Annali del Dipartimento di Filosofia (Nuova Serie), XVIII (2012), pp. 175-195

Carnap e : esperienza e coscienza

Marzia Michelizza

In philosophy of mind, the arguments about phenomenal ex- perience are related to ontological points of view in which the alternatives are physicalist monism and dualism. Both involve problems and the choice is difficult in order to describe the experience into scientific knowledge. I accost Carnap and Vasu- bandhu philosophies to show an epistemic position, that involves an ontological deconstruction, from the phenomenal experience starting point. In this view, the way to address the psico-physical problem changes: it is not concerned any problem about a dual- ism of substances (or objects). Experience and evidence are two points of convergence, and lead to the question of subjectivity: the consciousness it is not an object however it keeps its relevance. Keywords: phenomenal experience, consciousness, ontology, Bud- dhist philosophy, philosophy of mind.

1. Introduzione In questo saggio intendo mostrare il filo conduttore che unisce La costruzione logica del mondo1 di Carnap (Aufbau), letta in chiave feno- menista, con il pensiero di Vasubandhu,2 filosofo dell’India medievale. L’interesse non è meramente comparatistico, ma filosofico. Le simmetrie che rileverò nelle opere, infatti, individuano come identico punto di partenza per l’indagine epistemica l’esperienza vissuta, alla quale è accor- data ogni priorità. In un progressivo allontanamento dal senso comune

1 R. Carnap, Der Logische Aufbau Der Welt, Felix Meiner, Hamburg 1961, trad. it. La costruzione logica del mondo, ed. Fratelli Fabbri Editori, Milano 1966. 2 Vasubandhu, vissuto probabilmente nel IV secolo (secondo qualche studioso nel VII), è un esponente del pensiero buddhista, tra i fondatori della corrente Yogacāra (Via dello Yoga, detta anche Cittamatra, Della sola coscienza). Gli studiosi sono in disaccordo sull’attribuzione delle opere alla stessa figura storica, a causa dell’incoerenza della prima opera con successivi trattati. Alcuni infatti sostengono che si tratti di omonimia, ma non è stata presa alcuna decisione definitiva in merito.

http://www.fupress.com/adf ISSN 0394-5073 (print) ISSN 1824-3770 (online) © 2013 Firenze University Press 176 Marzia Michelizza e dall’immagine scientifica del mondo verrà così evidenziata la struttura del vissuto e il suo rapporto con la conoscenza. L’indubitabilità della base viene mostrata attraverso una discussione sul concetto di evidenza, strettamente legato al punto di vista in prima persona e alla conoscenza inferenziale, che cambia radicalmente il modo di affrontare lo spinoso problema psico-fisico. Risulterà un quadro epistemico completamente cambiato, non appoggiato sulla dualità né epistemica né ontologica tra soggetto e oggetto, e in cui la coscienza avrà un ruolo primario. Nel primo paragrafo esporrò le intenzioni e i metodi dei due autori, nel secondo e nel terzo chiarirò la questione psico-fisica; nel quarto paragrafo, infine, mostrerò il ruolo epistemico del vissuto, per conclu- dere affrontando l’argomento della soggettività e la sua relazione con l’evidenza fenomenica di base.

2. Differenze e simmetrie di scopo Le opere che metteremo a confronto hanno finalità apparentemen- te molto diverse. Uno degli imperativi dell’empirismo logico, corrente formatasi dagli studi del Circolo di Vienna cui Carnap è tra i fondatori, è l’esclusione della metafisica dalla teoria della conoscenza, in quanto considerata priva di senso. A tale scopo le analisi filosofiche, al pari di quelle scientifiche, devono svolgersi logicamente ed essere verificate empiricamente, con il supporto di una corretta analisi del linguaggio. Lo scopo dell’Aufbau è l’ordinamento delle conoscenze intersoggettive. Esso viene dichiarato all’inizio del primo paragrafo: «Il fine delle presenti ricerche è la costruzione di un sistema logico-conoscitivo degli oggetti o dei concetti: ‘il sistema di costituzione’»,3 dove «l’espressione ‘oggetto’ sarà qui sempre usata nel significato più ampio, ossia per tutto ciò in- torno a cui si può formulare un asserto».4 Gli oggetti da ordinare sono quindi oggetti logici, senza che di essi sia data alcuna categorizzazione metafisica; essi comprendono infatti il reale e l’irreale, le proprietà e i rapporti. L’intero sistema viene così definito neutrale: La teoria della costituzione usa un linguaggio neutrale; secondo essa, le formazioni non sono né prodotte, né riconosciute bensì costituite; e già sin d’ora è ben chiaro che questa parola ‘costituire’ viene qui costantemente intesa secondo un’accezione puramente neutrale. Dal punto di vista della teoria della costituzione, la contesa se le formazioni siano prodotte o riconosciute è pertanto una oziosa questione di parole.5

3 Carnap, La costruzione logica del mondo, cit., p. 83. 4 Ibidem. 5 Ivi, p. 88. Carnap e Vasubandhu: esperienza e coscienza 177

Gli asserti intorno agli oggetti del sistema andranno derivati dagli oggetti fondamentali, o elementi di base. Si tratta dunque, come rilevato da Benoist,6 di un’operazione di traduzione da un asserto relativo a un oggetto ad altro asserto relativo a un oggetto fondamentale. I mezzi utiliz- zati per lo scopo sono la base del sistema, cioè gli elementi fondamentali e le regole del sistema, che devono crearne la struttura. Lo scopo dei due trattati di Vasubandhu è invece quello di mostrare l’infondatezza delle tesi dei suoi avversari, con cui immagina di instaurare un dialogo. I principali avversari sono i buddhisti sostenitori di una teoria realista della conoscenza, appartenenti alla scuola Vaibhasika,7 i quali sostengono l’esistenza di oggetti esterni reali conosciuti direttamente. In Vijñaptimatratasiddhih,8 si vuole dimostrare, contro le tesi Vaibhasika, che “tutto è solo fenomeno” e solo nella coscienza si svolge la dualità soggetto- oggetto. Il titolo è stato tradotto nell’edizione italiana con Dimostrazione in venti strofe che tutto è rappresentazione mentale, dove vijñapti è reso con ‘rappresentazione mentale’. Questo termine nell’Abhidharmakoṣa è tradotto da La Vallée-Poussin come “atto corporale e vocale”, ‘ciò che informa altri’.9 Da questo punto di vista vijñapti è un comportamento, un’azione (karman) informativa: vijñapti va quindi avvicinato al concetto di ‘informazione’. La scelta di tradurre con rappresentazione mentale porta quindi a accentuare il carattere che la coscienza ha di ‘essere in- formata’. In questo modo, tuttavia, si tralascia il punto importante della

