesse economico generale. Essi sono calcolati come segue, sulla base dei principi di contabilità analitica generalmente accettati: a) quando le attività del- l’impresa considerata si limitano al servizio d’interesse economico generale, possono esse- re presi in considerazione tutti i suoi costi (...)». Tali disposizioni tengono conto della terza condizione enunciata nella sentenza Altmark, secondo la quale la compensazione non può eccedere quanto necessario per coprire interamente o in parte i costi originati dall’adem- pimento degli obblighi di servizio pubblico, tenendo conto dei relativi introiti nonché di un margine di utile ragionevole per il suddetto adempimento. Inoltre, in forza dell’articolo 6, 1o e2o comma, della decisione 2005/842, gli Stati membri eseguono o fanno eseguire con- trolli regolari per evitare la compensazione eccessiva, richiedono alle imprese interessate di restituire eventuali sovracompensazioni e aggiornano i parametri di calcolo della com- pensazione per il futuro. Se l’importo della sovracompensazione non supera il 10% del- l’importo della compensazione annua, essa può essere riportata al periodo successivo e dedotta dall’importo di tale periodo. PARTE SECONDA 721

Secondo il diritto comunitario (125) l’onere di dimostrare il verificarsi di fenomeni di sovracompensazione è della parte che intende adire la giustizia. Tuttavia, per assicurare il rispetto del principio di effettività, il giudice nazionale è tenuto a ricorrere a tutti mezzi procedurali messi a sua disposizio- ne dal diritto nazionale, tra cui figura quello di ordinare le necessarie misure istruttorie, inclusa la produzione di un atto o di un documento ad opera di una delle parti o di un terzo. Tale strada deve essere seguita se l’autorità giudicante constata che la circostanza di porre a carico di un soggetto, l’onere di provare l’esistenza di una sovracompensazione a vantaggio di altri operatori, e quindi la natura di aiuto di Stato della misura di cui si lamenta la legittimità, può rendere impos- sibile o eccessivamente difficile la produzione di tale prova (126).

15. – Aspetti procedurali

La Commissione Europea, in ottemperanza all’articolo 88 del trattato istitutivo della Comunità europea deve procedere nei confronti degli Stati membri all’esame permanente dei regimi di aiuti esistenti in questi (127). L’organo comunitario propone a questi ultimi le opportune misure ri- chieste dal graduale sviluppo o dal funzionamento del mercato interno. Nel caso in cui la commissione, dopo aver intimato agli interessati di presentare le loro osservazioni, constati che un aiuto concesso da uno Stato, o mediante fondi statali, non è compatibile con il mercato interno a norma del- l’articolo 107, oppure che tale aiuto è attuato in modo abusivo, decide che lo Stato interessato deve sopprimerlo o modificarlo nel termine da essa fissato: in tale maniera avviene il riassestamento della concorrenza. In particolare, deve evidenziare che con la misura nazionale concessa non v’è il soddisfacimento di alcuna finalità tutelata dal diritto comunitario. Di contro, qualora lo Stato interessato non si conformi a tale decisione entro il termine stabilito, la commissione o qualsiasi altro Stato interessato può adire direttamente la Corte di giustizia dell’Unione europea, in deroga agli articoli 258 e 259. A richiesta di uno Stato membro, il Consiglio, deliberando all’unanimità, può decidere che un aiuto, istituito o da istituirsi da parte di questo Stato, de- ve considerarsi compatibile con il mercato interno, in deroga alle disposizioni

(125) CGCE, 7 settembre 2006, C-526/04. (126) CGCE, 10 aprile 2003, C-276/01. (127) Tribunale CE, sez. V, 12 marzo 2012, T-50/06 RENV, T-56/06 RENV, T-60/ 06 RENV, T-62/06 RENV e T-69/06 RENV: La decisione 2006/323/CE della commissio- ne, del 7 dicembre 2005, relativa all’esenzione dall’accisa sugli oli minerali utilizzati come combustibile per la produzione di allumina nella regione di Gardanne, nella regione di Shannon e in Sardegna cui hanno dato esecuzione la Francia, l’Irlanda e l’Italia rispetti- vamente, è annullata nella parte in cui accerta ovvero si fonda sull’accertamento che le esenzioni dalle accise sugli oli minerali usati come combustibile per la produzione di allu- mina, concesse dalla Repubblica francese, dall’Irlanda e dalla Repubblica italiana fino al 31 dicembre 2003, costituiscono aiuti di Stato a norma dell’articolo 87, par. 1, CE, e nella parte in cui ordina alla Repubblica francese, all’Irlanda e alla Repubblica italiana di adottare tutte le misure necessarie per recuperare dette esenzioni presso i loro beneficiari, nella misura in cui questi ultimi non hanno versato un’accisa pari ad almeno EUR 13,01 per 1 000 kg di oli combustibili. 722 DIRITTO E PRATICA TRIBUTARIA N. 4/2014 dell’articolo 107 o ai regolamenti di cui all’articolo 109, quando circostanze eccezionali giustifichino tale decisione. Qualora la commissione abbia iniziato, nei riguardi di tale aiuto, la ri- chiesta dello Stato interessato rivolta al Consiglio avrà per effetto di sospen- dere tale procedura fino a quando il Consiglio non si sia pronunciato al ri- guardo. Sono indicativi della procedura sopra descritta i procedimenti di declara- toria di illegittimità rispetto al diritto comunitario delle norme, che di seguito di indicano, contenenti la previsione di esenzione del gasolio destinato alla serricoltura (128).

(128) Tribunale CE, sez. VII, 12 settembre 2012, T-379/09: Al punto 100 della deci- sione impugnata la commissione ha riconosciuto che la condizione ex par. 51, punto 2, let- tera a), della disciplina del 2001, secondo cui «l’imposta deve avere un significativo effetto positivo in termini di tutela dell’ambiente», poteva considerarsi soddisfatta. Ciò nondimeno, ai punti 100-103 della decisione impugnata, la commissione ha repu- tato che le esenzioni dalle accise di cui trattasi non soddisfacessero nessuna delle due con- dizioni alternative esposte al par. 51, punto 2, lettera b), della disciplina del 2001, ossia essere decise al momento dell’adozione dell’imposta o essersi rese necessarie a causa di un mutamento significativo delle condizioni economiche, che ponga le imprese in una si- tuazione concorrenziale particolarmente difficile. Poiché ha ritenuto che nessuna delle due condizioni alternative esposte al par. 51, punto 2, lettera b), della disciplina del 2001 fosse soddisfatta, nella decisione impugnata la commissione ha reputato superfluo verificare se le condizioni di cui par. 51, punto 1, della disciplina in parola fossero applicabili nel caso di specie. In via subordinata, ai punti 104-106 della decisione impugnata, essa ha fatto presen- te che, in ogni caso, le esenzioni dalle accise di cui trattasi non soddisfacevano le condi- zioni esposte al par. 51, punto 1, della menzionata disciplina. La Repubblica italiana sostiene che la commissione avrebbe dovuto applicare la me- desima soluzione adottata nella decisione C(2005) 4436 del 7 dicembre 2005, relativa al- l’esenzione dall’accisa sugli oli minerali utilizzati come combustibile per la produzione di allumina nella regione di Gardanne, nella regione di Shannon e in Sardegna cui hanno dato esecuzione la Francia, l’Irlanda e l’Italia rispettivamente (GU2006, L119, 12), e quindi, come nella citata decisione, considerare soddisfatta la prima condizione alternativa di cui al par. 51, punto 2, lettera b), della disciplina del 2001, secondo la quale «le dero- ghe a favore delle imprese interessate devono essere state decise al momento dell’adozione dell’imposta». Nella decisione C(2005) 4436 la commissione avrebbe ritenuto soddisfatta detta con- dizione, non perché tali esenzioni fossero state decise al momento dell’adozione dell’impo- sta, ma in quanto adottate in epoca precedente all’entrata in vigore della disciplina del 2001. In proposito va ricordato che, secondo la giurisprudenza, una decisione della ccom- missione non può costituire, di per se stessa, una prassi decisionale che vincoli la commis- sione (v., in tal senso, sentenza della Corte dell’8 maggio 2008, Ferriere Nord/commissio- ne, C-49/05P, non pubblicata nella Raccolta, punto 125). Inoltre, è soltanto nell’ambito dell’articolo 87, par. 3, lettera c), CE che deve essere valutata la legittimità di una deci- sione della commissione che rileva che un nuovo aiuto non soddisfa le condizioni di appli- cazione di tale deroga, e non in base a una prassi decisionale precedente della commissio- ne, anche ammettendo che quest’ultima sia dimostrata (v. sentenza del Tribunale del 15 giugno 2005, Regione autonoma della Sardegna/commissione, T-171/02, Racc., II-2123, punto 177, e giurisprudenza ivi citata). Ad abundantiam si rilevi che la commissione ha constatato che le circostanze del ca- so di specie erano diverse da quelle del caso all’origine della decisione C(2005) 4436. Al punto 101 della decisione impugnata la commissione ha sottolineato che le con- clusioni della decisione C(2005) 4436 erano basate sul fatto che le esenzioni contestate erano state decise ben prima che entrasse in vigore la disciplina del 2001, mentre, nel ca- PARTE SECONDA 723

16. – Gli aiuti di Stato, l’esenzione d’accisa ed «evoluzione del mercato»

La disamina della compatibilità di esenzioni d’accisa stabilite a livello na- zionale con il sistema giuridico europeo deve includere anche il caso per cui un aiuto concesso inizialmente legittimo e compatibile con il diritto comunitario a causa dell’evoluzione del mercato cessa di possedere tale carattere. Il fondamento giuridico è da rinvenire all’interno del regolamento (Ce) n. 659 del Consiglio del 22 marzo 1999 recante modalità di applicazione dell’art. 93 del trattato CE art. 1 lett. v) del regolamento (Ce) n. 659 del Consiglio del 22 marzo 1999, secondo cui: gli aiuti considerati aiuti esistenti in quanto può essere dimostrato che al momento della loro attuazione non costituivano aiuti, ma lo sono diventati successivamente a causa dell’evoluzione del mercato co- mune e senza aver subito modifiche da parte dello Stato membro. Qualora alcune misure diventino aiuti in seguito alla liberalizzazione di un’attività da parte del diritto comunitario, dette misure non sono considera- te aiuti esistenti dopo la data fissata per la liberalizzazione.

so di specie, le prime esenzioni in causa risalgono all’ottobre 2000, poco tempo prima che tale disciplina divenisse applicabile. Risulta, infatti, dal par. 81 della disciplina del 2001 che questa è applicabile a partire dalla sua pubblicazione nella Gazzetta ufficiale, ossia dal 3 febbraio 2001. Orbene, le esen- zioni dalle imposte in discussione nella decisione C(2005) 4436, concesse dal 1990 al 2003, sono state adottate, rispettivamente, nel 1983, nel 1993 e nel 1997, mentre le esenzioni dalle accise di cui trattasi sono state decise con il d.l. n. 268 del 2000, del 30 settembre 2000, e con le ll. nn. 388 del 2000, 448 del 2001, 289 del 2002 e 350 del 2003, datate, rispettivamen- te, 23 dicembre 2000, 21 dicembre 2001, 27 dicembre 2002 e 24 dicembre 2003. Non sono analoghe le situazioni in cui, da un lato, esenzioni dalle imposte in discus- sione sono tutte decise svariati anni prima dell’entrata in vigore delle norme applicabili e, dall’altro, esenzioni da imposte sono decise per la maggior parte successivamente all’en- trata in vigore delle norme applicabili e soltanto parzialmente alcuni mesi prima dell’en- trata in vigore delle norme menzionate. Di conseguenza l’argomento della Repubblica italiana secondo cui la commissione avrebbe dovuto considerare che la prima condizione alternativa esposta al par. 51, punto 2, lettera b), della disciplina del 2001 fosse soddisfatta, deve essere respinto. La Repubblica italiana sostiene altresì che, in ogni caso, la commissione avrebbe do- vuto considerare che la seconda condizione alternativa di cui al par. 51, punto 2, lettera b), della disciplina del 2001 fosse soddisfatta. A suo parere le esenzioni dalle accise in parola sono divenute necessarie a causa di un mutamento significativo delle condizioni economiche, che ha posto i serricoltori in una situazione concorrenziale particolarmente difficile. In proposito essa fa valere che l’au- mento del prezzo del petrolio del 38% nel periodo 1999-2000 ha comportato un aumento del prezzo del gasolio del 26% fra il 1999 e il 2002. Inoltre, secondo la Repubblica italiana, l’importo delle esenzioni dalle accise di cui trattasi non ha superato l’aumento degli oneri derivanti dal mutamento delle condizioni economiche. Occorre ricordare che, al punto 102 della decisione impugnata, la commissione ha ritenuto che la Repubblica italiana non avesse fornito elementi i quali dimostrassero un mutamento significativo delle condizioni economiche, che avesse posto i serricoltori italiani in una situazione concorrenziale particolarmente difficile. Essa ha in particolare sottoli- neato che i dati forniti dalla Repubblica italiana non contenevano alcun elemento compa- rativo, non consentendo quindi di evidenziare un qualsivoglia degrado della situazione concorrenziale dei serricoltori italiani. Infine, la commissione ha osservato che la lievitazione dei prezzi dei prodotti petroli- feri aveva colpito l’intera Europa e non solo l’Italia. 724 DIRITTO E PRATICA TRIBUTARIA N. 4/2014

D’altronde, costituisce jus receptum nella giurisprudenza comunita- ria (129) il principio secondo il quale lo Stato membro destinatario di una de-

(129) CGCE, Grande sez., 2 dicembre 2009, C 89/08 P: A norma dell’art. 1, lett. b), v), del regolamento n. 659 del 1999, è considerato esistente l’aiuto che al momento della sua attuazione non costituiva aiuto, ma lo sia divenuto successivamente a causa dell’evolu- zione del mercato comune e senza aver subito modifiche da parte dello Stato membro. Il concetto di evoluzione del mercato comune può essere inteso come una modifica del contesto economico e giuridico nel settore interessato dal provvedimento in questione e non riguarda, ad esempio, il caso in cui la commissione modifichi la propria valutazione sulla base di una lettura più rigorosa delle norme in materia di aiuti di Stato (v. sentenza Belgio e Forum 187/commissione, cit., punto 71). Più in generale, la nozione di aiuto di Stato, esistente o nuovo, corrisponde ad una situazione oggettiva. Come sostenuto dalla commissione, tale nozione non può dipendere dalla condotta o dalle dichiarazioni delle istituzioni. Per tale motivo, al punto 137 della citata sentenza Belgio e Forum 187/commissione, la Corte, dopo aver ricordato che l’obbligo di motivazione di un atto comunitario prescrit- to dall’art. 253 CE dev’essere adeguato alla natura dell’atto stesso, ha dichiarato che non si può imporre alla commissione di indicare le ragioni per le quali essa ha compiuto, nelle proprie decisioni precedenti, una diversa valutazione del regime in questione. Orbene, ciò vale a fortiori qualora la valutazione eventualmente differente preceden- temente svolta dalla commissione in merito alla misura nazionale in questione sia stata espressa, come nel presente caso, nell’ambito di un procedimento diverso rispetto a quello di controllo degli aiuti di Stato. Di conseguenza, le circostanze menzionate ai punti 5662 della sentenza impugnata, che riguardano principalmente il fatto che, da un lato, la commissione aveva ritenuto, al momento dell’adozione da parte del Consiglio delle decisioni di autorizzazione delle esen- zioni controverse, che queste ultime non comportassero distorsioni della concorrenza e non ostacolassero il buon funzionamento del mercato comune e, dall’altro, che dette decisioni potevano lasciar pensare che le stesse esenzioni non potessero essere qualificate come aiu- ti di Stato, non erano idonee ad obbligare, in linea di principio, la commissione a motivare la decisione contestata in merito all’inapplicabilità dell’art. 1, lett. b), v), del regolamento n. 659 del 1999. Il Tribunale ha annullato quindi, per motivi erronei in diritto, la decisione contestata laddove ha ritenuto che, alla luce di tali circostanze, nella specie la commissione avrebbe dovuto esaminare la questione dell’applicabilità di tale disposizione e motivare in modo specifico la detta decisione al riguardo e che, astenendosi dal farlo, essa aveva violato l’art. 253 CE. Inoltre, secondo una costante giurisprudenza, la motivazione prescritta dall’art. 253 CE dev’essere adeguata alla natura dell’atto in questione e deve fare apparire in forma chiara e inequivocabile l’iter logico seguito dall’istituzione da cui esso promana, in modo da consentire agli interessati di conoscere le ragioni del provvedimento adottato e permet- tere al giudice competente di esercitare il proprio controllo. La portata dell’obbligo di motivazione dev’essere valutata in funzione delle circo- stanze del caso, in particolare del contenuto dell’atto, della natura dei motivi esposti e del- l’interesse che i destinatari dell’atto o soggetti terzi, da questo colpiti direttamente e indi- vidualmente, possano avere a ricevere spiegazioni. La motivazione non deve necessariamente specificare tutti gli elementi di fatto e di diritto pertinenti, in quanto l’accertamento dell’osservanza, da parte della motivazione, de- gli obblighi imposti dall’art. 253 CE va effettuato alla luce non solo del suo tenore, ma anche del suo contesto e del complesso delle norme giuridiche che disciplinano la materia (v., in particolare, citate sentenze commissione/Sytraval e Brink’s France, punto 63 e giu- risprudenza ivi citata, nonché Bertelsmann e Sony Corporation of America/Impala, punto 166 e giurisprudenza ivi citata). Orbene, nella specie, ai punti 5864 della motivazione della decisione contestata, la commissione ha anzitutto esposto le ragioni per le quali essa considera che le esenzioni PARTE SECONDA 725

