Conservazione Dei Beni Architettonici E Del Paesaggio Conservazione Dei Beni Architettonici E Del Paesaggio Xxv Ciclo
Total Page:16
File Type:pdf, Size:1020Kb
UNIVERSITA’ DEGLI STUDI DI NAPOLI FEDERICO II DOTTORATO DI RICERCA IN STORIA E CONSERVAZIONE DEI BENI ARCHITETTONICI E DEL PAESAGGIO CONSERVAZIONE DEI BENI ARCHITETTONICI E DEL PAESAGGIO XXV CICLO TERREMOTO E RICOSTRUZIONI IN IRPINIA IL RESTAURO E I PIANI DI RECUPERO DEI CENTRI STORICI MINORI. Coord.: Prof. Ing. Aldo Aveta Tutors: Prof. Arch. Stella Casiello Prof. Arch. Andrea Pane Dottoranda: Arch. Valentina Corvigno 1 INDICE Premessa e obiettivi 1: L’EVENTO SISMICO DEL 23 NOVEMBRE 1980 2: L’IRPINIA E I SUOI CENTRI STORICI 2.1: Quadro storico generale 2.2: Il paesi del “cratere”: cenni storici sui casi-studio 2.2.1: Conza della Campania 2.2.2: Sant’Andrea di Conza 2.2.3: Sant’Angelo dei Lombardi 2.2.4: Calitri 2.2.5: Teora 2.2.6: Lioni 3: IL RESTAURO DEI CENTRI STORICI MINORI E LA LEGGE PER LA RICOSTRUZIONE 3.1: Il dibattito sulla tutela dei centri storici, dalle origini al 1980: una rilettura critica 3.2: Le precedenti esperienze di ricostruzione: il Belice e il Friuli 3.3: Il recupero dei “paesi presepe”: il dibattito culturale successivo al sisma 3.4: la legge 219/81: i piani di recupero e la tutela dei centri storici 4: LA RICOSTRUZIONE NELLE ZONE DEL CRATERE IRPINO: ANALISI CRITICA DEI SEI CASI STUDIO 4.1: Criteri di scelta 4.2: Conza della Campania: la delocalizzazione e il parco archeologico 4.3: Sant’Andrea di Conza: un recupero “misurato” 4.4: Sant’Angelo dei Lombardi: il“modello” della ricostruzione; 4.5: Calitri: la perdita di identità del nucleo antico; 4.6: Teora: la dialettica antico-nuovo secondo Giorgio Grassi e Agostino Renna 4.7: Lioni: una ricostruzione “in loco”, la “diradazione edilizia” e le ristrutturazioni urbanistiche 5: PROSPETTIVE E FUTURI SCENARI Bibliografia 2 Premessa e obiettivi A distanza di trent’anni dall’evento sismico del 23 novembre 1980 e soprattutto a trent’anni da quella che fu la legge di ricostruzione per antonomasia, la n. 219 del 14.05.1981, lo studio in oggetto si pone l’obiettivo di analizzare lo stato attuale dei centri storici irpini, interessati prima dalla distruzione provocata dal terremoto, poi dagli interventi previsti dai Piani di Recupero, dettati proprio dalla legge di ricostruzione per le zone terremotate, valutando, tra l’altro, - quali furono i principi ispiratori dei piani; - se e dove tali piani abbiano rispettato i principi ispiratori; - quali furono l’iter e le modalità di intervento dei piani; - quali sono i risultati ottenuti dalla realizzazione dei suddetti piani. Il 23 novembre del 1980, un sisma di intensità pari al X grado della scala Mercalli colpì quella parte del meridione italiano definita da Manlio Rossi Doria, l’”osso d’Italia”, con epicentro individuato nel cuore dell’Appennino campano-lucano, tra i comuni di Conza della Campania (AV) e Laviano (SA), riducendo molti paesi a sole macerie. Non vi è dubbio che il sisma suddetto, oltre a colpire un territorio vastissimo, comprendente ben tre regioni, Campania, Basilicata e Puglia, svelò il dramma delle comunità dell’entroterra meridionale, caratterizzato da quelli che si usavano definire “paesi- presepe”, contornati da scenari suggestivi, con centri storici suddivisi da intricati sistemi di viuzze, impreziositi da rocche, castelli e antichi edifici, con “antichità” ancora