LO SVILUPPO PRIMAVERILE DELLE FORMAZIONI NELLA ZONA DEL TOBBIO E IL RASTRELLAMENTO D EL 6 - I I A PR ILE 1944 (*)

IL FALLIMENTO DEI BANDI DI PRESENTAZIONE DELLA R. S. 1.

Le prime settimane del febbraio 1944 segnarono la conclusione del periodo più nero e sconfortante per il partigianato alessandrino. Le bande di montagna che si erano costituite nell’autunno del ’43, superato a prezzo di duri sacrifici il primo difficile inverno sull’Ap- pennino, allo sciogliersi delle nevi divennero il centro di raccolta di molte reclute partigiane. Tra il febbraio ed il marzo di quell’anno, nella zona fra la vai e la vai Stura, fu possibile assistere ad una ripresa che ebbe veramente del prodigioso, se si pensa all’orga- nizzazione ancora embrionale del movimento di resistenza ed alle notevolissime difficoltà che i primi gruppi avevano incontrato per sopravvivere su quei monti. Le ragioni di questo rapido sviluppo vanno ricercate non sol- tanto nelle mutate condizioni stagionali e nella migliorata situazione ambientale, ma negli stessi avvenimenti di quei mesi. Il successo iniziale riportato in alcune zone dai bandi di presentazione del no- vembre del ’43 era stato rapidamente cancellato dalle innumerevoli diserzioni che, iniziate subito dopo l’afflusso delle reclute ai centri di raccolta, avevano preso a moltiplicarsi paurosamente al termine dell’inverno, in concomitanza con i primi trasferimenti dei reparti. Nel tentativo di fermare queste emorragie che avrebbero potuto dis­ sanguare totalmente l’esercito repubblicano, e per soddisfare nello stesso tempo le richieste di Kesselring che premeva per la costi­ tuzione di reparti fascisti ai quali affidare la « normalizzazione » del fronte interno italiano, il Governo della R.S.I. — riconoscendo im­ plicitamente il fallimento della leva di novembre — fu costretto ad emanare un altro bando di richiamo per le classi 1923, ’24 e ’25 ed a promulgare una legge eccezionale comminante la pena di morte per le renitenze e gli allontanamenti dai reparti. Il decreto, emanato

(*) Questo studio fa parte di un lavoro molto più ampio, dedicato alla lotta di Liberazione nella provincia di Alessandria, il cui compendio fu pubblicato nel N . 55 di questa Rassegna. Lo sviluppo primaverile delle formazioni 7 il 1 8 febbraio 1944 e pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale d'Italia il 21 dello stesso mese, stabiliva quanto segue : « [ .,.] Art. 1. - Gli iscritti di leva arruolati ed i militari in congedo che, durante lo stato di guerra e senza giustificato motivo, non si preseti- teranno alle armi nei tre giorni successivi a quello prefissato, saranno consi­ derati disertori di fronte al nemico, ai sensi dell’art. 144 del C.P.M. di guerra e puniti con la morte mediante fucilazione nel petto. Art. 2. - La stessa pena verrà applicata anche ai militari delle classi 1923 - 24 - 25, che non hanno risposto alla recente chiamata o che, dopo avere risposto, si sono allontanati arbitrariamente dal reparto. Art. 3. - I militari di cui all’articolo precedente andranno tuttavia esenti da pena e non saranno sottoposti a procedimento penale se regolariz­ zeranno la loro posizione presentandosi alle armi entro il termine di quin­ dici giorni decorrente dalla data del presente decreto. Art. 4. - La stessa pena verrà applicata ai militari che essendo in ser­ vizio alle armi si allontaneranno senza autorizzazione dal reparto restando assenti per tre giorni, nonché ai militari che essendo in servizio alle armi e trovandosi legittimamente assenti non si presenteranno senza giusto mo­ tivo nei cinque giorni successivi a quello prefissato. Art. 5. - La pena di morte inflitta per i reati di cui agli articoli prece­ denti deve essere eseguita, se possibile, nel luogo stesso di cattura del di­ sertore o della località della sua abituale dimora. [ ...] » (1). L ’intero apparato poliziesco e propagandistico della R.S.I. ven­ ne mobilitato per dare consistenza effettiva al « nuovo regime disci­ plinare e penale » che, secondo le affermazioni del maresciallo Gra- ziani, avrebbe dovuto stroncare « il triste fenomeno del ribellismo ». Prima ancora della pubblicazione del decreto, i responsabili dei Fasci repubblicani alessandrini avevano ricevuto tassative disposizioni di appoggiare con ogni mezzo la campagna dì reclutamento. In loro aiuto era intervenuto all’inizio di febbraio Ezio Maria Gray che, giunto ad Alessandria per assistere alla cerimonia del giuramento delle prime reclute dell’Esercito Repubblicano (precettate nel no­ vembre del ’43), aveva rivolto ai giovani della città un appassionato invito a presentarsi ai distretti. Il giorno 13 lo stesso Graziani si era mostrato nel capoluogo e si era quindi recato a Novi Ligure. Gi ap­ pelli dei gerarchi locali e le perorazioni degli esponenti della R.S.I. 1

(1) Cfr. P.F.R., Federazione dei Fasci Repubblicani di Milano, Brigata Nera « Aldo Resega », Principii e legislazione della Repubblica Sociale Italiana. Annali del fascismo repubblicano. Fonti storiche-politiche-legislative dal 12 settembre XXI all’ 11 settembre XXII. Anno I B.F.R. - XXII E. F., (Milano), (Unione Tipografica), (1945), pp. 1172-1173. Il decreto è firmato da Mussolini e Graziani, e vistato dal Guardasigilli Pisenti. 8 Giampaolo Pansa non sortirono tuttavia gli effetti sperati e, dopo la pubblicazione del decreto, i repubblicani si videro costretti a ricorrere a sistemi rite­ nuti più efficaci. Tra il febbraio ed il marzo del ’44 venne operata una pesante pressione psicologica sui genitori dei ragazzi reclutati per spingerli ad affidare i propri figlioli alle cure sollecite della Re­ pubblica (2); furono intensificati gli arresti di elementi « sospetti » al fine di scoraggiare i favoreggiatori dei renitenti; si procedette in maniera più decisa all’eliminazione sommaria di chiunque venisse trovato in possesso di armi e di munizioni per dimostrare quanto fermo fosse l’atteggiamento dello Stato repubblicano nei confronti di tutti gli appartenenti al movimento di liberazione. Le stesse auto­ rità civili ed amministrative intervennero ad appoggiare la campa­ gna intimidatoria impostata e sviluppata dagli organi politici e mi­ litari. Quattro giorni dopo la pubblicazione del « bando Graziani », il Capo della Provincia, Alessandri, emanava « opportune » dispo­ sizioni dirette a stroncare il fenomeno del favoreggiamento che an­ dava assumendo proporzioni preoccupanti, soprattutto presso le popolazioni della campagna: « Il Capo della Provincia A seguito degli inconvenienti di una certa gravità che continuano a verificarsi in alcuni Comuni della Provincia; Ritenuta la necessità di applicare a fine preventivo severe misure punitive; Visto l’art. 19 del T.U. della Legge Comunale e Provinciale; Decreta Indipendentemente dalle più gravi sanzioni previste dalle disposizioni in vigore, chiunque favorisce in qualsiasi modo ribelli, prigionieri di guerra evasi e disertori dell’Esercito, sarà assoggettato alle seguenti misure punitive:

(2) Da un volantino intitolato: Alle mamme ed ai padri dei giovani del 1924, dif­ fuso nella provincia di Alessandria, ecco un passo esemplare di prosa repubblicana: «[...] E voi, o Mamme, che pensate all’avvenire dei vostri figlioli, non avete riflet­ tuto a quella che può essere la vita delle vostre creature, che invece di andare a compiere il loro dovere di soldato — come lo compiono gran parte dei giovani -— si mettessero fuori legge? Come potreste vivere, Mamme, sapendo questo di vostro figlio? E voi, padri, uomini già maturi, che per un’offesa sareste pronti a impugnare un’arma per lavarla, permetterete che vostro figlio, la carne migliore del vostro corpo, l'affetto più grande e più bello del vostro cuore, sia chiamato per tutta la sua vita ” vigliacco ” , dai parenti, dagli amici, da tutti ’ ’ Vigliacco” : la più atroce delle offese per un uomo. E noi, genitori di morti in guerra, di mutilati, di combattenti e di prigionieri, chiediamo a voi — genitori dei figli della classe ’24 —1 noi pure siamo moltissimi, con quali sentimenti vi guarderemo e vi accoglieremo quando nella vita ci incontre­ remo, e accadrà infinite volte, se avete permesso o aiutato i vostri figli a disertare? E quale sarà l’avvenire di vita delle vostre creature, se non potranno esibire per un qualsiasi lavoro un certificato militare onorevole? [. . .] » (Il volantino è in possesso dell’A.). Lo sviluppo primaverile delle formazioni 9

a) confisca di tutto o parte del bestiame eventualmente posseduto; b) sospensione della validità, per tutti i componenti la famiglia, delle carte annonarie per i generi non di stretta necessità, quali la carne, lo zuc­ chero, i formaggi, la marmellata e i tabacchi. L ’assegnazione della carne e dello zucchero sarà mantenuta ai bambini e ai ragazzi di età inferiore agli anni 12 e agli ammalati; c) ammenda in denaro a favore delle opere assistenziali del Comune; d) sospensione a tempo indeterminato delle relative licenze, qualora il favoreggiatore risulti titolare di un pubblico esercizio » (3),

Infine, nel tentativo forse di accentuare l’atmosfera di insicu­ rezza e di timore nella quale solo potevano avere successo le minacce fasciste, nei primi giorni di marzo entrava in funzione, in Alessan­ dria, il Tribunale Provinciale Straordinario, di cui tanto si era parlato in città e sulla stampa repubblicana durante l’inverno, dopo l’annuncio della sua costituzione difEuso nel novembre del ’43. Si trattava di un nuovo organo giurisdizionale, competente a giudicare i fascisti che avessero tradito « il giuramento di fedeltà all’Idea » e coloro che, dopo il colpo di Stato del 25 luglio, avessero « con parole o con scritti o altrimenti, denigrato il fascismo e le sue istituzioni » o « compiuto comunque violenze contro la persona e le cose dei fascisti o appartenenti alle organizzazioni del fascismo o contro le cose o i simboli di pertinenza dello stesso » (4). Nella prima udienza, tenutasi il 3 marzo, vennero giudicati alcuni abitanti di Mandrogne, paese della pianura alessandrina, imputati di « violenza alle cose ed alle istituzioni fasciste » : uno di essi veniva condannato a cinque anni di reclusione e a diecimila lire di ammenda, mentre gli altri

(3) Cfr. La Vita Casalese, Settimanale Cattolico della Diocesi di Casale Monf., Ufficiale .per gli Atti della Rev.ma Curia Vescovile, A. XXLII, N. io, Casale, giovedì 9 marzo 1944 XXII, p. 1. Il decreto, datato Alessandria, 25 febbraio 1944 XXII, è firmato « Il Capo della Provincia, G. Alessandri ». (4) Cfr. il Decreto legislativo del Duce in data 11 novembre 1943 concernente la costituzione di Tribunali Provinciali straordinari e di un Tribunale speciale straordi­ nario, in P.F.R ., Federazione dei Fasci Repubblicani di M ilano, Brigata Nera « Aldo Resega », op. cit., p. 74. L’art. 2 del Decreto stabiliva: « I Tribunali Straordinari sono composti di tre membri, di cui uno presidente, costituenti il'colleggio giudicante e di un membro accusatore. Tutti i componenti saranno scelti tra i fascisti di provata fede e di specchiata moralità ». I componenti del Trib. Prov. Straord. di Alessandria erano i segg.: Filippo Permisi, presidente, da Torino; rag. Mario Bodo, componente, da Torino; ing. Aldo Giaccone Griva, componente, da Torino; avv. Pasquale Giua, pubblico accusatore, da Torino. Cfr. il Decreto legislativo del Duce. 27 Dicembre 1943- XXII. Composizione dei Tribunali Provinciali Straordinari. (P.F.R., Fed. Fasci Repu bb. M ilano, op. cit., pp. 76-77). IO Giampaolo Pansa venivano assolti per insufficienze di prove (5). Il io marzo — se­ conda udienza — era la volta di un fascista « traditore », già mem­ bro del direttivo del disciolto P.N.F. di Pollastra, piccola località della pianura fra Novi e Tortona, imputato di « violenza sulle cose del partito e danni ». L ’accusato, riconosciuto colpevole, veniva con­ dannato a sei anni di carcere (6). Sette giorni dopo, il 17 marzo, si celebrava il processo più atteso, contro un gruppo di antifascisti alessandrini fra i quali si trovavano alcuni membri del primo C.L.N . Provinciale arrestati nel novembre del ’43 e nei giorni successivi al­ l’attentato del 13 dicembre contro il col. Ruggeri. Il processo si concludeva in modo affatto imprevisto, dimostrando a quale punto di confusione e di assurdità i fascisti fossero giunti anche nell’am­ ministrazione della loro « giustizia ». Riportiamo da II Piccolo del 18 marzo 1944 la notizia relativa all’episodio:

«Nell’udienza di ieri il Tribunale, ritenuto che i sigg. Ravazzi avv. Camillo, rag. Pivano Livio, dott. Fadda Luigi, Audisio Walter e dott. Gatti G. B. sono tutti degli antifascisti e sempre hanno combattuto il Partito ed il Regime, rivelandosi compartecipi indiretti dell’avvento badogliano e della conseguente tristissima situazione della Patria, ha così deciso: 1) Ritiene l’aw . Ravazzi Camillo colpevole del reato ascrittogli e lo condanna alla pena di anni 8 di reclusione e L. 100.000 di ammenda [ ...] . 2) Nei confronti del rag. Pivano Livio, del dott. Fadda Luigi, di Audi- sio Walter e del dott. Gatti G. B. dichiara la propria incompetenza per ma­ teria, i fatti loro addebitati rientrando eventualmente nella specifica compe­ tenza del Tribunale Speciale per la Difesa dello Stato. Ordina la scarcera­ zione degli stessi. [ ...] » (7).