controverse costituiscano aiuti incompatibili con il mercato comune, ai sensi dell’art. 87, n. 1, CE, rilevando che esse procurano un vantaggio a talune imprese, che tale vantaggio è concesso mediante risorse statali, che esse incidono sugli scambi tra Stati membri e che possono falsare o rischiare di falsare la concorrenza. In particolare, al punto 60 della motivazione della decisione contestata, la commis- sione ha osservato che le esenzioni controverse riducono il costo di una materia prima e conferiscono così un vantaggio ai beneficiari, i quali si trovano in una situazione più favo- revole rispetto ad altre imprese che utilizzano oli minerali in altri settori o regioni. Ai successivi punti 61 e 62, essa ha indicato, da una parte, che le osservazioni dei beneficiari e della Repubblica francese confermerebbero che le riduzioni delle accise han- no l’esplicito scopo di rafforzare la competitività di detti beneficiari rispetto ai loro con- correnti riducendo i loro costi e, dall’altra, che l’allumina, prodotta anche in Grecia, Spa- gna, Germania e Ungheria, è oggetto di scambi fra gli Stati membri, di modo che le esen- zioni controverse possono incidere sugli scambi intracomunitari e falsare o rischiare di falsare la concorrenza. Ai punti 6570 della motivazione della decisione contestata, la commissione ha poi in- dicato le ragioni per le quali essa ritiene che le esenzioni controverse costituiscano aiuti nuovi e non aiuti esistenti alla luce delle disposizioni dell’art. 1 del regolamento n. 659 del 1999. Essa ha quindi affermato che tali esenzioni non esistevano prima dell’entrata in vi- gore del Trattato nei tre Stati membri interessati, che esse non erano mai state analizzate né autorizzate alla luce delle norme sugli aiuti di Stato, che esse non erano mai state noti- ficate e, infine, che l’art. 1, lett. b), v), del regolamento in parola non era applicabile al caso di specie. Se è pur vero che la commissione non ha approfondito tale ultimo punto nella deci- sione contestata, emerge tuttavia chiaramente dall’insieme di tali motivazioni che essa ha ritenuto che le esenzioni controverse non fossero divenute aiuti di Stato a causa di un’evo- luzione del mercato comune, bensì che esse lo fossero fin dall’inizio, con conseguente inapplicabilità dell’art. 1, lett. b), v), del regolamento n. 659 del 1999 nel caso di specie. È pacifico, peraltro, che le ricorrenti in primo grado non abbiano presentato osser- vazioni che riferissero in merito a un’evoluzione del mercato comune successiva all’intro- duzione delle esenzioni controverse e che avrebbero dovuto indurre la commissione a illu- strare le ragioni per le quali essa riteneva che l’art. 1, lett. b), v), del regolamento n. 659 del 1999 non fosse applicabile nel caso di specie. Inoltre, risulta anche chiaramente dai motivi della decisione contestata che, se è pur vero che la commissione aveva ritenuto, al momento dell’adozione da parte del Consiglio delle decisioni di autorizzazione delle esenzioni controverse, che queste ultime non com- portassero distorsioni della concorrenza e non ostacolassero il buon funzionamento del mercato interno, tuttavia dette esenzioni non erano mai state analizzate né autorizzate alla luce delle norme sugli aiuti di Stato, la cui applicazione ha portato la commissione ad una conclusione opposta. Si deve anche rilevare, a tal riguardo, che la circostanza che le deci- sioni del Consiglio siano state adottate su proposta della commissione e non menzionasse- ro un possibile contrasto con tali norme dà luogo, ai punti 95100 della decisione contesta- ta, ad una specifica motivazione ai termini della quale la commissione ha concluso che il recupero degli aiuti risultanti dalle esenzioni concesse fino al 2 febbraio 2002, nei con- fronti dei rispettivi beneficiari, risulterebbe contrario ai principi di tutela del legittimo af- fidamento e di certezza del diritto. Pertanto, tenuto conto, in particolare, della natura e del contenuto della decisione contestata, delle norme sugli aiuti di Stato nonché dell’interesse che i destinatari e le per- sone direttamente e singolarmente riguardate da detta decisione potevano nutrire a riceve- re spiegazioni, risulta che la motivazione di quest’ultima soddisfaceva i requisiti della giu- risprudenza rammentata al punto77 della presente sentenza e non doveva necessariamente contenere specifiche spiegazioni, come sostenuto dalla commissione, per quanto attiene al- l’inapplicabilità nel caso di specie dell’art. 1, lett. b), v), del regolamento n. 659 del 1999. Ne risulta che il Tribunale ha commesso un errore di diritto dichiarando che la com- 726 DIRITTO E PRATICA TRIBUTARIA N. 4/2014 cisione della Commissione U.E., con la quale si ordina la soppressione di un regime di aiuti di Stato incompatibili con il mercato comune ed il recupero delle misure erogate o fruite, non può sottrarsi all’adempimento dei doveri derivanti dal provvedimento e dalle disposizioni del Trattato CE se non invo- cando una causa di impossibilità assoluta di compiere l’attività richie- sta (130). Parimenti, lo Stato membro non è legittimato ad autorizzare alcun esone- ro in virtù di generiche contestazioni sulla legittimità dell’ingiunzione di re- cupero, al di fuori delle competenti sedi giurisdizionali, o mere difficoltà giu- ridiche, politiche o pratiche senza che si attivarsi prontamente verso i benefi- ciari degli aiuti ovvero sottoporre alla commissione modalità alternative ido- nee a superare gli ostacoli denunciati (131). Si considera preesistente l’aiuto che al momento della sua attuazione non costituiva aiuto, ma che sia divenuto tale solo successivamente a seguito del- l’evoluzione del mercato comune. In altre parole, la nozione di aiuto di Stato, esistente o nuovo, è una si- tuazione oggettiva e la stessa commissione sostiene che tale definizione non può dipendere meramente dalla condotta o dalle dichiarazioni delle istituzio- ni. Inoltre, si deve registrare l’obbligo di motivazione di un atto comunitario ex art. 253 CE si adegua alla natura dell’atto stesso.

17. – Recupero dell’aiuto di Stato

La dinamica degli aiuti di Stato si estende anche all’ambito delle pro-

missione ha violato l’obbligo di motivazione impostole dall’art. 253 CE, per quanto riguar- da l’inapplicabilità nel caso di specie dell’art. 1, lett. b), v), del regolamento n. 659 del 1999. Di conseguenza, il quarto e il quinto motivo di impugnazione devono essere parimen- ti accolti. Alla luce di tutte le suesposte considerazioni, senza che sia necessario esaminare gli altri argomenti e motivi delle parti, si deve annullare la sentenza impugnata nella parte in cui quest’ultima ha annullato la decisione contestata sulla base del rilievo che la commis- sione avrebbe ivi violato l’obbligo di motivazione, per quanto riguarda l’inapplicabilità nel caso di specie dell’art. 1, lett. b), v), del regolamento n. 659 del 1999, e nella parte in cui ha condannato la commissione a sopportare le proprie spese nonché quelle sostenute dalle ricorrenti, comprese quelle attinenti al procedimento sommario nella causa T-69/06R. (130) In materia di aiuti di stato si ricordi CGCE, sez. II, 22 giugno 2006, cause riu- nite C-182/03 e C-217/03 della secondo la quale: nel deliberare la soppressione di un regi- me di aiuti di Stato la commissione deve avere riguardo anche alle circostanze che posso- no ostare ad una eliminazione tout court del regime in violazione dell’affidamento che i soggetti economici legittimamente ripongono nella permanenza – anche transitoria – del vigore delle misure di beneficio, nonché del principio di uguaglianza che, trovando piena cittadinanza fra i principi fondamentali del diritto comunitario, vieta che situazioni para- gonabili siano trattate in maniera differente. (131) CGCE, sez. VI, 13 settembre 2013, T-551/10: va rammentato che spetta allo Stato membro e al beneficiario dell’aiuto, nel corso del procedimento d’indagine formale, presentare gli argomenti atti a dimostrare la compatibilità degli aiuti con il mercato inter- no (sentenze del Tribunale dell’11 febbraio 2009, Iride e Iride Energia/commissione, T-25/ 07, Racc., II-245, punti da 100 a 110, e del 27 settembre 2012, Fedecom/commissione, T-243/09, non pubblicata nella Raccolta, punto 80). PARTE SECONDA 727 cedure degli aiuti di Stato incompatibili con diritto comunitario (132). Infatti, nel caso in cui una misura nazionale venga definita come illegit- tima ed in contrasto con il diritto comunitario la commissione adotta una de- cisione con la quale impone allo Stato membro il recupero delle misure con- testate (133).

(132) Regolamento (CE) n. 659 del 1999 del Consiglio del 22 marzo 1999 recante modalità di applicazione dell’articolo 93 del trattato CE. (133) Cass., sez. trib., 16 maggio 2012, n. 7663: Il già richiamato articolo 14, par. 1, del Regolamento (CE) n. 659 del 1999 – in relazione al quale la decisione di recupero è stata emanata – prevede che «nel caso di decisioni negative relative a casi di aiuti illegali, la commissione adotta una decisione con la quale impone allo Stato membro interessato di adottare tutte le misure necessarie per recuperare l’aiuto dal beneficiario» e, al successivo par. 3, che «il recupero va effettuato senza indugio secondo le procedure previste dalla legge dello Stato membro interessato, a condizione che esse consentano l’esecuzione imme- diata ed effettiva della decisione della commissione». In proposito, la Corte di giustizia CE ha affermato che «lo Stato membro destinata- rio di una decisione che gli impone di recuperare gli aiuti illegittimi è tenuto, ai sensi del- l’art. 249 CE, ad adottare ogni misura idonea ad assicurare l’esecuzione di tale decisione» (v. sentenze 12 dicembre 2002, causa C-209/00 e causa C-404/00) e deve giungere «all’ef- fettivo recupero delle somme dovute» (v. tra le altre sentenza 12 maggio 2005, causa C-415/03, punto 44). È stato anzi espressamente evidenziato dalla giurisprudenza comuni- taria che, ai sensi dell’art. 14, n. 3, del Regolamento CE n. 659 del 1999, «l’applicazione delle procedure nazionali è soggetta alla condizione che queste ultime consentano l’esecu- zione immediata ed effettiva della decisione della commissione, condizione che riflette i re- quisiti imposti dal principio di effettività sancito precedentemente dalla giurisprudenza» (Corte di giustizia CE, sentenza del 5 ottobre 2006, in causa C-232/05, punti 42 e 49). L’interpretazione della norma interna (d.l. n. 10 del 2007) e della sua portata precettiva non può pertanto prescindere dal fine precipuo di essa che è garantire l’esecuzione imme- diata ed effettiva della decisione di recupero. Da quanto esposto discende che, in base alla normativa in esame, l’Amministrazione finanziaria ha l’obbligo di procedere mediante ingiunzione al recupero delle somme corri- spondenti alle agevolazioni, ritenute incompatibili con il diritto comunitario dalla decisione della Commissione europea n. 2003/193/CE, fruite dalle società per azioni a prevalente ca- pitale pubblico, istituite ai sensi dell’art. 22 l. 8 giugno 1990, n. 142 per la gestione dei servizi pubblici locali, dovendo escludersi il recupero nelle sole ipotesi di aiuti rientranti nell’ambito di applicabilità della regola de minimis. L’onere dell’amministrazione resta pertanto limitato alla necessità di indicare (e pro- vare) che detta società sia una società per azioni costituita ai sensi della l. n. 142 del 1990, e che la stessa abbia effettivamente fruito dell’agevolazione dichiarata incompatibile con il diritto comunitario (v. in proposito Cass. n. 23414 del 2010, secondo la quale l’Agenzia delle entrate ha l’obbligo di procedere mediante ingiunzione al recupero, da escludersi solo nell’ipotesi in cui si tratti di aiuti rientranti nell’ambito di applicabilità del- la regola «de minimis», spettando alla società destinataria dell’ingiunzione eccepire e pro- vare che l’aiuto ricevuto appartiene all’ambito di applicabilità della suddetta regola e gra- vando sull’amministrazione solo l’onere di provare che tale società è una società per azio- ni costituita ai sensi della l. n. 142 del 1990 ed ha effettivamente fruito dell’agevolazione dichiarata incompatibile con il diritto comunitario, elementi che, unitamente all’invito ad avvalersi della eccezione relativa all’appartenenza dell’aiuto all’ambito di applicabilità della regola «de minimis», esauriscono la motivazione necessaria dell’ingiunzione). Col terzo motivo, deducendo vizio di motivazione, la ricorrente si duole del fatto che i giudici d’appello abbiano omesso la valutazione relativa al campo di applicazione della decisione della Commissione Europea con riguardo alle ed. società in house, pur essendo stato sottolineato nel ricorso introduttivo che nella specie la società era interamente parte- cipata dai Comuni precedentemente consorziati e svolgeva in regime di privativa unica- 728 DIRITTO E PRATICA TRIBUTARIA N. 4/2014

La Commissione impone il recupero dell’aiuto qualora vi sia contrasto con un principio generale del diritto comunitario. Lo Stato membro nello specifico è vincolato al recupero dell’aiuto insie- me agli interessi calcolati in base a un tasso adeguato stabilito dalla commis- sione. Inoltre, è tenuto a realizzare quanto previsto senza indugio (134), salvo

mente il servizio pubblico idrico ottenuto in concessione diretta dai suddetti Comuni secon- do la modalità in house providing. La censura è inammissibile perché non è configurabile nella specie il vizio di motiva- zione di cui all’art. 360 1o comma n. 5 c.p.c., non risultando decisivi (ossia tali che se va- lutati avrebbero potuto condurre ad una decisione diversa) i fatti asseritamente non consi- derati dai giudici d’appello. I suddetti fatti (ossia: che le società beneficiarie erano a partecipazione pubblica to- talitaria ed avevano operato in settori al tempo sottratti alla concorrenza) risultano già esposti dalle imprese interessate nel procedimento che ha portato all’adozione della deci- sione comunitaria di cui si discute (v. il considerando 22 della stessa) e sono stati ritenuti irrilevanti dalla commissione. In particolare, la commissione ha evidenziato l’irrilevanza della circostanza che l’im- presa beneficiaria operi in regime di monopolio di fatto sia perché «il mercato delle con- cessioni dei cosiddetti servizi pubblici locali è un mercato aperto alla concorrenza comuni- taria (...) e soggetto alle regole del Trattato» (v. considerando n. 68) sia perché le misure in esame, per un verso «incidono sugli scambi tra Stati membri poiché esse danneggiano imprese straniere partecipanti a gare per concessioni locali in Italia, dato che le imprese pubbliche beneficiarie del regime in oggetto possono concorrere a prezzi più competitivi rispetto ai loro concorrenti nazionali o comunitari che non ne beneficiano» e, per altro verso, rendono «meno attraente per le imprese di altri Stati membri investire nel settore (...) (ad esempio con acquisto di partecipazione di maggioranza), poiché le aziende even- tualmente acquisite non potrebbero beneficiare (o potrebbero perdere) l’aiuto, in conse- guenza della natura dei nuovi azionisti» (v. i considerando numeri. 69 e seguenti). La decisione in esame ha peraltro precisato che una certa concorrenza, almeno in taluni dei settori di operatività delle s.p.a. ex lege n. 142 del 1990, comunque esisteva an- che al momento dell’entrata in vigore delle misure agevolative (per es. nei settori dei rifiu- ti, del gas e dell’acqua), aggiungendo che è principio acquisito che, «quand’anche la con- correnza in un determinato settore economico e in un determinato momento sia limitata», gli Stati membri non possono comunque adottare misure comportanti aiuti «suscettibili di impedirne lo sviluppo o di diminuire il grado di concorrenza». È infine da aggiungere che con sentenza 1o giugno 2006 nella causa C-207/05 la Corte di giustizia – nell’ambito della procedura di infrazione ex articolo 228 del Trattato CE n. 2006/2456, in relazione alla mancata adozione, entro i termini prescritti, dei provve- dimenti necessari per recuperare presso i beneficiari gli aiuti dichiarati illegittimi ed in- compatibili con il mercato comune dalla decisione della commissione 5 giugno 2002, 2003/ 193/CE – ha dichiarato che la Repubblica italiana è venuta meno agli obblighi ad essa im- posti dagli artt.3e4ditale decisione. Poiché la Corte di giustizia, pronunciando sull’infrazione, conferma, ancorché impli- citamente, la validità della decisione della commissione, in tali termini deve riconoscersi alla relativa sentenza anche una valenza interpretativa. Tanto esclude che possa fondatamente rimettersi in discussione (eventualmente alla luce di giurisprudenza della Corte di giustizia in materia, v. ad esempio sentenza 9 giugno 2011 in C-71/09) la decisione della commissione attraverso un rinvio pregiudiziale, even- tualità non esclusa per il solo fatto della definitività della suddetta decisione, posto che ta- le definitività non impedisce una verifica della sua validità nell’ambito della competenza pregiudiziale ex art. 234 del Trattato CE (v. in proposito Cass. n. 8319 del 2004). (134) CGCE, sez. V, 13 ottobre 2011, C-454/09: Da una costante giurisprudenza ri- sulta che lo Stato membro destinatario di una decisione che gli impone di recuperare gli PARTE SECONDA 729 ordinanza contraria da parte delle autorità giudiziarie comunitarie, seguendo le procedure previste dalla legge dello Stato membro interessato, a condizione

aiuti illegittimi è tenuto, in forza dell’art. 249 CE, ad adottare ogni misura idonea ad assi- curare l’esecuzione di tale decisione (v. sentenze 12 dicembre 2002, causa C-209/00, Com- missione/Germania, Racc., I-11695, punto 31; 26 giugno 2003, causa C-404/00, Commis- sione/Spagna, Racc., I-6695, punto 21, e 5 ottobre 2006, causa C-232/05, Commissione/ Francia, Racc., I-10071, punto 42). Lo Stato membro, in linea di principio, deve giungere a un effettivo recupero delle somme dovute (v., in tal senso, sentenze 12 maggio 2005, cau- sa C-415/03, Commissione/Grecia, Racc., I-3875, punto 44, e Commissione/Francia, cit., punto 42). Benché la Repubblica italiana alleghi, a sua difesa, che l’apertura della procedura concorsuale ostava a qualsiasi azione dei creditori della New Interline diretta al recupero dei loro crediti, dalla giurisprudenza relativa alle imprese beneficiarie di aiuti dichiarati incompatibili con il mercato comune e sottoposte a procedura fallimentare si ricava che il ripristino della situazione anteriore e l’eliminazione della distorsione della concorrenza ri- sultante dagli aiuti illegittimamente erogati possono essere conseguiti, in linea di principio, con l’iscrizione al passivo fallimentare del credito relativo alla restituzione degli aiuti in questione (v., in tal senso, sentenze Commissione/Belgio; Tubemeuse, cit., punti 60-62; 29 aprile 2004, causa C-277/00, Germania/Commissione, e 14 aprile 2011, causa C-331/09, Commissione/Polonia, non ancora pubblicata nella Raccolta). Parimenti, occorre precisare che l’iscrizione nell’elenco dei crediti di quello relativo alla restituzione degli aiuti in questione consente di porsi in regola con l’obbligo di recu- pero solo qualora, nel caso in cui le autorità statali non possano recuperare integralmente l’importo degli aiuti, la procedura concorsuale giunga alla liquidazione dell’impresa, ossia alla cessazione definitiva della sua attività, che le autorità statali possono provocare in qualità di azionisti o creditori (v., in tal senso, sentenze Commissione/Belgio, cit., punti 14 e 15; 2 luglio 2002, causa C-499/99, Commissione/Spagna, Racc., I-6031, punti 26-28 e 37-43, nonché Commissione/Polonia, cit., punti 63 e 64). Peraltro, va ricordato che il recupero dev’essere effettuato tempestivamente e, per la precisione, nel termine previsto nella decisione, adottata ex art. 88, n. 2, CE, che impone il recupero di un aiuto di Stato o, eventualmente, nel termine stabilito successivamente dal- la commissione (v., in tal senso, sentenze 3 luglio 2001, causa C-378/98, Commissione/Bel- gio, Racc., I-5107, punto 26, e 2 luglio 2002, Commissione/Spagna, cit., punto 28). Un recupero tardivo, successivo ai termini stabiliti, non può soddisfare quanto pre- scritto dal Trattato (v., in tal senso, sentenze 14 febbraio 2008, causa C-419/06, Commis- sione/Grecia, punti 38 e 61, nonché 22 dicembre 2010, causa C-304/09, Commissione/Ita- lia, non ancora pubblicata nella Raccolta, punto 32). Orbene, la Repubblica italiana ha ammesso di aver chiesto l’iscrizione al passivo della New Interline del credito relativo al recupero dell’aiuto in questione solo il 31 otto- bre 2008, ossia molto dopo il 18 agosto 2008, data di scadenza del termine di quattro mesi fissato a detto Stato membro dall’art. 3, n. 2, della decisione 2008/697 per adempiere l’ob- bligo di recupero immediato ed effettivo. Inoltre, come si ricava dalle spiegazioni fornite dalla Repubblica italiana in udienza, rimane incerto se la New Interline abbia continuato le sue attività dopo l’apertura della procedura di concordato preventivo e, in particolare, dopo la scadenza del termine previ- sto dall’art. 3, n. 2, della decisione 2008/697. Quanto all’eccezione d’illegittimità della decisione 2008/697 sollevata dalla Repub- blica italiana, basata sul fatto che detta decisione sarebbe stata adottata violando gli orientamenti comunitari sugli aiuti di Stato per il salvataggio e la ristrutturazione di im- prese in difficoltà, e che essa avrebbe imposto il recupero dell’aiuto in questione in viola- zione del principio di tutela del legittimo affidamento, essa non può essere accolta. Infatti, da una giurisprudenza consolidata si evince che uno Stato membro non può invocare l’illegittimità di una decisione come argomento difensivo avverso un ricorso per inadempimento basato sull’omessa esecuzione di detta decisione, eccezion fatta per l’ipo- tesi in cui quest’ultima debba essere considerata inesistente (v., in tal senso, sentenza 1 730 DIRITTO E PRATICA TRIBUTARIA N. 4/2014 che esse consentano l’esecuzione immediata ed effettiva della decisione della commissione. A tal fine e in caso di procedimento dinanzi ai tribunali nazionali, gli Stati membri interessati adottano tutte le misure necessarie disponibili nei ri- spettivi ordinamenti giuridici, comprese le misure provvisorie, fatto salvo quanto previsto dal diritto comunitario. Proprio in sede di procedimento giurisdizionale è possibile per il benefi- ciario richiedere la sospensione dell’efficacia di atti di recupero di aiuti di Stato (135).

