La Cultura Giuridico Militare E I Crimini Di Guerra Nazifascisti

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La Cultura Giuridico Militare E I Crimini Di Guerra Nazifascisti Scuola Dottorale di Ateneo Graduate School Dottorato di ricerca in Storia sociale dell’Europa e del Mediterraneo dal Medioevo all’età contemporanea Ciclo 25 Anno di discussione 2014 La cultura giuridico militare e i crimini di guerra nazifascisti Settore scientifico disciplinare di afferenza: M-STO/04 Tesi di Dottorato di Marco Conti, matricola 955732 Coordinatore del Dottorato Tutore del Dottorando Prof. Mario Infelise Prof. Rolf Petri 1 2 INDICE Introduzione p. 4 I. La giustizia in uniforme 7 1. La seconda guerra mondiale e il dopoguerra italiano 7 2. La magistratura militare italiana 15 2.1 Formazione accademica 19 2.2 Militari prima di tutto 21 3. Esperienze professionali 25 II. La giustizia militare in guerra 35 1. La guerra e l’occupazione 35 2. Il ruolo dei Tribunali militari di guerra 43 III. Paradigmi 58 1. L’autorità, il suo diritto alla guerra e all’obbedienza 66 2. Necessità politico-militare 87 IV. Partigiano bandito 112 1. Riferimenti giuridici per i giudici militari 122 2. Riferimenti storici per i giudici militari 137 3. L’impossibile riconoscimento 149 V. Giudicare 166 1. Responsabilità 168 2. Il cataclisma di Norimberga 180 2.1 Il rifiuto dei giuristi 189 2.2 Il rifiuto dei militari 204 3. Una reazione comprensibile 213 3 Conclusioni p. 224 Riferimenti bibliografici 241 4 INTRODUZIONE Il seguente lavoro trova origine da una riflessione sul sostanziale fallimento della punizione penale dei militari nazifascisti responsabili delle stragi avvenute nell’Italia occupata del 1943-45 nonostante fin dagli anni di guerra i futuri vincitori si fossero ripromessi di perseguirli legalmente. Il Governo italiano delegò questo alla giustizia militare perché le violenze commesse dalle truppe tedesche e dal personale della Repubblica Sociale italiana riguardavano per l’appunto eventi connessi direttamente allo stato di guerra ed erano opera di personalità e corpi militari. La storiografia ha dimostrato che motivazioni di politica interna e internazionale hanno portato a un rallentamento prima e a un fallimento poi di questi propositi iniziali nonostante non siano mancati processi per alcune delle stragi più grandi. Eppure ben poco rispetto al numero dei casi che costellarono la penisola italiana durante il regime d’occupazione tedesca. Tuttavia pensare che un intero apparato statale, nonostante la sua stretta dipendenza dal potere governativo, possa essere stato completamente accondiscendente verso un indirizzo politico che mirò a gettare nell’oblio fatti di sangue riguardanti decine di migliaia di cittadini del proprio Paese, lascia notevoli dubbi anche di fronte alle motivazioni delle stesse sentenze che punirono alcuni dei responsabili delle stragi delle Cave Ardeatine e di Monte Sole. Infatti tali sentenze, nonostante le condanne all’ergastolo, furono segnate da notevoli lacune e da condanne parziali o da assoluzioni che entravano in contrasto con le stesse motivazioni delle condanne. Il lavoro quindi ha al suo centro la giustizia militare e i suoi rappresentanti più importanti come i giudici e i magistrati. Si è cercato di comprendere in quale ambiente si sono formati professionalmente e umanamente gli stessi uomini che ebbero l’incarico di perseguire tali crimini. E questo senza dimenticare che a differenza della giustizia ordinaria quella militare era segnata fin dalla sua nascita da uno stretto legame col potere politico. Ed è per questo che la sua vita è segnata da un’obbedienza alle richieste delle autorità politiche e militari e da un scontro con le istanze sociali e politiche del Paese a cui si sommarono le guerre intraprese dall’Italia liberale prima e da quella fascista poi. Questo studio non ha la pretesa né tanto meno la volontà di scrivere la storia della giustizia militare italiana. Esso invece vuole cercare di capire se i giudici militari avessero gli strumenti pratici e culturali per affrontare la complessa questione dei crimini di guerra nazifascisti. Crimini che non furono il frutto di iniziative individuali e disorganizzate, ma il risultato di una politica di annientamento pianificata dai comandi militari tedeschi per schiacciare ogni resistenza. 5 Cercare di capire che cosa magistrati e giudici militari pensassero dei procedimenti penali a carico di militari stranieri accusati di crimini di guerra non è stato e non è per niente semplice visto che in proposito hanno rilasciato scarse osservazioni e scritti. Dunque è parso logico, per comprenderne la formazione professionale, cercare di accedere allo stato di servizio di alcuni di loro, tra cui i tre procuratori generali che ebbero un ruolo più o meno decisivo nel fallimento della punizione penale dei criminali di guerra. Tuttavia questo intento è risultato vano in quanto si è scontrato con i limiti temporali imposti dalle legge per l’accesso alla documentazione personale. Un breve viaggio nella storia della giustizia militare si è rivelato necessario per vedere con quale bagaglio d’esperienza di lotta alle spalle tale organismo si sia posto di fronte alla spinosa questione dei crimini di guerra perché pensare