6 J. Benoist, L’Aufbau comme phénoménologie, in Carnap et la construction logique du monde, ed. by S. Laugier, Vrin, Paris 2001, p. 197. 7 Alla morte del Buddha, intorno al 478 a.C., vengono indetti dei concili per stabilire la dottrina. Iniziano quindi divergenze che porteranno a scismi e, dopo il 245 a.C., alla redazione del canone in lingua , tradizione fissata dalla scuola (Buddhismo antico), detta successivamente anche (Piccolo Veicolo). In seguito al terzo con- cilio intorno al 245 a.C., secondo la letteratura Theravada è sorta la scuola Vaibhasika (o Servastivada). Il canone pali consiste in un nucleo principale dato dal Suttapitaka (discorsi del Buddha), dal Vinayapitaka (regole monastiche), e dall’Abhidharmapitaka, la sezione dottrinale più tarda dove si trovano non tanto le parole attribuite al Buddha stesso ma ai discepoli delle grandi scuole, la scolastica dell’ è quindi probabilmente più tarda e non assimilabile al buddhismo antico. La scuola Yogacāra cui appartiene Vasubandhu, ‘dello Yoga’ o ‘della sola coscienza’, appartiene invece alla corrente Ma- hayana (Grande Veicolo), dopo lo scisma in seguito al concilio Vaisilai (383 o 367 a.C.). 8 Vasubandhu, Vijñaptimatrasiddhi, trad. it. F. Sferra, in R. Gnoli, La rivelazione del Buddha, vol. II, Mondadori, Milano 2004. 9 Vasubandhu, Abhidharmakoṣa, trad. fr. La Vallée Poussin, L’Abhidharmakoṣa de Vasubandhu, ed. Paul Gethner, Paris 1923, p. 21. Vi è una tesi relativa alla disidentità, e sola omonimia, del Vasubandhu che scrisse il commento all’Abhidharma e l’autore dei testi appartenenti alla scuola Yogacāra. Gli elementi a favore di entrambe le tesi non permettono una decisione tra le due, come indicato da Gnoli, La rivelazione del Buddha, cit., p. CXXXI. 178 Marzia Michelizza dottrina che Vasubandhu andava esponendo, cioè l’inesistenza di un oggetto esterno di cui la coscienza abbia informazione. Meglio sarebbe, quindi, ribadire la relazione del termine con la fenomenicità dell’espe- rienza, mantenendo il carattere informativo del termine senza d’altra parte tradire l’intenzione dell’autore. In Triṃśikā,10 Il trattato delle trenta stanze, l’insegnamento è rivolto a coloro che non hanno conoscenza, o sono in errore, relativamente all’as- senza di Sé riferito alla persona e al mondo11. Oggetto del trattato sono infatti le trasformazioni della coscienza, che devono essere descritte per mostrare come «l’uso metaforico di espressioni come ‘ātman’ e ‘’, che è molteplice sia nel mondo sia nei trattati filosofici, si svolge nella trasformazione della coscienza».12 Ātman e dharma stanno qui a indicare, come sottolinea Kochumuttom,13 le due categorie da cui si derivano gli oggetti e i soggetti, i quali non hanno alcuna esistenza reale perché l’uso dei due termini è meramente limitato a una metafora.14 Se, dunque, Carnap si mantiene distante da quelle posizioni me- tafisiche su cui realismo e idealismo si scontrano, Vasubandhu sembra propendere per l’idealismo. Idealista, infatti, viene spesso etichettata la sua scuola. É mia intenzione mostrare, tuttavia, come questo non sia del tutto appropriato e come, al contrario, tra il pensiero espresso dai due autori possa essere rintracciato un filo conduttore comune. Entrambi si muovono infatti su un piano epistemico, solo che, laddove Carnap cerca di derivare i concetti e purificare la conoscenza da asserti privi di fondamento come quelli di idealisti e realisti, Vasubandhu vuole indicare l’infondatezza delle tesi realiste e dell’opposizione soggetto-oggetto.

3. Gegebene e dharma Uno dei presupposti chiave delle tesi di Carnap è che il significato degli enunciati stia nella loro struttura logica, nel momento in cui questa rinvia a termini che hanno un significato empirico, cioè a dati empirica- mente immediati, semplici ed evidenti. Si esige l’immediatezza dai dati elementari (gegebene) che devono stare alla base dell’intero sistema,

10 Vasubandhu, Triṃśikā , trad. it. F. Sferra, Gnoli, La rivelazione del Buddha, cit.. 11 Come indicato ampiamente nella prima nota del traduttore in Vasubandhu, Triṃśikā , cit., p. 1077. 12 Ivi, p. 1072. 13 Ivi, p. 1079. 14 Il traduttore italiano specifica che si tratta di una traduzione dal cinese, dove lo stesso carattere è stato reso dal traduttore inglese con “concetto”. La traduzione italiana evidenzia l’importanza che i pensatori indiani hanno dato distinzione tra conoscenza concettuale e conoscenza diretta. Si veda ivi, in nota 2, p. 1079. Carnap e Vasubandhu: esperienza e coscienza 179 poiché la riconducibilità ad essi degli asserti assicura da un lato l’ogget- tività degli enunciati e, dall’altro, la loro intersoggettività. La richiesta di immediatezza e empiricità porta all’individuazione di dati vissuti (Erlebnisse) come dati elementari: Si potrebbe forse pensare di assumere, come elementi fondamentali, gli ingredienti ultimi che risultano dall’analisi psicologica e fenomenologica dei dati vissuti, come potrebbero essere le sensazioni più semplici (come propone Mach), o, più in generale gli elementi psichici di specie diverse, con i quali possono venir costruiti i dati vissuti. Ma ad una considerazione più adeguata, dobbiamo riconoscere che in questo caso non viene assunto come elemento fondamentale il dato stesso, bensì delle astrazioni ottenute da quest’ultimo, quindi qualcosa di conoscitivamente secondario.15

L’accordo con Mach è piuttosto relativo alla neutralità dei dati elementari, infatti «non viene presupposto qualcosa o qualcuno a cui il dato sia dato».16 Tuttavia, la base è scelta nel vissuto proprio, nel campo psichico proprio poiché rispetta la primarietà epistemica, cioè l’ordine reale della conoscenza. Infatti, «un oggetto si dice ‘conoscitivamente primario’ rispetto a un altro che si dice ‘conoscitivamente secondario’, quando quest’altro oggetto viene conosciuto per mezzo del primo e per- tanto la sua conoscenza presuppone la conoscenza del primo».17 Così, poiché si conosce prima il campo psichico proprio, poi il campo degli oggetti fisici e successivamente il campo psichico altrui, la base solipsi- stica è individuata. Non deve però esser considerata la base psichica di un soggetto empirico, poiché il vissuto originario è privo di soggetto: L’io è la classe dei dati vissuti elementari. Si sottolinea spesso, a ragione, che l’io non è un fascio di rappresentazioni o di dati vissuti, ma un’unità. Il che non contraddice la tesi da noi proposta, giacché, una classe non è la collezione, la somma, il fascio dei suoi elementi, bensì un’espressione unitaria di ciò che è comune agli elementi. L’esistenza dell’io non è un fatto originario del dato. Dal ‘cogito’ non segue il ‘sum’; dallo ‘io sperimento’ non segue che io sono ma che un’esperienza è.18

L’io è costituito dal rapporto degli elementi, non è la collezione dei vissuti propri ma un’entità diversa da questi e ad essi riconducibile. Nessuna considerazione ontologica nel definirlo un concetto, poiché si è visto che oggetti e concetti hanno lo stesso valore nel sistema carnapiano.