Con la successiva udienza dell’8 aprile — conclusasi con la condanna di tre antifasciti a complessivi sei anni di carcere — il Tribunale Provinciale Straordinario concludeva la propria attività senza essere riuscito a portare a termine quella « severa repressione » che era stata lo scopo principale della sua costituzione. Le mutate condizioni politiche e militari imponevano l’adozione di organi giu­ risdizionali in grado di amministrare più efficacemente, e senza troppi « distinguo », la giustizia repubblicana. Per questa ragione, nello stesso mese di marzo, si provvedeva all’insediamento presso

(5) Cfr. Il Piccolo, Settimanale di Alessandria, Anno XXI, n. io, 4 marzo 1944- XXII. (6) Cfr. II Piccolo, n. 11, 11 marzo 1944. (7) Cfr. Il Piccolo, n. 12, 18 marzo 1944. Lo sviluppo primaverile delle formazioni li ogni Comando Militare Regionale di un Tribunale di Guerra, al quale, tra l’altro, vennero riconosciute la « competenza e conoscen- za » dei reati previsti dagli articoli x e 2 del decreto del 18 feb­ braio (8). Nonostante il ricorso a questi sistemi e benché nulla fosse stato tralasciato per rendere palese l’intenzione della R.S.I. di perseguire con fermezza tutti i renitenti, il « bando Graziani » non diede i risultati che il governo di Salò aveva sperato. Coloro che, dopo di aver risposto ai bandi del novembre ’43, avevano disertato, non riten­ nero opportuno ripresentarsi ai distretti, mentre chi era rimasto nascosto per tutto l’inverno, dal timore di essere catturato venne spinto a darsi alla macchia ed a « mettersi al sicuro » raggiungendo le prime bande. A differenza di quanto era avvenuto nell’autunno preceden­ te, un certo progresso organizzativo e le migliorate condizioni ambientali permisero ai gruppi antifascisti di molte località del­ l'Alessandrino meridionale di incoraggiare concretamente la reniten­ za è di favorire la tendenza spontanea dei giovani di leva a cercare rifugio sull’Appennino ligure, cioè in una zona ritenuta — a torto — difficilmente raggiungibile dalla reazione fascista. Un la­ voro di propaganda molto intenso venne svolto soprattutto nell’Ova- dese, nel Novese e nelle valli dell', dello Stura, del Lemme e dello Scrivia. In queste zone il « bando Graziani » ebbe un esito disastroso poiché moltissimi furono i giovani che, invece di presen­ tarsi ai distretti, raggiunsero i primi gruppi di ribelli che avevano svernato all’intemo della 3* zona (9).

(8) Art. 6 del Decreto del 18 febbraio 1944. Secondo un doc. intest. Elenco nomi­ nativo degli ufficiali componenti il Tribunale Militare di Guerra di Alessandria, con sede a Novi Ligure, via Collegio, (Archivio dell’Istituto Storico della Resistenza in , di Genova — per l’innanzi indicato con la sigla: AISRL-Genova) i compo­ nenti di questo organismo che giudicò e condannò, spesso alla pena capitale, molti « ribelli » dell’Alessandrino, erano i seguenti: procuratore militare col. i.g.s. Francesco Piredda; presid. titolare col. Giulio Vizzardelli; presid. col. Guido Adorni; presid. col. Agostino Bruno; giudice relatore: ten. col. giustizia militare Biagio Cotugno; giudice ten. col. Luigi Mure; giud. e presid. f.f. ten. col. Attilio Muscio; giudice e presid. f.f. ten. col. Giorgio Bottino-Barzizza; giud. ten. col. Art. s.p.e. Igino Beverino; giud. ten. col. Alp. Secondo Cassini. (9) Era la denominazione convenzionale usata dal Triumvirato Insurrezionale per la Liguria del P.C.I. per indicare il settore appenninico compreso tra la vai Stura e la vai Scrivia. 12 Giampaolo Pansa

LA BRIGATA AUTONOMA MILITARE « ALESSANDRIA »

In questo settore, le divergenze che si erano già delineate du­ rante l’inverno tra la banda autonoma capeggiata da Giuseppe Mer­ lo (io) e la formazione garibaldina (n ), avevano determinato una situazione non certo favorevole alla costituzione di quel raggruppa­ mento unitario che era stato concordato tra i rappresentanti del C.L.N . alessandrino e del Comitato Militare del C.L.N . per la L i­ guria. Il Comitato Militare del C.L.N. Provinciale di Alessandria (12) — soprattutto per le pressioni del rappresentante del P. d’A . del C.L.N. di Ovada, Giovanni Alloisio, il solo che, paventando ogni divisione all’interno del nascente movimento partigiano, fosse rima­ sto ancora disperatamente attaccato al primitivo progetto delle for­ mazioni apartitiche — verso il febbraio del ’44 aveva inviato in zona un giovane ex-ufficiale dell’esercito, Aldo De Carlini (Piero), con il compito di comporre le divergenze fra i due gruppi, di assi­ stere gli organizzatori di fondo valle nella raccolta degli uomini e nell’invio dei rifornimenti, e di organizzare un servizio di informa­ zioni in grado di segnalare quotidianamente i movimenti delle co­ lonne nemiche attraverso i valichi dell’Appennino. L ’inviato del Co. Mi. Provinciale, tuttavia, giunto sul posto aveva subito constatato l’impossibilità di addivenire ad un accordo tra il gruppo degli ales­ sandrini ed i nuclei garibaldini liguri. A De Carlini non era rima­ sto che prospettare, come unica soluzione realizzabile, la costi­ tuzione di due formazioni distinte, una organizzata dai genovesi e l’altra da Alessandria. Ai due Comitati Militari sarebbe poi spettato di coordinare l’attività partigiana della zona e, una volta appianate

(10) Costituitasi nell’aut'unno del 1943, con il nome di « Banda di », nella zona del monte Porale, ad est della vai Lemme. Il Merio era un sottotenente degli alpini, di 22 anni, nativo di , che si era dato alla macchia pochissimo tempo dopo l’armistizio. Per queste ed altre notizie utili ad inquadrare i fatti oggetto del presente studio, cfr. il precedente scritto dell’A., Appunti per una storia della Resi­ stenza nella provincia di Alessandria, in II Movimento dt Liberazione in Italia, Ras­ segna di Studi e Documenti, n. 55, Aprile-Giugno 1959, pp. 3-40. (11) La 3a Brig. Garibaldi « Liguria », costituita nei primi giorni del 1944 con un gruppo di 40 uomini dislocati nei pressi dei Laghi della Lavagnina. La Brigata era comandata da un capitano degli alpini di 33 anni, Edmondo Tosi (Ettore); il com­ missario politico era Rino Mandoli (Sergio), un meccanico genovese di 31 anni, vec­ chio militante comunista, già condannato dal Tribunale Speciale; vice-comandante era Franco Gonzatti (Leo), un ex-paracadutista di 21 anni. (12) Costituito verso la fine del ’43, era composto da Carlo Ronza (Oreste) per il P. d’A., Cario Bognetti (Carlon) per il P.C.I. e dal ten. col. Vittorio Crisaiolo (Creta) in qualità di consulente tecnico. Lo sviluppo primaverile delle formazioni 13

le divergenze, tentare la fusione delle due formazioni in un unico raggruppamento (13). La presenza di due bande partigiane — quella di Merlo, dislo­ cata tra Bosio e , e la 3“ Brigata Garibaldi « Liguria », nella zona centrale del massiccio — divise in due correnti l’afflusso dei giovani provenienti dalle località meridionali dell’Alessandrino. E ’ opportuno tuttavia precisare che nell’indirizzarsi all’una piuttosto che all’altra formazione, le « reclute » non intesero attuare, almeno nella grandissima maggioranza, alcuna scelta politica. Si trattava, infatti, di ragazzi giovanissimi che si recavano in montagna unica­ mente per ragioni di sopravvivenza : ben pochi fra essi possedevano un sia pur vago orientamento ideologico od erano pienamente co­ scienti del significato del loro atto. Sulla scelta influirono fattori che si possono definire casuali: le amicizie personali, i contatti con gli organizzatori, e soprattutto la vicinanza delle bande alle località di provenienza dei renitenti. Verso la 3* « Liguria » si diressero in prevalenza i giovani dell’Ovadese, della vai Stura e della vai d’Orba e tutti quelli reclutati dal Partito Comunista nel territorio della Grande Genova e sulla costa; nella zona di Bosio-Carrosio affluirono invece i ragazzi provenienti da Voltaggio, da Gavi, da Serravalle, dal Novese ed, in genere, dalla vai Lemme e dalla vai Scrivia (14). Svanita la possibilità di costituire un raggruppamento unico, i comitati di Ovada e di Voltaggio, in previsione del forte afflusso dei giovani di leva, avevano pensato di affidare a qualche ufficiale del­ l’esercito l’incarico di organizzare i renitenti del versante alessan­ drino. La scelta cadde su Gian Carlo Odino (Italo), un capitano dei granatieri di cinquantanni, già in servizio presso il Forte di Gavi. Dopo l’armistizio, Odino, attraverso il rappresentante del Partito d’Azione nel C.L.N . di Ovada, si era messo in contatto con il Co.Mi. alessandrino ed aveva attivamente collaborato con la banda di Merlo. Era stato appunto quest’ultimo, ben conoscendo l’entusiasmo del ca­ pitano, a proporre il nome di Odino come quello della persona più adatta ad assumere il comando della costituenda unità (15)* Odino

(13) Test. Carlo Ronza e da una memoria inedita di Giovanni Alloisio, conse­ gnata dal figlio Sergio Alloisio, di Ovada, all’A .: Origini e cenni storici delle forma­ zioni partigiane dell’Alessandrino ed in modo particolare delle organizzazioni G. L. dell’Ovadese e della costituzione dell’Vili Div. Giustizia e Libertà. (14) Cfr. memoria inedita del prof. Giacinto Guareschi, L’episodio della « Bene- dieta », datata Genova 8 dicembre 1951 (AISRL-Genova). (15) Test. Giuseppe Merlo. 14 Giampaolo Pansa

raccolse quanto rimaneva della vecchia « Banda di Voltaggio » e le prime reclute del febbraio in una formazione chiamata Brigata A u­ tonoma Militare « Alessandria ». Per l’attiva opera svolta dallo stesso comandante, dai suoi più diretti collaboratori e da altri anti­ fascisti del Novese, all’inizio di marzo la Brigata giunse a raggrup­ pare un’ottantina di uomini, saliti alla fine del mese a circa 200. I componenti della banda — per la maggior parte contadini delle zone circostanti, con qualche ligure, quasi tutti ragazzi di dician- nove-vent’anni — vennero inquadrati in tre gruppi chiamati « bat­ taglioni », suddivisi a loro volta in tre distaccamenti. La forma­ zione era accampata lungo il torrente Roverno, sulla costa occiden­ tale del monte Lanzone: due battaglioni erano dislocati alla cascina Roverno, località nella quale si trovava pure il comando di brigata, ed il terzo alla cascina Bondaco (16). I quadri di comando della Brig. Autonoma erano i seguenti: comandante militare Gian Carlo Odino; comandante del 1° Btg. ten. Isidoro Pestarino (William); co­ mandante del 2° Btg. ten. Giuseppe Merlo (Franco); comandante del 30 Btg. allievo uff. Renato Repetto (Renato) (17). Benché il comando avesse cercato di dare alla banda una strut­ tura paramilitare, la Brig. « Alessandria » non aveva le caratteri­ stiche di una formazione partigiana vera e propria. Costituita nel­ l’intento di sottrarre il maggior numero possibile di giovani all’ar­ ruolamento forzato nelle file repubblicane, più che una banda ar­ mata di guerriglieri era un concentramento di ragazzi, senza nessuna preparazione militare, molti dei quali, nei primi tempi, non condu- cevano neppure una vera e propria vita alla macchia (18). Per di più, allo sviluppo numerico della formazione non era corrisposto un adeguato miglioramento del potenziale bellico: verso la fine di feb-

(16) Test. Giuseppe Merlo. Cfr. anche Partito L iberale Italiano, Federazione Regionale Ligure, Le Brigate « Odino », (Genova), A cura del Centro Militare per la Liguria del Partito Liberale Italiano, (1945), pp. 7-8. Autore di questo opuscolo è l’ing. Mario Albini {Giorgi}, che fu tra i primissimi collaboratori della « Banda di Voltaggio ». (17) Test. Giuseppe Merlo. Cfr. anche P.L.I., Fed. Reg. Lig., op. cit., p. 8. Verso la fine di marzo, il comando della Brig. Autonoma ritenne opportuno nominare un commissario politico. La scelta cadde su un operaio dell’ « Ansaldo », Gianni Arecco, nativo di Bosio, il quale —• particolare curioso per un commissario « autonomo » — era comunista. (18) Da principio, numerosi ragazzi — provenienti dai paesi più vicini — stavano m montagna solo di giorno e alla sera ritornavano alle loro case. In un secondo tempo, però, il comando proibì agli uomini di abbandonare la formazione. Test. .Giuseppe Merlo. Lo sviluppo primaverile delle formazioni i i braio le uniche armi in dotazione degli uomini di Odino erano un mitragliatore e quaranta moschetti, con poche munizioni. Qualcosa era stato ricuperato nel saccheggio di un deposito tedesco nei pressi di Carrosio, altre armi erano state fornite da organizzatori liberali genovesi e dai Comitati di Ovada e di Voltaggio, ma non era stato possibile armare che una parte minima degli effettivi. Se si tiene pre- sente, tra gli. altri fattori, questa deficienza di mezzi, appare evi­ dente come il numero assai elevato dei componenti la Brigata doves­ se rappresentare un serio motivo di preoccupazione più che un’effet­ tiva ragione di forza. Duecento ragazzi, concentrati in una località assai vicina alla pianura e letteralmente alle prime armi come parti­ giani, costituivano non solo un obiettivo troppo evidente per gli informatori fascisti ed i presidi nemici di fondo valle (sempre all’erta dopo il colpo dei genovesi contro il posto di avvistamento aereo del monte Zuccaro), ma soprattutto una massa assai poco manovrabile in una guerra come quella partigiana. Per questo complesso di ra­ gioni, l’attività della formazione di Odino fu alquanto ridotta. In febbraio e nella prima metà di marzo venne effettuato qualche sac- cheggio di depositi tedeschi (come quello di San Remigio nei pressi di Parodi Ligure, dove venne conquistato un notevole bottino di materiale d’equipaggiamento) e fu operata qualche puntata verso Bosio, Carrosio, la valle del Lemme e sul Passo della Bocchetta per disturbare i piccoli reparti fascisti di stanza nel settore e tentare di impadronirsi di qualche arma (19).