che un giudice militare potesse muoversi dallo stesso punto di vista di un collega civile quando a differenza di questi viveva in un ambiente dove l’ordine e l’autorità erano le colonne portanti della propria professione appare alquanto opinabile. Si è passati inoltre a cercare su quali studi accademici si tali uomini si formati. Le problematiche che un processo per crimini di guerra, e in particolare quelli commessi dalle truppe nazifasciste, portano a galla sono molti e se tramite lo strumento giuridico si vuol comprendere cosa sia accaduto e quindi perché, risulta impossibile non affrontare questioni come il diritto all’uso della violenza, l’ordine superiore e il ruolo che gli accusati ricoprirono non solo al momento dell’atto incriminato, ma anche prima. Conseguentemente la ricerca si è dovuta inoltrare nel complesso, e a volte contradditorio, mondo del diritto e in particolare quello bellico sia nella sua versione interna che internazionale. Diritto bellico in parte codificato ma soprattutto consuetudinario. Per questo durante la ricerca ci si è chiesti se sia stato lo stesso strumento in mano ai giudici militari ad aver forse influito almeno in parte nella visione di queste violenze e dei loro esecutori. Quasi un secolo di guerre, ognuna con le sue proprie peculiarità, intervallato da brevi periodi di pace ha segnato la storia del giovane Regno d’Italia e con esso la stessa giustizia militare. Un periodo rientrante in un’epoca in cui lo Stato deteneva un potere quasi insindacabile da parte dei cittadini. E questa insindacabilità non poteva che valere in primis per chi indossava un’uniforme. Proprio per questo e alla luce del sostanziale fallimento della punizione penale dei crimini di guerra nazifascisti ci chiediamo se la giustizia militare fosse il soggetto più opportuno per punire i colpevoli dei massacri di civili e prigionieri e se allo stesso tempo aveva gli strumenti giuridici adatti per questo scopo indipendentemente dalle pressioni politiche a cui venne sottoposta per rallentare prima e per fermare poi il proprio lavoro. 6 LA GIUSTIZIA IN UNIFORME 1. La seconda guerra mondiale e il dopoguerra italiano La seconda guerra mondiale in Europa non si era ancora conclusa e già in molti chiedevano la punizione di numerosi atti di violenza a carico di civili e prigionieri di guerra avvenuti per mano delle truppe dell’Asse e in particolare di quelle tedesche. La Dichiarazione di Mosca del 30 ottobre 1943 sancì la decisione degli alleati di punire i crimini nazifascisti annunciando che i principali criminali di guerra sarebbero stati sottratti alle giurisdizioni nazionali e sottoposti a una punizione decisa di comune accordo dai Governi alleati. Fu questo il primo atto che portò in seguito alla nascita del Tribunale militare internazionale di Norimberga che nel 1946 giudicò i più importanti dirigenti politici e militari del Terzo Reich sopravvissuti alla guerra. Tuttavia già a Londra il 13 gennaio del 1943 si era svolta una riunione tra gli angloamericani e nove Governi in esilio che rappresentavano i rispettivi Paesi sotto occupazione tedesca. Nel giugno dello stesso anno il Primo ministro britannico Winston Churchill fece pressioni sul Presidente statunitense Franklin Delano Roosevelt per creare una commissione d’indagine che doveva indagare i crimini commessi in Europa durante la guerra segnalandoli ai Paesi colpiti. Il 20 ottobre 1943 tale commissione (United Nations War Crimes Commission – UNWCC) venne effettivamente costituita senza però la partecipazione sovietica. Tuttavia anche se gli alleati erano decisi a giudicare i principali criminali di guerra dell’Asse questo non toglieva la possibilità ai singoli Paesi di punire i cosiddetti criminali di “secondo livello”. Il primo quesito che si pose riguardo alla persecuzione dei criminali di guerra era la loro punizione. Si doveva chiudere i conti in breve tempo e in maniera decisiva con fucilazioni sommarie come Churchill e Stalin in un primo momento ritenevano più opportuno, oppure bisognava allestire una serie di processi sulla falsa riga di quelli di Lipsia di vent’anni prima quando la Corte suprema tedesca (Reichsgericht) processò alcuni ufficiali germanici per violazione delle leggi di guerra e che alla fine si risolsero sostanzialmente con condanne a pene lievi, assoluzioni o non luogo a procedere per la mancata presenza degli imputati? Anche se non mancarono elementi innovativi in 7 riferimento all’onnipresente problematica dell’ordine superiore1. Furono nel complesso iniziati 907 procedimenti in relazione alle liste di estradizione; altri 837 furono avviati d’ufficio. Al dibattimento si arrivò soltanto in tredici casi. In nove processi che si chiusero con una sentenza si ebbero dieci condanne e sei assoluzioni. Le pene irrogate non furono in nessun caso eseguite integralmente. Quando l’interesse delle potenze vincitrici andò scemando, altri procedimenti furono archiviati e due condannati furono poi assolti nell’ambito di un dubbio procedimento di revisione. Per l’evoluzione del diritto internazionale i processi di Lipsia furono d’importanza solo relativa poiché fondamento del procedimento penale davanti alla Reichsgericht era il diritto tedesco.
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