15 Carnap, La costruzione logica del mondo, cit., p.182. 16 Ivi, p. 177. 17 Ivi, p. 163. 18 Ivi, p. 326. 180 Marzia Michelizza

La corrente dei vissuti, alla luce di queste considerazioni, non appartiene ad alcun soggetto particolare, inoltre la corrente dei vissuti sembra esser considerata antecedente la dualità soggetto-oggetto, che compare come un’illusione percettiva, infatti: Sembra che essa (l’attribuzione delle impressioni all’io) debba inizialmente convenire solo alle percezioni della vista e che in queste debba venir connessa all’ordinamento spaziale e alla percezione della distanza che per mezzo di tale ordinamento vien dato.19

La distanza, caratteristica strutturata attraverso la modalità visiva (individuata ad un livello superiore del sistema), permette il processo di formazione dell’io empirico. Diversamente, i dati vissuti non sono posti in dualità soggetto-oggetto prima di essere elaborati concettualmente. È l’elaborazione successiva alla visione che costruisce il concetto di ‘io’ e, con ciò, la dualità. Il dato vissuto puro è di tipo semplice e non concettuale. Le impressioni visive sono quindi di importanza primaria nella costituzione del soggetto empirico. Qui non si sta decidendo se il concetto costituito a partire dal dato sia o meno in qualche modo reale; si sta semplicemente cercando di renderlo una nozione chiara. Ciò che interessa è solo prendere atto che l’io risulta costituito ad un grado non fondamentale. Analogamente a questa assenza di dualità dei dati vissuti carnapiani, nel buddhismo indiano troviamo il concetto di ‘ānatman’ e il termine polisemico ‘dharma’. È necessario accennare alcuni lineamenti generali della filosofia buddhista prima di affrontare direttamente il pensiero di Vasubandhu. ‘Dharma’ è un termine che, nel nostro contesto, è spesso tradotto con ‘fenomeni’. È riferito agli elementi fondamentali a partire da cui il mondo fenomenico si costituisce. Seguendo la scolastica dell’Abhidharma, in cui viene fatta una minuziosa classificazione dei dharma seguendo un radicale pensiero nominalista, è possibile individuare la caratteristica ad essi attribuita: l’impermanenza. Gli elementi fondamentali sono infatti dei «momentanei flash efficienti»,20 non legati spazio-temporalmente: essi non mutano, scompaiono. Questo scomparire è l’essenza dell’esi- stenza.21 I corpi materiali, così come la personalità empirica (pugdala),22

19 Ivi, p. 180. 20 Stcherbatsky, The Central Conception of , cit. p.5. 21 Ibidem. 22 Si deve chiarire la differenza tra i termini: ‘ātman’ e ‘pudgala’. Sia dal contesto delle Upaniṣad che da quello degli argomenti più attinenti a ciò che voglio trattare in questa sede, il termine ‘pudgala’ si riferisce all’io empirico, nella sua totalità intellettiva Carnap e Vasubandhu: esperienza e coscienza 181 sono corpi composti privi di esistenza reale e di permanenza: la stabilità della sostanza è illusoria e relativa23, l’esistenza attribuitale è costruita con concetti (samvritisat); solo i dharma hanno vera esistenza (paramarthasat). Alcune scuole, quale quella Vaibhasika, affermano la permanenza dei dharma in virtù della loro esistenza non relativa, riferendo l’impermenen- za solo agli aggregati: è contro essi che Vasubandhu si rivolge. Inoltre, «dharma signifie: qui porte un caractère propre»,24 dove “Caractère propre” traduce l’originale sanscrito svalaksana,25 da intendere come auto- caratterizzante. Un dharma è un particolare momentaneo auto-evidente,

e sensibile, come individuo particolare. Il pudgala è una concretizzazione dell’ātman, che invece è il Sé, reificazione della coscienza, concetto di carattere generale, termine usato nella lingua sanscrita come ‘sé’, pronome riflessivo. Quanto intendo per totalità intellettiva e sensibile è quello che nella filosofia occidentale è l’individuo particolare nella sua unità psicofisica: di questo i buddhisti affermano l’illusorietà. Illusorietà è qui da intendere ‘non esistenza in sé’, concetto legato al particolare concetto di interdipen- denza di ogni fattore d’esistenza. ‘Pudgala’, nella scuola buddhista antica (Theravada) è considerato come riferimento linguistico, nominale, di un insieme di processi mentali che tra loro interagiscono, cioè l’insieme dei cinque . Il pudgala alla morte si disgrega. In questo senso si afferma che nel buddhismo è negata l’esistenza di un’anima, intesa come principio separato dal divenire che continua ad esistere dopo la morte. Il principio che dovrebbe restare è quel Sé identificato dal termine ā‘ tman’. Questo termine però si presenta nelle Upaniṣad in una doppia composizione: Paramātman, inteso come Sé non individuato, e jīvātman, inteso come sé-ego che non è identico al pudgala ma ne è principio vitale. Jīva infatti è principio vitale, dunque possiede un carattere dinamico che rende incomprensibile come possa essere composto con ātman, esprimendo con questo una difficoltà presente nel pensiero delle Upaniṣad: la continuità tra il piano tra- scendente dell’Ātman e l’immanenza del fenomenico (come documentato in M. Falk, Il mito psicologico dell’India antica, ed. Adelphi Edizioni, Milano, 1986, p. 381). La dottrina buddhista afferma l’anātman, il non-Sé, rifiuta dunque che sia presente una coscienza in generale, un principio vitale delle facoltà mentali, unificante l’individuo. Quindi con ‘pudgala’ si intende l’individuo psicofisico, con ā‘ tman’ il Sé, negati entrambi dai buddhisti. Il pudgala è negato poiché è un aggregato nominale non esistente realmente, cioè non ultimamente esistente, l’ātman è negato non solo in quanto sostanza, ma anche nella sua funzione di spettatore delle sofferenze che non soffre. L’anātman quindi è la mancanza della struttura duale: il vissuto non ha spettatore. È però anche la mancanza della comprensione della non dualità: l’Ātman delle Upaniṣad è la coincidenza di soggetto e oggetto nella cessazione del divenire. 23 Per approfondire l’argomento: T. Stcherbatsky, Buddhist Logic, Munshiram Ma- noharlal Publishers, New Delhi 1996, cap. 1; Id., The Central Conception of Buddhism, cit., interamente dedicato al concetto di ‘dharma’, e Vasubandhu, Abhidharmakoṣa, cit., dove è esposta la psicologia buddhista delle origini e i dibattiti delle differenti scuole (quella realista, Vaibhasika, e quella Sautrāntika che afferma l’impermanenza dei dharma). 24 Vasubandhu, Abhidharmakoṣa, cit., p. 4. 25 Per una trattazione del concetto di ‘svalaksana’, C. Yoshimizu, Defining and rede- fining svalaksana: Dharmakirti’s concept and its Tibetan modification,in Three mountains and seven rivers : Prof. Musashi Tachikawa’s felicitation volume, ed. by Shoun Hino, Toshihiro Wada, Motilal Banarsidass Publishers, Delhi 2004. 182 Marzia Michelizza l’auto-manifestarsi è l’evidenza a sé. Nella dottrina Abhidarmika, dharma è contenuto inanalizzabile che si auto-manifesta senza che un soggetto lo apprenda. Ritroviamo con ciò la semplicità e l’evidenza richiesta agli ele- menti fondamentali del sistema carnapiano, così come la loro istantaneità. Evidenza che li rende inanalizzabili, costituenti ultimi di ogni concetto su essi fondato. Si deve però sottolineare che nella dottrina generale dell’Abhidharma la discussione ontologica è ancora in parte presente, mentre Vasubandhu, come citato sopra, vuole sostenere l’illusorietà anche dei dharma e di ogni costrutto ontologicamente determinato. Carnap, d’altro canto, si astiene da tesi ontologiche relative ai dati vissuti, restando su un piano epistemico: su essi è possibile costituire gli asserti conoscitivi, che si riferiscono ad oggetti costituiti concettualmente. Con il termine ‘ānatman’ è negato il principio unificante le facoltà mentali,26 traducibile con non-Sé. Non c’è, nella scolastica dell’Abhidhar- ma, alcuna coscienza generale che unifica i sei tipi di coscienza individuati (visiva, tattile, uditiva, olfattiva, gustativa, non sensoriale), o che sia interna ad un soggetto: il soggetto stesso è un aggregato illusorio e concettuale. Come Carnap, Vasubandhu ricorda che «dalle due esadi, delle basi e dei supporti, si produce l’esade delle coscienze, ma sapendo che non vi è alcuno che veda, che oda, che annusi, che tocchi che gusti, che pensi».27 Nonostante, dunque, le due esadi rappresentino la soggettività e l’oggetti- vità, la cognizione non appartiene ad alcun io: il dato è privo di soggetto. Base soggettiva e base oggettiva sono menzionate solo al fine di spiegare il processo conoscitivo, non per postulare un soggetto o una coscienza

