S1:E6 “Peter Saville – JOY – Nothing but a Fool” vai alla prima parte vai alla seconda parte

Playlist per JOY|Saville parte terza:

Alea iacta est: il dado ormai è tratto e non si torna indietro, la new wave e il post punk dal 1977 (riconosciuto universalmente come anno di svolta) hanno dato alle fiamme tutto e hanno fatto proseliti… (Valerio Michetti)

Il percorso attraverso la carriera di Peter Saville, porta inevitabilmente al suo lavoro con i , subendo una volta in più l’ondata di emozioni che ci travolge ogni volta che guardiamo quelle copertine e ascoltiamo la loro musica.

Il 1979 è l’anno di Unknown pleasure.

Pausa, respiro lungo, lento e profondo. Unknown pleasure Peter Saville attinge alla Cambridge Encyclopedia Of Astronomy e prende l’immagine dei cento impulsi consecutivi della prima stella “pulsar” mai scoperta, la CP1919, composta di neutroni, derivanti dal collasso gravitazionale di una stella massiccia durante un’esplosione stellare supernova. Il 28 novembre 1967, Jocelyn Bell Burnell e Antony Hewish osservarono degli impulsi di onde radio dal cielo provenienti dalla costellazione di Vulpecola, intuirono che non poteva essere un’origine artificiale a causare questa “interferenza” magnetica. Hewish e Burnell dubitarono di aver colto le prove di una civiltà aliena, ma in virtù dell’origine misteriosa del segnale, lo battezzarono LGM-1, “Little Green Men”.

Saville riflette l’immagine in negativo, ne riduce le dimensioni per sovrapporla allo sfondo nero e la stampa su carta testurizzata, ottiene un effetto di movimento fluttuante dolce e malinconico, davanti al quale siamo disarmati. La lega così alla bellezza e alla solitudine della musica dei Joy Division, che ci arriva da lontane profondità insondabili, la radiazione poetica ci rende totalmente succubi dell’impatto emotivo cosmico. L’immagine è ipnotica, ci porta alle pulsazioni del basso di , il richiamo ad un grafico sismico rievoca suoni la chitarra di , lo sfondo nero è la voce di in cui tutto si fonde: ecco a noi FACT 10, Joy Division, Unknown Pleasures.

“È un’immagine sia tecnica che sensuale. È tesa come la batteria di Stephen Morris ma è anche fluida: molti sono convinti che rappresenti il battito del cuore” (P. Saville)

Lo stesso Saville ne spiega il processo creativo in questo video (english language):

Data Visualization, Reinterpreted: The Story of Joy Division’s “Unknown Pleasures” Album Cover Nel Giugno del 1980, esce il singolo “Love Will Tear Us Apart”, anticipa il rilascio del secondo album del gruppo “Closer”, che uscirà il 18 luglio, registrato tra il 18-30 marzo alla Britannia Row Studios di Islington di Londra.

This is the way, step inside. Closer Nel caso di Closer, all’immagine, alla tecnica di Saville si aggiunge la storia: è proprio questo ultimo fattore che rende l’artwork di oggi non soltanto bello, adatto, ma tragicamente solenne.

Saville sceglie un’immagine della tomba monumentale della famiglia Appiani presso il cimitero di Staglieno, ne è autore lo scultore genovese Demetrio Paernio, che la realizzò nel 1910. Le figure sono prostrate dal dolore, avvolte da delicati tessuti, le cui pieghe danno forma al lutto, magistralmente rilevate dai chiaroscuri della fotografia che il francese Bernard-Pierre Wolff eseguì 1978. Un’immagine elegantissima, dotata di leggerezza devastante, attraverso cui entriamo in una dimensione di calma disperazione, la silente quiete dopo le assurde tempeste della vita.

La copertina assume un valore promonitore, è stata realizzata poco prima del tragico suicidio di Ian Curtis, avvenuto a soli 23 anni, due mesi prima dell’uscita del singolo. Fu difficile per Saville sopportare il peso premonitore del suo lavoro.