LA 3“ BRIGATA GARIBALDI « LIGURIA »

Nello stesso periodo, anche presso la 3“ « Liguria » si verificò un analogo processo di sviluppo. La formazione di Ettore, che alla fine di gennaio raggruppava un centinaio di uomini, a febbraio ne inquadrava già 200: a metà marzo, per l’afflusso massiccio dei reni­ tenti, i componenti della Brigata salirono a circa 500. Era un nu­ mero assai alto se lo si confronta con quello delle più forti bande partigiane dell’Italia settentrionale nei primissimi mesi del 1944 e se si pensa alla debole struttura organizzativa dell’unità, alla zona poco felice, alla deficienza dell’armamento e dei rifornimenti. L ’arrivo di forti gruppi di « reclute » complicò ulteriormente il

(19) Cfr. P .L .I., Fed. Reg. Lig., op. cit., pp. 8-9. Test. Giuseppe Merlo. i6 Giampaolo Pansa lavoro degli organizzatori. Per l’alloggiamento, si provvide a siste­ mare i nuovi arrivati negli essicatoi di castagne (i così detti « arbei ») e nelle cascine della zona, occupando anche qualche vecchia costru­ zione diroccata ed abbandonata. Maggiori difficoltà si incontrarono per assicurare il vettovagliamento. All'inizio vennero utilizzate le scorte accumulate a valle, ma a metà febbraio la situazione alimen­ tare divenne penosissima. L ’intendenza non sempre era in grado di rifornire quotidianamente i componenti della formazione. Essendo la zona molto povera, i contadini che già durante l’inverno avevano aiutato i primi gruppi partigiani, non potevano più sfamare le de­ cine di giovani reclute affluite all’inizio della buona stagione. Ago­ stini, Bariilari e gli altri organizzatori della Brigata ripresero i con­ tatti con i C.L.N . di Acqui, di Ovada, di Novi Ligure e — benché fosse sfumata la possibilità di creare un raggruppamento interpro­ vinciale — gli antifascisti alessandrini, senza porsi alcuna pregiu­ diziale politica o di campanile, si adoperarono per assicurare i ne­ cessari rifornimenti alla formazione garibaldina genovese. Tra il febbraio ed il marzo, la rete di collegamento organizzata alla fine del 1943, dimostrò in pieno la propria utilità ed efficienza. Mentre in Genova e nelle vicine località costiere veniva intensificata la rac­ colta di viveri e di fondi per i partigiani dèi Tobbio (20), dalla pro­ vincia di Alessandria giunsero aiuti di ogni genere. Come già era avvenuto nell’inverno, Ovada fu il centro di raccolta dei ri-fornimenti non solo per la Brig. « Alessandria » ma anche per la 3* « Liguria ». Ecco quanto ha lasciato scritto in proposito Giovanni Alloisio:

« [ ...] Al vettovagliamento provvedeva una efficiente organizzazione di fondo valle che raccoglieva viveri nella zona i quali, nella notte, per vie diverse, venivano recati a portata di mano delle formazioni che pensavano poi a prelevarli. C’erano delle vie di rifornimento ben definite e fra queste quella più efficiente per l’importanza dei viveri procurati passava dal Ponte di Ferro, saliva alla cascina Coppa il cui nome di battaglia era ’’ Rotonda ” e da questa località i ribelli prelevavano e portavano ai distaccamenti. Come si può immaginare, era un lavoro duro e pieno di rischi, ma a fondo valle c’erano persone che veramente furono ammirevoli per spirito di dedizione e che, senza distinzione di parte, si prodigavano in modo amt- mirevole per raccogliere i viveri. I comunisti di Rocca andavano a

(20) Una parte dei viveri veniva raccolta all’ora della mensa fra gli operai dei complessi industriali della Grande Genova. Alla sera venivano poi trasportati ai centri di raccolta di fondo valle dagli stessi operai che ritornavano alle località di bassa montagna nelle quali erano sfollati. Test. Adriano Agostini. Aiuti vennero anche dal C .L.N . Regionale Ligure. Lo sviluppo primaverile delle formazioni da suor Giacomina a prendere quello che con tanta audacia aveva raccolto, 10 portavano ad Ovada da Luigi (21) che pensava poi a.farlo giungere al Ponte di Ferro e qui il famoso Sardo con i suoi buoi montanari lo portava fino alla Rotonda. Altre vie rifornivano da Masone e da Rossiglione, e da Gavi e Serravalle e Voltaggio, ma non sempre era possibile portare tutto 11 necessario. [...] » (22).

Un altro centro di raccolta venne organizzato a Pian Castagna, tra l’alta vai d’Erro e l’alta vai d’Orba, dal comunista Guido Ivaldi (Vigano) e dal col. Giuseppe Thellung (Duilio) con l’aiuto del par­ roco del paese, don Boido (23). Anche dalle zone centrali dell’Ales­ sandrino giunsero viveri con qualche arma, assieme a nuclei di sban­ dati per i quali la permanenza in pianura era diventata troppo peri­ colosa dopo le reazioni fasciste del dicembre precedente. Grazie a tutti questi aiuti ed alla collaborazione dei montanari, la situazione della formazione garibaldina migliorò sensibilmente anche se, per il continuo afflusso delle reclute, non si portò mai ad un livello sod­ disfacente. Sino al momento del rastrellamento di aprile, il pasto abituale degli uomini di Tosi fu quasi sempre costituito di riso, polenta e castagnaccio (24). Risolto, sia pure solo in parte, il problema del sostentamento, venne affrontato quello più complesso dell’organizzazione della for­ mazione. Si trattava di trasformare una massa di cinquecento reni­ tenti in un’unità partigiana disciplinata ed efficente, in grado non solo di sfruttare le possibilità offerte dalla propria particolare disloca­ zione, ma anche di costituire efficaci nuclei di attrazione, una volta che i distaccamenti avessero effettuato il previsto trasferimento in direzione delle valli appenniniche circostanti. Per meglio controllare gli uomini — fra i quali numerosi erano gli ex-prigionieri di guerra e gli sbandati che sino ad allora erano vissuti di espedienti — il co­ mando della Brigata suddivise gli effettivi in vari distaccamenti che vennero affidati a comandanti scelti per lo più fra ufficiali del di­ sciolto esercito regio o fra gli antifascisti esperti di organizzazione militare: alcuni di essi erano stranieri, ex-partigiani jugoslavi e sovietici.

(21) Era il nome di copertura di Giovanni Alloisio. (22) Da un appunto autografo, senza titolo, di Giovanni Alloisio, consegnato dal figlio Sergio all’A. (23) Cfr. mem. int. Pian Castagna partigiana (AISRP-Torino, mazzo AM/D - VI - Comando V I zona, cartella g). (24) Test. Adriano Agostini, Oscar Bariilari ed Edmondo Tosi. i8 Giampaolo Pansà

I quadri di comando e la dislocazione dei distaccamenti (situati nella zona delimitata dal , Costa di Castiglione, Ca- scina Carrosina, , Capanne di Marcarolo, monte Tugello e laghi del ) furono i seguenti (25): — i° Distacc. - dislocato a Praglia, nei pressi del monte Ordì- tano: comandante militare Moro; commissario politico Uno. — 2° Distacc. - ai laghi del Gorzente e poi alla cascina Lom- barda: comand. Maggi, ed in seguito, dopo la costituzione del Distacc. « Novi », Piave, già ufficiale dell’esercito. — 3° Distacc. - al monte Poggio. Era il distaccamento dei russi e degli slavi: comand. Mita (già ufficiale jugoslavo, ex prigioniero di guerra); commiss. Bruno. — 40 Distacc. - a Rocca, ad ovest del Bric delTArpescella : comand. Giacomino (Piero Martini, già ufficiale dell’aeronautica); commiss. Boro (Gregorio Ciipic, sott’ufficiale dell’esercito jugoslavo, già prigioniero nel carcere di Fossano). — 50 Distacc. - a Grilla: comand. Cini (Emilio Casalini, già ufficiale dell’esercito); commiss. Lindo. — 6° Distacc. - alla cascina Cornagetta: comand. Martin (Wal­ ter Fillak); commiss. Giuliano. —- Distacc. G.A.P. - dislocato a monte Tugello ; comand. Leo (Franco Gonzatti); commiss. Lino. — Distacc. « Novi » - dislocato alla cascina Nuova, sul ver­ sante meridionale del monte Lanzone ; comand. Maggi (26). II servizio di intendenza, che aveva sede alla cascina chiamata « la Benedicta » (o « la Benedetta »), un antico casale semidiroc- cato posto sul Bric delTArpescella a sud-ovest del Tobbio, venne affi­ dato a Macchi (Saverio Di Palo), a Febo (Luigi Bovone) ed a Guerra.

(25) L’organico riprodotto — che è quello di metà marzo — differisce legger­ mente dall’organico finale, vale a dire dell’inizio di aprile. Le sostituzioni non erano infrequenti: a volte i comandanti passavano da un distaccamento all’altro o si vedevano assegnati ad incarichi diversi. Dei comandanti e commissari diamo qui i nomi di battaglia: solo di alcuni siamo riusciti a stabilire la vera identità. (26) Cfr. doc. intest. 3a Brigata Liguria - Divisione e dislocazione (AISRL-Genova), integrato dalle test, di Adriano Agostini, Oscar Barillari, Edmondo Tosi ed altri. Cfr. anche A . FRANZONE, Vento del Tobbio. (8 settembre 1943 - 25 aprile 1945), Genova, Tipografìa G. Sambolino SC F., 1952, pp. 49-50. L ’organico pubblicato in questo vo­ lume non è del tutto esatto. Il libro del Franzone contiene numerose notizie sulla 3a Brig. « Liguria » (pp. 33-70) ma è una fonte da usare con una certa cautela. Lo sviluppo primaverile delle formazioni

I distaccamenti — composti di circa 60-70 uomini — erano collegati con il comando della formazione (situato alle Capanne di Marcarolo) attraverso un doppio sistema di staffette le quali, con sede di tappa alla cascina Benedicta — unico punto di riferimento noto a tutti i partigiani della Brigata, dal momento che lì venivano inviati gli intendenti dei singoli distaccamenti — provvedevano a trasmettere gli ordini di Tosi a tutti i comandanti subalterni. Questi ultimi avevano l’incarico di guidare gli uomini in azione e di curare l’istruzione sulle armi, indispensabile data la totale inesperienza mi­ litare di molti « ribelli ». Tuttavia, poiché la banda aveva in dota­ zione solo circa trecento fucili e un certo numero di pistole con ­ che munizioni, l’addestramento venne effettuato solo in misura assai ridotta, tale da non poter certo influire positivamente sull’efficienza della formazione (27). Ai comandanti di distaccamento vennero affiancati dei com­ missari con il compito di svolgere quello che veniva chiamato il « lavoro politico ». Poiché si trattava di una formazione garibaldina, i commissari — a differenza dei comandanti militari — vennero scelti tutti fra elementi appartenenti al Partito Comunista. In questo modo, a differenza di quanto era avvenuto per la banda di Odino, la 3* Brig. « Liguria » accentuò la propria caratterizzazione politica (28). Era un processo di sviluppo naturale, che traeva la sua origine dal carattere stesso della guerra partigiana e dalla funzione di guida che i partiti antifascisti avevano assunto nella lotta di libe­ razione. Nella 3 “ « Liguria », tuttavia, esso si verificò in forma tal­ mente accentuata da originare talvolta dannose manifestazioni di set­ tarismo. L ’intolleranza ideologica che qualche volta caratterizzò l’at­ tività dei commissari garibaldini, può forse essere spiegata con la scarsa maturità politica di alcuni degli elementi chiamati a ricoprire il delicato incarico, uomini che spesso avevano alle spalle lunghi anni di fedele milizia nel partito e che erano saliti in montagna con l’in­ tenzione precisa di combattere una guerra « da partigiano », cioè una lotta di parte con obiettivi finali che — per lo meno nelle in-

(27) Test. Adriano Agostini, Mario Franzone ed Edmondo Tosi. (28) Il cap. Odino si appoggiava ad elementi del P. d'A . (Alloisio) e del P. Libe­ rale (Albini), ma, militare di tipo tradizionale e sostanzialmente monarchico, sentiva la guerra partigiana in termini puramente patriottici e si rifiutava di intenderla come lotta politica. Al termine del conflitto, gielle e liberali rivendicarono, ciascuno come appartenente alle proprie organizzazioni la Brig. Aut. Mil. « Alessandria », ma senza ragioni molto valide. ià Giampaolo Pansa

tenzioni di alcuni — andavano probabilmente molto al di là, non solo della semplice liberazione del territorio nazionale, ma dello stesso programma di « rivoluzione democratica » concordemente af­ fermato dai partiti del C.L.N . (29). Per questa ragione — a somi­ glianza di quanto era già avvenuto durante l’inverno, quando a causa delle velleità di predominio di alcuni elementi garibaldini, erano sorti contrasti assai violenti fra la banda comunista ed il gruppo autonomo di Merlo — all’inizio della primavera i dissensi rinac­ quero piuttosto accesi, e questa volta anche all’interno della stessa 3* « Liguria », fra i commissari politici e il comandante Tosi, ele­ mento assai poco qualificato politicamente (30). Nonostante alcuni eccessi, l’opera svolta dai commissari ebbe tuttavia effetti positivi sulla disciplina e sull’assetto organizzativo della formazione, anche se i risultati del lavoro svolto tra il febbraio ed il marzo del ’44 non furono mai molto evidenti (31). In realtà non era cosa agevole far sì che i giovani da poco saliti in montagna per sottrarsi all’arruolamento forzato nelle file repub­ blicane si abituassero alla dura vita del partigiano, trasformandosi in combattenti coscienti e disciplinati. A l raggiungimento di questo obiettivo si frapponevano difficoltà molteplici, prima fra tutte l’im­ possibilità di operare un controllo ed una selezione rigorosi degli uomini che si presentavano alle bande, chiedendo di essere inqua­ drati. Presso il 6° Distaccamento — definito ironicamente « il pur­ gatorio » — era stato istituito un centro di raccolta al quale veni­ vano indirizzate le reclute per essere esaminate. Si temeva, soprat­ tutto, la presenza di informatori fascisti e per ostacolarne l’infiltra­ zione vennero adottati vari sistemi precauzionali che non sempre però si rivelarono del tutto efficienti (32). Una volta accettata in