26 Nella dottrina buddhista troviamo sei facoltà e sei supporti oggettivi: 1. vista(caksur) 7. colore/forma(rūpa) 2. udito (srotra) 8. suono (sabda) 3. odorato(ghrana) 9. odore (gandha) 4. gusto (jihva) 10. sapore (rasa) 5. tatto (kaya) 11. tangibilità (sprastavya) 6. intelletto(manas) 12. oggetti non sensibili (dharmah) Dalla correlazione rispettiva degli elementi della prima colonna con quelli della seconda, sulla stessa riga, si ottiene la terza colonna con i 6 tipi di coscienza, o eventi percettivi: 13. coscienza visiva 14. coscienza uditiva 15. coscienza olfattiva 16. coscienza gustativa 17. coscienza tattile 18. coscienza non sensoriale. 27 Vasubandhu, Vijñaptimatrasiddhi, cit., p. 1053. Carnap e Vasubandhu: esperienza e coscienza 183 unificante, e tantomeno l’esistenza di una realtà esterna indipendente.28 Infatti, le basi che supportano la coscienza sensoriale sono conosciute con il ragionamento, poiché «Les cinq catégories de connaissance ont en effet pour support et pour objet des agglomérés (saṃcita)».29 Non si tratta tanto di descrivere un reale processo di percezione di oggetti tramite gli organi di senso, quanto di mostrare una co-emergenza di fattori, descritta per esemplificare con il linguaggio ordinario il sorgere della conoscenza nella sua indipendenza da una soggettività conoscente.

4. Sfere di oggetti e problema psico-fisico Troviamo nell’Aufbau una distinzione degli oggetti in differenti sfere, i cui rapporti «dovranno da ultimo poter essere riscontrati nel sistema».30 Il linguaggio ordinario ci indica molteplici sfere, quali ad esempio quella degli oggetti psichici o quella degli oggetti fisici. Si tratta tuttavia di oggetti che, pur appartenendo a sfere diverse, trovano il loro fondamento nello stesso campo. Questa specificazione è molto importante: sono gli asserti formulati su oggetti appartenenti a differenti sfere che devono poter essere ricondotti ad asserti sugli elementi fondamentali, attraverso l’ar- chitettura della loro coordinazione. Le differenti sfere sono da intendere come «forme di ordinamento dell’unico campo unitario di elementi privi di proprietà e solo collegati da rapporti»,31 inoltre «le forme di ordinamento si presentano, in ogni caso, in tipi molteplici e diversi e, propriamente, in numero a piacimento elevato».32 Non si tratta quindi di considerare gli oggetti da un punto di vista realistico: «la teoria della costituzione parla di ‘specie di oggetti’ e, in generale, di ‘oggetti’ costituiti, solo per con- formarsi al linguaggio realistico delle scienze della realtà».33 Il problema relativo all’esistenza di oggetti esterni o interni è con ciò superato, poiché gli elementi fondamentali non hanno delle proprietà aggiunte, oltre alla loro stessa evidenza. La questione linguistica, l’esigenza di uniformarsi al linguaggio realistico, non deve infatti essere interpretata come un’im- postazione metafisica o una presa di posizione ontologica. Il fatto che possano esserci sfere di oggetti, o meglio forme di ordi- namento, in numero a piacere, emerge al momento di porre la questione psicofisica: la serie di elementi con cui si costituisce la psiche e la serie di elementi con cui si costituisce il corpo sono due serie degli stessi

28 Ibidem. 29 Vasubandhu, Abhidharmakoṣa, cit. p. 94. 30 Carnap, La Costruzione logica del mondo, cit. p. 105. 31 Ivi, p. 324. 32 Ivi, p. 323. 33 Ibidem. 184 Marzia Michelizza elementi ordinate differentemente. Si può rilevare un parallelismo tra le due serie, ma Ai fini della costruzione del sistema di costituzione e quindi della soluzio- ne del problema monismo-dualismo del piano fisico e psichico, tale questione deve essere risolta in favore del monismo, stante l’unitarietà degli elementi fondamentali del sistema.34

Carnap introduce il problema del parallelismo, stando a questa premessa, attraverso l’uso di un esempio tuttora attuale: lo specchio ce- rebrale attraverso cui è possibile avere immagine di quanto avviene nel cervello. Per mezzo di tale esempio egli fa notare come il problema del parallelismo tra serie psichica e fisica può essere posto solo partendo da una situazione auto-psicologica. Infatti, in situazione etero-psicologica: Guardando, mediante lo specchio cerebrale, i processi cerebrali di una persona sperimentale e ascoltando contemporaneamente le indicazioni che essa fornisce intorno a ciò che avviene nella sua coscienza […] non ci stanno davanti due serie parallele appartenenti a campi diversi, bensì due serie parallele di processi fisici: la serie di percezioni visive di ciò che si presenta nello specchio del cervello e la serie di percezioni acustiche delle parole pronunciate dalla persona sperimentale.35

La situazione problematica cercata è, invece, auto-psicologica e coinvolge l’immaginazione: Io ascolto nella mia immaginazione una melodia, e, precisamente, riascolto sempre, poniamo, la stessa melodia (serie psichica) e simultaneamente osservo i processi nel mio cervello (serie fisica) nello specchio del cervello. […] Se consideriamo dal punto di vista costituzionale la situazione fondamentale ora descritta, rileveremo allora che in essa si presenta questo fatto: una serie tem- porale di vissuti elementari.36

Quest’unica serie di vissuti è ciò a cui si giunge anche partendo dalla situazione complessa del parallelismo, che non risulta più essere così problematico: si descrive in che modo si danno i vissuti, le cui forme di ordinamento sono, come si è detto, delle comode forme linguistiche utili a fini descrittivi ma non reali in senso assoluto. La questione del linguaggio risulta quindi centrale: si tratta di descrivere solo ciò che può essere ricon- dotto all’unica serie di elementi presenti, concettualizzandone la struttura nel modo più efficace e dando quindi una fondazione alle espressioni