Saville raccontò in seguito: “Credo che a Ian andassero bene. Forse, se mi avessero mandato le bozze dei testi e se avessi avuto una certa sensibilità, avrei pensato di non insistere su quell’argomento. E magari avrei proposto degli alberi…”

“Just for one moment, thought I’d found my way

Destiny unfolded, I watched it slip away”

In questa terza ed ultima parte, il cuore mi ha portato a soffermarmi su questi due capolavori di Peter Saville, sono due pietre miliari del rock design, due perle dell’ impressionante quantità di opere che Saville ha generato.

Ha lavorato a lungo con Orchestral Maneuvers in the Dark, non meno longeva è stata la collaborazione con Ultravox.

Nel 1984 realizzò la copertina del celebre singolo degli Wham! “Wake Me Up Before You Go-Go”. Nel 1986 ricevette una delle somme più alte mai pagate per la realizzazione della copertina dell’album So di Peter Gabriel.

Dopo ha lavorato per DinDisc e Virgin, nel 1990 è partner owned di Pentagram, nel 1993 va Los Angeles per lavorare con la Frankfurt Balkind.

Torna a Londra lavora per tre anni con Howard Wakefield presso “The Apartment” in collaborazione con la tedesca Meiré & Meiré. Il suo appartamento modernista a Mayfair diventa il doppio studio e viene rappresentato nella copertina dell’album This Is Hardcore dei Pulp.

Infine ha fondato con Brett Wickens la propria agenzia di design: Peter Saville Associates.

Gli sono stati assegnti tre premi D&AD, il Royal Designer for Industry e la London Design Medal.

Nel luglio 2019 Saville è stato protagonista del programma della BBC Radio 4 Only Artists.

Nel 2020 Saville è stato nominato Comandante dell’Ordine dell’Impero britannico (CBE), per il contributo reso al design. Peter Saville

S1:E5 “Peter Saville – OUTPUT – Gutta cavat lapidem”

vai alla prima parte

Playlist per OUTPUT|Saville – parte seconda:

Gutta cavat lapidem La necessità di cambiare le carte in tavola nel mondo del rock, da parte di artisti che volevano imporre un nuovo linguaggio creativo, lo hanno fatto con costanza e determinazione, come una goccia che scava la “roccia”.(Valerio Michetti)

La Factory di Wilson e Saville risponde all’urgenza di trovare “spiriti affini che potessero capire e reagire” [Post Punk: 1978-1984, Simon Reynolds]

Le scelte grafiche permetteranno alla Factory e ai gruppi che rappresentano di fare da confine con l’era post punk, figli di un’eleganza austera, spezzano la prospettiva romantico pre punk e lo stereotipo new wave. Costruiscono il profilo visuale della loro vocazione neo modernista, hanno un catalogo irragionevole e sballato, pieno di idee fasulle e di progetti mai realizzati benedetti da dio Duchamp: Fac 8 era una clessidra mestruale ideata e mai prodotta da Linder Sterling; Fac 99 era il conto del dentista di Robert Gretton, codirettore della Factory.

“Per Wilson, questo genere di trovate rientrava nello spirito del situazionismo, lo spirito francese anarco-dadaista degli anni sessanta, le cui idee ammirava particolarmente” [Post Punk: 1978-1984, Simon Reynolds]

È una visione dell’arte che butta giù i muri che la separano dallo scenario quotidiano che circonda l’artista, oggetti decontestualizzati prendono vita e sono protagonisti altrove, come il segnale di pericolo rubato dalla residenza universitaria, cui si ispirò per la realizzazione del manifesto della Factory, disegnato nel maggio del 1978: Fac 1, opera classico-modernista che possiamo far rientrare nella corrente dello “sleeve design”. Stampa giallo su nero per i concerti di maggio/giugno ’78, le bands in primo piano erano: Joy Division, Durutti Column, The Tiller Boys, Cabaret Voltaire, Jilted John, Big In Japan e Manicured Noise.