(29) Sul significato della distinzione fra bande « politiche » e bande « militari » cfr. il bel saggio di Alessandro Galante Garrone, Aspetti politici della guerra parU- giana in Italia, in L’Acropoli, Rivista di Politica, Napoli, Gaetano Macchiatoli Edi­ tore, (volume II), n. 16, aprile 1946, pp. 149-164. (30) Test. Edmondo Tosi. Il Tosi riconosce, comunque, che senza il lavoro, i sacrifici e l’aiuto dei comunisti nessuna formazione si sarebbe mai costituita in 3a zona. (31) Test. Mario Franzone. (32) Nel doc. intest. Comando Brigata d'Assalto Garibaldi « Liguria ». Prot. ». 8t, 2 aprile 1944. Oggetto: Reclutamento (AISRL-Genova), si legge: « Provvedere affin­ chè tutti gli elementi nuovi che giungono in zona non siano trattenuti presso i Di­ staccamenti ma subito avviati al Centro attualmente ancora alla Cascina Cornagetta. Detti elementi devono vedere poco a nulla della nostra vita, sistemazione, armamento, ecc. fino a quando dopo essere stati controllati potranno entrare a far parte dei Di­ staccamenti ». Lo sviluppo primaverile delle formazioni 21 formazione, la recluta depositava al comando i propri documenti personali che venivano conservati nella sede dell’intendenza: a cia­ scuno veniva poi assegnato un numero di matricola ed un nome di battaglia (33). Nonostante questi sistemi, appunto a causa dell’afflusso conti­ nuo e dell’elevato numero di uomini inquadrati nella formazione, è comprensibile che un certo disordine regnasse nel settore. Tosi ed il commissario politico della Brigata, Rino Man-doli (Sergio), che visitava quotidianamente i distaccamenti ed aveva il compito di giu­ dicare e punire le infrazioni disciplinari, cercarono di instaurare una disciplina molto rigida, proponendosi di reprimere i casi di indisci­ plina e di insubordinazione con mezzi drastici, che andavano dalla punizione detta « del palo » (34) alla fucilazione. Le fatiche del co­ mando non diedero tuttavia risultati soddisfacenti, anche per la vita assai breve della formazione. Mario Franzone (35) ricorda che, nel corso di un’ispezione effettuata nella zona verso la metà di marzo in compagnia di Agostini, ebbe modo di constatare personalmente l’esistenza di una situazione piuttosto confusa, non più in grado di essere controllata dal solo Tosi e dai pochi comandanti e com­ missari a lui affiancati. La mancanza di un numero adeguato di quadri effettivamente preparati era, in realtà, la causa principale delle deficienze che lo stesso comando aveva occasione di rilevare alla fine di marzo, pochi giorni prima del grande rastrellamento (36).

(33) Test. Oscar Bariilari. (34) Era la pena prevista per le infrazioni più lievi. Il colpevole veniva legato — in piedi o seduto — ad un palo infisso al suolo e per qualche ora era costretto in questa poco comoda situazione. I comandi regionali e di zona, per tutti i venti mesi della lotta partigiana, si affannarono ad inviare decine di circolari vietando in modo tassativo l’uso di questo tipo di punizione, ma molti comandi di Brigata e soprattutto quelli di Distaccamento continuarono a servirsi del « buon risanatore » {così il palo veniva definito in un rapporto da un comandante di Di-st. della 4a Div. Gar. « Pinati. Cichero »), considerato un efficacissimo mezzo di « rieducazione » degli elementi più indisciplinati. (35) Parodi e, poi, Ugo. Prima dell’8 settembre, responsabile delle cellule mili­ tari del Partito Comunista nella provincia di Savona e quindi organizzatore della 3a Brig. « Liguria ». Dall’estate del 1944 in poi ricoprirà l’incarico di vice-commissario politico della 6“ zona op. ligure. (36) Cfr. il doc. pubblicato in A . Franzone, op. cit., pp. 38-39, int. Considera- Ztoni aggiunte al Bollettino di Brigata del mese di marzo. 22 Giampaolo Pansa

LE AZIONI DI MARZO E I PRIMI LANCI

In marzo, comunque, la formazione di Tosi era già in grado di cimentarsi nelle prime azioni di guerriglia. I distaccamenti dislocati sull’altipiano, dalla valle del Lemme sino alle alture sovrastanti Campomorone e Isoverde, e dalla strada della Bocchetta sino a quella del Turchino,estesero la loro sfera d’azione sempre più lontano, sino a Novi ed oltre, alla continua ricerca di viveri e di armi. In genere le azioni venivano effettuate di notte, da piccole pattuglie di par­ tigiani, scelti a turno nei vari distaccamenti, ai quali venivano affi­ date le poche armi automatiche in dotazione. Attivissimi furono in questo periodo gli uomini del Distacc. G.A.P. che erano soliti spin­ gersi verso Genova e i vicini centri della costa per compiervi atti di sabotaggio ed audaci azioni terroristiche (37). Nel mese che pre­ cedette l’offensiva nemica di aprile, gli uomini della 3* « Liguria » saccheggiarono numerosi depositi dell’esercito germanico e scesero nei piccoli centri posti al confine del settore montano — come Bosio, Gavi, Rossiglione, Masone — penetrando negli edifici comunali ed asportando gli archivi degli Uffici Leva nella speranza di rendere più difficili le rappresaglie contro i renitenti e le loro famiglie. Per intimorire i fascisti ed impedire che collaborassero con i tedeschi fornendo informazioni sulle bande, vennero uccisi alcuni esponenti repubblicani delle zone vicine al massiccio. Il 15 marzo elementi della formazione garibaldina si portavano a Tagliolo, nei pressi di Ovada, ed eliminavano il locale segretario del P.F.R., Romairone, intimando ad un altro collaborazionista del paese di cessare ogni attività contro le bande. Tre giorni dopo i partigiani scendevano di nuovo a fondovalle e si recavano a Casaleggio Boiro, un piccolo centro situato fra Lerma e Mornese, per prelevarvi il podestà fa­ scista Tubino che, condotto in montagna, veniva processato e pas­ sato per le armi (38).

(37) Il 3 marzo, a Genova, durante una di queste azioni, cadde Giacomo Bura- nello, già comandante di Dist. della Brigata. (38) Per queste e per le altre azioni dell’unità garibaldina cfr. il Bollettino delle azioni svolte dalla 3a Brg. d’Assalto Garibaldi LIGURIA durante il mese di marzo del 1944 (Archivio Storico della Fondazione C.V.L., depositato presso l’Istituto Naz. per la Storia del Mov. di Lib. in Italia, di Milano — per l’innanzi indicato con la sigla ASCVL-Milano — mazzo LI - IX - VI zona ligure, cartella b) Comando Divisione Mingo). Il doc., datato 2 aprile 1944, fu rinvenuto dai- fascisti durante il rastrella­ mento del 6 aprile e pubblicato su II Secolo XIX, di Genova del 6 maggio 1944, in prima pagina e con molta evidenza, sotto il titolo Un documento rivelatore. Fra « Pa­ triot! » Ribelli e « Martiri ». Lo sviluppo primaverile delle formazioni 23

Queste due azioni suscitarono viva preoccupazione tra i fascisti del basso Ovadese e, verso il 20 marzo, gruppi di Camicie Nere e della G.N.R. vennero inviati in tutti i paesi circostanti il massiccio del Tobbio, con l’ordine preciso di tenere sotto controllo le valli, probabilmente per bloccare i rifornimenti diretti alle bande ed im­ pedire l’afflusso di nuove forze e i movimenti di quelle già raccolte sui monti (39). Subito dopo il loro arrivo, queste truppe tentarono alcune puntate esplorative verso la zona della Lavagnina, settore nel quale si pensava fossero dislocati i gruppi che avevano operato i primi colpi in pianura. Il 21 marzo, presso i Laghi del Gorzente, una squadra del 2° Distacc. si scontrava con una pattuglia fascista. Nel breve combattimento veniva ferito e catturato il commissario della Brigata, assieme ad altri due partigiani. Mandoli veniva tra­ sportato prima ad Alessandria e poi a Genova: ripetutamente tortu­ rato, sarebbe poi stato fucilato al Turchino il 19 maggio (40). Gli altri due partigiani caduti nelle mani del nemico, venivano invece passati per le armi sette giorni dopo la cattura, presso il ponte di Lerma. Il 23 marzo, sulla strada che dai Laghi della Lavagnina porta a Lerma, si verificava un altro scontro. Questa volta erano i fascisti ad avere la peggio: la pattuglia repubblicana doveva ritirarsi con alcuni feriti, incalzata dagli uomini del Distaccamento di Fillak. In risposta alle azioni nemiche, i garibaldini intensificarono la loro attività, riuscendo a portare a termine, verso la fine del mese, i primi attacchi al traffico nemico, contro automezzi isolati transitanti sul Passo del Turchino. Si trattava di azioni di non grande rilevanza bellica : la forma­ zione era ancora in fase di addestramento e mancava dei mezzi ne­ cessari per iniziare una guerriglia su scala più vasta. Molti degli effettivi non erano ancora preparati al combattimento e la deficienza di armi e di munizioni rendeva possibile solo parzialmente l’impiego di quei partigiani che avrebbero potuto partecipare con profitto alle prime azioni. Nel tentativo di migliorare l’armamento della Brigata, nella

(39) Cfr. la Deposizione dell’ing. Mario Albini a carico del maggiore Augusto Ro- thenpieler e di Maria Lamberti, firmata da Mario Albini e depositata presso la Que­ stura di Genova il 27 novembre 1945, conservata in copia presso l’ASCVL-Milano, mazzo O - XX - Liguria varie, cartella a) Deposizioni. (Tale doc. verrà citato per l’innanzi come Deposizione Albini). (40) 11 Mandoli venne sostituito da un altro militante comunista, Parisone (Fino) che aveva già fatto parte del Triumvirato Insurrezionale. Test. Adriano Agostini. 24 Giampaolo Pansa notte tra il 25 ed il 26 marzo, un gruppo del 4° Distacc. assieme ad elementi della Brig. « Alessandria » si portava sino a Bolzaneto, nei pressi di Genova, per tentare di ricuperare una discreta quantità di armi e di munizioni occultate in quella località nei giorni dell’ara mistizio. Il colpo di mano era coronato dal successo più completo nonostante la reazione dei nazi-fascisti i quali, messi in allarme, aprivano un fuoco- violentissimo sul gruppo dei partigiani che però riusciva a ritirarsi attraverso il greto del torrente Polcevera, senza subire perdite. Il 28 marzo, per la prima volta dopo più di sei mesi dall’inizio della lotta, i « ribelli » della 3 “ zona scendevano apertamente in un centro abitato. Nelle prime ore del mattino, gruppi del 3°, 4° e 5° Distacc. con la squadra G.A.P. di Gonzatti calavano aU’improwiso su Voltaggio, per impedire un raduno di bestiame indetto dai fa- scisti. Bloccati gli accessi alle strade per Busalla e per Gavi, un nucleo di partigiani si portava nell’ufficio postale distruggendo l’impianto telefonico e telegrafico, mentre altri si presentavano sul luogo del raduno-, disarmando sette carabinieri ed il maresciallo comandante la stazione del paese. Il locale distaccamento di Camicie Nere — una ventina di uomini — batteva rapidamente in ritirata lasciando nelle mani dei partigiani un camerata della Milizia Forestale e tutto il materiale di casermaggio. Per qualche ora i garibaldini restarono padroni della località ma si limitarono a prelevare — a pagamento — qualche capo di bestiame e ad ordinare ai contadini che si erano pre- sentati al raduno di tornarsene in cascina (41). Le azioni di Bolzaneto e di Voltaggio contribuirono a miglio- rare l’armamento della Brigata, senza tuttavia portarlo ad un livello soddisfacente. I ricuperi di armi, benché effettuati con frequenza per tutto il mese di marzo, non avevano dato risultati soddisfacenti data l’assenza nella zona di notevoli depositi nemici. Le speranze dei partigiani erano riposte unicamente negli Alleati che, attraverso loro emissari, avevano promesso di effettuare nel settore lanci suffi­ cienti ad armare le due formazioni. Verso la metà di febbraio, era stato accompagnato nella 3“ zona un ufficiale italiano, sbarcato a Voltri da un sommergibile alleato all’inizio di gennaio. L ’ufficiale, che era in contatto con l’Organizzazione « Otto », resosi conto della

(41) A ll’azione partecipò anche un gruppo della Brig. « Alessandria » che, al co­ mando di Pestarino, si attestò nei pressi di Voltaggio per proteggere la ritirata della 3a « Liguria » in caso di attacco, Lo sviluppo primaverile delle formazioni 25

situazione esistente nel settore, era ripartito promettendo l’invio in zona di notevoli quantità di armi (42). In effetti, verso la fine di feb- braio, nella zona compresa fra il Bric deH’Arpescella e le Capanne di Marcarolo, venivano lanciati circa centocinquanta sten, un centinaio di bombe a mano e del materiale per sabotaggio. Un secondo avio- lancio veniva effettuato verso la metà di marzo, nel Vallone degli Eremiti: altri duecento sten, un discreto quantitativo di vestiario, bombe a mano, plastico esplosivo e mine anticarro. I due lanci non riuscirono a colmare che parzialmente le deficienze di armamento della 3“ Brig. « Liguria » : gli sten avevano poche munizioni e per di più mancavano completamente le armi a tiro lungo, mitragliatrici e mortai, indispensabili alla difesa di una formazione di monta­ gna (43). Qualche mitragliatore ed un modesto numero di bombe a mano vennero passati alla formazione di Odino ma servirono a ben poco, dal momento che la Brig. « Alessandria » si trovava in condizioni veramente precarie quanto ad armamento. Anche le di­ vise lanciate con le armi servirono solo per una percentuale minima dei partigiani e la maggior parte dei componenti la formazione continuò ad utilizzare il vecchio equipaggiamento di fortuna.