34 Ivi, p. 323. 35 Ivi, p. 332. 36 Ivi, p. 333. Carnap e Vasubandhu: esperienza e coscienza 185 scientifiche o del linguaggio ordinario. Quando questa fondazione non è possibile non si è in presenza di asserti conoscitivi. Il soggetto empirico, dunque, è una forma di ordinamento dei dati elementari. Relativamente alle forme di ordinamento nelle scolastica dell’Abhidhar- ma, troviamo i dharma raggruppati in tre differenti tipologie descrittive: i dhātu, gli skandha e gli āyatana. «Skandha signifie ‘amas’, āyatana signifie ‘porte d’arrive’, ‘porte de naissance’; dhātu signifie ‘lignée’ ». Gli skandha, collezioni, sono gli aggregati che costituiscono il pugdala e servono alla sua descrizione e alla spiegazione della sua illusorietà. Gli āyatana sono la porta di nascita della conoscenza, le due esadi alla base della conoscenza. I dhātu descrivono la sfera specifica deidharma , per esempio il visibile, l’udibile. Questi tre termini, essendo solo modalità descrittive dei dharma, non hanno alcuna realtà propria. La necessità di questi insegnamenti è la possibilità di rivolgersi a differenti possibili uditori per rispondere ai tre tipi di errore presenti nel processo conoscitivo ordinario: L’erreur ou aberration est triple: les premiers se trompent en considérant les phénomènes mentaux comme constituant ensemble un moi; les deuxièmes s’abnsent pareillement sur les elements matériels; les troisièmes s’abnsent pa- reillement sur les elements mentaux et matériels.37

L’insegnamento degli skandha è indirizzato a coloro che compiono il primo errore, per mostrare che l’Io è relativo e non ha esistenza ultima. Il pudgala ha solo esistenza nominale, è illusorio, poiché è l’aggregato dei cinque skandha, i quali altro non sono che collezione di elementi istantanei. Gli āyatana mostrano a chi considera assolutamente reale l’oggetto esterno, che esso necessita in realtà di una struttura conoscitiva e che solo la coordinazione con la base soggettiva è in grado di costituire l’oggetto; l’oggetto è duplice, base interna e supporto esterno, nonostante appaia sintenticamente. Il terzo errore, il dualismo, viene sottolineato dai dhātu che mostrano la specie propria dei dharma nel flusso fenomenico: soggetto e oggetto sono elementi qualitativi di un flusso unico che non è mentale o materiale. A queste tre sfere descrittive, e a questi tre tipi di errore, si indirizza l’incipit di Vasubandhu in Vijñaptimatrasiddhi: «Nel Grande Veicolo viene stabilito che ciò che appartiene alle tre sfere è solo vijñapti»38 e la dimostrazione consisterà nel mostrare l’insostenibilità della realtà degli oggetti esterni e del pugdala. Il pugdala, si è detto, è un macro-aggregato, poiché frutto della composizione di cinque skan- dha (rūpaskandha, vedanaskandha, samjnaskandha, samskaraskandha,

37 Vasubandhu, Abhidharmakoṣa, cit., p. 40. 38 Vasubandhu, Vijñaptimatrasiddhi, cit. p. 1047. 186 Marzia Michelizza vijñānaskandha; rispettivamente materia, sensazioni, idee, volizioni e conoscenza-coscienza). Come specificato, questi cinque aggregati sono modalità di descrizione che possono essere associate alle forme di ordi- namento del sistema carnapiano. Nella filosofia buddhista il problema psico-fisico, infatti, non viene posto. Ciò in virtù della consapevolezza dell’illusorietà degli oggetti composti, fra i quali l’individuo. Partendo da elementi basilari ed evidenti, appartenenti tutti ad un unico flusso feno- menico, molteplici raggruppamenti risultano possibili. La scelta è fatta, come nel sistema carnapiano, in virtù dell’utilità esplicativa: si scelgono le descrizioni poiché «in tal39 modo vi è dapprima l’adesione all’inso- stanzialità (nayrātmya) dell’individuo (pugdala)»,40 poi all’insostanzialità dell’oggettività esterna. La chiave è fornita dalla comprensione della co- emergenza dei dharma: mostrandone infatti la reciproca dipendenza si sottolinea che non c’è esistenza indipendente e assoluta. Le sfere di oggetti presenti nel sistema carnapiano e le tre sfere de- scritte dalla scolastica buddhista hanno un importante punto comune: sono strutture utili a fini descrittivi, che si costituiscono attraverso l’uso del linguaggio ordinario. Le sfere di entrambi i sistemi, se considerate dal punto di vista ontologico, non hanno alcuna realtà ma sono costrutti di valore unicamente nominale. Tutta la conoscenza discorsiva non pre- senta altra virtù che l’utilità e l’efficacia. D’altro canto, essa deve fondarsi sull’evidenza dell’esperienza pura, presa nel suo manifestarsi.

5. Conoscenza ed esperienza Come si è detto sopra, gli asserti conoscitivi del sistema di Carnap, sono tali se possono essere fondati nell’esperienza, per questo la base del sistema è il flusso dei dati vissuti, impersonali e presi «così come son dati. Alle posizioni di realtà e irrealtà, che compaiono in essi, non viene dato l’assenso, bensì sono ‘poste tra parentesi’; vien dunque esercitata la ‘sospensione’ fenomenologica in senso husserliano».41 Si è visto che la scelta è dettata dalla primarietà epistemica e dalla convinzione nella vali- dità dell’esperienza come mezzo primario di fondazione della conoscenza. L’indecomponibilità dei vissuti è un indizio importante per comprenderne l’evidenza in quanto caratteristica unica e decisiva alla scelta. Infatti, le sensazioni sono costituite a posteriori mediante un procedimento di ‘quasi-analisi’ e individuate come ‘quasi-ingredienti’: «formando, dagli elementi, le classi di elementi e inoltre le relazioni tra queste classi, e

39 Il riferimento sono qui gli āyatana. 40 Ivi, p. 1053. 41 Carnap, La costruzione logica del mondo, cit. p. 176. Carnap e Vasubandhu: esperienza e coscienza 187 dunque lavorando in modo sintetico e non analitico. Noi possiamo dire: ‘la quasi analisi è una sintesi che indossa la veste linguistica dell’analisi’»,42 così all’interno del sistema «ogni altro oggetto è una formazione sintetica ottenuta a partire dagli elementi fondamentali, ed è analizzabile solo sino al punto in cui sono nuovamente raggiunti questi elementi fondamentali».43 La sintesi, dunque, si costruisce,44 in un procedimento che riconduce ad elementi dalla «indecomponibilità contenutisticamente determinata».45 Questa determinazione è garanzia della loro semplicità ed evidenza. Essi sono determinati dal loro contenuto qualitativo, si manifestano appunto così come sono dati, puri, poiché ogni costruzione concettuale è fatta sinteticamente su essi. Carnap esclude l’analisi di questo contenuto, poi- ché esso non è concettualizzabile ed è il fondamento stesso del mondo fenomenico che, attraverso asserti, si intende conoscere. Le considerazioni relative alla validità dell’esperienza come mezzo di conoscenza sono esplicite nei testi di Vasubandhu relativi all’assenza dell’oggetto percepito: «La cognizione della percezione diretta è come [quella che si verifica] in un sogno, ha luogo, cioè, anche senza un oggetto esterno», perché «è quando [sia nella veglia sia in sogno] si verifica questa percezione diretta [che è possibile verbalizzare dicendo]: ´Questa è la mia percezione diretta`», ma nel momento in cui avviene l’espressione linguistica «l’oggetto esterno non si percepisce. Come si ammette che esso sia percepito direttamente?»46 Il décalage tra momento percettivo puro ed espressione linguistica indica l’impossibilità di percepire direttamente un’oggettualità. Si deve, in altre parole, distinguere la percezione diretta da ciò che viene esplicitato attraverso il linguaggio e di cui si ha sempre conoscenza concettuale costruita. Diverso è per la sensazione pura, essa non è rivolta ad oggetti ed è conoscenza diretta sempre valida. Come spiega Dignāga,47 diretto discepolo di Vasubandhu: «Illusion, cognition of empirical reality, inference, its result, recollection and affection are appa- rent direct knowledge and are accompanied by obscurity (sa-taimira)».48