da dissotterrare, serenità e semplicità di rapporti umani. Questi luoghi furono portati a conoscenza dell’intera nazione dal catastrofico sisma e svelarono una realtà che poco aveva di bucolico e sereno, sia perché squassata dal terremoto sia perché già affetta da un degrado atavico, molto spesso caratteristica delle piccole realtà d’entroterra, dimenticate e poco incentivate allo sviluppo. Un primo sopralluogo rilevò 36 comuni disastrati e 280 danneggiati1, per un totale di 316 comuni terremotati; sopralluoghi successivi costrinsero ad ampliare l’area interessata, fino a contare 687 comuni interessati dal sisma2, divisi a loro volta in gruppi caratterizzati da diversa gravità di danno: “disastrati” (37 comuni), ossia contraddistinti da un danno al costruito superiore all’80%, “gravemente danneggiati” (314), con danni al costruito tra il 40% e l’80%, “danneggiati” (336), con danni al costruito inferiori al 40%. L’area del “cratere”, come si definì la zona epicentrale, comprese molti dei comuni dell’”alta irpinia”, parte a sua volta della provincia di Avellino, certamente la più danneggiata: di 1 Il 13 febbraio 1981, il Consiglio dei Ministri rende noto, con un decreto, l’elenco dei comuni colpiti dal sisma, dividendoli in due allegati: Allegato A per i comuni “disastrati” di cui 19 in provincia di Avellino, 9 in provincia di Salerno e 9 in provincia di Potenza, Allegato B per i comuni “gravemente danneggiati”. 2 D.P.C.M. 30.04.1981, in G.U. n.126 del 09.05.1981 3 119 comuni, 18 furono classificati come “disastrati”, 99 come “gravemente danneggiati” e solo due come “danneggiati”. Il “cratere”, come quasi tutta la provincia di Avellino, era, ed è tutt’ora, un vasto territorio disseminato di piccoli nuclei urbani, tutti di antichissima fondazione, spesso conservati nella loro integrità ambientale, formata da densissima stratificazione edilizia che contraddistingue solitamente i luoghi di secolare persistenza abitativa3: raccoglie i paesi nati attorno alle sorgenti di due importanti fiumi, il Sele e l’Ofanto; da questi e dal territorio, costellato di piccoli monti e colline, i comuni del cratere prendono le loro caratteristiche principali, poiché fu per queste due principali ragioni che in epoche lontanissime vi si insediarono i primi nuclei abitativi. Questi ultimi, crescendo, ebbero a far parte tutti della stessa storia che li vede uniti e dipendenti da quello che è poi il vero epicentro del terremoto: Conza della Campania, uno dei gastaldati più importanti della Langobardia minor, che dal V al IX secolo vide formarsi, in senso compiuto, quasi tutti i paesi dell’Irpinia. Questi ebbero uno sviluppo omogeneo nel tempo fino alla fine del XIX sec., da cui un progressivo declino fino alla fine degli anni 60 del XX sec. L’iter storico benché restituisse paesi semiabbandonati permise la persistenza di caratteri distintivi figurativi, tipologici e costruttivi, lasciando leggere nella stratificazione l’identità culturale del luogo. Il terremoto rappresenta la battuta d'arresto, l'anno zero da cui inizia una nuova storia riformatrice del disegno di ognuno dei paesi scelti come casi studio per la loro paradigmaticità rispetto al modo di affrontare la ricostruzione. 