18. – Primautè diritto comunitario, accise e armonizzazione fiscale

La primauté del diritto europeo sul diritto nazionale e cioè il rapporto di superiorità gerarchica del primo rispetto al secondo rappresenta il presupposto legittimante del processo di armonizzazione delle accise e della strutturazione dei rapporti tra gli ordinamenti giuridici degli Stati membri con quello del- l’Unione europea Tale prevalenza previsto dal Trattato della Comunità Europea (136) ha trovato una pacifica ed univoca conferma nella giurisprudenza, la quale a par- tire dalla sentenza Costa/ENEL del 15 luglio 1964, ha precisato che la pri- mauté del diritto comunitario trova conferma nell’art. 189 (ora 249) TCE, ri- levando che questa disposizione, che non è accompagnata da alcuna riserva, sarebbe priva di significato se uno Stato potesse unilateralmente annullarne gli effetti con un provvedimento nazionale che prevalesse sui testi comunitari; e, quindi, precisando che il diritto nato dal Trattato non potrebbe, in ragione appunto della sua specifica natura, trovare un limite in qualsiasi provvedi- mento interno senza perdere il proprio carattere comunitario e senza che ne risultasse scosso il fondamento giuridico della stessa Comunità. Da ciò consegue che nessun tipo di atto nazionale può resistere al diritto comunitario e che i giudici nazionali hanno l’obbligo di verificare la compa- tibilità del diritto interno con le norme di diritto comunitario primario e se- condario, indipendentemente da una specifica domanda e, quindi, dalla dedu- zione di uno specifico motivo. In tale contesto, la giurisprudenza comunitaria ha affermato che la con- formazione del diritto interno deve trovare piena attuazione anche con riguar- do alle regole processuali o procedimentali che ostacolano una piena applica- zione del diritto comunitario. Su tali precedenti, la Corte di Cassazione italiana ha perciò ritenuto che i caratteri del giudizio di legittimità non impediscano l’applicazione del dirit- to comunitario nella sua interezza, anche in mancanza di specifiche domande proposte nei precedenti gradi del giudizio, ammettendo la deducibilità del

giugno 2006, causa C-207/05, Commissione/Italia, punti 40-43 e giurisprudenza ivi cita- ta). Da quanto sin qui esposto risulta che occorre dichiarare che la Repubblica italiana, alla scadenza del termine fissato dall’art. 3, n. 2, della decisione 2008/697, non aveva av- viato tutte le iniziative necessarie all’effettivo recupero dell’aiuto in questione e al ristabi- limento delle normali condizioni di concorrenza. (135) Articolo 47, 1o e2o comma del d.lgs. n. 546 del 1992. (136) Al proposito si ricordano gli articoli 90, 91, 92, 93 del Tratto CE. PARTE SECONDA 731 contrasto di una norma interna con il diritto comunitario per la prima volta nel ricorso introduttivo del giudizio di legittimità. All’interno di questo tipo di regolamentazione dei rapporti degli ordina- menti giuridici tra diritto e sistema costituzionale nazionali con l’ordinamento europeo si inserisce il processo di armonizzazione tributaria il quale consiste, da un lato, nella previsione di norme fiscali cui si conformano i destinatari dell’atto legislativo che le contiene e dall’altro nell’attribuire alle autorità de- gli Stati membri un potere di controllo in materia di agevolazioni, esenzioni. L’armonizzazione in materia di accise è in sintonia con la creazione del sistema doganale europeo (137). Inoltre, il processo legislativo in parola rappresenta l’elemento legitti- mante della presenza di imposte sulla produzione e consumo non armonizza- te (138). Infatti, l’armonizzazione fiscale, partendo da strumento necessario per garantire l’attuazione effettiva delle libertà fondamentali, e quindi pur doven- do concentrarsi, in via immediata, sulle forme di imposizione fiscale più tipi- camente in grado di incidere su tali meccanismi, ha ben presto assunto una chiave diversa e di più ampio respiro poiché mira alla semplificazione e al- l’unificazione di procedure, definizioni ed istituti che impattano direttamente sulla creazione del mercato unico europeo e sulla tutela della concorrenza al suo interno (139). Non si solo della esigenza di eliminare, potenziali elementi distorsivi nella circolazione di merci o servizi, ma si mira alla realizzazione di una po- litica fiscale di maggiore pregio decisiva per conseguire obiettivi di più eleva- to sviluppo e diffuso benessere duraturo che vengono posti come priorità stra- tegiche dell’Unione. Per questi motivi, la realizzazione di regole comuni di base nel campo dell’imposizione indiretta o in materia di imposte sulla produzione diviene solo un aspetto dell’armonizzazione fiscale. Infatti, il processo di armonizzazione fiscale in sede europea verso la qua- le si devono indirizzare le legislazioni nazionali e i provvedimenti di regolazio- ne comunitaria poggia sulla convinzione che la riforma dell’intero sistema fisca- le sia decisamente preferibile alla riforma della singola imposta: solo così si de-

(137) Direttiva n. 118/08, IV e V considerando: I prodotti sottoposti ad accisa pos- sono essere oggetto di altre imposte indirette aventi finalità specifiche. In tali casi, tuttavia, al fine di non compromettere l’utile effetto delle norme comuni- tarie relative alle imposte indirette, gli Stati membri dovrebbero rispettare taluni elementi essenziali di tali norme. Al fine di garantire la libera circolazione, occorre che la tassazione di prodotti di- versi dai prodotti sottoposti ad accisa non dia luogo a formalità connesse all’attraversa- mento delle frontiere. (138) Direttiva 118/08 articolo 1 2o comma: Gli Stati membri possono applicare ai prodotti sottoposti ad accisa altre imposte indirette aventi finalità specifiche, purché tali imposte siano conformi alle norme fiscali comunitarie applicabili per le accise o per l’im- posta sul valore aggiunto in materia di determinazione della base imponibile, calcolo, esi- gibilità e controllo dell’imposta; sono escluse da tali norme le disposizioni relative alle esenzioni. (139) Direttiva n. 118/08, VIII considerando: Poiché ai fini del corretto funziona- mento del mercato interno rimane necessario che la nozione di accisa e le condizioni di esigibilità dell’accisa siano uguali in tutti gli Stati membri, occorre precisare a livello co- munitario il momento in cui i prodotti sottoposti ad accisa sono immessi in consumo e chi è il debitore dell’accisa. 732 DIRITTO E PRATICA TRIBUTARIA N. 4/2014 terminano effetti globali sul sistema economico, altrimenti limitati al prezzo del singolo prodotto o del singolo fattore della produzione interessati, e quindi con uno spettro di effetti proporzionalmente sottodimensionati. A partire dalla Direttiva n. 92/1/CE del Consiglio del 19 ottobre 1992 relativa alla armonizzazione delle strutture delle accise sugli oli minerali ven- gono definiti i prodotti oggetto della tassazione e si stabilisce l’impegno co- mune al rispetto da parte delle legislazioni nazionali rispetto alla conformità della normativa comunitaria di settore (140).

19. – Tributo ambientale, diritto comunitario e disciplina delle accise La tematica dell’impiego dell’accisa come tributo ambientale si inserisce tra le considerazioni svolte sulla primauté del diritto comunitario su quello nazionale. Siffatta preminenza determina, com’è possibile rilevare, l’introduzione di obiettivi e strumenti di fiscalità ambientale nel sistema tributario nazionale: in tale contesto, le accise armonizzate costituiscono un terreno fertile per la va- lorizzazione di alcune scelte di mercato e di politica ambientale con la conte- stuale penalizzazione di altre. La categoria del tributo ambientale, nello specifico, (da intendersi sia co- me onere fiscale sia come esenzione/agevolazione) nasce in ambito europeo ed è volta alla promozione e valorizzazione delle attività economiche ed uma- ne a basso impatto ambientale e, al contempo, alla penalizzazione con un pe- so tributario maggiore di quelle con una più alto costo ambientale. Si inserisce in un favor accordato dal legislatore europeo alla promozio- ne della tutela ambientale, dello sviluppo sostenibile e delle energie rinnova- bile, che può prevalere in un’ottica di bilanciamento anche sul divieto di di- storsione della concorrenza (141). Determina l’imponibile o la materia dell’esenzione in relazione all’im- patto negativo di una attività umana scientificamente verificabile sull’ambien- te: infatti, un tributo rientra nella categoria delle tasse ambientali se l’impo- nibile è una unità fisica (o un suo sostituto o derivato) di qualcosa di cui si abbia prova scientifica di effetti negativi sull’ambiente quando è usato o rila- sciato (142).

(140) Direttiva n. 118/08, II considerando: Le condizioni per la riscossione delle ac- cise sui prodotti contemplati dalla Direttiva n. 1992/12/CEE («prodotti sottoposti ad acci- sa») devono rimanere armonizzate al fine di garantire il corretto funzionamento del merca- to interno. (141) CGCE, sez. IV, 26 settembre 2013, C-195/12: Allo stato attuale del diritto del- l’Unione, il principio di parità di trattamento e di non discriminazione, sancito in particola- re dagli articoli 20 e 21 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, non osta a che, quando istituiscono regimi nazionali di sostegno alla cogenerazione e alla produzio- ne di elettricità da fonti energetiche rinnovabili, come quelli di cui agli articoli 7 della Di- rettiva n. 2004/8 e 4 della Direttiva n. 2001/77 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 27 settembre 2001, sulla promozione dell’energia elettrica prodotta da fonti energetiche rin- novabili nel mercato interno dell’elettricità, gli Stati membri prevedano una misura di soste- gno rinforzata, come quella di cui al procedimento principale, della quale possono fruire tut- ti gli impianti di cogenerazione che valorizzano principalmente la biomassa, con l’esclusio- ne degli impianti che valorizzano principalmente legno e/o rifiuti di legno. (142) Risoluzione del Consiglio 23 gennaio 1987, n. 485, contenente il «Quarto pro- gramma di azione delle Comunità Europee in materia di ambiente». PARTE SECONDA 733

In quest’ottica, nel settore delle accise dei prodotti energetici, la genera- lizzata pretesa impositiva contenuta nell’art. 21, 5o comma del T.U.A. viene esclusa per gli oli vegetali in virtù della previsione dell’art. 14 della Direttiva n. 2003/30/CE, prescindendo anche mancato recepimento di tale provvedi- mento normativo. L’accisa a rilevanza ambientale ed eventualmente la relativa esenzione incidono sul soggetto passivo nel momento della emissione di sostanze repu- tate inquinanti al di fuori di un processo produttivo e, perciò, nella fase del- l’immissione in consumo dei prodotti energetici ex art. 2 del T.U.A.: ciò de- termina l’esigibilità della accisa, che costituisce un onere tributario di natura indiretta e, de facto, incidente sulla sfera patrimoniale dell’operatore econo- mico finale. Si deve, poi, rimarcare i due elementi caratterizzanti la tassazione ambien- tale, sempre con specifica attenzione alla componente ambientale delle accise. Innanzitutto, la tassazione armonizzata della produzione determina l’in- troduzione all’interno della fattispecie fiscale di una finalità che ontologica- mente è extratributaria: la tutela ambientale (143). Nello specifico vi deve essere un connaturato rapporto eziologico fra l’unità fisica o attività umana che determinano il deterioramento ambientale e la fattispecie tributaria: ciò costituisce la legittimazione di una misura di esenzione o di incremento dell’aliquota dell’accisa. Infatti, la componente ambientale delle imposte di fabbricazione necessi- ta per la sua legittimazione di un deterioramento ecologico relativo nel senso che si deve trattare di un deterioramento sopportabile, possibilmente reversi- bile ed eventualmente riparabile; è speculare a quanto appena rilevato il setti- mo considerando della Direttiva n. 2003/96/CE secondo cui la tassazione dei prodotti energetici e dell’elettricità è uno degli strumenti disponibili per con- seguire gli obiettivi del protocollo di Kyoto. Invece, il danno ambientale irreversibile ed assoluto trova il proprio ri- medio giuridico nel principio «chi inquina paga» (144), che è uno strumento sanzionatorio (145). In materia di esenzione degli oli vegetali chimicamente non modificati

(143) G. Peleggi, La tutela ambientale è divenuta uno degli obiettivi prioritari della politica tributaria,inCorr. trib., 1999, 169: L’introduzione di una forma di tassazione eco- logica risponde anche alla finalità proposta dall’UE di attuare modifiche sui sistemi fisca- li, che comportino, a parità di gettito, uno spostamento dal fattore lavoro ai fattori nocivi per l’ambiente. (144) Cons. Stato, sez. V, 26 settembre 2013, n. 4756: Il principio comunitario se- condo cui «chi inquina paga», fissato dall’art. 175 del Trattato CE, trova immediata e di- retta applicazione nella legislazione nazionale. Infatti, i trattati costitutivi delle Comunità europee non sono comuni accordi interna- zionali, in forza dei quali gli stati contraenti si impegnano a rispettare specifiche obbliga- zioni reciproche, ma rappresentano gli atti costitutivi di un nuovo ordinamento, i cui atti normativi sono validi ed efficaci negli ordinamenti dei singoli stati membri indipendente- mente da norme interne di recepimento. (145) Cons. Stato, sez. VI, 21 maggio 2013, n. 2740: Il principio comunitario «chi inquina paga», piuttosto che ricondursi alla fattispecie illecita integrata dall’elemento sog- gettivo del dolo e della colpa e dall’elemento materiale, imputa il danno a chi si trovi nel- le condizioni di controllare i rischi, cioè imputa il costo del danno al soggetto che ha la possibilità della «cost-benefit analysis» per cui lo stesso deve sopportarne la responsabilità per essersi trovato, prima del suo verificarsi, nella situazione più adeguata per evitarlo in modo più conveniente. 734 DIRITTO E PRATICA TRIBUTARIA N. 4/2014 adoperati per la produzione di energia elettrica, la Direttiva n. 2003/96/CE del 27 ottobre 2003 (119) ristruttura il quadro europeo per la tassazione dei prodotti energetici e dell’elettricità, prevedendo nei propri artt. 14 e 15 che gli stati membri possano esentare dalla tassazione determinati prodotti dotati di un basso valore inquinante, come l’elettricità generata dalla biomassa o da altri prodotti ricavati dalla biomassa come anche ogni da ogni tipo di fonte rinnovabile (146); in modo speculare, lascia impregiudicato il diritto degli stati membri a tassare con aliquote più pesanti prodotti energetici considerati inquinanti. La direttiva, in altre parole, dota di un carattere incondizionato ed imme- diatamente esecutivo l’obbligo di esenzione fiscale di cui sopra impedendo che, per motivi di natura ambientale, un prodotto energetico che sarebbe do- vuto essere esentato venga sottoposto a tassazione: la scelta di politica fiscale su base discrezionale non può alterare una disposizione comunitaria diretta- mente esecutiva (147). Inoltre, le agevolazioni fiscali in parola possono essere autorizzate a condizione che lo stato membro abbia predisposto idonee misure volte a ga- rantire l’agevole e corretta applicazioni delle esenzioni stesse e al contempo evitare frodi (148), evasioni, abusi.

20. – Tutela della concorrenza e contingenti defiscalizzati o agevolati di bio- diesel Il regolamento n. 256 del 2003 prevedeva i seguenti criteri di assegnazio- ne dei contingenti agevolati di biodiesel: la valutazione dell’immissione in con- sumo precedente nella misura dello 0,6 e la capacità produttiva nella misura del- lo 0,4 privilegiando il dato storico della presenza dell’impresa sul mercato); la somma dei valori ottenuti veniva moltiplicata «per un fattore pari al grado di uti- lizzo, nella annualità precedente e in quella in corso fino al 31 maggio, delle quo- te assegnate nelle due annualità»; tale «grado di utilizzo assume il valore 1 (cioè 100%), qualora una società produca interamente la propria quota. Il provvedimento normativo in esame è stato oggetto di valutazioni da parte della giurisprudenza in riferimento al suddetto sistema di assegnazione delle quo- te contingentate (149) e alla sua compatibilità con la tutela della concorrenza.

(146) Direttiva n. 2009/28/CE sulla promozione dell’uso dell’energia da fonti rinno- vabili, recante modifica e successiva abrogazione delle Direttive n. 2001/77/CE e n. 2003/ 30/CE articolo 2 lettera e): «biomassa»: la frazione biodegradabile dei prodotti, rifiuti e residui di origine biologica provenienti dall’agricoltura (comprendente sostanze vegetali e animali), dalla silvicoltura e dalle industrie connesse, comprese la pesca e l’acquacoltura, nonché la parte biodegradabile dei rifiuti industriali e urbani. (147) C. Verigni, La rilevanza del principio comunitario «chi inquina paga» nei tri- buti ambientali,inRass. trib., 2003, 1614. (148) Si veda al riguardo la Direttiva n. 92/81/CEE del 19 ottobre 1992 relativa alla armonizzazione delle strutture delle accise sugli oli minerali. (149) Cons. Stato, sez. IV, 16 febbraio 2012: L’art. 21, 6o comma, d.lgs. n. 26 otto- bre 1995, n. 504, nel testo risultante dalle modifiche introdotte dall’art. 21, 1o comma, l. n. 388 del 2000 (legge finanziaria 2001), prevedeva tra l’altro, a decorrere dal 1 luglio 2001: «... Il “biodiesel”, puro o in miscela con gasolio o con oli combustibili in qualsiasi percentuale, è esentato dall’accisa nei limiti di un contingente annuo di 300.000 tonnellate nell’ambito di un programma triennale, tendente a favorire lo sviluppo tecnologico. PARTE SECONDA 735

In questa maniera l’immissione al consumo veniva valutata due volte: la prima, in senso assoluto, nella definizione del valore da porre come fattore della successiva moltiplicazione, ed in una misura superiore alla capacità pro- duttiva (0,6 a fronte dello 0,4); la seconda, in senso relativo (quantità prodot- ta rispetto alla quota assegnata), come fattore di moltiplicazione. Tale meccanismo determinava, nella sostanza, un risultato di attribuzione della quantità di biodiesel agevolato dipendente in misura eccessiva e non ra- gionevole dal «dato storico» della produzione immessa al consumo. A fronte di ciò, per le imprese di prima annualità partecipativa al pro- gramma «i suddetti coefficienti (cioè quelli dello 0,6 e dello 0,4) sono pari, rispettivamente, a zero e a 0,1.» (poiché non si verificavano i requisiti della: immissione di prodotto e stimata convenzionalmente la capacità produttiva). In particolare proprio la rilevanza dell’immissione in consumo di biodie- sel contingentato precedentemente assegnato rappresentava un fattore «molti- plicato» per i nuovi operatori. Tale requisito discriminante promuoveva de facto un’impresa già operan- te rispetto ad una nuova che aveva adoperato una corretta diligenza nell’im- missione in consumo. In definitiva, emergono dalla giurisprudenza in esame i seguenti rilievi: il diverso peso assegnato ai due valori considerati (immissione al consumo e capacità produttiva), la circostanza che l’immissione al consumo sia valutata

