I 20 Autori Disneyani Più Importanti Di Sempre
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I 20 autori disneyani più importanti di sempre Menzione speciale: Silvia Ziche (1967-) Unica persona di sesso femminile, tra gli autori disneyani di ieri e di oggi, ad aver raggiunto una certa fama, la vicentina Silvia Ziche merita, solo per questo, una menzione speciale in questa elaborata classifica. Allieva di Giovan Battista Carpi, lavora a Topolino dal 1991, ed è diventata un simbolo, nel bene e nel male, del “nuovo corso” disneyano; autrice eclettica, pienamente capace di scrivere da sé le sue storie, collabora anche ad altre riviste (Linus, Donna Moderna) per le quali ha creato altri personaggi, il più famoso dei quali è Lucrezia, ragioniera immersa in una normalità molto paperinesca e sempre alla ricerca di un nuovo amore. Silvia Ziche è famosa soprattutto per le due grandi saghe “Papernovela” (181 pagine, 1996) e “Topokolossal” (200 pagine, 1997), dallo spunto classico e non così banale, con Paperi e Topi che si trasformano in attori di “serial” televisivi: i tempi sono cambiati ed è ormai la televisione, non più il cinema, a comparire sempre più spesso nelle storie disneyane, così come vedremo anche in un’altra famosa parodia della stessa autrice, “Paperina di Rivondosa” (2005). Tuttavia la trama delle due saghe è debole, troppo semplice, con personaggi annacquati e poco incisivi, anche se in linea col nuovo Il “fronte” del volume “a specchio”: Papernovela. Il “retro” del volume a specchio: Topokolossal. corso disneyano, che sempre più, col passare degli anni, mostra una tendenza a semplificare le sceneggiature e a rivolgersi ad un pubblico di lettori sempre più giovani (incurante del fatto che proprio questi giovani leggono sempre di meno, come tutti ormai sanno benissimo). Le due storie, ristampate di recente dalla Panini in uno speciale volume “a specchio” (da un lato si legge la Papernovela, dall’altro il Topokolossal), restano comunque emblematiche di questo nuovo corso disneyano, e delle potenzialità, probabilmente mai sfruttate a dovere, della loro autrice. Menzione speciale: Alessandro Sisti (1960-) Nato nei pressi di Pavia ma cresciuto a Genova, Alessandro Sisti fa parte di quella schiera di autori che negli anni ’80 contribuiscono al rilancio della scuola italiana, un po’ in crisi alla fine degli anni ’70 dopo l’addio di Rodolfo Cimino, Pier Lorenzo De Vita e Giampaolo Barosso, il lento declino di Guido Martina, il diradarsi delle storie di mostri sacri come Luciano Bottaro e lo stesso Romano Scarpa. Sisti, con autori come Bruno Sarda e Massimo De Vita, si mette in luce nel corso degli anni ’80 scrivendo alcune storie di buon livello (per esempio, “Topolino e la guerra dei mondi” (1987), parodia del famoso romanzo di H.G. Wells), ma merita la menzione speciale per essere stato il principale sceneggiatore, a partire dal 1996, delle celebri PKNA (vale a dire “PaperiniK New Adventures”): una serie del tutto scollegata dalle storie principali e che per quasi 10 anni rimodella il personaggio di Paperinik (da tutti ormai chiamato “PK” o “PiKappa”) trasformandolo in un supereroe Prima apparizione della malevola AI chiamata “Due”, tra i “classico” di stampo Marvel, che principali antagonisti della serie (PKNA #2). non ha più nulla a che fare col vecchio Paperino e con i personaggi che lo accompagnavano, ma in compenso deve affrontare nemici ben più pericolosi e organizzati dei “soliti” Rockerduck o Banda Bassotti. Serie tanto innovativa quanto poco disneyana, PKNA rappresenta in ogni caso uno dei tentativi più interessanti – di certo più delle celebrate “grandi parodie” – di immergere un’icona come Paperino/Paperinik in una realtà e in un genere di avventure completamente diverse da quelle alle quali i canoni barksiano prima e martiniano poi avevano abituato i lettori. Esaltata da molti di loro, denigrata da altri (tra cui il grande Massimo De Vita, sicuramente il miglior disegnatore ad essersi occupato di Paperinik, intervistato nel 2020: https://www.ventennipaperoni.com/2020/06/14/massimo-de- vita-intervista ), la serie resta comunque uno dei migliori esempi della fantasia e della bravura degli sceneggiatori che lavorano con i personaggi disneyani. E per quanto Sisti sia stato validamente affiancato da altri “pezzi grossi” come Tito Faraci e Francesco Artibani, e da disegnatori come Claudio Sciarrone e Corrado Mastantuono, il merito del successo di questa serie è principalmente suo. Menzione speciale: Bruno Sarda (1954-) Forse il migliore, tra gli sceneggiatori che negli anni ’80 stavano riportando Topolino ai livelli di un tempo, il torinese Bruno Sarda è conosciuto soprattutto per la grandiosa saga della “Pietra Zodiacale” (12 puntate all’inizio del 1990) e per la creazione del personaggio di Indiana Pipps (nel 1988), ultimo di una lunga serie di strampalati cugini di Pippo e chiara parodia di un Indiana Jones allora al massimo della sua fama. Sorretto spesso dai disegni di un Massimo De Vita al meglio delle sue capacità, appassionato di fantaarcheologia (come Martin Mystere, altra ispirazione per Indiana Pipps), Bruno