I RAPPORTI FRA LE DUE FORMAZIONI

La situazione delle forze partigiane della 3“ zona, già tutt’altro che soddisfacente per le deficienze organizzative e di armamento, era resa ancor più grave dai rapporti poco buoni che sin dall’inizio si erano stabiliti fra le formazioni di Ódino e di Tosi. Con la costi­ tuzione delle due Brigate, i contrasti fra autonomi e garibaldini si erano ripetuti su scala più vasta, pur senza portare a soluzioni vio­ lente. Pare che il comando della 311 Brig. « Liguria » temesse che la formazione di Odino, dislocata sul margine settentrionale della zona, proprio dove si aprono le vie per la pianura alessandrina, potesse bloccare i rifornimenti diretti ai garibaldini e per questa ragione aveva operato sugli autonomi pressioni più o meno amichevoli per­ chè si ponessero alle dipendenze di Ettore.

(42) Con il sommergibile erano arrivati anche degli sten. : una ventina di essi, con tre caricatori ciascuno, venne inviata da Genova in 3a zona. Test. Mario Fran- zone. Anche Luigi Alloisio era in contatto con un elemento della « Otto », Odierni (Luca) che aveva promesso di aiutare le formazioni del Tobbio, Cfr. la mem. di Alloisio cit. alla nota 13. (43) Test. Mario Franzone ed Edmondo Tosi. 2Ó Giampaolo Pansa

Per la verità, all’interno della stessa Brig. « Alessandria » esi­ steva una corrente capeggiata da un giovane partigiano, Marco1 Gua- reschi, favorevole alla costituzione di una formazione unica. Verso questa corrente, soprattutto, venne rivolta l’opera di persuasione de­ gli organizzatori comunisti che, per bocca di Agostini, giunsero a suggerire a due dei comandanti di battaglione dell’ cc Alessandria », Merlo e Pestarino, di assumere il comando della Brigata autonoma e portare a termine l’unificazione (44). I garibaldini parlavano di « fusione » e di « comando unico ». In realtà •— a causa dei rapporti di forza esistenti fra le due unità: 200 uomini circa Odino e 570 la 3a « Liguria » (45), e per la più salda struttura organizzativa della formazione comandata da Ettore — la fusione avrebbe significato per gli autonomi il completo assorbimento nell’unità garibaldina. A causa di questa situazione non era stato possibile costituire nep­ pure un comando unico, data la differente caratterizzazione politica delle due bande e i rapporti poco buoni esistenti fra i comandi, rapporti che nè il Comitato Militare alessandrino nè quello del C.L.N . Regionale Ligure erano riusciti a migliorare. Il 25 marzo, in occasione di un temporaneo ripiegamento verso la Benedicta effet­ tuato dalla « Alessandria » in concomitanza con le puntate operate dalle Camicie Nere e dalla G.N.R., i garibaldini offrirono agli uomi­ ni della formazione autonoma armi ed equipaggiamento qualora essi avessero optato per l’unità comandata da Tosi. La maggioranza degli uomini di Odino — compresi quelli che condividevano le

(44) Test. Giuseppe Merlo. (45) Questi dati sono ricavati dall’unica fonte veramente attendibile, il doc. intest. Elenco degli effettivi della 3a Brigata d’Assalto Garibaldi LIGURIA con il solo nome di Battaglia e con il rispettivo numero di matricola. Da un documento della Brigata recentemente rinvenuto sotto una piastrella del pavimento della Chiesetta della Bene­ dicta. (ASCVL'Milano, mazzo LI - IX A - VI zona ligure, cartella m) varie). In questo elenco si contano per la 3a « Liguria » 573 numeri di matricola e 193 per il « Gruppo di Bosio », cioè per la formazione di Odino. Le fonti a stampa riportano in genere organici inesatti. Ad es., R. Baccino, Contributo alla Storia della Resistenza di Genova, (Genova), Sotto gli auspici del Comune di Genova - A cura dell’Istituto Storico della Resistenza in Liguria, (1955), p. 45, riporta cifre errate per eccesso: 950 uomini la 3a « Liguria » e 270 la formazione di Odino. Per quanto riguarda la composizione delle due Brigate non è stato possibile condurre alcuna ricerca, poiché il materiale docu­ mentario sulle formazioni del Tobbio è scarsissimo, la maggior parte dei documenti essendo andata perduta nel rastrellamento di aprile. II nerbo delle due formazioni era costituito da contadini della pianura alessandrina, dell’Ovadese, del Novese e delle valli che circondano la 3a zona. Si trattava per lo più di giovani delle classi del ’22, ’23, ’24 e ’25. Nella formazione garibaldina vi erano molti liguri, provenienti dai centri della costa e della Grande Genova. Numerosi gli operai e gli studenti: vi erano anche parecchi ufficiali di complemento e un certo numero di stranieri (per lo più sovietici e jugoslavi). Lo sviluppo primaverile delle formazioni -27

idee di Guareschi sulla necessità di addivenire ad una unificazione delle forze partigiane della zona — rifiutarono di abbandonare l’an- ziano comandante: solo un gruppetto di trenta ragazzi lasciò la Brig. « Alessandria » per passare alla 3“ « Liguria » (46). Questo episodio, e la successiva consegna alla formazione autonoma di una piccola parte delle armi arrivate con l’ultimo lancio, autorizzarono il comando garibaldino a considerare come avvenuta la fusione, ma in effetti la banda di Odino continuò a considerarsi autonoma ed indi' pendente (47).

I PRELIMINARI DEL RASTRELLAMENTO E L’ ATTEGGIAMENTO DELLE FORMAZIONI

Il 6 aprile 1944, mentre tutta la zona tra la vai Lemme e la vai Stura sembrava nascere finalmente alla vita partigiana, sul mas- siccio del Tobbio, proprio sui monti che avevano visto sorgere le prime formazioni organizzate di tutto l’Alessandrino e la Liguria, veniva scritta la pagina più sanguinosa della storia partigiana della provincia di Alessandria, e certo una fra le più tragiche della Resi­ stenza italiana (48). Svanita ogni speranza di spontaneo dissolvimento delle for-

(46) Test. Giuseppe Merlo. (47) Test. Mario Albini, Mario Franzone e Giuseppe Merlo. Cfr. anche G. Merlo, La Resistenza in Liguria, in Bisagno, Numero speciale di Risorgimento a cura del Cir­ colo Partigiano Bisagno, 24 aprile 1955, X Anniversario della Liberazione, Genova, (Tip. A , Porcile & Figli), (1955), p. 3. In questo art. il Merlo scrive: « I comandi delle due formazioni furono sempre in contatto, ma i loro rapporti non sempre furono cor­ diali; fu tentato infatti e con tutti i mezzi, da parte del comando politico della Ili Li­ guria, di incorporare la I Alessandria il cui comando, così dicevano, era composto di badogliani; questi tentativi, però, data la fermezza del comandante la I Alessandria, il capitano Odino, e del comando tutto, furono sempre sventati e quantunque in se­ guito, da gente di parte, sia stato ripetutamente scritto che questa Brigata sotto il nome di distaccamento ” Bosio ” o gruppo Odino fosse parte integrante della III Li­ guria, si può affermare senza tema di smentita che ciò è assolutamente falso ». (48) La parte che segue è stata redatta sulle seguenti fonti: — test, di Adriano Agostini, Mario Albini, Oscar Barillari, Mario Franzone, Giu­ seppe Merlo, Renato Repetto, Edmondo Tosi; — la mem. del prof. G. Guareschi, cit.; la Deposizione Albini, cit.; -— fonti bibliografiche: L. CAVALLI, l martiri della Benedicta, in Genova, Rivista Mensile del Comune, A. XXXI (1954), n. 5, pp. 2-9; P.L.I., Fed. Reg. Lig., op. cit., pp. 9-13; A. Franzone, op. cit., pp. 53-69; R. Baccino, op. cit., pp. 45-46; M. Zino, Morti della « Benedicta », in Più duri del carcere, [Scritti di Ferruccio Parri, Mario Zino, Giulio Bertonelli, Mario Gherardi, Giovanni Trombetta, Pier Lorenzo Wro- nowski], Genova, Casa Editrice Emiliano Degli Orfini, (1946), pp. 341-346; A .N .P .I., Sezione « 30 Martiri » - Genova-S. Nicola, La Resistenza genovese, S.n.t., s.d. [i960], p. 20; Marcello [R. Repetto], 6 aprile 1944, in L ’Aurora, Organo della Sezione di 28 Giampaolo Pansa mazioni durante l’inverno e constatata altresì l’inefficacia dei bandi di richiamo, i tedeschi, di fronte al minaccioso sviluppo del ribel' lismo, ritennero giunto il momento di colpire il movimento parti' giano nella fase più delicata, quella della crescita e della prima or­ ganizzazione, quando le bande si trovavano appesantite dalla massa dei giovani inesperti e disarmati che si erano uniti ai vecchi ribelli del ’43. L ’offensiva si svolse a fasi alterne in tutta l’Italia settentrio­ nale e, come osserva il Battaglia, venne condotta dai nazi-fascisti tenendo- conto « non solo del grado d’efficienza raggiunto dalle for­ mazioni partigiano, ma dell’importanza della loro dislocazione dal punto di vista strategico », cioè dell’eventuale contributo che esse avrebbero potuto portare ai temuti sbarchi alleati sulle coste del­ l’Adriatico e del Tirreno (49). Sotto questo profilo, la dislocazione delle bande della 3a zona era della massima importanza. I gruppi di Tosi e di Odino costituivano la punta estrema del piccolo esercito partigiano che da tutto il Piemonte minacciava a tergo lo schiera­ mento costiero tedesco e dominava le principali vie di comunica­ zione tra la Liguria e la Pianura Padana. Superata la prima fase di assestamento, le bande non solo sarebbero state in grado di sfer­ rare attacchi continui sulle rotabili transappeniniche, sui presidi co­ stieri e sulle stesse industrie pesanti del Genovesato, ma avrebbero potuto appoggiare validamente un tentativo alleato di sbarco in Liguria, scendendo ad occupare un tratto di costa e permettendo così la costituzione di una testa di ponte, o bloccando sui valichi del- l’Appenino l’afflusso dei rinforzi tedeschi. La zona a nord-ovest di Genova doveva invece mantenersi tranquilla, anche perchè, in pre­ visione di uno sbarco anglo-americano sulle coste francesi, si stavano iniziando le operazioni per l’attestamento sulla Riviera Ligure

Bosio del P.D .C., A . I, 2 settembre 1945, pp. 2-3; G. Merlo, art. cit.; Luigi [G. Al- loisio], Pasqua 1944. Con i martiri di Voltaggio, iti II Risveglio, Organo Sett, della Feder. Prov. di Alessandria del Partito d’Azione, A. Ili, n. 15, 25 aprile 1946, p. 1; G. Guareschi, Ai deportati della Benedicta in Germania, in Patria Indipendente, pe­ riodico della Resistenza e degli ex-combattenti, A . Ili, n. 6, 21 marzo 1954, p. 5. L ’e­ pisodio della Benedicta è ricordato anche da R. Battaglia, Storia della Resistenza ita­ liana. (8 settembre 1943 - 2 5 aprile 1945), (Torino), Giulio Einaudi editore, 1953, p. 275 e, con qualche inesattezza, da R. Carli-Bau,QLA, Storia della Resistenza, Mi- lano-Roma, Edizioni Avanti!, 1957, pp. 152-153, (49) Cfr. R. Battaglia, op. cit., p. 267. Lo sviluppo primaverile delle formazioni

di notevoli contingenti di truppa (50). L ’immediato retroterra ales- sandrino era stato scelto come retrovia delle divisioni nazi-f asciste : dalla provincia di Alessandria sarebbero transitati gli uomini e i rifornimenti ed era perciò necessario liberare le strade per la costa dal pericolo dei « fuori-legge ». Per queste ragioni i comandi tedeschi decisero di attaccare le formazioni della 3* zona prima che si fossero saldamente organiz­ zate. In questo modo si sarebbe prevenuto lo sviluppo dell’estate e nello stesso tempo sarebbe stata impartita una dura lezione a quanti avevano osato sottrarsi ai bandi della Repubblica Sociale. Nelle in­ tenzioni dei nazi-fascisti, l’operazione contro le bande del Tobbio avrebbe dovuto essere di proporzioni tali da stroncare per sempre l’attività partigiana non solo nel settore montano tra il Lemme e lo Stura, ma in tutta la Liguria. Per rastrellare l’altipiano del Tobbio non venne più adottato il metodo della puntata rapida e massiccia, seguita da un ripiega­ mento sulle basi di partenza, come era avvenuto nell’inverno pre­ cedente. Alla Benedicta, come nelle altre operazioni di controguer­ riglia della primavera del ’44, venne seguito un sistema diverso tendente non solo a disperdere le bande attaccate ma ad eliminare totalmente i gruppi partigiani dalla zona rastrellata (51 ). Questa tat­ tica di combattimento diede ottimi risultati anche nel settore del Tobbio. Il comando tedesco di Alessandria, con la collaborazione di quello di Genova, aveva preparato con ogni cura l’operazione. Già da un mese, ufficiali di un reparto speciale germanico, provenienti da Torino, si trovavano nella zona per studiare la possibilità di una repressione totale. Numerosi informatori, che sul versante alessan­ drino facevano capo ad un maggiore tedesco da tempo residente a Voltaggio, erano stati sguinzagliati per le valli a rilevare la dislo­ cazione dei distaccamenti dei ribelli. Alcune di queste spie, infil­ tratesi nella formazione garibaldina, erano state individuate e fuci­ late, ma questo fatto non aveva impedito che il nemico si rendesse conto di quanto stava avvenendo in campo partigiano. In alcune zone, come nel Novese, il « reclutamento » dei renitenti era stato