Con decreto del Ministro delle finanze, di concerto con il Ministro dell’industria, del commercio e dell’artigianato, con il Ministro dell’ambiente e con il Ministro delle politiche agricole e forestali, sono determinati i requisiti degli operatori, le caratteristiche tecniche degli impianti di produzione, nazionali ed esteri, le caratteristiche fiscali del prodotto con i relativi metodi di prova, le modalità di distribuzione ed i criteri di assegnazione dei quan- titativi esenti agli operatori. Per il trattamento fiscale del “Biodiesel” destinato al riscaldamento valgono, in quanto applicabili, le disposizioni dell’articolo 61». Il successivo 2o comma del medesimo art. 21 l. n. 388 del 2000 prevedeva: «Al fine di promuovere l’impiego del prodotto denominato “biodiesel”, di cui al 1o comma, come carburante per autotrazione, il Ministro dell’industria, del commercio e del- l’artigianato è autorizzato alla realizzazione di un progetto pilota che, in deroga a quanto previsto dall’articolo 2, 4o comma, del decreto del Ministro delle finanze 22 maggio 1998, n. 219, preveda l’avvio al consumo del “biodiesel” puro presso utenti in rete, a partire dalle aree urbane a maggiore concentrazione di traffico.» In attuazione del 6o comma del d.lgs. n. 504 del 1995 (nel testo introdotto dalla l. n. 388 del 2000, espressamente richiamato nel preambolo), è stato emanato il d.m. 25 luglio 2003 n. 256, recante «Regolamento concernente le modalità di applicazione dell’accisa agevolata sul prodotto denominato biodiesel, ai sensi dell’articolo 21 del d.lgs. 26 ottobre 1995, n. 504». Il nuovo regolamento sostituisce (per effetto di quanto disposto dal suo art. 4, 2o comma), il previgente d.m. 22 maggio 1998, n. 219, disciplinante le «modalità di ap- plicazione del trattamento agevolato per il “biodiesel” e criteri di ripartizione del contin- gente agevolato», e ciò dalla sua data di entrata in vigore (13 settembre 2003). Tale regolamento (oggetto di parziale impugnazione con i ricorsi oggetto della sen- tenza di I grado), per quel che qui interessa, prevede: Art. 1 (disposizioni di carattere generale): «1. Ai fini dell’applicazione del regime fiscale di esonero previsto dall’articolo 21, 6o comma, del testo unico, approvato con d.lgs. 26 ottobre 1995, n. 504, come sostituito dal- l’articolo 21, 1o comma, della l. 23 dicembre 2000, n. 388, il biodiesel, nell’ambito di un programma triennale di durata dal 1o luglio 2001 al 30 giugno 2004 e nel limite di un contingente annuo di 300.000 tonnellate, è esentato dall’accisa, con l’osservanza delle di- sposizioni di cui al presente regolamento. 736 DIRITTO E PRATICA TRIBUTARIA N. 4/2014 due volte (in senso assoluto, ai fini di concorrere alla determinazione della «somma dei valori» primo fattore della moltiplicazione, e poi in senso relati-

2. Il biodiesel di cui al 1o comma deve essere prodotto in impianti che presentino ca- ratteristiche tecniche riconosciute idonee ai fini della concessione, rilasciata ai sensi del r.d.l. 2 novembre 1933, n. 1741, convertito dalla l. 8 febbraio 1934, n. 367, e successive modificazioni. 3. Le ditte ammesse a partecipare al programma triennale possono avviare alla esteri- ficazione oli vegetali senza alcun vincolo riguardo l’origine dei semi oleosi di provenienza.»; Art. 4 (criteri di assegnazione) 1. Nel caso in cui i quantitativi complessivamente richiesti dai soggetti di cui al 1o comma dell’articolo 3, trovino copertura nel limite annuo previsto, si procede alla loro in- tegrale assegnazione. 2. Nel caso in cui i quantitativi richiesti eccedono il limite di cui al 1o comma, l’as- segnazione è effettuata con le seguenti modalità: a) nella prima annualità di eccedenza, trasformando, per ciascun soggetto richie- dente, i quantitativi di biodiesel di cui all’articolo 3, 1o comma, lettera g), espressi in ton- nellate, nonché la capacità produttiva di cui all’articolo 3, 1o comma, lettera d), pure espressa in tonnellate, in percentuale sui valori totali e moltiplicandoli, rispettivamente, per 0,6 e 0,4. La somma dei valori ottenuti viene moltiplicata per un fattore pari al grado di utiliz- zo, nella annualità precedente e in quella in corso fino al 31 maggio, delle quote assegnate nelle due annualità. Per gli impianti di nuova installazione e per il primo anno di attività, i suddetti coefficienti sono pari, rispettivamente, a zero e a 0,1. Il valore ottenuto costituisce il peso con cui ogni richiedente partecipa all’assegna- zione del contingente. Nel caso in cui con il suddetto calcolo sia determinata un’assegna- zione superiore alla richiesta, il quantitativo eccedente la richiesta stessa verrà ripartito tra i restanti richiedenti, con il medesimo criterio; b) nelle annualità successive, assegnando, a ciascuna ditta richiedente, un quantita- tivo pari alla media mensile dei quantitativi immessi in consumo nell’annualità precedente e in quella in corso fino al 31 maggio, moltiplicata per il coefficiente 12. Le eventuali quote residue sono assegnate utilizzando i criteri di cui alla lettera a). Se sono presentate istanze di partecipazione da parte di ditte che non hanno avuto l’asse- gnazione per l’anno precedente, i quantitativi richiesti, eventualmente corretti applicando i criteri di cui alla lettera a), sono assegnati utilizzando, in via prioritaria, le predette quote residue e, se necessario, riducendo le assegnazioni in essere in misura proporzionale. L’assegnazione dei quantitativi è effettuata, per ciascuna delle annualità del pro- gramma triennale di cui all’articolo 1, 1o comma, entro il trentesimo giorno successivo al- la scadenza del termine di cui all’articolo 3, 1o comma. Non sono prese in considerazione le istanze presentate o inoltrate dopo il termine stabilito. Sono escluse dall’assegnazione le ditte che, seppure invitate dall’Amministrazione finanziaria, non hanno provveduto a regolarizzare eventuali istanze risultate incomplete o prive della prescritta documentazione. Il successivo art. 3 dispone: «1. a) Gli Stati membri dovrebbero provvedere affinché una percentuale minima di biocarburanti e di altri carburanti rinnovabili sia immessa sui loro mercati e a tal fine sta- biliscono obiettivi indicativi nazionali. b) i) Il valore di riferimento per questi obiettivi è pari al 2%, calcolato sulla base del tenore energetico, di tutta la benzina e del diesel per trasporti immessi sui loro mercati en- tro il 31 dicembre 2005. ii) Il valore di riferimento per questi obiettivi è pari al 5,75%, calcolato sulla base del tenore energetico, di tutta la benzina e del diesel per trasporti immessi sui loro mercati entro il 31 dicembre 2010. 2. I biocarburanti possono essere resi disponibili nelle forme seguenti: a) biocarburanti puri o diluiti con derivati dal petrolio in miscele ad elevato tenore, conformi a norme specifiche di qualità per l’utilizzo del trasporto; PARTE SECONDA 737 vo, in relazione al quantitativo in esenzione assegnato e la necessità di attri- buire, ai fini della determinazione della «somma dei valori» coefficienti di- versi ed inferiori alla impresa nella prima annualità), rappresentano tutti aspetti che concorrono a definire una situazione non solo di svantaggio per l’impresa che intendeva accedere al mercato del biodiesel, ma, in pratica, di sostanziale difesa delle posizioni storicamente definite, così di fatto rendendo difficile, e comunque non in condizioni di parità, l’accesso al detto mercato del biodiesel. Ma c’è di più: per le annualità successive veniva considerata (art. 4, 2o com- ma, lett. b), ai fini dell’assegnazione del quantitativo un valore corrispondente alla media mensile dei quantitativi immessi in consumo nell’annualità preceden- te e in quella in corso fino al 31 maggio, moltiplicata per il coefficiente 12. Lo scopo della previsione, secondo la posizione dell’Agenzia delle Do- gane era quello del «mantenimento per ciascun assegnatario della percentuale di contingente assegnato nell’anno precedente» e quindi «la sostanziale co- stanza nel tempo del beneficio fiscale fornito ai partecipanti dalle precedenti assegnazioni. In tal modo viene, infatti, garantita una quota di mercato». Tale posizione, però, non poteva essere considerata nel caso dell’impresa di nuovo ingresso (anche con capacità produttiva maggiore) poiché questa ve- niva posta nella necessità di dover scegliere tra il dover immettere sul merca- to quantità di prodotto a costi inferiori a quelli remunerativi (tenuto conto delle accise), onde conquistare – ai fini delle successive valutazioni – una maggior presenza di quantitativo di biodiesel immesso in consumo, ovvero di accettare un andamento decrescente della assegnazione di quantitativo di bio- diesel agevolato. In tal modo, quindi, l’impresa che riceveva un maggiore quantitativo agevolato avrebbe mantenuto sul mercato una posizione di vantaggio, tale da determinare una distorsione della concorrenza, come d’altronde, risulta in li- nea con lo spirito del regolamento n. 256 che era quello del «mantenimento per ciascun assegnatario della percentuale di contingente assegnato nell’anno precedente» e quindi di garantire «una quota di mercato», tale aspetto distor- sivo della concorrenza appare evidente, con conseguente illegittimità della previsione regolamentare. A ciò va aggiunta l’ulteriore considerazione, inficiante anch’essa la legit- timità della previsione regolamentare, che, così operando, si frappone in con- creto un ostacolo alla stessa crescita dell’impresa e alla sua capacità produtti- va di biodiesel, contrariamente alle finalità perseguite dal legislatore. La valutazione della «storia» dell’impresa, la considerazione del fatto che «il rischio di impresa assunto dai primi partecipanti al programma è su- periore a quello delle ditte successivamente subentrate» non devono essere

b) biocarburanti in miscela con derivati del petrolio, conformemente alle opportune norme europee che descrivono le specifiche tecniche per i carburanti da trasporto (EN 228 e EN 590); c) liquidi derivati dai biocarburanti, quale l’ETBE (etil-terziario-butil-etere), per i quali la percentuale da computarsi come biocarburante è precisata all’articolo 2, par. 2...» Inoltre, nel preambolo della Direttiva, si afferma (punto 19), che «nella risoluzione del 18 giugno 1998 il Parlamento europeo ha chiesto che la quota di mercato dei biocom- bustibili sia aumentata al 2% nell’arco di cinque anni prevedendo allo scopo un pacchetto di misure, tra cui esenzioni fiscali, assistenza finanziaria alle industrie di trasformazione e fissazione di una percentuale obbligatoria di biocarburanti per le società petrolifere. 738 DIRITTO E PRATICA TRIBUTARIA N. 4/2014 escluse dalle valutazioni dell’amministrazione ai fini dell’esercizio del proprio potere regolamentare.

21. – Il legittimo affidamento e la normativa delle accise nel diritto comunitario

È interessante segnalare come il principio dell’affidamento legittimo ven- ga interpretato dalla giurisprudenza comunitaria anche nel settore delle accise. Il legittimo affidamento, secondo un costante orientamento giurispruden- ziale, rappresenta un principio generale dell’ordinamento comunitario oltre che del diritto nazionale (150). È stato anche considerato tanto dai giudici italiani quanto da quelli co- munitari come un elemento essenziale dello stato di diritto e, contestualmen- te, un corollario di quello della certezza del diritto, nel cui ambito si rinviene il relativo fondamento (151). Quale principio generale dell’ordinamento comunitario, la protezione dell’affidamento legittimo riguarda non solo gli atti amministrativi ma anche quelli di carattere legislativo. Opera nei rapporti tra privati e le istituzioni comunitarie ma altresì tra gli Stati membri che aderiscono al sistema delle Comunità europea, nonché nei riguardi dell’Amministrazione nazionale che è chiamata a dare attuazione alla normativa di matrice comunitari. Il principio del legittimo affidamento non può, tuttavia, essere invocato da uno Stato membro per sfuggire alle conseguenze di una decisione della Corte che ha dichiarato l’invalidità di un atto comunitario Presupposto necessario per dar luogo ad un’aspettativa tutelabile è il contegno (143) tenuto dalle istituzioni comunitarie oppure da quelle nazionali capace di far nascere l’affidamento (144). Tale comportamento, può consistere tanto in un provvedimento quanto in un’inerzia ricollegabile alla mancata adozione di un atto sfavorevole al cit- tadino, ma non nell’atto di prassi amministrativa. In ogni caso, acquista rilievo il lasso di tempo trascorso tra il comporta- mento che ha generato l’affidamento e la successiva condotta che ha inciso su di questo.

(150) Comm. trib. reg. Lombardia, sez. dist. Brescia, 14 maggio 2010, n. 153/63/10: L’esenzione dall’imposta erariale di consumo sull’energia elettrica prevista dall’art. 52, 2o comma, lett. o-bis), d.lgs. n. 504 del 1995, applicabile ratione temporis, riguarda ipotesi tassative e, pertanto, non applicabili in via analogica. L’esenzione dall’imposta erariale sul consumo di elettricità all’interno di un opificio industriale spetta, sotto il profilo soggettivo, qualora i consumi effettuati dal singolo con- tribuente superino i limiti previsti per legge dall’52, 2o comma, lett. o-bis), d.lgs. n. 504 del 1995, applicabile ratione temporis, a nulla rilevando che nel medesimo stabilimento operino più contribuenti e possano, pertanto, cumularsi i consumi dagli stessi effettuati al fine di raggiungere il limite di esenzione previsto per legge. In tema di tutela del legittimo affidamento e della buona fede del contribuente, ai sensi dell’art. 10, l. n. 212 del 2000, non sono dovute le sanzioni e gli interessi moratori per le violazioni relative al mancato riconoscimento dell’esenzione dall’imposta erariale sui consumi di energia elettrica qualora il contribuente, a seguito di un’ispezione, sia pure di carattere tecnico, conclusasi con esito positivo e senza alcuna contestazione, avesse rite- nuto corretto il proprio comportamento fiscale. (151) Cass., sez. trib., 12 settembre 2012, n. 15224. PARTE SECONDA 739

Riguardo agli atti posti in essere dalle istituzioni, per poter vantare un legittimo affidamento si deve trattare di un atto produttivo di effetti giuridici e suscettibile di impugnazione. È stata pertanto esclusa la rilevanza delle risoluzioni del Parlamento eu- ropeo (152). In ordine alle direttive, che vincolano lo Stato membro all’adozione del- la normativa interna, la tutela dell’affidamento è stata ritenuta possibile allor- quando la direttiva sia stata già recepita dallo Stato ovvero quando siano sca- duti i termini per la sua attuazione. Inoltre, per poter beneficiare dell’affidamento è necessario che il destina- tario dell’atto abbia agito con lealtà e prudenza (153). Si esclude, pertanto, la tutela non solo della parte che abbia provocato l’atto mediante indicazioni false o incomplete ma altresì di chi non abbia agi- to in maniera prudente. Il legittimo affidamento non può, inoltre, essere invocato da un soggetto che si sia resa colpevole di una violazione manifesta della normativa vigente. La sua tutela non assume, peraltro, carattere assoluto, dovendosi contem- perare tale esigenza con gli altri interessi eventualmente confliggenti. In questo senso, va rimarcato che il perseguimento delle finalità dei trat- tati, specie negli ambiti in cui le Istituzioni godono di una certa discrezionali- tà, esclude in genere la fondatezza dell’affidamento; si pensi ad esempio al settore degli aiuti di Stato, con riguardo alle misure relative al mercato comu- ne nell’ambito dello sviluppo delle energie rinnovabili e dei biocarburanti. Infatti, in linea di massima, non si può ravvisare la contrarietà rispetto al diritto comunitario in una norma che prevede in capo allo Stato membro il diritto di sospendere agevolazioni fiscali per la produzione e la commercializ- zazione di biocarburanti, previste nell’ambito di progetto promozionale a li- vello europeo. È importante segnalare che la scelta discrezionale non si traduce in atti completamente liberi, viziati nel nascere da illogica manifesta. Infatti, in capo alle istituzioni comunitarie, secondo l’art. 253 (ex 190) del Trattato CE, v’è l’obbligo di motivazione per gli atti emessi. Dunque, in ambito comunitario con particolare riferimento alle tematiche fiscali e a quelle legate alla identificazione degli aiuti di stato, il principio del legittimo affidamento rappresenta un importante strumento di orientamento ed interpretazione ermeneutiche attraverso cui analizzare i contegni degli stati membri e, al contempo, quello dei destinatari delle norme agevolative.

22. – Accise prodotti energetici, elettricità e sanzioni

Lo studio delle accise in materia di prodotti petroliferi ed energia elettri- ca richiede la trattazione del sistema sanzionatorio amministrativo e penale. Per quanto riguarda il primo si espone la seguente ricostruzione. In primo luogo, è opportuno evidenziare che il fondamento dei meccani-

(152) CGCE, 5 giugno 1973, causa C-81/72, Commissione CE/Consiglio CE; CGCE, 30 giugno 1992, causa C-47/91, Repubblica italiana/Commissione CE; CGCE, 11 luglio 1985, cause C-87/77, C-130/77, C-22/83, C-9/84 e C-10/84, Vittorio Salerno e a./Commis- sione CE e Consiglio CE. (153) Cons. Stato, sez. V, 20 aprile 2011. 740 DIRITTO E PRATICA TRIBUTARIA N. 4/2014 smi di applicazione di sanzioni in materia di accise è rappresentato dall’arti- colo 55 del TUA il quale prevede che l’accertamento e la liquidazione del- l’imposta in esame è fatto dall’ufficio dell’Amministrazione finanziaria com- petente per territorio, a condizione che non si verifichino condizioni di obiet- tiva incertezza sulle norme tributarie di riferimento (154). Tale impostazione non è compatibile con le disposizioni contenute dagli articoli 16 e 17 del d.lgs. n. 472 del 1997 imperniati sul principio dell’autoli- quidazione effettuata dal contribuente (155). Considerando questo punto di partenza si è sviluppato un interessante di- battito giurisprudenziale riguardo la compatibilità tra le sanzioni previste dal testo unico delle accise e quelle dal d.lgs. n. 471 del 1997. V’è un primo indirizzo per cui, l’indennità di mora articolo 3 TUA che ha natura integrativa e risarcitoria non è compatibile con l’articolo 13, 2o comma del d.lgs. n. 471 del 1997 che ha una sanzione meramente sanziona- toria (156). Inoltre, non può essere ricondotta nell’alveo della punizione afflittiva poiché assommerebbe all’ultima ipotesi sopra dettagliata (157); inoltre, rap- presenta una lex specialis rispetto a quanto previsto della disposizione di cui sopra. Invece, secondo un’altra corrente giurisprudenziale le due disposizioni normative in parola sono compatibili e possono essere applicate al medesimo tempo poiché assolvono da un lato ad una funzione afflittiva attraverso la sanzione e reintegrativa attraverso la corresponsione dell’indennità di mo- ra (158). In questa maniera, non si verifica, secondo la giurisprudenza ora al

