L'europa E La Serenissima La Svolta Del 1509
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ISTITUTO VENETO DI SCIENZE, LETTERE ED ARTI L’EuropA E LA SERENISSIMA LA SVOLTA DEL 1509 Nel V centenario della battaglia di Agnadello a cura di GIUSEPPE GULLINO VENEZIA 2011 ISBN 978-88-95996-25-7 Il volume riporta le relazioni presentate al Convegno di studio Nel V centenario della battaglia di Agnadello promosso dall’Istituto Veneto di Scienze, Lettere ed Arti (Venezia, 15-16 ottobre 2009) Iniziativa effettuata con il contributo della Regione del Veneto © Copyright Istituto Veneto di Scienze, Lettere ed Arti - Venezia 30124 Venezia - Campo S. Stefano 2945 Tel. 0412407711 - Telefax 0415210598 [email protected] www.istitutoveneto.it INDICE GIUSEPPE GALASSO Il quadro internazionale . Pag. 3 GIUSEPPE GULLINO La classe politica veneziana, ambizioni e limiti . » 19 GIOVANNI ZALIN Il quadro economico dello Stato veneziano tra Quattrocento e Cin- quecento . » 35 AN G IOLO LENCI Agnadello: la battaglia . » 75 GIAN MARIA VARANINI La terraferma di fronte alla sconfitta di Agnadello . » 115 MARIA PIA PEDANI Venezia e l’Impero ottomano: la tentazione dell’impium foedus. » 163 ANTONIO MENNITI IPPOLITO Il papato . » 177 ANTONIO CON Z ATO Usurpazione o riorganizzazione? Il Consiglio dei Dieci e la gestione della politica estera veneziana negli anni di Agnadello . » 191 WOLF G AN G MÄHRLE «Deus iustus iudex» . La battaglia di Agnadello e l’opinione pubblica nei paesi tedeschi . » 207 VI INDICE GINO BEN Z ONI Parole per dirlo (e figure per tacerlo) . Pag. 229 MANLIO PASTORE STOCCHI Riflessi letterari della battaglia di Agnadello . » 337 Indice dei nomi . » 349 Elenco dei relatori . » 367 L’EuropA E LA SERENISSIMA LA SVOLTA DEL 1509 Nel V centenario della battaglia di Agnadello GIU S EPPE GALA ss O IL QUADRO INTERNAZIONALE Non è molto frequente l’osservazione che nella Lega di Cambrai si debbono distinguere due aspetti, uno italiano e l’altro europeo; anzi, per la verità, non lo è affatto. Luigi Simeoni, che è uno dei pochi a farla, vede l’aspetto italiano nella «coalizione contro Venezia, in apparenza suscitata dalle numerose rivendicazioni contro di essa»; e l’aspetto eu- ropeo nel fatto che, «appena sono appagati i creditori meno esigenti, il papa e la Spagna, essa ritorna ad essere una fase della crisi dell’assetto europeo, in quanto si muta in una coalizione antifrancese e prosegue come tale» fino alla pace di Noyon, e poi fino a Cateau Cambrésis1. La distinzione tra la dimensione europea e quella italiana della Lega promossa da Giulio II contro Venezia è certamente utile e fondata; e, tuttavia, finisce con l’apparire estremamente difficile, appena se ne ap- profondiscono i presupposti e il significato nello svolgersi della politica europea e italiana di quegli anni. E ciò per il semplice fatto che la con- tesa italiana non fu mai, in nessun momento della fase storica apertasi con l’impresa di Carlo VIII contro Napoli, altra cosa che la contesa europea. L’Italia divenne, infatti, fin dall’inizio di questa fase, l’oggetto dominante della contesa europea, al punto che decidere dell’egemonia o dell’equilibrio in Italia coincise sempre più chiaramente, nella politi- ca italiana ed europea, col decidere dell’egemonia o dell’equilibrio in Europa2. È da credere che alla raffigurazione e all’interpretazione strettamen- te italiana della Lega abbiano fortemente contribuito i commenti che 1 Cfr. L. SIMEONI , Le Signorie, Milano 1950, p. 793. 2 Si vedano al riguardo le nostre considerazioni, ad esempio, in G. GALA ss O , La crisi italiana e il sistema politico europeo nella prima metà del secolo XVI, in ID., Dalla «libertà d’Italia» alle «preponderanze straniere», Napoli 1999, pp. 15-59. 4 GIUSEPPE GALASSO nell’Italia del tempo si fecero alla giornata di Agnadello: che è quanto dire i commenti segnati principalmente nelle pagine dei due grandi dio- scuri della storiografia italiana di allora, il Machiavelli e il Guicciardini. Né per ciò c’è nulla da sorprendersi, considerato che quegli anni furo- no caratterizzati da un susseguirsi ininterrotto di grandi eventi milita- ri e politico-diplomatici polarizzati tutti, come si è detto, sul destino dell’Italia. Non per nulla le milizie veneziane si mossero allora al grido di Italia e libertà; e Defensio Italiae avrebbe voluto che fosse scritto sulle bandiere marchesche Alvise Mocenigo3: suggestione che fu prudente- mente respinta per non avallare, con una tale insegna, l’imputazione che si faceva a Venezia di non mirare ad altro che, appunto, al predominio in Italia, alla «monarchia d’Italia», come allora si diceva4. E non per nul- la l’esito militare di una giornata fu sorprendente per gli effetti alquanto sproporzionati, che finì con l’avere sul piano politico-diplomatico, e per la maldestra condotta militare del comando veneziano, che avrebbe po- tuto, secondo il parere dei più, decisamente volgere a suo favore la bat- taglia se avesse riversato sul campo tutte le forze di cui disponeva. Ma la battaglia provò anche il vigore