(50) Si trattava dell'Armata « Liguria », posta sotto il comando del maresciallo Graziani. Essa — composta di tre divisioni italiane (« Monterosa », « San Marco » e «Littorio») e da tre grandi unità germaniche (5a Div. Alpina e 34a e 42“ Div. di Fanteria) — avrebbe completato il proprio attestamento sulla Riviera solo nel pieno estate del ’44. Cfr. R. G raziani, H o difeso la Patria, (Milano), Garzanti, (1948), p. 451. (51) Tale tattica è ottimamente descritta in A. TRABUCCHI, I vinti hanno sempre torto, Torino, Francesco De Silva, 1947, pp. 8o-8i. Giampaolo Pansd condotto pressocchè allo scoperto: pare addirittura che lo stesso Odino fosse stato individuato dalla polizia fascista durante la pri­ missima fase organizzativa, anche se — inspiegabilmente — non si era proceduto al suo arresto. Le puntate esplorative iniziate dalle pattuglie repubblicane attorno al 20 marzo, avevano costituito il primo tentativo di saggiare la reale consistenza delle bande. I rap­ porti, certamente esagerati, dei militi fascisti e le prime azioni dei partigiani che avevano costretto i presidi nemici ad abbandonare le località a ridosso delle montagne per concentrarsi in paesi più lon­ tani, dovevano aver convinto i comandi tedeschi dell’esistenza sul­ l’altipiano del Tobbio di imponenti forze ribelli e quindi della ne­ cessità di organizzare un vasto rastrellamento (52). A causa dei minuziosi preparativi, i comandi delle bande eb­ bero certo sentore dell’operazione che si andava organizzando. Gli informatori dei comitati di resistenza di fondo valle avevano segna­ lato alle due brigate i movimenti del nemico, anche se non avevano saputo dare notizie precise sulla presumibile data d’inizio e sulla potenza del rastrellamento. Pare che in seguito a questi avverti­ menti, il comando della formazione garibaldina avesse preparato un piano per sfuggire ad un eventuale attacco in forze. I distaccamenti — resi immediatamente autonomi alle prime avvisaglie del rastrel­ lamento — dopo di aver occultato il materiale intrasportabile, avrebbero dovuto abbandonare l’altipiano del Tobbio per defluire verso ovest (in vai d’Orba e nell’Acquese), verso est (in vai Scrivia e vai Vobbia, per portarsi poi verso le valli dell’Antola) e verso sud-

(52) Ecco, ad esempio, quanto comunicava in proposito la Tenenza dei Carabi, nieri di Novi Ligure (da un doc. intest. Guardia Nazionale Repubblicana. Tenenza Ca- rabinieri di Novi Ligure. N. 2/31 di prot. div. Ris. Novi Ligure, lì 22 marzo 1944. Oggetto : Situazione esistente nella Zona di Gavi Ligure. Al Comando della Compagnia dei Carabinieri di Novi Ligure. Il doc., firmato dal tenente comandante, Melchiorre Basile e autenticato dal timbro del « Comando Tenenza Carabinieri - Novi Ligure », è in possesso dell’A.): « [. . .] Nella zona di Parodi Ligure, frazione ” Capanne di Mar­ carlo ” , e nel comune di Mornese, nei pressi della cascina ” Brignoleto ” , effettiva­ mente esistono due nuclei di ribelli fra i quali trovansi anche prigionieri di guerra inglesi, russi, slavi, ex militari italiani, renitenti alla leva, disertori e perfino qualche elemento di colore. Non è esatto però che i predetti nuclei abbiano per armamento solamente pochi fucili e qualche pistola, in quanto l ’armamento stesso è costituito da moltissimi mitramoschetti. [stcl, numerose mitragliatrici, fucili mitragliatori, bombe a mano, pistole, fucili e moschetti e pare anche da armi automatiche non in dotazione al nostro esercito: non è escluso, come qualcuno già ha segnalato a questo comando, che vi sia anche qualche cannoncino di piccolo calibro. Circa il numero, quelli che si trovano alla Capanne di Marcarolo ammonterebbero, secondo notizie degne di fede, a 2.500-3.000; quelli della cascina ” Brignoleto ” a circa 200. iLe cifre predette però sono suscettibili di aumenti quasi giornalieri. [. . .] L ’esecuzione di un rastrellamento non solo sarebbe opportuna, ma si impone e con forze di molto numericamente supe­ riori a due plotoni. [...]». Lo sviluppo primaverile delle formazioni i i ovest (nel settore montano che sovrasta il tratto di costa tra Voltri ed Arenzano, dove, tra il monte Argentea ed il , era stato stabilito un punto di concentramento delle forze garibaldi­ ne) (5 3 >* Un tale progetto, per essere effettuato, avrebbe richiesto l'esi­ stenza di un servizio di collegamento ottimamente organizzato, in grado di avvisare tempestivamente il comando e tutti i distacca­ menti dispersi sull’altipiano. I collegamenti dell’unità garibaldina, invece, nonostante il lavoro molto intenso svolto durante il mese di marzo, non avevano ancora raggiunto il grado di efficienza ne­ cessario a garantire la sicurezza della Brigata. Inoltre, la formazione era appesantita da un gran numero di ragazzi giovanissimi ed ine­ sperti, mentre per sottrarsi ad un rastrellamento massiccio sarebbe stato necessario disporre di uomini addestrati alla guerriglia, con un’ottima conoscenza della zona, divisi a piccole squadre guidate da comandanti capaci ed energici (54). A tutto questo va aggiunta la deficienza dell’armamento, alla quale abbiamo già accennato. A fondo valle si parlava di migliaia di uomini armati addirittura di cannoni anticarro, ma la realtà era molto diversa: anche i partigiani con lo sten non avevano a disposizione che pochi minuti di fuoco.

(53) Test. Mario Franzone ed Edmondo Tosi. (54) A proposito dei criteri che avevano presieduto alla costituzione delle due formazioni, ci pare interessante ricordare quanto Giulio Bertonel.li — che al momento dell’episodio faceva parte del Com. Mil. del C .L .N . per la Liguria in qualità di rap- presentante del P. d'A. — scrive nel lungo art. Appunti sul « Comando Regionale Ligure » C.V.L., apparso in , Rivista del Comune, A . XXIV, n. 4-6, luglio- dicembre 1955, pp. 94-107. Ricordando una riunione idei Com. Mil. tenutasi a Genova, all’inizio del marzo 1944 sulle alture dello Zerbino, il Bertonelli scrive: « In quella occasione Lazagna riferì sopra l’ispezione da lui eseguita alle formazioni del Monte Tobbio: gruppo ” O dino” , controllato dai liberali e forze garibaldine le quali — di recente — avevano avuti parecchi ” Sten ” . Le presunzioni di Lazagna — purtrop­ po — dovevano avverarsi: le formazioni eran troppo pletoriche per le poche armi che avevano, vi eran troppi ragazzi e pochi autentici soldati in grado di sostenere la vera ” guerriglia ” per le quali son necessarie doti e qualità che son di pochi. La questione venne risollevata la settimana appresso: io sostenevo che, dati gli scarsi mezzi finanziari e le poche armi in nostro possesso, le ” bande ” avrebbero dovuto esser composte di ” volontari ” ben addestrati, giovani decisi non solo a difendersi ma anche ad attaccare per procurarsi viveri ed armi. Viveri ed armi i ” fascisti ” le avevano e i nostri uomini dovevano conquistarsele, armi in pugno. Bianchini [G. Bian­ chini era il rappresentante comunista che aveva sostituito il dottor Franco Antolini, catturato dai nazi-fascisti] — invece —• era dell’opinione che si doveva impedire a tutti i costi che i giovani rispondessero ai ” Bandi ” di Mussolini e di Graziani e che —~ perciò — occorreva accoglierli nelle formazioni ove, poco a poco, si sarebbero fatti ed avrebbero imparato anche a fare la ” guerriglia ” ». Erano, in sostanza, le due tesi che vennero dibattute in quasi tutte le zone dell’Italia settentrionale, al sorgere del movimento partigiano. La prima (armamento progressivo, a piccoli gruppi) pog­ giava su argomentazioni di carattere tecnico-militare; la seconda (arruolamento in massa dei renitenti) su ragioni di carattere politico. Giampaolo Pansà

La Brig. « Alessandria », poi, si trovava in condizioni ancor più critiche dal momento che gli uomini di Odino erano praticamente disarmati. Secondo quanto riferiscono due testimoni (55), si era convenuto con Tosi che, in caso di rastrellamento, Odino avrebbe dovuto ripiegare verso la Benedicta per prelevare le armi depositate presso l’intendenza garibaldina, ma anche questo accordo, stabilito in termini piuttosto vaghi, non aveva risolto la situazione. A l di là di queste considerazioni, fra le prime cause del disastro va comunque posta l’errata valutazione che i comandi partigiani avevano fatto delle effettive possibilità delle loro formazioni e delle reali intenzioni dei tedeschi. Scrive Albini: « Ci si illudeva allora eccessivamente sulle possibilità della Wehrmacht: si erano visti partire da Genova in gran fretta grossi contingenti pel fronte russo, dove le armate sovietiche avanzavano in Ucraina passando di vit­ toria in vittoria, mentre la minaccia di uno sbarco anglo-americano sulle coste francesi prendeva sempre più consistenza e richiamava in occidente il fior fiore delle truppe germaniche. Si pensava che l’esercito tedesco non potesse disporre d’altre forze sufficienti per contrapporre ai Patrioti italiani e che dovesse quindi limitarsi a puntate offensive di modesta forza o affidare la difesa del fronte interno italiano alle sparute file dei traditori e dei pavidi che ave­ vano indossato la divisa dell’esercito della repubblica mussoliniana. Ad avvalorare tale diffusa convinzione stava il fatto che fino allora nessuna decisa azione di rastrellamento in forze era stata condotta in Italia contro le Formazioni Partigiane, che pure già ostacolavano sensibilmente le comunicazioni e minacciavano la sicurezza delle truppe d’occupazione » (56). Fino all’ultimo i comandanti partigiani non credettero aU’im- minenza di un rastrellamento. Alla sera del 5 aprile, a poche ore dal­ l’inizio dell’attacco', Odino era stato informato dell’arrivo in Vol­ taggio di forti contingenti di truppa, ma il capitano aveva pensato che il nemico giungesse per indagare sulla scorribanda effettuata dai partigiani in paese, otto giorni prima. Nelle primissime ore del 6 aprile, fra le 3 e le 4 di mattina, le sentinelle dell’ « Alessandria », avvistate sulla rotabile per Voltaggio le luci delle colonne nemiche, avevano avvertito il comando. Uno dei comandanti di battaglione, Giuseppe Merlo, aveva proposto di far uscire gli uomini dalla zona,

(55) Mario Albini e Giuseppe Merlo. (56) Cfr. P.L.I., Fed. Reg. Lig., op. cit., pp. 9-10. Lo sviluppo primaverile delle formazioni 33 approfittando delle ultime ore di oscurità, ma Odino si era opposto al trasferimento affermando che i tedeschi non avrebbero mai osato spingersi sui monti (57). Con inspiegabile avventatezza, non venne presa alcuna misura di sicurezza. Di prima mattina, mentre le pat­ tuglie nemiche erano già in marcia verso le sedi dei distaccamenti, Odino mandò in corvée due squadre per il pane e la legna. Anche Tosi era lontano dal pensare ad un attacco così duro e spietato. La violenza dell’urto sorprese entrambi.

IL RASTRELLAMENTO

Il rastrellamento cominciò alle quattro di mattina del 6 aprile, giovedì santo. N ell’operazione vennero impiegati circa ventimila uomini, per la maggior parte tedeschi affiancati da reparti della G.N .R. e di bersaglieri di stanza a Bolzaneto. Il grosso della truppa tedesca era costituito da reparti della fanteria di montagna, dotati di armi automatiche pesanti e di mortai. Di rincalzo venivano grup­ pi di lanciafiamme e nuclei della polizia alpina. Appoggiavano gli attaccanti una colonna di autoblinde e carri cingolati ed un gruppo dell’artiglieria da montagna, con pezzi da 149. Dall’alto, una Cico­ gna, levatasi dal campo di Novi Ligure, guidava la marcia delle co­ lonne segnalando le postazioni e i movimenti dei ribelli (58). Il piano di attacco prevedeva l’accerchiamento dell’intero alti­ piano del Tobbio, lo sbarramento di tutti gli sbocchi delle rotabili e delle mulattiere e l’inizio di una rapida marcia di avvicinamento che avrebbe permesso di chiudere le bande in un vero e proprio cerchio di fuoco. A questo scopo, già durante la notte erano stati effettuati i movimenti delle colonne secondo queste direttrici: da Busalla e da Pontedecimo — attraverso il Passo della Bocchetta e Campomorone — in direzione di Voltaggio, che veniva raggiunta verso le 3 di mattina; da Masone, da Campoligure e da Pontede- cimo — per Campomorone, San Martino di Paravanico e — in direzione delle Capanne di Marcarolo; ed infine dalla zona di Mornese verso i laghi della Lavagnina.