(154) Comm. trib. reg. Bologna, sez. I, 15 marzo 2012, n. 33/01/2012; Comm. trib. reg. Firenze, 15 febbraio 2012, n. 15/31/12: La Corte elenca a titolo esemplificativo una nutrita serie di indici sintomatici di tale oggettiva incertezza e, fra gli altri: la difficoltà di determinazione del significato della formula dichiarativa individuata, il contrasto tra opi- nioni dottrinali, la formazione di orientamenti giurisprudenziali contrastanti, l’adozione di norme d’interpretazione autentica o meramente esplicative di norma implicita preesistente. (155) Comm. trib. prov. Ravenna, sez. I, 10 febbraio 2009, n. 28/01/2009. (156) Comm. trib. reg. Emilia Romagna, 5 giugno 2012, n. 31: La normativa specia- le di imposta (con riferimento alle accise il d.lgs. n. 504 del 1995) regola espressamente il corrispettivo per il vantaggio che il contribuente trae dall’aver trattenuto la somma indebi- tamente rimborsatagli, determinando anche la misura del tasso di interesse di riferimento: in ogni caso gli interessi spettano indipendentemente dalla buona o malafede del debitore d’imposta, anche in considerazione del fatto che all’Amministrazione finanziaria, per il re- cupero di quanto dovutole, la legge attribuisce il potere di emettere e notificare avvisi di pagamento, di contestazione, di sanzioni o di liquidazione, che non hanno natura di do- manda giudiziale. (157) Comm. trib. reg. Napoli, sez. XXXIX, 16 marzo 2011, n. 84/39/11. (158) Comm. trib. prov. Milano, sez. XXXI, 22 gennaio 2010, n. 63/31/10: L’utilizzo da parte di un soggetto esercente un impianto di autoproduzione di energia elettrica, di gasolio a regime non agevolato non dispensa detto soggetto dal pagamento dell’imposta di fabbricazione, non realizzandosi nei fatti una doppia imposizione, essendo le due imposte (accisa sul gasolio e accisa sull’energia elettrica) differenziate nei presupposti. Le sanzioni amministrative devono essere imputate al soggetto che ha commesso la violazione, in caso si persona giuridica, la responsabilità riguarda questa in via esclusiva senza la possibile estensione alla persona fisica che ha contribuito alla violazione medesima. Per tale impu- tabilità si deve riscontrare una violazione frutto di azioni e/o omissioni frutto di dolo o colpa. PARTE SECONDA 741 vaglio, un cumulo di sanzioni in ragione della diversità funzionale (159). Ma al riguardo c’è di più: infatti, in alcune pronunce (160), viene rileva- to che nell’ambito delle sanzioni amministrative tributarie, il d.lgs. 18 dicem- bre 1997, n. 471 detta una disciplina destinata a valere, in generale, per tutti i tributi, integrata dalle disposizioni normative speciali di imposta (con riferi- mento alle accise, il d.lgs. 26 ottobre 1995, n. 504). Da ciò discende che, nel caso di omesso pagamento dell’imposta di con- sumo sul gas trovano applicazione sia l’art. 13 del d.lgs. n. 471 cit., che pre- vede il pagamento di una somma a titolo di sanzione amministrativa, sia l’art. 3, n. 4, del d.lgs. n. 504 cit., nel testo vigente ratione temporis, che prevede un’indennità di mora dovuta per il ritardato pagamento, trattandosi di norme pienamente compatibili, che non realizzano un cumulo di sanzioni, in ragione della loro diversità funzionale, afflittiva (con riferimento alla sanzione ammi- nistrativa) e reintegrativa del patrimonio leso (con riguardo all’indennità di mora). In quest’alveo si inserisce l’inclusione delle sanzioni comminate in con- seguenza di casi di «dimenticanza negligente» dell’adempimento delle obbli- gazioni tributarie in materia di accise (161). La sanzione amministrativa pre- vista per la violazione delle norme tributarie è la «sanzione pecuniaria, consi- stente nel pagamento di una somma di denaro» (art. 2, 1o comma); non sono previste altre sanzioni principali (162). Si inserisce all’interno di un complesso di norme che ne stabiliscono da un lato l’applicazione in presenza di alcune circostanze legate alla condotta dell’agente e alla tipologia di interesse leso dall’altro di previsioni che com- pletano la disciplina in materia di imposte sulle fabbricazione e consumo. In particolare, quest’ultimo gruppo rappresenta la disciplina sanzionato- ria descritta nel testo unico e dettagliata da atti di prassi. La sanzione pecuniaria, come emerge dalle disposizioni in materia di ac- cise, è stabilita in misura variabile tra un limite minimo ed un limite massi- mo, ma sono frequenti i casi di sanzione proporzionale al tributo cui si riferi- sce la violazione: nonostante la suddetta biforcazione il sistema sanzionatorio ha una struttura unitaria. Il precetto sanzionatorio si riferisce ad un agente a cui si può associare anche un altro soggetto. È questo il presupposto della responsabilità solidale del cessionario di azienda, prevista dall’articolo 14 del d.lgs. n. 471 del 1991, giustificato dalla mera necessità di istituire maggiori garanzie (163).

(159) Comm. trib. prov. Milano, sez. XXXI, 16 dicembre 2011, n. 93/31/12. (160) Cass., sez. trib., ord. 14 aprile 2011, n. 8553. (161) Comm. trib. prov. Milano, sez. XXXI, 11 febbraio 2010, n. 10/31/10. (162) Articolo 26: Il riferimento alla soprattassa e alla pena pecuniaria, nonché ad ogni altra sanzione amministrativa, ancorché diversamente denominata, contenuto nelle leggi vigenti, è sostituito con il riferimento alla sanzione pecuniaria, di uguale importo. I riferimenti contenuti nelle singole leggi di imposta a disposizioni abrogate si intendono ef- fettuati agli istituti e alle previsioni corrispondenti risultanti dal presente decreto. Salvo di- versa espressa previsione, i procedimenti di irrogazione delle sanzioni disciplinati nel pre- sente decreto si applicano all’irrogazione di tutte le sanzioni tributarie non penali. (163) Cass., sez. VI, ord. 14 aprile 2011, n. 8553: In tema di sanzioni amministrative tributarie, il d.lgs. 18 dicembre 1997, n. 471 detta una disciplina destinata a valere, in ge- nerale, per tutti i tributi, integrata dalle disposizioni normative speciali di imposta (con ri- ferimento alle accise, il d.lgs. 26 ottobre 1995, n. 504), con la conseguenza che, nel caso 742 DIRITTO E PRATICA TRIBUTARIA N. 4/2014

Bisogna però specificare che la obbligazione solidale del cessionario non ha natura sanzionatoria, rispondendo esclusivamente ad esigenze di garanzia patrimoniale. La responsabilità del cessionario ha invece natura parafideiussoria: egli è vincolato solidalmente con il cedente, ma in via sussidiaria e limitata. In linea di principio l’art. 14, 1o comma, prevede che in caso di cessione di un’azienda, o di un ramo di azienda, il cessionario è responsabile in solido con il cedente per il pagamento dell’imposta e delle sanzioni riferibili alle violazioni commesse nell’anno in cui è avvenuto il trasferimento e nei due precedenti, nonché per quelle già irrogate e contestate nel medesimo periodo, anche se riferite a violazioni commesse in epoca anteriore. Al riguardo si aggiunge che non rileva la natura della cessione nel senso che tale negozio giuridico può essere effettuato a titolo oneroso o gratuito. L’analisi delle sanzioni amministrative si estende anche al concorso for- male e dell’illecito continuato si occupa l’art. 12, recependo istituti, meccani- smi e soluzioni di tipo penalistico (ex art. 81 c.p.), con taluni peculiari adat- tamenti, non sempre compatibili con la delega. Il primo comma attiene al concorso formale, accomunando opportuna- mente le fattispecie di concorso formale eterogeneo ed omogeneo: «è punito con la sanzione che dovrebbe infliggersi per la violazione più grave aumenta- ta da un quarto al doppio chi, con una sola azione od omissione, viola diver- se disposizioni anche relative a tributi diversi, ovvero commette anche con più azioni od omissioni, diverse violazioni formali della medesima disposizio- ne». La norma in parola, include nello stesso cumulo giuridico anche il con- corso materiale, sia pure limitandolo alle diverse violazioni formali della me- desima disposizione. Invece, maggiore interesse riveste l’illecito continuato di cui si occupa il secondo comma: sempre alla sanzione che dovrebbe infliggersi per la viola- zione più grave aumentata sino al doppio «...soggiace chi, anche in tempi di- versi, commette più violazioni che, nella loro progressione, pregiudicano o tendono a pregiudicare la determinazione del tributo ovvero la liquidazione anche periodica del tributo». In altre parole, si applica lo schema delle violazioni in progressione per il quale quando vi sono più violazioni della stessa indole vengono commesse in periodi di imposta diversi, si applica la sanzione base aumentata sino al triplo. Tramite il requisito della stessa indole delle violazioni «traducibile nel carattere fondamentale comune delle singole violazioni a causa della natura dei fatti che le costituiscono si è raggiunto l’obiettivo di unificare tutti i pos- sibili vincoli che legano, nell’arco di più periodi le singole violazioni tra loro, configurando in ultima analisi una fattispecie normativa capace di compren- dere, al suo interno, non solo le ipotesi contemplate al 1o comma, ma anche

di omesso pagamento dell’imposta di consumo sul gas trovano applicazione sia l’art. 13 del d.lgs. n. 471 cit., che prevede il pagamento di una somma a titolo di sanzione ammini- strativa, sia l’art. 3, n. 4, del d.lgs. n. 504 cit., nel testo vigente «ratione temporis», che prevede un’indennità di mora dovuta per il ritardato pagamento, trattandosi di norme pie- namente compatibili, che non realizzano un cumulo di sanzioni, in ragione della loro di- versità funzionale, afflittiva (con riferimento alla sanzione amministrativa) e reintegrativa del patrimonio leso (con riguardo all’indennità di mora). PARTE SECONDA 743 quelle che avevano creato tanti dubbi, e difficoltà interpretative (progressioni realizzate “a cavallo” di più periodi)». Il tentativo di circoscrivere in via interpretativa la continuazione alle vio- lazioni progressive, intese in senso restrittivo, era palesemente resistito dalla lettera e dalla ratio dell’art. 12, nonché dai principi e criteri direttivi della de- lega. Dopo la descrizione delle modalità attraverso le quali si manifestano le sanzioni e le condotte che le determinano è interessante descrivere l’applica- zione generalizzata del ravvedimento operoso. Tale istituto, per completezza, ha la natura giuridica di attenuante. Infatti, dell’illecito oggetto di ravvedimento non si può tener conto ai fi- ni della recidiva (così come di quello definito in via agevolata o in dipenden- za di accertamento con adesione – art. 7, 3o comma), ma soltanto ai fini della personalità del trasgressore. Il ravvedimento è inammissibile ove la violazione sia stata già constata- ta, o comunque siano iniziati accessi, ispezioni, verifiche o altre attività am- ministrative di accertamento delle quali il trasgressore (o i soggetti solidal- mente obbligati) abbia avuto formale conoscenza. Tali limitazioni, che si giustificano agevolmente nella logica premiale del ravvedimento, mirano altresì a preservare l’efficacia dissuasiva dei con- trolli, ad evitare cioè che il trasgressore persista nella sua posizione di illega- lità, con la riserva mentale di rimuovere gli effetti di tale comportamento solo una volta scoperto. La complessiva formulazione del ravvedimento (164) testimonia la sua natura di istituto di generalizzata applicazione per tutti i tributi e per tutti i ti- pi di violazioni, formali o sostanziali, commesse dal «contribuente», dal sosti- tuto o comunque da qualsivoglia soggetto tenuto all’osservanza di obblighi tributari. A seguito del ravvedimento la sanzione è ridotta: a) ad un ottavo del mi- nimo, nei casi di mancato pagamento del tributo o di un acconto, se esso vie- ne eseguito nel termine di trenta giorni dalla data della sua commissione; b) ad un quinto del minimo, se la regolarizzazione degli errori e delle omissioni, anche se incidenti sulla determinazione o sul pagamento del tributo, avviene entro il termine per la presentazione della dichiarazione relativa all’anno nel corso del quale è stata commessa la violazione ovvero, quando non è prevista dichiarazione periodica, entro un anno dall’omissione o dall’errore; c)adun ottavo del minimo, se l’omessa presentazione della dichiarazione viene rego- larizzata entro novanta giorni, o nel caso di dichiarazione periodica iva entro trenta giorni. La norma in parola fa riferimento alla sanzione contemplata per la speci- fica violazione oggetto di ravvedimento, singolarmente presa e considerata

(164) Cass., ord. 4 agosto 2010, n. 18140: In tema di violazioni amministrative tribu- tarie, l’art. 13 del d.lgs. n. 471 del 1997 ha una portata generale, applicandosi come espressamente indicato nel secondo comma, ad «ogni ipotesi di mancato pagamento di un tributo o di una frazione nel termine previsto». Pertanto tale sanzione è applicabile anche nell’ipotesi di mancato o tardivo versa- mento delle accise mentre deve escludersi che possa determinarsi un’ipotesi di cumulo di sanzioni ove sia stata richiesta anche l’indennità di mora e gli interessi in concorso con la sanzione, ai sensi dell’art. 3, 4o comma del d.lgs. n. 504 del 1995, trattandosi di imposizio- ni di pagamento assolutamente fungibili rispetto alle pretese sanzionatorie perché giustifi- cate da natura e funzione esclusivamente e rispettivamente risarcitoria e reintegrativa. 744 DIRITTO E PRATICA TRIBUTARIA N. 4/2014 nel minimo edittale, non potendo trovare applicazione alcuna né la recidiva, né il regime del cumulo giuridico per fattispecie di concorso o di continua- zione. Nel sistema dell’illecito amministrativo tributario si rinvengono il proce- dimento sanzionatorio di contestazione - irrogazione, il procedimento di irro- gazione immediata con atto complesso contenente l’accertamento del tributo ed il provvedimento di irrogazione, nonché il procedimento di irrogazione immediata con diretta iscrizione a ruolo. Il procedimento sanzionatorio principale, caratterizzato dal contradditto- rio, è certamente quello disciplinato dall’art. 16. In ordine ai soggetti attivi cui è attribuito il potere sanzionatorio viene chiarito che «la sanzione amministrativa e le sanzioni accessorie sono irrogate dall’ufficio o dall’ente competenti all’accertamento del tributo cui le violazio- ni si riferiscono» (art. 16, 1o comma); Dopo la panoramica finora realizzata è opportuno concentrare l’attenzio- ne sulle sanzioni comminate contestualmente all’atto di accertamento (165) che in questo caso rappresenta un atto complesso. Notevole interesse riveste il potere dell’ufficio di scegliere discrezional- mente tra procedimento di irrogazione immediata e procedimento di contesta- zione irrogazione. Infine vale la pena analizzare l’istituto della definizione agevolata rego- lata tanto dall’art. 16, 3o comma quanto dall’art. 17, 2o comma. Si applica, inoltre, a tutti i tipi di violazione. Nel termine per la proposizione del ricorso avverso l’atto di contestazio- ne, i trasgressori ed i coobbligati possono definire la controversia con il paga- mento di un quarto della sanzione indicata, e comunque non inferiore ad un quarto dei minimi edittali previsti per le violazioni più gravi relative a cia- scun tributo. È pacifico che in caso di pluralità di violazioni con indicazione di auto- nome sanzioni la definizione agevolata possa riguardare anche una soltanto delle contestazioni. ***

La disciplina delle accise comprende anche delle sanzioni di natura pe- nale. In quest’ottica, vengono prese in considerazione i seguenti delitti: la sot- trazione e l’accertamento al pagamento d’accisa, l’alterazione di congegni,

(165) Si riporta l’articolo 17: In deroga alle previsioni dell’articolo 16, le sanzioni collegate al tributo cui si riferiscono possono essere irrogate, senza previa contestazione e con l’osservanza, in quanto compatibili, delle disposizioni che regolano il procedimento di accertamento del tributo medesimo, con atto contestuale all’avviso di accertamento o di rettifica, motivato a pena di nullità. È ammessa definizione agevolata con il pagamento del quarto della sanzione irrogata, entro sessanta giorni dalla notificazione del provvedimento. Sono irrogate mediante iscrizione a ruolo, senza previa contestazione, le sanzioni per omesso o ritardato pagamento dei tributi, ancorché risultante da liquidazioni eseguite ai sensi degli articoli 36-bis e 36-ter del d.p.r. 29 settembre 1973, n. 600, concernente dispo- sizioni comuni in materia di accertamento delle imposte sui redditi, e ai sensi degli articoli 54-bis e 60, 6o comma, del d.p.r. 26 ottobre 1972, n. 633, recante istituzione e disciplina dell’imposta sul valore aggiunto. Non si applica la definizione agevolata prevista nel 2o comma. PARTE SECONDA 745 impronte e contrassegni, le deficienze ed eccedenze nella circolazione dei prodotti soggetti ad accisa, irregolarità nella circolazione. In particolare, la fattispecie della sottrazione all’accertamento e al paga- mento d’accisa, ai sensi dell’art. 40, 1o comma, il quale prevede che venga punito con la reclusione da sei mesi a tre anni e con la multa dal doppio al decuplo dell’imposta evasa, non inferiore in ogni caso a euro 7.746,85 le se- guenti condotte da chiunque realizzate: la fabbricazione o raffinazione clande- stine oli minerali; sottrazione con qualsiasi mezzo degli oli minerali, compre- so il gas metano, all’accertamento o al pagamento dell’accisa; la destinazione ad usi soggetti ad imposta od a maggiore imposta prodotti esenti o ammessi ad aliquote agevolate; le miscelazione non autorizzate dalle quali si ottengono prodotti soggetti ad una accisa superiore a quella assolta sui singoli compo- nenti; la rigenerazione di prodotti denaturati per renderne più facile ed elusi- vo l’impiego in usi soggetti a maggiore imposta; la detenzione di oli minerali denaturati in condizioni diverse da quelle prescritte per l’ammissione al tratta- mento agevolato; la detenzione o utilizzazione di prodotti ottenuti da fabbri- cazioni clandestine o da miscelazioni non autorizzate. La suddetta norma al 4o,5o e6o comma si dispone che la pena è della reclusione da uno a cinque anni, oltre la multa, nel caso in cui le condotte fraudolente hanno ad oggetto una quantità di oli minerali superiore a 2.000 kg; se la quantità di gas metano sottratto all’accertamento o al pagamento dell’accisa è inferiore a 5.000 metri cubi la pena è della sola multa dal dop- pio al decuplo dell’imposta evasa, non inferiore in ogni caso a euro 516; mentre nel caso della fattispecie di distrazione di prodotti esenti o ammessi ad aliquota agevolata ad usi tassati o maggiormente tassati, se la quantità de- gli oli minerali è inferiore a 100 chilogrammi si applica esclusivamente la sanzione amministrativa del pagamento di una somma di denaro dal doppio al decuplo dell’imposta evasa. Partendo dall’analisi delle diverse previsioni sopra riportate emerge il progetto di riunire in un’unica fattispecie tutte le condotte illecite aventi ad oggetto gli oli minerali, già contenuti in numerosi testi di legge. Parimenti, è evidente che le predette condotte sono accomunate dal fine di sottrarre il prodotto al pagamento o all’accertamento dell’accisa. Il legislatore al fine di coordinare e razionalizzare tutto questo complesso di norme ha ricondotto nell’alveo applicativo dell’art. 40 tutti i prodotti petro- liferi ai quali l’attuale sistema ricollega l’applicazione del regime delle accise. Sotto un profilo soggettivo, i reati previsti nell’articolo 40 T.U.A. devo- no essere intesi come reati comuni visto che non è necessaria una particolare qualifica personale ai fini dell’illiceità della condotta; d’altronde, il termine «chiunque» è indicativo di siffatta scelta legislativa. Si ritiene, inoltre, che l’Amministrazione finanziaria possa pretendere il pagamento del tributo da parte del colpevole anche se questo sia diverso dal soggetto passivo del tributo. Infatti, si evince che la sanzione penale pecuniaria della multa è rappor- tata all’imposta evasa, parametro di calcolo della risposta punitiva (166).