fac 1 – poster factory La prima produzione fu Fac 2: “”, doppio ep Factory ?– Gatefold Sleeve (Various artists: Joy Division, , , Cabaret Voltaire) con la copertina argentata e pieghevole, che Paul Morley descrisse così: “Era così speciale, il fatto che fosse così bello dimostrava quante possibilità esistessero.” A Factory sample Anti intellettuali di grande cultura, scettici verso l’arte istituzionale, Saville e i suoi si ornano di un velo di situazionismo rifiutando il concetto del profitto, i gruppi non firmavano contratti e rimanevano proprietari della loro musica, al fine di raggiungere una specie di perfezione estetica spesso disastrosa, le copertine erano a volte così costose da uccidere ogni possibilità di profitto, come il celebre caso della copertina del singolo Blue Monday, dei New Order.

Questa copertina ebbe un grandissimo impatto comunicativo, nacque da un floppy disc poggiato su un piano dello studio di registrazione della band. Saville è attratto dalla semplicità dell’oggetto e dalla sua simbologia evocativa, al tempo diffusissima novità tecnologica dai molti utilizzi, la copertina è piena della sola immagine stilizzata di un floppy, nessuna riferimento alla band, al titolo, all’etichetta. Le informazioni sono sul retro in un’unica scritta: “FAC SEVENTY THREE”, unita a una serie di blocchi colorati, all’interno troviamo una seconda copertina argentata fustellata. La realizzazione costò alla Factory records la perdita di 5 pens a cover.

Le ristampe successive subirono un’ottimizzazione finalizzata alla riduzione dei costi, nelle riedizioni del 1988 e 1995, la fustellatura venne sostituita da una stampa color argento.

Blue monday, New Order Blue Monday è tratto da Power Corruption And Lies, dei New Order, trova ispirazione in una semplice cartolina della National Gallery, raffigura “A Basket of Roses” una natura morta dipinta ad olio nel 1890 dal pittore francese impressionista Fantin Latour: «Il titolo del disco sembrava machiavellico. Così sono andato alla National Gallery a cercare un ritratto rinascimentale di un principe oscuro. Alla fine però mi sembrava troppo banale, così ci ho rinunciato e ho comprato delle cartoline al negozio di souvenir. Era un’idea meravigliosa. I fiori suggerivano come potere, corruzione e menzogne si infiltrano nelle nostre vite. Sono seducenti»

Sul retro Saville cita la mercificazione dell’arte, inserisce un codice da decifrare attraverso la ruota cromatica che riempie la seconda di copertina. Il codice cromatico risolto risponde alla scritta “FACT 75”, 75esima release di Factory Records.

Power Corruption and Lies, New Order, un’unica immagine con fronte retro Più di ogni altra copertina che ha realizzato,Technique testimonia la decontestualizzazione postmoderna dell’idea di Saville. Nel 1989 vide la scultura di pietra di un cherubino in un mercatino dell’antiquariato di Pimlico Road, un’immagine perfetta per rappresentare il sentimento materialista e libertino che si stava affermando in quel periodo, in cui musica e arte si coprono di un manto di edonismo, nell’abuso di droghe bramano piacere e pace dei sensi.

La scultura venne fotografata da Trevor Key, stretto collaboratore di Saville, e divenne il soggetto perfetto dell’opera FAC 289, New Order, Technique campaign, febbraio 1989.

Technique, New Order segue… S1:E4 “Peter Saville – INPUT – Utilitas Firmitas Venustas”

“C’è una citazione di Claes Oldenburg: “Sono a favore di un’arte che nasce senza nemmeno sapere di essere tale”. La conoscenza può diventare un limite, la consapevolezza bloccarti.” (Peter Saville)

Non ho potuto essere sintetica su Peter Saville, per lui nutro un amore incondizionato, sia per motivi personali, sia perché Saville è tuttora uno dei graphic designer più produttivi degli ultimi decenni e le sue copertine restano oggi tra le più riconoscibili di tutti i tempi.

Perciò ho diviso gli articoli sulla sua straordinaria carriera in tre parti: Input, Output, Joy.