Sarda ha saputo scrivere anche parodie di buon livello, come “I promessi topi” (1989, disegni di Franco Valussi) o “3 paperi e un bebè” (pure 1989, disegni di Massimo De Vita), eccellendo specialmente Topi (con Gambadilegno), Paperi, i professori Marlin e Zapotec: tutti riuniti per ricomporre la Pietra Zodiacale. nelle storie con i Topi. Purtroppo Sarda, autore che eccelle in trame complesse, è fra coloro che hanno maggiormente risentito del nuovo corso disneyano, che a partire dalla metà degli anni ’90 ha reso sempre più banali le sceneggiature, e dopo soli dieci anni di una carriera fra le più brillanti Indiana Pipps e Topolino progettano una spedizione. ha finito per tirare i remi in barca, limitandosi a storie brevi o con protagonista il sempreverde Indiana Pipps, le uniche che ancora incontrano il gradimento indiscusso dei lettori. Menzione speciale: Paul Murry (1911-1989) Quando il poeta latino Orazio coniò il termine “aurea mediocritas” non poteva certo immaginare che oltre 2000 anni dopo avrebbe potuto definire, meglio di ogni altro, il lavoro del disegnatore americano Paul Murry, originario del Missouri e che, come molti altri della sua epoca (Carl Barks fra tutti), dopo aver iniziato una carriera come animatore alla Walt Disney dovette adattarsi al meno prestigioso (agli occhi di Walt) e meno pagato lavoro di fumettista, per via dei tagli imposti dalla guerra (e dalla nota tendenza dell’azienda a risparmiare sui compensi elargiti ai suoi dipendenti). “Aurea mediocritas”, nel significato che gli aveva dato Orazio, non è un termine negativo, ma indica piuttosto il buono che viene dalla “via di mezzo”, dalla capacità di accontentarsi senza rischiare troppo nel tentativo di raggiungere l’eccellenza. Murry, disegnatore appena passabile, riesce infatti, in circa 30 anni di carriera tra gli anni ’50 e gli anni ‘80, a ritagliarsi un suo spazio fra gli autori disneyani, grazie alla riconoscibilità del suo tratto e alle trame “noir” di quasi tutte le sue storie (in genere scritte da Carl Fallberg, anche lui proveniente dall’animazione), in cui Topolino e Pippo affrontano criminali di ogni genere oltre ai “soliti” Gambadilegno e Macchia Nera, in una continua riproposta, sia pure in tono molto minore, del “Topolino detective” che Merrill De Maris aveva portato ai vertici alla fine degli anni ’30. Su Topolino le storie disegnate da Murry – centinaia – sono state spesso proposte nella parte centrale dell’albo, a far da tramite tra la prima e l’ultima (sempre storie di alto livello, ad opera di autori italiani), sino a diventare, specialmente negli anni ’60, una presenza costante, quasi rassicurante con le sue trame e i suoi cattivi sempre uguali, sempre minacciosi, armati e pericolosi (almeno in apparenza), ma alla fine sempre sconfitti. Mai un capolavoro, ma neanche un passo falso, come nella vera “aurea L’inconfondibile stile di Paul Murry: cattivi dai musi lunghi, barbe folte, pistole spianate. mediocritas”, e come ancora oggi, a quarant’anni dalle sue ultime storie, possono confermare i suoi non pochi estimatori. 20° posto: Marco Rota (1942-) Quando Internet ancora non era diventato un fenomeno di massa, erano gli “esperti” a dettare legge su qualsiasi cosa avesse un valore artistico: libri, film, canzoni, fumetti. È così che il milanese Marco Rota, direttore artistico della Mondadori dal 1974 al 1988 e copertinista di Topolino, diventa uno dei più importanti autori disneyani, accostato tranquillamente a Carl Barks (del quale imita lo stile, sia narrativo che grafico, pur senza riprendere le sue storie come invece farà in seguito Don Rosa), e al quale è dedicato un intero paragrafo del celebre volume “I Disney italiani” (del 1990), laddove altri autori di un certo peso (come Giorgio Bordini, Guido Scala, i fratelli Barosso e persino Rodolfo Cimino) non arrivano a tanto. L’importanza di Marco Rota, con l’avvento del nuovo corso disneyano, nonché quello di Internet col conseguente declino degli “esperti”, sostituiti dalla massa dei lettori, sarà molto ridimensionata; né l’autore milanese sarà aiutato dal fatto di aver realizzato poche storie, spesso su sceneggiatura non sua, e in prevalenza per l’Almanacco Topolino o per il mercato danese. Cosa ha nuociuto a Marco Rota? Paradossalmente, proprio l’essersi rifatto allo stile di Barks, le cui storie erano apertamente ispirate dal classico “way of life” all’americana (per esempio: le avversità uniscono le famiglie). Dopo decenni di “canone martiniano” le storie disneyane riflettono ormai il “way of life” all’italiana (per esempio: le avversità dividono le famiglie), e l’autore milanese si trova ad essere “fuori moda”, per trame, dialoghi, ritmo e infine anche per stile grafico, quando alla fine degli anni ’80 il tratto gommoso e dinamico, reso celebre da Giorgio Cavazzano, ha il sopravvento. Forse anche per questo Rota “emigra” in Danimarca alla fine Paperi e paesaggi tipicamente barksiani. degli anni ’90, diradando sempre più la sua collaborazione con le riviste italiane; ma questo nulla toglie ai suoi meriti, dato che essere fuori moda non è certo una colpa – anzi, spesso è vero il contrario.