(166) Comm. trib. prov. Milano, sez. XXXI, 11 febbraio 2010, n. 23/31/10: L’art. 26 T.U.A., nel suo 13o comma, stabilisce i criteri di calcolo per il pagamento dell’accisa, cer- cando di conciliare due opposte esigenze: quella di restringere i tempi di maturazione del debito tributario collegato al consumo rispetto alla fase della riscossione da parte dell’era- rio, e quella di semplificare la modalità di versamento sulla base di una presunzione di 746 DIRITTO E PRATICA TRIBUTARIA N. 4/2014

Poi, per quanto riguarda la fabbricazione e la raffinazione clandestina di oli minerali soggetti all’accisa è rilevante ricostruire il concetto di clandestini- tà, in quanto quest’ultimo costituisce il presupposto legittimante la rilevanza penale della condotta. Si verifica la clandestinità nel momento in cui la fabbricazione e la raf- finazione sono posti in essere in impianti non regolarmente denunciati. Invece, se il prodotto sottratto all’accertamento dell’accisa è stato ottenu- to in impianti regolarmente denunciati, la condotta deve essere riportata nel- l’ambito applicativo della norma di cui all’art. 40, 1o comma, lett. b, inerente la sottrazione con qualsiasi mezzo all’accertamento o al pagamento dell’acci- sa, con evidenti conseguenze sul piano sanzionatorio. Per il reato di fabbricazione o raffinazione clandestina, infatti, la multa, ai sensi del 2o comma, è commisurata oltre che ai prodotti complessivamente ultimati, anche a quelli che si sarebbero potuti ottenere dalle materie prime in corso o in attesa di lavorazione, o comunque esistenti nella fabbrica o nei lo- cali in cui è commessa la violazione. L’utilizzo di due distinti termini (fabbricazione e raffinazione) è sinto- matica della volontà del legislatore di riportare nella sfera di applicabilità del- lo strumento penale ogni condotta legata al mancato pagamento dell’accisa nell’atto della produzione (momento generativo, congiuntamente all’importa- zione dell’obbligazione tributaria ai sensi dell’art. 2). Nel caso in cui la fabbricazione di prodotti sottoposte ad accise avvenga in tempi diversi da quelli dichiarati nella comunicazione di lavoro, quando prevista, non si realizza il reato di cui alla lett. a dell’art. 40, ma si configura il tentativo di sottrarre il prodotto all’accertamento. La seconda fattispecie illecita punisce chiunque sottrae con qualsiasi mezzo gli oli minerali all’accertamento o al pagamento dell’accisa. La generica formulazione utilizzata dal legislatore potrebbe far pensare ad un reato a forma libera, realizzabile con qualunque genere di attività che si riveli idonea a produrre l’evento dell’evasione; infatti, potrebbe sembrare sufficiente ad assicurare una risposta penale per tutti quei comportamenti ille- citi, nel campo degli oli minerali, ritenuti degni di rilevanza, in quanto la ter- minologia utilizzata («sottrae con qualsiasi mezzo») sarebbe idonea a ricom- prendere una molteplicità di condotte fraudolente indirizzate teleologicamente verso l’evasione dell’accisa. In questa maniera, vengono previste condotte sovrapponibili al fine di assicurare l’applicazione della fattispecie penale in presenza di un qualsiasi comportamento che postuli l’evasione del tributo e, per l’effetto, la sottrazio- ne del prodotto al pagamento o all’accertamento dell’accisa. La norma dispone la rilevanza penale anche della mera sottrazione alla fase dell’accertamento, situazione prodromica al pagamento dell’imposta, al fine di sussumere nell’area penale le violazioni commesse negli impianti in regime sospensivo ed evitando un’irrazionale vuoto di tutela rispetto ad un momento caratterizzato da un elevato rischio di frode. L’attuale T.U.A. ricomprende nelle accise anche le previgenti sovraim- poste di confine le quali non erano altro che imposte di fabbricazione riscosse

consumi mensili riferendoli a quelli dell’anno precedente. Consente poi all’ufficio di defini- re criteri diversi onde evitare distorsioni a questo meccanismo di calcolo. Si evidenzia co- me l’esercizio di tale potere debba essere sempre finalizzato ad obiettivi di trasparenza, ef- ficienza ed economicità a tutela degli interessi singoli e della collettività. PARTE SECONDA 747 al momento dell’importazione; l’art. 40, di conseguenza, viene applicato a tutti i casi di sottrazione del prodotto all’accisa, sia che il tributo sia riscosso all’atto dell’importazione sia quando viene immesso in consumo il prodotto nazionale o nazionalizzato. Alla luce di questo si può tranquillamente sostenere che si può configu- rare un concorso dei reati di cui all’art. 40 e degli artt. 292 ss. del d.p.r. 23 gennaio 1973, n. 43 (reati di contrabbando) quando, oltre all’accisa, vengono riscossi dazi di natura doganale. La distinzione tra il regime punitivo degli oli minerali ed il regime doga- nale, applicabile parallelamente al primo in riferimento ai tributi doganali, era già stata sottolineata dalla giurisprudenza nella vigenza del vecchio sistema sanzionatorio. Alla lett. c) dell’art. 40 viene sanzionata penalmente la distrazione di prodotti ammessi ad aliquote agevolate verso usi maggiormente tassati o di prodotti esenti verso usi tassati. In pratica, la condotta illecita si verifica nel momento in cui sussiste una discrasia tra l’utilizzo reale del prodotto e l’utilizzo per il quale era stata con- cessa l’esenzione o l’agevolazione. Tale norma, attraverso una formulazione di «esenzione» del tutto generi- ca, pone rimedio ai problemi di cui è afflitta la previgente normativa conte- nuta nell’art. 23-bis del r.d.l. n. 334 del 1939, poiché in tal caso si limitava l’operatività della disposizione penalistica ai soli casi in cui l’esenzione fosse prevista dalle tabelle allegate al decreto stesso; da questo conseguiva un’evi- dente disparità di trattamento poiché per la distrazione di prodotti il cui regi- me di agevolazione non era contenuto nelle tabelle di cui sopra erano previste semplici sanzioni amministrative. È importante evidenziare che per denaturazione, si intende il procedi- mento attraverso il quale vengono attribuiti ai prodotti petroliferi destinati ad usi esenti, caratteristiche organolettiche particolari o colori particolari, per im- pedirne l’impiego in usi tassati o renderne evidente la caratteristica di prodot- to esente. Nello specifico, la multa è commisurata oltre che ai prodotti in corso di rigenerazione o complessivamente rigenerati, compresi quelli comunque esita- ti, anche a quelli denaturati rinvenuti sul luogo in cui è commessa la viola- zione. In merito all’ultima condotta sopra descritta sembra che sia richiesto il dolo specifico per il relativo compimento. In effetti, si considera la rigenerazione solo laddove essa sia finalizzata a rendere più facile ed elusivo l’impiego in usi soggetti a maggior imposta. La lett. d) sanziona la miscelazione non autorizzata dalla quale si ottiene un prodotto soggetto ad una accisa superiore a quella assolta sui singoli com- ponenti; la condotta assume rilevanza penale nel momento in cui la miscela- zione avviene in difetto delle necessarie autorizzazioni, visto che il legislatore ha mirato a punire procedimenti privi del consenso istituzionale. Invece, non ha rilevanza penale la miscelazione abusiva al termine della quale si sono tenuti prodotti per cui non è dovuto alcun supplemento d’impo- sta. In merito a tale fattispecie il 2o comma dell’art. 40 dispone che la multa è commisurata oltre che ai prodotti complessivamente ultimati, anche a quelli che si sarebbero potuti ottenere dalle materie prime in corso o in attesa di la- vorazione, o comunque esistenti nella fabbrica o nei locali in cui è commessa la violazione. 748 DIRITTO E PRATICA TRIBUTARIA N. 4/2014

Le ultime due fattispecie contemplate dall’art. 40 riguardano la detenzio- ne di prodotti denaturati in condizioni diverse da quelle prescritte per l’am- missione al trattamento agevolato e la detenzione o l’utilizzo di prodotti otte- nuti da fabbricazioni clandestine o da miscelazioni non autorizzate. L’attuale regolamentazione della detenzione dei prodotti denaturati (167) è stato oggetto di una profonda modifica in conseguenza della quale la re- sponsabilità fiscale della conservazione e dell’utilizzo dei prodotti agevolati, oltre che dell’impiego e della custodia dei denaturanti, è totalmente a carico del detentore dei prodotti medesimi, in quanto l’Amministrazione finanziaria interviene solo durante l’operazione di colorazione o di marcatura. La norma di cui alla lett. g) rappresenta una tipica norma residuale e di chiusura, che punisce comunque anche chi, pur non partecipando alla fabbri- cazione/miscelazione irregolare, si trova nella materiale disponibilità di tale prodotto «irregolare»; si deve aggiungere a quanto espresso che assume rile- vanza penale anche la mera detenzione di prodotti ottenuti da miscelazioni non autorizzate. D’altronde, il 3o comma dell’articolo in esame, dispone che il tentativo è punito con la stessa pena prevista per il reato consumato (168). Per quanto riguarda il comparto delle imposte dirette e dell’imposta sul valore aggiunto, invece, il legislatore, attraverso il d.lgs. n. 74 del 2000, ha posto come perno del sistema l’evento del danno effettivo da evasione; in questa maniera, si è voluto recuperare allo strumento penale la sua funzione di extrema ratio. Secondo la giurisprudenza (169) l’assoggettamento al tributo evaso si

(167) Cass., sez. trib., 12 gennaio 2012, n. 255. (168) Comm. trib. reg. Lombardia, sez. XXXI, 29 aprile 2010, n. 111/31/10: si con- figura il tentativo quando l’azione, anche se meramente preparatoria sia contraddistinta dalla idoneità e dalla inequivocità della sua direzione e manifesti attitudine a causare l’evento contemplato dalla norma repressiva, rilevando la consapevole volontà dell’agente di realizzarlo. In particolare, idoneità richiesta per la configurabilità del reato tentato, de- ve essere valutata con giudizio a ante, tenendo conto delle circostanze in cui opera l’agen- te e delle modalità dell’azione, in modo da determinarne la reale adeguatezza causale e l’attitudine a crearne una situazione di pericolo attuale e concreto di lesione del bene pro- tetto dalla norma incriminatrice mentre gli atti sono univoci – o meglio diretti in modo non equivoco – allorquando considerati in sé per il contesto nel quale si inseriscono per la loro natura ed essenza rivelino – secondo le norme di esperienza e secondo l’id plerumque accidit l’intenzione e il fine dell’agente. (169) Cass., sez. III, 11 settembre 2013, n. 37256: il sequestro dei beni della società non può avvenire al di fuori dei reati previsti dall’art. 24 l. n. 231 del 2011. Il concetto è stato espresso, più volte, anche da questa S.C. (sez. III, 14 giugno 12, Amoddio, RV. 253062) attraverso la chiara affermazione che il sequestro preventivo, fun- zionale alla confisca per equivalente, previsto dall’art. 19, 2o comma d.lgs. 8 giugno 2001, n. 231, «non può essere disposto sui beni immobili appartenenti alla persona giuridica ove si proceda per le violazioni finanziarie commesse dal legale rappresentante della società, atteso che gli artt. 24 e ss. del citato d.lgs. non prevedono i reati fiscali tra le fattispecie in grado di giustificare l’adozione del provvedimento, con esclusione dell’ipotesi in cui la struttura aziendale costituisca un apparato fittizio utilizzato dal reo per commettere gli il- leciti». Anche più di recente, poi, questa stessa sezione (sez. in, 19 settembre 2012, Unicre- dit, RV 254796) ha fatto, pescosi dire, il punto della situazione a proposito del dibattuto tema della applicabilità della confisca per equivalente su beni appartenenti a persona giu- ridica, ove si proceda per violazioni finanziarie commesse dal legale rappresentante della PARTE SECONDA 749 applica al reo quanto a coloro i quali hanno concorso nella formazione del- l’iter criminis. In materia di evasione di accise sugli oli minerali deve ritenersi assog- gettato al tributo, oltre che alle sanzioni penali, non solo il produttore, ma chiunque sottragga, o concorra a sottrarre i prodotti petroliferi all’accertamen- to ed al pagamento dell’imposta (170). Da ciò deriva che l’Amministrazione finanziaria può intimare il paga- mento del tributo a qualunque autore della frode fiscale, quale soggetto passi- vo del rapporto tributario, senza che occorra il previo accertamento della re- sponsabilità penale.

23. – Alterazione di congegni, impronte e contrassegni

L’art. 46 punisce con la reclusione da uno a cinque anni chiunque, al fi- ne di sottrarre prodotto all’accertamento contraffà, altera, rimuove, guasta o rende inservibili misuratori, sigilli, bolli, punzoni, marchi di verificazione od altri congegni, impronte o contrassegni prescritti dall’Amministrazione finan- ziaria o apposti dalla polizia tributaria. Parimenti, la medesima norma sanziona chi fa uso di sigilli, bolli, pun- zoni, marchi di verificazione o altre impronte o contrassegni prescritti dal- l’Amministrazione finanziaria (171) o apposti dalla polizia tributaria contraf- fatti od alterati, ovvero senza autorizzazione.

società e, nella sua disamina, il Tribunale ha ribadito che, in effetti, anche nelle pronunzie di questa Corte si dà atto che nessuna fonte legislativa primaria contempla la eventualità di una tale responsabilità della persona giuridica da consentire una aggressione al suo pa- trimonio per illeciti tributari commessi dal suo amministratore (a differenza di quanto av- viene per il reato dì cui all’art. 10 l. n. 146 del 2006), e ciò, ancorché si tratti di reati po- sti in essere nell’interesse ed a vantaggio della società stessa. Peraltro, proprio basandosi sulla recente pronunzia prima citata (RV. 254795), si è posto l’accento sulla possibilità di operare del distinguo. Di conseguenza, se si è al cospet- to di persone giuridiche di dimensioni non modeste, il comportamento delle persone fisi- che, seppure illecito, non può incidere in maniera significativa ed è, allora, possibile teo- rizzare, allo stato, l’esistenza di una sorta di vera e propria «impunità fiscale» della socie- tà rispetto ala persona fisica che ne fa parte e vi opera per suo conto. (170) Comm. trib. prov. Milano, sez. XXXI, 26 febbraio 2010, n. 111/31/10: Il ten- tativo di evasione deve essere provato dimostrando la realizzazione di atti o fatti diretti in modo non equivoco alla realizzazione dell’evento, anche se l’azione non si compie o non si realizza. Non è mai realizzabile il tentativo di evasione pei casi d’indicazione di un maggior importo del tributo dovuto e dell’indicazione di un credito in mancanza di utilizzazione o di richiesta di rimborso degli stessi nei termini di legge. (171) Cass., sez. V, n. 19321 del 22 settembre 2011: In tema di imposta erariale di consumo sull’energia elettrica, regolata dal d.lgs. 26 ottobre 1995, n. 504, la mancata ot- temperanza alle prescrizioni di cui agli artt. 53 e 55, 8o comma – riguardanti, rispettiva- mente, la preventiva denuncia di officina elettrica e l’applicazione degli speciali congegni di sicurezza o di apparecchi atti ad impedire l’impiego di energia elettrica a scopo diverso da quello dichiarato – non produce effetti preclusivi del diritto alle esenzioni o alle agevo- lazioni, dallo stesso t.u. previste, atteso che l’adempimento dei precisati oneri non costitui- sce «condicio sine qua non» per il sorgere del diritto, che può comunque essere utilmente esercitato ove si dia la dimostrazione con gli altri mezzi istruttori predisposti dalla legge – diversi dagli accorgimenti tecnici previsti dal citato testo unico – delle quantità di energia impiegata, rispettivamente, per usi soggetti ad imposta e per usi esenti. 750 DIRITTO E PRATICA TRIBUTARIA N. 4/2014

Il 2o comma dell’art. 46 prevede anche la punibilità, con la pena della reclusione da uno a sei mesi, della semplice detenzione, senza autorizzazione, di congegni, sigilli, bolli o punzoni identici a quelli usati dall’Amministrazio- ne finanziaria o dalla Guardia di finanza, anche se contraffatti; se lo stesso fatto è realizzato da un fabbricante la pena prevista è della reclusione da un mese ad un anno. Inoltre, si prevede la sanzione amministrativa del pagamento di una somma di denaro da euro 258 a euro 1.549 per il fabbricante che, senza esse- re concorso nei reati precedentemente analizzati, ne abbia agevolato la com- missione omettendo di adottare le opportune cautele nella custodia dei misu- ratori e degli altri congegni ivi indicati. Qualora dalla condotta emerga un’effettiva evasione d’imposta, viene fatta salva l’applicabilità delle sanzioni penali previste dall’art. 40. La suddetta disposizione attribuisce medesima rilevanza penale all’effra- zione o alterazione di sigilli o congegni sia che questi siano prescritti dal- l’Amministrazione finanziaria, sia che siano prescritti dalla polizia finanziaria. È interessante rilevare come dalla disamina dell’art. 46 si possa evincere la fattispecie di delitto in esame è tipica del reato di pericolo; ciò poiché è possibile l’integrazione della figura illecita a prescindere dal fatto che dalla commissione della condotta descritta consegua o meno un’effettiva evasione d’imposta. In quest’ottica, l’ordinamento, così come delineato dall’articolo in esa- me, procede ad attribuire rilevanza penale alla contraffazione o all’alterazione in sé, a nulla rilevando che da tali tipologie comportamentali possa derivare nel concreto un’indebita sottrazione al pagamento delle accise. È, inoltre, necessario sottolineare che il normopoieta, ha cercato di ope- rare un bilanciamento di interessi tra l’esigenza di inasprire le pene edittali, alla luce del fatto che la responsabilità delle partite di merci in sospensione è oggi attribuita interamente e direttamente all’operatore economico, nei cui impianti l’Amministrazione finanziaria esegue controlli saltuari durante e do- po la fase di accertamento fiscale, e l’esigenza di evitare che interventi acci- dentali potessero assumere rilevanza penale. A tal proposito, per le fattispecie di cui alle lett. a)eb) del n. 1 è richiesto sul piano soggettivo il dolo specifico, e, quindi, si richiede che la volontà del- l’agente sia diretta al fine ulteriore di sottrarre il prodotto all’accertamento. L’operatività della fattispecie in esame è possibile solo ove, a seguito della rottura od effrazione di suggelli o di altri congegni simili, si acquisisca- no sufficienti elementi probatori in riferimento allo specifico intento fraudo- lento del soggetto. Ma è opportuno sottolineare che l’introduzione del dolo specifico non determina una trasformazione del reato in esame in una fattispecie di danno da evasione, poiché ai fini del perfezionamento di tale figura illecita, non è richiesto tale tipo di evento. Pertanto, si può affermare che il bene giuridico tutelato dalla norma non è individuabile nell’interesse patrimoniale dell’erario, ma è un bene strumen- tale rappresentato dalla fiducia dello Stato nei confronti dell’operatore com- merciale quale responsabile assoluto dell’obbligazione tributaria fin dalla sua genesi all’interno degli impianti di produzione o fabbricazione. Per tale motivo, la norma in parola è posta a tutela delle procedure uti- lizzate dagli organi statali di controllo per cautelare partite di prodotto da as- soggettare ad ispezione o per garantire una funzionalità limitata di serbatoi ed impianti in certi orari o a certe condizioni per esigenze di tutela fiscale. PARTE SECONDA 751