politico del regime veneziano. Quella battaglia fu, infatti, come ricorda il Volpe, «sanguinosissima […] come da tempo non se ne vedeva fra noi, anche se non è da accettare la defi- nizione quasi di giostre che di quelle del ’400 in Italia fu data allora»; e fu pure «battaglia combattuta anche da parte veneziana» con gran- de valore, nella quale «migliaia di fanti romagnoli caddero sul posto»5, dimostrando un attaccamento alle bandiere per cui combattevano in- consueto per truppe mercenarie, ed effetto, certamente, di quel vigore politico che, come si è detto, caratterizzava la conduzione delle cose da parte del governo veneziano. Ancora meno c’è, inoltre, da sorprendersene, se si nota che in par- ticolare per il Machiavelli la giornata del 14 maggio 1509 aveva subito assunto il valore di una dimostrazione decisiva di alcuni punti fonda- mentali delle sue idee politiche e militari. Così, ad esempio, per la ne- cessità, venendosi a battaglia coi francesi, di temporeggiare e lasciar 3 G. VOLPE , Storia d’Italia, II, Roma 1970, pp. 133-134. 4 La «monarchia d’Italia» è espressione che ricorre nella lettera scritta, il 15 novembre 1503, da Marcello Virgilio a nome dei Dieci al Machiavelli, allora in missione a Roma, e rela- tiva all’espansione dei veneziani in Emilia e Romagna, che, si dice, «li conduce alla monarchia d’Italia»: N. MACHIA V ELLI , Opere, II, a cura di C. VI V ANTI , Torino 1999, pp. 857-858. Per una contestualizzazione della Venetorum immoderata dominandi cupiditas si veda pure A. AUBERT , La crisi degli antichi stati italiani (1492-1521), Firenze 2003, pp. 177-221. 5 VOLPE , Storia d’Italia, II, p. 134. IL QUADRO INTERNAZIONALE 5 spegnere il loro primo impeto e ardore, poiché in tal modo essi di- ventano «umili», addirittura «vili», e, per di più, non sopportando i «disagi et incommodi loro», finiscono col trascurare «le cose in modo che è facile, col trovargli in disordine, superargli»6; così, la diffidenza che sempre si deve avere per le armi mercenarie e per i loro capitani, che anche nel caso dei veneziani, come negli altri qui citati, davano da «temere della perdita, non del guadagno» di chi li assoldava, «perché da queste arme nascono solo e’ lenti, tardi e deboli acquisti e le súbite e miracolose perdite»7; così, la riprovazione della politica dei veneziani volta ad alimentare le discordie e le lotte civili nei propri dominii al fine di possederli con maggiore facilità e sicurezza: il che, però, proprio Agnadello doveva dimostrare che «non tornò loro poi a proposito», poiché una parte dei dominii «prese aridre e tolse loro tutto lo stato»8. Agnadello era, però, servita soprattutto a mostrare come i Veneziani, insolenti e prepotenti nella buona fortuna, e fino a quando pensarono ed ebbero «nello animo di avere a fare una monarchia simile alla roma- na», appena, però, avevano avuto una mezza rotta a Vailà dal re di Francia, perderono non solamente tutto lo stato loro per ribellione, ma buona parte ne dettero al papa ed al re di Spagna per viltà ed abiezione d’animo; ed in tanto invilirono che mandarono imbasciadori allo imperatore a farsi tributari, scris- sono al papa lettere piene di viltà e di sommissione per muoverlo a compassione9. Un giudizio, come si vede, impietoso, che Machiavelli cerca anche di motivare in dettaglio, e rispetto al quale non differisce gran che quan- to intorno ad Agnadello dice il Guicciardini. Per il fatto d’armi questi sottolinea, però, in particolare il comportamento non dei mercenari, ma della «fanteria italiana» dell’esercito veneziano, la quale – dice – pur ridotta a combattere con grandissimo disavvantaggio, nondimeno resistendo con grandis- sima virtù, ma già avendo perduto la speranza del vincere, più per la gloria che per la salute, fece sanguinosa e per alquanto spazio di tempo dubbia la vittoria de’ franzesi; e ultimatamente, perdute prima le forze 6 MACHIA V ELLI , Ritracto di cose di Francia, § 8. 7 ID., Il Principe, cap. XII. 8 Ibid., cap. XX. 9 ID., Discorsi, III, 31. 6 GIUSEPPE GALASSO che il valore, senza mostrare le spalle agli inimici rimasono quasi tutti morti in quel luogo. Ragion per cui, conclude il Guicciardini, era opinione di molti che, se alla «resistenza tanto valorosa di una parte sola dell’esercito» aves- se corrisposto l’ingresso di tutte le truppe veneziane nella battaglia, la sorte della giornata sarebbe stata favorevole a Venezia10. E così pure sulle reazioni veneziane all’infausta prova del 14 maggio 1509 egli, pur non divergendo, come si è detto, nella sostanza dal Machiavelli, tuttavia riconosce – con una notazione destinata, come vedremo, a un lungo fu- turo – che i veneziani avevano allora «raccolto in tanto timore il meglio potevano l’animo»11, salvo poi, dopo la caduta imprevista e subitanea della rocca di Peschiera, a restare ancora più «attoniti per tanti mali» e a considerare «disperate le cose loro», per cui, «astretti più da timidità che da consiglio, […] deliberarono […], con disperazione forse troppo presta, di cedere allo imperio di terra ferma»12.