Chiese E Cappelle Di Coreno
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Giuseppe La Valle Chiese e Cappelle di Coreno Coreno Ausonio 1996 Presentazione Ricordarsi di ieri per ben vivere oggi. Michele Lavalle Sindaco Se un desiderio profondo avevo nel cuore questo era di vedere pubblicata la storia delle Chiese e delle Cappelle della Terra di Coreno, opera dell’insigne Sacerdote Don Giuseppe Lavalle. L’esemplare olografo fu dallo stesso donato all’Archivio Parrocchiale di Coreno. Il manoscritto porta la data del 15 marzo 1945 e sia io che il mio predecessore Don Erasmo Ruggiero lo abbiamo sempre custodito gelosamente, temendo che potesse andare smarrito e non vedere finalmente “la luce” della stampa. Esso per me non rappresenta soltanto un lavoro storiografico, avendone tutti i requisiti di serietà ed impegno, attestati dalla fondatezza della docu- mentazione raccolta nei diversi archivi noti della nostra regione, ma è una te- stimonianza indiretta della religiosità schietta dei nostri avi di Coreno, che diventava atavica forza di fede e di fedeltà, ieri per lui, oggi, spero, per me e per voi. Gli “antichi” con pochi mezzi ma con tanta tenacia e sacrificio hanno vo- luto costruire ed arricchire quei luoghi di culto, attorno ai quali doveva ruota- re ed organizzarsi tutta la vita religiosa, sociale ed amministrativa del nostro nuovo paese. Nella filigrana di questo scritto si scorge chiara la saggezza e la prudenza che potevano essere ispirate solo da un puro ed autentico spirito cristiano, lo V stesso che li spingeva a mettersi, modestamente, al servizio della propria co- munità. La fede era ed è quel bene supremo dal quale solo può sperarsi la fonda- zione delle coscienze, unica e suprema fonte di ogni autentica civiltà. Se si parla di tradizioni è su questo terreno che bisogna confrontarsi: senza eccessi- vo uso di parole, ma con le sole opere imperiture ci proviene, da quel popolo, una grande lezione di verità, libertà e democrazia. Grazie Don Peppino che ci parli con le tue silenziose ma eloquenti testi- monianze del passato, più che con roboanti discorsi. Al contrario di quelli che non dicono, non fanno, non vivono. Don Raffaele Pimpinella Parroco VI Prefazione La pubblicazione di questa seconda opera di don Peppino La Valle, pur essa postuma, ritengo debba considerarsi un atto dovuto sia (principalmente) nei riguardi dell’Autore, sia (subito, in secondo luogo) per il soddisfacimento del bisogno storiografico della nostra comunità. Don Peppino dedicò i migliori anni della sua vita alla ricerca delle origini del suo e del nostro paese e se per Lui quella probabilmente fu un giocoso tra- vaglio, per noi ora è certamente una fortuna poterla mettere a frutto. Perché molti di quegli appunti che Egli segnò negli ormai lontani anni Trenta, re- candosi con frequenza a Napoli, a Gaeta, a Montecassino ed altrove, e che riuscì a conservare nonostante il fuggifuggi del nostro più drammatico periodo bellico, ora sarebbe impossibile ricercarli in quelle che dovevano essere le sedi naturali, cioè gli archivi. Per capire quale danno le nostre nascoste memorie hanno subìto, si pensi alla sola “numerazione dei fuochi del 1447”, riportata nell’opera precedente, che i tedeschi nel settembre del 1943 deliberatamente bruciarono insieme con altre migliaia di registri appartenenti al grande Ar- chivio di Napoli. Senza l’impegno che don Peppino allora ebbe, il nostro paese oggi, e sem- pre, dovrebbe lamentare la mancanza assoluta di elementi documentali per la sua effettiva conoscenza storica. C’è un adagio attribuito ad Hobbes che spesso Gaetano Salvemini ripete- va : “primum vivere, deinde philosophari”. In una società contadina, quale è stata la nostra, spazio per il philosophari non ci poteva essere, e ove mai ci fosse stato sarebbe apparso del tutto impercettibile. Le riflessioni degli uomini di natura atavica, erano destinate a rimanere pressoché individuali, giacché l'intercomunicazione era limitata sia nel tempo che nello spazio. La storia vi comincia a far capolino soltanto quando da essa un certo numero di componenti esce o per trovare occupazione più redditizia o per frequentare scuole che vadano oltre il leggere, lo scrivere e il far di conto; così qualcosa cambia: nelle abitudini, .nel costume, nel modo di pensare; e a un certo punto ci si accorge che la società è già un’altra. Don Peppino aveva desiderato di conoscere e di far conoscere. Ma i mezzi VII finanziari sempre limitati non gli hanno mai concesso di pubblicare come e quando avrebbe desiderato. Ora appare finalmente questa sua opera su Le Chiese e le Cappelle di Coreno. E’ un’opera non di storia agiografica, ma, come ognuno potrà verificare, di storia sociale ed economica. E’ la storia di una società minuscola che si crea e si amministra le strutture necessarie per i suoi bisogni spirituali. Strutture tenute tanto da ecclesiastici quanto da laici che giungono talvolta, anzi tante volte, ad attuare il mutuo soccorso, perché dispongono di beni immobili e di capitali. Mi sembra che, senza