24. – Irregolarità nella circolazione

L’art. 49 contiene la disciplina sanzionatoria in tema di circolazione, ri- portando diverse condotte analizzate dalla giurisprudenza. La predetta norma prevede che si presumono di illecita provenienza i prodotti sottoposti ad accisa, anche se destinati ad usi esenti od agevolati e pertanto, indipendentemente dalla posizione fiscale assunta (in sospensione d’imposta, liberi dal tributo, agevolati, esenti...), trasportati senza la specifica documentazione prevista in relazione a detta imposta, ovvero con documento falso od alterato o che non consente di individuare i soggetti interessati al- l’operazione di trasporto, la merce o la quantità effettivamente trasportata. Parimenti, la circolazione di prodotti sottoposti ad accisa è possibile solo a condizione che venga effettuata sotto la scorta di un documento ammini- strativo elettronico così come precedentemente descritto (172). In tali ipotesi, si applicano al trasportatore ed allo speditore le pene previ- ste per la sottrazione del prodotto all’accertamento o al pagamento dell’imposta. Perciò, la mancata emissione o l’impiego del documento accompagnato- rio prescritto secondo modalità diverse da quelle previste nel 1o comma del- l’articolo in commento, attribuisce al prodotto trasferito provenienza illecita, facendo sorgere la presunzione di sottrazione all’accertamento o al pagamento del tributo e rende applicabili le relative sanzioni previste dai precedenti artt. 40 e 43. Alla suddetta regola di carattere generale vi sono delle eccezioni come l’origine legittima dimostrata dal trasportatore oppure l’avvenuto pagamento dell’accisa. In quest’ottica, le differenze quantitative e qualitative, superiori ai limiti indicati al 3o comma, integrano la fattispecie che ora si analizza. Secondo l’art. 49, 3o comma non si può applicare né la sanzione penale né quella amministrativa qualora i prodotti trasportati differiscano quantitati- vamente rispetto ai dati risultanti dai relativi documenti di accompagnamento in misura inferiore all’uno per cento, se in più, o al 2 per cento oltre il calo ammesso dalle norme doganali vigenti, se in meno. I soggetti destinatari del precetto penale sono individuabili nello spedito- re ed in colui che effettua il trasporto. Inoltre, è bene sottolineare che avendo previsto genericamente come do- cumentazione rilevante ai fini dell’applicazione delle violazioni in materia di accise quella prescritta in relazione a detta imposta, viene superata la forma- listica impostazione delle previgente normativa, la cui reazione penalistica era agganciata al tipo di modulo accompagnatorio utilizzato. In conclusione, il trasporto eseguito in difformità alle prescrizioni indica- te dalla norma in esame, è causa di una presunzione di legge, in ragione della quale il prodotto trasportato irregolarmente si considera di contrabbando ov- vero sottratto all’accertamento o al pagamento del tributo. L’ipotesi di reato viene meno nel momento in cui viene fornita la prova contraria e, quindi, viene dimostrata la liceità della provenienza dei prodotti ed il regolare assolvimento del tributo. Di interesse particolare, è la disposizione del 6o comma dell’articolo in esame, la quale prevede che le penalità contemplate dal T.U.A. sostituiscono

(172) Art. 21 della Direttiva n. 2008/118/CE del Consiglio del 16 dicembre 2008 re- lativa al regime generale delle accise e che abroga la Direttiva n. 1992/12/CEE. 752 DIRITTO E PRATICA TRIBUTARIA N. 4/2014 quelle concernenti la circolazione di prodotti scortati da bolla di accompagna- mento, prevista dall’art. 1, 1o comma d.p.r. 6 ottobre 1978, n. 627, qualora sia stata stabilita l’utilizzazione di quest’ultima quale documento di accompa- gnamento specifico dei prodotti soggetti ad accisa; in tal modo, si è attribuito alla norma in esame un carattere di specialità rispetto a quelle del citato de- creto. L’analisi finora realizzata lambisce, sine dubio, la problematica trasver- sale del rapporto tra giudicato penale (173) i mezzi di prova ivi acquisiti e il processo tributario. In tale materia è opportuno evidenziare che, nonostante alcune posi- zioni contrarie (174) vige il principio della separazione (175) tra il giudizio

(173) In materia di sanzioni penali in materia di accise si ricordi l’articolo 40 del d.l- gs. n. 504 del 1995 il quale disciplina la sottrazione all’accertamento o al pagamento del- l’accisa sugli oli minerali. In dottrina N. Monfreda, La riforma del diritto penale tributario, Halley Professioni- sti, 2006, 63: La seconda fattispecie [sottrazione al pagamento dell’accisa] illecita punisce chiunque sottrae con qualsiasi mezzo gli oli minerali all’accertamento o al pagamento del- l’accisa. La generica formulazione utilizzata dal legislatore potrebbe far pensare ad un reato a forma libera, realizzabile con qualunque genere di attività che si riveli idonea a produr- re l’evento dell’evasione; infatti potrebbe sembrare sufficiente ad assicurare una risposta penale per tutti quei comportamenti illeciti, nel campo degli oli minerali, ritenuti degni di rilevanza, in quanto la terminologia utilizzata («sottrae con qualsiasi mezzo») sarebbe ido- nea a ricomprendere una molteplicità di condotte fraudolente indirizzate teleologicamente verso l’evasione dell’accisa. In realtà il legislatore ha previsto volutamente condotte sovrapponibili al fine di as- sicurare l’applicazione della fattispecie penale in presenza di un qualsiasi comportamento che postuli l’evasione del tributo e, quindi, la sottrazione del prodotto al pagamento o al- l’accertamento dell’accisa. In giurisprudenza si ricorda Cass., sez. I, 27 gennaio 1997, n. 792 secondo cui: In te- ma di fraudolenta evasione dell’imposta di fabbricazione sugli oli minerali e loro derivati, deve ritenersi assoggettato al tributo, oltre che alle sanzioni penali, non solo il fabbricante o il produttore, ma chiunque sottragga o concorra a sottrarre i prodotti petroliferi all’ac- certamento ed al pagamento dell’imposta. Ne consegue che l’amministrazione può intimare il pagamento del tributo a qualun- que autore della frode fiscale (e non solo al produttore o all’importatore di oli minerali) quale soggetto passivo del rapporto tributario, senza che occorra il previo accertamento della responsabilità penale, e che l’eventuale opposizione contro l’ingiunzione fiscale va proposta, da questo, nel termine perentorio di quindici giorni fissato dall’art. 18 del r.d.l. 28 febbraio 1939, n. 334. (174) V. Consolo, Nuovo processo penale, procedimento tributario e rapporti tra giudicati,inGiur. it., 1990, IV, 313; S. Celletti, Rapporto tra processo penale alla luce del d.lgs. n. 74/2000,inRiv. Guardia fin., 2000, 2112; A. Vignoli, Efficacia del giudicato pe- nale nel processo tributario: art. 654 del codice di procedura penale e condizioni per la sua applicazione,inRass. trib., 2000, 266; I. Schettino, Gli effetti della sentenza penale nel processo tributario, in R. Lupi (a cura di), Fiscalità d’impresa e reati tributari, Milano, 2000, 206. Quest’orientamento viene ripreso anche dalla circ. 4 agosto 2000, n. 154/E del Ministero delle finanze – Dir. Centr. Affari giur. (in Boll. trib., 2000, 1237). (175) A. Palasciano Giudicato penale e processo tributario: doppio binario o con- vergenze parallele,inFisco, 2010, 1, 3460): La Corte di Cassazione ha, recentemente, af- fermato che: «Nessuna autorità di cosa giudicata può attribuirsi nel separato giudizio tri- butario alla sentenza penale irrevocabile, di condanna o di assoluzione, emessa in materia di reati tributari, ancorché i fatti accertati in sede penale siano gli stessi per i quali l’Am- ministrazione finanziaria ha promosso l’accertamento nei confronti del contribuente».ed PARTE SECONDA 753 penale (176) ed quello tributario (177), anche nel caso in cui le controver- sie da cui scaturiscono vertano sulle medesime vicende (178). Infatti, la causa ostativa all’efficacia della decisione penale (179) nel processo tributario non è rappresentata dalla l’incompatibilità con l’art. 7, 4o comma, del d.lgs. n. 546 del 31 dicembre 1992, che vieta l’assunzione della prova per testimoni, tramite l’affermazione nel processo tributario di un di- verso giudicato fondato su prove testimoniali, ma, come rilevato dalla giuri- sprudenza (180) dalla considerazione che due riti sono tra loro ontologica- mente distinti (181).

ancora: ... il giudice tributario non può limitarsi a rilevare l’esistenza di una sentenza de- finitiva in materia di reati tributari, estendendone automaticamente gli effetti con riguardo all’azione accertatrice del singolo ufficio tributario, ma, nell’esercizio dei propri autonomi poteri di valutazione della condotta delle parti e del materiale probatorio acquisito agli at- ti (art. 116 c.p.c.), deve, in ogni caso, vetrificarne la rilevanza nell’ambito specifico in cui esso è destinato ad operare... (176) M. Nardelli, Le interferenze tra l’accertamento penale e quello tributario,inGT - Riv. giur. trib., 2012, 285 il quale nel commentare Cass., sez. III pen., 14 febbraio 2012, n. 5640 ha affermato: spetta esclusivamente al giudice penale il compito di procedere all’accer- tamento e alla determinazione dell’imposta evasa attraverso una verifica che può sovrappor- si o porsi in contraddizione con quella eventualmente effettuata avanti al giudice tributario. (177) Comm. trib. reg. Toscana, sez. VIII, 22 febbraio 2013, n. 15: Una sentenza pe- nale, che riguardi un soggetto parte del giudizio tributario, depositata oltre il termine pe- rentorio previsto dall’art. 32, d.lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, per il deposito di documen- ti, non può essere equiparata tecnicamente ai documenti probatori la cui produzione è sog- getta a termini perentori di deposito allo scopo di garantire il diritto alla difesa ed al con- traddittorio. D’altra parte, la produzione di una sentenza già pubblicata e ben conosciuta dal contribuente non può pregiudicare né il suo diritto alla difesa né al contraddittorio. Detta sentenza, pur non avendo efficacia di giudicato nel processo tributario può esse- re valutata dal giudice tributario (in particolare la sentenza emessa ex art. 444 c.p.p.) quale importante elemento probatorio a carico del contribuente nel giudizio diretto all’accertamen- to della fondatezza della pretesa tributaria (S.C. sentenza 3 dicembre 2010, n. 24587). (178) Cass., sez. trib., n. 11785 del 2010: nessuna automatica autorità di cosa giudica- ta può quindi attribuirsi, nel separato giudizio tributario, alla sentenza penale irrevocabile, di condanna o di assoluzione, ancorché i fatti accertati in sede penale siano gli stessi per i qua- li l’Amministrazione finanziaria ha promosso l’accertamento nei confronti del contribuente. (179) Giova rammentare che l’art. 654 del codice di procedura penale prevede l’effi- cacia del giudicato penale in altri giudizi e procedimenti purché i fatti accertati siano stati ritenuti rilevanti ai fini della decisione penale e purché la legge civile non ponga limitazio- ni alla prova della posizione soggettiva controversa. (180) Cass., sez. trib., 21 dicembre 2009, n. 26840: La rilevanza nel processo tribu- tario (e nel processo civile in genere) del giudicato esterno costituisce espressione delle esigenze di «certezza» proprie del giudicato e quindi del superiore principio del «ne bis in idem», e sarebbe contrario ai criteri di logicità ed economia dei giudizi imporre al giudice di non tener conto di un giudicato purché sia stato prodotto in giudizio. Neppure il riferimento al principio dell’autonomia dei periodi d’imposta può consen- tire un’ulteriore disamina tra le medesime parti della qualificazione giuridica del rapporto stesso contenuta in una decisione della commissione tributaria passata in giudicato. (181) M. Di Biasi, Penale e tributario. Aule diverse, processi diversi,inFisco Oggi, 29 novembre 2007: In tema di contenzioso tributario, infatti, «il provvedimento emesso in sede penale non può impedire al giudice tributario di compiere una valutazione dei fatti conformi alle tesi dell’Amministrazione finanziaria» (Cass. n. 21041 del 2007), in quanto attualmente nel nostro sistema processuale vige, per effetto dell’entrata in vigore dell’arti- colo 654 del Codice di procedura penale, il principio dell’autonomia del giudizio tributa- rio rispetto a quello penale. 754 DIRITTO E PRATICA TRIBUTARIA N. 4/2014

Ciò nonostante, come rilevato in giurisprudenza (182) la decisione as- sunta in sede penale, seguendo le regole di acquisizione delle prove tipiche di tale rito, può assumere rilevanza in quello tributario non in via diretta ed im- mediata ma affinché sia acquisita al processo e sia poi oggetto di autonoma valutazione da parte del giudice tributario secondo le regole di distribuzione dell’onere della prova nel giudizio tributario (183). Secondo tale orientamento si determina la possibilità che l’organo giudi- cante possa fondare correttamente il proprio convincimento sulle prove acqui- site nel giudizio penale, come anche dichiarazioni di terzi (184), definito con una pronuncia non avente efficacia di giudicato opponibile in sede giurisdi- zionale diversa da quella penale (185). Più precisamente, non viene precluso al giudice tributario di considerare il contenuto di una sentenza penale quale fatto degno di partecipare alla for- mazione del suo libero convincimento (186). Alla luce di quanto riportato le dichiarazioni di terzi rese o collegate al un processo penale possono essere trasposte in quello tributario anche se de- sunte da intercettazioni telefoniche (187) rimanendo sempre dotate di un va- lore meramente indiziario e liberamente valutabili dal giudice.

avv. ALESSIO ELIA

(182) Cass. sez. trib., 20 marzo 2013, n. 6918 non può revocarsi in dubbio che, nel processo tributario, il giudice possa legittimamente fondare il proprio convincimento anche sulle prove acquisite nel processo penale purché tali prove vengano dal giudice tributario sottoposte ad una propria autonoma valutazione. (183) F. Amatucci, Criteri di valutazione ed utilizzo della prova nel processo tributa- rio,inGiust. trib., n. 1 del 2007 secondo cui: ...Ne consegue che il giudice tributario non può negare in linea di principio che l’accertamento contenuto in una sentenza di proscioglimen- to, pronunciata ai sensi dell’art. 425 c.p.p., possa costituire fonte di prova presuntiva, omet- tendo di compiere una sua autonoma valutazione degli elementi acquisiti in sede penale. Il giudice tributario deve, in ogni caso, verificare la rilevanza della sentenza penale nell’ambito specifico in cui esso è destinato ad operare. (184) Cass., sez. trib., 6 novembre 2002, n. 15538. (185) Cass., 2 dicembre 2002, n. 17037. (186) Si rileva, inoltre, che il d.lgs. 18 dicembre 1997, n. 472, con cui è stato rifor- mato il sistema sanzionatorio tributario non penale, ha introdotto modifiche di grande rilie- vo anche per il processo tributario. La nuova attenzione all’atteggiamento psicologico dell’autore della violazione (capa- cità d’intendere e di volere, dolo, colpa, imputabilità, eccetera) introduce nel processo fatti che possono, per lo più, essere dimostrati solo con prove testimoniali. (187) Cass. sez. trib., 7 febbraio 2013, n. 2915 secondo cui: Si è al riguardo preci- sato che la regola propria del diritto tributario, applicabile in materia di iva, è quella de- sumibile dal d.p.r. 29 settembre 1972, n. 633, art. 63, a norma del quale la guardia di fi- nanza, cooperando con l’ufficio, trasmette «documenti, dati e notizie acquisiti direttamente o riferiti ed ottenuti dalle altre Forze di polizia, nell’esercizio dei poteri di polizia giudi- ziaria», «previa autorizzazione dell’autorità giudiziaria». E l’autorizzazione, si è aggiunto, è posta a tutela della riservatezza delle indagini penali, non già dei soggetti coinvolti nel procedimento medesimo o di terzi, non essendo prevista per filtrare l’acquisizione di ele- menti significativi a fini fiscali, ma soltanto per realizzare una maggiore tutela degli inte- ressi protetti dal segreto (Cass., 5 febbraio 2007, n. 2450). Nella medesima direzione del predetto orientamento si cita Cass., sez. trib., 23 febbraio 2010, n. 43206 secondo cui: [il divieto indicato nell’articolo 270 c.p.p.] di utilizzare i risul- tati di intercettazioni telefoniche in procedimenti diversi da quello in cui furono disposte non PARTE SECONDA 755

opera nel contenzioso tributario, ma soltanto in ambito penale non potendo arbitrariamente estendere l’efficacia di una norma processuale penale, posta a garanzia dei diritti di difesa in quella sede, a domini processuali diversi, come quello tributario, muniti di regole proprie. In dottrina si segnala S. Armella - F. Di Luciano, L’utilizzo delle intercettazioni nel processo tributario e il delicato equilibrio con il diritto di difesa e il principio del giusto processo,inGT - Riv. giur. trib., 2013, 385, secondo cui: La tutela del contribuente non può prescinder dalla parità delle posizioni processuali che, in sede penale, è garantita dal contraddittorio dibattimentale, tramite il quale viene formata la prova, in un’ottica di dia- lettica processuale. Da ciò consegue che anche il materiale raccolto in sede di indagini è autonomamente vagliato dal giudice penale in sede dibattimentale, al fine di valutarne l’attendibilità ed an- cora nel processo tributario di contro tale possibilità è, per definizione, esclusa posto che nel rispetto della sua connotazione tipicamente documentale vige il divieto di assumere prove te- stimoniali con la conseguente ed invitabile limitazione del diritto di difesa del contribuente. Le dichiarazioni introdotte nel processo tributario mediante verbalizzazione restano pertanto cristallizzate senza che sul contenuto delle intercettazioni telefoniche ed ambienta- li sia possibile instaurare una libera valutazione da parte del giudice che, per essere tale deve necessariamente svolgersi nel rispetto della parità processuale delle parti. Ciò posto, un atto legittimamente assunto in sede penale – va rimarcato, sul punto, che il ricorrente non dubita di tale legittimità – e trasmesso all’amministrazione tributaria giusta il richiamato art. 63, entra a far parte a pieno titolo del materiale probatorio e in- diziario che il giudice tributario di merito deve valutare. Non si frappongono, d’altronde, ostacoli generali all’applicazione di questa regola particolare del diritto tributario. DIRITTO E PRATICA TRIBUTARIA INTERNAZIONALE

Si avverte che è on line (www.dpti.it) il fascicolo 2014 n. 2 con il seguente indice:

PREMIO ANTONIO UCKMAR 2016 ...... Pag. 302 ASSEGNAZIONE PREMIO ANTONIO UCKMAR 2014 ...... » 305

Dottrina CERIONI L., Accertamento reddito metrico, residenza fiscale e scambio automatico di informazioni (*) ...... Pag. 327 LA VALVA C., La tutela del contribuente nelle procedure di mutua assistenza amministrativa alla luce del sistema multili- vello di protezione dei diritti fondamentali (*) ...... » 361 MALVEZZI M.I., Síntesis de los marcos normativos, propuestos por la Comisión técnica, para la reforma del sistema tributario Español ...... » 401 VILCA POZO M., Análisis del régimen tributario del trust en el Derecho italiano: imposición indirecta y directa y residencia fi- scal del trust ...... » 463

Documenti , State aid: Commission investigates transfer pricing arrangements on corporate taxation of Apple (Ireland) Starbucks (Netherlands) and Fiat Finance and Trade (Luxembourg) ...... Pag. 503