Ho chiesto all’amico Valerio Michetti, anche lui adoratore di Saville, di fare tre playlist a corredo della lettura, grazie al suo entusiasmo possiamo augurarvi non solo buona lettura, ma anche buon ascolto:

Playlist per INPUT|Saville – parte prima:

Utilitas Firmitas Venustas “La bellezza è l’inizio di ogni viaggio e il fine ultimo di ogni ricerca, la musica la tiene saldamente stretta a sé perché è nel suo DNA. Tutti i brani scelti sono legati all’immaginario di Peter Saville”. (Valerio Michetti)

Peter Saville è nato a nel 1955, ha frequentato St Ambrose College e in seguito ha studiato graphic design presso il Manchester Polytechnic, dove assume l’ispirazione costruttivista tipica del periodo post-punk di cui è figlio, virando verso una grafica di ideale venustà, in risposta al rumore visuale della grafica punk. Attinge a De Stijl, John Heartfield, Bauhaus e Die Neue Typographie, che avranno un impatto importante su tutta la sua produzione, e studia la tipografia moderna attraverso i lavori di Herbert Bayer e Jan Tschichold.

Nel 1979 fonda la Factory Records insieme ad , , e Peter Saville, che ne diventa direttore creativo. Sarà una delle più significative etichette discografiche indipendenti del panorama musicale, cui Wilson e Saville hanno dato in più una connotazione estetica nuova, il cover design assunse un’importanza ancora più rilevante di quanto già non fosse.

Peter Saville by Tony Barratt Gli albori della carriera professionale di Peter Saville sono clamorosi, le sue opere sono oggetto di culto, indimenticabili espressioni del suo genio visionario.

Non si è più fermato, ha continuato in crescita indefessa attraverso un viaggio di progettualità trasversale, ha esplorato senza sosta le potenzialità del design e della propria capacità visionaria, che si sono incrociate con i fenomeni culturali e artistici contemporanei: musica, moda, sport e packaging. Mai oppresso, anzi stimolato dai cambiamenti che la contemporaneità avrebbe potuto avere sul suo lavoro, nel corso degli anni ha collaborato con i Joy Division e successivamente i New Order, Roxy Music, Peter Gabriel, EMI, OMD, Givenchy, Yohji Yamamoto, Dior, John Galliano, Alexander McQueen, Selfridges, Adidas e Stella McCartney, per citare solo alcuni dei suoi numerosissimi clienti.

Peter Saville Ma per comprendere il lavoro di Peter Saville e della Factory, occorre conoscere meglio il contesto in cui nacque e si formò, lo facciamo nel modo più autentico, attraverso le parole dello stesso Saville, con una conversazione avuta con Francesco Tenaglia (Mousse Magazine & Publishing, Rolling Stone, Rivista Letteraria), di cui riportiamo uno stralcio significativo (Testo completo: Peter Saville racconta )

“Manchester è cresciuta con l’industrializzazione e, nel Diciannovesimo secolo, è stato uno dei luoghi più importanti del mondo. Lì sono state accese le prime macchine da lavoro e, da ogni angolo del pianeta, si accorreva ad ammirarle. Karl Marx studiò queste prodigiose novità per le sue ricerche su capitalismo ed economia sociale: come noto, Marx era legato da un rapporto di profonda amicizia e solidarietà con Friedrich Engels che visse a Manchester per un po’. […]

Nacquero a Manchester i movimenti sindacali, le idee a favore dei diritti dei lavoratori, una nuova cultura morale- politica. […] Facendo un fast-forward alla fine della seconda guerra mondiale, l’industria, motore del benessere cittadino, subì un declino repentino. La città in cui sono cresciuto era già post-industriale. Sopravviveva qualche tratto che puntava al passato glorioso, ma era sempre più debole. In un certo senso, venne a mancare un’idea di futuro. […]

C’erano musicisti pop di Manchester, ma nella maggior parte dei casi andavano via. Come i Beatles con Liverpool. […] Oltre al calcio c’era davvero poco, l’arte contemporanea nel Regno Unito era accessibile solo a un’élite privilegiata di Londra e anche lì, fino alla metà dei Novanta, era una scena concentrata sostanzialmente in un’unica via, Cork Street. […]