42 Ivi, p. 197. 43 Ibidem. 44 Benoist, L’Aufbau comme Phénoménologie, cit., p. 211. 45 Carnap, La Costruzione logica del mondo, cit. p. 196. 46 Vasubandhu, Vijñaptimatrasiddhi, cit., p. 1061. 47 Dignāga (vissuto a cavallo tra il IV e il V secolo) è stato probabilmente diretto allievo di Vasubandhu quando quest’ultimo era già anziano e molto celebre. Dissentì con il Maestro per questioni riguardanti la logica, branca dei suoi studi alla quale consacrò quasi ogni suo scritto. Se, infatti, la scuola direttamente afferente a Vasubandhu riconosce l’autorità alle scritture, pur dandone una particolare esegesi, Dignāga al contrario sostiene che esse debbano essere criticamente vagliate prima di essere ritenute valide. 48 Dignāga, Pramāṇasamuccaya, trad. inglese in M. Hattori, Dignāga’s theory of direct knowledge, in «Departmental Bulletin Paper», Osaka University, 7, 1959, pp. 1-20, 188 Marzia Michelizza

Il termine usato per ´conoscenza diretta` è ´pratiakṣa`, che è spesso usato per ‘percezione’. In questo contesto, accogliendo la traduzione di Stcherbatsky,49 è da intendere come ‘sensazione pura’. Inoltre per la percezione, nel senso di apprensione dell’oggetto, è più spesso utilizzato upalabdhi. Con pratiakṣa, infatti, si individua il momento di percezione precedente la concettualizzazione. La sua validità in quanto momen- to conoscitivo è rintracciata nell’evidenza, cioè nell’immediatezza e nell’assenza di illusione: «Illusive cognition, being caused through the conceptual understanding which takes, for instance, vapour floating over sands as a real water, is an apparent direct-knowledge».50 L’errore di per- cezione non è nella conoscenza diretta, bensì nel giudizio, poiché ciò che è direttamente conosciuto è privo di costruzioni concettuali, in questo senso non può essere né giusto né errato.51 Come indica Stcherbatsky: «Sense-perception, real sense-perception, is only the first moment of perception. In the following moments, when the attention is aroused, it is no more that pure sense-perception which it was in the first instant».52 Questo però può essere spiegato correttamente solo attraverso un ulteriore passaggio, quello verso l’auto-luminosità della conoscenza (svayam- prakāša). Si è sopra sottolineato che i dharma sono considerati auto-evidenti, in quanto elementi basilari precedenti alla costituzione della soggettività empirica, senza che la necessità della presenza di qualcuno che veda, oda, annusi, tocchi, gusti, pensi. Nella scuola Yogacāra, nella quale l’esistenza degli stessi dharma risulta negata, in quanto tutto è vijñapti, è il flusso di coscienza ad essere auto-luminoso. Pratiakṣa, dunque, non è un momento della perce- zione di un soggetto, ma conoscenza diretta e luminosa in quanto conoscenza del fluire della coscienza, in cui «all consciousness is self-consciousness».53 La distinzione, proposta dai filosofi indiani, tra conoscenza per esperienza e conoscenza concettuale, compare nell’Aufbau come assun- to basilare. Infatti, l’inanalizzabile contenuto dei vissuti a determina le costruzioni concettuali possibili che edificabili su di esso.

6. Soggetto fittizio e trasformazioni della coscienza Carnap avverte che il campo psichico di base non deve essere confuso con un campo soggettivo riguardante un io empirico particolare: http://hdl.handle.net/10466/12030, p. 14. 49 Stcherbatsky, Buddhist Logic, , vol. I, p. 149 50 Dignāga, Pramāṇasamuccaya, cit., p. 15. 51 T. Stcherbatsky, Buddhist Logic, Munshiram Manoharlal Publishers, New Delhi 1996, p. 143. 52 Ibidem. 53 Ivi, p. 163. Carnap e Vasubandhu: esperienza e coscienza 189

Le espressioni ‘base psichica propria’ e ‘solipsismo metodico’ non devono essere interpretate come se all’inizio venisse adoperata una separazione dell’ipse, dello “io” dagli altri soggetti, o come se uno dei soggetti empirici fosse messo in rilievo e inteso come ciò che, dal punto di vista della teoria della conoscenza, debba valere come soggetto. All’inizio non si può parlare né di io né di altri soggetti.54

La base del sistema è, come si è detto in precedenza, priva di un Sé identitario e personale, individuabile solo a sistema completato: Una volta avvenuta la costruzione dell’intero sistema di costituzione, si pre- sentano diversi campi, che noi, in conformità alla designazione corrispondente, chiamiamo il campo fisico, il campo psichico, e precisamente psichico proprio e psichico altrui, e il campo spirituale.55

Si è visto che l’esigenza di perseguire la primarietà epistemica fa sì che ad essere posto per primo sia lo psichico proprio, e solo successiva- mente lo psichico altrui, mediato dal campo fisico. Infatti, il motivo per cui il problema psico-fisico è posto esclusivamente in situazione auto- psicologica è che la psiche altrui viene costituita sulle manifestazioni fisiche di un oggetto, il corpo. Si potrebbe dire che essa viene postulata poiché non è possibile trovare un motivo per costituirla che non sia dettato dall’intersoggettività prevista tra gli scopi del sistema. Rimane certo, comunque, che l’essere costruita ad un livello successivo rispetto al campo psichico proprio ha come conseguenza il fatto che la «intera serie di dati vissuti dell’altro individuo umano non consiste qui in altro che in un ordinamento dei miei dati vissuti e dei loro ingredienti».56 Infatti: I processi psichici attribuiti sono psichici propri e ciò è per la ragione che un qualcosa di psichico, che non sia il campo psichico proprio, non è ancora costituito e non può nemmeno essere costituito prima dell’attribuzione in pa- rola, giacché non esiste alcun’altra possibilità per la sua costituzione che quella effettuata appunto mediante quell’attribuzione.57

La psiche propria al soggetto empirico è epistemicamente equi- valente alla psiche altrui, nonostante il campo psichico primario sia il campo psichico proprio, poiché questo non è il mio. Si tratta di rendere evidente il modo in cui si conosce l’altro, cioè di esplicitare che il vissuto ha un punto di vista privilegiato, che è sempre proprio: il mio dolore è

54 Carnap, La costruzione logica del mondo, cit., p. 178. 55 Ivi, p. 179. 56 Ivi, p. 285. 57 Ibidem. 190 Marzia Michelizza manifesto come serie di dati vissuti dolorosi, mentre il dolore dell’altro è una serie di dati vissuti visivi e uditivi del suo comportamento. Dati che fanno parte sempre dello stesso unico campo ma che in quanto auto- evidenti, una volta costituita la soggettività empirica, diventano i ‘miei’, indicando con ciò la coincidenza fattuale del punto di vista del soggetto empirico con quello che si ha dal campo psichico proprio. Infatti, le costituzioni che vengono effettuate nel linguaggio logico sono «assunte come processi direttamente manipolabili».58 In prima istanza siamo condotti al problema del soggetto capace di manipolare tali processi: si tratta di un soggetto finzionale, che compare nel momento di parafrasare il linguaggio logico59 e che descrive degli inventari di oggetti attraverso «prescrizioni operative relativamente al modo in cui egli deve elaborare il dato facendone degli oggetti».60 Tutto ciò avendo cura che La necessità di operare mediante un’astrazione la separazione tra il puro dato e le componenti sintetiche, e dunque le forme della costituzione, viene espressa nel quadro della supposizione, mediante la finzione della separazione temporale del dato dalla elaborazione: nella prima parte della sua vita A raccoglie soltanto dei dati, senza elaborarli, e nella seconda parte della sua vita elabora il materiale, che ha custodito, conformemente alle prescrizioni che noi abbiamo da impartirgli, senza raccogliere, durante questo secondo periodo altri dati.61