(5 7 ) Test. Giuseppe Merlo. (58) I tedeschi, evidentemente, avevano sopravvalutato il numero e l’armamento dei partigiani. In marzo, aerei alleati avevano sorvolato di notte, a più riprese, la zona montana tra lo Stura e lo Scrivia, determinando l’impressione che venissero ef­ fettuati numerosi aviolanci. Per questo motivo era stato disposto uno schieramento così imponente. Occorre però osservare che la maggior parte delle truppe venne im­ piegata per bloccare le rotabili di fondo valle: solo circa 3.000 uomini salirono sul­ l’altipiano per effettuare il rastrellamento vero e proprio. Test. Giuseppe Merlo. Ü4 Giampaolo Pansa

Bloccate le rotabili — mentre grosse pattuglie, alle quali erano stati aggregati come guide molti contadini della zona, rastrellavano minuziosamente i costoni della montagna —- da Voltaggio e dai Piani di Fraglia si mettevano in marcia due grosse colonne tede' sche con il compito di puntare congiuntamente da nord-est e da sud-ovest in direzione della Benedicta, cioè verso il centro del set' tore occupato dalle bande. La colonna proveniente da Voltaggio veniva avvistata verso le 8 dalle sentinelle dell’ « Alessandria » che si trovavano nei pressi del monte Lanzone. Costoro, non essendo in grado di ostacolare l’avanzata nemica, si portavano alla cascina Roverno per av- visare il comando di Brigata. Il cap. Odino, che non sapeva dell’ac' cerchiamento di tutta la zona e pensava si trattasse della puntata di una colonna isolata proveniente dalla vai Lemme, ordinava il ripiegamento dell’intera formazione verso la Benedicta: i ragazzi disarmati sarebbero stati concentrati in quel vallone mentre gli altri, effettuato il prelevamento delle armi concordato con il comando della 3“ « Liguria », avrebbero opposto resistenza sulle creste cir' costanti. Con i pochi fucili a disposizione (e tra questi vi erano una decina di arrugginiti ’91 ricuperati il giorno innanzi) venivano ar' mati una trentina di uomini che al comando di Merlo e di Pesta- rino avrebbero costituito la retroguardia della formazione. Mentre il grosso della Brigata si avviava verso la Benedicta, e Odino e Re- petto si attardavano nella sede del comando per distruggere i docu- menti e occultare il materiale intrasportabile, Merlo e Pestarino provvedevano ad appostarsi sul versante del Lanzone che domina il settore di Voltaggio, per attendere il nemico. La seconda colonna, intanto, dopo di aver infranta l'accanita resistenza del distaccamento dei russi attestato poco sopra i Piani di Praglia, si stava rapidamente dirigendo verso le Capanne di Mar- carolo. L ’attacco improvviso aveva completamente disorientato il comando garibaldino, impedendogli di mettere in esecuzione il piano di sganciamento predisposto. I distaccamenti si trovarono ab- bandonati a se stessi, senza collegamenti. Alcuni si frazionarono in piccoli gruppi per sfuggire all’attacco nemico e tentare, durante la notte, il trasferimento in luoghi più sicuri. Altri invece si organiz- zarono per tentare un minimo di resistenza e si difesero coraggiosa- mente, come il 2°, il 4°, il 5° e il Distacc. G.A.P. che, attestati nella zona di , laghi della Lavagnina, monte Tugello e sulle Lo sviluppo primaverile delle formazioni falde del Tobbio, cercarono di opporsi alla marcia verso la Bene' dieta, infliggendo al nemico perdite notevoli. La schiacciante supe- riorità numerica e di armamento dei tedeschi permetteva tuttavia alla colonna proveniente dai Piani di Praglia di raggiungere verso le ore 13 le Capanne di Marcarolo, sede del comando garibaldino. Le Capanne erano deserte: alle 1 1 , Tosi, dopo di aver distrutto tutto il materiale del comando ed aver interrotta la rete telefonica, si era portato alla Benedicta ma, non avendo qui incontrato alcun gruppo della 3a « Liguria », ne era ripartito immediatamente. A vv i' sato da Gonzatti che i tedeschi stavano giungendo sul Tugello, Ettore si era diretto verso il monte Orditano aggregandosi ad una squadra di russi che si trovava in questa zona al comando del ten. Casalini. Contemporaneamente alla partenza di Tosi, dalle Capanne di Marcarolo i tedeschi, con mortai e mitragliere pesanti, aprivano il fuoco in direzione del vallone della Benedicta e, sicuri di non incon­ trare alcuna resistenza, nel primo pomeriggio scendevano alla sede dell’intendenza, catturando qualche ragazzo disarmato ed un grup­ petto di carabinieri da pochi giorni entrati in formazione. Quando i tedeschi stavano già scendendo verso la Benedicta, il grosso della Brig. « Alessandria », all’oscuro di quanto stava av­ venendo, si trovava ancora in marcia verso il cascinale. Nel gruppo lasciato di retroguardia si erano verificate assai presto le prime defe­ zioni: molti dei ragazzi, in preda al panico, avevano lasciato il pro­ prio posto e si erano dispersi per la montagna. Pestarino e Merlo, con una quindicina di uomini, erano rimasti attestati sulla costa del Lanzone sino alle ore 1 1 : individuati poi dalla Cicogna e posti sotto il tiro delle mitragliere, avevano ripiegato verso la strada che porta alla cascina Eremiti e di qui in direzione del Tobbio, nell’intento di congiungersi con il resto della formazione, che pensavano già al di là del monte, al coperto dal fuoco nemico. Il grosso della Brigata autonoma, che all’altezza della cresta montana fra il Roverno ed il Tobbio era stato fermato dal nutrito fuoco nemico, si era invece frazionato in due gruppi: quello di testa, il piu numeroso, guidato da Odino, era riuscito a passare, mentre il secondo, con il quale era uno dei comandanti di Btg., Repetto, era rimasto al di quà della cresta. A questo gruppo si univa Merlo con i pochi uomini della retroguardia; un altro nucleo con Pestarino si portava invece al di là del passo, raggiungendo Odino. 36 Giampaolo Pansa

A rendere più tragica la situazione dei fuggiaschi, veniva avvi' stata una terza colonna nemica che, partita da Lerma, si stava iner* picando sulla strada della Lavagnina, probabilmente nell’intento di infiltrarsi tra le due formazioni, Pestarino —- che si era portato alla testa del gruppo più numeroso, prendendo il posto di Odino che, più anziano, era rimasto distaccato — ordinava di affrettare la marcia verso la Benedicta. La pattuglia di punta raggiungeva la sede deh l’Intendenza, ma il grosso, uditi gli spari provenienti dalle Capam ne di Marcarolo, preferiva deviare verso il Gorzente per raggiun- gere una grotta situata presso il torrente. Mentre il piccolo gruppo di autonomi giunto per primo al cascinale veniva catturato, gli altri •—- all’incirca quaranta — si nascondevano nella grotta, minandone l’ingresso. I partigiani rimanevano nel rifugio sino al tardo pome' riggio allorché venivano scoperti dai tedeschi che, presidiata la Benedicta, stavano battendo la zona circostante. Nel tentativo di chiudere rimbocco della grotta, vennero fatte brillare le mine ma i tedeschi risposero con un fuoco violentissimo e i « ribelli », co' stretti ad uscire, vennero quasi tutti catturati. Condotti alla sede dell’Intendenza, furono rinchiusi assieme agli altri prigionieri nel' l’antica cappella del cascinale. Qui venne portato anche Odino, cat' turato mentre stava raggiungendo i propri uomini che credeva at' testati alla Benedicta. Mentre quasi tutti gli appartenenti alla Brig. « Alessandria » erano ormai concentrati nella sede dell’Intendenza, sui costoni del massiccio i tedeschi continuarono sino a sera il rastrellamento. Il piccolo gruppo con Merlo e Repetto, continuamente bersagliato dai tedeschi che pattugliavano le creste dei monti, nel primo pomeriggio si portava nei pressi della cascina Carrosina: dopo una breve sosta in questa località, la squadra ripartiva e con una marcia lunga e fati' cosa raggiungeva i Molini di Voltaggio, riuscendo ad aprirsi un varco tra le pattuglie nemiche ed a portarsi in salvo al di là del torrente Lemme, Molti altri partigiani restavano ancora sull’alti' piano e per tutta la notte i tedeschi, alla luce dei razzi, continuarono la caccia a questi ultimi « ribelli » (59).

(59) Per notizie più dettagliate sui tentativi di resistenza di alcuni gruppi della 3a « Liguria », si veda la parte del diario del partigiano Walter Ulanowsky (Josef), della formazione garibaldina, catturato in rastrellamento e fucilato al Turchino il 19 mag­ gio, pubblicata in: Don Berto [B. Ferrari], Sulla montagna con 1 partigiani, Genova, Edizione del « Partigiano », 1946, pp. 60-63. Lo sviluppo primaverile delle formazioni 37

L’ ECCIDIO DELLA BENEDICTA

A ll’alba di venerdì 7 aprile, mentre più accanito riprendeva il rastrellamento dei partigiani dispersi sui monti, alla cascina Bene- dieta vennero iniziati i preliminari del massacro. Il « bando Gra- ziani » era esplicito in proposito: « La pena di morte [. ..] deve essere eseguita, se possibile, nel luogo stesso di cattura del diser­ tore ». Settantacinque prigionieri vennero condotti nel cortile del­ l’antico convento: erano per la maggior parte ragazzi di diciannove, vent’anni. Un civile annotò i loro nomi; poi, privati di ogni effetto personale ebe servisse a riconoscerli, a gruppi di cinque vennero spinti lungo il sentiero che porta al Gorzente: ad attenderli stava un plotone di esecuzione composto di bersaglieri fascisti e coman­ dato da un ufficiale germanico. Le esecuzioni, iniziate a metà mat­ tina, proseguirono sistematicamente per tutta la giornata. Giunta la sera, alcuni prigionieri furono costretti a scavare un’ampia fossa nella quale vennero gettati novantasei cadaveri: settantacique dei fuci­ lati presso il Gorzente, gli altri di partigiani catturati in combatti­ mento nei dintorni e immediatamente passati per le armi. Altri morti giacevano allo scoperto sull’altipiano dove il rastrellamento era continuato per tutta la giornata. La caccia all’uomo proseguì anche nella notte tra il 7 e l’8 aprile. L ’oscurità, la pioggia, la nébbia che dalle valli saliva verso l’altipiano del Tobbio, permisero a molti partigiani, per la maggior parte delle bande garibaldine, di raggiungere località più sicure. Alcuni, molto esperti della zona, riuscirono a portarsi sulla sponda destra dello Scrivia in direzione della vai Borbera; altri nuclei, al comando di Fillak, di Boro e di Giacomino, passando sulla sinistra dell’Orba si diressero verso Pian Castagna; alcuni gruppetti isolati riuscirono a filtrare attraverso lo sbarramento disposto sulle rotabili e a proseguire in direzione di Novi e di Serravalle. Altri, invece, proprio per le avverse condizioni atmosferiche e per la loro scarsa conoscenza del settore, caddero in mano ai tedeschi. Un gruppo di circa trenta uomini, raccolti dal ten. Casalini (Cini) sul monte Ordi- tano, venne sorpreso da pattuglie tedesche nei pressi del monte delle Figne. Accettato il combattimento, vennero sopraffatti dopo una coraggiosa resistenza e furono portati a Voltaggio per essere giudi­ cati da un tribunale di guerra germanico installatosi nel paese. Un altro gruppo di quattordici uomini (che si trovavano disarmati aven­ 38 Giampaolo Pansa

do nascosto i pochi fucili in dotazione) venne catturato a Passo Mez­ zano nei pressi dei laghi del Gorzente e immediatamente passato per le armi. Altri sette partigiani che da Cravasco cercavano di rag­ giungere la costa che sale verso i Piani di Praglia, caddero in un’im­ boscata: furono portati ad Isoverde e qui fucilati. Sui pendii occi­ dentali del massiccio, tra Rossiglione e Campoligure, i tedeschi ra­ strellarono un altro gruppo di quaranta uomini che vennero con­ centrati a Masone. Mentre altri patrioti si aggiravano per il massiccio, braccati dai tedeschi che ormai controllavano tutta la 3 a zona e avevano raffor­ zato i posti di blocco agli sbocchi delle mulattiere e sulle rotabili, una fortissima esplosione portò l’annuncio che la Benedicta, ritenuta dal nemico la base principale delle bande del settore, era stata fatta saltare nell’intento di precludere ad eventuali altri « ribelli » qual­ siasi possibilità di permanenza sull’altipiano.

LA CONCLUSIONE DELL’OPERAZIONE

Con la distruzione della Benedicta, il rastrellamento poteva dirsi concluso. I nazi-fascisti, tuttavia, non paghi dei massacri com­ piuti in montagna, vollero portare a termine l'operazione di contro- guerriglia con un’esemplare punizione dei prigionieri e della popo­ lazione. Le prefetture di Alessandria e di Genova prestarono di buon grado la propria collaborazione, emanando per il territorio rastrellato disposizioni draconiane ohe diedero veste legale al sac­ cheggio e all’assassinio (60). Furono prelevati molti ostaggi e, pro­ babilmente su indicazione di elementi repubblicani locali, vennero arrestati i collaboratori dei comitati di resistenza di fondo valle (61). Furono incendiate le cascine che erano servite come basi d’appoggio

(60) Si veda il testo di queste disposizioni su II Lavoro, di Genova, A . XLIII, n. 99, sabato 8 aprile 1944 - XXII, p. 2. Secondo alcune testimonianze, analoghe disposizioni sarebbero state emanate dal capo della provincia di Alessandria, ma non ci è stato possibile reperirne il testo. (61) Tra gli altri, venne arrestato nel pomeriggio di Pasqua, 9 aprile, Giovanni Alloisio. Portato a Voltaggio, Luigi venne posto a confronto con Odino che negò di conoscerlo. I tedeschi tentarono di catturare ad Alessandria il ten. col. Criscuolo, del Co.Mi. del C .L .N . Prov., ma Creta riuscì a fuggire. Alloisio venne rilasciato e riprese coraggiosamente la propria attività clandestina. Lo sviluppo primaverile delle formazioni 39 ai distaccamenti delle due Brigate (62). Molte famiglie di contadini vennero letteralmente spogliate dei loro beni e tuttavia alcuni abi­ tanti della zona ebbero il coraggio di aiutare i partigiani feriti e ricercati dal nemico. Attraverso numerose ordinanze emanate dalle autorità militari locali, venne imposto ai giovani con obblighi di leva di presentarsi ai comandi delle truppe che avevano effettuato' il rastrellamento. Affinchè l’opera di convinzione risultasse più efficace, i nazi-fascisti minacciarono feroci rappresaglie contro le famiglie degli sbandati, promettendo contemporaneamente il condono della pena ai renitenti che si fossero presentati. Molti giovani, atterriti da quanto era avve­ nuto sulla montagna e non valutando i reali propositi del nemico, si portarono a valle. Quanto accadde a Voltaggio dipinge assai bene la tremenda condizione di paura e di incertezza nella quale venne a trovarsi la popolazione civile subito dopo il rastrellamento':