Il progressive, il glam e il pop avevano delineato una cultura musicale incentrata sull’immagine. Penso ai T.Rex, ma soprattutto a David Bowie e al peso simbolico del suo disallineamento così radicale con il mainstream. L’idea che si potesse progettare da zero la propria identità era meravigliosa, decisiva per un adolescente britannico nei primi anni Settanta. […]

Il fenomeno dei super-gruppi a metà anni Settanta era stato spezzato dal colpo di stato del punk: era un momento in cui gli ambasciatori della tua cultura non ti parlavano più. Erano a zonzo per l’America a bordo di quarantotto camion, suonavano di fronte a migliaia di persone assiepate in uno stadio, persi nella mistica delle star milionarie. La loro esperienza di vita non era più legata alla tua.

Il punk arrivò e disse: “Grazie molte, da qui in poi ci pensiamo noi”. […]

Manchester, tra il 1976 e il 1977, divenne luogo di meravigliose venue per il punk e per quello in cui si stava trasformando, ovvero la new wave. Purtroppo la canzone dei God Save the Queen infastidì parecchie persone e i comuni, in giro per il Regno Unito, s’impegnarono ad arginare quella rogna sovversiva. Manchester, dall’essere patria di sale da concerto, si svuotò nell’arco di pochissimi mesi per colpa di politiche rivolte a contenere il fenomeno punk.

Per questo motivo un giovane imprenditore nel settore televisivo, Tony Wilson, si prese carico della situazione trasformandosi nel guardiano della nuova cultura giovanile. Cercò un locale e inizialmente – devo essere onesto – non era qualcosa di diverso da quello che oggi si definirebbe “una serata” in un club. Il primo Factory durò un paio di mesi e si teneva ogni venerdì sera.Volli assolutamente essere coinvolto e chiesi a Tony in che modo potessi aiutarlo. “Fa’ un poster” mi rispose. All’epoca c’erano solo Tony, il suo migliore amico Alan Erasmus e io. Stavo per diplomarmi e l’unica cosa che m’interessava veramente era realizzare copertine. […] Peter Saville, Tony Wilson and Alan Erasmus, in front of The Factory Club (Russel Club), Hulme, 1979, by Kevin Cummins Intanto, mi ero iscritto al politecnico per studiare grafica, la cosa più vicina all’arte che riuscivo a immaginare. […] Non credo di essere uno stupido, ma nei quattro anni in cui ho studiato design mi trovai più volte a riflettere: “Forse quando avrò quarant’anni mi interesserà questa grafica. Adesso ho bisogno di uno strumento di espressione vivo”. Ed eccomi qui con Tony e il suo amico.

Nessuno di noi aveva alcuna cognizione dell’industria musicale. Tony disponeva di una piccola somma messa da parte, circa cinquemila sterline ereditate dalla madre. Questo punto è fondamentale: non ci fu alcun prestito. Nessuna banca, nessun investitore. Dal primo giorno, l’impresa collaborativa Factory Records era uno strumento per fare esattamente ciò che volevamo. Iniziammo nel 1978 e andammo avanti quattordici anni come collettivo autonomo senza alcuna struttura gerarchica poiché nessuno di noi sapeva come farne. […]

Note biografiche:

Valerio Michetti, classe ’77, è il batterista de La Grazia Obliqua, gruppo musicale romano e collettivo artistico attivo dal 2012.

La Grazia Obliqua prende forma nel laboratorio musicale del Ghostrack Studio a Roma come gruppo aperto ad un notevole eclettismo all’interno di una base musicale e poetica in cui dialogano la darkwave, il cantautorato, l’elettronica e la ballata crepuscolare.

La scrittura e l’immaginario de La Grazia Obliqua è incentrato sul tema della crisi, del disorientamento e della decadenza della civiltà occidentale con un focus sempre sull’uomo e sulla ricerca della Bellezza come antidoto etico ed estetico.

LGO : La Grazia Obliqua per cantare la bellezza – videointervista