Il soggetto finzionale non è quindi il soggetto empirico, ma di esso prende le parti, tanto che prima accumula dati e poi li elabora secondo prescrizioni impartite. È così sia un contenitore che un ordinatore di dati che nella soggettività empirica non si presentano mai prima dell’elabora- zione, ma sempre come sintesi immediata. Siamo quindi in presenza di un soggetto meta-empirico di difficile interpretazione. Esso viene posto da Carnap come una finzione, infatti risulta difficile considerarlo un soggetto trascendentale. D’altro canto, esso indica la necessità di porre entrambe le modalità del soggetto e dell’oggetto, la psiche propria e quella altrui, acco- munandole nella più ampia classe degli oggetti psichici. Questo però può essere effettuato solo mediante l’analogia con cui si inferisce, nel linguaggio realistico che si vorrebbe ordinare, che il comportamento è segno di una psiche. Il soggetto finzionale, dunque, è un soggetto che usa il linguaggio logico descrivendo il flusso fenomenico, attività che però è interna alla corrente dei dati vissuti. Infatti, solo attraverso il linguaggio estensionale risulta possibile costituire la soggettività empirica propria e la soggettività

58 Carnap, La costruzione logica del mondo, cit, p. 233. 59 Benoist, L’Aufbau comme Phénoménologie, cit., p. 214. 60 Carnap, La costruzione logica del mondo, cit., p. 235. 61 Ibidem. Carnap e Vasubandhu: esperienza e coscienza 191 altrui: il riferimento appartiene al linguaggio realistico in cui soggetto e oggetto sono già costituiti. Il fatto che i vissuti si diano sinteticamente nella vita ordinaria mostra che il soggetto finzionale dovrebbe essere esterno al piano empirico relativo, cioè all’unica corrente di vissuto su cui il piano relativo è costruito. In quest’unico flusso non vi è differenza tra psiche propria o altrui, in quanto il soggetto empirico è un’illusione. In tal modo il problema solipsistico resta aperto: l’altro è una costruzione concettuale sempre successiva, e operata per mera analogia, a partire da un vissuto proprio che, nella contingenza empirica, risulta essere il ‘mio’ vissuto. La problematica della soggettività costituente è accostabile alla questio- ne della coscienza auto-luminosa presente nella scuola Yogacāra. Vasuban- dhu sostiene la tesi che «gli stessi dharma abbiano una realtà immaginata»:62 Poiché si aderisce all’insostanzialità anche della sola rappresentazione men- tale (vijñaptimātra) quando la sua realtà è immaginata da un’altra rappresentazio- ne mentale, si aderisce all’insostanzialità di tutti i dharma con la determinazione che tutto ciò che esiste è solo rappresentazione mentale. Altrimenti, infatti, anche di una rappresentazione mentale vi sarebbe un’altra rappresentazione mentale, vale a dire un oggetto (artha), e dunque risulterebbe non dimostrato che tutto è solo rappresentazione mentale, poiché le rappresentazioni mentali sarebbero dotate di oggetti.63

Gli stessi dharma sono un’astrazione, poiché la rappresentazione non ha una controparte oggettiva. Tuttavia, si afferma l’insostanzialità anche dell’io empirico, di un soggetto cioè in grado di rappresentarsi qualcosa, infatti esso è ‘immaginato’ in una rappresentazione mentale e non può quindi esserne un oggetto. La spiegazione è data dal fatto che «la rappre- sentazione mentale che ha l’apparenza della forma sorge dal ‘seme che le è proprio’, che si ottiene da una particolare trasformazione del continuum mentale».64 Si tratta di una «trasformazione della coscienza (vijñāna). Tale trasformazione è triplice: maturazione (vikalpa), cogitazione (manana) e rappresentazione coscienziale (vijñapti)».65 La prima trasformazione è quella su cui occorre concentrarsi in questa sede. Si tratta infatti del motivo per cui la scuola Yogacāra è stata etichettata come idealista, poiché ha ricevuto l’interpretazione di una coscienza trascendentale. Fra queste [tre trasformazioni], la maturazione è chiamata ‘coscienza- deposito’ (alaya-vijñana), poiché detiene tutti i semi delle passate esperienze. Essa infatti, contiene la rappresentazione coscienziale del sostrato dell’esistenza

62 Vasubandhu, Vijñaptimatrasiddhi, cit. 1054. 63 Ibidem. 64 Vasubandhu, Vijñaptimatrasiddhi, p. 1053. 65 Vasubandhu, Triṃśikā, cit., p. 1071. 192 Marzia Michelizza

(upādi) e della struttura del mondo fisico sth( āna): sia il primo sia la seconda sono ancora privi di una reale percezione.66

Come abbiamo citato all’inizio del saggio, ātman e dharma sono due termini usati metaforicamente all’interno della trasformazione della co- scienza.67 La natura della coscienza non è dunque da intendere come una coscienza psicologica, ma piuttosto come una struttura in cui si svolge il flusso fenomenico. Questa struttura è, appunto, detta ‘coscienza’ in virtù del contenuto fenomenico auto-evidente: come sottolinea Stcherbatsky,68 l’intera conoscenza è ridotta ad un osservazione del funzionamento men- tale. Il problema, per il quale le rappresentazioni coscienziali sono prive di una reale percezione, è di natura linguistica. Nel flusso dei vissuti, prima che avvenga una conoscenza discorsiva, non possono essere indi- viduati nemmeno dei costituenti basilari, poiché non vi è un linguaggio referenziale a disposizione. Il linguaggio della coscienza non è, se c’è, il linguaggio referenziale usato all’interno di essa. La rappresentazione coscienziale, dunque, non appartiene ad alcun soggetto particolare. L’affinità con l’Aufbau risulta quindi plausibile, poiché alaya-vijñana si avvicina al momento della vita del soggetto fittizio A in cui raccoglie i dati puri, non sinteticamente collegati in oggetti. Questa vita compare, nella letteratura buddhista, in quanto «simile al flusso di un torrente, e la sua scomparsa si verifica nello stato di »:69 come il flusso delle acque porta con se i detriti, alaya-vijñana porta con sé i vissuti.70 L’esplicita dichia- razione della sua scomparsa deve essere ritenuto indice della sua natura non assoluta: non si tratta, quindi, di una coscienza puramente immanente che possa condurre ad una posizione idealista. Anch’essa ha, infatti, solo una natura fittizia, esplicativa, del tutto analoga al soggetto carnapiano. La seconda parte della vita del soggetto A, lo ricordiamo, consisteva nell’uso delle prescrizioni per costituire gli oggetti. Nella coscienza in mutamento di Vasubandhu, questo compito è affidato alla coscienza cogitante: «Basandosi su questa [coscienza deposito], si svolge una coscienza che ha come suo oggetto proprio [la coscienza deposito] ed è chiamata manas (mente) avendo come natura la cogitazione».71 È in questa trasformazione che si individua la costituzione dell’io:

66 Ibidem. 67 Ibidem. 68 Stcherbatsky, Buddhist Logic, cit. vol. I, p. 173. 69 Vasubandhu, Triṃśikā, cit. p. 1072. Lo stato di Arhat si ottiene quando è ottenuta la conoscenza sia della distruzione dei fenomeni fisici e mentali, che della non-nascita. È quindi la conoscenza finale, dove ogni distinzione discorsiva è stata superata. 70 Gnoli, La rivelazione del Buddha, cit. p. 1082. 71 Vasubandhu, Triṃśikā, cit., p. 1072. Carnap e Vasubandhu: esperienza e coscienza 193

Questa forma di coscienza è sempre connessa con quattro afflizioni (kleśa), le quali sono a loro volta oscurate e indeterminate, tali afflizioni sono [anche] definite errata credenza in un sé ā( tmadṛṣṭi), confusione mentale cir- ca il sé (ātmamoha), orgoglio relativo al sé (ātmamāna) e attaccamento al sé (ātmasneha).72 Come nell’Aufbau, il primo oggetto che si costituisce è la psiche propria e solo dopo essa si può costituire il mondo oggettivo: «La terza trasformazione coincide con la percezione (upalabdhi) dei sei oggetti sensoriali che può essere buona, non-buona o né buona né non-buona».73 Le trasformazioni, quindi, sono i passaggi che progressivamente struttu- rano il mondo fenomenico, così come espresso nel linguaggio ordinario. Condividono con il soggetto fittizio carnapiano un’ulteriore, importante caratteristica: «questa triplice trasformazione della coscienza è solo pen- siero discorsivo (vikalpa)»,74 specificando inoltre che «ciò che è frutto di pensiero discorsivo, proprio per questo non può esistere: quindi, tutto è mera rappresentazione coscienziale (vijñaptimatra)».75 La stessa coscienza non è che pensiero discorsivo, poiché non è esterna al flusso che descrive e costruisce, è illusoria e finta come il soggetto A. Essa risulta, tuttavia, necessaria al fine di sottolineare l’impossibilità di uscire dalla propria posizione epistemica e l’impedimento a conoscere, attraverso un linguag- gio, la natura del flusso del vissuto. La questione del solipsismo non è così risolta, ma scavalcata: siamo nella dualità, frutto di una costruzione concettuale da cui non sappiamo uscire. Questa posizione ci impedisce la conoscenza della mente, sia propria che altrui: a causa dell’ignoranza che si ha nei suoi riguardi, questa, o meglio entrambe [sia la conoscenza della propria mente sia la conoscenza della mente altrui] sono non corrette [per le persone ordinarie], assumono, in altre parole, la falsa apparizione [di io-tu, mio-tuo, soggetto-oggetto e così via], poiché la dicotomia tra oggetto e soggetto di percezione non è ancora stata abbandonata.76

6. Conclusione Si è visto come, a causa dell’inesprimibilità del suo contenuto, la relatività delle nostre conoscenze debba essere attribuita al vissuto. L’evidenza del vissuto sottolinea il punto di vista, situato, del soggetto

72 Ibidem. 73 Vasubandhu, Triṃśikā, cit., p. 1073. 74 Ivi, p. 1074. 75 Ibidem. 76 Vasubandhu, Vijñaptimatrasiddhi, cit. p. 1064. 194 Marzia Michelizza empirico all’interno del fluire della corrente d’esperienza. Questo può essere superato solo per mezzo di una finzione che attribuisce al flusso del vissuto un linguaggio che non gli è proprio. Si tratta quindi di una finzione che, nel pensiero buddhista, deve essere anch’essa distrutta, così come avviene per ogni costruzione concettuale. Questa distruzione comporta anche la svalutazione di ogni ontologia, sia di tipo realista che idealista. La priorità del vissuto e la sua posizione basilare non ha condotto al costituirsi di una nozione di coscienza generale, intesa come sostrato del vissuto. L’io non è un fatto originario dei vissuti e, essendo questi indecomponibili, non è possibile trovarvi qualcosa di ‘interno’. La co- scienza individuale è frammentata in funzioni, il concetto di coscienza diventa quindi strutturale: essa non è interna ad un soggetto ma è la struttura che ne rende possibile la costituzione sempre posteriore. L’im- pressione che il vissuto sia interno ad un soggetto è un’illusione creata dalle espressioni ordinarie. Tuttavia, in quanto basilare, il flusso del vissuto non viene eliminato in favore di una sua descrizione ontologica in termini materialisti o realisti. Le conoscenze, infatti, sono relativizzate alla struttura di possibilità dettata dal flusso fenomenico, inteso come contenuto qualitativo manifesto. È necessario quindi arginare le tendenze reificanti, che derivano dalla dualità soggetto-oggetto, a favore di una consapevolezza della struttura epistemica che indica i limiti di analisi e sintesi. Ciò che è in questione, quindi, non è l’accesso del soggetto al mondo, in quanto lo stesso soggetto è un oggetto costruito esattamente come lo è il mondo. Il soggetto trascendentale, vuoto e formale, è del tutto assente, in quanto la coscienza risulta interamente determinata dalla pienezza del proprio contenuto, senza che questo abbia la possibilità di essere mai trasceso.

Bibliografia Benoist J., L’Aufbau comme phénoménologie, in Carnap et la construction logique du monde, ed. by S. Laugier, Vrin, Paris 2001. Carnap R., Der Logische Aufbau Der Welt, Felix Meiner, Hamburg, 1961, trad. it. La costruzione logica del mondo, ed. Fratelli Fabbri Editori, Milano 1966 Falk M., Il Mito psicologico dell’India antica, Adelphi Edizioni, Milano 1986. Gnoli R., La rivelazione del Buddha, Arnoldo Mondadori Editore, Milano 2004. Hattori M., Dignāga’s theory of direct knowledge, in «Departmental Bul- letin Paper», Osaka University, 7, 1959, pp.1-20, http://hdl.handle. net/10466/12030. Kajiyama Y., Buddhist Solipsism, «Journal of Indian and », Tokyo, 13, jan, 1965, pp. 420-435. Mach E., Die Analyse der Empfindungen und das Verhältnis des Physischen zum Psychischen, Fisher, Jena 1906, trad. it. Analisi delle sensazioni e rapporto fra fisico e psichico, Feltrinelli, Milano 1975. Carnap e Vasubandhu: esperienza e coscienza 195

Stcherbatsky T., Buddhist Logic, Munshiram Manoharlal Publishers, New Delhi 1996. Stcherbatsky T., The Central Conception of Buddhism, ed. Susil Gutpa Ltd., India, 1923, trad. it. La concezione centrale del buddhismo, Ed. Ubaldini, Roma 1977. Vasubandhu, Abhidharmakoṣa, trad. fr. La Vallée Poussin, L’Abhidharmakoṣa de Vasubandhu, Paul Gethner, Paris, 1923. Vasubandhu, Vijñaptimatrasiddhi, trad. it. F. Sferra, a cura di R. Gnoli, La rive- lazione del Buddha, Arnoldo Mondadori Editore, Milano, 2004. Vasubandhu, Triṃśikā , trad. it. F. Sferra, a cura di R. Gnoli, La rivelazione del Buddha, Arnoldo Mondadori Editore, Milano, 2004. Yoshimizu C., Defining and redefining svalaksana: Dharmakirti’s concept and its Tibetan modification, in Three mountains and seven rivers : Prof. Musashi Tachikawa’s felicitation volume, ed. by Shoun Hino, Toshihiro Wada, Motilal Banarsidass Publishers, Delhi, 2004.