Rubriche BILLARDI C., Rassegna di fiscalità sudamericana ...... Pag. 509 Argentina ...... » 509 Brasile ...... » 515 Columbia ...... » 525 Paraguay ...... » 530 Perù ...... » 536 Venezuela ...... » 545 C.i.a.t...... » 549 CORASANITI G., Convenzioni internazionali ...... » 551 MANDELLI D., Internet ...... Pag. 559 ROCCATAGLIATA F., VALENTE M.G., Fiscalità comunitaria . » 565 SUCCIO R., U.S. International taxation ...... » 531 Rassegna della Corte di Giustizia (a cura di G. Galizia) ...... Pag. 617 Sentenza del 27 marzo 2014, causa C-151/13, La rayon d’Or SARL vs. Ministre de l’Économie et des Finances ...... » 617 Sentenza del 20 marzo 2014, causa C-139/12, Caixa d’Estalvis i Pensiones de Barcelona vs. Generalidad de Cataluña ...... » 618 Sentenza del 13 marzo 2014, causa C-375/12, Margaretha Boua- nich vs. Directeur des services fiscaux de la Drôme ...... » 618 Sentenza del 13 marzo 2014, causa C-366/12, Finanzamt Dort- mund West vs. Klinikum Dortmund gGmbH ...... » 619 Sentenza del 13 marzo 2014, causa C-464/12, ATP PensionServi- ce vs. Skatteministeriet ...... » 620 Sentenza del 13 marzo 2014, causa C-107/13, FIRIN OOD vs. Amministrazione bulgara ...... » 621 Sentenza del 13 marzo 2014, causa C-204/13, Finanzamt vs. Heinz Malburg ...... » 621 Sentenza del 6 marzo 2014, causa C-606/12 e C-607/12, Dres- ser-Rand SA vs. Agenzia delle Entrate ...... » 622 Sentenza del 27 febbraio 2014, causa C-454/12 e C-455/12, Pro Med Logistik GmbH e Eckard Pongratz vs. Amministrazione fi- nanziaria tedesca ...... » 622 Sentenza del 27 febbraio 2014, causa C-110/13, HATEFO GmbH vs. Finanzamt Haldensleben ...... » 624 Sentenza del 13 febbraio 2014 causa C-18/13, Maks Pen EOOD vs. Amministrazione bulgara ...... » 625 Sentenza del 13 febbraio 2014, causa C-69/13, Mediaset SpA vs. Ministero dello Sviluppo economico ...... » 625 Sentenza del 6 febbraio 2014 causa C-323/12, E On Global Commodities SE vs. Amministrazione rumena ...... » 626 Sentenza del 23 gennaio 2014, causa C-164/12 DMC Beteiligun- gsgesellschaft mbH vs. Finanzamt HamburgMitte ...... » 627 Sentenza del 23 gennaio 2014, causa C-296/12 Commissione vs. regno del Belgio ...... » 628 Sentenza del 16 gennaio 2014, causa C-300/12 Finanzamt Düs- seldorf-Mitte vs. Ibero Tours GmbH ...... » 628 Commento alle sentenze della Corte di Giustizia in rassegna ANTÓN ANTÓN A., La declaración de ilegalidad del Impuesto Español sobre la Ventas Minoristas de Determinados Hidrocar- buros ...... Pag. 631 ESPOSITO DE FALCO O., L’applicazione in materia sanziona- toria tributaria del principio del ne bis in idem nella Carta Eu- ropea dei diritti fondamentali e nella CEDU (*) ...... » 649 PROCOPIO M., L’individuazione del Paese al quale spetta il gettito dell’imposta sulle assicurazioni tra principio della capa- cità contributiva e quello della territorialità (*) ...... » 671 ABACHE CARVAJAL S., BURGOS-IRAZÁBAL R., Seguridad jurídica, cosa juzgada y debito proceso sobre la involución ju- risprudencial de la tributación del régimen prestacional de vi- vienda y hábitat en Venezuela ...... » 689

(*) Contributi sottoposti a revisione anonima da parte di professori ordinari e fuori ruolo italiani e stranieri e valutati positivamente da due componenti del Comitato di revisione della Rivista. NORME PER GLI AUTORI

1) I lavori per eventuali pubblicazioni nella rivista Diritto e Pratica Tributa- ria e Diritto e pratica tributaria internazionale (www.dpti.it) devono esse- re inviati per posta elettronica (rispettivamente a [email protected] e [email protected]). 2) I lavori non debbono superare le 30 pagine (10.500 battute circa) per gli articoli di dottrina e le 15 (5.250 battute circa) per le note a sentenza. 3) I lavori debbono essere preceduti da una pagina nella quale siano riporta- ti il titolo del lavoro, il nome dell’autore, la qualifica (accademica o pro- fessionale), l’indirizzo completo per la corrispondenza, nonché l’autoriz- zazione all’eventuale pubblicazione. 4) I riferimenti bibliografici devono contenere il cognome dell’autore in let- tere maiuscole, la prima lettera del nome (in maiuscolo), il titolo del- l’opera citata (in carattere italico), i dati per il reperimento (casa editrice, città anno di pubblicazione). 5) I lavori devono essere preceduti da un breve sommario (massimo dieci righe) nella lingua originale ed inglese. 6) Devono essere indicate le parole chiave nel massimo di cinque. 7) La numerazione del Sommario deve essere in carattere arabico. 8) Le frasi che si ritengono rilevanti vanno in carattere corsivo. Non devono essere usati il neretto e le sottolineature. 9) I lavori che non si uniformano alle regole di cui sopra saranno restituiti agli autori perché provvedano alla revisione. 10) La decisione per la pubblicazione è rimessa al Comitato di direzione.

IL DIRITTO TRIBUTARIO

COORDINATO DA ANTONIO e VICTOR UCKMAR dell’Università di Genova SERIE PRIMA (Monografie): 1) CALIENDO LEOPOLDO — Giurisdizione ordinaria e giurisdizione contabile nelle controversie relative alla riscossione dei tributi (esaurito). 2) DE SIMONE ROMUALDO — L’imposta sui celibi. 1930. 3) MOFFA GIUSEPPE — Il procedimento esecutivo per la riscossione delleentrate patrimoniali degli enti pubblici (esaurito). 4) UCKMAR ANTONIO — Scritti vari di diritto tributario. 1931. 5) SPINELLI GIUSEPPE — Le preleggi penali finanziarie: Commento alla legge 7 gennaio 1929, n. 4 (esaurito). 6) COLARUSSO ALFONSO — I tributi locali in Italia. Seconda edizione. 1937. 7) GIORGI GIUSEPPE — I reati doganali e la nuova legislazione penale (esaurito). 8-9) SPINELLI GIUSEPPE — Le imposte di consumo. 1938. 10) RAVAGLI GIOVANNI — Dell’accertamento del valore dei beni nei riguardi delle imposte di successione e di registro (esaurito). 11) COCIVERA BENEDETTO — Le quote inesigibili. 1941. 12) GRECO GIUSEPPE — Il procedimento contenzioso dinanzi alle giurisdizioni tributarie speciali (esaurito). 13) BERNARDINO ANSELMO — Le imposte comunali di consumo nella giurisprudenza più recente, con appendice legislativa e bibliogra- fia. 1948. 14) ROTONDI ASTER — Appunti sull’obbligazione tributaria. 1950. 15) LIGUORI RENATO — La riforma tributaria. In appendice il Decreto del Presidente della Repubblica 5 luglio 1951, n. 573, annotato. Ri- stampa. 1951. 16) PERINI MICHELE - LEATI GIUNIO — Trattato sulle imposte di consumo (esaurito). 17) POLI OSVALDO — Imposta sulle società. 1955. 18) UCKMAR VICTOR — La tassazione degli stranieri in Italia. 1955. 19) DI LORENZO MARIO — Il contrabbando e gli altri reati doganali (esaurito). 20) ROTONDI ASTER — Introduzione alla tecnica tributaria. 1957. 21) UCKMAR VICTOR — Principi comuni di diritto costituzionale tributario. Seconda edizione. 1999. 22) BENETTI BENITO — La tassazione dei redditi fondiario e agrario. 1965. 23) MAGNANI CORRADO — Il processo tributario. Contributo alla dottrina generale. 1965. 24) UCKMAR VICTOR — Il regime impositivo delle società. La società a ristretta base azionaria. 1966. 25) LA TASSAZIONE DELLE PLUSVALENZE PATRIMONIALI — Associazione Nazionale Tributaristi Italiani. Atti del IX Congresso Na- zionale. 1967. 26) APETTI DELLA RIFORMA TRIBUTARIA — Associazione Nazionale Tributaristi Italiani. Atti del X Congresso Nazionale. 1968. 27) MORETTI GIAN CARLO — La motivazione nell’accertamento tributario. 1969. 28) MURATORI ALDO — Riflessi della normativa comunitaria sull’ordinamento doganale italiano. 1969. 29) MARINI FRANCESCO — L’espropriazione forzata in base a ruolo. 1970. 30) GUIDI GUIDO — Il contributo di miglioria. 1970. 31) MONDINI FRANCESCO — La ingiunzione fiscale. 1970. 32) MANGIONE GIOVANNI — L’atto d’accertamento tributario nel diritto penale. 1970. 33) RIGHI EUGENIO — Le imposte comunali di consumo. 1970. 34) MARONGIU GIANNI — Il domicilio fiscale. (In corso di stampa). 35) GRANELLI ANTONIO — L’imposizione dei plusvalori immobiliari. 1981. 36) MURATORI ALDO — Riflessi della normativa comunitaira sull’ordinamento doganale italiano. Parte seconda. 1972. 37) DEGLI ABBATI CARLO — La tassazione del reddito delle società di capitali negli Stati membri della Comunità Economica Europea. 1973. 38) D’AMATI NICOLA — La progettazione giuridica del reddito. Volume 1: Le ipotesi della riforma tributaria. 1973. 39) — Volume II: I redditi fondiari. 1974. 40) — Volume III: I redditi mobiliari. 1975. 40 bis) — Nuovi profili delle imposte sui redditi. Appendice alla Progettazione giuridica del reddito. 1980. 41) MORETTI GIAN CARLO — Gli enti locali nel processo e nel procedimento tributario. 1976. 42) IL CONTENZIOSO TRIBUTARIO. Risultati e prospettive della riforma. Atti del Convegno di S. Remo (2-3 marzo 1974). 1975. 43) SISMONDINI FULVIO — La riscossione esattoriale. Gli uffici d’incasso e riscossione. 1977. 44) TOMASICCHIO TOMMASO — Manuale del contenzioso tributario, II ed. 1986. 45) LOVISOLO ANTONIO — Il sistema impositivo dei dividendi. 1980. 46) FLORA GIOVANNI — Profili penali in materia di imposte dirette ed IVA. 1979. 47) GLENDI CESARE — L’oggetto del processo tributario. 1984. 48) CICOGNANI ANTONIO — L’imposizione del reddito d’impresa. 1980. 49) MERCATALI ARTURO — L’accertamento delle imposte dirette. 1980. 50) TESAURO FRANCESCO — Profili sistematici del processo tributario. 1980. 51) LA STRUTTURA DELL’IMPRESA E L’IMPOSIZIONE FISCALE — Atti del Convegno di S. Remo (21-23 marzo 1980). 1981. 52) JARACH DINO — Il fatto imponibile. 1981. 53) FIORENZA SALVATORE — Dichiarazione e destinazione doganale. 1982. 54) MARINI FRANCESCO — La fusione delle società nei suoi aspetti tributari. 1982. 55) EVASIONE FISCALE E REPRESSIONE PENALE. (Atti del Convegno di Torino, 7-8 marzo 1981). 1982. 56) AUTONOMIA IMPOSITIVA DEGLI ENTI LOCALI. (Atti del Convegno di Taormina, 26-27 marzo 1982). 1983. 57) CONSOLO GIUSEPPE — Diritto valutario. 1983. 58) FILIPPI PIERA — Le cessioni di beni nell’imposta sul valore aggiunto. 1984. 59) MARESCA MAURIZIO — Le «tasse di effetto equivalente». 1984. 60) LA RIFORMA DELLA NORMATIVA VALUTARIA. (Atti della conferenza di Genova del 28-29 ottobre 1983). 1984. 61) D’AVIRRO ANTONIO - NANNUCCI UBALDO — I reati nella legislazione tributaria. 1984. 62) POLANO MARIO — Attività commerciali e impresa nel diritto tributario. 1984. 63) LOVISOLO ANTONIO — Gruppo d’imprese e imposizione tributaria. 1985. 64) MISCALI MARIO — Imposizione tributaria e territorio. 1985. 65) MAISTO GUGLIELMO — Il «transfer price» nel diritto tributario italiano e comparato. 1985. 66) MARINI FRANCESCO — Le sopravvenienze nel reddito d’impresa. 1984. 67) GENTILLI GIORGIO — Le presunzioni nel diritto tributario. 1984. 68) DASSANO FRANCESCO — Reati e illeciti amministrativi nella legge sui registratori di cassa. 1984. 69) NANNUCCI UBALDO — D’AVIRRO ANTONIO - I reati nella legge 17 febbraio 1985, n. 17. 1986. 70) LA NUOVA NORMATIVA VALUTARIA — Atti della seconda conferenza di Genova (8-9 novembre 1985). 1986. 71) MARONGIU GIANNI — Alle radici dell’ordinamento tributario italiano (1861-1876). 1988. 72) CONSOLO GIUSEPPE — Nuovo diritto valutario. 1988. 73) IL REDDITO DI IMPRESA NEL NUOVO TESTO UNICO. 1988. 74) GARBARINO CARLO — La tassazione del reddito transnazionale. 1990. 75) ESPERIENZE STRANIERE E PROSPETTIVE PER L’ORDINAMENTO TRIBUTARIO ITALIANO. 1989. 76) LOVISOLO ANTONIO — Disciplina tributaria e fattispecie penale (in corso di stampa). 77) SERAO G. - PICCOLI S. — La disciplina della frode fiscale. 1990. 78) IL CONTENZIOSO TRIBUTARIO: PROBLEMI E PROSPETTIVE DI RIFORMA. 1992. 79) FICHERA FRANCO — Le agevolazioni fiscali. 1992. 80) MURATORI ALDO — Commentario al testo unico doganale. 1993. 81) SERAO G. - PICCOLI S. — La disciplina della nuova frode fiscale (Art. 4 lett. f D.L. 16.3.1991 n. 83 convertito con modificazioni nella L. 15.5.1991 n. 154). Appendice di aggiornamento alla prima edizione. 1993. 82) MONTI ANGELA — Reddito civile e reddito fiscale. 1994. 83) VETRÒ SILVIA — L’errore nel diritto penale tributario. 1995. 84) LA SOCIETÀ COOPERATIVA. ASPETTI CIVILISTICI E TRIBUTARI. 1997. 85) PISTONE PASQUALE — Abuso del diritto ed elusione fiscale. 1996. 86) GIOVANNINI ALESSANDRO — Soggettività tributaria e fattispecie impositiva. 1996. 87) AMATUCCI FABRIZIO — Il principio di non discriminazione fiscale. 1998. 88) MARINO GIUSEPPE — La residenza nel diritto tributario. 1999. 89) L’EVOLUZIONE DELL’ORDINAMENTO TRIBUTARIO ITALIANO — Atti del Convegno «I settanta anni di Diritto e Pratica Tribu- taria» (Genova 2-3 luglio 1999). 2000. 90) PENNELLA NICOLA — L’oblazione amministrativa delle sanzioni tributarie non penali. 91) COMELLI ALBERTO — IVA comunitaria e IVA nazionale. Contributo alla teoria generale dell’imposta sul valore aggiunto. 2000. 92) MARONGIU GIANNI — Storia dei tributi degli enti locali (1861-2000). 2001. 93) COCO CATERINA — La delega bancaria nel sistema della riscossione e l’attuazione del credito tributario. 2001. 94) MARCHESELLI ALBERTO — Le attività illecite tra fisico e sanzione. 2001. 95) PALUMBO GIOVANNI — Plusvalenze finanziarie. 2002. 96) LA RIFORMA DEL DIRITTO COOPERATIVO — Atti del Convegno, Università di Genova, Facoltà di Giurisprudenza, (8 marzo 2002), a cura di FABIO GRAZIANO. 2002. 97) TUNDO FRANCESCO — Contributo allo studio dell’autonomia tributaria dei comuni. 2002. 98) CARINCI ANDREA — L’invalidità del contratto nelle imposte sui redditi. 2003. 99) D’AMATI NICOLA — La disciplina tributaria del lavoro dipendente. 2003. 100) PAULO DE MARROS CARVALHO — Diritto tributario. 2004. 101) LA DISCIPLINA CIVILISTICA E FISCALE DELLA «NUOVA» SOCIETÀ COOPERATIVA, a cura di V. Uckmar e F. Graziano. 2005. 102) LA MOBILITÀ TRANSNAZIONALE DEL LAVORATORE DIPENDENTE: PROFILI TRIBUTARI, a cura di E. Della Valle, L, Perrone, C. Sacchetto e V. Uckmar. 2006. 103) BRUZZONE MARIAGRAZIA — Notificazioni e comunicazioni degli atti tributari. 2006. 104) MENTI FABIO — L’imposizione degli utili da partecipazione societaria. 2007. 105) LA NORMATIVA TRIBUTARIA NELLA GIURISPRUDENZA DELLE CORTI E NELLA NUOVA LEGISLATURA. Atti del Convegno «Gli ottanta anni di Diritto Pratica Tributaria» (Genova 9-10 febbraio 2007). 2007. 106) CORASANITI GIUSEPPE — Profili tributari dei conferimenti in natura e degli apporti in società. 2008. 107) UCKMAR VICTOR - CORASANITI GIUSEPPE - DE’ CAPITANI DI VIMERCATE PAOLO — Diritto Tributario Internazionale. Manuale. 2009. 108) RANELLETTI ORESTE — Lezioni di diritto finanziario, a cura di N. D’Amati e C. Coco. 2009. 109) COMELLI ALBERTO - GLENDI CESARE — La riscossione dei crediti. 2010. 110) NUCERA VALERIA — Sentenze pregiudiziali della Corte di Giustizia e ordinamento tributario interno. 2010. 111) STIZZA PAOLO — La rilevanza delle perdite nel diritto tributario. 2011. 112) PENNELLA NICOLA — L’oblazione amministrativa delle sanzioni tributarie non penali. 2011. 113) LA CONCENTRAZIONE DELLA RISCOSSIONE NELL’ACCERTAMENTO, a cura di Victor Uckmar e Cesare Glendi. 2011. 114) MENTI FABIO — La documentazione di impresa. Profili tributari. 2011. 115) MEREU ALESSANDRA — La repressione penale delle frodi Iva. Indagine ricostruttiva e prospettive di riforma. 2011. 116) VICTOR UCKMAR - CORASANITI GIUSEPPE - PAOLO DE’ CAPITANI DI VIMERCATE - CATERINA CORRADO OLIVA — Di- ritto Tributario Internazionale. Manuale. Seconda edizione. 2012. 117) TOMA GIANGASPARE DONATO — La discrezionalità dell’azione amministrativa in ambito tributario. 2012. 118) ZAGÀ STEFANO — Le invalidità degli atti impositivi. 2012. 119) MARCHESELLI ALBERTO — Il “giusto procedimento” tributario. Principi e discipline. 2012. 120) PROCOPIO MASSIMO — Il sistema tributario italiano. Principi istituzionali. 2013. 121) CORASANITI GIUSEPPE — Il reclamo e la mediazione nel sistema tributario. 2013. SERIE SECONDA (Commentari): 1-4) UCKMAR ANTONIO — La legge di registro. Quinta edizione. 1958. Tre volumi, legati in Linson. 5) SPINELLI MARIO — La tassa sugli scambi. Libro I (esaurito). 6) SPINELLI GIUSEPPE — La tassa sugli scambi Libro II (esaurito). 7-8) LA TORRE MICHELE — Codice esattoriale (esaurito). 9) SERRANO FRANCESCO — L’imposta sulle successioni (esaurito). 10) PROVINI GIOVANNI — L’imposta di famiglia. Quarta edizione. 1965. 11) D’AMATI NICOLA — Commento al Testo Unico delle imposte sulle successioni e donazioni. 1996. SERIE TERZA (Codici): 1) MOFFA GIUSEPPE — Il diritto esattoriale nella giurisprudenza della Corte dei Conti. 1931. 2) UCKMAR ANTONIO e VICTOR — Codice delle leggi di registro. Terza edizione aggiornata al 1o giugno 1965. 1965. 3) BENETTI BENITO — Codice esattoriale. 1968. 4) COCIVERA BENEDETTO — Codice delle leggi sull’imposta di ricchezza mobile. 1953. SERIE QUARTA (Raccolte di documentazione e giurisprudenza): 1) MISTÒ PIA GRAZIA — Irpef, Irpeg, Ilor. 1980. 2) POLI MARGHERITA — Invim. 1981. 3) POLI MARGHERITA — Imposta di bollo. 1981. 4) IVALDI ALDO — Imposta di registro. 1981. 5) MISTÒ PIA GRAZIA — Imposta comunale sulla pubblicità e diritti sulle pubbliche affissioni. 1982. 6) MISTÒ PIA GRAZIA — Tassa per l’occupazione di spazi ed aree pubbliche e tassa per la raccolta ed il trasporto dei rifiuti solidi urba- ni interni. 1982. 7) PODENZANA BONVINO DAVIDE — Il contenzioso tributario. 1984. 8) PEZZINGA ATTILIO — Imposta sugli spettacoli. 1986. 9) GRAZIANO FABIO — Bolla di accompagnamento, ricevuta fiscale e scontrino di cassa. 1989. L’abbonamento decorre dal 1° gennaio e scade il 31 dicembre successivo. 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