3 Ministero dei beni culturali e ambientali – Soprintendenza generale agli interventi post-sismici in Campania e Basilicata, Dopo la polvere, Rilevazioni degli interventi di recupero (1985-1989) del patrimonio artistico-monumentale danneggiato dal terremoto del 1980-1981. Istituto Poligrafico e Zecca dello Stato. Roma, 1994 4 CAPITOLO 1 L’EVENTO SISMICO DEL 23 NOVEMBRE 1980 «Dopotutto, non è la natura che ha ammucchiato là ventimila case di sei-sette piani», fu la riflessione di J.J. Rousseau, nel 1756, con lo sguardo rivolto ad una Lisbona distrutta dal terremoto. Giustino Fortunato, dal canto suo, indicava il terremoto come uno dei tre legati ereditari, insieme alla malaria e alle frane, del Sud italiano. Così, anche in Irpinia, il 23 novembre 1980, alle ore 19:344, quei paesi, chiamati presepi, furono schiacciati come un piede schiaccia un formicaio, in 90 secondi scarsi. E non era stata la natura ad ammonticchiarli lì, ma secoli e secoli di opera umana, dimentica ogni volta dell’esperienza passata. Eppure non era lontano l’ultimo terremoto, generazioni ancora vive ne avevano vissuti anche due, e la storia stessa di quei paesi rimandava ad avvenimenti seriali5. Come fosse una tara ereditaria da doversi portare dietro, o un Tifeo mitologico impossibile da prevedere ed affrontare, la maggior parte dei paesi aveva replicato il proprio abitato su se stesso, non avendo, in alcuni casi, e disattendendo, spesso, quella, seppur insufficiente, normativa edilizia in materia6. La notizia, quella sera, venne data frettolosamente dai telegiornali, anche se in una stanza dell’Osservatorio di Monte Porzio Catone, il sismografo aveva registrato, senza alcuno che lo notasse, il diagramma disegnato dall’ago quasi impazzito. Subito dopo la scossa, le comunicazioni “crollarono” e non si seppe dare immediata evidenza alla catastrofe. Nelle prime ore si parlava di 4 La scossa sismica durò un minuto e venti secondi, due scosse di magnitudo 6.8 e 5 con un intervallo di 40 secondi. L’epicentro tra Laviano, Lioni e Oliveto Citra (F. Mangoni, M.Pacelli, Dopo il terremoto la ricostruzione, Edizioni delle Autonomie, Roma 1981, pg.3), dichiarò a cavallo delle due Regioni Campania e Basilicata, interessando anche la provincia di Foggia, con risentimenti estesi anche nelle province circostanti, per una superficie di 25000 kmq (N. Di Guglielmo, Terremoti in Campania. Aspetti storici e scientifici, Atti della Quinte Giornate storiche Andretesi,, 19-20 agosto 1990, pg.151). L’onda sismica a bassa frequenza ha quindi investito il territorio delle tre regioni, manifestandosi con intensità estremamente elevata nei comuni limitrofi all’epicentro, e gradualmente decrescente con l’allontanarsi dello stesso, ma non in maniera omogenea, bensì con una modalità che venne definita a “pelle di leopardo” (Unione Regionale Camere di Commercio Campania, Scheda informativa sulle zone colpite dal sisma del 23 novembre 1980, Napoli s.d.). 5 In un elenco prodotto dall’Osservatorio vesuviano nel 1986, si rilevano, nei 2000 anni precedenti il sisma del 1980, circa 149 terremoti in tutto il territorio italiano, 83 localizzati solo nel meridione, dei quali 49 solo in Campania; nei tre secoli precedenti, partendo dal terremoto del 1694 che colpì la medesima area colpita dal terremoto del 23 novembre, 95 sono stati i terremoti in tutta Italia, 49 solo nel meridione, 24 in Campania, 10 nella sola Irpinia, di cui la metà dal 1905. Una rapida valutazione porta a definire tutto il territorio italiano come territorio sismico e sicuramente la zona dell’appennino meridionale, fortemente sismica.