minimamente teorizzare, Don Peppino abbia at- tuato i criteri, poi enunciati e seguiti, della scuola delle Annales di Fernand Braudel, Lucien Febvre, Marc Bloch, Jacques Le Goff, ecc. Certo, non a- vrebbe potuto prevedere l’uso attuale della fotografia aerea e della meccanogra- fia, ma la sua frequentazione degli archivi notarili, l’attenzione per le platee e gli inventari, il rabbioso dispiacere per le carte maltrattate da negligenti custo- di, contrassegnano indubbiamente la modernità del suo metodo di ricerca. Minturno, luglio 1996. Giuseppe Coreno VIII Nota Dalla cascia di don Peppino è emerso un altro pezzo importante per la storia della nostra comunità. Un pezzo che avevamo già segnalato nel 1984 e che avevamo volutamente messo da parte per dedicargli lo spazio e l’attenzione che meritava. Oggi, a 12 anni di distanza dalla pubblicazione del volume sulla storia gene- rale di Coreno, anche questo studio diventa patrimonio di tutti grazie all’intervento del Comune che ha acquistato le copie del libro per farne dono a tutte le famiglie di Coreno. Un dono che arricchirà la coscienza storica e civile della nostra comunità radi- candola in un passato che, attraverso la conoscenza, ci appartiene ancora di più. Per l’edizione di questo volume ci siamo avvalsi dei manoscritti già censiti al Gruppo I dell’Inventario delle carte lasciate da don Peppino 1, e di una copia dattiloscritta datata 9 luglio 1963.2 Libro di elenchi, di documenti, di bolle, platee e memorie diligentemente tra- scritte a mano da don Peppino: libro di fonti, insomma, che oggi, dopo la scomparsa delle carte originali, diventa, per un’estrema giustizia della storia, “fonte di libri”. Pino Parente 1 Cfr. G. La Valle, Storia di Coreno. Coreno Ausonio, 1984, pag. VIII. 2 Realizzata dal sig. Francesco Zenobio di S. Maria Infante che qui ringraziamo. IX Chiese e Cappelle di Coreno Parte Prima. Chiese e Cappelle. Parte Prima Introduzione L’Arciprete Filippo Felice De Gori che resse la Chiesa Parroc- chiale di S. Margherita di questo paese dal 1760 al 1794 così scri- ve: “Si deve sapere che nel folio 43 della platea della Chiesa di S. Margherita ho notato che nel dì undici di Maggio 1777 Monsi- gnor Pergamo Vescovo di Gaeta ha consacrato solennemente la chiesa”.1 Questa platea è scomparsa! Monsignor Filippo Cammarota Arcivescovo di Gaeta dal 1854 al 1886, in data 28 settembre senza annotazione dell’anno scrive: “Al Reverendo Signore Sig. Don Giuseppe Valente, arciprete di Coreno. Molto Reverendo Signore, richiesto dalle Superiori Au- torità della Bolla Pontificia del 1395 di Bonifacio IX con cui fu dichiarata di Patronato Comunale codesta Chiesa Parrocchiale di S. Margherita io la interesso di farmela sollecitamente pervenire badando che sia conforme all’originale. Filippo Arciv. di Gaeta”. A lato v’ha minuta di riscontro. “Non posso farle tenere la copia della Bolla Pontificia del 1395 colla quale questa Chiesa Parrocchiale di S. Margherita fu dichia- rata di Patronato Comunale poiché niun documento esiste e co- me osservo dall’antico inventario di detta Chiesa la menzionata Bolla originalmente ed in forma valida si conserva nell’Archivio Vescovile di Gaeta”. Crediamo che platea ed inventario siano la medesima cosa: ad ogni modo l’inventario la cui custodia era affidata al Valente che resse questa chiesa parrocchiale dal 29 Gennaio 1800 al 18 Maggio 1861 è irreperibile dopo la morte di costui che senza ga- ranzia alcuna aveva trasferito al proprio domicilio familiare, lon- tano dalla chiesa, i più importanti documenti dell’archivio parroc- chiale.2 1 Liber V. Mortuorum ab anno 1754 segue ad an. 1759, folio 104. Arch. Parr. 2 Ibid. Carta non numerata. 5 Chiese e Cappelle di Coreno V’e` ancora dell’altro: “Nelle risposte ai 21 quesiti fatti in occa- sione della Santa Visita intimata con folio a stampa nel dì 20 Ot- tobre 1855 nella Città e Diocesi di Gaeta” al n. III lo stesso arci- prete Valente risponde: “La predetta Chiesa fu fondata nel 1395 nel tempo del Pontificato dell’Ill.mo Reggente nostro Bonifacio IX giusta una memoria che si conserva dal curato interessato”.1 Poiché la “memoria” ha subito la medesima deplorevole sorte della platea e dell’inventario dobbiamo lamentare che questi Cura- ti, i quali si dichiarano interessati, sono senza giustificazione alcu- na responsabili della dispersione di documenti importantissimi che ci sarebbero stati preziosi per il nostro modesto lavoro e ci avrebbero fatto conoscere completamente il sorgere, lo sviluppo e la vita di questa Chiesa dai primordi sino ad oggi.2 1 Ibid. Carta non numerata. La Bolla verrà riportata in seguito. 2 Sono pure scomparsi dopo il 1861 il Liber Primus Baptizatorum ed il Liber Primus Mortuo- rum, iniziati nel 1445. L'arciprete De Gori ne fa cenno nella Platea di sua Casa a fol. 1 e 2. Il Liber Mortuorum 1623-1657 già logoro fu trovato nel 1938 in Casa dell'arciprete Valen- te, e quivi ancora l'Inventario della Confraternita di San Giuseppe eseguito nel 1779 con quattro volumi coperti da pergamena dei Conti della Cappella di S.