« [ ...] Fu infine annunciato che il paese, considerato fra i più colpe­ voli di favoreggiamento dei ” Ribelli ” , avrebbe subito la meritata rappre­ saglia : ben si comprendeva che cosa ciò significasse, l’incendio cioè di tutte o di gran parte delle case. Fu altresì detto che tutti i prigionieri sareb­ bero stati fucilati come fuori-legge e che feroci rappresaglie sarebbero state operate a carico delle famiglie di quei Partigiani del paese che fossero riu­ sciti a sfuggire alla morsa di ferro e di fuoco. [ ...] Spaventati dalle minaccie di ritorsioni e di fucilazioni, il Commissario Spada, chiamato d’urgenza da Alessandria per ordine delle autorità militari tedesche [ ...] , il Parroco ed altre persone influenti del Paese, tentarono di intervenire per placare le ire dei rastrellatori. Vennero a trattative col maggiore (63), e, visto che la maggior parte dei giovani renitenti di Voltaggio facenti parte della ia Bri­ gata ” G. C. Odino ” (64) non era stata catturata, ma si presumeva che fosse ben nascosta nelle anfrattuosita del terreno o uscita dalla zona di blocco di notte, e che il maggiore si proponeva di far fucilare tutti coloro sui quali fosse riuscito a porre le unghie addosso, assicurarono che avrebbero procu­ rato di far loro stessi intendere a tali giovani l’opportunità di presentarsi al comando tedesco di Voltaggio purché fosse garantito che nessuna rappre­ saglia sarebbe stata fatta contro le persone e le cose e che i partigiani così

(62) Vennero bruciate le cascine di Grilla, Palazzo (dove un partigiano ferito venne seviziato e lasciato perire tra le fiamme), Rocca, Roverno, Cornagetta, Capannette, Brignoleto e di altre località. Alcuni contadini vennero uccisi mentre si trovavano al lavoro nei campi. (63) Si trattava del maggiore tedesco Augusto Rothenpieler, da tempo residente a Voltaggio, che dopo l’S settembre pare fosse passato al servizio dello spionaggio germanico. (64) E’ la Brig. Aut. Mil. « Alessandna ». 40 Giampaolo Pansa presentatisi volontariamente non venissero deportati in Germania. [ ...] Fu stilato di conseguenza un bando da portare a conoscenza di tutte le cascine ed i paesi circostanti, nel quale si garantiva l’impunità a tutti coloro che si fossero presentati spontaneamente e si informava che sarebbe stata offerta loro l’alternativa di arruolarsi nell’esercito repubblichino o di essere immessi nelle compagnie di lavoratori in Italia. Si nutriva ancor fiducia allora nel senso dell’onore dell’esercito germa- nico, nella parola degli ufficiali tedeschi. Perciò il bando fu accolto dalla popolazione come una liberazione; e gran parte dei familiari dei Partigiani e dei renitenti di Voltaggio sfuggiti alla caccia delle pattuglie rastrellanti, si diede a cercare sui monti e nelle cascine oltre la zona di blocco i suoi cari e a consigliar loro — molti a scongiurare — di presentarsi : tanto vi sarebbe stato sempre tempo di riprendere la via dei monti all’occasione più favo­ revole! Qualcuno mise in guardia i troppo fiduciosi dal tranello che i tede­ schi tendevano col bando del perdono [ ...] , ma tale era il terrore e tanto chiaro era l’impegno sottoscritto dal comando tedesco (bando firmato da Rothenpieler) che pochi ascoltarono il consiglio. [ ...] » (65). Ma a fugare ogni illusione sui propositi1 di clemenza dei tede­ schi, ricominciarono ben presto le fucilazioni. L ’8 aprile tredici par­ tigiani dei quaranta radunati a Masone, vennero fucilati a Villa Bagnara. Nello stesso giorno, a Voltaggio, otto ragazzi, e fra questi il ten. Casalini, comandante del 5° Distacc. garibaldino, furono tru­ cidati al cimitero (66). Tre giorni dopo, sempre a Voltaggio, un altro eccidio. Ecco come lo racconta Albini : « [ ...] Il martedì dopo Pasqua, 11 aprile, terminate le operazioni, le formazioni tedesche ricevettero l’ordine di rientrare in sede: in attesa del­ l’ora fissata per la partenza, quando già tutti erano convinti che fosse finito l’incubo che da cinque giorni opprimeva le popolazioni quasi come un passatempo, un divertimento per svagare le truppe nella mezz’ora d’at­ tesa, altri 8 prigionieri detenuti nelle celle dei carabinieri locali furono con­ dotti dinanzi al Camposanto e fucilati a due a due; le loro salme furono, come quelle della precedente esecuzione, lasciate scoperte sul terre­ no. [ ...] » (67).

(65) Dalla Deposizione Albini, cit. (66) Secondo un doc. del Comune di Voltaggio, intest. Elenco dei martiri parti- giani fucilati in Voltaggio dall’oppressore tedesco nei giorni otto (primi otto) e undici aprile 1944 (rimanenti), (AISRL-Genova), i fucilati dell’8 aprile sono: Emilio Casalini (della formazione garibaldina), Francesco Pedemonte (formaz. autonoma), Vincenzo Aloisi (aut.), Evandro Ferri (garib.), Sergio Bagnasco (aut.), Giovanni Battista Conte (aut.), Giacomo Repetto (aut.), Stefano Dondero (garib.). (67) Dalla Deposizione Albini, cit. Secondo Guareschi (mem. cit.) e Cavalli (art. cit.), il secondo eccidio di Voltaggio venne compiuto il io aprile, ma tale afferma­ zione è inesatta. Secondo il doc. cit. alla nota 66. i fucilati dell’ 11 aprile sono: Cle­ mente Farina, Nicola Galioto, Pierino Melagro, Igino Taddei. Giuseppe Guasti, Gio­ vanni Agosti, Alfredo Firpo, Domenico Crocco, tutti della Brig. Aut. Mil., tranne gli ultimi due per i quali l’appartenenza alla formazione non è indicata. Lo sviluppo primaverile delle formazioni 41

Il numero dei fucilati saliva così a centoquarantasei, per la maggior parte della formazione del cap. Odino della quale si erano salvati con Merlo e Repetto solo una trentina di uomini. Numerosi altri partigiani erano caduti in combattimento in numero che non fu possibile precisare (68). Anche la sorte dei patrioti catturati e di coloro che spontanea' mente si erano presentati alle autorità militari, confermò che i nazi' fascisti non avevano affatto intenzione di mantenere le promesse che erano state fatte. Attraverso la testimonianza lasciata per via indiretta da uno dei partigiani prigionieri, è possibile ricostruire sommariamente le vicende dei ragazzi rastrellati sul massiccio:

« [ ...] I fascisti ci portarono via tutto, non ci lasciarono che il vestito e nemmeno completo. [ ...] Io sono stato subito separato dagli altri, perchè, dato il colore e la forma del mio vestito, sono stato preso per un russo ed incriminato quale uno degli attentatori aU’automobile tedesca al Passo del Turchino (69). Sono stato lungamente interrogato da un ufficiale tedesco, il quale alla fine mi riconobbe innocente. Insieme ad altri sono poi stato portato alla Lavagnina e caricato su un camion; attraversando Mornese, Ros­ siglione, Masone ci hanno condotto a Genova e, per Via XX Settembre, fino alla Casa dello Studente; non avendoci fatti entrare in questa, ci hanno portati alle carceri di Voltaggio, ove son rimasto sino a ieri [io aprile]. Loro credevano di esporci al disprezzo ed invece il nostro passaggio attraverso i paesi e Genova è stato addirittura trionfale. [ ...] » (70).

(68) Non ci è stato possibile reperire un elenco completo dei caduti nel rastrella­ mento. Sull’entità delle perdite subite dalle due formazioni l ’unica fonte di parte fascista è il seguente laconico comunicato comparso domenica 16 aprile 1944 su II Se­ colo X IX , di Genova, in seconda pagina: « Operazioni contro banditi in provincia di Genova - 200 morti e oltre 400 prigionieri. Da qualche tempo gruppi di banditi si ag­ giravano sul territorio montano ai confini della provincia di Alessandria e di Genova. Per eliminarli è stata ordinata una operazione alla quale, insieme a reparti dell’eser­ cito e della polizia germanica, hanno partecipato reparti di un reggimento bersaglieri e quattro compagnie della G .N .R . di Alessandria e di Genova. Oltre 200 banditi sono stati uccisi e circa 400 catturati. Tra i morti sono alcuni capi banda ». (69) I nazi-fascisti, dopo l'eccidio, attribuirono il rastrellamento a ragioni di rap­ presaglia per un attentato avvenuto sul Turchino il 5 aprile contro una macchina oc­ cupata da ufficiali tedeschi e da appartenenti alla G .N .R. L ’attentato, in effetti, venne eseguito da elementi della formazione garibaldina, ma l’operazione di controguerriglia fu determinata da ragioni di carattere militare. (70) Da G. Guareschi, mem. cit. E ’ il racconto fatto dal figlio Marco, in un acco­ rato colloquio con il padre e la madre, l 'n aprile 1944, alla stazione di Novi Ligure, al momento di partire per la Germania da dove non sarebbe più tornato. Secondo il padre, queste furono Je ultime parole di Marco Guareschi : « Abbiamo fatto tutto il nostro dovere, il nostro onore è completamente salvo; se volessimo potremmo anche cantare; ora facciano di noi quello che vogliono. Del resto i tedeschi stessi non hanno nascosto di avere più stima di noi che non dei fascisti ». 42 Giampaolo Pansa

A Voltaggio i partigiani catturati incontrarono i compagni che si erano spontaneamente presentati. Quanto accadde in seguito ci è narrato da uno dei superstiti:

« [ ...] L ’indomani [ 11 aprile] alle 8 e mezza, il maggiore Rothenpie- 1er [ ...] ci riunì tutti nel cortile delle scuole [di Voltaggio] in piazza della chiesa — eravamo una sessantina — e ci fece un discorso molto amichevole, ripetendoci che il Comando tedesco ci dava la possibilità di riabilitarci e di riscattare la nostra colpa offrendoci di combattere o di lavorare per la causa dellTtalia e della sua alleata, difendendo la terra dei nostri padri. [..,.] Par- timmo alle nove del mattino su tre camions, alla volta di Novi. Ci assidi- rarono un’altra volta che da Noyi ci avrebbero smistato ai centri di recluta­ mento delle CC. NN. o, coloro che si fossero rifiutati d’arruolarsi, alle com­ pagnie di lavoro. Lo stesso Rothenpieler ci diede la sua parola d’onore che non saremmo stati inviati in Germania. Giungemmo a Novi dopo circa un’ora. Fummo alloggiati alla Villa Rosa, antica casa di tolleranza, tra reticolati e sentinelle armate. Alla vista di tale apparato militare, intuii subito che le promesse non sarebbero state mantenute e che eravamo destinati alla deportazione in Germania, f...] (71).

In effetti, già il giorno precedente erano iniziate le partenze per la Germania: esse proseguirono per tutto lT i e nel pomeriggio del 12 parti l’ultimo gruppo, quello proveniente da Voltaggio. In questo modo, circa duecento giovani vennero inviati nei campi di Gusen e di Mauthausen. Numerosi deportati rinchiusi nel primo convoglio, riuscirono a fuggire durante un bombardamento aereo lungo la strada ferrata; degli altri pochissimi ritornarono. I due ufficiali della Brig. « Alessandria » catturati in rastrella­ mento (Odino ed il ten. Pestarino), assieme ad un gruppo di parti­ giani autonomi e garibaldini, dopo una breve permanenza nella stazione dei carabinieri di Voltaggio, vennero portati a Genova, alla Casa dello Studente, ove rimasero sino al 19 maggio, allorché ven­ nero fucilati al Passo del Turchino, con altri quarantadue detenuti politici (72). I ragazzi uccisi e lo scempio fatto delle loro salme, i genitori

(71) Dalla test, scritta del partigiano Giovanni Battista Barbagelata, di Geno- va/Quinto (AISRL-Genova). (72) Tra i fucilati del Turchino si trovava anche Gianni Arecco, commiss. poi. dell’» Alessandria », sfuggito al rastrellamento ma catturato nella propria abitazione, a Bosio. Il comandante della 3a Brig, « Liguria », invece, si salvò ma non fece più ritorno nel settore. Lo sviluppo primaverile delle formazioni 43

scherniti ed insultati (73), le case devastate e bruciate, la spietata ferocia dei nazifascisti, anziché piegare lo spirito popolare, solle' varono l’odio degli abitanti della zona e diedero nuovo vigore e sconosciuta energia alla lotta (74). Un partigiano ligure che visse quei giorni tremendi, ha scritto: « Ricordo che la notizia si sparse in un baleno per le montagne, e le voci a tutta prima parevano esa' gerate, tanto inaudita era la ferocia con cui s’erano accaniti contro le povere vittime; ed erano gli stessi tedeschi che le propalavano, e i fascisti in città ne menavano gran vanto, nell’intento di demoraliz' zarci e sconsigliare chi ancora pensasse di unirsi a noi per combat' tere. Ma poi qualcuno che col favor della nebbia era riuscito a porsi in salvo, raggiunse le nostre formazioni e da lui s’ebbe la conferma della catastrofe. Ed ecco che un sentimento di orrore e di odio si impadronì di tutti i partigiani e così da quel giorno ebbe inizio la vera lotta partigiana in Liguria » (75).

Giampaolo Pansa

(73) Riportiamo da G. Guareschi, mem. cit.: « [. . .] Passarono parecchi giorni prima che i parenti dei fucilati avessero potuto risolvere il loro atroce dubbio. E non subito poterono accedere alle fosse, in cui alla rinfusa erano stati gettati i cadaveri dei loro cari. Lassù era rimasto un picchetto di fascisti, i quali gozzovigliavano sulle fosse, in compagnia di donne degne di loro (probabilmente ausiliarie dell’esercito di Salò); una volta alcuni familiari dovettero nascondersi nei boschi, perchè minacciati e pote­ rono aver via libera per l’intervento di un ufficiale fascista meno inumano degli altri. Dopo qualche mese, fu possibile fornire, mediante sottoscrizione clandestina (così al­ meno a Serravalle Scrivia) una cassa di zinco per ogni salma e costituire un cimitero vicino al luogo dell’eccidio. [. . .] ». Cfr. anche M. Zino, art. cit., p. 345. (74) L ’eccidio della Benedicta non risparmiò nessuna località della zona. Una delle più colpite fu Voltaggio che su trentasei giovani delle classi tra il ’23 e il ’25 ne perse, nel rastrellamento, ben trentatrèl Questo fatto può spiegare perchè, dall’aprile del 1944 in poi, nel settore tra lo Scrivia e lo Stura, i partigiani si siano mostrati particolarmente accaniti nel perseguitare gli elementi fascisti residenti nella zona. (75) Cfr. Marzo [G. B. Canepa], La Repubblica di Torriglia, (Genova), (Tip. A. Pesce), s. d., p. 163.